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Facoltà di Lettere e Filosofia

Dipartimento di scienze documentarie, linguistico-filologiche e geografiche


Corso di laurea magistrale in Musicologia

Arvo Pärt
Religiosità e innovazione

Elaborato scritto per il corso di Musiche Contemporanee


presentato al prof. Antonio Rostagno

dagli studenti:
Marica Filomena Coppola, Alessandro Maria Lemmo,
Matteo Macinanti, Michela Marchiana,
Emina Smailbegović, Marco Surace,
Federico Rossi, Enrico Truffi

a.a. 2018/2019
1. Genesi di uno stile

Un compositore teologo? Potrebbe essere definito così Arvo Pärt. La sua è una
musica di ispirazione religiosa «in grado di coniugare la grande eredità del passato,
persino di canto gregoriano, con la nuova grammatica musicale di oggi».1
Quello di Part è uno stile compositivo maturato dopo un lungo periodo di
gestazione, a seguito di un silenzio totale durato 8 anni. La sua figura ha vissuto, e molto
spesso provato sulla sua pelle, le vicende storico-politiche-ideologiche che il suo paese
viveva ormai da tempo. In particolare, per i compositori non era semplice praticare il
proprio mestiere.
Dal 1934 si era iniziato ad affermare nell’Unione Sovietica e nei paesi socialisti
del centro ed est europeo il realismo socialista. Avendo come obiettivo quello di
avvicinare l'espressione artistica alla cultura delle classi proletarie e celebrare il progresso
socialista, tecniche come la dodecafonia, il puntillismo, la musica elettronica –
avanguardie occidentali – non erano considerate valide al fine propagandistico e politico
del paese. Si prediligevano i generi scenici, celebrativi e la musica a programma in quanto
maggiormente idonea per trasmettere un contenuto ideologico. Rifiuto delle influenze
borghesi, di modernismo linguistico, della dodecafonia, oltre alle tendenze formaliste e
una certa diffidenza per la musica barocca e antica resero la vita dei compositori e
musicisti del periodo molto complessa.
La svolta, parziale, si ebbe in seguito alla morte di Stalin, avvenuta nel 1953: ha
inizio quella che venne chiamata, prendendo spunto dal titolo del romanzo di Il'ja
Grigor'evič Ėrenburg, il disgelo. Si assistette ad un allentamento del controllo burocratico
ed una maggiore apertura in senso modernista, con una maggiore libertà dell’artista dal
controllo del partito. Rilevante fu anche l’abbandono dell’atteggiamento di intransigente
chiusura nei confronti delle influenze occidentali.
Certamente la situazione per i compositori non era idilliaca, soprattutto in area
russa, dove, benché la morte di Stalin avesse portato una leggera tranquillità e tolleranza,
tuttavia era ancora forte la chiusura verso alcune innovazioni musicali occidentali.
In questo clima avviene la formazione musicale del compositore estone, dapprima
presso il conservatorio di Tallin, dove vi approda nel 1954 e dove studia con Heino Heller.

1 https://www.lastampa.it/2017/09/26/vaticaninsider/il-compositore-arvo-prt-tra-i-vincitori-del-premio-

ratzinger-mK91H5PdyXg6BBQqSNsrsO/pagina.html (24.01.2019).

2
Contemporaneamente lavora come tecnico del suono presso la radio estone. Inizialmente
imparò a comporre con il sistema classico basato sugli insegnamenti di Rimskij Korsakov
e in seguito approfondì lo studio della dodecafonia e della serialità postweberniana, che
lo condusse a sperimentare i sistemi compositivi delle avanguardie dell'epoca. Nel
piccolo centro di Tallin ci si arrangiava ma si potevano studiare abbastanza
tranquillamente questi sistemi che, al contrario, a Mosca erano proibiti. Compositori del
tempo come Schnittke, Gubajdulina erano costretti a difficoltà notevoli anche solo per
reperire documenti di quel genere musicale. La condizione culturale era così pesante che
favorì il sorgere di un fenomeno sociale chiamato samizdat, la diffusione clandestina di
materiale definito illegale dal regime sovietico.
È il 1960 quando Pärt compone il suo primo pezzo orchestrale, Nekrolog. Ancora
studente, fu ampiamente criticato perché «scrissi quel pezzo seguendo la tecnica
dodecafonica, cosa decisamente fuori dal comune a quel tempo e in quel luogo».2 Iniziano
le prime opposizioni e critiche alla sua musica, in contrasto con l’ideale socialista diffuso
nel paese: i circoli alti della cultura musicale sono implacabili per l’utilizzo dell’influsso
della cultura dell’Occidente.
Sono gli anni anche in cui Pärt inizia a scrivere musica con soggetto religioso,
quasi a voler sfidare l’ateismo sovietico: nel 1968 compone il Credo, su testo latino, che,
se da una parte si rivela un successo, dall’altra suscita difficoltà da parte dello stesso
KGB, reputandolo sovversivo. Tuttavia, questa composizione gli diede già la sensazione
di ciò che lui chiamerà un nuovo inizio: i mezzi usati finora non erano sufficienti e
complessi e lo avrebbero costretto a prendere una strada diversa:3 «volevo una linea
musicale che fosse portatrice di un’anima, come quella che esisteva nei canti di epoche
lontane [..]: una monodia assoluta, una nuda voce dalla quale tutto ha origine».4
È in questo momento, nel 1972, che avviene la sua conversione al cristianesimo
ortodosso, in un periodo caratterizzato da un silenzio nel quale sente la necessità di
studiare in maniera più approfondita la polifonia medievale e rinascimentale. «Dovevo
continuare a scrivere solo musica monodica? E che cosa sarebbe successo con una
seconda e una terza voce? Che ne sarebbe stato dell’armonia e della polifonia? Dove
avrebbe potuto nascere una seconda voce?».5 Questi gli interrogativi che lo assillarono e

2 E. RESTAGNO (Ed.), Arvo Pärt allo specchio. Conversazioni, saggi e testimonianze, il Saggiatore, Milano

2004, 29.
3 Cfr. Ivi, 45.
4 Ivi, 46.
5 Ibid.

3
ai quali cercò di trovare risposta in questi anni: voleva sviluppare un nuovo orecchio e
per farlo rinunciò ad ascoltare qualsiasi altro tipo di musica che non fosse gregoriana per
scoprire la sorgente da cui nascono liberamente i suoni. Lesse salmi e provava a scrivere
linee melodiche, tentando di trasformare il testo in musica. Si rese conto che le regole
fredde seguite negli anni precedenti avevano un po' limitato la sua creatività.
Quello che nacque, o rinacque, da questo silenzio, fu uno stile nuovo, di un’altra
qualità ma pur sempre governato da regole, ma nuove. L’introduzione a questo nuovo
periodo della vita di Pärt è una composizione per pianoforte solo, Für Alina, del 1976: il
nuovo stile tintinnabuli è costruito interamente su triadi e scale tonali, dove l'impiego
della voce umana è di rilevante importanza, una via di mezzo tra monodia e polifonia,
frutto degli studi e approfondimenti di questi anni di silenzio e riflessione. Uno stile
essenziale, lontano dalle modernità avanguardiste ma che richiama una semplicità del
passato. È questo l’inizio di una serie di composizioni basate su questo stile e che,
soprattutto in Occidente, ricevono numerosi consensi: Cantus in Memory of Benjamin
Britten, Tabula rasa, Missa Syllabica. Soprattutto quest’ultima può essere l’esempio
dell’inizio di un processo compositivo particolare in Pärt, cioè che la musica è già in
qualche modo presente nei versi o nelle parole alle quali si accosta.
Tuttavia, avere successo in Occidente procurava ostilità e persecuzioni
nell’Unione Sovietica. I funzionari del partito gli fecero capire che era il caso di andar
via dal paese: «le esecuzioni all’estero dei miei lavori erano diventate troppo frequenti e
poiché la prima esecuzione di un componimento senza la presenza dell’autore sarebbe
stata interpretata come un fatto scandaloso, si vedevano costretti a lasciarmi andare».6
Gli eventi che seguirono non fecero altro che confermare questo esito. In breve
tempo Pärt e la famiglia si prepararono a lasciare l’Estonia, anche per fuggire da una
situazione di diffidenza, oppressione, censura diffusa nel paese. La stessa Unione dei
Compositori lo allontanò dalla loro cerchia ufficiale. Grazie all’aiuto di Alfred Schnittke,
convinto estimatore di Arvo, riuscì, a Vienna, a iniziare una collaborazione con la
Universal Edition. Rimase qui con la famiglia per circa un anno e mezzo, ottenendo la
cittadinanza austriaca.

6 E. RESTAGNO, op. cit., 65.

4
2. Fratres, per violino e pianoforte

La versione di Fratres per violino e pianoforte dedicata al violinista Gidon


Kremer risale al 1980. La composizione potrebbe essere suddivisa in nove blocchi, aventi
singolarmente la seguente struttura: un insieme di tre battute di 7/4, 9/4 e 11/4 e una sorta
d’inversione del loro materiale in altre tre battute da 7/4, 9/4, 11/4 (per un totale di sei
misure), più due battute da 6/4 che introducono, collegano e concludono ogni blocco. Le
linee melodiche nel brano sono due e si muovono a distanza di un intervallo di decima.
Al centro fra le due è sempre presente la voce di tintinnabuli, che ripete singolarmente le
note della triade di la minore. Nella volontà di recuperare più il suono della tonalità
anziché la sua grammatica, il compositore si serve in quest’opera di tutte le note della
scala di re minore armonica discendente. Ogni blocco è composto da una precisa
disposizione di intervalli e dalla loro inversione “a specchio”: questo pattern resta
invariato per l’intera composizione sebbene venga ripresentato sempre ad una terza
discendente col procedere delle varie sezioni del brano. L’ultimo blocco ritornerà alla
nota di partenza, ma a distanza di due ottave più in basso. Conformemente al recupero di
Pärt delle forme musicali del passato, è presente durante tutto il brano il suono continuo
di una quinta vuota costruita sul quinto grado della scala di re minore. In questa versione
del brano la struttura di base è mantenuta dal pianoforte, mentre il violino esegue una
parte più liberamente articolata in variazioni ritmiche e melodiche di un certo virtuosismo
tecnico.
Il primo blocco ha una funzione introduttiva, quasi di preludio. È basato su una
melodia del violino in arpeggi, dove all’inizio di ogni quarto compare la nota principale
del sistema di intervalli adoperato per l’intera composizione. Nel microcosmo di questa
introduzione abbiamo la stessa funzione delle dinamiche adoperata nella totalità
strutturale della versione per orchestra d’archi e percussioni. Da subito il brano richiede
dal punto di vista violinistico un’elevata competenza tecnica: in questa sezione di
introduzione la successione rapida degli arpeggi è espressione di un vivace estro
virtuosistico.

5
La tecnica degli arpeggi in apertura di un brano era stata utilizzata da Part già nell’incipit
di If Bach had been a bee keeper… del 1976, composizione precedente di un solo anno la
versione originale di Fratres per orchestra d’archi e percussioni.
Nel secondo blocco il violino non ha un ruolo predominante: esegue nelle prime
tre battute un pedale di quinta vuota, mentre nelle successive tre ripete le note dei
tintinnabuli. È il pianoforte a presentare la successione delle due melodie attraverso lo
schema degli intervalli, con al centro sempre la voce di tintinnabuli. Dopo le consuete
battute di collegamento in 6/4 fra un blocco e l’altro, il terzo presenta una particolare
articolazione, nella parte del violino, delle voci melodiche finora esposte: in una
successione ritmica di quartine di semicrome, ogni seconda nota della prima quartina e
ogni quarta della seconda presentano la prima voce melodica, mentre ogni quarta nota
della prima quartina e ogni seconda nota della seconda presentano la seconda voce
melodica. La prima nota e la terza di ogni quartina eseguono invece la voce dei
tintinnabuli.

Il quarto blocco ripropone come già nell’ introduzione una successione di arpeggi
al violino, che prendono il via dopo cinque quarti di pausa dall’incipit della suddetta
sezione. Ad ogni prima nota di ogni quarto viene esposto il consueto schema di intervalli
su cui è basata la composizione, partendo però in questo caso dalla nota re. Proseguendo,
il quinto blocco articola il suddetto schema in terzine sempre nella parte del violino,
iniziando ancora una volta dalla nota re: qui è la prima croma di ogni terzina a presentare
le note della serie degli intervalli.

6
I bicordi, presentati al violino nel blocco successivo, contengono sia entrambe le linee
melodiche (alla prima croma) che la quinta vuota (alla seconda croma), mentre il
pianoforte procede in maniera lineare continuando a scendere di una terza ogni volta che
espone, ad una nuova sezione, la proposta strutturale del brano.

Nella prima battuta del settimo blocco il violino esegue unicamente la voce di
tintinnabuli, a cui si unisce nella seconda battuta la prima linea melodica, generando così
dei bicordi. Nella terza battuta si aggiunge l’ingresso della seconda linea melodica, in
modo da produrre una successione di accordi del violino.

Il penultimo blocco presenta gli arpeggi dell’accordo di la maggiore alla parte del
violino, articolati secondo uno schema ritmico di ottavi, terzine e sedicesimi nelle prime

7
tre battute; le ultime tre battute invertono i ritmi applicati nelle prime tre, così da avere
sempre le note dell’accordo di la maggiore ma esposte prima in sedicesimi, poi in terzine
e infine in ottavi. In conclusione, tornando al do diesis di partenza dell’introduzione
esposto dalla voce superiore del pianoforte nell’ultimo blocco, il violino, muovendosi in
armonici, presenta in ogni battuta prima le note della prima linea melodica e poi quelle
dei tintinnabuli, riallacciandosi così ogni volta alla battuta successiva.

Il brano si chiude con le consuete battute di 6/4 che completano il ciclo, dove il
violino percuote in pianissimo le corde vuote utilizzando l’archetto dalla parte del legno.

3. L'estrema verità risiede nella riduzione:7Fratres, per orchestra d'archi e percussioni

Composta nel 1977 e dedicata all'amico e collega Eduard Tubin (anche lui, come
Pärt, allievo di Heino Eller), quella per orchestra d'archi e percussioni è la prima di
molteplici versioni, differenti a livello di organico, di Fratres. La differenza di organici
trova la sua ragion d'essere nel fatto che per Arvo Pärt «il più alto valore della musica
risiede al di fuori del suo colore. Uno speciale timbro strumentale è parte della musica,
non è la sua qualità primaria. […] Il segreto deve essere in questo, indipendentemente da
ogni strumento».8
Dopo il periodo di “silenzio creativo” tra gli anni 1968-1976, Arvo Pärt torna a
comporre, con la nuova tecnica dei tintinnabuli, il brano per pianoforte solo Für Alina. È
con Fratres, però, che il nuovo stile compositivo verrà perfezionato. Se in Für Alina la

7 E. RESTAGNO, op. cit., 150.


8 L. BRAUNEISS, Un'introduzione allo stile tintinnabuli in E. RESTAGNO, op. cit., 184.

8
melodia presentava ancora dei caratteri di libertà di movimento, a partire da Fratres, la
struttura delle melodie sarà condizionata da regole definite e rigorose.
Come sostiene Leopold Brauneiss nel saggio Un'introduzione allo stile
tintinnabuli, «il caso non viene attirato nel processo compositivo […], viene invece
convogliato in percorsi controllabili. Grazie alla operatività di precise regole strutturali,
ogni configurazione sonora, per quanto possa essere imprevista, appare inserita nel
tracciato definito da quelle stesse regole. Se ne potrebbe dedurre una visione in senso lato
religiosa: la convinzione in base alla quale tutto ciò che accade per caso sia
profondamente legato a un destino preordinato».9
Nello specifico, Fratres inizia con due battute da 6/4 affidate al pedale di quinta vuota
la/mi, suonate da violoncelli e contrabbassi (ultimi leggii), e alle percussioni (gran cassa
coperta e legnetti), atte a creare un “luogo-silenzio” in cui porsi in osservazione dell'Uno,
in quanto Divinità, come fosse un inizio in medias res, dalla potenza all'atto, un ponte dal
trascendente all'immanente.
Dopo queste due battute d'introduzione si ha il dispiegarsi dello schema strutturale
delle voci nell'intera composizione. Nel brano si possono individuare nove blocchi,
ognuno dei quali è composto dalla successione di tre battute, rispettivamente di 7/4, 9/4,
11/4, ripetuto due volte, la prima caratterizzata da un moto discendente delle parti, e la
seconda da uno ascendente, come fosse una sorta di inversione del primo. Questo schema
è stato matematicamente semplificato dal già citato Leopold Brauneiss come segue:

Il 3 indica un intervallo di terza e le frecce il movimento ascendente o discendente


(freccia in alto, freccia in basso) verso lo stesso intervallo, generando un movimento che
inizia e finisce alla stessa altezza.
Esaminando l'inizio di ogni blocco si può notare un continuo movimento di terze
discendenti (sulla scala di re minore armonica), fino ad arrivare a due ottave (più una
terza) in grave. Questo movimento simboleggia una discesa in sé stessi, «verso il luogo
dell'anima e del corpo, che formano un'entità unita e trasfigurata in cui trovare Dio».10
Una particolarità di questo brano è la presenza di due linee melodiche, distinte e
separate dalla voce tintinnabuli, ma pur sempre due. Guardando al titolo, Fratres, si

9 Ivi, 188.
10 http://quinteparallele.net/2017/02/20/pienezza-creativa-nel-silenzio-arvo-part/ (27. 01. 2019).

9
potrebbe facilmente paragonare queste due voci al significato di fratelli, anzi confratelli,
uniti in un'unica entità dalla voce di tintinnabuli: «non si tratta mai di un 'uno' che si
riferisce a sé stesso, bensì di un 'uno' che è sempre in relazione con il 'molteplice': una
problematica tecnico-compositiva ed estetica fondamentale, che viene risolta nello stile
tintinnabuli in modo assai particolare».11
Per quanto possano coesistere separatamente le varie voci (nel caso di Fratres le
tre voci) ogni suono crea uno spazio in cui abiteranno gli altri suoni, in una pluralità che
non li fonde ma li rende co-occorrenti nello spazio che essi stessi hanno creato. Si disegna
dunque «quella relazione così greca e, al tempo stesso, così intrisa di cultura giudaico-
cristiana, da venire ancora oggi richiamata con la parola originaria: xenodokhia».12
Come sostengono Paul Hillier e Leopold Brauneiss, queste molteplici
individualità unite in una singola confraternita, sono sintetizzabili nella formula 1+1=1:
«un uomo raccoglie dal ciglio della strada un pezzo di vetro gettato via e lo orienta verso
il sole, dando vita all'intero spettro dell'iride nella sua massima forza illuminante.
Potrebbe essere stato Arvo Pärt».13
La ricerca del compositore può essere quindi sintetizzata in un percorso che dalla
molteplicità arriva a un'unità preesistente nella molteplicità stessa, un ricongiungimento
tra uomo e divinità tramite la musica, tra razionale e irrazionale, definito e indefinito.
Come diceva Pärt stesso, è sufficiente suonare bene una sola nota,14 nel senso che ogni
nota è uguale, tutte sono parte dell'Uno, e per questo motivo non ci sono accenti né tactus
ritmici regolari a determinare una percezione scandita dello scorrere del tempo.
Al risuonare delle note di Pärt, si è immersi in una dimensione mistica,
atemporale, cosa a cui non si fa caso e che non accade assolutamente alla lettura di un
così schematico spartito. Ascoltando, suonando o analizzando la musica di Pärt ci si trova
come di fronte a uno specchio che “contiene” dentro di sé anche un prisma (più piccolo,
quasi impercettibile, posto al centro).
A guardarci dentro sembra restituire un’unica immagine, pura e intatta, «iconica».15
Avvicinandosi per osservare meglio ci si accorge del prisma, della scomposizione
(rifrazione) dell’unità nel molteplice. Allo stesso tempo però è sempre ricongiunto,

11 L. BRAUNEISS, op. cit., 158


12 M. La MATINA, L'inscrutabile voce della triade. I tintinnabuli di Arvo Pärt tra filosofia e liturgia in
Doctor virtualis. Rivista di storia della filosofia medievale <
https://riviste.unimi.it/index.php/DoctorVirtualis/article/view/812> (30.01.2019), 274.
13 A. BRUNNER, Un pezzo di vetro sul ciglio della strada in E. RESTAGNO, op. cit., 211.
14 L BRAUNESS, op. cit., 151.
15 Cfr. A. ROSS, Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo, Bompiani, Milano 2018, 834.

10
riportato alla sua unità fondamentale, ottenuta dalla scelta delle note giuste, (vere e
oneste), capaci, sotto un'unica guida (tintinnabuli), di far scorgere simultaneamente
singolarità e molteplicità, di restituire l’immagine sonora di un “caos” definito e
controllato dalla cornice di un principio unificatore, forse divino, mediato dall'umano
compositore, riportato su pentagramma secondo un'ispirazione creativa e compositiva
non più effettivamente e soggettivamente scelta.

4. De profundis, per coro maschile, organo e percussioni

De profundis è un brano del 1980, dedicato al compositore Gottfried von Einem.


Secondo alcune fonti non verificate, la dedica è portavoce della gratitudine che il
compositore estone ebbe nei confronti del collega austriaco: sembra infatti che egli aiutò
Pärt e la moglie Nora – di culto ebraico – a fuggire dall’Unione Sovietica.

4.1. Il testo

Il Salmo 130 (129) è utilizzato, in particolare dalla Chiesa Cristiana Cattolica,


nelle ricorrenze penitenziali e funebri. La doppia numerazione è data dal fatto che il
numero fra parentesi segue la numerazione della bibbia dei LXX, la versione greca, in
uso al tempo di Gesù, che attualmente è il testo approvato e utilizzato dalla Chiesa
Ortodossa, insieme ai vangeli e altri libri del Nuovo Testamento.
Il salmo, per quanto abbia a prima vista un taglio penitenziale, tuttavia riserva al
suo interno la centralità di Dio e della sua opera salvifica, attraverso l’esaltazione della
sua misericordia e redenzione. Il testo della LXX è leggermente diverso da quello che si
è abituati a leggere sulle bibbie odierne: non ha subito molte traduzioni negli anni in
quanto per loro, gli ortodossi, è il vero testo rivelato e pertanto non deve essere soggetto
a cambiamento. Nel caso di questo salmo, le differenze si riscontrano nel verso 4 (ut
timeamus te sostituito da et propter legem tuam) e 6 (magis quam custodes auroram
sostituito da a custodia matutina usque ad noctem), in cui le seconde versioni sono le
originali del testo greco. Va ricordato che dalla bibbia dei LXX si è avuta la Vulgata di
S. Girolamo da cui “discendono” le attuali traduzioni cristiane.

11
Il Salmo si apre con una voce che sale dalle profondità del male e della colpa. L’io
dell’orante si rivolge al Signore dicendo: «A te grido, o Signore». Al centro del secondo
momento c’è l’«io» dell’orante che non si rivolge più al Signore, ma parla di lui: «Io
spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola. L’anima mia attende il Signore più
che le sentinelle l’aurora» (vv. 5-6). Ora fioriscono nel cuore del Salmista pentito l’attesa,
la speranza, la certezza che Dio pronuncerà una parola liberatrice e cancellerà il peccato.
La terza ed ultima tappa nello svolgimento del Salmo si allarga a tutto Israele, al popolo
spesso peccatore e consapevole della necessità della grazia salvifica di Dio (vv. 7-8): la
salvezza personale, prima implorata dall’orante, è ora estesa a tutta la comunità. La fede
del Salmista si innesta nella fede storica del popolo dell’alleanza, «redento» dal Signore
non solo dalle angustie dell’oppressione egiziana, ma anche «da tutte le colpe».16
Questa lettura esegetica cattolica può essere considerata valida anche per la Chiesa
Ortodossa: punti essenziali della loro spiritualità sono la centralità di Dio e la fratellanza
fra gli uomini al fine di costruire il Regno di Dio. Per quanto il commento di Benedetto
XVI poni l’accento anche su una storia di peccato e penitenza, secondo una lettura
ortodossa l’importanza del salmo risiede nell’esaltazione di due caratteristiche di Dio che
sono la misericordia e la redenzione. Nell’ultima parte del salmo, poi, viene alla luce il
tema della fratellanza, molto caro agli ortodossi. Essi, contrariamente alla liturgia
cristiana cattolica che utilizza il salmo in alcuni momenti liturgici, recitano e pregano
questo testo ogni giorno nell’Officio del Vespro quotidiano.

4.2. La musica

Pärt propone la sua elaborazione del Salmo 130 servendosi del seguente organico:
coro maschile (2 bassi e 2 tenori), percussioni (grancassa, tam tam e campana in mi) e
organo.
In termini strutturali, De profundis è diviso in 4 macrosezioni, ognuna
corrispondente all’ingresso di una nuova voce che va ad aggiungersi e a cantare in
contemporanea alle altre: all’inizio viene impostato un dialogo tra tutte le voci ma una
alla volta (sez. I), successivamente due (II) e tre alla volta (III) e infine tutte e quattro
insieme (IV).

16 Cfr. BENEDETTO XVI, Udienza generale, 19 ottobre 2005 <http://w2.vatican.va/content/benedict-

xvi/it/audiences/2005/documents/hf_ben-xvi_aud_20051019.html> (15.01.2019).

12
I Sezione

De profundis clamavi ad te, Domine; (Basso II)


Domine, exaudi vocem meam. (Tenore I)
Fiant aures tuae intendentes (Basso I)
in vocem deprecationis meae. (Tenore II)

II Sezione

Si iniquitates observaveris, Domine, (Basso I/II)


Domine, quis sustinebit? (Tenore I/II)
Quia apud te propitiatio est, (Tenore II + Basso II)
et propter legem tuam sustinui te Domine (Tenore I + Basso I)

III Sezione

Sustinuit anima mea in verbo eius (Tenore II + Basso I/II)


speravit anima mea in Domino (Tenore I/II + Basso I)
a custodia matutina usque ad noctem (Tenore I/II + Basso II)
speret Israel in Domino (Tenore I + Basso I/II)

13
IV Sezione (4 voci)

quia apud Dominum misericordia,


et copiosa apud eum redemptio.
Et ipse redimet Israel
ex omnibus iniquitatibus eius.

È evidente l’aderenza della musica di Part al percorso spirituale che si delinea nel
salmo: la distesa e quasi faticosa pulsazione, il sommarsi delle voci, la progressiva
apertura verso solenni ma luminose armonie e il crescente excursus dinamico non sono
altro che la rappresentazione sonora dei tre momenti del salmo (la voce dal profondo, il
momento dell’Io e il coro di Israele). Così come il testo del salmo tende a dispiegarsi
verso la promessa di salvezza, allo stesso modo la musica prende avvio da dinamiche in
piano, raggiunge il parossismo sulla parola misericordia (b.68) e va a dissolversi.

L’assoluta centralità del testo è inoltre supportata dal fatto che Part non stabilisce
un’unità di tempo definita. Così come nel canto gregoriano si osservava il motto ne
varietur, cioè il proporsi di non alterare quanto scritto per non delegittimarne la sacralità,
anche qui ogni parola ha il suo tempo: i movimenti melodici dipendono strettamente dalla
scansione metrica e dal numero di sillabe, generando un testo che ha intrinsecamente il

14
respiro della parola. Per lo stesso principio anche le pause si rifanno alla scansione
sillabica delle parole che le precedono, come se in esse risuonasse l’eco delle parole
stesse.

Le entrate e le direzionalità delle voci seguono sempre una logica ben precisa: è
un movimento di tipo ascensionale, che parte de profundis e conosce una progressiva
elevazione con dilatazioni o contrazioni verticali (di registro) e orizzontali (salite e
discese melodiche per grado congiunto).
Le percussioni sono anch’esse collocate secondo uno schema ben definito: il tam
tam risuona nel silenzio che divide in ogni versetto i primi due emistichi (fig. 1), la
grancassa sostiene sempre i secondi emistichi di ogni sezione (ivi) mentre la campana
rintocca alla fine di ognuna delle quattro sezioni (fig. 2).

Figura 1

Figura 2

15
L’organo (fig. 3) ha invece la funzione di tintinnabuli: si percepisce in maniera
continua un tappeto costituito da una triade spezzata di mi minore, sul quale si
sovrappongono linee melodiche in contrappunto alle linee vocali e che ne ricalcano
precisamente la scansione. La gravità del pedale dell’organo scompare ogni qual volta si
presenta l’incessante battere della grancassa (fig. 4).

Figura 3

Figura 4

La composizione giunge alla conclusione con un ritorno ad un’atmosfera più


mistica e distesa (mp). Si chiude quindi su un intervallo di quinta giusta, diviso tra la
campana e l’organo, che difettando della terza ci lascia immersi in una realtà sospesa, in
attesa del giorno in cui si compirà la promessa salvifica.

16
5. De libero aut servo arbitrio: considerazioni sulla musica di Arvo Pärt

La religione influenza tutto. Non solo la musica, proprio tutto.


(A. Pärt)

Gli anni dal 1968 al 1976 sono cruciali per la vita del compositore Arvo Pärt: alla
svolta artistica culminata nella creazione di Für Alina e del Cantus sotto il segno del
nuovo stile tintinnabuli, corrisponde un’altra conversione, di natura spirituale, dal
luteranesimo alla fede ortodossa, abbracciata nel 1972.
Se da un lato può apparire evidente il parallelismo tra la conversione religiosa e
quella artistica, nondimeno l’indagine sugli effetti derivati da questi cambiamenti può
aprire lo spazio a riflessioni meno patenti e immediate.
Il passaggio dal protestantesimo all’ortodossia infatti porta con sé un cambio di
prospettiva allo stesso tempo antropologica e culturale. La visione sull’uomo presenta
invero delle profonde divergenze all’interno delle due confessioni religiose: nella dottrina
luterana l’uomo è per sua natura un essere corrotto la cui salvazione, sola fide, è affidata
alla discrezione di Dio. Nell’ortodossia è invece radicata la convinzione che l’uomo,
mondato dalla schiavitù del peccato, può acquisire natura divina attraverso un processo
di theosis. Tale concetto risale già al VI-VII sec. dopo Cristo, in particolare con il pensiero
del teologo bizantino Massimo il Confessore; quest’ultimo — la cui dottrina è stata
ripresa anche dall’occidentale e posteriore Bernardo di Chiaravalle — è tra i primi
pensatori orientali a parlare di deificatio17 come termine ultimo della vita cristiana.
Diversa è anche la concezione del peccato: se per Lutero il peccato originale
rappresenta la corruzione definitiva della natura umana e del suo arbitrio — non più libero
ma servo — nel magistero ortodosso esso rappresenta il «momento del disordine, della
decomposizione e della rovina della vita spirituale. L’anima perde la propria unità
sostanziale, la coscienza della propria natura creatrice e si perde nella bufera caotica dei
suoi stessi umori, cessando di esserne la sostanza e l’essenza».18
Nel pensiero orientale, il peccato — nel greco evangelico ἁμαρτία (da ἁμαρτάνω
= non cogliere nel segno, fallire il colpo) — si attua quindi in un solo momento caotico,

17E. GILSON, La théologie mystique de Saint Bernard, Librairie Philosophique, Parigi 1969, 176.
18P. FLORENSKIJ, La colonna e il fondamento della verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere,
San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, 43.

17
il quale, se da un lato non è rivelatore della vera natura dell’uomo, dall’altro non preclude
il ricongiungersi della volontà umana a quella divina.
In che modo questi dati teologici e dottrinali possono intersecarsi con l’attività
compositiva di Arvo Pärt? Che ruolo svolge l’arbitrio nel modus componendi dell’artista
estone? È possibile operare un parallelismo tra la sua dottrina artistica e quella spirituale?
Per rispondere a queste domande è necessario rifuggire da qualsivoglia astrattismo e
dall’illusione di fornire delle risposte universalmente valide che poco si confanno
all’attività eterogenea e non sempre regolare di un artista o compositore. Sarà inoltre
opportuno ancorare tale discorso all’asse diacronico su cui si distendono lo sviluppo e
l’evoluzione del linguaggio musicale di Pärt.
Gli anni “protestanti” del compositore estone coincidono infatti con il periodo
dodecafonico, con la sperimentazione seriale di stampo weberniano e con l’adozione
della tecnica del collage musicale e dell’aleatorietà (Collage über B-A-C-H 1964, Pro
und Contra 1967, Credo 1968); approcci compositivi, questi ultimi, che, da un punto di
vista storiografico, hanno ridimensionato il ruolo dell’artista nei suoi aspetti creativi e
originali, e hanno preluso alla successiva “morte dell’autore”. Ingabbiato negli
schematismi del razionalismo scientifico propri della tecnica seriale, Arvo Pärt afferma
di essersi scontrato con un’«atmosfera insopportabile come di filo spinato» e di aver perso
«la mia bussola interiore: non sapevo più nemmeno cosa potessero significare un
intervallo o una tonalità».19
Se è impossibile, o quanto meno poco probabile, incontrare tale genere di citazioni
per quanto riguarda il corrispettivo piano religioso, si può avanzare l’ipotesi che una
sensazione simile sia stata vissuta dal compositore anche in relazione al mindset dottrinale
del luteranesimo. È infatti centrale, nell’estetica pärtiana, la riflessione musicale circa il
peccato: oltre al profluvio di composizioni ricavate dai salmi penitenziali, il senso del
peccato riveste un ruolo fondante nella concezione stessa della costruzione sonora.
Secondo le parole dello stesso compositore: «Le mie melodie sono peccati, le voci
tintinnabuli il perdono dei peccati».20 Questa frase, la cui consistenza aforistica non
permette di enucleare meglio il concetto espresso, può però traghettare l’ascoltatore verso
un ulteriore aspetto importante della concezione artistica del compositore estone: il ruolo
dell’individuo e, in particolare, dell’uomo-Pärt in relazione alle sue stesse creazioni

19 https://www.arvopart.ee/en/arvo-part/biography/ (24.01.2019).
20 http://quinteparallele.net/2017/02/20/pienezza-creativa-nel-silenzio-arvo-part/ (28.01.2019).

18
sonore.
È impossibile scindere la musica di Pärt dalla sua stessa persona: essa sgorga infatti da
un humus composto di riflessioni, letture, dottrine che impregnano la vita del
compositore. Forse sulla scorta di Beethoven, anche Arvo Pärt afferma che per sentire la
sua musica è necessario dapprima leggere e meditare i testi — soprattutto la letteratura
dei Padri del Deserto — che sono stati d’ispirazione per la creazione di una sua
composizione. 
Se è vero che ciò non si risolve in un mero solipsismo artistico, tuttavia
bisogna tener conto di questo dato individuale in modo tale da ovviare a una lettura
distorta delle composizioni del maestro estone, basata solo sull’aspetto fenomenico del
sound. 

L’effetto sonoro finale è sì fondamentale nella architettura musicale pärtiana, nondimeno
esso è solo l’ultimo stadio di un lungo processo di assimilazione del testo musicato che
inizia con la meditazione e lo studio della parola o, nella maggior parte dei casi, della
Parola. Il verbum Dei, la Scrittura viene definita da Pärt in questo modo:

[la Parola] è Tutto, essa nutre ogni cosa, è la prima fonte di ogni cosa. Io faccio fatica a scrivere
musica, ed è tanto più difficile quanto più mi allontano dalla Parola; a volte, mi sembra meglio
cantare su una sola nota per salvare le parole e non cadere nella volontà propria.21

Che ruolo gioca l’arbitrio, la libertà dell’individuo nella costruzione del mondo
sonoro di Arvo Pärt? Alla luce della citazione menzionata, esso sembrerebbe mancare del
tutto. Per provare a capire il rapporto che lega l’artista con la sua arte, non è inopportuno
ricollegarsi all’estetica che sovrintende un altro tipo di musica, sovente associata a quella
del compositore estone: il canto liturgico.
Nel gregoriano — così come anche nel canto ortodosso — la musica fiorisce dal
testo, sia nel senso semantico, sia nel senso sintattico.22 Se è possibile affermare che mai
— neanche con Monteverdi — la musica si sia accontentata del ruolo di “serva
dell’orazione”, ciò risulta vero anche per il canto gregoriano. Dal momento che esso
funge da amplificazione rituale, è scorretto affermare che il cantus planus sia legato al
testo in un rapporto di subordinazione; esso equivarrebbe al dire che nelle icone ortodosse
il colore sia sottomesso alla figura che viene campita.

21 https://www.monasterodibose.it/comunita/notizie/vita-comunitaria/9855-la-mia-musica-e-quasi-un-
mattutino-monastico (21.01.2019)
22 Cfr. P. FERRETTI osb, Estetica gregoriana ossia Trattato delle forme musicali del canto gregoriano,

PIMS, Roma 1934.

19
Il ruolo della costruzione sonora nel gregoriano è, mutatis mutandis, affine a
quello di Arvo Pärt: la musica nasce dal testo, di cui essa costituisce l’infiorescenza. La
volontà dell’artista, pertanto, è sì secondaria rispetto all’arbitrio divino, tuttavia ciò
avviene con l’intento di abscondere (Cfr. Col 3,3) la libertà personale per rimettersi ad
una libertà altra e più grande.
Ciò non deve far pensare ad uno sterile automatismo nella trasmissione del testo
alla musica: in molti casi (Miserere, De profundis, Magnificat), Arvo Pärt modella il
flusso melodico in base alla propria interiorizzazione della parola. Da ciò derivano le
numerose ripetizioni, sottolineature musicali e accentuazioni che si soffermano spesso
sulle singole cellule testuali e che sono testimonianza diretta dell’operato dell’individuo-
artista.
Per concludere, si può affermare che in Pärt il periodo dello strutturalismo
razionalista delle sperimentazioni seriali sia stato dominato dal servo arbitrio, mentre —
una volta appoggiato ad una nuova struttura, ossia quella della parola liturgica — il
compositore estone abbia raggiunto il grado più fecondo della propria libertà individuale:
quella che, come ricorda San Tommaso nella Summa, non è né la libertà negativa da
coazione interna o esterna, né la libertà positiva dell’autodeterminazione, bensì la libertà
dal peccato.
Citando S. Giovanni Crisostomo, maestro della dottrina ortodossa, per Arvo Pärt:

Tutto dipende da Dio, ma non in modo tale che il nostro libero arbitrio sia ostacolato... Spetta sia
a noi che a lui. Per prima cosa dobbiamo essere noi a scegliere il bene, e quando abbiamo scelto,
sarà lui a fare la propria parte. Egli non anticipa i nostri atti di volontà, affinché il nostro libero
arbitrio non subisca umiliazione, ma quando abbiamo scelto, allora egli offre un grande aiuto.

6. Arvo Pärt fra moderno e postmoderno

In ambito accademico è tutt’ora vivo il dibattito fra ciò che può essere considerato
in termini storici e filosofici il moderno e ciò che dovrebbe esserne la prosecuzione,
ovvero il postmoderno. Il termine moderno”indica chiaramente, a primo impatto, una
rottura con ciò che lo precede: è secondo Elio Franzini l’interruzione della «ciclicità del
classico»,23 dal momento in cui «Faust ha compreso che non può essere più classico:

23 E. FRANZINI, Moderno e postmoderno. Un bilancio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018, 181.

20
scopre il diavolo, la scissione e rivela il moderno come rinnovata, irraggiungibile e
incompiuta istanza simbolica».24 Baudelaire aveva descritto la modernità come «il
transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell'arte, di cui l'altra metà è l'eterno e
l'immutabile».25 Ne risulterebbe nell’arte dunque un atteggiamento “impegnato”, opposto
al disimpegno attribuito alla liquidità dell’epoca postmoderna, così definita da Baumann,
dominata piuttosto dalla frammentazione e dal pastiche fra antico e moderno. In questa
commistione l’assorbimento del passato del postmoderno resta secondo Griffiths
ambiguo, tanto da determinarne «ambigua anche l’autenticità della musica, la sua
realtà».26 Il termine postmoderno fu usato per la prima volta da Jean-François Lyotard
nell'opera La Condition postmoderne: rapport sur le savoir pubblicata nel 1979: gli anni
in cui emergono tali riflessioni sono gli stessi in cui viene internazionalmente riconosciuto
e acclamato lo stile tintinnabuli di Pärt, che si era affermato dopo un lungo periodo di
silenzio e sperimentazione da parte del compositore. Che posizione occuperebbe allora la
musica di Pärt, se volessimo considerarla in relazione ai dibattiti accademici che
parallelamente ad essa, dal punto di vista cronologico, dominavano in quegli anni? Lungi
da voler considerare la dialettica fra moderno e postmoderno in un’ottica pericolosamente
riduttiva, che riterrebbe il primo unicamente come «l’età della ragione forte [rispetto al]
pensiero decostruttivo privo di fondamenti»27 del secondo, tenteremo di rispondere al
quesito che abbiamo posto.
In un articolo del musicologo Benjamin Skipp presentato sulla rivista Tempo del
2009 è riportata un’interessante citazione di Pärt estratta da una sua intervista che risale
al 1968, pubblicata sulla rivista sovietica Sirp ja Vasar:

Non sono sicuro possa esserci progresso nell’arte… molta arte del passato mi sembra più
contemporanea di oggi. Come lo spieghiamo? Il segreto della contemporaneità (dell’arte del
passato) risiede in questa questione: quanto a fondo il compositore ha percepito non il suo
stesso presente, ma la totalità della vita, le sue preoccupazioni, gioie e misteri? L’arte deve
trattare questioni eterne, non solo discernere i problemi di oggi.28

24 Ibid.
25 http://www.treccani.it/enciclopedia/moderno-e-postmoderno_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/
(22.01.2019).
26 P. GRIFFITHS, La musica del Novecento, Piccola Biblioteca Einaudi. Mappe, Torino 2014, 253.
27 Cfr. E. FRANZINI, op. cit., 180.
28 B. SKIPP, Out of Place in the 20th Century: Thoughts on Arvo Pärt's Tintinnabuli Style in Tempo vol. 63,

2009, 249, 3-11, 4 (traduzione d’autore).

21
La dichiarazione rilasciata da Pärt è emblematica per diversi aspetti: innanzitutto
va contestualizzata in riferimento alla biografia del compositore. Il 1968 è proprio l’anno
in cui inizia il lungo periodo di silenzio compositivo di Pärt che separa la sua prima
produzione, strettamente legata allo studio e utilizzo della dodecafonia e atonalità,
storicamente moderne, dalla nascita dello stile tintinnabuli. La definizione di Pärt
secondo cui il fulcro dell’arte non debba più essere la ricerca del progresso è
innegabilmente un allontanamento da un atteggiamento moderno, ma non basta, d’altra
parte, far riferimento al suo sguardo in retrospettiva alle musiche del passato per
consegnarlo automaticamente alla categoria di postmoderno. Uno dei caratteri considerati
tipici del postmoderno, a livello musicale, è sicuramente il citazionismo:29 Skipp rileva
però molto chiaramente che nella conformazione dello stile tintinnabuli c’è invece
un’assenza di «citazioni musicali»30 da parte del compositore. Del resto, il bisogno di
eternità espresso da Pärt rappresenterebbe un valore e un impegno in disaccordo con la
liquidità postmoderna, e ipoteticamente più vicino al concetto di arte che collegherebbe
contingenza e trascendenza espresso da Baudelaire in riferimento al moderno, che
abbiamo precedentemente riportato. Come risolviamo questa contraddizione? Risulta a
questo punto già evidente la difficoltà di collocazione di una scelta musicale come questa
all’interno di ciò che all’apparenza potremmo pensare essere il moderno e il postmoderno,
ovvero due categorie nettamente distinte.
Per lo studioso David Clarke lo stile tintinnabuli, con il suo rifiuto dell’atonalità
e di altre complessità moderniste diventa come un chiostro in cui il compositore stesso si
immerge, contro il conflitto, la confusione e frammentazione delle condizioni sociali del
mondo esterno.31 È davvero possibile immaginare dunque una scelta artistica che sia
quella di un isolamento quasi ascetico - come emerge dall’immagine proposta da Clarke,
laddove il chiostro è visibile metafora del credo religioso ortodosso fermamente espresso
dall’artista in quanto «influenza di ogni cosa»32 – nei confronti delle problematiche della
contemporaneità? Risulterebbe utopico immaginare davvero una realtà musicale astratta
ed estranea dall’epoca stessa che l’ha partorita. Tuttavia, la scelta estetica dei tintinnabuli
di Pärt è innegabilmente quella di una semplicità contro il molteplice, una “riduzione
all’uno” del tutto conforme all’ottica religiosa del compositore, ma che potrebbe essere

29 Cfr. E. FRANZINI, op. cit., 174.


30 Cfr. B. SKIPP, op. cit., 7.
31 Cfr. D. CLARKE, Fratres in Music and Letters, vol. 75, November 1994, 652-658 (traduzione d’autore).
32 J. MCCARTHY, An interview with Arvo Part in The Musical Times, vol. 130, March 1989, 1753, 130-133,

132.

22
metafora stessa della posizione della musica dell’autore all’interno della sua epoca, se
condividessimo il pensiero di alcuni studiosi come Benjamin Skipp. Egli infatti sostiene
che lo stile tintinnabuli sarebbe «una promessa di liberazione dalla confusa pluralità che
caratterizza il postmoderno»:33 un vero e proprio atto di matematica semplificazione della
complessità del reale. Ma questa “confusa pluralità” è davvero caratteristica sociale che
è apparsa soltanto nel postmoderno? Franzini rimarca che «anche nella galassia moderna
sono presenti il senso di debolezza e multiversità del sapere, oltre che molteplici angoli
oscuri [e che] d’altra parte, neppure il postmoderno può essere liquidato ideologicamente
come un trionfo della non-ragione o come un rifiuto categorico delle tradizioni della
modernità».34 Alla luce di questa definizione, è possibile riconfigurare la dialettica tra
moderno e postmoderno, per superare il presunto antagonismo tra i due. Più che essere
d’accordo con la possibile interpretazione della logica non-narrativa del discorso
musicale di Pärt in chiave di una partecipazione ad una corrente di minimalismo il quale,
come sostenuto da Keith Potter, sarebbe «il maggiore antidoto al modernismo»;35 più che
fare affidamento all’immagine di uno spazio creativo del compositore separato dalla
realtà come un «chiostro in cui immergersi contro il conflitto»,36 preferiamo affiancarci
alla visione di Franzini che vede i due termini, moderno e postmoderno, «resi inseparabili
dalla storia che ne ha visto la genesi al suo orizzonte».37 Pärt , compositore del suo tempo,
non potrebbe essere quindi avulso da questa logica: se il moderno «nasce con la domanda
su come far convivere la complessità e la molteplicità di punti di vista diversi»,38 e il
postmoderno si presenta come la naturale conseguenza a ciò, ovvero «la consapevolezza
che una legittimazione sistematica delle differenze richiede nuovi modelli e mobili
apparati categoriali»,39 comprendiamo adesso che le apparenti contraddizioni che ci sono
sembrate emergere dalle dichiarazioni di Pärt sulla sua stessa musica nel 1968 avrebbero
avuto motivo d’essere solo se avessimo preso in considerazione i due termini come
categorie opposte. Unire invece moderno e postmoderno uscendo dalla «moda che li ha
visti contrapposti»40 chiarificherebbe in definitiva uno stile in cui conviva il riferimento

33 B. SKIPP, The minimalism of Arvo Pärt: an ‘antidote’ to modernism and multiplicity? in A. SHENTON,
The Cambridge Companion to Arvo Part, Cambridge University Press, USA 2012, 159-176, 196.
34 E. FRANZINI, op. cit., 180.
35 B. SKIPP, The minimalism of Arvo Pärt, 161.
36 B. SKIPP, Out of Place in the 20th Century, 9.
37 E. FRANZINI, op. cit., 191.
38 Ibid.
39 Ibid.
40 Ivi, 182.

23
al passato ma senza citazionismo e sia presente una proposta di valori nell’epoca
dell’esteticità diffusa, delle apparenze e dello sradicamento.

24
Bibliografia

BENEDETTO XVI, Udienza generale, 19 ottobre 2005


<http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2005/documents/hf_ben-
xvi_aud_20051019.html>

BRAUNEISS L., Un'introduzione allo stile tintinnabuli in RESTAGNO E. (Ed.), Arvo Pärt
allo specchio. Conversazioni, saggi e testimonianze, il Saggiatore, Milano 2004

BRUNNER A., Un pezzo di vetro sul ciglio della strada in RESTAGNO E. (Ed.), Arvo Pärt
allo specchio. Conversazioni, saggi e testimonianze, il Saggiatore, Milano 2004

CLARKE C., Fratres in Music and Letters, vol. 75, November 1994, 652-658

FERRETTI P. osb, Estetica gregoriana ossia Trattato delle forme musicali del canto
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dodici lettere, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010

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2018

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La MATINA M., L'inscrutabile voce della triade. I tintinnabuli di Arvo Pärt tra filosofia e
liturgia in Doctor virtualis. Rivista di storia della filosofia medievale
<https://riviste.unimi.it/index.php/DoctorVirtualis/article/view/812>

MCCARTHY J., An interview with Arvo Part in The Musical Times, vol. 130, March 1989,
1753, 130-133

RESTAGNO E. (Ed.), Arvo Pärt allo specchio. Conversazioni, saggi e testimonianze, il


Saggiatore, Milano 2004

ROSS A., Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo, Bompiani, Milano 2018

SKIPP B., Out of Place in the 20th Century: Thoughts on Arvo Pärt's Tintinnabuli Style in
Tempo vol. 63, 2009, 249, 3-11

— The minimalism of Arvo Pärt: an ‘antidote’ to modernism and multiplicity? in


SHENTON A., The Cambridge Companion to Arvo Part, Cambridge University
Press, USA 2012, 159-176

25
Sitografia

https://www.lastampa.it/2017/09/26/vaticaninsider/il-compositore-arvo-prt-tra-i-
vincitori-del-premio-ratzinger-mK91H5PdyXg6BBQqSNsrsO/pagina.html

http://quinteparallele.net/2017/02/20/pienezza-creativa-nel-silenzio-arvo-part/

https://www.arvopart.ee/en/arvo-part/biography/

http://quinteparallele.net/2017/02/20/pienezza-creativa-nel-silenzio-arvo-part/

https://www.monasterodibose.it/comunita/notizie/vita-comunitaria/9855-la-mia-
musica-e-quasi-un-mattutino-monastico

http://www.treccani.it/enciclopedia/moderno-e-postmoderno_%28Enciclopedia-
del-Novecento%29/

26
Indice

1. Genesi di uno stile ....................................................................................................... 2

2. Fratres, per violino e pianoforte ................................................................................ 5

3. L'estrema verità risiede nella riduzione:Fratres, per orchestra d'archi e percussioni


.......................................................................................................................................... 8

4. De profundis, per coro maschile, organo e percussioni......................................... 11

4.1. Il testo .................................................................................................................. 11

4.2. La musica ............................................................................................................. 12

5. De libero aut servo arbitrio: considerazioni sulla musica di Arvo Pärt ................ 17

6. Arvo Pärt fra moderno e postmoderno .................................................................. 20

Bibliografia .................................................................................................................... 25

Sitografia ....................................................................................................................... 26

Indice.............................................................................................................................. 27

27

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