1 ottobre 2015
Gian Biagio Conte, Dell’imitazione. Furto e originalità, pp. 109, € 10, Edizioni della
Normale, Pisa 2015
Il titolo del libretto è allusivo e ammiccante, perché la prima parte ha sapore antico (Perì
miméseos suonerebbe nel greco di un trattatista), ma soprattutto perché sintetizza un
complicato problema di teoria letteraria (sindrome da cui l’autore si riteneva immune, e che
invece torna a caratterizzare le sue riflessioni). I tre termini-chiave della questione sono
collegati dalla qualità dell’azione: chi è bravo a imitare diventa originale, chi è maldestro
commette invece un furto. Ovviamente si sta discutendo di poesia, e di grandi autori latini in
eterna dialettica con i modelli greci (Virgilio in competizione con Omero è il soggetto del
primo capitolo, Rubare la clava ad Ercole). Le considerazioni letterarie di Gian Biagio Conte
(professore emerito di letteratura latina nella Scuola Normale Superiore di Pisa) riguardano
però un problema, il rapporto artistico-testuale tra modello e derivato, che si è mantenuto
anche in epoche più recenti, fino alle scuole ermeneutiche del Novecento (dallo strutturalismo
alla linguistica trasformazionale: ed è questo il filone, animato anche da piglio finemente
polemico, del secondo capitolo, Una retrospettiva critica: metodo e limiti). L’autore ritorna
sull’argomento cui aveva dedicato un celebre saggio einaudiano quarant’anni fa (Memoria dei
poeti e sistema letterario: Catullo, Virgilio, Ovidio, Lucano, 1974), ma propone nuove
pagine, straordinarie per chiarezza e per abilità di sintesi. La firma del maestro si riconosce
nell’insistenza sul concetto di “sistema” e di “struttura” letterari (segno di fedeltà al magistero
di Gianfranco Contini e di Giorgio Pasquali), in base al quale attribuire valore sia alla
tradizione letteraria sia a un’intera vita dedicata all’analisi filologica.
Michele Curnis