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PÀTRON EDITQRE
Questa Collana, diretta da Alfonso Traina, professore emerito di
Letteratura latina presso l 'Università di Bologna, da più di un
trentennio oflre agili e rigorosi strumenti essenziali sia all 'inse-
gnamento universitario, sia alla ricerca scientifica in tutti i campi
del latino. Opere originali si alternano con traduzioni, curate da
specialisti e sempre introdotte, rivedute e aggiornate. Il successo
della Collana (pertinente a varie discipline come la Linguistica,
la Filologia e la Storia letteraria) è attestato dalle numerose
riedizioni, il cui costante aggiornamento la tiene al passo col
progresso scientüico.
I|ìBN _2637{l5
9 788855 526371
TESTI E MANUALI PER UINSEGNAMENTO
UNIVERSITARIO DEL LATINO
UALFABETO E LA PRONUNZIA
DEL LATINO
QUINTA EDIZIONE
n nApp nd
PATRON EDITORE
BOLOGNA 2002
Copyright © 2002 by Pàtron editore _- Quarto inferiore - Bologna
Ristampa
5 4 3 2 1 0 2007 2006 2005 2004 2003 2002
I. L°ALFABETO
II. LA PRONUNZIA
APPENDICE
Ristampo inalterato, non senza riluttanza, questo che fu uno dei miei
primi libri, per venire incontro alle richieste che, nonostante tutto, perven-
gono ancora all'Editore. Non era il caso di aggiornarlo, perché, a parte il
fatto che la mole degli interventi avrebbe snaturato il taglio del manuale,
gli aggiornamenti essenziali si possono leggere nella nostra Propedeutica
al latino universitario, Bologna 1998”, cap. II (La pronunzia), Bibliografia
(pp. 69-73, 448-449). Ho invece aggiunto in Appendice il mio intervento ad
un dibattito su La pronuncia del latino nelle scuole del 1966 (vd. infra, p.
38, n. I), dove soppesavo il pro e il contra della sua applicazione. Oggi il
problema non è più la pronunzia del latino nella scuola, ma il latino nella
scuola.
UALFABETO
ABCDEFGHIKLMNOPQRSTVXYZ
a be oe dee ef ge ha i ka el em en o pe qu er es te u ix liyzeta,
(1) Cfr. Prisc. I 35 H.: H lit-terarn non esse ostendimus, sed notarn aspira-
tionis, quam Graecorurn a'ntiqu~issimi sirniliter ut Latini in uersu scribebarzt;
nunc autem dim'-serunt et dewtrarn eius partem supra litteram ponentes, psiles
notarn habent... sinistrarn autem contrariae aspirationis.
(2) Si ricordi che nei dialetti italici la labiovelare K2 è rappresentata. da p.
In latino popina si denunzia come un prestito osco di fronte al suo corrispon-
dente indigeno coquina.
1. L”oR1oiNE DELL'AL1=.›~.BETo LATINO. ROMA 1: 1.'n'rr<U1uA 13
dalla forma grecizzante Ganymedes, rimase come nome comune nel senso di
« amasio ›› (cfr. il nostro ganimede), per es. Cio. Phil. 2, 77: ut te Catam/ítwm...
'mulier aspíceret (P. THOMAS, Autour d'un passage de Plaute, in .Hommages à
If. Ilcrrmunn, lšru.\:<-Iles, 1960, pp. 7ll-713; U. l'u(:(:1<›r~;1, .\'«›te››'e1Ic cicwo-
›n`m1,e, «.\laiz1››, 1967, pp. 173-175). 'Fonni in corrispond<›nzn di medie giv-
chc in amtichi prestiti (-olnv .v/›«›rIu (a|('(-us. nnvgíôu) <- um,u›w| (rìyógyu) fzmlm
sospettare Pintermediario etrusco (contestato recentemente per triumpus/
1?Qiu/ißoç).
(1) V. p. 23 sul nome di K e Q.
(2) Ma giù. in Grecia il 4? si trova solo dinanzi a o e ov (PERNOT, p. 67:
v. Bibliografia, p. 25).
(3) (D è una labiale tenue aspìrata, ph.
(4) Non è però certo che la lettera etrusca notante ƒ, 8, derivi da H, per-
che il medesimo segno col medesimo valore si trova ne]l'a.1fabeto lidio. Si trat-
terebbe in ogni caso di sostituzione dell'originario digramma FH.
2. LYEVOLUZIONE DIÈ.LL'ALI<`.\BE'l`O LATINO. ROMA li LA GRECIA 15
cosi come I valeva sia i che 1' (cioè j). Confusione grafica che durerà.
almeno sino al Rinascimento (cfr. p. 20).
L'origine etrusca dell'alfabeto latino, gia sostenuta da qualche stu-
dioso su base linguistica (Fuso delle velari), ha avuto conferme archeo-
logiche. Nel 1921, a Marsiliana d'Albegna (Toscana), in una tomba
etrusca dell'VIII-VII secolo si scoprì inciso sul bordo di una tavoletta
Pa-lfabeto etrusco più antico e più completo di tutti quelli conosciuti.
In esso sono contenute anche le lettere che, essendo straniere alla pro-
nunzia etrusca, furono poi abbandonate: B I) O X. Uno studioso fran-
cese, il Grenier, pensò che da un alfabeto di questo tipo derivasse il
latino; altri suppose invece che tali lettere manca-ssero anche nell'alfa-
bcto latino primitivo e vi fossero state introdotte per influsso greco
dopo la caduta dell'egemonia etrusca. Certo è che la derivazione del-
Palfabeto latino dall”etrusco, a sua volta basato su un alfabeto greco
non ionico, appare oggi Pipotesi più soddisfacente e più rispondente
ai rapporti storici fra i due popoli. Im- recente scoperta (1941) «li
iscrizioni etrllsclic :ii piedi del (`ampi<log'lio nc accresce la verisimi-
glianza (1).
(1) It. |š|.o(:||, Tilc him' et [cs )››'«'››:im'.- sièøfløs :lv lforrw, |'zII'iS. l9fi5. 1)- 59-
Livio zlittl-,sta clic zlllliczniwiitc si iiisogiizivzi l`<-lrusco ni giovani Rolnzllli
(9, 36, 3): habeo auctores uulgo tum Romanos pueros, sicut mmc Graecis, ita
Etruscis litteris erudiri solitos; Plinio informa che esisteva in Roma una quercia
antichissima con iscrizione etrusca (16, 237): uetustior... urbe in Vaticano
ilex, in qua titulus aercis litterís Etruscis 1'elígio<ne arborem 'iam tum dignam
ƒuisse signi/`wat.
16 L'ALFABE'ro
Oarvilio (1). Questi infatti da una parte trovava lo stesso segno per
due suoni diversi nel nome del suo patrono (Garull-ius Ruca), dall”altra,
avendo per primo aperto una scuola a Roma (Plut. ibld. 59) - e Pinse-
gnamento non poteva prescindere dal greco _ si trovava dinanzi il
modello di un alfabeto che distingueva la velare sorda dalla sonora.
Così alla metà circa del III secolo, ormai aifermatosi Pinflusso greco
(la guerra di Taranto comincia nel 282), Pantica con.fusione scompare.
Siamo all'alba della letteratura latina, che nasce sotto il segno dell'El-
lenismo: mentre Spurio Carvilio apre la sua scuola, il tarentino Livio
Andronico traduce in latino l'Odissea.
Con ciò Palfabeto latino risultava composto di 21 lettere, dall°A
alla X. Non essendoci originariamente aspirate in latino, i segni delle
aspirato greche 0, (D e EF (== ch) furono, a quanto sembra, utilizzati
come sigle numeriche (per i passaggi grafici v. la tavola a pag. 21):
0 > C (per influsso della iniziale di centum) a indicare 100; Ø > M
(per influsso della iniziale di mille) a indicare 1000, la sua metà. D,
500 (”); Y' > L a indicare 50. Queste 21 lettere furono sempre sentite
come Palfabeto nazionale. Vnlus et ulginti ƒormae litterarum, dice
Cicerone (nat. deor. 2, 93); X nostrarum ultima., dice Quintiliano (1, 4, 9);
Svetonio narra di Augusto che inventò un sistema crittografico, secondo
il quale ogni lettera aveva il valore della seguente, A di B, B di C,
e cosi via: la X aveva il valore di A (Aug. 88). Ma Pinflusso culturale
greco, sempre crescente a partire dalla guerra tarentina, portava in
Roma sempre nuove parole in cui ricorrevano suoni e segni estranei
al latino. Le aspi.rate dapprima furono rese con le tenui: nogqróga di-
venne purpum, 19150; tus, ßánxøy baca (11) nel senatusconsultum de Baccha-
fnallbus del 186 a.Cr. ((1-IL I* 581), dunque sin oltre la fine del III sec.: le
grafie plautinfl, Baccha, Amphüruo, etc. sono ammodernate. E in realta le
paronomasie di Plauto presuppongono la pronunzia non aspirata: il giuo-
co fonico tra Phocnicium e poefrlicfro (che il poeta perfeziona in Pscud. 229
usando la forma dittongata invece di pumìcwì <1 identico a quello tra Pon-
ui e pocnas- in (.'i.s-t. 201 : l”antroponimo greco Ch.a.r'1Én.us ò messo inrappor-
to col verbo ca1'(=o, « manco ››, in Pscud. 736: non (I/larfimls hic qu-id(-m,
sul Cop-la cst (così come Thalfs con talrufum in Capt. 274). Poi un più vivo
interesse per la cultura greca restauro Paspirazione senza introdurre
nuovi segni, aggiungendo h alle tenui' in un1iscrizione del 146 si legge gia
AGHAIA ('Axozíoc) accanto a CORINTOS (Kógwöoç, CIL I” 626);
amphom (da á/upogeóç) riebbe Paspirata difierenziandosi dal suo dimi-
nutivo latinizzato ampulla, (da *amporela) (1); Poeni e Ph.oe-n.ìc(›s diven~
nero due parole fonicamente e semanticamente diverse. Anzi la moda
ellenizzante dell'aspirazione contagiò molte parole autenticamente
latine (cfr. p. 52). Ma per notare esattamente v e L' non c'erano segni
latini: fino al I secolo a. Cr. ci si contento di trascriverli approssima-
tivamente, Puno con u (ma cfr. p. 44), Paltro con s (iniziale) o ss (in-
terne). Si ebbero così Amp(h)itruo, da 'A,uqnr@zío›v; Gumae (da Kó/ny),
guberuo (da xoßsgvoü), cumba (da xóußn), cupressus (da mmágioaoç) (2),
che mantennero la u (ma Pellenizzante Virgilio traslitterò dal greco
cyparíssus in Georg. 2,84 e Aeu. 3, 680); e Plauto potè giocare con Ludus
(/lvöóç) e ludus (Bacch. 129: non omnis aetas, Lude, ludo conuenit),
con Grusalus (* Xgfóoaloç) e crux (ibid. 362: ƒacietque ewtemplo Cru-
cisalum me em Grusalo) (3). Z compare nell's di SETVS (Zñüoç, CIL I*
1290, e la grafia è in parte confermata, in parte rnodernizzata da Pri-
sciano, I 36 H.: ueteres Sethus proZñ19oç diceutes), nel doppio s di massa.
(,uáCa), malacisso (,ua/laxíåw) e in tutta la serie di verbi plautini in
-isso derivanti dai greci in -íšm. Ancora Accio, morto dopo l'86 a. Cr.,
per testimonianza di Mario Vittorino (VI 8 K.) non usava nè z nè y.
Ma nel corso del I secolo fu introdotta Y e reintrodotta Z in fondo
all'a1fabeto. Cicerone oppone la grafia moderna all'antica, quando
scrive (or. 160): Burrum semper Ennius (dicebat), numquam Pg/rrhum;...
nec enim Graecam litteram adhibebaut, nunc autem etiam duas (1). Tut-
tavia 3/ e z furono sempre sentite e dichiarate straniere dai grammatici
latini (1), non diversamente da quel che accade per la e w nel nostro
alfabeto.
§ 3. - Le ultime riforme.
(1) Per la sonora di Burrus, come per quella di guberno, cfr. p. 26.
(3) Iucumlissimas ea: Graccis I-ítteras non habemus, uocalem alteram (y),
alteram consonantem (z), quas mutuari solemus, quotiens illorum uomim'bus
utimur (Quint. 12, 10, 27: seguo Pinterpretazione di E. A. HAHN, Quintiliail
on greek Letters lacking in latin and latin Letters lacking in greek, « Language ››,
17, 1941, pp. 24-32). Ciò non toglie che, come l`h, anche l'y fosse introdotta
in parole latine che si facevano derivare dal greco per falsa etimologia, come
sylua, da z'›'}.›7 (cfr. Macr. somn. 1, 12, 7; nello stesso modo si spiega l`y del
francese style, che viene da slilus e non da ariloç).
(3) Si ricordi che a. partire dal IV secolo a. Cr. appare la forma lunata del
sigma, C: appunto un poeta del IV sec., Escrione, chiamava la luna «il bel
sigma del ciclo ›› (fr. 1 Bergk); a Roma era chiamato sigma un triclinio semi-
circolare (Mart. 10, 48. 6).
(1) Come non riuscirà-, cinque secoli dopo, la riforma del re merovingio
Chilperico (m. 584), che volle aggiungere quattro lettere all`alfabeto (Greg.
20 UALFABETO
Resta da dire qualche cosa sulla forma delle lettere. Abbiamo pre-
messo Palfabeto latino nella cosiddetta scrittura capitale, usata nelle
iscrizioni dal I secolo a. Or.; ma le iscrizioni arcaiche ricordano molto
da vicino i caratteri degli alfabeti etruschi di Marsiliana e di Formello.
Per la maggior parte delle lettere la derivazione dalle corrispondenti
greche è d”immedìata evidenza. Si è visto che G e V erano varianti già.
greche di P e Y; D viene da A, P da H, R da P, S da Z: le rispettive
forme intermedie (v. tavola seguente) s'incontrano in Etruria e in
Grecia, specialmente nel gruppo degli alfabeti occidentali.
Riassumiamo ora in uno schema grafico quanto s'è detto:
mi
Tur. htst. Franc. 5, 44). Nell'età di Augusto era fallito il tentativo di Verrio
Flacco di usare la metà. di M per notare il suono, debole, di -m finale dinanzi
a parola corninciante per vocale (Velio Longo, VII 80 K.).
(1) Prima del Ramus (1559) proposero la distinzione di 7' e i, v e u lo spagnolo
Antonio Nebrija (1492) c Vitaliano Gian Giorgio Trissino (l524; per 1) e u gia
L. B. Alberti. cfr. B. MIGLIORINI, Le proposte trisstniane di 'riforme ortogra-
fiche, «Lingua Nostra», ll, 1950, pp'. 77-81. e v. ora Storia della lingua italiana,
Firenze, 1960 [l9634], p. 284): ancora il Galilei ignorava il v, quando magnifi-
cava Pinvenzione de1l'alfabcto: « parlare con quelli che non sono ancor nati...
con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi ›› (Dialogo sopra 11 due massimi
sistemi, 1632).
4. LA 1=onMA DELLE LETTERE 21
š`°=o-0:1
V <2'f 3f/12'!
(<9 M = 1000, D D =500)
= ch) (= 08) X
= P8) (= ch) (J, 1 L = 50)
50*-5.'><'S«*'<Hl`1"U (manca)
(1) Questa bibliografia, come la seguente, vuole solo orientare sulle opere
più utili e più accessibili, e dichiarare i debiti dell`autore.
26 BIBLIOGRAFIA
LA PRONUNZIA
Non esiste una pronunzia del latino, di una lingua, cioè, che ha
venticinque secoli di storia. Essa variò e varia nel tempo e nello spazio.
Già in antico il latino di Preneste non suonava come quello di Roma,
nè il latino di Plauto come quello di S. Agostino. Oggi ci sono almeno
tre modi di pronunziare il latino: 1) le varie pronunzie nazionali. Ogni
popolo pronunzia il latino supergiù come la propria lingua (1), cosicchè
una stessa parola, per es. Caesar, suona Zéçar in bocca italiana, sççár
in bocca francese, tsésar in bocca tedesca, síçã in bocca inglese. In
nessuna di queste quattro pronunzie Cesare avrebbe riconosciuto il
proprio nome, che suonava al suo tempo, come vedremo, kágsar. 2) La
pronunzia ecclesiastica romana, che è sostanzialmente quella italiana
e (se si eccettui la distinzione fra vocali larghe e strette, trascurata
nella pronunzia italiana) risale direttamente al basso latino. Questa
§ 2. - Il medioevo.
(1) In «Acta Apostolicae Scdis», V. IV, n. 17, 1912, pp. 577 ss. Questa
pronunzia si diffuse fuori d'Italia solo dopo la prima guerra mondiale. È pro-
babile che essa riceva nuovo impulso dalla costituzione apostolica « Veterum
sapientia ›› (1962), con la quale Giovanni XXIII promuove la rinascita e l'us0
vivo del latino nelle scuole religiose.
(2) Quintiliano cosi definisce la retta pronunzia del latino (ll, 3, 30): (ratio
pro-nuntiandi) emerzdata erít... si ƒuerit os facile, explanaium-, rlncundum, urba-
nnm, id est 'in quo nulla neque rusticitns neque peregrinitas resonet. Per altre
definizioni e testimonianze cfr. J. MAROUZEAU, Quelques aspects de la forma-
1-icn (lu latin Iiftrfraire, Paris, 1949, pp. 7 ss. Sul concetto di urbanitas ofr. E. G.
li/\m.iGE. Cicero on Extra-Roman Speech, « Trans. Am. Phil. Ass. ››, 1961,
pp. 481-494.
2. IL Miamoiavo 31
sull'altro, il primo, per il suo prestigio culturale, sul lessico del secondo,
il secondo, vivo nell”uso quotidiano, sulla pronunzia e quindi sull°orto-
grafia del primo, come fanno fede gli scorrettissimì « sacramentari ››
anteriori alla riforma carolingia. È dell'epoca merovingia, per es., il
raddoppiamento dell'ƒ che resterà sino al Rinascimento nelle grafie
diƒfinire e diflinitio e passerà nell'italiano deƒfinire, messo in bocca dal
Manzoni al suo anonimo seicentista nella prefazione dei Promessi Sposi.
Carlo Magno, per il quale si piaceva a Dio non solo bene vivendo, ma
anche bene loquendo (1), affidò all'inglese Alcuino la riforma dcl1'inse-
gnamento, che consisteva innanzi tutto nel leggere e scrivere corret-
tamente: non certo tornando alla pronunzia antica, mal nota, ma
obbligando a pronunziare tutte le lettere, anche le finali, che tende-
vano ad essere eliminate nel volgare (e tuttavia restò proverbiale
quiproquo per quid pro quod). Anche dopo Carlo Magno, per tutto il
Medioevo, i rari trattati di pronunzia di cui abbiamo notizia hanno
un intento normativo, non storico: insegnano a pronunziare il latino
secondo l'uso del tempo e del paese. Possiamo farcene un”idea dalle
Quaestioncs grammatioales di Abbone di Fleury (morto nel 1004), che
Fulberto di Chartres chiamava magister ƒamosissimus totius Franciae:
per es., ti seguito da vocale si è assibilato (ti semper enunciatur sono ci,
si post illam in altera syllaba sequatur vocalis) (2), come c dinanzi alle
vocali palatali (vinco, vinci, vince, vincam, mutato cum vocalibus sono,
dicimus... Nunc autem cum quodam sibilo [c sonare videtur]... ut elvis
et coepi) (3). Pietro Helie, che commento Prisciano a Parigi nella prima
metà, del XII secolo, attesta la confusione di al e t, soprattutto in finale:
D et T conƒundunt sonos suos adinvicem, ut pro d ponatur t et e converso.
Quod ƒaciunt... maxime Theutonici, pro deus dicentes teus... Sicut proƒertur
il in hoc pronomine id, eodem pronunciatur t, cum dicimus legit, capit.
(1) Mon. Germ. Hist., Lcges, II, 1, p. 79. Lo scopo della riforma carolina
era religioso, il retto apprendimento dei testi sacri: analoga origine aveva
avuto la grammatica sanscrita. di Panini (IV sec. a. Cr.), « la grammaire
étant l`une des nécessités majeures de Papprentissage rcligieux ›› (L. RENOU,
Histoire de la langue sanskrite, Lyon, 1956, p. 63).
(2) MIGNE, Patrologia Latina, 139, pp. 522 ss., cap. XI.
(3) Ibicl., cap. X. Dallo stesso capitolo sembra potersi ricavare che la scuola
irlandese, combattuta da Abbone, sosteneva la pronunzia velare del c anche
dinanzi ad e/i (JELLINEK e NORBERG, v. Bibliografia, p. 67 s.): è un fatto che
in Irlanda Patricius ha dato Patrick.
32 LA PRONUNZIA
§ 3. - L°Umanesimo.
(1) Cratino, fr. 43 Kock. Già citato da Aldo Manuzìo nel 1512.
(2) Cito dalla Sylloge di IIAVERCAMP, Lugduni Bat., 1740, p. 173.
(3) Qui Erasmo è in regresso rispetto al suo predecessore Antonio Nebrija
(Antoni-us Nelwlssensis), che già. nelle I nlroducteiones Lalinae del 1491 aveva
combattuto l'assibila›zione sia di ci che di ti.
(4) Il segno VV non intcrvocalico notava nel medio olandese (come m'in-
forma il Prof. Carlo Tagliavini) un suono fricativo bilabia-le, più vicino al
34 LA i>RoNUNzi/\
latino u (b) dell'impero che al nostro v (cfr. p. 47). Tuttavia la lunga tratta-
zione di Erasmo, non sempre chiara, come quelle di tutti gli umanisti, per le
imperfetto descrizioni fonetiche, richiederebbe uno studio approfondito.
(1) P. 205 della Sylloge di HAVERCAMP, sopra eit.
(2) «Anglorum vero etiam doctissiini tam prave Latina efierunt, ut... quum
quidam eat ea gente per quadrantem horae integrum apud me verba ƒecisset, neque
ego magis eum intelligerem, quam si Turcice loguutus ƒuissct, homine-m roga-
uerim, ut esccusatum me habcret, quod Anglice non bene intclligcrcm ›› (J. J. Sca-
ligeri Epistolae, Lugduni Bat., 1627, IV, N. 362, p. 700).
3. L'UMANEs1Mo 35
(1) Non mancano però punti di vista personali, per es. sulla pronunzia del
(littongo oe. che per il Lipsio doveva suonare come nel francese coeur e voeu
(la cui pronunzia si è ms-.ntenuta pi-essocliè inalterata dal 500 ad oggi).
(2) Degli avr:c.~-tí›;›,enti della lingua sopra *l Decamerone. p. 53 dell'edizione
di Milano, 1809. Questo scetticismo sulla nostra conoscenza della pronunzia
antica, che ripete ancora il D'Alembc1't in un saggio del l'76? (cito da E. SPRIN-
(;iim*1?I, Il latino alla ribalta. « Civiltà- Cattolica ››, 1056, p. 467) e non del tutto
scoinpurs-:›, si può dire oggi ingiustificato.
36 LA i›noNUNzui
§ 4. - L°età contemporanea.
(del 31, 1, 1954), dove un lettore afferma: Sento con raccapriccío pro-
nunziare ecce o cognoscere come li direbbe un tedesco e mi ribella (1).
Nel settembre del 1956 si tenne ad Avignone il I Congrès 'interna-
tional pour le latin vioant, che si proponeva di ridare al latino la sua
funzione di lingua internazionale della cultura. Il Congresso formulò
cinque «voti» perché fosse adottata in tutti i paesi la pronunzia
« restituée ››, ossia classica, del latino. A dieci anni di distanza, non
pare che questi voti siano stati adempiuti (2). Comunque non bisogna
confondere Paspetto pratico e Paspetto storico della questione: appli-
care la pronunzia classica del latino può essere un vantaggio, conoscerla
è un dovere per chiunque impari o insegni latino.
§ 5. - La pronunzia « classica».
bari contro lu pronunzia l'|':|.11c1-sc del diiioligo au, lo studioso del futuro
:ivrcbhc li«›|'l.o si lrn|'r<- <-<›||<-llisimii lrop|›<› |'i_<_rorosc dal verso con cui il l*:1scoli
interpreta l`nl›l›nizn'c notturno di un cnnc (Im rm-1-); « Va! rn! gli dico ln voce
vigile, -~ sonando ìrosa di tra lc tcnchrc... ››.
(1) A non minori cautele va soggetto il criterio delle traslìt-terazioni e dei
prestiti perché è relativo a1l'epoca e alla via di trasmissione (dotta, popolare;
scritta, orale), alla zona (centrale, periferica, più conservativa), alla fonetica
e a1l'alfabeto della lingua ricevente; si vedano le osservazioni del BRÉAL,
p. 153, e del Mnns, p. 100 s. (Bibliografia, p. 73). Alcuni esempi: nell”irlan-
(lese i prestiti presumibilmente più antichi mostrano l`atteso trattamento
volgare ss di av (cfr. p. 64, n. 1), i più recenti restituiscono la pronunzia colta
(e originaria) cs. Egualmente di origine dotta sono l'ir1andese saigulum da
saeculum col dittongo, e il bizantino íovgmôixrícov da iurísdictio col ti non
assibilato pur nel VI sec. Il dittongo ae è reso normalmente dal greco con al:
ma questo segno nella storia del greco antico e del bizantino ebbe tre valori
successivi, aj ae e, e questo spiega come in uno scrittore bizantino vissuto
intorno al 1000, Cedreno, si trovi la grafia Tåaíoag = Caesar, rispondente
a una pronunzia Tåéaag (cfr. pp. 41 e 57). Una parola passata in altra lingua
a una data epoca e con una data pronunzia può tornarvi in epoca posteriore,
con altro senso e altra pronunzia, ma in genere si sottrae all'evoluzione fone-
tica della lingua da cui deriva. Così Palatium «palazzo (imperiale) ›› si con-
serva nel biz. naláuov, da cui neogreco nalán, senza assibilazione della t:
ma Palatium «Palatino ›› era già trascritto Halánov ne1l`epoca di Augusto
da Diodoro Siculo e Dionisio d'Alicarnass0.
(2) G. PASQUALI, Govrwersazioml sulla nostra lingua, Ediz. Rai. 'F ll.
(3) Come il sospitalor Plauti, F. Ritschl (« Rhein. Mus. ››, 31, ›- CD ql-1 G19*al “Ci”p. 481-
40 LA PRONUNZIA
§ 6. - I dittonghi.
491). Ma si veda quanto scriveva il Buecheler al Macé, op. cit., p. 273, sullo
scarso risultato dei suoi tentativi: « aliud esse scís celle ac posse, aliud praecí-
pere ac perficere ».
(1) La forma popolare in -o- è costante per il tribuno nemico di Cicerone,
ma si estende, alternando con la forma in -au-, ad altri membri della stessa
gens: la sorella di Clodio, moglie di Metello Celere, Clodia (la Lesbia di Ca-
tullol), è chiamata Claudia da Cic. jam. 5, 2, 6; il fratello di Clodio è CLAV-
DIVS in CIL 12 927, ma "Amuov Klcóôiov Hólgsg (sic) in IG 112 4109; il figlio
di Clodio è CLAVDIVS in CIL VI 1282, ma Olodius in Cic. Att. 14, 13 A, 2.
Cfr. Schol. Iuu. 6, 345: licet per commumonem un' Clodius el Claudius, ul coles
et cautes, ut auriga el orzfga.
(2) Ae cd oe sono dittonglii ilisccndenti e perciò acccntati sul primo ele-
mento: próflium e non prodíum.
(3) Da non confondere con di bisillabo, che nel genitivo dei temi in -ã ne
rappresenta lo stadio anteriore, conservatosi per particolari effetti stilistici:
patriãi (Lucr. 1, 42); aurãi (Verg. Aen. 6, 747).
6. 1 DITTONGHI 41
(1) Sarei più propenso alla seconda, ipotesi: ì Germani erano numerosi
nelle guardie del corpo imperiale (Tac. arm. 1, 24), e la pronunzia ufficiale di
Caesar dovette conservarsi a lungo invarìatzi. (anzi sotto Claudio, Pimperatore
grammatico, torna nelle iscrizioni la graíia nrcaica (,'ai.sur). Si tengano tuttavia
presenti le riserve generali espresse a p. 39, n. l.
(2) Si ricordi un'allitterazione analoga nella formula triumuírí agris adiudi-
cafndis adsigfnandis (altro nnatoriale in 0. KEI.1,1~1R, (}ra'n1,r›1,r1tis-che Auƒsfítzè.
Leipzig, 1895, p.17). Quanto ad aere (corno iure rwlI'altr;|. forinula (luarn/1m"r
iure ¢l'icu'ndo), si tratta di un dativo arcaico, la cui 6 stretta rappresenta urto
stadio intermedio fra, il punto di partenza. ei e il punto d”arrivo i.
(3) Così pare vada interpretato il v. 1130 .\lar\': (,'<›efil1`u.- pretur rie rusticus
fiat: cfr. ora I. MARIOTTI, Studi Lucfilrlam', Firenze, l960 (rist. l969), p. 25.
Su un gioco di parole simile si fonda il «provcrl›io›› ìl.:iliu.no di conio recente:
iíise l'autista- non è villa.11o_, anche il vigile di\-'«~nl.:|. ur|m.no ››.
42 LA i>RoNuNziA
(1) _Si spiegano cosi gli allotropi italiani causa e cosa, rauco e roco, Mauri
e mori, etc.
44 LA PRONUNZIA
(1) Per cs. Velio Longo (VII 67 K.) c'informa che le iscrizioni di Augusto
mostravano la sua preferenza per le graíie con u, mentre prevale la grafia
con i (tranne che in clupeus) nel suo testamento epigrafico, il Monumentum
Ancyranum.
9. u sEM1vocALia (v) 45
§a. Y.
Questo segno e il suono che rappresenta (ü, come u francese) era
straniero al latino, e si usava solo in trascrizioni di parole greche (o che
si facevano più o meno rettamente derivare dal greco), cfr. Terenzio
Scauro (VII 25 K.): Y litteram superuacuam Latino sermoni putaue-
runt, quoniam pro illa V cederet. Sed cum quaedam in nostrum sermonem
Graeca, 'nomina admissa sunt, in quibus cuidentcr sonus huíus littørae
exprimitun... in eísdem hac líttem necessario utimur. Si è già visto (p. 18)
che v fu in origine trascritta con u, trascrizione forse agevolata-, si deve
ora aggiungere, dal fatto che nei dialetti non attici e specialmente
nel dorico v conservo a lungo il valore di u. La pronunzia ü di y era
detta; la pronunzia popolare oscillò sempre tra u ed i, entrambe rap-
presentate a Pompei: DIDIMVS (CIL IV 23l9°') e DIDVMO (ib-id.
527 4) per il gr. Aíôv/40;. Nel tardo insegnamento grammaticale si geno-
ralizzò la pronunzia z', come appare da-l nome stesso della lettera i
Graeca (cfr. p. 23): d'altra parte anche in Grecia v si evolveva verso
il suono 11, che finì per trionfare nel greco bizantino c moderno a partire
circa dal X secolo d. Or.
§ 9. - U semìvocale (v).
(1) Senza contare Pantico uso epigrafico di notare con un solo V i gruppi
uv e uu, per es. IVENTA = iuuenta (CIL I2 1603), FLVIO = fluuio (CIL I"
584, 9), entrambi dell`epoca repubblicana.
(2) Come ha sostenuto qualcuno, in base alle grafie epìgrafiche in cui la
labiale 'rn si muta nella dentale n dinanzi a y, per es. decenuir. Ma tali grafie,
poco frequenti, possono generalizzare Pincertezza esistente nei composti di
in- e di con- (sentita come forma etimologica., al posto di com,-, per la sua diffu~
sione nei composti, cfr. SOMMER, p. 265) tra la grafia fonetica con la nasale
labiale dinanzi alla semivoealelabiale y (COMVENIVNT, CIL VI 542; IMVICTI,
CIL V 7809) e la grafia etimologioa con la nasale dentale (CONVIVIO, CIL I”
593, 133; INVITEI, CIL I2 584, 36).
46 LA i>RoNUNziA
zione tra valore vocalico c seniivocalico era gia iiota agli aiitic-iii. Nigidio
l<`i_s;'ulo :iminoiiiva di non considerare vor-ali la u iniziale di Valerius e la 11
iniziale di íampridem: si quis putat, przwãre u in his: « Valorius ››, « Ven-
nom'-us ››, « Volusiius ››, aut i in his: « iamipridem ››, « éccur ››, « iocum», « iu-
cundum ››, crmbit, quod hae lítterae, cum ymieo-unt, 'ne uocales- quidem sum
(ƒr. 53 Sv-wob., ap. Geil. 19, 14, 6). Quiiitiliaiio sentiva clic il segno u non
aveva lo stesso valore in uos e tuos (1, 4, 10: in ipsís uocalìbus gra-nzmatícli
(fs-t uidcrß, an. aííquas pro consoncmt-íbus usus a-ccopcrit, quia, « ia.-in ›› [con 'i
seniivocale, j] sícut « etiam ›› scribitur ot « uos ›› ut « tuos ››) (*); e Piiiipera-
lore Claudio introdusse per u il nuovo segno :I (per es. li-1I1\*EIt:|A, GIL
'VI 2041, 60, cfr. p. 19). Il passaggio dal suono seiiiivocalico al fricativo
si compì in epoca storica.
Cicerone racconta che il grido, evidentemente strascicato, di un
venditore di ficlii, Caunms, cioè « (vendo fichi) di Canne», fu interpre-
tato come un monito alla vigilia della disastrosa spedizione partica
di Grasso: cauo ue eas (diu. 2, 84): 1'u di oauco doveva dunque suonare
in epoca classica supergiù come nel nostro uomo, nel francese oui e
ne1l'inglese well, il che rende più evidenti i rapporti etimologici oaueo/
cautus, muis/mucus (2), oscurati dalla proiiun zia scolastica caoeo e mois.
Tuttavia equivoci fonetioi di questo genere .richiedono solo una corrispon-
denza approssimativa (3). Più probanti sono la pseudoetimologia di Elio
Stilone: pituitam quia « petit uitann ›› (ap. Quint. 1, 6, 36); Ponomatopea
__íííí
che è all°origine del verbo uagio, « fare ua ›› (1), che non s'intenderebbe
col nostro v; e, infine, la trascrizione greca mediante oo, costante in epoca
repubblicana: Polibio ha per es. O-ôoc}.c'gzo;, Oåsvovaía; Posidoiiio (fonte di
Strabone in 4, 4, 4), trascriveva uates con oôáreiç. Dal I secolo d. Cr.
si diffonde e infine prevale la trascrizione mediante ß (si trova Négßa,
per es. IG IX 1, 200, accanto a Négova, nei papiri ovmagzoç alternantc
con ßmagioç) (2), che si avviava ad assumere il valore fricativo bila-
biale (ß in greco moderno suona v). Contemporaneamente anche b latiiio
intcrvocalico si evolve foneticamente in Ii, donde il frequente scambio
di V e B, anche in principio di parola, nelle iscrizioni imperiali. In un
carme sepolcrale di sapore epicureo (CE 1499):
balnea uiua, uenus oorrump/unt corpora nostra:
at uitam ƒacíunt balnea uma uenus,
solo attestato iii (Jicoroiie. Quando il verbo passò alla II per Fanalogia di
calco e degli altri iiitraiisitivi in -6-, sull'infectuni ƒerueo si fece il perfectum
ƒoruui analogico di monui (fonetieamente ƒerueo avrebbe dovuto dare anch`esso
/ei-ui, eoine ƒoueo da ƒnui); nell°cta imperiale [er-uu-i fu notato con la grafia
ƒerlmi, rispondente alla proiiuiizia fricativa del gi-iippo uu, c ta-le grafia si
genera-lizzò nella prassi scolastica. lfaiialogia di ƒerb-ai provocò a sua. volta
la grafia ƒerI›er›, raccoinaiidzita da qualche graininatico. Cfr. ora M. L1«:IJM.1iNN,
Zu den Per/elcien non /ffrmm, lriii,_r/um, liquco, in S'l,udi Pisani, Brescia, 1969,
pp. 635-642.
(1) Nello spagnolo, dove b intcrvocalico è spirante (b), bibcre e vivere suo-
nano rnolte siinili, donde la defiiiizione della Spagna come felix natio, ubi 'vivere
csi bibci-e (Bnir'rAiN, p. 29: v. Bibliografia, p. 67)).
(2) U postconsoiiantico è talvolta trattato come vocale dai poeti: soluft
è trisillabo in Catullo (2, 13), silaa in Orazio (cai-iii. 1, 23, 4), suadcut in Lucre-
zio (4, 1157), suriuis in Scdulio (1, 290); anzi proprio da una pronunzia volgare
süãuem parte l'ital. soave. Da ciò la contraddizione scolastica fra suadeo e
suauis da una parte, letti e scritti con u vocale, e Suetonius dall'altra, letto
e scritto con v (S'1:r,›to11iu.<): classicamente in entrambi i casi la pronunzia cia
con -u seiiiivocale, si_1riz¢is come Syctouius.
(3) Un po' ostica per le nostre abitudini ioiietiche: ma la. pronunzia di
;_¢u1_r/us non dovrebbe incontrare più dillicoltà, di quella, del tutto afiìiie, di
boogie-woogie.
10. L”AsPm,\z1oNE 49
§ 10. - Uaspìrazione.
dal gr. xáoç), e nel suo probabile derivato in-cohare (attestato per es.
in Mon. Anc. IV, 20, 3). Nel I sec. d. Or. Quintiliano (9, 4, 59) lascia
la scelta fra deprehendere, voluto dalla ratio o analogia, e deprendere,
voluto dalla consuctudo o anomalia; nel II sec. per Velio Longo (VII
68 K.) e Terenzio Scauro (VII 19 K.) la pronunzia comune era (ro)prendo;
e in ogni tempo la grafia corrente del frcquentativo fu prensa. Eppure
un tardo sforzo scolastico di pronunziare h interna quando ormai
ogni aspirazione era estranea al latino, è alla base delle grafie tardo-
antiche e medievali míchi, nichil, corrispondenti a una pronunzia pala-
talc -eh- (come nel ted. ich) non ancora del tutto estinta (1).
Apparentemente simile al precedente, ma sostanzialmente diverso
è il caso dell'aspirazione in parole come ea;-halare, ea;-haurire, in-hiare,
ab-hino, co-hortari, ad-huc, in-humanus, provhibere, etc. Si tratta di
composti i cui elementi erano chiaramente riconoscibili e sussistevano
separatamente. Perciò Ph aveva qui una funzione semantica che la
preservò, almeno nella grafia; se anche nella pronunzia (come avviene,
per esempio, in tedesco, cfr. In-halt), non ne abbiamo indizi sicuri (2):
ma in una pronunzia enfatica, che facesse risaltare i due elementi del
composto (3), l*h doveva essere trattata come in posizione iniziale, di
cui ora ci occuperemo.
A differenza dell'aspirazione vocalica interna, quella vocalica ini-
ziale e quella consonantica rimasero vive in latino, per lo meno nella
(1) Ma siccome in italiano ch vale k, 'michi e michíl finirono per essere pro-
nunziati nella pronunzia italiana del latino mil:-11 e m`I.rz`l. ll moi-to di Cesare
Borgia aut Caesar aut nihil fu tradotto dal popolo « o Cesare o Nichille ›› e
addirittura « o Cesare o Niccolò ›› (Pico Lulu DI VAssA1~:o [Lonovico Pnssn-
nn<I], Saggio di modi di dire pv-oz¬c1~I›†iaIí, Roma, 1872, p. 18 s.). Ne è rimasta
traccia in annichilire e 'nichilismo (quesfultimo attraverso il francese).
(2) Metricamente in parole come cmtehac, h non impediva la sineresi (a›n.tZ7åc,
deifw), efr. Enn. ann. 202 Vahl.2: quo uobis meutes, rectae quae stare solebant --
antehac, deme-ntes sese flexere uiãì?, come del resto h iniziale non impediva
Pelisione con vocale o -m precedente (e si ricordi anche che ac è sostituita.
da atque dinanzi a parole che incominciano per vocale 0 per h. Sembra però
che la presenza di h iniziale abbia favorito licenze prosodiehe come gli iati).
La tarda testimonianza dellbdppendfiw Probi (IV 199 K.): adhuc non atlue,
riguarderà unicamente la grafia.
(3) Come nell'ossimoro tcrcnziano homo inlumnanissiønus (Phorm. 509).
10. L'AsP1RAzroNE 51
passare al.l'incirca la stessa differenza che tra haben e gehen nel tedesco
moderno. Cicerone riporta la frecciata di un oratore contro un avver-
sario male alerts: utdeo me a te circumuemlri (de or. 2, 249). Pronun-
ziando Pultima parola alla fiorentina, con una lieve aspirazione, si
sente nel primo elemento del composto Paccusativo di hircus « caprone ››.
Questa aspirazione iniziale è evidente per la sua funzione espressiva
nelle interiezioni come heus, hahae, huí, hem e nelle onomatopee come
htnuitus « nitrito ››, già. vista da Varrone (fr. 265, 130, p. 282 Fun.); forse
anche halitus, halare, helluo « ghiottone ››, dove Festo annota: cui
aspiratur, ut auidttas magis exprobretur (88, 15 Linds.). Un grammatico
del IV secolo, Mario Vittorino, cosi ne prescrive la pronunzia: proƒuudo
spfirítu, cmhe-lis ƒaucibus, exploso ore ƒundetur (VI 34 K.); pronunzia
certo un po' caricata nelyinsegnamento scolastico, per reazione all'uso
comune che già. da tempo Paveva eliminata (ORATIA in CIL I” 1124
è dell'epoca repubblicana).
Questa tendenza a eliminare Paspirazione iniziale sembra di origine
rustica: sono in maggior parte termini della lingua agricola i dop-
pioni ortografici herus/erus, holus/olus (ma forum olitorium), harena/arena,
hedera,/edera, harundo/arundo, hirpea;/irpex, etc. (1). Tuttavia tale ten-
denza fu sempre avversata dagli strati sociali superiori su cui agiva.
Pinflusso greco, tanto che Paspirazione non solo iniziale, ma anche
consonantica divenne un segno di distinzione. A questa moda risale
Paspirata in parole che originariamente non Pavevauo, come pulcher
(accostato a nolóxgovç), sepulchrum (sentito come se-pulehrum «senza
bcllezza››) (2), lethum (connesso con M1917, cfr. Varr. ling. Lat. 7,42),
forse alcuni nomi propri come Oethëgus e Gracchus (se non hanno ori-
gine etrusca) (3). Varrone, da buon laudator temporis actí, non si ras-
segna ad accettare queste aspirazioni (Char. p. 93, 3 BarW.: pulehrum
Varro adspirari dcbcre rwgat); Cicerone, pur sapendo che gli antichi
usavano solo Paspirazione vocalica (ita maiores locutos esse, ut uusquam
uisrl in uocali aspiratiorte uterentur), accoglie pulcher e Oethêgus ormai
(1) In altri casi l'h si ricostruisce solo con la comparazione: per es. anser <
*harw(er) < *ghans-, cfr. gr. xúv e ted. Gans.
(2) Già. accostati neil'epitafio di Claudia (CIL I2 1211, epoca dei Gracchi):
heíc est sepulcrurn, hau pulcrum pulcrai ƒemzruw.
(3) Ai nostri tempi non abbiamo visto una Sofia Scicolone nobilitarsi in
Sophia. Loren!
11. ti + vocAu-3 53
(1) Dal v. 5 s.: credo, sic mater, sic liber auimculus eius, - sic maternus auua
dixerat atque auia, sembra. potersi dedurre che gli ascendenti materni di Arrio
erano di origine servile. Ma, Pinterpretazione del carme nei suoi dettagli è
discussa, come è discussa Pidentificazione di An-io con l'oratore Q. Arrio,
di cui dice Cicerone (Brut. 243): infimo loco natus... etiam in patronorum _ sine
doctrina, sine ingenio _ aliquem numerum peruenerat.
(2) Si aggiunga Gellio, 2, 3.
(”)Vehemens, scritto anche uemens, è forse composto dalla particella pri-
vativa uê- e mens (cfr. uë-cars e a-mens): la sua h par dovuta all'accostamento
pseudoetimologico con ueho.
54 LA PRONUNZIA
la regola della grammatica (conƒ. 1, 18, 29) (1). Nelle lingue romanzc
h latina è foneticamente scomparsa: in francese, ha valore etimologico
(homme, héros); in italiano, è un segno « cui non corrisponde mai nessun
suono, ma che ha solo la funzione di distinguere tra parole omofone
ma di diverso significato (ah, ha, a; oh, ho, o) oppure di modificare il
valore del segno precedente (monache, senza quell'h si pronunzicrebbe
monacø) ›› (2).
§ ll. - Ti + vocale.
eccettua, oltre i casi in cui precede s, anche quelli in cui segue i', come
il genitivo otii, la cui grafia e pronunzia classica era oti: cfr. gratis < gra-
tiis, che la contrazione ha preservato dall'assibilazione). Siccome con-
temporaneamente anche ci + vocale si assibilava, i due segni si con-
fondono frequentemente nelle tarde iscrizioni, e la confusione dura
per tutto il medioevo sino agli umanisti: si veda a p. 32 ss. Poscilla-
zione umanistica fra pronunciatio e pronuntiatio, donde la nostra fra
pronuncia e pronunzia. Così si spiega anche che contioncm (< *conuen-
tionem) abbia dato concione e inversamente condicioncm (da con-dico)
abbia dato condizione.
un monito a mietere: sego! sego! ›› (V. BERTOLDI, La parola quale mezzo d'espres-
sione, Napoli, 1946, p. 74); singolare incontro con Ponomatopea paseoliana
(Prose, I, p. 906): « un segare, un fregare rauco e aspro ››. E partendo dalla
pronunzia italiana il Folengo crea. una delle sue più espressive onomatopee:
sentis an quantae cicígant cigalae _ quae mihi rumpunt cicigando testam (Zan.
73 s.).
(1) E ancora S. Girolamo, Lib. int. Hebr. nom., p. 137 Adriaen: K litteram
nos superfluam habemus, et exceptis Kalendis per c uniuersa ezprimimus. Tra-
scrivendo i nomi ebraici il santo rende la lettera Koƒ (greco Kappa) sempre'
con c, anche davanti a i ed e (cito dal VACCARI, cfr. Bibliografia, p. 67).
(2) Oice-ro deriva. da. cicer, che è passato nell°albanese meridionale conser-
vando la doppia velare: kiker (la seconda si è aspirata nel tedesco Kicher).
Anche cepe si ritrova tal quale nell'albanese kepe, mentre il basco tipola pre-
suppone la forma volgare cipolla (cepolla e cipulla sono attestati nei glossari).
12. LE VELARI DINANZI A vocALE PALATALE (e/1') 57
(ll Dalla forma tsesar dell'a.ntico slavonico deriva il russo tsar (trascritto
in italiano zar attraverso il francese czar), titolo assunto da Ivan III in seguito
al suo matrimonio con Sofia Paleologo, nipote dell'ultimo imperatore bizan-
tino (1472).
(2) In greco invece cella sembra penetrato prima di cellarium, ma entrambi
in epoca abbastanza antica per conservare la velare: ›<éMa è attestato al-
Pinizio del III sec., uellágiov alla fine del IV. Il bizantino ne trae rispettiva-
mente i derivati xellagímç « dispensiere › e xe/lluórøyç <4 anacoreta ››, entrambi
attestati nel VI secolo.
53 LA PRONUNZIA
na-ggio plautino: cedo calidum consilium cito (Mil. 226) ; casuale certo non
è la paronomasia con cui un servo minaccia d”introd1u're il suo cavallo di
Troia non nella rocca, ma nella cassaforte del padrone: hic equos non in
arccm, uerum in arcam ƒaciet impetum (Bacch. 943), e tanto meno il verso
di Catullo (64, 53): Thesea cedentem celeri eum classe tuetur, dove classe'
subentra a nãoe', pur trattandosi di una nave sola, in funzione esclusiva-
mente ionica. Un'altra paronomasia particolarmente probante, perche
fra un termine latino e una traslitterazíone dal greco, ce la offre Apuleio,
accusato da.ll'avversario di tenere in casa uno scheletro (ap. 63) : em uobis,
quem scelestus ille sceletum nominabat. Giacché sccletum è il gr. oxeleróv, la
cui velare si è conservata per via dotta nelllitaliano scheletro, il giuoco
di parola richiede che anche scelestus sia pronunziato skclestus. Ma
quando in Ausonio (seconda metà, del IV secolo) leggiamo: (Venus) orta
sato, suscepta solo, patre edita Caelo (epigr. 52, p. 331 Peiper), o quando
troviamo un secolo dopo in Ruricio: ille enim uadit ad caelum, qui se
collidit ad solum (ep. 2, 21, 2 Krusch), dobbiamo supporre che questi
tardi scrittori gallici pronunziassero caelum non solo palatalizzato (come
resterà in italiano), ma già. sulla via di quella assibilazione che porterà.
al fr. ciel (1).
Le testimonianze del suono «duro» della velare sonora g sono più
scarse per la sua minore frequenza in latino rispetto alla velare sorda.
Ma non sono meno perentorie. Legio, per esempio, è traslitterata ,lsyloâv
nel Nuovo Testamento (Polibio preferiva tradurla con ovgarórzßôov 0
con ui;/,aa). Basterebbe a fugare ogni dubbio, se pur ve ne fossero,
la testimonianza di S. Agostino sulla omofonia dei due imperativi
lcgc e Âéye: cum dico « lege », in his duabus sg/llabis aliud Graecus, aliud
Latinus intellcgit (doctr. Christ. 2, 24, 37).
Quando sia avvenuta la palatalizzazione delle velari è questione
discussa: il Paris la ritardo al VI secolo, il Mohl llanticipò al I secolo
d. Cr. Oggi si tende a dare una cronologia relativa alle condizioni fone-
tiche, geografiche e sociali. Per cs. sembra che nel gruppo ci + vocale
la palatalizzazione si sia compiuta prima che negli altri gruppi (cfr.
p. 55). In alcune zone periferiche della Romania la velare si è addirit-
(1) In Gregorio di Tours dini e dici si confondono, perchè l'uno era pro-
nunziato dissi (cfr. p. 64, n. l) e l`altro disi.
13-. 11. GRUPPO quu 59
uo, cfr. p. 47 s.), cui rispondeva una pronunzia cu bene attestata dai
grammatici, dalle iscrizioni e in parte dalla tradizione manoscritta,
cfr. Velio Longo (VII 58 K.): quaeritur, utrum (equus) per unum u an
per duo debeat scribi... Auribus quidem su/ficiebat, ut equus per unum
u scriberetur, ratio (Panalogia) tamen duo ezvigit, confermato, per es., da
EOVS di OIL XIV 3911, RELIOVM di GIL VIII 2728,9 (c. 148 d. Or.).
Un compromesso tra analogia e pronunzia si ebbe nella grafia qu, per
es. in EQVS di OIL VIII 40508 (III sec. d. Or.) e dell'Appendia: Probi
(IV 1.97 K.): equs non eeus. Ebbero invece la grafia fonetica la congiun-
zione cum < quom (dal tema del relativo), che venne così a coin-
cidere con la preposizione eum < *Icom (1), e il genitivo e dativo del
pronome qui, cuius < quoius e cui < quoi; del trapasso fu testimonio
Quintiliano: illud nunc melius, quod «cui » tribus quas praeposui litte-
ris enotamus, in quo pueris nobis ad pinguem sane sonum « qu ›› et « oi ›
utebantur (1, 7, 27).
In conclusione, resta esclusa la pronunzia scolastica di equus, alla
quale va sostituita o equos o ecus, probabilmente coesistenti, anche se
a diversi livelli sociali, in epoca classica.
(1) Cfr. Quint. 1, 7, 5: illa quoque seruata est a multis difierent-ia, ut... « cum ››,
si tempus significaret, per « qu › (cioè quam), si comitem, per « c ›› ac duas sequentes
(cioè cum) scriberetur. La grafia quum, forse dovuta all`equazione quum: tum =
quam: tam e all'analogia del doppione equus/ecus, è tarda (IV sec., cfr. Mario
Vittorino, VI 13 K.), medievale e umanistica.
14. I GRUPPI -ng-, -gn-, gn- 61
stato da Terenziano Mauro (VI 894 K.): G tamen sonabit illic, quando
Gnaeum enuntio. Interessante è il caso d.i Gnaeus/Naeuius, derivati
entrambi, come molti antroponìmi romani, da una caratteristica fisica,
il neo (naeuus < *gnaiuos) (1): il primo, ancora attestato nella sua
forma originaria dall'ablativo GNAIVOD del sepolcro degli Scipioni,
è prenome e Puso della sigla On. (cfr. p. 13) ha forse contribuito a pre-
servare la velare, almeno nella grafia, mentre il secondo, col sufiìsso
di derivazione proprio dei gentilizi (cfr. Iulus/Iulius, Tullus/Tullius),
e quindi posteriore al primo, l'ha perduta.
(1) Cfr. Varr. fr. 330, p. Fun.: Gnae-us ob insigne nacui adpellatus est.
/mod unum jnraenomen ':.1,m~:'a scriptura notatur; alii. enim Naeum, alii Gnaeum,
.~›//'11 Cna/›um sm-i."›1mt. Qui G' li!!/-ra in Imc 7›r(wr›on›i›u› uluntm-_. anlíquitatem
sujzt-i -u-itlentur. Questa ic.<;iinmiiianza di una grafia ..Var›u.<, vonfcrrnata dalla
i's^=.=qncntc irzislittcraziono greca Naíoç. fa supporre clic nella pronunzia corrente
I.: velare ctulesse c che 'l`e-renzìano l\l:1-uro si rifcrissc a una pronunzia (lotta,
basata sulla grafia, quale sembra prcsnpposta anche da Quintiliano (1, 7, 29):
f/.ce Gnaeus eam lille-ram in pra¢rnominis nota (cioè Cn.) aceipit, qua sonat.
(2) Anche in attico -múç < for; (conservato nel cretesc; ov nota o lungo
stretto, 6; ei; < êvç (conservato anclfesso nel cretese; et nota e lunga stretta, 9*,
cfr. ei; < *sem-s, che ha la stessa radice di sem-el, sem-per, etc.).
15. iL <:RUx›i>o ns 63
(1) Si spiega così Palternanza s/ns tra il semplice e il derivato, per os.
Jllostellaria «la commedia dello spirito» da *mostellum diminutivo di mon-
strum; o tra il semplice e il composto, per es. quasi < *quan-si <*quc.m-si
(benchè faccia qualche difficoltà. ci non allungata per compenso). e tunsus
(assai più frequente di tusus per Fanalogia di tundo) rispetto a contusus (as-
sai più frequente di contunsus, forse per dissimìlnzione, cfr. Seru. ad Varg.
georg. 1, 262: antriqui n addebant, quod nos propter euphoniam in aliquibus detra-
rcimus, ut obtus-us, in aliquibus enim remansit, ut tunsus).
(2) Cfr. J. ANDRÉ, Glanures de lexicologie latine, « Arcl.. Glott. Ital.››,
1964, p. 74.
(3) Ma tosores in CIL XV 7172.
64 LA PRONUNZIA
§ 16. - S intervocalica.
(1) Analogamente gs > cs, notata av: (*necleg-si > *neclec-si > 'neglexi come
*deic-si > diari), cfr. Diomede (I 425 K.): x littera composita, quam idea dupli-
cem dicimua, quouiam constat ea; c et s litteris. Perciò la pronunzia classica di
:v era sorda (cs) e non sonora (gs), come suona talora la pronunzia scolastica,
cfr. grafie fonetiche come IVNCXIT (CIL VIII 8692), dove la velare sorda
è esplicitamente aggiunta dinanzi a av. Nella pronunzia volgare ac tendeva a
ridursi a s(s) (it. dissi < dixi): la tradizione manoscritta di Plauto conserva
esempi di mers per mea-x, e tale pronunzia è alla base dell'omeoteleuto sum-
m/um 'ius summa cruz (leggi c'rus, donde il medio irlandese cross, cfr. p. 39, n. 1),
come della rima mediolatína caehs/ƒelix (Bernardo di Cluny).
(9) Donde in Poen. 279: Milphio, ubi es? :: Assum apud te eccum. :: At
ego elia-us (bollito) sis uolo, il giuoco di parole tra as-sum = adsum e a.s.»-um.
da assus, « arrostito ›› (< *ars(s)us).
16. s 1NrF.RvocA1_1cA 65
(1) Ma dove la vocale era la stessa nel nominativo e negli altri casi, Pana-
logia fini per sostituire r ad s anche al nominativo (tranne nei monosillabi
del tipo ƒlos), restituendo l'unità della flessione: li* fase honös, *honôsís; 2°' fase
honös, honãris; 3'* fase ho/nör, hmzöris, ma con alternanza di quantità, della
vocale per abbreviarnento di o dinanzi a r finale.
(2) Il caso più notevole è Paccusativo plurale dei temi in -'i, che nelle nostre
grammatiehe esce in -és mentre sino all'età d'Augusto è prevalente la forma
originaria in -is: urbì-s < *urbi-ns < *urbi-ms.
66 17, TAVOLA m.\ssUN'riv,\
ns HS Us S DS
S
-S- S S S
§
BIBLIOGRAFIA
§ l. - Come prima introduzione sia storica che teorica si veda l'agile opu-
scolo di J. MAROUZEAU, La prononciation ctu latin, Paris, 19554 (risale a un
articolo del 1930), con ampia bibliografia. Il Marouzeau ha dedicato altri saggi
alla pronunzia del latino, citati inƒra, § 5. Prima di lui, era stato « ardent ré-
formateur de la prononeiation ›› A. MACÉ, che portò la questione al Congresso
Internazionale di Scienze Storiche tenuto a Roma nel 1903 (Atti, Roma, 1905,
II, pp. 269-277): La prononctalion internationale du latin au XI' siècle (ricco
di notizie intorno al movimento di riforma nei vari paesi).
Sulla pronunzia italiana del latino. confrontata con la pronunzia « classica ››,
A. GANmc.LIo, Morfologia regolare della lingua latina, 3°' ed. rifatta da G. B.
Pmrix, Bologna, 1952, pp. 6-ll; sulla pronunzia francese P. DAMAS, La pro-
nonciation « française ›› du latin depuis le X VI” sièclc, Paris. 1934 (essa fu difesa
contro la pronunzia italiana, fra gli altri, 1lall”al›ate ROUSSELOT, La pronon-
ciation du latin, «Mercure de France», 170. 1924. pp. 392-398, con interessanti
osservazioni storiche e foneticlie); sulla pronunzia ecclesiastica e la sua sto-
ria D. J. JEANNIN, La prononciation romaine du latin, Paris, 19141, 19172;
J. G. BRANCO, A pronuncia do Iatim na liturgia da igreja eatólica, Coimbra,
1947; G. E. GANSS. Pronunciation oƒ latin in Church, « Class. Journ.››, 47,
1951-52, pp. 45-49; F. BRITTAIN, Latin in Ohurchzthe History of its Pronunciation,
London. 19552, con particolare riguardo alla pronuncia inglese, difesa contro
l”it-aliana (documentazione in parte inedita). Di grande interesse è ora l'articolo
di A. VACCARI, La pronunzia (lcl latino nella Chiesa del secolo V, « L°0sservatore
Romano», 14 III 1962, con testimonianze inedite tratte da papiri egiziani e
dal Liber intcrpretationis Ilrbraicorum nominum di S. Girolamo: Pautorevole
studioso concluclc-, che i padri della Chiesa pronunziavano ancora ci e ce con la
velare e quindi la pronunzia ecclesiastica andrebbe modificata in questo senso.
Sulla pronunzia «classica» v. infra, § 5.
Sulla storia della pronunzia del latino non abbiamo un'opera complessiva
ed esauriente, com'è, per il greco, quella di DRERUP, Die Schulaussprache
des Gricchischen von der Renaissance bis zur Gegenwart, voll. 2, Paderbon, 1930-
1932 (ma, per il Rinascimento, è ricca di riferimenti anche al latino). Limi-
tatamente alla Francia Ch. BEAULXEUX, Essai sur l'histoire de la prononeiation
du latin en France, « Rev. Ét. Lat. ››, 5, 1927, pp. 68-82.
§ 2. - Pochi e non sistematici gli scritti sulla pronunzia del latino nel me-
dioevo: fra i più utili, a mia conoscenza., è M. H. JELLINEK, Zur Aussprache des
Lateinischen im Illittclalier, in Festschri/t Braune, Dortmund, 1920, pp. ll-26,
ripreso e ampliato dieci anni dopo in un opuscolo cit. a p. 27; le sue indagini
sono stato confermate da D. Nonni-mc. Inlroduclíon à Fétude (le la 'versi/ìcation
68 BIBL1OGR.›'\1`IA
latins dans les iris(-r1`.pI.z'r››|.~' altiqlles. « lšull. Fac. liettr. St.rnsl›oi11',«,›; ››, 26, 1949-50);
e ora 1). MARIN. I)z`1››zisio 411' .-1lícn›'›mss(› 4' il latino, in Ilozn/mages Ifenarll,
Bruxelles, 1969, 1, pp. 595-607 (p. 604: A:".«~i›-ríI†o1› ma Kogßívov). Sui latinismi
nel gerinanico F. KI.U<;1~: in l-l. P.-ml.. (1'run1lriss der ger1›mni.s-«alien Pliilologie.
Strassburg, 12, 1901. p. 351 ss.; nel celtico H. l'i«:1›1«:Rs'E.\'. l'e›-gleieliemle Gram-
matilc der keltisolzen ~%'prael1on, Got-tin_<_:en, 1, 1909. pp. 189-242; E. (T.-\nP.-iNII,12,
Valuta-:ione del latino di Brita.n.›1~i«, « Studi e Sziggi linguistici ››. 1969, pp. 87- 110;
nelle lingue balcaniche KR. S,\\=1›|›I-:I.I›_ Lirøguisliqzm Išnllrnniq1u>_ Paris. 1930:
nell'a1banese G. l\í1~:Ym< - W. M1«:\'1=.n-1.111-:mu-¬. in (1. GnoI«;nI~:n. (.'›'uml›-i.s-.«.- rler
romanisclien Pl1ilolo_q1'e_ St-rassburg. 12. 1904. pp. 1038-1057.
Con gli strumenti sopra accennati possiamo «sapere ›› come pronunziavano
i Romani del periodo classico, non «risuscitare» la loro pronunzia, fondata
anche sulla quantità, Paeeento e Pintonazione: « Pesscntiel est de ne pas nous
représenter le latin vivant tel qu`il est. dans nos livres ›› (J. MAROUZEAU, Accent
rl”expressii~it1f en latin. in A/\.\"\'.. UI pieluru poos-is. lmiden. 1955, p. 118).
Non sarà inutile rile,f¬r;rere le sliggestive riflessioni di R. S1«:I<|<.-\, Heul modo di
leggere i Greci. in Scritti. Firenze, 19582. ll, pp. 467-498.
§ 7. - Le varie ipotesi sono state date nel testo; qui diamo i riferimenti
bibliografici in ordine cronologico: E. G. PARODI, Noterelle di ƒonologia latina -
I - Osservazioni intorno al suono 'mediano ƒra u ed i, «Studi ital. filol. class. ››,
1, 1893, pp. 385 ss., A.-C. JURET, op. cit., pp. 19-21; A. MEILLET, recensione
al Graur (v. inƒra) in « Bull. Soc. Ling. ››, 31, 1931, pp. 98-101; G. Prcclrro,
Della natura del suono intermedio tra i ed u, Arona, 1948; P. G. GOIDÀNICII,
Del cosiddetto « sonus quidam medius u et i ›› di Quintiliano, « Atti Acc. Line. ››,
Rend. Scienze mer., s. VIII, v. V, 1950, pp. 284-296. La tesi classica del suono ü
è sostenuta nella monografia di C. PASCAL, Il suono dell`u dolce nel latino se-
condo gli antichi grammatici, «Athenacum ››, 6, 1918, pp. 34-43; A. GRAUR,
1 et V en latin, Paris, 1929; T. BOLELLI, Osservazioni sul suono intermedio ƒra
I e E in latino, « Atti Accad. d”lta.1. ››, Rend. Class. Scienze mer., s. VII, v. IV.
1943, pp. 193-204: ma si vedano le riserve di G. DEvoTo, Adattamento e distin-
72 BIBLIOGRAFIA
zione nella fonetica latina, Firenze, 1923, p. 55 s., che ritiene assicurata la pro-
nunzia ü solo per i casi di lubet/libet.
§ 9. - Chi voglia approfondire il problema, teorico e storico, della pro-
nunzia del gruppo yu, può ricorrere al denso lavoro di E. HERMANN, Silbiseher
und unsilbischer Laut gleicher Artikulation in einer Silbe und die Aussprache
der indogermanisehen Halbvolcale y und j, «Nachrichten Gese1lsch.W'issensch.
Göttingen ››, 1918, pp. 100-159. Abbondante materiale sul valore di up in soluo,
suauis etc. in B. MAURENBRECHER, Parerga zur latein. Sprachgesehichte, Leipzig,
1916, pp. 234 ss.
§ 10. - Su h intervocalica puramente riassuntivo Particolo di I. van OOTE-
GHEM, La prononciation de mihi et nihil, <1 Étud. Class. ››, 1961, pp. 310-312.
Su h iniziale dati desunti dalla prosodia reca J. MAROUZEAU, Quelques traces
de Paspiration initiale en latin, in Hommages à M. Niedermann, Bruxelles,
1956, pp. 238-243, sulle orme di un lavoro di T. BIRT, Ueber den Lautwerth des
Spiritus H, « Rhein. Mus.››, 1899, pp. 40-92, 201-247 (ricco ma invecchiato:
le allitterazioni plautine in h- segnalate a p. 53 a me sembrano casuali). Non
mi e stato accessibile J. SAFAREWIcz, Aspiratio quomodo in inscriptionibus
Romanis s. I p. C. notetnr, « Eos ››, pp..337-349. Sull'aspirazione consonantica
J. L. MORALEJO, Notación de la aspiraeión consonantica en el latin de la repu-
blica, Bologna, 1968.
Su11'epigramma 84 -di Catullo, oltre i migliori commenti, M. LENCHAIITIN
DE GUBERNATIS, Di alcuni fenomeni di aspirazione e un epigramma di Catullo,
1 Riv. Filol. Class. ››, 1920, pp. 444-448, che vede in chommoda e hinsidiae un
provincialismo; invece H. JURENKA, Zur Erlclãrung des Katull, « Wiener Stu-
dien ››, 1916, pp. 179 s., vi vede una pronunzia «a1tmoclisch, altvãterlich ›› e
non volgare: tesi ripresa da A. RONCONI, Interpretazioni grammaticali, Padova,
19581, p.6s. (Roma, 19712, p. 18 ss.). Ultimamente H. B. `RosÉN, Arrius'
Speech again, «Mnemosyne››, 1961, poco persuasivamente propone di leggere
coi eodd. comoda per chommoda. Bibliografia nel recente commento catul-
liano di.C.J.FoRDYcE,()xford, 1961. La testimonianza di S.Agostino fu segna-
lata da G. PA Ris, La prononciation de H en latin, _«Romania-››, 11, 1882, p. 399..
§ 14. - Sulla pronunzia di -gn- non c'è ancora accordo e i manuali sono
l'un contro l°a.1tro armati: il J uret, per es., ritiene necessaria la velare nasale,
mentre il Camilli la giudica foneticamente impossibile; M. GRAMMONT, a sua.
volta, parla di « prepalatale nasale ›› e spiega il passaggio ignosco < *ingnosco
con la dissimilazione di due consonanti di egual natura separate da una con-
sonante d'altra natura, cfr. fr. saigncr < *sagnare < sang(u'i)nare (Traité de
Phonétique, Paris, 19565, p. 294). Tra i più vigorosi oppositori della pronunzia
nn ricordo E. Coccnm, Rassegna critica di filologia e di linguistica, V, « Riv.
Filol. Class. ››, 15, 1887, pp. 429-454 (ma due anni dopo la difese altrettanto
vigorosamente, senza conoscere 0 citare il Cocchia, L. HAVET, Mélanges latins,
c Mém. Soc. Ling. Paris ››, 6, 1889, pp. 34-38); e ora A. Camilli, op. cit., pp. 87 s.,
che tuttavia non prende in considerazione tutti gli elementi del problema,
Anche la sua conclusione, che ñ esista solo nelle combinazioni nc (o nq) e ng.
sembra eccessiva a chi ricordi le forme dialettali galenna (Emilia) e galiíma
(Piemonte), cana (cagna, Trentino), dunáñs (donne, Grigioni), cfr. A.I.S. (Atl.
ling. Ital. e Svizz. mein), rispett. carta 1122, 1098 e 48 (e per il bolognese
A. GAUDENZI, I suoni, le ƒorme e le parole delfodfierno dialetto della città, di
Bologna, Torino, 1889, p. 31; F. C000, Il dialetto di Bologna, Bologna,
1970, p. 61 ss.). Fanno diflicoltà, gli esiti romanzi, che postulano un'epen-
tesi gin o gun e sono quindi in favore della pronunzia gin (diverso è il caso di
conosco, che sembra venire da una ricomposizione fatta su nosco). All'obbie-
74 BIBLIOGRAFIA
(*) “Maia” 19, 1967, pp. 255-258. A1l'incontro partecipò anche G. Bonfante con pole-
miche quanto utopistiche repliche a favore della pronunzia “classica” (pp. 269-278).
78 APPENDICE
LATINO
Abhinc, 50 assiduös, 59
ac, 50 assum, 64
accensus (accessus), 64 atque, 50
Achaia, 18 aue, 46
adhuc, 49 aula, 40
adscribo, 64 Aulularia, 40
adsum, 64 aurai, 40
aduc (adliuc), 50 aurora, 65
aedös (haedos), 53 s. auunculus, 49
aegisse (egisse), 42 Baca, 17
aenus, 49 Baccha, 18
aequus, 42 baubari, 38
aerë (aeri), 41 bene, 27
aes, 49 bibere, 48
agnus, 29; 60 bimus, 49
ahenus, 49 Burrus, 19
aidilis. 40 buxus, 26
amans, 63
amens, 53 Cachinnus, 56
Amphion, 51 caelis, 64
Amphitruo, 18 caelum, 58
Amphitryon, 51 caepa, 42
amphora, 18 Caesar, 29; 39 41 57
ampulla, 18 Caisar, 41; 71
amurca, 14 calco, 48
angulus, 60 carnifex (carnufex) 43
annus, 60 cassus (casus), 65
anser, 52 Catameitus, 13
antehac, 50 cauco, 46
arena, 52 Cauneas, 46
arundo, 52 caupo, 40
ascendo, 61 cauponari, 40
ascribo, 64 causa, 40; 65
assideo, 59 caussa, 65
86 INDICE DELLE PAROLE
cautus, 46 commoda, 53
cauus, 49 compos, 63
Ceces, 57 comprehendere, 53
cella, 57 comueniunt, 45
cellarium, 57 concutio, 59
censor, 63 condicio, 55
centum, 17; 59 condico, 55
cepa, 42 confringo, 61
cepe, 56 Consentia, 63
cepolla, 56 Constantinus, 63
certus, 57 consto, 63
ceryx, 56 consul, 63
cesor, 63 consules, 63
Cethegus, 52 contineo, 59
Charinus, 18 continuös, 59
clienturiones, 53 contio, 55
choronae, 53 contunsus (contusus), 63
choum, 49 conuiuio, 45
Chrysalus, 18 Copa, 40
cicada, 55 coque, 59
cicer, 56 coquina, 12
Cicero, 55; 56 Corintus, 18
Cicirrus, 55; 72 cosmis, 14
ciens, 36 cottide, 59
cipulla, 56 cratia, 13
cirrus, 72 Crescentsianus, 54
cithara, 56 crista, 72
Claudia, 40 crocitare, 46
Claudius, 40 Crusalus, 18
clipeus, 43 crux, 18; 64
Clodia, 40 cucurrire, 55
Clodius, 40 cucurru (cuccuru), 55
clupeus, 43 cui, 60
coerauerunt, 42 cuius, 60
coetus, 42 cum, 60
cognatus, 61 Cumac, 18; 42
cognoscere, 38 cumba, 18
cognosco, 61 cupressus, 18
cohors, 49 cyparissus, 18
cohortarì, 50
cohum, 49 Decenuir, 45
comfluont, 51 decet, 61
INDICE DELLE PAROLE
Dccumius, 27 ferbui, 47
dei, 49 fcruco, 47
deiuös, 49 fcrui, 47
dckcmbrìs, 56 feruo, 47
dclicui, 59 feruuì, 48
dcliqucsco, 59 lìicfhaked, 14
dclitcsco, 59 filiös (ñlius), 48
dclitui, 59 Florus, 40
dco, 49 llos, 65,
dcprchcndcrc, 50 íluio, 45
dcprcndcrc, 50 foedus, 43
deus, 49 fouco, 48
dici, 58 foui, 48
Didimus, 45 fruontur, 48
Didumo, 45 Fundanius, 51
dignus, 61 lurfur, 18
dingnissimc, 61 Furii (Fusii), 16
diribco, 49
dirimo, 49 Gaius, 13
diuisio, 65 Ganymcdcs, 14
cliuissio, 65 genus, 55; 65
diuus, 49 glacba (glcba), 42
dixi, 58; 64 Gnacus, 13; 49; 62
Gnaiuod, 40; 62
Eccc, 38 Gnaiuos, 49
cculcus, 59 gnarus, 61
ccus, 59 s. gnatus, 61
cdcra, 52 gnauus, 61
clcmcnlum, 27 Gracchi, 56
Emilio, 42 Gracchus, 52
cphocbi, 43 Gracci, 53; 56
cqui, 59 gratia, 54
cquòs, 59 s. gratiis (gratis), 55
cqus, 60 gubcrno, 18 s.; 26
cquus, 42; 60 gummi, 26
crus, 52
cxhalarc, 50 Habco, 51
cxhaurirc, 50 hacdös, 53
haedus, 42
Faenum (fcnum), 42 hahae, 52
Iclix, 64 halarc, 52
fcrbco, 47 halitus, 23; 52
88 INDI CE. DELLE PAROLE
harena, 52 iure, 41
harundo, 52 iurisdictio, 39
Hecoba, 44 iustitia, 54
liedera, 52
helluo, 52 Kaeso, 14
hem, 52 kalatorcm, 14
hemo, 49 kalendae, 14
Herculens, 63 karissimo, 14
herus, 52 karus, 27
heus, 52
hiems, 49 Lacio, 59
hinnitus, 52 lactus, 42
hircös, 53 laqueus, 59
liircus, 52 lateo, 54
hire, 53 Latium, 54
liirpex, 52 Laurenzio, 54
holus, 52 lautus, 40
homo, 49; 53 lëge, 58
honor (honos), 65 legcre, 36
I-lortcnsia, 63 lcgio, 58
hui, 52 lego, 61
lethum, 52
Iampridem, 46 lëuis, 42
ignarus, 61 libct, 19; 43; 72
ignauius, 61 lignum, 61
ignauus, 61 lotus, 40
ignosco, 61; 73 lubet, 19; 43; 72
imuicti, 45 Luceres, 13
incohare, 50 ludus, 18
ingnis, 61 Ludus, 18
inhiare, 50 lupös, 62
inhumanus, 50 Lydus, 18
insidiae, 53
insuper, 63 Macstitia, 40
inuitei, 45 malacisso, 18
ircös, 53 malo, 49
irê, 43 mancipo (mancupo), 43
irpex, 52 Markellino, 56
iuenta, 45 Marqus, 14
Iulius, 62 Mars, 49
Iulus, 62 Martius, 54
iuncxit, 64 massa, 18
INDICE DELLE PAROLE
prohibeo, 49 sakros, 14
pronunciatio (pronuntiatio), 55 Samnium, 61
pugillus, 74 sanguinare, 73
pulcer, 56 scaena, 42; 71
pulcher, 52; 56 scando, 61
Punicus, 43 scelestus, 59
punio, 43 sceletum, 59
purpura, 18 scena, 42
sceptrum, 42
Quaero, 65 sciens, 36
quacso, 65 scripsi, 64
quaesso, 65 secundus, 59
quamquam, 35 secuntur, 59
quasi, 63 semcl, 62
quoi, 14; 60 semper, 62
quoius, 60 senseram, 36
quom, 60 sentio, 54
quoquc, 59 sentis, 54
quotiens (quotics), 63 scpes, 42
quottidic, 59 scpulchrum (s cpulcrum), 52
quum, 60 sequi, 59
sequitur, 59
Ramnes, 13 sequontur, 59
raucus, 46 seruös, 48
rauis, 46 serus, 48
rccei, 13 seruus, 44; 48
Regiuin, 51 Setus, 18
relicuös, 59 sigillum, 74
relinquo, 59 sigma, 19
reliquiae, 59 silüa, 48
reliquös. 59 sinceram, 36
reprendo, 50 singnifer, 61
Rhcnus, 51 sinnu, 61
rius (riuus), -'19 smaragdus, 64
rosa, 64 socius, 59
roxas, 62 solui, 47
ruslicilas, 30 soluit, 47
soluo, 47; 72
Sabini, 61 somnus, 61
saccr, 64 sopor, 61
.~.;\cculum, 39 sponsa, 62
sacpes, 42 sporta, 14
INDICE DELLE PAROLE
GRECO
"Aj/;›e/loc. 60 '/llufu, 18
åleaørgzizbv, 55
12/zógç/u, 14
'/1/lrpirçúwv, 18 Báuln, 17
á/Iqroge-úç, 18 ßñ, 33; 384
ßixagioç, 47
Ai-ertírov, 11
92 INDICE DELLE PAROLE
Pavvnriôvqç, 13 yáxellov, 56
yévovç, 65 ,uaÂa›<íCa›, 18
yíyvoyai, 74 Ilflquegnavoç, 54
yayvuícmw, 61 ]lIáE1,uoç, 44
Auma (ôaaeíaj, 23 ,uágu (neogreco), 54
Aiòv/log, 45
yágnog (neogreco), 54
Ilíáguoç, 54
Eìç, 62 MovzCiaw›¢áareÃÂov (bizant.), 57
sig, 62
ëvç (cretesc), 62 Naíoç, 62
Négßa, 4']
Zeiyagá, 56 Négova, 47
Zñ1')o;, 18
Qnocwgóç, 63 Eeí, 23
ü(_›íu,ußoç, 14
'OQr1]<n'a, 63
1960;, 17 Oôa/légioç, 47
'1ovQøo'ö1›:n'wv (bizant), 39 0'vaÂ1]ç, 63
r
oüáretç, 47
Iiaíoag, 57 Oüevovoía, 47
uélìa, 57 ovmagtoç, 47
xeflrígzov, 57 ôçnpímov, 56
xellagírqç (bizant), 57
xeÂÃiu'›n]ç (bizant.), 57 Uañrín (neogreco), 39
xúgvå, 56 nañáuov, 39
müága, 56 natgímoi, 56
Kmégcuv, 56 nei, 24
xímggoç, 55; 72 néto/zar, 61
nígxoç, 56 noliiggovç, 52
›có,u,uL, 26 nogqvúga, 17
Kogßívov, 11 IIoo1:ó/uoç, 44
KóQw1“}oç, 18 Hoatoúmoç, 44
xgtbfew, 46 ngóxsrooç (bizzint), 64
mißegvcö, 18; 26 nóšoc. 26
xú/4/317, 18
KÖ/ny, 18; 42 'Pú;/lor, 51
uvrrágumoç. 18 éijrogtxri, 22
Kworavrwoç, 63
Zm'Ârróv, 58
Aéye, 58 amp/ri, 42
Âeyuóif, 58 oz›]ntgo1›, 42
Â1;'L'}r/, 52 Unvgíôa, 14
orgaróncôov, 58
Máfa, 18 nrfüloç, 19
INDICE DELLE PAROLE
Táy/.¢a, 58 toóç, 62
té)/ya), 61
Tegévnoç, 54 °YÂ17, 19
Tag-ria, 54 6.11/0;, 61
Tåaíaag (bizant.), 39; 57
Øláflwç, 47
'ršégroç (bi7.ant.), 57 Ølaovßzoç, 47
Tšéoag (bizant.), 39; 57 ¢D}.áomoç, 47
TCérC›7ç, 57
TC4/fizrà Nóßa (bizant.), 57 Xáoç, 50
fovç (cretese), 62 Zfiv, 52
GERMANICO E CELTICO
Rcgnen (ted.), 60
Ich (ted.), 50
Inhalt (ted.), 50 Saigulum (irland.), 39
Wagner (ted.), 60
Kaisar (got), 41; 71 well (ingl.), 46
Kaiser (ted.), 41
kaufen (ted.), 40 Zclle (ted.), 57
ITALIANO
Abbecedario, 24 angolo, 60
abbicci, 24 annichilirc, 50
acca, 24; 49
agnello, 61 Cana (Cagna, trent.), 73
alfabeto, 24 causa, 43
Anfitrionc, 51 cctcra, 56
94 IN DICE DELLE PAROLE
cetra, 56 mestizia, 40
chicchirichì, 55 monache, 54
chitarra, 56 Mori, 43
concione, 55
condizione, 55 Natìo, 49
cosa, 40; 43 nichilismo, 50
Costantino, 63
Pena, 40
Darò, 49 pronuncia, 55
deífinire, 31 pronunzia, 55
dissi, 64
dunáns (donne, Grigioni), 73 Quadro, 59
quiproquo, 31
Ette, 24
Rauco, 43
Fakere (sardo), 59 rio, 49
1-oco, 43
Galenna (gallina, cmil.), 73 rosa, 64
galinna (gallina, piemont.), 73
ganimede, 14 Sacro, 64
scheletro, 58
Huomo, 54 soave, 48
Sophia, 52
Kentu (sardo), 59 sposa, 62
Lieto, 42 Trionfo, 51
lieve, 42
Uomo, 46
Mannu (sardo), 61
Mauri, 43 Zar, 57
mese, 62
FRANCESE
Agneau, 29 homme, 54
Cancan, 35
ciel, 58 Oui, 46
coquerico, 55
czar, 57 Saigner, 73
style, 19
I-Iaclie, 24
hcros, 54 Tres, 64
INDICE DELLE PAROLE 95
ALTRE LINGUE
Accius (Il sec. a. Cr.; cd. Ribbeck, 53; De diuirzalionc 2,84, 46 s.;
Tragicorum Romanoruni ƒragmen- 2,96, 22; Dc natura (Icorum 2,93,
ta-*): 572 s., 56; apud Marium 17; Dc oralorc 2,249, 52; 61; Epi-
Victorinum Vl8K. (v.), 19; apud slulac ad ƒamiliares 5,2,6, 40;
Varronem, Iing. Lat. 7, 96, 42. 9,21,2, 16; Oralor 160, 19; 53; Phi-
Aeschrio (IV sec. a. Cr.; cd. Bergk, lippicae 2, 77, 14; Verrinae 2,187,
Poclac Lyrici Graeci): 1, 19. 22; apud Quintilianum, 6, 3, 47 s.,
Albinus (=Alcuinus? VIII sec. d. 59.
Cr.; ed. Keil, Grammatici Latini): Corpus Inscriplionu/iz Latinarumz Il
VII 297, 49. 1, 13 5.; 3, 14; 4, 13 s.; 7, 40; 62;
Appendix Probi (IV sec. d. .Cr.? ed. 60, 13; 17; 365, 16; 581, 18; 584,9,
Keil, Grammatici Latini): IV 197, 45; 584,13, 51; 584,36, 45; 589, 65;
60; 63; 198, 63; 199, 49; 50. 593,133, 45; 626, 18; 672, 42; 927,
Apuleius (II sec. d. Cr.): Apologia 40; 1038, 56; 1124, 52; 1211, 52;
63, 58. 1290, 18; 1420, 51; 1603, 45; III
Augustinus (354-430 d. Cr.): Confes- 12396, 54; IV 1227, 53; 1553, 42;
sioncs l,l8,29, 54; Dc doctrina 1638, 49; 1890, 43; 1904, 63; 23194,
Chrisliana 2,24,37, 58; Sermoncs 45; 2413/ add. p. 207, 42; 3121; 61;
224,4,4, 46. 5274, 45; IV tab. cer. 82,5, 43; V
Ausonius (IV sec. d. Cr.; ed. Peiper): 3555, 56; 7809, 45; VI 542, 45;
Epigrammala 52, 58; 166 S., 22. 1282, 40; 2041,60, 46; 3637, 61; VIII
2728,9, 60; 8692, 64; 9927, 54; 16208,
Caper (ll sec. d. Cr.; cd. Keil,Gran1- 54; 40508, 60; IX 2893, 61; X 2311,
matici Latini): VII 93, 63. 65; XIV 246, 54; 1386, 61; 2855,
Carmen Saliarcz 16; 65. 27; 3210, 27; 3911, 60; XV 7172,
Carmina Epigraphica (ed. Bueche- 63. I
ler): l3l8,3, 47; 1499, 47. Cratinus (V sec. a. Cr.; ed. Kock,
Catullus (87-54 Ca a. Cr.): 2, 13, 48; Conzicorum Atticorzun ƒragmen-
64, 53, 58; 84, 53; 72. ta): 43, 33; 38.
Cedrenus (intorno al 1057): 39.
Charisius (IV sec. d. Cr.; ed. Bar- Digesta Instiniani (VI sec. d. Cr.):
wick): p. 93,3, 52; p. 313, 55. l,2,2,36, 16.
Cicero (106-43 a. Cr.): Epislulac ad Diodorus Siculus (I sec. a. Cr.): 39.
AI/[cum l4,l3A,2, 40; Brutus 243, Diomedes (IV sec. d. Cr.; ed. Keil,
98 INDICE DELLE FONTI ANTICHE
Gellius (II sec. d. Cr.): Noctes Atti- Nigidius Figulus (I sec. a. Cr.; cd.
cae 2,3, 53; 13,6,3, 53; l6,17,2, 47; Swoboda): apud Gellium 13,6,3
19,l4,6, 46. (v.), 53; apud Gellium l9,14,6, 46.
Gregorius Turonensis (538-594 d.
Cr.): 58; 64 s.; Historia Franco-
rum 5, 44, 19 s. Ouidius (43 a. Cr. - 17 d. Cr.): Meta-
morphoseon 6, 376, 59.
Hesychius (V sec. d. Cr.): Lexicon
2,481, 55. Papirius o Papirianus (V sec. d. Cr.?
Hicronymus (348-420 d. Cr.): Liber cd. Keil, Grarnnzatici Latini):
intcrpretationis Hebraìcoruzn no- VII 216, 54.
minum (cd. Adriaen), p. 137, 56; Paulus Tarsensis (I sec. d. Cr.): Epi-
67. stulac ad Corinthios I 10,25, 56.
Horatius (65-8 a. Cr.): Carmina Persius (34-62 d. Cr.): Prologus (?)
l,23,4, 48; Satírae 1,5,52, 55. 8 ss., 47.
Petronius (I sec. d. Cr.): 63, 8, 47.
Inscriptiones Graecac: II2 4109, 40; Phaedrus (I sec. cl. Cr.): Appendix
IX,l,200, 47. 21, 46.
Isidorus Hispalensis (560?-636 d. Cr.): Plautus (250?-184 a. Cr.): Bacchides
Etyrnologiae siue Origines (ed. 129, 18; 362, 18; 943; 58; Captiui
Lindsay), 10, 184, 48. 274, 18; Cistellaria 201, 18; Mc-
naechmi 144, 13; Miles gl0ri0SMS
Liuius (59 a. Cr. - 17 d. Cr.); 1,32,l3, 226, 58; Pseudolus 229, 18; 736, 18;
57; 9,36,3, 15. v. anche 64.
Lucilius (l80?-103 a. Cr.; ed. Marx): Plinius (23-79 d. Cr.): Naturalis Hi-
1130, 41; v. anche 22. storia 10, 121, 47; 16,237, 15.
Lucretius (95-55? a. Cr.): 1,42, 40; Plutarchus (I-Il sec. d. Cr.): Quae-
4,1157, 48. stioncs Rornanac 54 e 59, 16 S-
INDICE DELLE FONTI ANTICHE 99
Polybius (II sec. a. Cr.): 47; 48; 54; Stilo (II-I sec. a. Cr.): ap. Quinti-
56 s. lianum 1,6,36 (v.), 46.
Pompeius (V-VI sec. d. Cr.? ed Keil, Strabo (64 a. Cr. - 21 d. Cr.): Geo-
Grammatici Latini): V 285, 42. graphia 4,4,4, 47.
Porphyrion (III sec. d. Cr.): ad Ho- Suetonius (I sec. d. Cr.): Augustus
rati artem poeticam 113, 56. 88, 17; Vespasianus 22, 40; frag-
Posidonius (135-50? a. Cr.): apud menta p. 251 ed. Reifferscheid,
Strabonem (v.) 4,4,4, 47. 55.
Priapea (età d'Augusto): 7, 22.
Príscianus (V-VI sec. d. Cr.; ed.
Herzt nel vol. II del Keil, Granz- Tacitus (I-II sec. d. Cr.): Annales
matici Latini): I 8, ll; 23; 12, 51; 1,24, 41.
30, 60; 35, 12; 36, 18. Terentianus Maurus (II sec. d. Cr.;
Procopius (VI sec. d. Cr.): De aedi- ed. Keil, Grammatici Latini): VI
flciis 4,4, p. 123,7 ed. Haury, 57. 894, 62.
Pseudo-Sergius (posteriore al IV sec. Terentius Afer (195-159? a. Cr.):
d. Cr.; ed. Keil, Grammatici La- Phormio 509, 50.
tini): IV 520, 22. Terentius Scaurus (II sec. d. Cr.; cd.
Keil, Grammatici Latini): VII 15,
Quintilianus (I sec. d. Cr.): 1,4,8, 43; 16; 27; 56; 16, 42; 19, 50; 25, 45.
48; l,4,9, 17; 56; 1,4,l0, 46; 1,4,l4,
51; 1,5,20, 53; 1,6,36, 46; l,7,5, 60;
Varro (116-27 a. Cr.): De Lingua La-
l,7,6, 59; 1,7,lO, 56; l,7,20, 65;
tina 5,4, 63; 5,21, 22; 5,55, 13;
1,7,2l, 44; 1,7,26, 48; 1,7,27, 60;
5,97, 42; 7,42, 52; 7,96, 42 s.; Frag-
1,7,28 s., 13; 1,7,29, 62; 1,7,30, 63;
menta 49, pag. 206 Funaioli
6,3,47 s., 59; 9,4,59, 50; 11,3,30, 30;
(Grammaticae Romanae frag-
12,10,27, 19; 12,10,57, 51.
menta), 23; 241, p. 269 F., 22; 265,
Ruricius (V-VI sec. d. Cr.; ed. 130, p. 282 F., 52; 61; apud Chari-
Krusch): Epislulac 2,2l,2, 58. sium p. 93 B. (v.) 52; apud Pri-
scianum I 30 H. (v.), 60; v. an-
Scholia in Iuuenalem (IV sec. d. anche 70.
Cr.): 6,345, 40. Velius Longus (II sec. d. Cr.; ed.
Sedulius (V sec. d. Cr.): Paschale Keil, Grammatici Latini): VII 51,
carmen 1,290, 48. 16; 58, 48; 60; 67, 44; 68, 50; 75,44;
Seneca (4-5 a. Cr. - 65 d. Cr.): De 78 s., 63; 80, 20.
tranquillitate animi 4,5, 56. Vergilius (70-19 a. Cr.): Aeneis 3,680,
Seruius (IV-V sec. d. Cr.): ad Ae- 18; 6,747, 40; 8,322 s., 54; Geor-
neida 1,344, 42; ad Georgica 1,262, gicon 2,84, 18.
63 Vcrrius Flaccus (I sec. d. Cr.): 20.
INDICE DEI NOMI PROPRI