&
CRITICA
rivista quadrimestrale
pubblicata sotto gli auspici del centro pio rajna
direzione: bruno basile, renzo bragantini, roberto fedi,
enrico malato (dir. resp.), matteo palumbo
ANNO XL
fascicolo ii-iii
maggio-dicembre 2015
SALERNO EDITRICE
ROMA
FILOLOGIA
&
CRITICA
Anno xl, fascicolo ii-iii
maggio-dicembre 2015
SOMMARIO
Enrico Malato, Per Mario Martelli . . . . . . . . . . . . . . 169
Francesco Bausi, Martelli filologo . . . . . . . . . . . . . . . 174
Daniela Delcorno Branca, Il Poliziano di Martelli . . . . . . . 198
Elisabetta Guerrieri, Mario Martelli e ‘Il filtro degli anni Sessanta’ . . 210
Paolo Orvieto, Martelli, De Sanctis e la storiografia antiumanistica dell’Ot-
tocento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219
Enrico Malato, La memoria di Dante . . . . . . . . . . . . . 238
Stefano Carrai, Esercizio di restauro su un sonetto di Boccaccio . . . . 257
Bruno Basile, Inserti autobiografici nei ‘Commentarii in Asinum Aureum’
di Filippo Beroaldo il Vecchio . . . . . . . . . . . . . . . . . 261
Simona Mercuri, Genesi, storia e tradizione del ‘Tadeus vel de locis persianis’
di Bartolomeo Fonzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269
Franco Tomasi, Marco Mantova Benavides commentatore di Petrarca . . 279
Paola Ventrone, Il doppio prologo della ‘Mandragola’ e la scena di città . 300
Ester Pietrobon, « Come unita in un sol corpo »: la sezione lirica del salterio
di Giulio Cesare Pascali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 317
Claudia Bonsi, Il pittore e l’ape: Ariosto e Caro nel pensiero linguistico di
Vincenzo Monti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 346
Gianni A. Papini, Carducci, le ragioni del grande artiere . . . . . . . . 378
Giovanni Barberi Squarotti, Pascoli 1910-1911: Risorgimento neoclassico 385
Giovanni Bardazzi, Lettura di ‘Portami il girasole’ (Montale, ‘Ossi di sep-
pia’) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407
Arnaldo Bruni, ‘A e’ mi paéṣ’: la poesia dialettale di Giuseppe Bellosi . . 428
Roberto Fedi, La nostalgia prima della nostalgia . . . . . . . . . . 444
Indici analitici delle annate xxxvi-xl (2011-2015), a cura di Giorgio Leo-
nardi (Indice degli Autori, Indice dei libri recensiti o schedati, Indice dei manoscritti
citati, Indice analitico generale) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453
I n d i c e d e l l ’ a nnata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 00
La rivista adotta le seguenti sigle per abbreviazione: DBI = Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Ist.
della Enciclopedia Italiana, 1960-; F.eC. = « Filologia e Critica »; G.S.L.I. = « Giornale Storico della Lettera-
tura Italiana »; L.I. = « Lettere Italiane »; L.N. = « Lingua Nostra »; M.R. = « Medioevo Romanzo »; R.L.I. =
« La Rassegna della Letteratura Italiana »; R.S.D. = « Rivista di Studi Danteschi »; S.F.I. = « Studi di Filologia
Italiana »; S.L.I. = « Studi Linguistici Italiani »; S.P.C.T. = « Studi e Problemi di Critica Testuale ».
MARTELLI FILOLOGO
Anche per parlare di Martelli filologo (cosí come di Martelli critico, sto-
rico della letteratura, intellettuale e, soprattutto, uomo) conviene prendere
le mosse dal suo ultimo libro pubblicato in vita, lo Zapping di varia letteratura,
uscito nel 2007: una sorta di “zibaldone” che in settecento pagine raccoglie
263 schede (per lo piú brevi, talora brevissime) redatte a partire dalla metà
degli anni ’90 e contenenti osservazioni di vario genere – in prevalenza filo-
logico-erudite, ma non di rado anche critiche ed estetiche – su una larghis-
sima messe di testi e di autori, da Omero a Lalla Romano, senza tralasciare
le letterature straniere, e neppure, occasionalmente, la filosofia, la musica e
la pittura, qualora da simili discipline potesse venire un ausilio alla retta com-
prensione di un verso o di un passo. Libro nel quale Martelli, dall’alto dei
suoi ottant’anni, fa posto anche ad acuminate, brillanti e talora irriverenti
sortite polemiche contro le sue abituali teste di turco: l’estetica di Croce e dei
crociani, lo strutturalismo, la psicanalisi, Barthes, Lacan, e – per giungere al
tema che ci interessa – il metodo lachmanniano1 e i suoi odierni cultori.
Scorrendo la bibliografia di Martelli,2 è agevole constatare come il nucleo
piú corposo dei suoi contributi specificamente filologici si concentri soprat-
tutto all’inizio (anni ’60-primi anni ’70 del secolo scorso) e alla fine (dagli
ultimi anni ’90 alla morte) della sua carriera di studioso. Ciò dipese almeno
in parte da ragioni contingenti: in gioventú, lo stretto legame, di collabora-
zione e insieme di discepolato, con Roberto Ridolfi, che spronò Martelli ad
assidui studi eruditi e filologici su Lorenzo, Savonarola e Machiavelli; in
vecchiaia, le lunghe cure prestate all’Edizione Nazionale delle opere ma-
chiavelliane (varata nel 1993) e l’impegno in un corposo progetto albertiano,
solo in parte realizzato.3 Diversamente, la fase centrale della sua attività vide
1. In queste pagine, per comodità, adotto l’espressione « metodo di Lachmann » come si
nonimo di ‘metodo stemmatico’, o ‘degli errori comuni’, o ‘ricostruttivo’ o ‘genealogico’, ben-
ché sia ormai acclarato che solo in parte tale metodo, come oggi comunemente lo si intende,
possa effettivamente ricondursi al filologo tedesco, e meglio sarebbe forse parlare di « metodo
di Maas » (cfr. G. Fiesoli, La genesi del lachmannismo, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo,
2000).
2. Vedila in F. Bausi, « Interpres » senza Mario Martelli, in « Interpres », a. xxvi 2007, pp. 7-35,
alle pp. 12-35; e in N. Marcelli, Mario Martelli (1925-2007), in « Albertiana », a. x 2007, pp. 3-30,
alle pp. 9-30.
3. Il progetto comprendeva l’edizione di alcune operette volgari (Deifira, Risposta fatta a uno
singulare amico [ossia la versione-rimaneggiamento della Dissuasio Valerii di Walter Map], Eca
tonfilea [o, come preferiva chiamarla Martelli, Ecatonfila], De amore, Sophrona e Sentenzie pitago
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martelli filologo
riche) ed era destinato a confluire in un volume degli Opera omnia albertiani pubblicati presso
le « Belles Lettres » di Parigi. Videro la luce, separatamente e anticipatamente, solo la Risposta
(in « Interpres », a. xxii 2003, pp. 184-222) e il dittico De amore - Sophrona (ed. critica e commen-
to a cura di M. Martelli, trad. francese di S. Stolf, in « Albertiana », a. vii 2004, pp. 147-235).
4. In particolare, mi riferisco alle seguenti schede: xv. Endecasillabo: accento di quinta; xxxvii.
Divinatio ope ingenii; lviii. Errori d’autore; lxiv. Riportazione e autografo; ci. Errori separativi; cii.
Impossibilità dell’archetipo?; clxxxii. Zeugmata semanticamente complicati; cxcvi. Difficilius mendum;
ccxiii. Un restauro guittoniano; cclvi. Una nota filologica. Non prendo in considerazione, invece,
le numerosissime schede in cui Martelli si limita a proporre una nuova lettura o una nuova
emendazione di un verso o di un passo.
5. R. Bessi-M. Martelli, Guida alla filologia italiana, Firenze, Sansoni, 1984, p. i. Questo
agile manualetto, vuoi per la chiusura della Sansoni, vuoi per il profluvio di manuali di filolo-
gia italiana usciti nei decenni successivi, non ha avuto la fortuna che meritava ed è stato presto
dimenticato; né la casa editrice Le Lettere, erede del catalogo sansoniano, ha mai ritenuto
opportuno ristamparlo. Al suo scarso successo contribuí probabilmente anche certa stringa-
tezza argomentativa, nonché la decisione degli autori di illustrare le problematiche filologi-
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francesco bausi
Lo meo ’namoramento
Non pò parire in detto,
Ma sí com’eo lo sento
Cor no lo penseria né diria lingua;
E zo ch’eo dico è nente
Inver ch’eo son distretto
Tanto coralemente,
Foc’aio al cor, non credo mai si stingua.
Ora, come un tale errore possa considerarsi separativo di L dagli altri tre mss., io non
so davvero nonché vedere, ma neppure immaginare. Chi mai può darci una qualche
assicurazione che al cor non sia integrazione congetturale di L? Il punto fondamen-
tale è, infatti, questo: chi mai può darci un qualche pur pallido indizio che al cor sia
la lezione autentica? Se, infatti, le due parolette fossero state supplite da un L abba-
stanza sensibile alla ipometria del verso e tanto da non poterla tollerare, dovremo
concludere che la lacuna si trovava in un capostipite comune a tutta la tradizione
e, quindi, in quello che si chiama archetipo. La cosa è del tutto verosimile, ed anzi, al
meno altrettanto probabile di quanto non sia l’altra, che sia stato, cioè, un antigrafo
comune agli altri tre mss. a perpetrare un’omissione. Chi, dunque, può dirci che al
cor sia la lezione autentica? Chi ci dice che il Notaio non avesse scritto il verso in altra
forma e, ad esempio, in questa: « Foc’aio sí, non credo mai si stingua »? Chi ci dice che
la lezione autentica non fosse, e tale da modificare l’interpunzione del passo, que
che ricorrendo esclusivamente ad exempla ficta: due caratteristiche che lo renderebbero ostico
agli studenti dell’università di oggi.
6. Cfr. F. Brambilla Ageno, L’edizione critica dei testi volgari, Padova, Antenore, 1975, p. 80
[nota di Martelli; del manuale la Ageno pubblicò una seconda ed. nel 1984. Poco sopra, nella
citazione, la sigla BNCF designa ovviamente la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze].
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martelli filologo
st’altra: « E zo ch’eo dico è nente / Inver ch’eo son distretto / Tanto coralemente, /
Che foc’aio non credo mai si stingua »? Ciò che, per dichiarare congiunti in omissio-
ne PVMem, dovrebbe essere dimostrato è che al cor sia la lezione, non solo buona,
ma anche autentica; e invece – ed è, ahimè, la solita petizione di principio – è ciò che
si deve dimostrare che viene preso come prova che PVMem sono congiunti in
omissione.
La cosa è cosí evidente, che stupisce vedere come un Contini, nella nota al testo
dei Poeti del Duecento, cit., ragionasse proprio come ragiona l’Ageno.7 Ed è un ragio-
nare, nella sua geometrica ed astratta razionalità, del tutto irrazionale. […] In gene-
re, la critica del testo, pur parlando di errori separativi, non ne tiene poi, giunta al
l’applicazione pratica, il minimo conto. Nel suo già ricordato manuale, l’Ageno cosí
definisce l’errore separativo: « La indipendenza di un testimone B da un altro A si
dimostra per mezzo di un errore di A contro B che sia di tal natura che, per quanto
ci è dato sapere riguardo allo stato della critica congetturale nel tempo intercorso fra
A e B, non può essere stato eliminato per congettura da un copista ». Questo è quan-
to viene affermato, con essenziale ed indubitabile precisione, a p. 57. Ma l’Ageno
doveva o non essere convinta di quello che aveva scritto o non averne capito il signi-
ficato: passano, infatti, ventitré pagine e, a p. 80, giudica, come abbiamo visto, l’o-
missione di al cor, pur emendabilissima per congettura se mai lo fu un’omissione, se
parativa di VPMem da L.8
7. G. Contini, Nota ai testi in calce a Poeti del Duecento, a cura di G.C., Milano-Napoli, Ric-
ciardi, 1960, p. 802 (nota mia).
8. M. Martelli, Zapping di varia letteratura. Verifica filologica. Definizione critica. Teoria estetica,
Prato, Gli Ori, 2007, pp. 288-90.
9. G. Inglese, Il ‘Principe’ e i filologi, in « La Cultura », a. xxxviii 2000, pp. 161-66.
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francesco bausi
Né credo che l’osservazione dell’Inglese – come sempre molto acuto nel vedere
i punti dolenti di un metodo, di un passo, di una voce, anche se poi irrimediabilmen-
te restio a trarne tutte le conseguenze – possa limitarsi al caso di copisti sia compa-
trioti che contemporanei dell’autore la cui opera vanno trascrivendo. In realtà, la
cosa si verifica sempre, quando si tratti di un’opera scritta nella lingua madre di co-
loro che la trascrivono; i quali, in un numero maggiore o minore, emendano inevi-
tabilmente tutto ciò che si dichiari come evidente e grossolano errore, tale da non
poter sfuggire, per quanto ottusi e distratti essi siano, o alla loro intelligenza o alla
loro attenzione, e lasciano intatto solo ciò che permetta un margine di dubbio sulla
sua erroneità o la cui erroneità non sia immediatamente evidente. Solo se uno tra-
scriva da una lingua diversa dalla sua, la cui comprensione non sia per lui immedia-
ta ed indubitabile, le cose andranno in maniera diversa. Non per niente il tedesco
che inventò il metodo lo applicò ad opere sempre trascritte da copisti che parlavano
una lingua diversa da quelle dell’opera da essi trascritta. Piú volte, anche in questo
libro, sono tornato sulla riflessione che qui, nelle righe immediatamente preceden-
ti a queste, ho riproposto all’attenzione del lettore. Ciascuno di noi, in effetti, lo
esperimenta: trascrivendo da un antigrafo contenente un testo composto nella no-
stra stessa lingua e di cui siamo convinti di afferrare il senso, correggiamo un errore,
vero o presunto che sia, sostituiamo, spesso inavvertitamente, un sinonimo alla voce
che dovremmo copiare, invertiamo, non dando importanza alla cosa, l’ordine delle
parole, ampliamo se una notizia in nostro possesso ci sembra piú o meno importan-
te, sopprimiamo inconsapevoli un frammento di testo se il senso non ne risente: la
trascrizione, insomma, di cui, per essere il testo nella nostra stessa lingua, capiamo,
o crediamo di capire, il messaggio, è una trascrizione, anche se piú o meno, pur
sempre attiva ed innovatrice.10
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martelli filologo
Ossia: per il filologo italiano è di norma indimostrabile che « gli errori da lui
individuati come separativi di un testimone o di un gruppo di testimoni non
possono in alcun modo essere stati corretti per congettura ».14 Il corollario è
lampante: gli stemmi su cui si fonda la maggior parte delle moderne edizio-
ni critiche sono sbagliati, o, comunque, malsicuri.
Sulla base di un simile convincimento, Martelli si applica, nello stesso an
diconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli », a. xlv 1970, pp. 73-117,
alle pp. 86-87 (cit. da Bessi-Martelli).
12. Bessi-Martelli, Guida alla filologia italiana, cit., pp. 18-21. Alla base sta ovviamente G.
Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze, Le Monnier, 19522; rist. con premessa di
D. Pieraccioni, Firenze, Le Lettere, 1988, in partic. p. xi: « una ricetta universale per l’edizio-
ne critica […], dove la tradizione non è puramente meccanica, dovunque l’amanuense […] ha
creduto d’intendere, non è possibile, non esiste » (analogamente a p. xvii).
13. Entrambe le citazioni in Bessi-Martelli, Guida alla filologia italiana, cit., p. 22.
14. Le citazioni ancora ivi, p. 23. Parlo di « filologo italiano » perché tale fu, essenzialmente,
Martelli, il quale, pur avendo dato contributi fondamentali anche nel campo della letteratura
e della filologia umanistica (basti ricordare i saggi sulla seconda centuria dei Miscellanea e sul
l’epistolario del Poliziano, rispettivamente del 1973 e del 1978, poi raccolti in M. Martelli,
Angelo Poliziano. Storia e metastoria, Lecce, Conte, 1995, pp. 267-328 e 206-65), non pubblicò edi
zioni critiche di testi latini, nonostante avesse progettato e in parte allestito quella delle Seni
les petrarchesche.
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15. M. Martelli, Considerazioni intorno alla contaminazione nella tradizione dei testi volgari, in La
critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro. Atti del Convegno di Lecce, 22-26 ottobre
1984, Roma, Salerno Editrice, 1985, pp. 127-49. Pochi anni prima, lo stesso Martelli aveva pub-
blicato un’edizione non critica del poemetto (A. Poliziano, Stanze, a cura di M.M., Alpigna-
no, Tallone, 1979), riprendendo il testo fissato da Pernicone, ma apportandovi alcuni impor-
tanti ritocchi di lezione e di punteggiatura (vd. la Nota al testo, pp. 127-31). Per quanto segue cfr.
anche l’Introduzione all’ed. critica da me curata di A. Poliziano, Stanze per la giostra, Messina,
Centro interdipartimentale di studi umanistici, i.c.s.
16. Cfr. Martelli, Considerazioni, cit., p. 134, dove si afferma che la contaminazione « do-
vrebbe essere riconosciuta per quello che spesso essa è in realtà: un sintomo, e decisamente tra
i piú allarmanti, della inattendibilità dello stemma ». Il tema è fra i piú cari a Martelli, che ac-
cusava i filologi neo-lachmanniani – scherzosamente definiti da lui « i nipotini di nonno Lach
mann » – di invocare l’aiuto della « santa Contaminazione » (richiedendola di servigi « a volte
decisamente inverecondi ») ogni volta che fosse necessario « assestare e risolvere tutto quanto
non torna » nei loro stemmi (cfr. M. Martelli, Machiavelli tra politica e retorica. Il capitolo ‘De in
gratitudine’ a Giovanni Folchi, in « Interpres », a. xxv 2006, pp. 169-224, a p. 214).
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martelli filologo
17. Martelli, Considerazioni, cit., p. 144. Per Martelli, α è il capostipite comune a tutti i te-
stimoni, tranne B e M1. Le sigle corrispondono ai seguenti testimoni: B = Cose vulgare del Poli
tiano, Bologna, Platone de’ Benedetti, 9 agosto 1494; C = London, British Library, Additional
16439; M1 = Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II X 54; P = Paris, Bibliothèque Nationa-
le, Ital. 1543; R1 = Firenze, Biblioteca Riccardiana, 1576; R2 = Firenze, Biblioteca Riccardiana,
2723.
18. Martelli, Considerazioni, cit., p. 142.
19. Vd. sopra, p. 176. Convinzione, questa, ribadita piú volte da Martelli, ad es. anche nel
saggio 72 restauri preliminari (+ 1) al testo del ‘Canzoniere’ laurenziano, in « Interpres », a. xi 1991, pp.
182-294, a p. 183: « assai piú spesso di quanto non si suppone, sono piuttosto le lezioni corrette
ad imparentare i testimoni che non gli errori »; e nello Zapping, cit., p. 639.
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20. Le due citazioni da Martelli, Considerazioni, cit., risp. pp. 148 e 137.
21. Ivi, p. 146.
22. G. Gorni, Le gloriose pompe (e i fieri ludi) della filologia italiana oggi, in « Rivista di letteratu-
ra italiana », a. iv 1986, fasc. 2 pp. 391-412, a p. 404.
23. Martelli, Considerazioni, cit., p. 131.
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24. Cfr. F. Bausi, La filologia, in Storia della civiltà toscana, ii. Il Rinascimento, a cura di M. Cili-
berto, Firenze, Le Monnier, 2001, pp. 293-312, alle pp. 302-3. Ma si tratta di un principio ri
conosciuto anche dai filologi moderni: cfr. ad es. Pasquali, Storia della tradizione, cit., p. 32, e
d’A.S. Avalle, Fenomenologia ecdotica del Medioevo romanzo [1972], in Id., La doppia verità. Fenome
nologia ecdotica e lingua letteraria del Medioevo romanzo, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2002, pp.
125-53, a p. 147.
25. Il codice in questione è il ms. 303 della Bibliothèque Inguimbertine di Carpentras, si-
glato A dagli editori del trattato (vedine la dettagliata descrizione autoptica di N. Marcelli,
Descrizione dei testimoni, in N. Machiavelli, Il Principe, a cura di M. Martelli, corredo filolo-
gico a cura di N. Marcelli, Roma, Salerno Editrice, 2006, pp. 325-39, alle pp. 325-29). Come
scrive Martelli (Dai testimoni al ‘Principe’, ivi, pp. 339-507, a p. 354), « grazie soltanto all’ignoranza
e all’indifferenza di questo copista, che, incurante di una sintassi che non tornava, di parole che
non davano senso, di un latino non mai esistito, trascrisse quello che leggeva o che pensava
doversi leggere – ma io ritengo che da chi gli aveva commissionato il lavoro fosse stato anche
diffidato dal correggere, interpretare, cambiare –, abbiamo conservato non poco che ci aiuta
a ricostruire in parte l’originario trattato ».
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francesco bausi
nella quale ci si trova di ricostruire uno stemma che definisca con precisione lo svi-
lupparsi della tradizione della lirica savonaroliana.26
Non stupisce pertanto che, in sede di costituzione del testo, Martelli decida
di attenersi a un testimone-base (la stampa ottocentesca curata da Cesare
Guasti e Carlo Capponi),27 anche se nella Aggiunta finale, di fronte alla tardi-
va scoperta di un nuovo testimone (il manoscritto XIV IV 284 dell’Archivum
Generale Ordinis Praedicatorum di Roma, venuto alla luce quando l’edizio-
ne era già impaginata), Martelli giunge a revocare in dubbio anche questa
scelta, giacché l’esame del codice lo spinge a dubitare dell’autografia del per-
duto manoscritto S – sul quale si erano fondati Guasti e Capponi – e dunque
a mettere in discussione i fondamenti stessi della sua procedura ecdotica.28
Martelli, sulla scorta di Bédier, soleva ripetere che la pseudo-scientifici-
tà del metodo ricostruttivo emerge con tutta evidenza quando, una volta ap-
prontata l’edizione di un testo, viene alla luce un nuovo manoscritto: 29 que-
sto, infatti, nella maggior parte dei casi crea gravi imbarazzi al filologo, che si
scontra con la difficoltà o l’impossibilità di inserirlo nello stemma da lui pre
disposto. Ebbene, ciò accadde anche a Martelli con le poesie di Savonarola,
perché il recupero del codice domenicano lo indusse (quasi « goccia che fac-
cia traboccare il vaso ») a dar corpo e voce ai sospetti, da lui già in preceden-
za nutriti ma tenuti fin lí a bada, in merito all’autografia di S, fino a conclu-
dere che essa debba ritenersi « estremamente improbabile »;30 e se alla fine
decise comunque di seguire la stampa Guasti-Capponi, è perché quand’an-
che si fosse potuto dimostrare S non autografo, le concrete ricadute testuali
di una simile conclusione sarebbero state, a suo avviso, comunque limitate.
Anche nel Simposio Martelli adotta le consuete procedure neo-lachman-
niane, individua famiglie di codici, ricostruisce la genesi della tradizione e la
26. M. Martelli, Nota critica a G. Savonarola, Poesie, a cura di M.M., Roma, Belardetti,
1968, pp. 57-269, a p. 194.
27. G. Savonarola, Poesie, tratte dall’autografo, Firenze, Antonio Cecchi, 1862.
28. Infatti, come scrive Martelli, Nota critica, cit., p. 266, negare l’autografia di S (un codi-
cetto già conservato presso l’Archivio Borromeo dell’Isola Bella [Verbania] e probabilmente
andato perduto durante i bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale) porterebbe « alla
revisione stessa dei criteri sui quali mi sono fondato per fissare il testo critico della poesia sa-
vonaroliana ».
29. Cfr. in merito G. Contini, Filologia (1977), a cura di L. Leonardi, Bologna, Il Mulino,
2014, p. 39, dove questa indubbia « instabilità dello stemma » evidenziata da Bédier viene tut-
tavia interpretata come una qualità positiva, giacché favorirebbe la « marcia di avvicinamento
alla verità » (una verità intesa come « diminuzione di errore »).
30. Martelli, Nota critica, cit., p. 268.
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31. M. Martelli, Introduzione a Lorenzo de’ Medici, Simposio, ed. critica a cura di M.M.,
Firenze, Olschki, 1966, pp. 3-96 (gli stemmi si trovano in calce al volume, in due fogli piegati
e non numerati: il primo si riferisce ai capp. i-vi del poemetto laurenziano, il secondo ai capp.
vii-viii, giacché a parere di Martelli questi due blocchi del testo ebbero tradizioni separate).
32. Vd. ad es. quanto Martelli scriverà molti anni dopo in 72 restauri preliminari (+ 1) al testo
del ‘Canzoniere’ laurenziano, cit., pp. 182-83, dove, a proposito degli elaboratissimi stemmi trac-
ciati da Tiziano Zanato nella sua edizione (Lorenzo de’ Medici, Canzoniere, a cura di T.Z.,
Firenze, Olschki, 1991), dichiara di voler « lasciare l’allestimento di tanto complessi ed inquie-
tanti grafici a chi nutre maggiore fiducia di me nella possibilità di giungere, sul fondamento
dei soli errori, ad una attendibile classificazione della documentazione tradizionale e, quindi,
al disegno di uno stemma effettivamente funzionale alla costituzione del testo ».
33. Martelli, Introduzione a Lorenzo de’ Medici, Simposio, cit., p. 93.
34. Vd. qui anche pp. 182 e 187-88.
35. Pasquali, Storia della tradizione, cit., pp. 136 (per la citaz. di Schwartz) e 112-13.
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non permettono una risposta traducibile in una modificazione dello stemma da noi
costruito. Essi (e qui ci sembra che risieda il punto fondamentale) varranno soltanto
a metterci in guardia di fronte ad una rigida o, vogliam dire, meccanica applicazione
dei suggerimenti e delle indicazioni ricavate da un metodo che, nel caso del Sim
posio, è valido solo entro certi limiti ed a certe condizioni. D’altronde, sempre piú
spesso ci si accorge come per la filologia romanza e, massime, per quella umanistica,
sia impossibile assumere sic et simpliciter sistemi di lavoro che hanno in altri tempi e
per altre discipline svolto una funzione utile e positiva.36 Nel caso particolare dell’o-
pera laurenziana, poi, e del Simposio non è chi non veda che una tradizione svilup-
patasi nel breve arco di pochissimi decenni e, in gran parte, entro le mura di una
città, se non addirittura di una casa, non può non proporre problemi e soluzioni del
tutto diversi da una tradizione che occupi di sé lo spazio di secoli e si dirami fin nei
paesi piú lontani dall’epicentro.37
36. Si tratta, com’è evidente, di un riferimento alle riserve espresse in merito al metodo
lachmanniano da Pasquali, Storia della tradizione, cit., recuperate e sviluppate con larghezza da
Martelli e Bessi anche nel manuale del 1984 (Bessi-Martelli, Guida alla filologia italiana, cit.,
in partic. pp. 18-19 e 31; vd. qui sopra, n. 12).
37. Martelli, Introduzione a Lorenzo de’ Medici, Simposio, cit., p. 95. Nella sua ricchissima
recensione all’ed. Martelli (apparsa sul G.S.L.I., a. cxliv 1967, fasc. 445 pp. 116-34), Emilio Pa-
squini – che appena due anni prima aveva pubblicato l’iper-lachmanniana edizione del Sa-
viozzo, corredata da un mastodontico stemma disteso su un foglio fuori testo ripiegato in sei
parti: Simone Serdini da Siena detto il Saviozzo, Rime, ed. critica a cura di E.P., Bologna,
Commissione per i testi di lingua, 1965 – manifestò perplessità a questo proposito (« sarei tut-
tavia scettico sulle possibilità di una sopravvivenza della lezione autentica in un testimone
isolato e tardo ») e affermò che le contraddizioni riscontrabili nella tradizione del poemetto
non « devono indurre a sfiducia nella metodologia lachmanniana e al ricorso a spiegazioni cosí
eversive e in fondo poco stringenti » (p. 125, con allusione all’ipotesi martelliana della presenza
di doppie lezioni nell’archetipo o addirittura nell’autografo).
38. Allo stesso modo si presenta l’apparato nella coeva ediz. critica dell’anonima Caccia di
Belfiore (M. Martelli, Un recupero quattrocentesco: ‘La Caccia di Belfiore’, in « La Bibliofilia », a.
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martelli filologo
lxviii 1966, pp. 109-63), dove, parimenti, l’efficacia operativa dello stemma bipartito tracciato
da Martelli a norma lachmanniana viene subito ridimensionata dalla constatazione della
presenza di varianti d’autore (il cui mescolarsi nella tradizione lo porta a credere che essa
discenda da un archetipo contenente due redazioni sincroniche del poemetto) e rimaneggia-
menti di copisti; cosicché, per fissare il testo, egli decide di attenersi a uno solo dei due rami
(β), correggendone gli errori sulla base dell’altro, e, nuovamente, accogliendo talora anche
certe singulares, quando gli appaiano poziori e verosimilmente risalenti all’autore (ivi, pp. 111-
15).
39. M. Barbi, La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante a Manzoni, pres. di V.
Branca, Firenze, Le Lettere, 1994 (19381), p. xxiii: « non dobbiamo aver paura del soggettivo,
che non è di necessità l’arbitrario: al contrario quanto piú si desiderano procedimenti obietti-
vi, tanto piú va portata in prima linea la ragione come principale fattore in ogni operazione
che giovi a un’edizione veramente critica. […] non è da dubitare della ragione, ma del cattivo
uso di essa »; Pasquali, Storia della tradizione, cit., p. xi: « a ricostruire di sui manoscritti il testo
originario di uno scrittore antico occorre fin da principio esercitare il giudizio e […] questa
facoltà non può essere sostituita da alcuna regola meccanica ».
40. Bessi-Martelli, Guida, cit., p. 30 (corsivo degli autori).
187
francesco bausi
trario gli altri copisti a introdurre, indipendentemente, quella in cui essi concorda-
no.41
Qui sta la radice prima delle aspre polemiche che Martelli ingaggiò con fi-
lologi di stretta osservanza neo-lachmanniana, fra i quali, soprattutto, Tizia-
no Zanato (in merito al Canzoniere di Lorenzo)42 e Giorgio Inglese (relativa-
mente al Principe). Quest’ultima diatriba, in particolare, occupò buona parte
delle energie di Martelli nella fase finale della sua vita e della sua attività, e
trovò espressione in due momenti fondamentali: il Saggio sul ‘Principe’, del
1999,43 e la già ricordata edizione critica dell’opuscolo machiavelliano, che,
condotta in collaborazione con Nicoletta Marcelli e uscita nel 2006, costi
tuisce la sua ultima grande prova filologica.
Nel caso del Principe, il rifiuto della ricostruzione di Inglese nasce dalla
difficoltà di distinguere, nella tradizione dell’opuscolo, tra variante (o erro-
re) di copia, variante (o errore) d’autore, e ritocco di postumi revisori impe-
gnati a rassettare un testo lasciato da Machiavelli in condizioni di precarietà
e provvisorietà sia formale che sostanziale. Il nesso di interpretazione e filo-
logia – sempre operante in lui, e caratteristico del suo metodo di lavoro –
spinge Martelli a sottolineare fortemente tale provvisorietà, vedendovi la
cifra peculiare del trattato, e considerando spesso le lezioni “migliori” reca
te da alcuni codici (D e G)44 come altrettanti tentativi, messi in opera da co
pisti e revisori, di sanare le aporie e le imperfezioni dell’autentico e sovente
approssimativo dettato machiavelliano (piú fedelmente riprodotto, a suo
41. Ivi, p. 31. Considerazioni in tutto analoghe, ispirate da Pasquali (Storia della tradizione, cit.,
p. 112), si trovano in una lettera di Sebastiano Timpanaro a Franca Ageno del 7 gennaio 1975:
« laddove una lezione si impone per il suo intrinseco valore, essa va, in linea di massima, accol-
ta nel testo anche contro lo stemma (può sempre trattarsi di una lezione migliore penetrata, ma-
gari, in un unico codice per collazione; oppure la contaminazione può, a dispetto dei rappor-
ti genealogici “verticali”, aver diffuso una lezione peggiore in tutti i mss. tranne in uno) » [ag-
giunta sul margine sinistro: « anche in una tradizione che, nell’insieme, si presenta come non
contaminata, non possiamo mai essere sicuri che occasionalmente non vi sia stata contamina-
zione: anzi quasi sempre c’è stata »]. La lettera è pubblicata da A. Canova, Dal laboratorio di
Franca Brambilla Ageno. Annotazioni per il metodo e una corrispondenza con Sebastiano Timpanaro, in
Tra filologia e storia della lingua italiana. Per Franca Brambilla Ageno, a cura di A.C., Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura, 2015, pp. 77-109, a p. 107; il corsivo è dell’autore.
42. Vd. il saggio di Martelli qui cit. alla n. 32, con la replica dell’interlocutore: T. Zanato, ‘n’
controrestauri al ‘Canzoniere’ laurenziano, in « Rivista di letteratura italiana », a. xi 1993, fasc. 3 pp.
453-533.
43. M. Martelli, Saggio sul ‘Principe’, Roma, Salerno Editrice, 1999.
44. Si tratta, rispettivamente, del ms. München, Universitätsbibliothek, 4°-787, e del ms.
Gotha, Forschungsbibliothek, chart. B 70.
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martelli filologo
parere, dagli altri testimoni, raggruppati nella famiglia y), mentre Inglese vi
scorgeva le tracce di una seconda redazione d’autore.
Nel Saggio, Martelli sostenne la dipendenza di tutta la tradizione (y, D, G:
i tre rami dello stemma tracciato da Inglese nella sua edizione critica del
1994)45 da un archetipo variamente corrotto, negando pertanto che i testi-
moni a noi pervenuti conservino tracce di una rielaborazione del testo da
parte di Machiavelli.46 Martelli provò inoltre la parentela (in numerosi er-
rori) di D G, che discendono dunque da un comune capostipite z; e tracciò
uno stemma a due rami (y x), rami che spesso, tuttavia, si confondono e si
sovrappongono.47 Alcuni anni dopo, in occasione della sua edizione critica
del trattato, pensò piuttosto a un archetipo in movimento, dal quale nel
corso degli anni sarebbero derivati diversi gruppi di codici; ma si trattereb-
be sempre di un “movimento” non redazionale, dovuto a successivi inter-
venti di sistemazione e correzione dell’opera eseguiti da persone diverse
dall’autore. Per questo, Martelli fonda il suo testo su quello della famiglia y,
scegliendo al suo interno, come già abbiamo ricordato, il manoscritto A,
l’unico che a suo avviso rifletta fedelmente – come dimostrerebbero i mol-
ti e gravi errori da cui è macchiato – la veste originaria dell’archetipo (risa-
lente per lui al 1518, quando Machiavelli avrebbe tentato di pubblicare l’o-
puscolo a supporto dell’azione politica di Lorenzo de’ Medici il Giovane),
prima che altri cercasse in vari modi e tempi di limarlo e di rivederlo (e
quella di D G, per Martelli, è solo l’ultima fase di questo lungo lavoro di siste
mazione).48
La filologia di Martelli, come altri settori della sua poliedrica attività di
studioso, ha suscitato talvolta perplessità e riserve, anche per il suo modo
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francesco bausi
49. In questo volume spicca la distanza metodologica fra l’edizione ricostruttiva del De
origine inter Gallos ac Britannos belli historia di Bartolomeo Facio, curata da Gabriella Albanese,
e l’edizione braccioliniana della Bessi, che sottolinea invece come « l’operazione di restitutio
textus non potrà […] svolgersi seguendo le ragioni di uno stemma periclitante in piú punti […]
ma dovrà invece orientarsi verso un’opzione di tipo neo-bédieriano, scegliendo il codice-base
nell’àmbito dei testimoni portatori di un testo corretto e il piú possibile stabile » (scelta che
cade sul Magliab. XXIII 42 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze). Infatti, « l’alterna-
tiva sarebbe un testo ricostruito valutando caso per caso le varianti attestate dai testimoni piú
prossimi all’archetipo e comunque sospettabili di conservare lezioni d’autore: un’operazione
scomoda, non esente da rischi – non ultimo quello della contaminazione tra filoni tradiziona-
li di incerti confini – e da delegare in toto a criteri iudiciali che, stante l’assoluta adiaforia della
maggior parte delle varianti, solo in pochi casi risulterebbero oggettivamente fondati » (le ci-
tazioni dalla Nota al testo della Bessi alla novella del Bracciolini: All’origine della guerra dei cento
anni: una novella latina di Bartolomeo Facio e il volgarizzamento di Jacopo di Poggio Bracciolini, a cura
di G. Albanese e R. Bessi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2000, pp. 295-376, a p. 372).
50. R. Bessi, Introduzione a La Nencia da Barberino, a cura di R.B., Roma, Salerno Editrice,
1982, pp. 13-119, a p. 119.
51. In merito all’Ambra, Tiziano Zanato (Lorenzo de’ Medici, Opere, a cura di T. Zanato,
Torino, Einaudi, 1992, p. 527) giudica discutibili i criteri ecdotici seguiti dalla Bessi, « in quanto,
denunciata l’impossibilità di pervenire a uno stemma, la curatrice finisce con l’avallare un’o-
perazione neobédieriana di fedeltà a un unico testimone ». Relativamente invece alla Nencia,
la condotta della Bessi fu criticata da Paolo Trovato (nella sua ampia recensione all’edizione,
in « Rivista di letteratura italiana », a. i 1983, fasc. 3 pp. 635-49), il quale osserva, fra l’altro, che le
argomentazioni della curatrice « prescindono del tutto, inspiegabilmente, dalla ricerca e indi-
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martelli filologo
viduazione di errori guida, che soli consentirebbero […] di avvicinarsi a una soluzione » (p.
643) e – quand’anche una recensio non fosse praticabile – almeno di ricostruire la storia della
tradizione. Posizione condivisa da Zanato, che elogia Trovato per avere « riportato la questio-
ne nei corretti termini lachmanniani » (Lorenzo de’ Medici, Opere, cit., p. 160).
52. Zanato, ‘n’ controrestauri al ‘Canzoniere’ laurenziano, cit., p. 521. Ultimamente, gli attacchi
piú decisi al neobédierismo sono venuti da L. Leonardi, Il testo come ipotesi (critica del manoscrit
to-base), in M.R., a. xxxv 2011, pp. 5-34 (che però guarda alla filologia romanza, dove prevalgo-
no le edizioni fondate sul metodo di Bédier).
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francesco bausi
53. Di Branca, in particolare, deve ricordarsi la Prefazione al suo Tradizione delle opere di Gio
vanni Boccaccio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1958, pp. ix-xxxix, alle pp. xxiv-xxv,
dove si sottolinea « l’esigenza di allargare la ricerca filologica oltre il canonico cerchio della
descrizione e della classificazione delle testimonianze, di avanzarla oltre la consueta meta di
delineare uno stemma: di indirizzarla cioè a una ricostruzione piú comprensiva, che dalla
storia del momento vivo e dinamico della tradizione tragga elementi decisivi per giungere piú
sicuramente a quegli insostituibili esiti testuali », e si ribadisce che il metodo di Lachmann « è
solo un mezzo ausiliario di ricostruzione storica » (e qui torna alla mente la vecchia definizio-
ne della filologia, della codicologia e della paleografia quali “scienze ausiliarie”, che Martelli,
suscitando la disapprovazione di certi colleghi, era solito provocatoriamente ripetere). Branca
fu anche, non a caso, partecipe prefatore all’ultima ristampa, nel 1994, del capitale volume
barbiano: cfr. V. Branca, Michele Barbi e la nuova filologia, presentaz. a Barbi, La nuova filologia,
cit., pp. 5-19, dove spicca fra l’altro l’abbondanza di citazioni – dallo stesso Barbi, e da Bédier,
Parodi, Housman – relative al ruolo centrale dello iudicium in ecdotica (ivi, pp. 11-12).
54. Vd. al riguardo l’Appendice C che chiude il volume di S. Timpanaro, La genesi del metodo
del Lachmann (1963), rielaborata fino all’ed. del 1985 (Padova, Liviana), e che qui cito dall’ed.
postuma curata da Elio Montanari (Torino, Utet, 2003, pp. 129-60). Ma già in un suo vecchio
articolo (Ancora su stemmi bipartiti e contaminazione, in « Maia », a. xvii 1965, pp. 393-99) Timpa-
naro aveva proposto considerazioni di questo genere.
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martelli filologo
Eppure, nella testa continua a ronzarmi quello che ebbe a dire Richard Bentley
nella sua edizione delle Odi d’Orazio (Cambridge, 1701), che a lui cioè « et ratio et
res ipsa centum codicibus potiores sunt », e che io trovo citato da Sebastiano Timpa-
naro nel suo La genesi del metodo del Lachmann (Torino, Utet, 20033, p. 25); sí, il Bentley
lo diceva in tema di congetture; ma io sono sicuro di non discostarmi dal suo modo
di pensare e di sentire affermando che, quando una lezione sa perentoriamente
193
francesco bausi
d’autenticità, non c’è barba di stemma che possa indurmi a rifiutarla. Il che mi acca-
de anche di fronte a questo verso dell’Ambra.58
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martelli filologo
le Ruggiero (Nota al testo a N. Machiavelli, Il principe, a cura di R.R., Milano, Rizzoli, 2008,
pp. 39-42, a p. 42) ritiene che la tradizione del Principe sia schematizzabile in uno stemma bi-
partito, benché poi, come Inglese, egli attribuisca maggior credito alla lezione di D G.
62. G. Inglese, Introduzione a Machiavelli, Il Principe, ed. Einaudi cit., p. xxxiii. Pur non
accogliendone del tutto i risultati, anche Raffaele Ruggiero considera « prezioso » il contribu-
to fornito da Martelli con la sua ed. del Principe, invitando a fare « tesoro della sua riflessione
come dei sentieri, talora impervi, che egli ha percorso » (R. Ruggiero, Ecdotica machiavelliana,
in « Ecdotica », a. v 2008, pp. 279-308, a p. 292).
63. Inglese, Introduzione a Machiavelli, Il Principe, ed. Einaudi cit., p. xxxiii.
64. Cfr. M. Martelli, La parte del Sassoli, in S.F.I., a. xxviii 1970, pp. 177-251; E. Neppi, Mar
telli, Ortis e la parte del Sassoli, in Per Mario Martelli. L’uomo, il maestro e lo studioso, a cura di P. Or-
vieto, Roma, Bulzoni, 2009, pp. 67-72 (dove si sottolinea come quel lavoro martelliano abbia
dovuto attendere quasi trentacinque anni per essere debitamente valorizzato; con riferimen-
to ai contributi di M.A. Terzoli, Le prime lettere di Jacopo Ortis. Un giallo editoriale tra politica e
censura, Roma, Salerno Editrice, 2004, e dello stesso E. Neppi, La “parte del Sassoli” fra giallo edito
riale e iperboli foscoliane di vita e di morte, in G.S.L.I., a. clxxxiii 2006, fasc. 603 pp. 418-34).
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francesco bausi
65. Ma anche le questioni attributive lo occuparono a lungo: basti pensare alla polemica che
egli ingaggiò con Paolo Trovato e Ornella Castellani Pollidori in merito al Discorso o dialogo
intorno alla nostra lingua attribuito a Machiavelli (ma, per Martelli, sicuramente apocrifo).
66. Benché i due non si amassero affatto, Martelli avrebbe certo approvato quanto scrisse
Carlo Dionisotti in una lettera a Giovanni Pozzi del 2 agosto 1965: « Mai piantare lí i testi, se di
edizioni si tratta che invitino veramente a leggere i testi, a commentarli. Siamo stanchi e sazi
di apparati stratosferici, di stemmi fasulli, di araldica filologica, di quisquilie grafiche, ma sia-
mo affamati di commenti » (C. Dionisotti-G. Pozzi, Una degna amicizia, buona per entrambi.
Carteggio 1957-1997, a cura di O. Besomi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013, p. 84).
67. M. Martelli, I dettagli della filologia, in « Interpres », a. xx 2001 [ma 2003], pp. 212-71; poi
in Id., Tra filologia e storia. Otto studi machiavelliani, a cura di F. Bausi, Roma, Salerno Editrice,
2009, pp. 278-335.
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martelli filologo
Francesco Bausi
Il saggio prende in esame la produzione filologica di Martelli, guardando sia alle sue
edizioni critiche, sia ai suoi contributi di carattere metodologico. Ne emerge il profilo di
un filologo antidogmatico, che nella sua lunga carriera ha sempre fuggito le rigidità dei
“metodi”, rivendicando il ruolo centrale dello iudicium nell’ecdotica. Infine, si valuta la
fortuna, negli anni successivi, delle proposte e delle ricostruzioni filologiche martelliane,
che hanno portato contributi fondamentali riguardo ai testi di autori quali Lorenzo de’
Medici, Poliziano, Machiavelli e Foscolo.
The paper reviews the philological production of Martelli, considering both his critical editions, and
his contributions concerning methodological aspects. It outlines then a profile of an anti-dogmatic
philologist, always distant, through his long career, from the rigidity of the methods, and always claim
ing the central role of the iudicium in textual criticism. Lastly, the paper assesses the fortune through
the years of Martelli’s philological proposals and hypotheses, bringing a crucial contribution with re
spect to the works of authors as Lorenzo de’ Medici, Poliziano, Machiavelli, and Foscolo.
68. Ivi, p. 335. Destinatario della polemica era Gennaro Sasso, in riferimento alle afferma-
zioni antifilologiche contenute nel suo contributo In margine al quinto centenario della nascita di
Niccolò Machiavelli (1972), ora in G. Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, iv, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1997, pp. 365-449; un saggio a proposito del quale lo stesso Sasso ha recentemente
affermato che oggi non lo riscriverebbe (Prefazione a Id., Su Machiavelli. Ultimi studi, Roma,
Carocci, 2015, pp. 9-12, a p. 10).
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