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n.s. VII
COMITATO SCIENTIFICO
METODO E PASSIONE
ATTI DELL’INCONTRO DI STUDI
IN ONORE DI GIUSEPPINA BASTA DONZELLI
(CATANIA, 11-12 APRILE 2016)
a cura di
PAOLO B. CIPOLLA
congetture non sempre sono affidabili5; talora le congetture si trovano sepolte in sedi
per così dire ‘stravaganti’: in annotationes ad edizioni di altri autori sprovviste di
indici adeguati, in recensioni pubblicate anonimamente delle quali non è sempre
agevole identificare l’autore, quando non si tratti di congetture mai pubblicate, ma
annotate in oris librorum, in schede manoscritte e taccuini, affidate a lettere o
addirittura a semplici conversazioni. Per limitarsi ad alcuni esempi, le ricerche di
Martin Sicherl ci hanno costretto a sottrarre a Marco Musuro (1475 ca.-1517) le
congetture presenti nell’editio princeps euripidea del 15036, mentre per converso
numerose congetture sono state ingiustamente sottratte alla paternità di Friederich
Heinrich Bothe (1771-1855), perché relegate nelle ‘Kritische Anmerkungen’ accluse
alla difficilmente accessibile traduzione tedesca delle tragedie euripidee pubblicata
in più volumi da Bothe fra il 1800 e il 18037. Il lavoro di scavo, quindi, in questa
direzione appare necessario, se non si vuole correre il rischio di fare la stessa figura
di Walther Abel, che nel sottoporre a Paul Maas una sua bella congettura al papiro
fiorentino della Chioma di Berenice si vide rispondere laconicamente: «Sie sind der
Neunte»8.
A questa attività che esige, certo, viscere calcenteriche, ma è in fondo di carattere
più banausico, ne va affiancata un’altra che coinvolge più sofisticate competenze e
richiede capacità di intelligenza e di penetrazione: lo sforzo di guadagnare le moti-
vazioni che hanno prodotto i singoli interventi testuali per testarne la validità. Chi
abbia un minimo di familiarità con i grandi filologi del passato sa bene quanto essi
siano spesso avari di spiegazioni. È proverbiale la spartana brevità delle anno-
tazioni di Richard Porson (1759-1808), confinate quasi esclusivamente alla deluci-
5
È il caso ad esempio delle pur sempre utili appendices coniecturas minus probabiles continentes
compilate da Nikolaus Wecklein per l’edizione euripidea teubneriana iniziata da Rudolf Prinz e
ultimata da Wecklein (1878-1902) o dell’appendix acclusa all’edizione eschilea del 1885. Si
leggano le parole di Gow 1952, I, x: «Users of Vitelli and Wecklein’s Aeschylus or of Prinz and
Wecklein’s Euripides will be familiar with their appendixes of coniecturarum incertiorum, and
have probably been exasperated by the constant difficulty of discovering where the conjectures
were made and by what arguments they were supported». Su questo versante, per Eschilo non
posso essere disconosciuti i meriti dell’edizione teubneriana di M.L. West (Stutgardiae et Lipsiae
1990).
6
Cf. Sicherl 1975.
7
Bothe 1800-1803.
8
Cf. Abel 1981, 392.
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Per una bibliografia di Peter Elmsley
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Giacomo Mancuso
Hermann (1772-1848), il quale aveva lamentato la maniera sibillina con cui Porson
si era espresso nel 1797 a proposito del v. 343 dell’Ecuba, come se a tutti dovesse
essere chiaro ciò che a lui risultava evidente: «Quid velim, melius fortasse
intelligetur, si dicam paucissimos apud Tragicos versus occurrere similes Ionis
initio»13. Certo anche Hermann non fu da meno14, e nella direzione da me delineata
si muove il bel contributo con cui Giuseppina Basta Donzelli partecipò al convegno
trentino su ‘Metrica ed ecdotica eschilea’ nel 2002, volto a ‘contestualizzare’ i
contributi hermanniani al testo delle Coefore15. Percorso di indagine che ha avuto un
fecondo sviluppo nel pregevole volume del 2006 in cui Enrico Medda ha analizzato
l’approccio di Hermann all’Agamennone eschileo 16 . Tale impostazione si ritrova
anche in alcuni recenti lavori volti a scandagliare gli incunaboli tardo-settecenteschi
e ottocenteschi della moderna scienza metrica (Richard Bentley [1662-1742] era un
genio e come tale fu largamente in anticipo sui suoi contemporanei 17 ): penso al
recente volume (2011) di Andrea Tessier 18 sul trattamento dei versi lirici nella
filologia tedesca d’inizio Ottocento, fra Hermann e August Böckh (1785-1867), che
– mi pare – trasferisce alla metrica una linea di indagine inaugurata da Giorgio
Pasquali e magistralmente sviluppata da Timpanaro nella giustamente celebre
Genesi del metodo del Lachmann19. Non va, inoltre, taciuto che già nel 1982 Cesare
Questa aveva inaugurato tale filone di ricerca in metricis rivolgendo la sua
attenzione al cosiddetto verso reiziano20.
13
Cf. Porson 1797, 23 ad v. 347 (= 343). In particolare Hermann lamentava il rifiuto da parte di
Porson di argomentare le cause che stavano alla base delle sue osservazioni, cf. Hermann 1800,
iii: «Ferebatur enim multa, quae ad metrorum rationem spectarent, adnotasse […]. Atque etsi
quaedam, quae ad hanc partem antiquitatis pertinent, observavit Porsonus, placuit tamen ei haec
pro auctoritate imperiosius, quam pro critici officio explicatius exponere», e soprattutto 108:
«Nimirum vere quidem monuit Porsonus, ἔμπαλιν numeros habere elegantiores, sed num, quare
ita esset, tam difficile erat eruere, si vellet operam dare? Nam consulto se caussam, ut inventu
facillimam, praeteriisse, non persuaserit nobis, qui eum in rebus omnibus, quae ad numerorum
explicationem pertinent, idoneis rationibus destitui videamus». Sulla questione è d’obbligo il
rimando a Medda 2010, 228-37.
14
Cf. Basta Donzelli 2004, 101: «È innegabile che lo stile di H.[ermann] appare spesso di tipo
oracolare»; se ne lamentava già Elmsley (1813: #21, 200): «We […] have frequent occasion to
complain both of his silence, and of the Spartan brevity with which he speaks, when he thinks
proper to open his lips». A parziale discolpa di Hermann va rilevato che, come Wilamowitz (1907
[1889], 237) non ignorava, le edizioni dei tragici (soprattutto le prime) erano nate per la necessità
pratica di avere a disposizione dei testi per i corsi universitari e con ogni verisimiglianza esse
venivano integrate da quanto il Maestro aggiungeva viva voce; cf. Hermann 1810, iii: «Quum
Euripidis aliquam fabulam in publicis meis scholis interpretari constituissem, neque invenirem
editionem, quae et exiguo pretio parabilis esset, nec textum haberet a criticis aut nimis, aut minus,
quam par videretur, mutatum: ipse animum adieci ad edendam aliquam huius poetae tragoediam».
15
Basta Donzelli 2004.
16
Cf. Medda 2006, 7 n. 8.
17
Cf. Bywater 1919, 16: «Bentley, in fact, was constantly in advance of his age»; per una
valutazione recente del Bentley metricista, cf. Haugen 2011, 160 ss.
18
Tessier 2011.
19
Timpanaro 2004 (1985).
20
Questa 1982. Friedrich Wolfgang Reiz (1733-90) fu, com’è noto, maestro di Hermann a Lipsia.
Da lui Hermann imparò ad apprezzare la grandezza di Bentley: numerose sono negli scritti
hermanniani le attestazioni di pietas del geniale allievo nei confronti del maestro, cf. Questa
1982, 10-1 n. 4; Medda 2006, 11-2 e passim.
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Per una bibliografia di Peter Elmsley
Accade però spesso che congetture e interventi testuali siano oggetto da parte
degli specialisti di una valutazione esclusivamente tecnica che si limita a legiferare
sulla loro ammissibilità, trascurando di indagare le motivazioni profonde che le
hanno prodotte. E tuttavia, fermarsi a riflettere può essere importante: ricostruire il
percorso che ha portato un grande filologo del passato ad effettuare una determinata
scelta, anche se tale scelta si riveli allo stato attuale della ricerca non più
condivisibile, può spalancare dinanzi ai nostri occhi inaspettati scenari che gettano
luce sugli snodi evolutivi della nostra disciplina. Ignorare, per scelta deliberata,
malcelata sufficienza o semplice ignoranza, quanto è stato fatto e detto dai giganti
delle nostre discipline fra il Cinquecento e l’Ottocento può farci cadere in un circolo
vizioso con il rischio correlato di riscoprire, magari formulandolo in maniera
diversa, ciò che era già noto o – cosa ancora peggiore – di riprodurre gli errori del
passato: insomma, l’esatto contrario di ciò che dovrebbe caratterizzare qualsiasi
disciplina che aspiri a definirsi in qualche misura scientifica. Le congetture sono in
fin dei conti un prodotto dell’attività umana; ciò significa che dietro ogni congettura
si cela un uomo. Di qui la necessità di ‘storicizzare’ le congetture, restituirle cioè al
loro contesto di produzione21. Tale operazione può essere esperita su due livelli.
Bisogna in primo luogo indagare lo ‘stato dell’arte’. Vale a dire investigare la
maniera come un filologo del passato abbia acquisito le proprie cognizioni storico-
letterarie, linguistiche e metriche. Qual era il sistema scolastico e universitario
dell’epoca, quali i lessici, i manuali, i repertori a disposizione, quali i libri e le
edizioni consultati e posseduti. In una lettera, tuttora inedita, a Elmsley del 10
ottobre 1820 22 , Hermann, nel sottolineare i progressi compiuti dagli studi
grammaticali negli ultimi trent’anni, non manca di rilevare come molto altro resti
ancora da fare. Hermann ha senz’altro in mente i propri lavori 23 , ma anche la
pubblicazione nel 1807 della Ausführliche griechische Grammatik di August
21
Sottoscrivo, quindi, in pieno le parole di Citti 2006b, 21: «Anche le congetture non sono corpi in
movimento nell’iperuranio, ma prodotti della storia e delle ideologie di volta in volta in essa
dominanti». Ma si veda già Timpanaro 1980, 381: «Anche la ‘tecnica’ ha la sua storia, che si
intreccia strettamente con la storia ‘ideologica’ della storiografia. Una storia degli studi classici,
se non deve prescindere dalle ideologie, dai legami con la storia generale della cultura, non può
nemmeno considerare come cosa estranea l’evoluzione dei metodi di ricerca, né i risultati concreti
ottenuti grazie all’applicazione intelligente di quei metodi».
22
In MS. Clar. Press d. 55, ff. 65r-67v, di proprietà della Bodleian Library di Oxford. Ringrazio per
l’autorizzazione a pubblicare i contenuti del ms. il Dr. Chris Fletcher, Keeper of Special
Collections. Mi propongo a breve di pubblicare l’intero carteggio che consta di un totale di sette
lettere inviate da Hermann ad Elmsley in un lasso di tempo compreso fra il 1820 ed il 1823. Così
recita il passaggio rilevante (ff. 65v-66r): «Nam, ut paucis complectar quod sentio, grammatica
Graeca, quae ante triginta ferme aut viginti annos exigua ac prope nulla erat, hodie nondum
condita est, sed coepit condi, quasque habemus regulas syntacticas nulla ex parte sufficiunt. Non
fugit te, ante illud tempus homines doctos omnia cum omnibus construi existimasse: inde repertae
sunt regulae quaedam perangustae, plurima, quae recte dicuntur, prohibentes, ex quibus regulis
magna pernicies illata est Graecis scriptoribus: nunc tandem, ut ego arbitror, eo pervenimus, ut
iam fateri debeamus, posse quidem omnia cum omnibus construi, non ubique tamen, sed certis
conditionibus. | Has autem conditiones investigare debemus, si volumus aliquando condi
grammaticam Graecam, quae hoc nomine digna sit».
23
Una panoramica sui lavori grammaticali di Hermann in Koechly 1874, 27-31; per una valutazione
recente dello Hermann grammatico, cf. Tichy 2010.
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Locke (1632-1704) e lo stesso può dirsi per quella che la Francia adottò nel 1871;
l’influenza del pensiero lockiano sulla Francia del XVIII secolo per il tramite di
Voltaire fu immensa37. Tutto ciò va ulteriormente calato all’interno di un più ampio
contesto speculativo che vede emergere intorno al 1660 la cosiddetta ‘teoria classica
della probabilità’38. È il significato stesso di ‘probabilità’ a mutare: ‘probabile’ cessa
progressivamente di indicare ‘ciò che è degno di approvazione perché supportato
dall’opinione di gente rispettabile’39. La probabilità diviene lo strumento attraverso
il quale ridurre il ‘buon senso’ (i.e le intuizioni che un’élite di uomini ragionevoli
non può non condividere in situazioni di incertezza) a calcolo 40 , nel tentativo di
pervenire ad una quantificazione di concetti squisitamente qualitativi41 . L’idea di
una razionalità universale unitaria, la fiducia nella regolarità della condotta umana,
che saranno profondamente scosse dal trauma della Rivoluzione Francese, rendono
non solo conto di affermazioni porsoniane come: «Two canons of criticism are
undisputed; that an author cannot fail to use the best possible word on
every occasion [spaziato mio], and that a critic cannot chuse but know what that
word is»42, ma costituiscono il presupposto stesso della mancata distinzione (che ha
tanto ‘scandalizzato’ gli studiosi moderni) nella riflessione dei probabilisti del XVII
e del XVIII secolo fra probabilità oggettiva e soggettiva, vale a dire fra probabilità
‘aleatoria’, che studia la frequenza con cui certi eventi hanno luogo attraverso
l’applicazione di criteri statistici, e probabilità ‘epistemica’, legata ai ‘gradi di
convinzione’ (degrees of belief) e conseguentemente di assenso in situazioni
sostanzialmente destituite di un background statistico 43 . I testi seminali che
testimoniano l’emergere di questa probabilità ‘bifronte’ vengono generalmente
rintracciati nella riflessione di Blaise Pascal (1623-62): di natura ‘aleatoria’ è,
infatti, il problema affrontato nello scambio di lettere fra Pierre de Fermat (1601-65)
e Pascal nel 165444 a proposito della maniera come vada suddivisa la posta in gioco
veda quanto scrive David Ruhnken (1723-98) nell’Elogium Hemsterhusii (Lugduni Batavorum
17892, 35): «Nec satis habebat [scil. Hemsterhusius] veteres cognosse, sed cum Platone
Leibnitium, cum Aristotele Lockium, cum aliis alios conjungebat».
37
Cf. e.g. Russell 1946, 624 e 629.
38
Così Daston 1988; la bibliografia è molto vasta: fondamentale Hacking 2006, ma si veda anche
Campe 2012.
39
Cf. Hacking 2006, 18-30.
40
La definizione si ritrova nell’Essai philosophique sur les probabilités (Paris 1814, 95) di Pierre-
Simon de Laplace (1749-1827); sull’argomento si veda Daston 1988, 49-67.
41
Cf. Daston 1988.
42
Lettera a The Gentleman Magazine, 26 ottobre 1787, in Luard 1867, 17.
43
Cf. Hacking 2006, 11-7. Alla base di questo slittamento fra aspetti quantitativi e qualitativi della
probabilità, tenuti distinti dagli studiosi moderni, si trova la teoria dell’associazionismo
psicologico sviluppata dagli empiristi del XVII e del XVIII secolo; per Locke l’esperienza genera
belief e probabilità attraverso la correlazione di sensazioni che la mente traduce in associazioni di
idee: le probabilità oggettive derivanti dall’esperienza e le probabilità soggettive del belief
costituiscono le facce di una stessa medaglia, cf. Locke Essay, II, 33, 394-401; Daston 1988, 188-
225. Per un approccio differente da quelli di Ian Hacking e Lorraine Daston, cf. Campe 2012.
44
Tali riflessioni risultarono nella stesura da parte di Pascal del celebre Traité du triangle
arithmetique, pubblicato postumo a Parigi nel 1665. La corrispondenza fra Pascal e Fermat venne
pubblicata nei Varia opera mathematica di Fermat (Tolosae 1679, 179-88).
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Per una bibliografia di Peter Elmsley
fra due giocatori in una partita d’azzardo interrrotta prima della sua fine45, mentre il
celebre argomento sull’opportunità o meno di credere nell’esistenza di Dio, noto
come ‘scommessa di Pascal’ 46 , sembra rimandare ad un’impostazione teoretico-
decisionale 47 . Ed è proprio attraverso la riflessione pascaliana e la dottrina della
probabilità che diviene possibile per gli autori della Logique de Port-Royal (1662)
riplasmare il razionalismo cartesiano, riempiendo quel vuoto di spiegazione
filosofica creatosi all’interno dell’esperienza, come presa di contatto con la realtà
esistente, con quella già esistita (storia) e con quella futura 48 . Questa linea di
pensiero ritorna nel quarto libro dell’Essay Concerning Human Understanding
(1689) lockiano significativamente intitolato Of Knowledge and Opinion, anche se
Locke – a differenza di Arnauld e Nicole49 – evidenzia piuttosto l’aspetto soggettivo
e psicologico del judgement50, tralasciando i tentativi di quantificazione del concetto
di probabilità sul piano matematico51.
Nel delineare le basi filosofiche del metodo ‘scientifico’ di Porson, Liana
Lomiento, nel bel contributo presentato al seminario di studi salernitano su Porson
del 200852, ha opportunamente concentrato la sua attenzione proprio sui rapporti fra
il metodo scientifico di Porson e la Logique de Port-Royal53, con un cenno anche
45
Cf. Hacking 2006, 57-62; Daston 1988, 15-8. Di parere diverso Campe 2012, 37 ss.
46
La ‘scommessa’ ricorre nel passaggio intitolato infini – rien, cf. Pascal Pensieri, 123-9.
47
Cf. Hacking 2006, 12 e 63-72; Daston 1988, 60-3. Diverso il punto di vista di Campe (2012, 40
ss.), per il quale è Jakob Bernoulli (1654-1705) il primo a coniugare in maniera decisiva la
matematica dei giochi d’azzardo con le preesistenti concezioni logico-giuridiche della probabilità
nella sua postuma Ars conjectandi (1713).
48
Riproduco la linea di argomentazione di Obertello 1964, in part. 14 ss., ma il lavoro di Obertello
va tenuto tutto presente. La problematica relativa all’applicazione del buon senso (bon sens) per
discriminare fra verità e falsità negli eventi umani e contingenti è affrontata nei capitoli conclusivi
della quarta parte della Logique (cf. Arnauld – Nicole Logica, IV, 13-6, 376-91), laddove si
assiste al primo tentativo di misurazione della probabilità (cf. Hacking 2006, 73-80; Daston 1988,
39-40). Da Pascal è ripreso, nella conclusione della Logique (cf. Arnauld – Nicole Logica, 390)
l’argomento della ‘scommessa’: misurare la probabilità di un evento cessa di essere utile in vista
di un vantaggio ‘infinito’. La regola enunciata nel cap. XIII per distinguere fra due eventi contrari
ma entrambi possibili (cf. Arnauld – Nicole Logica, IV, 13, 378) si inserisce nella campagna
contro il probabilismo gesuitico portata avanti da Pascal in difesa di Arnauld nelle Lettres
provinciales (cf. Hacking 2006, 78 s.).
49
Sui rapporti fra la Logique e l’Essay lockiano, cf. Obertello 1964, in part. 89-109. È noto che
Locke durante il suo soggiorno francese (1675-9) era entrato in contatto con le opere di Antoine
Arnauld (1612-94) e Pierre Nicole (1625-95) – di quest’ultimo aveva tradotto in inglese tre degli
Essais de morale (cf. Goldie 2016, 34) –. Locke, inoltre, aveva avuto modo di acquistare una
copia della Logique per la propria biblioteca personale (cf. Obertello 1964, 96-7) e potrebbe
essere stato coinvolto nella traduzione inglese ‘a più mani’ della Logique pubblicata a Londra nel
1685 (cf. Daston 1988, 45).
50
Sul judgement lockiano, cf. Owen 2007.
51
Cf. Daston 1988, 194: «Philosophical rather than mathematical probabilities dominated Locke’s
discussion, despite the suggestive references to frequencies».
52
Cf. Lomiento 2009.
53
La Logique non figura nella biblioteca porsoniana, ma – come è noto – la sua circolazione fu
amplissima: in Inghilterra già nel Seicento si ebbero una traduzione latina e una inglese (cf. supra
e Obertello 1964, 97 n. 20). È quindi del tutto verisimile (se non sicuro) che Porson la conoscesse.
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tendenze generali che in alcuni casi possono anche rasentare la certezza della
dimostrazione74. Le regole avranno una portata tanto più generale quanto più ampia
e statisticamente adeguata sarà la frequenza delle osservazioni 75 ; esse però non
potranno in ogni caso avere una portata universale. Alla luce di quanto detto,
diviene chiaro il caveat porsoniano accluso alla norma che porta il suo nome: «Satis
ostendi, ut opinor, quod promisi, paucissimos Tragicorum esse versus similes Ionis
initio. Sed non ausim dicere nullos esse [spaziato mio]»76, così come la critica
rivolta ad uno dei canoni dawesiani nella già citata lettera a Dalzel77: «Dawes lays
down a rule, which, if he had been content with calling it general instead
of universal [spaziato mio], is perfectly right». Risulta, infine, del pari evidente
per quale motivo Porson si rifiuti, come rinfacciatogli da Hermann78, di chiarire le
cause che starebbero alla base delle norme da lui individuate. L’approccio
hermanniano dista toto caelo nei suoi presupposti filosofici da quello porsoniano:
per Hermann l’individuazione dei principi precede logicamente la formulazione
delle regulae metriche e grammaticali, consentendo di individuarne le cause nella
misura in cui esse contraddicano o meno tali principi definiti a priori, mentre per
Porson, nel quadro di un empirismo moderatamente scettico di ascendenza lockiana,
tale operazione appare sostanzialmente destituita di fondamento79. Analisi di questo
tipo permettono non solo di definire i contorni generali di un metodo filologico,
contribuendo alla sua comprensione, ma anche di giustificare singole scelte critico-
testuali. In un lavoro del 2006 Vittorio Citti ha, ad esempio, mostrato come
l’interpretazione dei vv. 958-60 delle Coefore eschilee proposta da Thomas Stanley
74
Cf. Locke Essay, IV, 15, 2, 655: «most of the Propositions we think, reason, discourse, nay act
upon, are such, as we cannot have undoubted Knowledge of their Truth: yet some of them border
so near upon Certainty, that we make no doubt at all about them».
75
L’esempio del re del Siam che si rifiuta di credere all’ambasciatore olandese, il quale gli racconta
che in certe occasioni nel suo paese l’acqua è talmente ghiacciata che vi si può camminare sopra
(cf. Locke Essay, IV, 16, 5, 656-7), è così commentato dalla Daston (1988, 195): «Judged solely
in light of his constant experience of liquid water, the king was right to be incredulous, but the
moral of Locke’s parable was to avoid rash generalization on the basis of limited experience». Si
rilegga quanto scrive Porson (in Luard 1867, 88-9) relativamente ai paremiaci sofoclei con incipit
dattilico: «I could easily amend, (that [it] is to say, new write) all the paroemiacs that begin with a
dactyl, because they are so very scarce; but let it be considered that the proportion of paroemiacs
to other anapaests, is scarcely one in ten, and therefore, a priori, those which begin with a dactyl,
must be rare indeed […] But the whole quantity of anapaests in Sophocles is so small, that it
would be idle to frame a Canon upon such precarious foundations».
76
Porson 1802, xxxix.
77
Luard 1867, 89.
78
Cf. n. 13 supra.
79
Cf. e.g. Locke Essay IV, 3, 29, 560: «The Things that, as far as our Observation reaches, we
constantly find to proceed regularly, we may conclude, do act by a Law set them; but yet by a
Law, that we know not: whereby, though Causes work steadily, and effects constantly flow from
them, yet their Connexions and Dependancies being not discoverable in our Ideas, we can have
but experimental Knowledge of them»; ibid., 16, 6, 661-2: «For what our own and other Men’s
constant Observation has found always to be after the same manner, that we with reason conclude
to be Effects of steady and regular Causes, though they come not within the reach of our
Knowledge».
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93
Cf. Elmsley 1811: #9, 3.
94
Cf. Timpanaro 2004 (1985), 66-7; 72-4.
95
Cf. Elmsley 1810: #7, 219: «All the manuscripts of Aeschylus which have yet been examinated,
are transcribed, mediately or immediately, from the same copy, which appears to have survived
alone the general wreck of ancient literature».
96
Cf. Timpanaro 2004 (1985), 27. Dalla prima edizione (1963) de La genesi del metodo del
Lachmann alla seconda (1981 e poi 1985 con correzioni e aggiunte) si assiste ad un
approfondimento sul contributo di Elmsley alla ‘genesi del metodo’, che tiene conto dei risultati
di Di Benedetto 1965. Questo comporta anche alcune difficoltà nell'impostazione storica
dell'indagine timpanariana (cf. Timpanaro 2004 [1985], 27: «Ma il desiderio di non staccare da
Bentley i suoi seguaci inglesi ci ha condotto troppo avanti nel tempo. Dovremo ora fare un passo
indietro ... », nonché l'aggiunta con il richiamo ad Elmsley nella n. 3 di p. 46 a rettifica
dell'affermazione relativa al «regresso che la metodologia della critica testuale aveva compiuto
nel primo Ottocento» [ibid., 46]; si veda in proposito Di Benedetto 2007 [2003], 132-3).
97
Cf. Elmsley 1811: #9, 4: «Veteres [scil. editiones] eum fere textum exhibent qui in plerisque
codicibus reperitur, quique proculdubio in codice ἀρχετύπῳ repertus est, unde fluxerunt omnia
hodierna exemplaria».
98
Cf. Elmsley 1815: #27, 35: «Si codex ἀρχέτυπος hujus fabulae hodie superesset, non is quidem
quem ediscendum histrionibus dedit poëta, sed is qui annis octingentis aut nongentis post
Christum natum in alicujus monasterii angulo repertus est…».
99
Cf. Elmsley 1821: #31, 3: «Sed multum abest, quin quinque hujus fabulae codices re vera inter se
diversos habeamus. Nam Florentinus recentior et uterque Parisiensis a Florentino antiquiore
derivati sunt, salvoque archetypo nullam in constituenda scriptura auctoritatem habere debent».
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100
Cf. Elmsley 1810: #7, 219: «If that manuscript [scil. l'archetipo di Eschilo] now existed, and
could be verified, perhaps its numerous progeny might all be safely disposed of to the makers of
sky-rockets, after the example of the biblical manuscripts of the University of Alcala».
101
Cf. Elmsley 1810: #7, 219: «The concurrence, therefore, of fifty or five hundred manuscripts of
Aeschylus in the same lection, implies no more than that, in the ninth or tenth century, such a
reading was discovered in a single manuscript».
102
Cf. Elmsley 1810: #7, 220: «Of the incorrectness of the original manuscript of Aeschylus, no
other proof is requisite, than the agreement of its descendants in so many palpably erroneous
readings».
103
Cf. Gray 1825, 376: «Though Dr. Elmsley must be chiefly known to the public as a Greek critic,
it was by no means in this department of learning that his abilities and acquirements were most
extraordinary in the eyes of friends; and some of them have frequently regretted that he should
have confined himself, in what he meant for the world, to so narrow a walk as that of collating
manuscripts, and attempting to restore the text of a few tragedies».
104
D’obbligo il rinvio a Timpanaro 2004 (1985), 28-44. Elmsley conosce e cita (cf. Elmsley 1810:
#7, 219-20 n. §) la seconda edizione della traduzione inglese allestita da Herbert Marsh (1757-
1839) della Einleitung in die göttlichen Schriften des Neuen Bundes (Göttingen 17884) di Johann
David Michaelis (1717-91). Ciò si inserisce nel quadro del rilevante influsso esercitato
dall’Università di Gottinga, anche nel campo degli studi classici, sull’élite politico-culturale
britannica nel periodo in cui in virtù della ‘Personal Union’ (1714-1837) l’Elettorato di Hannover
fu unito alla corona britannica (cf. Biskup 2007; Ellis 2014; per lo specifico influsso di Michaelis,
cf. Biskup 2007, 144 ss.; Ellis 2014, 32 s.).
105
Cf. Elmsley 1822: #33 e n. 160 infra.
106
Cf. Collard 2004a, 287. Elmsley risiedette a St. Mary Cray nel Kent dal 1807 (cf. Gray 1825, 376;
Finglass 2007a, 106 n. 9) per venire incontro alle esigenze della madre e della cognata coi suoi
quattro figli (cf. la lettera inedita [Beinecke Osborne, MSS. File S, Folder 14170] di Southey alla
moglie Edith Fricker [1774-1837], 22 marzo 1808: «He [scil. Elmsley] has two nephews and two
nieces with their mother, living with him, and I believe wholly dependant on him»; presumo si
tratti della vedova e dei figli del fratello John Elmsley, morto nel 1805) al 1816. Dopo la morte
della madre Elmsley intraprese un viaggio in Italia dal quale fece presumibilmente ritorno
nell’autunno del 1817 (nel luglio del 1817, infatti, Elmsley si trova ancora a Venezia, cf. Madan
MC, 79). Nel gennaio 1818 Elmsley si trova ad Oswestry nello Shropshire (cf. la lettera da lì
indirizzata a Samuel Butler [1774-1839], datata 1 gennaio 1818, in Butler 1896, I, 146), ma a
giugno progetta già di ripartire per l’estero (cf. la lettera inedita [Bodleian Library, MS. Eng. Lett.
d. 47] di Southey a Grosvenor Charles Bedford [1773-1839], 19 giugno 1818: «Elmsley I hear
- 201 -
Giacomo Mancuso
incomincerà ad intraprendere con cadenza annuale una serie di viaggi all’estero con
lo scopo di collazionare manoscritti nelle principali biblioteche europee, soprattutto
italiane e francesi. Egli studia accuratamente e riconosce chiaramente la superiorità
del Laurenziano di Sofocle107, del quale trascriverà anche gli scoli108, che saranno
pubblicati postumi nel 1825 per le cure di Gaisford. A Roma fece per primo una
collazione accurata del Vatic. Gr. 909 di Euripide; collazionò anche il Palat. Gr. 98
e intuì la sua parentela con il Vatic. Gr. 909. E ancora il suo giudizio critico si rivela
esatto anche nella valutazione negativa di recentiores come il Vatic. Gr. 910 e il
Vatic. Gr. 1421109.
Ma oltre che nelle edizioni succitate, cui va aggiunta la Medea pubblicata nel
1818, contributi fondamentali sono disseminati nelle numerose recensioni
pubblicate da Elmsley su Edinburgh Review 110 , Quarterly Review 111 e Classical
Journal, mentre una serie di articoli di eccezionale livello scientifico apparve su
Museum Criticum; or, Cambridge Classical Researches, come recita per esteso il
titolo. Com’è noto, Classical Journal, fondato nel 1810 da Abraham John Valpy
(1787-1854), e il meno fortunato Museum Criticum, la cui pubblicazione,
patrocinata dai custodi dell’eredità scientifica di Porson, ebbe inizio nel 1813112 ,
furono i primi periodici britannici interamente dedicati ad argomenti ‘classici’113 .
Nel caso delle recensioni comparse su Edinburgh Review e Quarterly Review
bisogna fronteggiare la difficoltà costituita dalla circostanza che, secondo l’uso
corrente all’epoca, le recensioni venivano di norma pubblicate in forma anonima114,
e – come se non bastasse – tale anonimato era gelosamente custodito al punto che in
means to go abroad again, and on his return to take a house at Oxford»). Alla fine dell’agosto
1818 Elmsley si trova già nel Continente (la praefatio della Medea viene scritta ad Oxford il 1
agosto 1818 [cf. Elmsley 1818: #29, 4], ma il 27 agosto George Waddington [1793-1869] lo vede
a Parigi, cf. Grote 1873, 27-8 n. *) e si tratterrà a Firenze dall’ottobre 1818 (cf. Madan MC, 79)
per tutto l’inverno (Gaisford gli scrive a Firenze il 21 febbraio 1819, cf. Horsfall 1974, 467 e 468)
sino alla primavera dell’anno successivo (cf. infra).
107
Cf. Clarke 1945, 99.
108
La collazione degli scoli presenti nel Laurenziano ebbe luogo, secondo Gaisford (apud Elmsley
1825: #39, v), agli inizi del 1820, ma forse si può essere ancor più precisi. Di ritorno dal suo
secondo viaggio all’estero nella primavera inoltrata del 1819 (cf. Gray 1825, 376; nell’aprile 1819
Elmsley si trova ancora a Firenze dove incontra John William Ward [1781-1833], cf. Copleston
1840, 216) Elmsley partì nuovamente per l’Italia alla volta di Napoli per assistere Humphry Davy
(1778-1829) nel tentativo di srotolamento e decifrazione dei papiri di Ercolano (cf. Horsfall 1974,
474-7). Nel settembre 1819 Elmsley si trovava già a Parigi (cf. Horsfall 1974, 467). L’impresa
napoletana era, a quanto pare, già stata abbandonata alla fine del febbraio del 1820 (cf. Horsfall
1974, 476-7 n. 90), e il soggiorno fiorentino potrebbe avere avuto luogo nel marzo del 1820 o
poco prima. Da Firenze Elmsley si spostò a Torino, dove fu colto da un violento attacco di febbre
(cf. Gray 1825, 376), per far ritorno in patria verisimilmente nella tarda primavera del 1820 (cf.
Horsfall 1974, 476 n. 90).
109
Cf. Di Benedetto 1965, 11-2.
110
Su Edinburgh Review, cf. Wellesley Index, 416 ss.
111
Su questo periodico, cf. Cutmore 2007; Id. 2008.
112
Cf. Stray 2004.
113
Cf. Stray 2007, 91.
114
Per i periodici vittoriani pubblicati fra il 1824 e il 1900 si può ricorrere ai cinque volumi del
Wellesley Index to Victorian Periodicals (Toronto 1966-1988), consultabile anche on-line
all’indirizzo http://wellesley.chadwyck.com/infoCentre/about.jsp.
- 202 -
Per una bibliografia di Peter Elmsley
talune occasioni venivano messi in atto dei veri e propri atti di depistaggio. In alcuni
casi ci troviamo dinanzi a situazioni sconcertanti: Edmund Henry Barker (1788-
1839), ad esempio, giunse al punto, a quanto pare, di pubblicare elogiative auto-
recensioni, facendosi passare per Monk 115 ; in altri casi ci troviamo di fronte a
recensioni scritte ‘a quattro mani’: un articolo pubblicato anonimo nel 1821 su
Quarterly Review in risposta all’incoerente diatriba di Barker contro Blomfield116,
dopo la devastante recensione di quest’ultimo 117 della riedizione del Thesaurus
Graecae Linguae dello Stephanus, patrocinata da Valpy e curata da Barker 118 , è
frutto degli sforzi congiunti di Blomfield e Monk119. Di fronte ad una situazione del
genere non sono utili nemmeno le indicazioni, pubbliche o private, dei
contemporanei, che talora si ingannano sulla reale identità degli autori. Basarsi
inoltre solamente su criteri di evidenza interna, può risultare pericoloso:
identificazioni basate esclusivamente sullo stile di una recensione possono portare a
prendere veri e propri abbagli. Anche se in alcuni casi sussistono dei ‘marchi di
fabbrica’ che rendono probabili talune attribuzioni: l’avventato congetturalismo, ad
esempio, rende abbastanza riconoscibili i lavori di George Burges (1786?-1864) 120 ,
ma non era caratteristica esclusivamente sua. A tal proposito due risultano essere i
criteri più affidabili: da un lato l’identificazione di auto-citazioni degli autori
relative a lavori di certa attribuzione; dall’altro il ricorso all’evidenza esterna
costituita dalla corrispondenza o da carte e materiali di lavoro privati.
E con un breve accenno a quanto conosciamo sul Nachlaß di Elmsley mi avvio
verso la conclusione del mio intervento. Esso può essere suddiviso in tre gruppi.
Nel primo gruppo rientra la corrispondenza di Elmsley, edita o parzialmente edita
solo in piccola parte. Un nucleo consistente di lettere, di rilevante interesse per i
nostri studi dal momento che fra i corrispondenti figurano Gaisford, Monk e
Blomfield, è conservato presso l’archivio della Westminster School di Londra, dove
Elmsley aveva studiato prima di passare ad Oxford. Carte e lettere di Elmsley
furono donate alla scuola nel 1944121. Il primo a farne uso è stato Nicholas Horsfall
in un articolo del 1974, fornendo stralci delle lettere più interessanti. Riferimenti a
tali materiali ricorrono, inoltre, in più recenti lavori di Christopher Stray122. A ciò va
aggiunta la corrispondenza con Charles Watkin Williams Wynn (1775-1850), amico
insieme a Robert Southey di Elmsley sin dai tempi della scuola (Elmsley e Southey
erano coetanei, mentre Wynn era più piccolo di un anno), conservata presso la
Biblioteca Nazionale del Galles, e quella con l’editore e bookseller edimburghese
William Laing (1764-1832), detenuta dalla Biblioteca Universitaria di Edimburgo.
Di entrambe si è servito in tempi recenti Patrick J. Finglass123. Jonathan Cutmore124,
115
Cf. Monk a Blomfield, 7 gennaio 1813, in Stray 2004a, 295 s.; Stray 2007, 91 e 234 n. 17.
116
Si tratta della replica a E.H. Barker, Aristarchus Anti-Blomfeldianus …, London 1820, comparsa
in Quarterly Review, vol. 24, n. 48, January 1821, 376-400, cf. Cutmore 2008, 163: #571.
117
Quarterly Review, vol. 22, n. 44, January 1820, 302-48, cf. Cutmore 2008, 159: #525.
118
Cf. brevemente Stray 2004b.
119
Cf. Stray 2007, 92; Cutmore 2008, 163: #571.
120
Cf. n. 153 infra.
121
Cf. Horsfall 1974, 449.
122
Cf. e.g. Stray 2007.
123
Finglass 2007a.
124
Cutmore 2007; Id. 2008.
- 203 -
Giacomo Mancuso
125
Cf. Clapinson – Rogers 1991, 62.
126
L’elenco in Clapinson – Rogers 1991, 64.
127
Cf. n. 153 infra.
128
MS. Clar. Press d. 30, ff. 322-7, cf. Madan MC, 85.
129
MS. Clar. Press d. 30, ff. 484-531v, cf. Comentale 2016.
130
È il caso, ad esempio, di volumi appartenuti ad Elmsley (con presenza in alcuni casi di marginalia
elmsleiani che andrebbero ispezionati) conservati presso la National Art Library, V & A Museum
di Londra e provenienti dai libri donati da Alexander Dyce (1798-1869), cf. Dyce Collection, I,
256, 294; II, 315.
131
Cf. Finglass 2007b. Ma in alcuni casi sembrano necessarie delle rettifiche. Ho verificato, ad
esempio, che le tre congetture ‘inedite’ alla Medea di Euripide (cf. Finglass 2007b, 745) sono
tutte già presenti nell’edizione elmsleiana del 1818: Eur. Med. 753 ἐμμενεῖν congettura già
pubblicata da Elmsley (1818: #30, 39), il quale tuttavia riconosce la priorità di Gottfried Heinrich
Schaefer (1746-1840), cf. Elmsley 1818: #30, 193: «Scripsi ἐμμενεῖν, ex emendatione meane
dicam an Schaeferi? Ambo enim in eam incidimus, sed ille prior occupavit»; Eur. Med. 1281 ὃν,
cf. Elmsley 1818: #30, 58 e 273: «dedi ὃν ἔτεκες, auctore Seidlero»; Eur. Med. 1290 δῆτ’, cf.
Elmsley 1818: #30, 58 e 275: la paternità dell’intervento va sottratta quindi ad Hermann (1822) e
restituita ad Elmsley.
- 204 -
Per una bibliografia di Peter Elmsley
II
1803132
1804
- 205 -
Giacomo Mancuso
1805/6
1809
Una editio nova indicibusque instructa uscì a Lipsia nel 1830 (sumptibus G. Nauckii).
L’editore, che si sigla Ed.[itor] Lips.[iensis] (cf. p. 40: potrebbe trattarsi di Karl Wilhelm
Dindorf [1802-1883]), si limita ad aggiornare le citazioni secondo edizioni più recenti e ad
inserire loco suo quanto nell’edizione oxoniense era contenuto in un Auctarium annotationum
(pp. 113 ss.). Non sarà un caso che fra le poche copie dell’edizione inglese conservate nelle
biblioteche del Continente (ne ho reperito tre in tutto attraverso la consultazione dei cataloghi
elettronici) una sia conservata nella Biblioteca Universitaria di Lipsia (Poet. gr. 472-a):
potrebbe trattarsi della copia di Hermann (cf. Catalogus bibliothecae Godofredi Hermanni,
Lipsiae 1854, p. 7: #346). Prima che Hermann ed Elmsley incominciassero a corrispondere nel
1820, alcuni lavori di Elmsley erano già giunti nella mani del filologo di Lipsia per il tramite di
E.V. Blomfield (cf. Blomfield 1863, I, 28 s.; Horsfall 1974, p. 469 e supra n. 24).
luce, cf. Finglass 2007a, 112, e in generale su questa edizione ibid., 111 s. Una breve recensione
anonima in Annual Review, and History of Literature, vol. 3, 1804 (London 1805), 331.
137
Di questa edizione, successivamente soppressa dall’autore, rimane attualmente una sola copia
incompleta (British Library, C. 28.i.12). Il titolo riportato sopra riproduce quello presente sul
dorso del volume. Di una seconda copia presente nella biblioteca di John Ireland (1761-1842),
Dean of Westminster dal 6 febbraio 1816, si sono perse le tracce. Per ulteriori dettagli, cf.
Finglass 2007a. Alla documentazione fornita da Finglass si può aggiungere anche la lettera di
Southey a John Rickman (1771-1840), 8 aprile 1803 (in Curry 1965, I, 310 s.): «Elmsley, whom
you saw at my rooms, is editing Sophocles at Edinburgh».
138
L’edizione non riscosse successo al punto che sembra non sia stata nemmeno adeguatamente
recensita (una recensione affidata a John Davison [1777-1834] per Quarterly Review, non vide la
luce, cf. William Gifford [1756-1826] a Copleston, 12 febbraio 1812, indicazione di Christopher
Stray) e ben presto divenne introvabile. Che Elmsley cercasse di ritirare dal commercio tutte le
copie con l’intenzione di sopprimerla (Burton 1827, 284; Sandys 1908, 394) è contraddetto dalla
circostanza che Elmsley nel 1813 si lamentava con Monk e Gaisford della scarsità delle vendite
(cf. Horsfall 1974, 461). Ma se la storia della soppressione sarà nata dalla scarsità delle vendite
(Rogers 1910, 191-2; Horsfall 1974, 461), delle due motivazioni addotte (plagio o
insoddisfazione) per tale soppressione la seconda (Burton 1827, 284; Rogers 1910, 191-2) coglie
in qualche modo nel segno. Nella già citata lettera del 10 ottobre 1820 (cf. supra) Hermann scrive
a Elmsley: «In Acharnenses tuos severius et iniquius animadvertisti. Nam quis nostrum est qui
non quotidie, ne dicam post aliquot annos, retractet scripta sua, et alia indicta, alia aliter dicta, alia
abolita vellet. Mei quidem populares valde queruntur, quod neque Acharnenses neque Heraclidae
emi possunt» (MS. Clar. Press d. 55, f. 67v). L’accusa di plagio sarà stata dovuta alla presenza
nelle note di congetture ad altri drammi che coincidono con quelle di Porson (un esempio è la
correzione a Plat. Com. fr. 201, 4 K.-A., cf. Dobree 1820, 111) e portata avanti forse da Dobree,
almeno privatamente (cf. Clarke 1945, 228; Collard 2004b, 244: «His pietas extended to
perpetuating Porson’s own suspicion that the young Peter Elmsley had purloined some of his
conjectures»), dal momento che i rapporti con Monk e Blomfield erano migliorati già da molto
tempo. Dobree è il grande assente dalla corrispondenza elmsleiana conservata presso la
Westminster School (cf. supra).
- 206 -
Per una bibliografia di Peter Elmsley
1810
1811
8. [P. Elmsley], Appendix [a Elmsley 1810: #7, cf. supra], Edinburgh Review, vol.
17, n. 34, February 1811, 491-4141.
139
Cf. Elmsley a Butler, St. Mary Cray, ottobre 1813 (in Butler 1896, I, 88.); Wellesley Index, 447-8:
#542.
140
Cf. Wellesley Index, 448.
141
Cf. Elmsley a Butler, St. Mary Cray, 3 febbraio 1811: «I am about to send to Jeffrey a few
additions to my article on the Prometheus, to be inserted in the next number by way of appendix»
(Butler 1896, I, 64); Wellesley Index, 447-8: #542. Può risultare utile riportare il seguente
passaggio dalla lettera di Elmsley a Butler dell’ottobre 1813 (in Butler 1896, I, 88) : «It is now
two years since I sent an article to the Edinburgh Review (the last article I sent was inserted
several months after it was sent), and I am not likely to send another. The irreligious tone of the
Review and the Jacobinism of some of its articles have compelled me to withdraw from it. When
I sent my review of Blomfield’s Prometheus, which is printed in the thirty-fourth number [immo
33], I had contributed nothing to the Review since the fifth number». Ne ricaviamo che fra la
recensione dell’Ateneo di Schweighäuser e quella del Prometeo di Blomfield Elmsley non aveva
contribuito alla rivista.
142
All’edizione Elmsley lavorava già nell’estate del 1810, cf. Gaisford a Elmsley, 17 giugno 1810
(in Finglass 2007a, 110). Essa uscì nell’agosto del 1811, come si ricava dalla data (1 agosto 1811)
posta in calce alla prima praefatio della terza edizione (Elmsley 1825: #37, xi), che riproduce la
praefatio della prima edizione nella quale, però, la data era assente. Si veda anche la lettera di
Elmsley a Butler, Llangedwin, Oswestry, 17 agosto 1811 (in Butler 1896, I, 71): «Next week I
shall publish a little Oedipus Tyrannus». Nel novembre dello stesso anno Elmsley si rivolge a
Butler affinché si adoperi perché qualche ‘porsoniano’ accetti di recensire l’edizione (cf. Elmsley
a Butler, 14 novembre 1811, in Butler 1896, I, 71). Ed effettivamente, Horsfall (1974, 452) cita
una lettera di Blomfield a Elmsley del 1 dicembre 1812, nella quale Blomfield informa Elmsley
che recensirà l’Oedipus Tyrannus. Il progetto non andò in porto, cf. Blomfield a Elmsley, 24
luglio 1812 (in Stray 2007, 237 n. 69). Le note risultano «more concise than to any other play
which he published» (così Burton 1827, 284), ma è lo stesso Elmsley nella praefatio (p. 11) a
dichiarare: «Multa ad hanc fabulam spectantia, quae inter legendum observaveram, et in
adversaria mea retuleram, omittere coactus sum, cum semel pro justo volume, quod meditabar,
parvum libellum edere decrevi».
143
Cf. e.g. gli addenda (p. 94: annotatio ad v. 1094; 95 annotatio ad v. 1137), siglati G.[uilielmus]
D.[indorfius].
- 207 -
Giacomo Mancuso
aggiunte derivanti sia da collazioni di mss. sia da annotazioni di vari studiosi (cf. la praefatio di
Dindorf, xvi-xxxii). Una terza edizione rivista da Elmsley uscì ad Oxford nel 1825 (cf. infra).
1812
11. [P. Elmsley], rec. di Edward Hyde, Earl of Clarendon, Religion and the Policy,
and the Countenance and Assistance each should give the other …, Oxford
1811, Edinburgh Review, vol. 19, n. 38, February 1812, 435-65145.
14. P. E.[lmsley], Classical Criticism, Classical Journal, vol. 5, n. 10, June 1812,
334-5148.
15. P. E.[lmsley], On the Date of the Clouds of Aristophanes, Classical Journal, vol.
6, n. 11, 135-8149.
- 208 -
Per una bibliografia di Peter Elmsley
18. [P. Elmsley], Appendix [a Elmsley 1812: #17, cf. supra], Quarterly Review, vol.
8, n. 15, September 1812, 229-30151.
1813
19. [P. Elmsley], Letter to the Editor, The Gentleman's Magazine and Historical
Chronicle, vol. 83.1, January 1813, 33152.
Una editio auctior indicibusque instructa fu pubblicata a Lipsia nel 1821 (sumptibus C.H.F.
Hartmanni), per le cure di W. Dindorf, come si ricava dal monitum (p. iii) premesso alla editio
151
Cf. Elmsley 1813: #23, 417-8: «Some additional emendations [scil. a Elmsley 1812: #17] were
proposed in the fifteenth Number».
152
Lettera firmata ‘Graeculus’; per l’identificazione, cf. Stray 2007, 234 n. 17.
153
A differenza degli Acharnenses e dell’Oedipus Tyrannus, l’edizione degli Heraclidae non passò
inosservata. Tre le recensioni dell’edizione elsmleiana apparse a breve distanza dalla sua
pubblicazione: si tratta di recensioni anonime, la cui paternità, tuttavia, è agevolmente
rintracciabile. La prima, di carattere meramente informativo, fu pubblicata in Museum Criticum,
n. 1, May 1813, 134-7, e può essere attribuita con certezza a Monk, come si ricava dalle lettere di
Monk a Elmsley del 14 febbraio 1813 (cf. Horsfall 1974, 450) e del 16 maggio 1813 (Christopher
Stray, per litt. electr. 5 luglio 2012). Al termine della recensione (p. 137) Monk informa che «Mr.
Elmsley intends to publish the Helen with notes upon the same plan as the Heraclidae, with
which it is to form an uniform volume». Il progetto di pubblicare l’Elena euripidea, al quale si
riferisce lo stesso Elmsley in una lettera a Blomfield dell’8 febbraio 1813 (Bodley MS. Autogr. d.
24, ff. 150 s.; cf. Finglass 2007b, 746) evidentemente non andò in porto; alcuni materiali
preparatori sono tuttavia presenti fra le carte elmsleiane conservate alla Bodleiana: note all’Elena
sono conservate in MS. Clar. Press d. 30, ff. 133-321 (cf. Madan MC, 85; Finglass 2007b, 745 n.
25 con una indicazione leggermente diversa: ff. 130-82, 215-318) e forse anche in MS. Clar.
Press d. 27, ff. 562-5 (cf. Madan MC, 82: «“Scholia in Helenam” Euripidis», ma si tratterà
verisimilmente di note di pugno di Elmsley); ad un torno di tempo successivo vanno invece
riferite le collazioni dei Parisini Graeci 2887 e 2817, e del Laurentianus 32, 2, presenti in MS.
Clar. Press d. 28, ff. 271, 302, 332 (cf. Madan MC, 83; ma Finglass 2007b, 745 con n. 25 fa
riferimento anche alla presenza di note ai ff. 267-364). La seconda, più corposa, recensione
comparve in Quarterly Review, vol. 9, n. 18, July 1813, 348-66, ed è attribuibile con certezza a
Blomfield (cf. Cutmore 2008, 130: #250); Blomfield riconosce definitivamente la statura
filologica di Elmsley (p. 366): «An attentive perusal of Mr. Elmsley's publications has convinced
us, that he has studied the remains of the Greek theatre with greater accuracy and attention than
almost any scholar of his own or former time» (interessante quell'«almost», che andrà riferito in
prima istanza a Porson). Meno elogiativa la recensione di George Burges (1786-1864),
caratterizzata dal solito avventato congetturalismo, comparsa in ‘due puntate’ in Classical
Journal, vol. 7, n. 14, June 1813, 298-307 e vol. 8, n. 16, December 1813, 391-403. Anche questa
recensione, come la altre due, è anonima, ma l'autore vi fa riferimento (p. 391) alla p r o p r i a
recensione (Classical Journal, vol. 1, n. 1, March 1810, 16-36, con prosieguo in Classical Journal,
vol. 2, n. 3, September 1810, 461-72) dei primi due volumi dell'edizione eschilea di Butler
(Cambridge 1809), riconducibile a Burges attraverso altre autocitazioni (cf. West 1990, 368 n.
45). Dalla succitata lettera di Elmsley a Blomfield, 8 febbraio 1813, apprendiamo che era stato lo
stesso Elmsley a chiedere che la recensione fosse affidata a Burges.
- 209 -
Giacomo Mancuso
altera di Medea ed Heraclidae, pubblicata postuma ad Oxford nel 1828 (cf. infra). Dindorf
inserisce loco suo gli addenda contenuti nelle 134-43.
1814
1815
1816
154
Cf. Elmsley 1813: #23, 417.
155
Per la datazione dei singoli numeri di Museum Criticum, cf. Stray 2004, 298-9.
156
Già preannunciata in Elmsley 1813: #21, 205: «a copy of the Supplices is now before us, and may
possibly make the subject of an article in some future number of the Classical Journal».
157
In calce alla recensione (p. 488) Elmsley annuncia la pubblicazione di «additional remarks» in «a
future Number»: non ne ho trovato traccia.
- 210 -
Per una bibliografia di Peter Elmsley
1818
Una riedizione fu pubblicata a Lipsia nel 1822 (sumptibus C.H.F. Hartmanni) con l’aggiunta
delle annotationes di Hermann (cf. n. 158 infra). Una postuma editio altera comprendente
anche gli Heraclidae uscì a Oxford nel 1828 (cf. infra).
1821
Una editio auctior indicibusque instructa fu stampata (sumptibus C.H.F. Hartmanni) a Lipsia
nel 1822. Ad essa sono acclusi degli addenda (pp. 175-6) tratti da Graecae Tragoediae
principum, Aeschyli, Sophoclis, Euripidis, num ea quae supersunt, et genuina omnia sint, et
forma primitiva servata, an eorum familiis aliquid debeat ex iis tribui di August Böckh
(Heidelbergae 1808, 297 e 306 ss.).
158
L’edizione esibisce i frutti delle ricerche compiute da Elmsley in Vaticana durante la ‘trasferta’
italiana del 1816-7 (cf. n. 106 supra e Di Benedetto 1965, 11-2). Materiali preparatori e collazioni
si rinvengono nei MSS. Clar. Press d. 52 ff. 361 ss. (cf. Madan MC, 123); Clar. Press d. 55, ff. 28
ss. (cf. Madan MC, 126). Alla Medea Hermann dedicò una magistrale recensione apparsa in più
‘puntate’ su Classical Journal: vol. 19, n. 38, June 1819, 267-89; vol. 21, n. 42, June 1820, 338-
57; vol. 22, n. 44, December 1820, 402-28. Una quarta parte fu aggiunta in occasione della
riedizione lipsiense della Medea nel 1822, 384-407. La recensione confluirà nel terzo volume
degli Opuscula hermanniani (Lipsiae 1828, 143-261).
159
Le collazioni relative alle Bacchae si possono reperire nei MSS. Clar. Press d. 26, ff. 3, 13, 45, 53
(cf. Madan MC, 81); Clar. Press d. 28, ff. 163 ss.: collazioni dei Parisini Graeci 2887 e 2817, cf.
Madan MC, 83. Nella collazione del Palat. Gr. 287 Elmsley fu assistito da Girolamo Amati
(1768-1834), scriptor Graecus della Vaticana (cf. Elmsley 1821: #31, 4; Robert Finch [1783-
1830] a Elmsley, 6 luglio 1819, in Horsfall 1974, 468); la collazione di Amati è contenuta in MS.
Clar. Press d. 26, ff. 327 ss. (cf. Madan MC, 81). Una recensione anonima fu pubblicata in
Classical Journal, vol. 23, n. 46, June 1821, 397-409. Se Dobree è l’autore della recensione
anonima all’Oedipus Coloneus, pubblicata su Classical Journal, vol. 28, n. 56, December 1823,
356-63 (cf. n. 162 infra), la circostanza che in essa (p. 356) egli faccia riferimento alla recensione
delle Bacchae porterebbe alla conclusione che Dobree sia anche autore di quest’ultima. Un
ulteriore indizio parrebbe costituito dal fatto che il recensore (pp. 398-9) apprezzi le lodi che
Elmsley (p. 10) rivolge a Burges, «vetus et probatus amicus» di Dobree (cf. Dobree 1820, v). Non
ho riscontrato ‘punti di contatto’ con gli adversaria di Dobree alle Baccanti, ma essi sembrano
precedere l’edizione elmsleiana, dal momento che vi si trovano riferimenti solamente alla
precedenti edizioni di Elmsley (Acharnenses, Heraclidae, Medea), cf. Dobree 1833, 95-9. Una
seconda recensione fu pubblicata da Blomfield in Museum Criticum, n. 8, May 1826, 643-71 (la
recensione è anonima; che sia di Blomfield, si ricava dalle lettere di Blomfield a Elmsley del 12
novembre 1821 e del 29 novembre 1823, Elmsley’s papers, Westminster School, cf. n. *).
- 211 -
Giacomo Mancuso
1822
Del libro Elmsley fece dono ad Hermann unitamente al #34 (cf. Hermann ad Elmsley, 31 luglio
1823, in MS. Clar. Press d. 55, f. 76v, cf. n. 22 supra). Che la curatela del volume fosse di
Elmsley si ricava dall’autocitazione (vi-vii n. c) di congetture al testo di Aristofane (e.g. Ach.
295; 900 etc.).
160
Il ms. fu collazionato a Napoli nell'inverno 1819-20 (cf. n. 108 supra e Hermann a Elmsley, 10
ottobre 1829, MS. Clar. Press d. 55, f. 66v, per cui vedi n. 22 supra). La collazione del Neap. II F
31 è reperibile in MS. Clar. Press d. 46, ff. 5-36, cf. Madan MC, p. 109. Della collazione
elmsleiana relativa alle Eumenidi, ricavata da schedae di Blomfield, si avvalse William Linwood
(1818-78) nella sua edizione (cf. Linwood 1844, iv).
161
Il volume non riporta il nome dell’editore, ma che si tratti di Elmsley è fuor di dubbio: una
testimonianza diretta è offerta da Thomas Vowler Short (1790-1872), cf. Short 1838, 239-40 n. b
(sul personaggio, si veda Finglass 2007a, 111) e a confermare il tutto contribuisce la presenza dei
materiali preparatori per l’edizione in MS. Clar. Press d. 52, ff. 328 ss. (cf. Madan MC, 123). Si
tratta della prima edizione critica delle Homilies (cf. Griffiths 1859, xxxviii ss.).
162
Cf. Norgate 1882, 150: «…the editor (whose name does not appear, but no one who knows
anything of Peter Elmsley can fail to detect his hand in many of the notes)…» (in effetti, nelle
note si rinvengono numerosi rimandi di Elmsley a sue precedenti pubblicazioni, cf. e.g. 15 n. b;
45 n. b; 69 n. a etc.). Come informa la praefatio, una prima edizione era stata pubblicata a
Durham per le cure di Thomas Burgess (1756-1837) «ante complures annos» (p. v; per l’esattezza
nel 1798, cf. Harford 1840, 552), ma Burgess, insoddisfatto, a quanto pare, della stampa, aveva
trattenuto presso di sé tutte le copie con l’intenzione di produrre un’edizione più adeguata (cf. v:
«Quum vero audissemus libri diu desiderati exempla fere universa domi apud Burgessium
latere»). I successivi impegni episcopali di Burgess (vescovo di St. David’s dal 1803 e poi di
Salisbury dal 1825) gli avevano impedito di tener fede al suo proposito; di qui la decisione di
affidare ad Elmsley i materiali in suo possesso, insieme alle lettere pubblicate in calce al volume,
in vista di una nuova edizione.
- 212 -
Per una bibliografia di Peter Elmsley
1823
Una ristampa (già preannunciata nella n.* di p. 355) uscì l’anno successivo a Lipsia (1824,
sumptibus C.H.F. Hartmanni) con l’aggiunta di indices (pp. 387 ss.).
1825
Riediti a Lipsia nel 1826 (sumptibus C.H.F. Hartmanni) con l’aggiunta della praefatio di
Elmsley alla terza edizione dell’Oedipus Tyrannus (cf. n. 164 infra).
163
Cf. Burton 1827, 286: «The play, with the notes, formes a volume of 386 pages; and he [scil.
Elmsley] appears to have emptied his common-place book more profusely than upon any other
occasion; and perhaps there never was an edition of any author in which more pains were taken in
enumerating the various readings, and settling the text». Le collazioni dei Laurentiani 32, 9 e 31,
10 usate per l’edizione si rinvengono in MS. Clar. Press d. 25, ff. 94 ss. (cf. Madan MC, 79),
mentre per il Palat. Gr. 287 Elmsley fece ricorso alla collazione di Amati (cf. la iv della praefatio
e MS. Clar. Press d. 26, f. 330v ss., per cui vedi Madan MC, 81 e n. 159 supra). La recensione
anonima comparsa in Classical Journal, vol. 28, n. 56, December 1823, 356-63 viene attribuita a
Dobree da Christopher Stray (cf. Finglass 2007a, 105 n. 8) sulla base di considerazioni di
carattere stilistico. A conferma si può aggiungere la circostanza che il riferimento alla soppressa
edizione sofoclea del 1805-6 nella discussione della congettura di Elmsley a Soph. OC 504 (cf.
Finglass 2007a, 105-6), con la menzione della relativa disapprovazione di Porson, ricorre anche
in Dobree 1833, 34: «et, ni fallor, in textu Sophoclis, quem olim impressum ipse abolevit. Memini
emendatione, in textum istum receptam, Porsono minus certam esse visam», cf. Finglass 2009,
189-90 n. 4.
164
Si tratta di uno degli ultimi lavori cui attese Elmsley, nonostante le condizioni di salute ormai
irrimediabilmente deteriorate (cf. la praefatio aggiunta da Elmsley a tale edizione [p. xxv],
nonché Burton 1827, 286 s.). Elmsley incominciò a manifestare i segni di una disfunzione
cardiaca di ritorno da un viaggio in Germania nell'estate del 1823, ma la sua salute aveva
cominciato a declinare già a partire dal 1820 (cf. Gray 1825, 376 e n. 108 supra). Le sue
condizioni di salute dovevano essere già seriamente compromesse nel 1824, se Southey viene
erroneamente informato della sua morte (cf. Warter 1856, 430-1 e 433), che, invece, avrà luogo
l'anno successivo. Elmsley si limita a ristampare le aggiunte contenute nell’editio auctior
lipsiense del 1821 (cf. supra) e ad inserire una praefatio (pp. xxv-xlv) contenente collazioni dei
Laurentiani 32, 9; 31, 10; 32, 2 (cf. MS. Clar. Press d. 29, 114 ss. e Madan MC, 84). Egli tiene,
infine, conto delle annotazioni di Hermann alla seconda edizione (Lipsiae 1823) dell’Oedipus Rex
di Karl Gottlob August Erfurdt (1780-1813).
- 213 -
Giacomo Mancuso
Riediti a Lipsia nel 1826 (sumptibus C.H.F. Hartmanni) con l’esclusione degli scoli all’Oedipus
Tyrannus pubblicati separatamente lo stesso anno (cf. supra).
1828
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Anonimo 1817 = rec. di Monk – Blomfield 1812, The Monthly Review, vol. 84, September-
December 1817, 420-31.
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5-31.
Basta Donzelli 1995 = G. Basta Donzelli, Euripides. Electra, Stutgardiae et Lipsiae 19951.
165
L’edizione degli scholia uscì postuma per le cure di Gaisford: Elmsley non riuscì ad andare oltre
le prime 64 pagine e decise di affidare all’amico il compito di completare l’edizione (cf. la
praefatio di Gaisford alle pp. v-vi). L’edizione è recensita in Burton 1827. Gli ulteriori materiali
elmsleiani presenti in MS. Clar. Press d. 27, ff. 151 ss. (cf. Madan MC, 82) furono verisimilmente
utilizzati per l’editio variorum sofoclea pubblicata in due tomi da Gaisford nel 1826 (cf. Burton
1827, 300-1; Luard 1889, 371).
166
L’edizione fu curata da Edward Burton (1794-1836), cf. Anonimo 1837, 19. Burton ed Elmsley si
erano conosciuti nel 1818 a Firenze, cf. Anonimo 1837, 10-1. Come si ricava dal monitum
premesso all’edizione (pp. iii-iv), Burton si è avvalso per gli Heraclidae di schedulae, comprese
fra i materiali venduti dagli eredi di Elmsley alla Clarendon Press (i.e. MS. Clar. Press d. 27, ff. 2-
150, vv. 601- 1055, e ff. 255-448, vv. 1-505, cf. Madan MC, 82), e di quanto Elmsley aveva
annotato nei margini del proprio esemplare della tragedia, con l’aggiunta di lezioni del Palat. Gr.
287 successivamente annotate da Elmsley (p. vi). Rimane il dubbio se Burton faccia riferimento a
lezioni di P annotate nella copia della tragedia appartenuta ad Elmsley o alle collazioni presenti in
MS. Clar. Press d. 28, ff. 204-27 (cf. Madan MC, 83). Per la Medea Burton utilizzò solamente le
sparute annotazioni presenti nell’esemplare della tragedia appartenuto ad Elmsley e la collazione
del Parisinus Graecus 2713 presente in MS. Clar. Press d. 27, ff. 514 ss. (cf. Madan MC, 82).
- 214 -
Per una bibliografia di Peter Elmsley
Basta Donzelli 2004 = G. Basta Donzelli, Riflessioni sulle Coefore di Hermann, in V. Citti (ed.),
Metrica ed ecdotica eschilea. Atti del colloquio internazionale, Trento 10-12 ottobre 2002, Lexis 22,
2004, 97-116 (= Ead. 2008, 50-66).
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Birrell 1980 = T.A. Birrell, The Reconstruction of the Library of Isaac Casaubon, in A.R.A. Croiset
van Uchelen (ed.), Hellinga Festschrift/Festbundel/Mélanges: Forty-Three Studies in Bibliography
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Elmsley, 1 dicembre 1812, apud Stray 2007, p. 101; Cutmore 2008, p. 127: #220).
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recensione, cf. Anonimo 1837, p. 11 n. a).
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Giacomo Mancuso
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Giacomo Mancuso
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Lomiento 2009 = L. Lomiento, Il metodo ‘scientifico’ di Richard Porson, e i suoi interventi critici a
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Luard 1857 = H.R. Luard, Porson, in Cambridge Essays, London 1857, 125-71.
Luard 1867 = H.R. Luard, The Correspondence of Richard Porson, Cambridge 1867.
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Biography, 20, New York-London 1889, 370-2.
Mancuso 2013 = G. Mancuso, Congetture inedite di Peter Elmsley all’Andromaca di Euripide, Lexis
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Mancuso 2014 = G. Mancuso, rec. di Sier – Wöckener-Gade 2010, Lexis 32, 2014, 502-14.
Matthiä 1818 = A. Matthiä, A Copious Greek Grammar, translated from the German by E.V.
Blomfield, I-II, Cambridge 1818 (ma la prefazione di C.J. Blomfield è datata aprile 1819 [p. 15]: se
ne deduce quindi che il libro entrò in commercio nel 1819. Evidentemente qualcosa dovette andare
‘storto’, se - a brevissima distanza - nel 1820 uscì una seconda edizione).
Matthiä 1845 = K. Matthiä, August Matthiä in seinem Leben und Wirken zum Theil nach seiner
eigenen Erzählung dargestellt. Nebst einem lebensgeschichtlichen Abriß seines Bruders Friedrich
Christian Matthiä, Quedlinburg 1845.
Medda 2006 = E. Medda, “Sed nullus editorum vidit”. La filologia di Gottfried Hermann e
l’Agamennone di Eschilo, Amsterdam 2006.
Medda 2010 = E. Medda, Quid sit illud, quod regulam dicimus: Hermann e la critica inglese, in Sier
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Molhuysen 1943 = P.C. Molhuysen, De bibliotheek van Hugo de Groot in 1618, Amsterdam 1943.
Monk 1821 = J.H. M.[onk], A Memoir of Edward Valentine Blomfield, Museum Criticum 7,
November 1821, 520-8.
Monk – Blomfield 1812 = J.H. Monk – C.J. Blomfield (edd.), Ricardi Porsoni adversaria,
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Naiditch 1991 = P.G. Naiditch, Classical Studies in Nineteenth-Century Great Britain as Background
to the “Cambridge Ritualists”, in Calder 1991, 123-52.
Naiditch 2011 = P.G. Naiditch, The Library of Richard Porson, Bloomington (Indiana) 2011.
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Giacomo Mancuso
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Short 1838 = T. Vowler Short, A Sketch of the History of the Church of England to the Revolution,
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Sicherl 1975 = M. Sicherl, Die editio princeps Aldina des Euripides und ihre Vorlagen, RhM 118,
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- 220 -
Per una bibliografia di Peter Elmsley
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Tichy 2010 = E. Tichy, Hermann als Grammatiker, in Sier – Wöckener-Gade 2010, 123-42.
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e una Postilla di E. Montanari (= Padova 19852 con correzioni ed aggiunte), Torino 2004 (trad. ted.:
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I, Lipsiae 1836.
- 221 -
Giacomo Mancuso
Abstract: This paper discusses some methodological issues related to the history of classical
scholarship, focusing on nineteenth-century British classical scholarship. Some remarks upon the
influence of John Locke’s empiricism on Richard Porson’s philological method are added. The
second part of the paper contains an annotated bibliography of Peter Elmsley’s philological works.
Keywords: Peter Elmsley, Richard Porson, British Empiricism, Classical Probability, History of
Classical Scholarship.
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