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3
Giulio Gisondi
«PROFONDA MAGIA»
Vincolo, natura e politica in Giordano Bruno
Prefazione9
Abbreviazioni13
Introduzione21
Ringraziamenti31
V. il vinculum amoris
tra filosofia naturale e politica 225
1. Il De vinculis nel contesto degli scritti magici 225
2. Dalla filosofia naturale alla riflessione antropologica e politica 230
3. Il vinculum Cupidinis tra i Furori e il De vinculis:
poesia, verità e caccia filosofica 234
4. Dalla critica del bello platonico
alla relatività del sentimento d’amore 249
5. Appetitus e Cognitio: le ragioni universali del vincire 254
6. Gerarchia dei vincula e degli amori superiori e inferiori 261
7. Dall’indeterminatezza del desiderio
alla determinazione antropologica 265
8. De vinciente in genere: coloro che vincolano 269
9. Reciprocità del vincolo:
il modello della relazione tra materia e forma 274
10. De vincibilibus in genere: coloro che sono vincolabili 276
11. Il vincolo dell’immaginazione 284
12. Dal vinculum amoris al vinculum civile286
e religio. dal vinculum amoris
VI. lex
al vinculum civile 291
1. Ontologia e politica nello Spaccio291
2. Unità, pace e contrarietade 295
3. Immagini della Verità, della Sofia
e della Legge tra la Cena e lo Spaccio 299
4. La religio come vinculum civile307
5. Religio civilis e machiavellismo 312
6. Re-ligare e re-legare: la falsa religio dei riformati 320
7. Dalla critica dei riformati a quella dei Conquistadores:
sintomi della crisi europea dalla Cena allo Spaccio328
8. Ozio e fatica.
Dalla critica dell’età dell’oro all’elogio del lavoro 337
9. Mano e intelletto.
Unicità dell’uomo e manipolazione della natura 342
10 Rivoluzione sempiterna e metempsicosi delle anime 347
11 Dal vincolo della legge al vinculum amoris.
Natura, magia e politica 349
12. Dal vinculum amoris al vinculum civile.
Politica, immaginazione e sovranità 357
Conclusioni 369
Fabrizio Lomonaco
Abbreviazioni
Opere italiane
Opere magiche
Opere mnemotecniche
Opere latine
Articuli adversus
peripatheticos Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus Pe-
ripatheticos, Articuli adversus peripathetico, E. Canone (a
cura di), trad. it. C. Monti, Pisa-Roma 2007
Nel suo Giordano Bruno and the hermetic tradition del 1964, la
studiosa inglese Amelia Frances Yates collocava il filosofo all’interno
della vasta ed eterogenea tradizione dell’ermetismo e del cabalismo
magico rinascimentale1. Tuttavia, al di là di alcuni brevi riferimen-
ti, Yates non fondava la sua lettura di Bruno mago ermetico e della
magia bruniana su di un’analisi e un confronto sistematico dell’opera
complessiva e degli ultimi manoscritti cosiddetti magici2 del Nolano,
il De magia mathematica, il De magia naturali, le Theses de magia, il
De rerum principiis et elementis, la Lampas triginta statuarum e il De
vinculis in genere, composti tra il 1589 e il 1592 e rimasti incompiuti,
ma esclusivamente sui riferimenti all’ermetismo presenti nelle opere
mnemotecniche, nei dialoghi italiani e nei poemi francofortesi.
1
A.F. Yates, Giordano Bruno and the hermetic tradition, Chicago 1964, pp. IX-XI.
2
Sulla storia, la datazione, la composizione e l’ordine di lettura di questi scritti,
cfr. Nota ai testi, in Om, pp. XXXVIII-CXXII; cfr. Introduzione, in Ol, vol. III,
pp. III-LXIV.
22 giulio gisondi
3
F. Papi, L’antropologia naturalistica del «De vinculis in genere» di Giordano Bruno,
«Acme. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Statale di Milano»,
XV, 3 (1962), pp. 151-178.
4
F. Tocco, Le opere inedite di Giordano Bruno, «Atti della Reale Accademia di
Scienze morali e politiche di Napoli», XXV, Napoli 1891, pp. 221-267.
5
F. Papi, L’antropologia naturalistica, cit., p. 152.
6
Ibidem.
introduzione 23
7
Cfr. S. Bassi, magia, mago, in Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini, M.
Ciliberto (direzione scientifica), Pisa 2014, vol. II, pp. 1136- 1141 e pp. 1144-1149.
8
V. Perrone Compagni, «magia», in Enciclopedia Bruniana & Campanelliana,
Giornate di studi 2001-2004, E. Canone e G. Ernst (a cura di), Pisa-Roma 2006,
vol. I, pp. 90-105.
9
Cfr. M. Ciliberto, Esistenza e verità: Giordano Bruno e il «vincolo» di Cupido,
Introduzione, in G. Bruno, Eroici furori, S. Bassi (a cura di), Roma-Bari 1995, pp.
VII-XLI.
10
E. Scapparone, «vinculum», in Enciclopedia Bruniana & Campanelliana, Gior-
nate di Studio 2005-2008, E. Canone e G. Ernst (a cura di), Roma 2010, vol. II,
pp. 182-194; Ead., «Tempus vinciendi». Filosofia dell’amore e civile conversazione nel
De vinculis, in La filosofia di Giordano Bruno. problemi ermeneutici e storiografici,
Convegno internazionale (Roma, 23-24 ottobre 1998), E. Canone (a cura di), Firen-
ze 2003, pp. 343-365; Ead., Magia, politica e filosofia dell’amore nel De vinculis, in
Autobiografia e filosofia. L’esperienza di Giordano Bruno, Atti del convegno (Trento,
18-20 maggio 2000), N. Pirillo (a cura di), Roma 2003, pp. 53-68.
11
E. Scapparone-N. Tirinnanzi, Giordano Bruno e la composizione del De vinculis,
«Rinascimento», XXXVII (1997), pp. 155-231.
12
Cfr. F. Papi, L’antropologia naturalistica, cit., p. 154.
13
Ivi, p. 152.
24 giulio gisondi
14
Causa, p. 295.
15
Ibidem.
28 giulio gisondi
elementi raccolti, sia per il ruolo che riveste nella redazione dei testi
successivi. Come rileva Simonetta Bassi, questo lavoro rappresenta una
«personale antologia»1, una raccolta di citazioni, annotazioni, appunti
schedati e classificati, temi e problemi che Bruno riprende e rielabora
in una riflessione sulla magia che progressivamente si allontana, nei
lavori successivi, dalle fonti raccolte.
E, in effetti, il problema dei vincula con cui attrarre e legare è par-
ticolarmente presente in una di queste fonti, nel XXXIII capitolo del
terzo libro del De occulta philosophia di Agrippa, dedicato ai vincoli
degli scongiuri con cui, nella magia cerimoniale, è possibile dominare
o allontanare gli spiriti maligni2. Tuttavia, la prospettiva demonologica
nella quale Agrippa colloca il ricorso alle diverse specie di vincula, non
corrisponde all’operazione compiuta da Bruno: se questa è presente nel
De magia mathematica, radicalmente diverso è, invece, il contesto in
cui la riflessione sul vinculum è tracciata dal De magia naturali sino
al De vinculis passando per le Theses. Tra il De magia mathematica e il
successivo De magia emergono differenze rilevanti. Il titolo di questo
scritto fu attribuito dagli editori ottocenteschi ricavandolo dalle prime
parole del testo3. Come rilevava Tocco, Bruno si riferisce a esso nel De
vinculis con il titolo De naturali magia4 e nel De minimo5 con quello
di De physica magica. In questo scritto, come nei successivi, il Nolano
1
S. Bassi, Le parole della magia, in «Physis», vol. XXXVIII, 1-2 (2001), p. 100.
2
C. Agrippa, De occulta philosophia libri tres, V. Perrone Compagni (a cura di),
Leiden-New York-Köln 1992, lib. III, cap. 33, pp. 501-502: «Vincula autem, quibus
alligantur spiritus obtestanturque vel exterminantur, triplicia sunt. Quaedam eorum
enim sumuntur ex mundo elementali, ut puta quando adiuramus spiritum aliquem
per res inferiores et naturales illi cognatas aut adversas, quatenus illum invocare vel
exterminare volumus […]. Secundum vinculum sumitur ex mondo coelesti, quando
videlicet adiuramus per coelum, per stellas, per horum motus, radios […]. Tertium
vinculum ipsum est ex mundo intellectuali atque divino, quod religione perficitur,
ut puta cun adiuramus per sacramenta, per miracula, per divina nomina, per sacra
signacula et caetera religionis mysteria».
3
Cfr. F. Tocco, Le opere inedite di Giordano Bruno, «Atti della Reale Accademia
di Scienze morali e politiche di Napoli», XXV, Napoli 1891, p. 101.
4
Cfr. De vinculis, p. 492.
5
Cfr. De minimo, p. 210.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 35
6
De magia, pp. 222-232.
7
Ivi, 232-250.
8
F. Tocco, Le opere indite di Giordano Bruno, cit., p. 101.
9
De magia, p. 222.
10
De magia math., pp. 16, 18.
11
De magia, p. 250.
36 giulio gisondi
12
S. Bassi, L’arte di Giordano Bruno. Memoria, Furore, magia, Firenze 2004, p. 107.
13
Cfr. De magia, pp. 250-284
14
De magia math., pp. 12-20, pp. 26-48.
15
Ivi, p. 20.
16
Cfr. S. Bassi, Le parole della magia, cit., pp. 102-105.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 37
17
M. Ficini Theologia Platonica sive de immortalitate animarum, in Opera, Basilea
1576, vol. I, lib. I, cap. 1, p. 79.
18
Ivi, lib. III, cap. 2, p. 119.
19
Ivi, lib. III, cap. 2, p. 121.
38 giulio gisondi
20
De monade, p. 408.
21
Cfr. A. Ingegno, Il primo Bruno e l’ influenza di Marsilio Ficino, «Rivista critica
di storia della Filosofia», 2 (1968), pp. 149-170; cfr. R. Sturlese, Le fonti del Sigillus
sigillorum del Bruno, ossia: il confronto con Ficino ad Oxford sull’anima umana, «Gior-
nale critico della filosofia italiana», LXXIII (1994), pp. 33-72.
22
Cena, p. 12, p. 76.
23
Causa, pp. 279-280.
24
Infinito, p. 354, p. 381.
25
De immenso, p. 30.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 39
26
Infinito, p. 375.
27
Cfr. I. Russo, vinculum, in Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini, M.
Ciliberto (direzione scientifica), Pisa 2014, vol. II, pp. 2054-2060.
40 giulio gisondi
28
Cfr. H. Estienne, Thesaurus graecae linguae, Genève 1572, p. 961; cfr. W. Johann,
Lexicon graecolatinum, Basilea 1537, pp. 469, 472; cfr. P. Chantraine, Dictionnaire
étymologique de la langue grecque, Paris 1968, t. 1, p. 269.
29
A. Calepinii Dictionarium, Genève 1553, p. 292.
30
Cfr. Platone, Cratilo, 400 c7; cfr. Id., Gorgia, 486 a9; cfr. Id., Leggi, X 909c 1.
31
Cfr. P. Courcelle, Connais-toi toi-même. De Socrate à Saint Bernard, «Études
Augustiniennes», Paris 1975, pp. 295-324, 325-441.
32
Cfr. ivi, p. 346.
33
Cfr. F. Astius, Lexicon Platonicum sive vocum platonicarum, Lipasiae 1819-1838,
vol. I, pp. 439-440, vol. III, p. 320.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 41
34
P. Courcelle, Connais-toi toi-même. De Socrate à Saint Bernard, cit., p. 313.
35
Cfr. Sancti Aurelii Augustini Confessionum Libri Tredecim, in Patrologia latina
(d’ora in avanti PL), J.-P- Migne (a cura di), Parisiis 1841, vol. XXXII, t. 1, lib. VI,
cap. 12, p. 730; ivi, lib. VIII, cap. 5, p. 753; ivi, lib. III, cap. 1, p. 683; ivi, lib. III,
cap. 8, p. 690; ivi, lib. IV, cap. 6, p. 698; ivi, lib. VII, cap. 7, p. 739; ivi, lib. VIII,
cap. 6, p. 754; ivi, lib. VIII, cap. 9, p. 760; ivi, lib. IX, cap. 1, p. 763.
36
Cfr. P. Courcelle, Connais-toi toi-même, cit., pp. 349-350.
37
Cfr. Platone, Fedone, 67 d.
38
Cfr. M. Ficini, Mercurij Trismegisti Pymander, de potestate et sapientia Dei item
Asclepius voluntate Dei, in Opera, cit., vol. II, cap. VII, p. 1845; cfr. Id., Mercurii
Trismegisti Pimander sive de potestate et sapientia Dei, testo greco a fronte, M. Cam-
panelli (a cura di), Torino 2011, p. 47.
39
Parmenide, Frammenti B 8.26-30 Diels-Kranz, in I Presocratici. Prima tra-
duzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti della
raccolta Hermann Diels e Wather Kranz, G. Reale (a cura di), Milano 2006, p. 490.
42 giulio gisondi
40
Ibidem, B 8.31-34 Diels-Kranz.
41
B. Cassin, L’effet sophistique, Paris 1995, pp. 34-40; Id., Présentation, in Par-
ménide, Sur la nature ou sur l’ étant. La langue de l’etre?, B. Cassin (a cura di), Paris
1998, pp. 48-60.
42
Cfr. Omero, Odissea, introduzione e commento di A. Heubeck, trad. it. G.A.
Privitera, Milano 1983, vol. III, lib. XII, 160, p. 156.
43
Ibidem.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 43
44
A.H. Coxon, The Fragments of Parmenides, Assen 1986, p. 7.
45
B. Cassin, Présentation, in Parménide, Sur la nature ou sur l’ étant. La langue
de l’etre?, cit., p. 48.
46
Ivi, p. 49.
44 giulio gisondi
47
Platone, Timeo, 31b-34c.
48
Ivi, 38e-39a.
49
Ivi, 41a-41c.
50
Ivi, 42e-43a.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 45
51
Ivi, 81d-81e.
52
Id., Epinomide, 991e-992a.
53
Id., Filebo, 18c-18d.
46 giulio gisondi
54
P.F. Girard, Textes de droit romain, vol. II., Les lois des Romaines, Napoli 1977,
p. 23.
55
Cfr. H. Lévy-Bruhl, L’act «per aes et libram», in Nouvelles études sur le très ancien
droit romain, Paris 1947, p. 97.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 47
56
Cfr. Id., Nexum et mancipation, in Quelque problème du très ancien droit romain.
Essais de solutions sociologiques, Paris 1994, p. 138; cfr. G. Gurvitch, La magie et le droit,
F. Terré (a cura di), Paris 2004; cfr. P. Huvelin, Le tablettes magiques et le droit romain,
in Études d’ histoire du droit commercial romain, H. Lévi-Bruhl (a cura di), Paris 1929.
57
P. Huvelin, La magie et le droit individuel, in «L’année sociologique», 1905, p. 35.
58
Cfr. Iustiniani Institutiones, I, 3, 13; cfr. J. Gaudemet, Naissance d’une notion
juridique. Les débuts de l’«obligation» dans le droit de la Rome antique, in «Archive de
philosophie du droit», XLIV (2000), pp. 19-32.
48 giulio gisondi
59
Paolo, Lettera ai Colossesi, 3, 14, in Nuovo Testamento, P. Beretta (a cura di),
testo greco di Nestle-Aland, trad. interlineare A. Bigarelli, testo latino della Vulgata
Clementina, testo italiano della Nuovissima versione della Bibbia, Milano 2005, p. 1661.
60
Ivi, p. 1660.
61
Ivi, p. 1597.
62
Ivi, p. 1596.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 49
63
Cfr. Sancti Aurelii Episcopi Enarratio in Psalmum LIV in PL, cit., vol. XXXVI,
t. IV, pars 1, 1865, p. 638; Id., Contra Faustum Manichaeum, Libri XXXIII, in PL,
cit., vol. XLII, t. VIII, 1865, lib. XII, cap. 6, p. 262.
64
Cfr. R.J. Rombs, Vinculum pacis: Ef 4, 3 en la pneumatología de Augustín, in
«Augustinus. Revista trimestral publicada por los Augustinos recoletos», LVI (2011),
220-221, p. 176.
65
Cfr. Sancti Aurelii Augustinii Sermo LXXI, in PL, cit., vol. XXXVIII, t. 5,
pars 1, 1845, cap. 12, pp. 453-456.
66
Cfr. Id., Epistula XLIII, in PL, cit., vol. XXXIII, t. 2, 1865, cap. 8, p. 171; ivi,
Epistola XLIV, cap. 5, p. 179; ivi, Epistola LXI, p. 229.
67
Cfr. Id., In Ioannis Evangelium tractatus centum viginti quatuor, in PL, cit., vol.
XXXV, t. 3, 1864, tr. CXVIII, p. 1949; cfr. Id., Contra Cresconium grammaticum
Partis Donati, in PL, cit., vol. XLIII, t. 9, 1865, lib. II, cap. 14, pp. 476-477; Id., De
gratia et libero arbitrio, vol. XLIV, t. 10, pars 1, 1845, lib. I, cap. 17, p. 902.
50 giulio gisondi
68
G. Scoto Eriugena, Periphyseon, N. Gorlani (a cura di), Milano 2013, lib. I,
518c-519b, pp. 386-387.
69
Cfr. P. Secchi, «Del mar più che del ciel amante». Bruno e Cusano, Roma 2006;
cfr. C.M. Riccati, “Processio” et “explicatio”. La doctrine de la création chez Jean Scot
et Nicolas de Cues, Napoli 1983.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 51
Contra, Dionysius (De div. nom. 4): «amorem sive divinum sive an-
gelicum sive intellectualem sive animalem sive naturalem dicamus,
unitivam quamdam et concretivam accipimus virtutem». Sed spiritus
sanctus est amor patris et filii. Ergo est unio ipsorum. Hoc etiam
videtur ex auctoritate apostoli, Eph. 4, 3: «solliciti servare unitatem
spiritus in vinculo pacis»; et ita amor habet rationem vinculi et nexus71.
70
Sancti Thomae Aquinati Summa Theologiae, in Opera omnia iussu impensaque
Leonis XIII P.M. edita, Romae 1888-1906: cfr. I-II, t. VII, 1892, q. 107, a. 1 co., p.
279; cfr. ivi, II-II, t. VIII, 1895, q. 4, a. 7, ad. 4, p. 52; cfr. ivi, II-II, t. VIII q. 39 a.
1 co., p. 306; cfr. ivi, III, t. XII, 1906, q. 73, a. 3, ad. 3, p. 141.
71
Id., Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, Libro I, Distinzioni 1-21, in-
troduzione di I. Biffi, trad. it. P.R. Coggi, con testo integrale di Pietro Lombardo,
Bologna 1999, vol. I, d. 10, q. 1, a. 3, p. 598.
52 giulio gisondi
72
Ibidem.
73
Ivi, Libro I, Distinzioni 22-48, vol. II, d. 32, q. 1, a, 1, pp. 396-398.
74
Id., Summa theologiae I, in Opera omnia, cit., t. IV, q. 37, a. 1, ad. 3, p. 388.
75
Cfr. ivi, I-II, in Opera omnia, cit., t. VI, q. 26, a. 2, p. 189; cfr. ivi, q. 28, a.
1, p. 197
76
C. Osborne, The nexus amoris in Augustine’s Trinity, «Studia Patristica», vol.
XX, Leuven 1989, pp. 309-312.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 53
77
N. Cusano, De coniecturis, in Opere filosofiche, teologiche e matematiche, E. Peroli
(a cura di), Milano 2017, lib. II, cap. 17, rr. 173-174, p. 508.
78
Ivi, lib. II, cap. 17, rr. 181-182, pp. 516.
54 giulio gisondi
Cum igitur haec sit se habeant, quod deus sit absoluta potentia et
actus utriusque nexus et ideo sit actu omne possibile esse, patet ipsum
complicite esso omnia. Omnia enim, que quocumque modo sunt aut
esse possunt, in ipso principio complicantur, et quaecumque creata
sunt aut creabuntur, explicantur ab ipso, in quo complicite sunt80.
Se Dio è in atto tutto ciò che può essere, così non è per il mondo
creato. La creazione e le creature sono escluse dall’uguaglianza e coin-
cidenza riservate alla relazione tra Padre e Figlio, permanendo sempre
uno scarto ontologico tra l’ambito finito della creazione e quello infinito
della generazione. In quanto unitrinitarietà delle persone divine, Dio
è relazione di consustanzialità e di co-eternità, assoluta uguaglianza e
coincidenza di esse. Il rapporto tra il Padre e il Figlio per mezzo dello
Spirito Santo rappresenta per Cusano il legame tra l’assoluta potenza,
l’essere infinito e il loro nexus. Questi tre termini, posse, esse e nexus sono
in Dio una stessa e identica cosa. Soltanto nella relazione trinitaria tra
Dio e Cristo per mezzo dello Spirito Santo vi è coincidenza assoluta
di potenza e atto e del loro nesso.
79
Id., Trialogus de possest, in Opere, cit., rr. 48-49, p. 1408.
80
Ivi, rr. 8-9, p. 1358.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 55
Nam sine potentia et actu atque utriusque nexu non est nec esse potest
quicquam. Si enim aliquid horum deficeret, non esset. Quomodo enim
esset si esse non possest? Et quomodo esset si actus non esset, cum
esse sit actus ? Et si posset esse et non esset, quomodo esset ? Oportet
igitur utriusque nexum esse. Et posse esse et actu esse et nexus non
sunt alia et alia. Sunt in enim eiusdem essentiae, cum non faciant
nisi unum et idem81.
81
Ivi, rr. 47-48, p. 1406.
82
Id., De docta ignorantia, in Opere, cit., lib. I, cap. 7, rr. 21-22, p. 28.
56 giulio gisondi
e Dio per mezzo di Cristo, sia il legame tra i fedeli e Cristo attraverso
lo Spirito Santo.
Nel primo capitolo del libro III dell’Institutio christianae religionis,
Calvino definisce lo Spirito Santo il «vinculum» che «nos sibi efficaciter
devincit Christus»83. Come la terza persona, così il Cristo rappresenta
il legame attraverso il quale la pietà di Dio consente ai fedeli di strin-
gersi in un solo corpo. Nel capitolo secondo del libro III, recuperando
l’immagine del Cristo vinculum pacis e perfectionis egli scrive:
Ille est filius dilectus in quo residet et aequiescit amor patris (Matt.
3, 17 et 17, 5), et ad nos deinde ab eo se diffundit: sicut docct Paulus
(Eph. 1, 6) […]. Proinde apostolus alibi pacem nostram ipsum vocat,
alibi ceu vinculum proponit, quo paterna pietate Deus nobiscum de-
vinciatur (Eph. 2, 4; Rom. 8, 3)84.
83
Ihoannis Calvini Institutio christianae religionis, in Opera quae supersunt omnia,
ediderunt J.-W. Baum, E. Cunitz, E. Wilhelm, E. Reuss, Berlin 1864, vol. II, lib.
III, cap. 1, p. 394.
84
Ivi, lib. III, cap. 2, p. 425.
85
Ivi, lib. IV, cap. 17, p. 1011.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 57
86
Cfr. Processo, p. 170.
87
Ivi, p. 173.
88
Causa, p. 1051, nota 6.
89
Ivi, p. 1031, nota 10.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 59
90
Causa, p. 248.
91
A. Del Prete, La relation entre dieu et l’univers chez Giordano Bruno, in Giordano
Bruno. Une philosophie des liens et de la relation, A. Del Prete e T. Berns (a cura di),
Bruxelles 2016, p. 22.
92
P. Secchi, «Del mar più che del cielo amante», cit., p. 122.
93
Ivi, p. 126.
94
Cena, p. 13.
95
Cfr. S. Carannante, Unigenita natura. Dio e universo in Giordano Bruno, Roma
2018, pp. 49-89.
60 giulio gisondi
96
Infinito, p. 336.
97
Cfr. M.A. Granada, Il rifiuto della distinzione tra «potentia absoluta» e «potentia
ordinata» di Dio e l’affermazione dell’universo infinito in Giordano Bruno, in «Rivista
di storia della filosofia», XCIV, 3 (1994), pp. 495-532.
98
Cfr. Processo, p. 268.
99
A. Del Prete, La relation entre Dieu et l’univers chez Giordano Bruno, cit., p. 27.
100
Causa, p. 205.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 61
101
A. Del Prete, La relation entre Dieu et l’univers chez Giordano Bruno, cit., p. 34.
102
Cfr. Processo, p. 191.
103
Ibidem.
104
Ivi, p. 177.
105
Cfr. Documenti, pp. 67-193; cfr. Giordano Bruno. Gli anni napoletani e la
‘peregrinatio’ europea: immagini, testi, documenti, E. Canone (a cura di), Cassino
1992, pp. 64-67.
62 giulio gisondi
106
Processo, p. 156; cfr. C. Carella, Nuovi documenti su Teofilo da Vairano, «Bru-
niana & Campanelliana», XVIII, 2 (2012), pp. 405-419; cfr. Ead., Et solevo sentir
le lettioni publiche d’uno che si chiama il Sarnese, in «Nuovelles de la République des
Lettres», 1-2 (2004), pp. 133-135; cfr. Ead., Tra i maestri di Giordano Bruno. Nota
sull’agostiniano Teofilo da Vairano, «Bruniana & Campanelliana», I (1995), pp. 63-82.
107
L. Auvray, Giordano Bruno d’après le témoignage d’un contemporaine (Guillaume
Cotin) 1585-1586, «Mémoires de la Société de l‘Histoire de Paris et de l‘Isle-de-
France», XXVII (1900), p. 10.
108
Ibidem.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 63
di Napoli, entrando a far parte della comunità degli Eremiti del con-
vento di San Giovanni a Carbonara. Il convento degli agostiniani di
Napoli a cui Teofilo fu affidato era, insieme a quello domenicano di
San Domenico Maggiore, uno dei più importanti centri di studio e
formazione filosofica e teologica in Italia. Fino al 1551 era stato retto
dall’allora generale dell’Ordine, il cardinale e arcivescovo di Salerno
Gerolamo Seripando109, tra le voci di spicco del Concilio di Trento e di
una maggiore riforma della Chiesa. Allievo e segretario del precedente
generale dell’Ordine, il cardinale neoplatonico Egidio da Viterbo, Seri-
pando era stato amico e corrispondente di Juan de Valdés, pur restando
lontano dalle idee dei riformati sul piano dottrinale. Impegnato in
un’operazione di riconciliazione delle differenti posizioni all’interno
della chiesa cattolica, convinto sostenitore della pacificazione con i ri-
formati e della necessità di punire non l’eretico ma l’eresia, egli sostenne
durante il concilio tridentino tesi tutt’altro che controriformistiche e in
termini nient’affatto scolastici110. Seppur la posizione di conciliazione
e di riforma espressa dal cardinale all’interno del Concilio risultò mi-
noritaria, egli si adoperò, anche dopo la sua successione come generale
degli agostiniani e reggente di San Giovanni a Carbonara, affinché
tra le mura del convento vigessero gli stessi principi da lui sostenuti
a Trento, e ancor prima dal suo maestro Egidio da Viterbo, pur nel
rispetto dell’ortodossia cattolica.
È in questo contesto culturale, filosofico e religioso, che studiò e si
formò quel fra’ Teofilo da Vairano. Nel 1562, lo stesso anno dell’arrivo
di Bruno a Napoli, Teofilo fu promosso lettore e maestro111, titolo che
lo abilitava all’insegnamento della filosofia all’interno dell’Ordine che
affiancava all’attività privata. Nel suo cursus studiorum Teofilo lesse e
commentò Aristotele, per quel che atteneva la preparazione filosofica,
109
Cfr. H. Jedin, Girolamo Seripando. La sua vita e il suo pensiero nel fermento
spirituale del XVI secolo, G. Colombi e A.M. Vitale (a cura di), trad. it. A. Dente,
Brescia 2016, voll. II.
110
Cfr. A. Marranzini, Il problema della giustificazione, in Gerolamo Seripando e
la Chiesa del suo tempo, Atti del convegno (Salerno, 14-16 ottobre 1994), A. Cestaro
(a cura di), Roma 1997, p. 228.
111
Cfr. Documenti, pp. 98-99.
64 giulio gisondi
112
Cfr. D. Gutierrez, Gli Agostiniani dal protestantesimo alla riforma cattolica
(1518-1648), Institutum Historicum Ordinis Fratrum S. Augustini, Roma 1972,
pp. 168-172.
113
C. Carella, Tra i maestri di Giordano Bruno. Nota sull’agostiniano Teofilo da
Vairano, cit., p. 69.
114
M. Ciliberto, Giordano Bruno, Il teatro della vita, Milano 2007, p. 23.
115
D. Gutierrez, Gli Agostiniani dal protestantesimo alla riforma cattolica, cit.,
p. 170.
116
C. Carella, Tra i maestri di Giordano Bruno. Nota sull’agostiniano Teofilo da
Vairano, cit., p. 69.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 65
degli scritti ermetici e di magia, facendo di essa uno dei più importanti
luoghi di letture e di discussioni filosofiche e teologiche del Regno
di Napoli, non riservato ai soli appartenenti all’Ordine, ma aperta e
accessibile a ogni studioso. Se il centro degli studi della Scolastica a
Napoli era sempre stato il convento di San Domenico Maggiore con la
sua prestigiosa Libraria117, il convento e la biblioteca di San Giovanni
a Carbonara118 furono nel XVI secolo uno dei più importanti centri di
studio del neoplatonismo cristiano, una vera e propria scuola di studi
platonici119: scuola che, come ha osservato Ingrid Rowland, «esercitò
una forte influenza su Bruno agli esordi del suo periodo napoletano»120
e dove egli poté accostarsi alla filosofia platonica, prim’ancora che agli
scritti di Aristotele e di Tommaso.
L’approccio degli agostiniani alla ricerca della verità, sia essa te-
ologica o filosofica, è particolarmente riconoscibile nelle pagine del
De gratia Novi Testamenti121, opera di Teofilo da Vairano redatta tra
il 1570 e il 1577, dedicata al cardinale Antonio Carafa, ma mai data
alle stampe. Nella seconda parte del suo De gratia, Teofilo, convinto
della validità del suo metodo, sceglie lo stile del dialogo, «a indicare
il carattere colloquiale – e non controvertistico – con cui deve proce-
dere la ricerca della verità»122. Egli descrive, sulla scia del progetto di
riforma sostenuto da Seripando, una chiesa in grado di non separare,
ma d’includere l’intera comunità dei cristiani attraverso il messaggio
d’amore e di carità del Nuovo Testamento. Le argomentazioni del frate
117
Cfr. E. Canone, Contributo per una ricostruzione dell’antica ‘Libraria’ di S.
Domenico Maggiore, in Giordano Bruno. Gli anni napoletani e la ‘peregrinatio’ europea,
cit., pp. 191-246.
118
Cfr. D. Gutiérrez, La biblioteca di San Giovanni a Carbonara di Napoli, «Ana-
lecta Augustiniana», vol. XXIX (1966), 59-212.
119
I. Rowland, Un fuoco sulla terra. Vita di Giordano Bruno, trad. it. G. Ernst,
Roma 2011, p. 46.
120
Ibidem.
121
Il manoscritto del De gratia Novi Testamenti, mm. 266 x 205, cc 272, oggi
Vat. Lat. 12056, proviene dal vecchio fondo Arm. X dell’Archivio Segreto Vaticano
(Arm. X, 68), oggi riordinato in Miscellanea Armadi I-XV, consultabile attraverso i
vecchi indici 218 e 210 e i nuovi indici 1029 I-II.
122
M. Ciliberto, Giordano Bruno, Il teatro della vita, cit., p. 23.
66 giulio gisondi
123
Cfr. I. Rowland, Un fuoco sulla terra. Vita di Giordano Bruno, cit., p. 48.
124
Ibidem.
125
Ivi, pp. 48-49.
126
Causa, p. 253.
127
C. Carella, Tra i maestri di Giordano Bruno. Nota sull’agostiniano Teofilo da
Vairano, cit., p. 74.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 67
Processo, p. 251.
128
MDLXVI, c. 119v.
68 giulio gisondi
130
M. Miele, L’organizzazione degli studi dei domenicani di Napoli al tempo di
Bruno, in Giordano Bruno. Gli anni napoletani e la peregrinatio europea, cit., p. 47.
131
Processo, p. 157.
132
Ibidem.
133
M. Ciliberto, Giordano Bruno, Il teatro della vita, cit., p. 25.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 69
di vedere territori lontani di cui non aveva saputo cogliere subito tutta
l’importanza»134.
Quest’atteggiamento è particolarmente visibile nel secondo proce-
dimento disciplinare che Bruno subì a San Domenico Maggiore nel
1576 e che gli costerà la fuga dal convento e da Napoli. Già sacerdote
e dottore, ragionando con i suoi superiori sulla legittimità di procedere
in teologia attraverso metodi e lessici non scolastici, alla maniera dei
padri della chiesa, egli citava le eresie di Ario e di Sabellio sulla non
consustanzialità del Figlio rispetto al Padre, richiamando in proposito
anche l’opinione di Agostino, e lasciando esterrefatti quei padri:
Anche in questo caso egli recupera la polemica del suo maestro e dello
stesso Seripando contro la Scolastica, contrapponendo al metodo della
disputa quello degli antichi padri, facendo sua sia la lezione appresa dagli
agostiniani, sia da Erasmo e Valla. Attraverso la lettura delle opere di
Tommaso, Bruno poté indirettamente avvicinarsi allo studio delle eresie
di Ario e di Sabellio sul dogma dell’Incarnazione e della Trinità, ribal-
134
Ivi, p. 27.
135
Processo, p. 191.
70 giulio gisondi
136
Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, Libro
I, Distinzioni 22-48, introduzione di I. Biffi, trad. it. P.R. Coggi, con testo integrale
di Pietro Lombardo, Bologna 2000, vol. II, d. 24, q. 2, art. 1, pp. 288-290; ivi, d. 25,
q. 2, art. 1, pp. 308-310; ivi, d. 31, q. 1, a, 1, p. 356-358; ivi, d. 31, q. 2, a. 1, p. 366.
137
Cfr. Sancti Thomae Aquinati Summa contra gentiles, in Opera omnia iussu
impensaque Leonis XIII P. M. edita, Romae 1918-1930, t. XV, 1930, lib. IV, cap. 4-10,
pp. 9-31, cap. 32, pp. 115-117, cap. 41, pp. 140-142.
138
G. Seripando, Prediche […] sopra il simbolo degli apostoli, dichiarato co simboli
del concilio Niceno, et di santo Athanasio, in Vinezia, al segno della Salamandra, 1567,
oggi conservato presso la Biblioteca Universitaria di Napoli (Z. b. 162); cfr. E. Canone,
Contributo per una ricostruzione dell’antica ‘Libraria’ di San Domenico Maggiore, in
Giordano Bruno. Gli anni napoletani e la peregrinatio europea, cit., p. 240.
139
G. Seripando, Prediche sul paternoster, in R.M. Abbondanza, Girolamo Se-
ripando tra Evangelismo e Riforma cattolica. Le prediche sul paternoster, Roma 1999.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 71
140
Cfr. M. Miele, Presenza protestante a Salerno durante l’episcopato di Geronimo
Seripando, in Geronimo Seripando e la chiesa del suo tempo, cit., pp. 283-289.
141
Dell’In memoriae subsidium si conservano presso la Biblioteca Nazionale di
Napoli i primi due volumi con la collocazione ‘Codici VIII AA 21-22’. Il primo codice
di 150 x 220 mm, 4 fogli non numerati, 322 numerati, rilegato in pergamena, riporta
sul frontespizio la dicitura «In memoriae dumtaxat subsidium / F. Hier[onimus] Seri-
pandus […] Anno post netum servatorem 1530». Cfr. D. Ragazzoni, Bruno, Seripando
e l’Arii error, Considerazioni sulle origini dell’antitrinitarismo bruniano negli anni di
San Domenico Maggiore, in Favole metafore e storie. Seminario su Giordano Bruno,
introduzione di M. Ciliberto, O. Catanorchi e D. Pirillo (a cura di), Pisa 2007, p.
344; cfr. G. Seripando, Discorsi, testo critico e trad. it. A. Marranzini, Roma 2001.
72 giulio gisondi
Così quanto al Spirito divino per una terza persona, non ho possuto
capire secondo il modo che si deve credere; ma secondo il modo pitta-
gorico, conforme a quel modo che mostra Salomone, ho inteso come
anima dell’universo, overo assistente all’universo, iuxta illud dictum
Sap[ientiae] Salomonis: “Spiritus Domini replevit orbem terrarum,
et hoc quod continet omnia”, che tutto conforme pare alla dottrina
pitagorica esplicata da Vergilio nel senso dell’Eneide:
142
D. Ragazzoni, Bruno, Seripando e l’error Arii, cit., p. 379.
143
Codice VIII AA 21-22 della Biblioteca Nazionale di Napoli, f. CCLXIIr.
144
D. Ragazzoni, Bruno, Seripando e l’error Arii, cit., p. 379.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 73
[…] Da questo spirito poi, che è detto vita dell’universo, intendo nella
mia filosofia provenire la vita et l’anima a ciascuna cosa che have anima
et vita, la qual però intendo essere immortale; come anco alli corpi.
Quanto alla loro substantia, tutti sono immortali, non essendo altro
morte che divisione et congregatione; la qual dottrina pare espressa
nell’Ecclesiaste, dove dice “Nihil sub sole novem: quid est? Ipsum quod
fuit” […]145
145
Processo, p. 169.
146
Causa, pp. 219-220.
147
Ivi, p. 220.
74 giulio gisondi
148
Processo, pp. 172-173; cfr. ivi, p. 173; cfr. ivi, p. 170, p. 191, p. 255.
149
Cfr. ivi, p. 173.
δεσμος συνδεσμος – vinculum nexus 75
150
Cfr. Sancti Aurelii Augustini De Trinitate, in PL, cit., vol. XLII, t. 8, 1865,
lib. cap. VII. pp. 932-946.
151
Cfr. Processo, p. 259.
152
Cfr. D. Ragazzoni, Bruno, Seripando e l’Arii error, cit., p. 384.
76 giulio gisondi
153
Ivi, p. 385.
II. Dalla philosophia occulta alla physica magica
1
Cfr. Candelaio, pp. 48-51, pp. 71-73, pp. 137-140.
78 giulio gisondi
2
Cfr. ivi, p. 37.
3
Ivi, pp. 38-41, pp. 71-73, pp. 117-120, pp. 132-134.
4
Ivi, p. 38.
5
Cantus, p. 602.
6
Ivi, pp. 618-622.
7
Sigillus, p. 264
8
Ibidem.
9
Ivi, p. 262.
10
Ivi, p. 264.
dalla philosophia occulta alla physica magica 79
11
Ibidem.
12
Cfr. ivi, p. 266.
13
Ivi, p. 264.
14
Cfr. Ibidem.
15
Cfr. ivi, p. 266.
16
Ibidem.
80 giulio gisondi
17
Cfr. Causa, p. 295.
18
Spaccio, pp. 631-632.
dalla philosophia occulta alla physica magica 81
atto un rifiuto delle forme di idolatria per cui alcuni falsi sapienti «cer-
cano la divinità, di cui non hanno raggione alcuna, ne gli escrementi
di cose morte et inanimate»19. È questa l’evoluzione di un processo
di demistificazione del sapere magico, di quello che Maurizio Cambi
definisce il «recupero di una sapienza originaria»20, che dal Candelaio
al Cantus, dal Sigillus al De la causa, dallo Spaccio sino al De monade21,
occupa le pagine delle opere bruniane e che troverà uno specifico spazio
d’approfondimento negli ultimi scritti magici.
Il richiamo al mito di un’antichissima sapienza degli Egizi non
assume nello Spaccio i caratteri di un elemento sostanziale o di recu-
pero dell’ermetismo neoplatonico, quanto piuttosto, di un argomento
funzionale al progetto di riforma etico-civile esposto. Quato richiamo
fa da contraltare alla decadenza dei falsi maghi, sapienti e profeti che
hanno operato una scissione tra l’uomo, la natura e la divinità, non
riconoscendo come quest’ultima sia percepibile proprio attraverso la
comprensione dell’unità e del legame d’amore che stringe tra loro la
molteplicità dei contrari. La riflessione sulla magia è anche qui, come
nelle opere precedenti, sempre legata a una concezione ontologica e
cosmologica della natura, «del cosmo vivente» inteso come un «sa-
crum animal»22. Ogni atomo, particella e corpo che abita l’universo è
connesso a ogni altro per mezzo dell’unico sensus, dell’amore iscritto
in tutte le cose.
Anche negli Eroici Furori, ultimo dei sei dialoghi italiani, pubbli-
cato a Londra nel 1585, il riferimento alla magia è inserito all’interno
della comprensione della relazione ontologica tra l’unità dell’essere e
la molteplicità delle sue manifestazioni. A mutare rispetto ai dialoghi
precedenti è, invece, l’impostazione gnoseologica: Bruno si spinge oltre
19
Ivi, p. 632.
20
Cfr. M. Cambi, il De magia e il recupero della sapienza originaria. Scrittura e
voce nelle strategie magiche di Giordano Bruno, «Archivio di storia della cultura», VI,
(1993), pp. 9-33.
21
Cfr. De monade, p. 415.
22
M. Cambi, Esoterismo. Giornata di studi intorno al volume 25 degli Annali della
Storia d’Italia Einaudi, in «Laboratorio dell’ISPF», VIII, 1-2 (2001), p. 21.
82 giulio gisondi
Furori, p. 819.
24
25
Cfr. Processo, p. 301; cfr. S. Bassi, L’arte di Giordano Bruno. Memoria, Furore,
magia, Firenze 2004, p. 80.
26
Furori, p. 941, p. 841.
27
Cfr. ivi, pp. 917-918.
28
Cfr. ivi, p. 895; cfr. De vinculis, p. 526-528.
29
Cfr. ivi, pp. 807-809, p. 826, p. 850, p. 870, p. 902, p. 941.
30
Cfr. ivi, p. 772, pp. 808-809, p. 846, p. 902, p. 941.
31
Cfr. S. Bassi, L’arte di Giordano Bruno, cit., p. 83.
dalla philosophia occulta alla physica magica 83
32
Cfr. De vinculis, p. 426; cfr. Furori, p. 795.
33
Cfr. De vinculis, p. 446.
34
Cfr. ivi, p. 450.
35
Cfr. ivi, p. 492.
84 giulio gisondi
Una delle prime questioni che Bruno riformula nel passaggio dal De
magia mathematica al De magia è quella relativa alla fides36, presupposto
necessario all’istituzione di vincoli reciproci, «primum fundamentum
universae unionis»37.
La necessità della fides quale elemento indispensabile all’azione del
mago rappresenta un motivo ricorrente, dal Picatrix latinus38, passando
per il De vita39 di Ficino sino al De occulta philosophia di Agrippa40. La
fides è una ferma intenzione e una forte applicazione che rinvigorisce
quanto si ha in animo di compiere. Essa è indispensabile anche nella
pratica medica, poiché soltanto la fiducia nel medico e nei suoi rimedi
può garantire una guarigione, a volte anche più del farmaco stesso41.
Tanto nella medicina quanto nella magia sono necessarie una fortis-
sima fede nelle proprie possibilità e una capacità di suscitare consenso
in coloro su cui si opera. Il rapporto di fede è duplice: verso sé stessi
e la propria capacità di attrazione; verso coloro su cui si opera e sulla
fiducia che si è in grado di accordare.
In questa stessa riflessione Bruno fa rientrare anche la prassi religio-
sa, ovvero la profezia. Il vincolo di fede è, in magia, in medicina e in
profezia, una condizione imprescindibile. La fede, come il timore, l’ira,
l’invidia, la malinconia e sentimenti simili, agisce attraverso l’anima
sui corpi e viceversa: affinché un’azione sia efficace essa deve essere
rivolta verso animi ben disposti o che si lascino penetrare. Se un’anima
36
Cfr. D. Giovannozzi, «fides», in Enciclopedia Bruniana & Campanelliana, Gior-
nate di studi 2001-2004, E. Canone e G. Ernst (a cura di), Pisa-Roma 2006, vol. I,
pp. 36-46; cfr. Id.,“Fides” e “credulitas” come termini chiave della scienza magica in
Cornelio Agrippa e Giordano Bruno, in Letture bruniane I-II del Lessico Intellettuale
Europeo 1996-1997, E. Canone (a cura di), Pisa-Roma 2002, pp. 95-118.
37
De magia math., p. 8.
38
Picatrix latinus, I, 5.
39
M. Ficini De vita libri tres, in Opera, Basilea 1576, vol. I, lib. III, cap. 20, p. 561.
40
C. Agrippa, De occulta philosophia libri tres, V. Perrone Compagni (a cura di),
Leiden-New York-Köln 1992, lib. I, cap. 66, p. 228.
41
Ibidem.
dalla philosophia occulta alla physica magica 85
42
De magia math., p. 10
43
Matteo, 13, 53-58.
44
De magia math., p. 10.
45
Ibidem.
46
F. Meroi, Sull’ idea di «fides» in Giordano Bruno, in La magia nell’Europa mo-
derna. Tra antica sapienza e filosofia naturale, F. Meroi ed E. Scapparone (a cura di),
Atti del Convegno (Firenze 2-4 ottobre 2003), Firenze 2007, p. 449.
47
Ibidem.
48
De magia, p. 282.
49
Ibidem.
86 giulio gisondi
Deinde videre licet illud: «Non fecit virtutes multas propter incre-
dulitatem illorum.» Per illa autem docemur virtutes in credentibus
factas fuisse, quandoquidem «omni qui habet, dabitur et abundabit;»
in incredulis autem non modo non egisse virtutes, sed quemadmo-
dum scripsit Marcus, nec potuisse agere. Animum enim advertere
ad illus: «Et non poterat ibi virtutem ullam facere;» non enim dixit,
«nolebat,» sed, «non poterat,» tanquam in virtutem agentem adveniret
adjumentum ex illius fide in quem virtus agebat; impeditur autem ab
incredulitate, quominus ageret. Nota autem quaerentibus: «Quare non
potuimus ejicere illus?»: «Propter incredulitatem vestram;»52.
50
Marco, 6, 5-6.
51
Matteo, 13, 58.
52
Origenes Commentaria in Evangelium secundum Matthaeum, in Opera omnia,
Patrologia greca, opera et studio DD. Caroli et Caroli Vincentii Delarue, accurante
et denuo recognoscente J.-P. Migne, Thurnolti 2002, t. XIII, p. 883.
53
F. Meroi, Sull’ idea di «fides» in Giordano Bruno, cit., p. 461.
dalla philosophia occulta alla physica magica 87
54
Luca, 4, 24.
55
De magia, p. 282.
56
Ivi, p. 280.
88 giulio gisondi
57
Ivi, p. 282.
58
Ibidem.
59
Ivi, p. 244.
60
Ivi, p. 282.
61
Ivi, pp. 284.
62
Ivi, p. 244.
dalla philosophia occulta alla physica magica 89
63
Ivi, pp. 250-252.
64
Sigillus, p. 262.
65
Ibidem.
66
Ivi, p. 264.
90 giulio gisondi
67
Sigillus, p. 232.
68
Ibidem.
69
Ivi, p. 234.
70
Sigillus, p. 252.
71
Ibidem.
dalla philosophia occulta alla physica magica 91
72
Ivi, pp. 210-212.
73
E. Scapparone, ‘Raptus’ e ‘contractio’ tra Ficino e Bruno, in Letture bruniane I-II
del Lessico Intellettuale Europeo 1996-1997, cit., p. 269.
74
Sigillus, p. 224.
92 giulio gisondi
75
E. Scapparone, Raptus’ e ‘contractio’ tra Ficino e Bruno, cit., p. 270.
76
Cfr. M. Ficini Theologia Platonica sive de immortalitate animarum, in Opera,
Basilea 1576, vol. I, lib. XIII, cap. 1, p. 284.
77
Ivi, lib. XIII, cap. 2, p. 286.
78
Ivi, lib. XIII, cap. 2, p. 287.
dalla philosophia occulta alla physica magica 93
79
Ivi, lib. XIII, cap. 2, p. 292.
80
De monade, p. 441.
94 giulio gisondi
Nell’esame della contractio loci Bruno pone una distinzione tra due
forme di ozio rappresentate, rispettivamente, da quanti si ritirano in
solitudine alla ricerca della verità e della virtù, e quanti si sottraggono
alla «negociosorum conversatione»82, tentando di fuggire l’«humanum
laborem et curas»83. Pochi sono i virtuosi che si sono allontanati dal-
81
E. Scapparone, Raptus e contractio tra Ficino e Bruno, cit., p. 271.
82
Sigillus, p. 228.
83
Ibidem.
dalla philosophia occulta alla physica magica 95
84
Ibidem.
85
Spaccio, p. 517.
86
Ivi, p. 228.
87
Ivi, p. 230.
88
Ivi, p. 240.
89
Cfr. E. Scapparone, Raptus e contractio tra Ficino e Bruno, cit., p. 273.
90
Sigillus, p. 242.
91
Ivi. 244.
92
Ivi, p. 245.
93
Ivi, p. 244.
96 giulio gisondi
94
Ibidem.
95
Ibidem.
96
Ibidem.
97
Ibidem.
98
Ivi, p. 248.
99
Ivi, p. 250.
dalla philosophia occulta alla physica magica 97
100
M. Ficini Theologia Platonica, cit., lib. XIII, cap. 2, p. 287.
101
Ivi, lib. XIII, cap. 5, p. 305.
102
Sigillus, p. 248.
98 giulio gisondi
103
Ibidem.
104
Ivi, p. 244.
105
Ibidem.
106
Ibidem.
dalla philosophia occulta alla physica magica 99
107
De magia, p., 272
108
Ibidem.
109
Ivi p. 274.
110
Ibidem.
111
Ibidem.
112
Ivi, p. 282.
100 giulio gisondi
113
De magia, p. 278.
114
Ivi, p. 280.
115
Ibidem.
116
Cfr. M. Ficini Theologia Platonica, cit., lib. XVIII, cap. 5, p. 405.
117
Cfr. C. Agrippa, De occulta philosophia libri tres, cit., lib. I, cap. 1, p. 85.
118
De magia math., p. 4.
dalla philosophia occulta alla physica magica 101
119
De umbris, pp. 52, 102, 104.
120
Cfr. T. Dagron, Unité de l’ être et dialectique. L’ idée de philosophie naturelle
chez Giordano Bruno, Paris, 1999, p. 110.
121
De magia, pp. 168-170.
102 giulio gisondi
122
Cfr. Spaccio, p. 632.
dalla philosophia occulta alla physica magica 103
123
De magia, p. 166.
124
Ibidem.
125
Ibidem.
126
Ibidem.
127
Ibidem.
128
Ivi, pp. 166-168.
129
De magia math, p. 6.
130
Cfr, C. Agrippa, De occulta philosophia, cit., lib. I, cap. I, pp. 85-86.
131
Ibidem.
132
Ivi, lib. I, cap. 2, p. 86
104 giulio gisondi
gière, edizione dei testi ermetici copti e commento di I. Ramelli, testo greco, latino
e copto a fronte, Milano 2005, tr. X, rr. 1-4, pp. 257-271.
135
Ivi, tr. V, rr. 2-3, p. 167.
136
L. Spruit, Magia: socia naturae. Questioni teoriche nelle opere magiche di Gior-
dano Bruno, in «il Centauro», XVII/XVIII (1986), p. 153.
137
Theses, p. 338.
dalla philosophia occulta alla physica magica 105
138
Cfr. De umbris, pp. 78-80.
139
Ivi, pp. 46-48.
140
P. Secchi, Elementi di teologia nel De umbris idearum di Giordano Bruno,
«Bruniana & Campanelliana», VIII, 2 (2002), p. 434.
141
Cfr. Sigillus, pp. 192-194.
106 giulio gisondi
Ivi, p. 224.
142
L. Spruit, Magia socia naturae. Questioni teoriche nelle opere magiche di Gior-
143
naturale. Egli radica questo sapere teorico e pratico sullo studio della
costitutiva antypathia e sympathia degli enti, non riconducendolo, però,
alle qualità attive o passive degli elementi, quanto piuttosto all’unico
spiritus o anima del mondo che abbraccia la totalità degli enti145. Lo
spiritus seu anima è il fondamento della magia naturale146. Esso pervade
ogni parte e ogni singolo elemento della natura: «omnia ad spiritum
seu animam in rebus existentem referuntur» e, sottolinea Bruno «haec
proprie vocatur magia naturalis»147. In quanto presente in ogni singo-
la parte di un tutto infinito, lo spiritus lega e, come osserva Cambi,
«rende possibile la partecipazione di ogni singolo elemento alla vita
del tutto»148. Nell’elenco dei vincula esposto nel De magia, l’anima del
mondo o spirito dell’universo rappresenta il vincolo che unisce ogni
cosa a tutte le altre, così che da ogni cosa si dà accesso a tutto: «vincu-
lum est anima mundi seu spiritus universi qui omnia copulat unitque
omnibus; unde ab omnibus datur aditus ad omnia»149. L’onnipervasività
dello spiritus congiunge tutti gli elementi e i corpi naturali, rendendo
possibile la loro comunicazione e l’azione del mago.
Il riconoscimento dell’unico spiritus quale presupposto di ogni
operazione magica è un tema ricorrente della tradizione ermetico-ne-
oplatonica150. Lo spiritus, forza pneumatica che permea il cosmo intero
e lo vivifica151, costituisce il fondamento dei rapporti di attrazione e
145
Ivi, p. 162.
146
Cfr. F. Tocco, Le opere inedite di Giordano Bruno, «Atti della Reale Accademia
di Scienze morali e politiche di Napoli», XXV (1892), Napoli 1891, p. 112; cfr. D.
Giovannozzi, “Spiritus mundus quidam”. Il concetto di spiritus nel pensiero di Giordano
Bruno, Roma, 2008; cfr. Ead., «spirito», in Enciclopedia Bruniana & Campanelliana,
cit., vol. I, pp. 166-178.
147
De magia, p. 162.
148
M. Cambi, Il De magia e il recupero della sapienza originaria. Scrittura e voce
nelle strategie magiche di Giordano Bruno, cit., p. 22.
149
De magia, p. 244.
150
Cfr. M. Ficini Commentarium in Convivium Platonis, testo, trad. fr. e note
P. Laurens (a cura di), Paris 2002, d. VI, cap. 15, pp. 185-190; cfr. C. Agrippa, De
occulta philosophia, cit., lib. I, cap. 1, p. 85.
151
Cfr. Corpus Hermeticum, cit., tr. VI, rr. 2-4, pp. 521-525.
108 giulio gisondi
dei legami naturali sia per Ficino152 che per Agrippa153. Se negli scritti
magici Bruno recupera la teoria dello spiritus o anima mundi dalle
fonti citate, tuttavia, questa è presente sin dal Sigillus e dal De la cau-
sa, costituendo, come segnala Papi, un «tema fondamentale di tutta
l’opera bruniana»154. Il recupero di questa teoria nella riflessione sulla
magia si configura come una sua riformulazione e un suo adattamento
al discorso ontologico già elaborato nel De la causa155. Se nel De magia
egli descrive, quasi sovrapponendoli, lo spiritus e l’anima mundi pre-
sente «tota […] in toto et tota in qualibet parte»156, ciò avviene sulla
scorta di quanto già pensato qualche anno prima a Londra, ovvero
che «quest’anima può essere tutta in tutto e in qualsivoglia parte del
tutto»157. L’esposizione della teoria dello spiritus nel De magia158 sembra
essere articolata come una traduzione di passi tratti proprio dal dialogo
II del De la causa, laddove Bruno afferma l’universalità di un’unica
anima del mondo o spirito, che dall’interno della materia pervade e
abbraccia l’infinità della natura159.
152
Cfr. M. Ficini De vita coelitus comparanda, cit., lib. III, cap. 11, p. 544.
153
Cfr. C. Agrippa, De Occulta philosophia, cit., lib. I, cap. 6, p. 96.
154
F. Papi, L’antropologia naturalistica del «De vinculis in genere» di Giordano
Bruno, «Acme. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Statale di
Milano», XV, 3 (1962), p. 156.
155
Causa, pp. 213-226.
156
De magia, p. 182.
157
Causa, p. 167.
158
De magia, p. 182: «Sicut enim anima nostra ex toto corpore totum opus vitae
producit et universaliter, mox tamen quamvis tota est in toto et tota in qualibet parte,
non tamen ideo totum facit ex toto et totum ex qualibet parte, sed facit videre in oculo,
audire in aure, gustare in ore, quod si ubique esset oculos, undique videret, si ubique
organa essent omnium sensuum, omnino undique sentiret; ita et anima mundi in toto
mundo, ubicunque talem adepta est materiam, ibi tale producit subiectum et inde
tales edit operationes. Quamvis ergo aequaliter sit ubique, non aequaliter ubique agit,
quia non aequaliter disposita ubique illi materia administrantur». Cfr. Theses, p. 339.
159
Causa, pp. 225-226: «Dovete dunque saper brevemente che l’anima del mondo,
e la divinità, non sono tutti presenti per tutto e per ogni parte, in modo con cui
qualche cosa materiale possa esservi: perché questo è impossibile a qualsivogla corpo
e qualsivoglia spirto; ma con un modo il quale è facile ad esplicarvelo altrimente se
non con questo. Dovete avvertire, che se l’anima del mondo e forma universale se
dalla philosophia occulta alla physica magica 109
Dal confronto tra i due passi, è possibile osservare come il suo ricorso
alla teoria dell’animazione universale nel De magia non sia legato al
solo recupero delle fonti raccolte nel De magia mathematica. Al con-
trario, la ripresa della nozione di anima del mondo, formulata in una
prospettiva ontologica, manifesta la continuità insita in un progetto di
renovatio filosofica. Quest’operazione risponde, cioè, all’esigenza d’in-
nestare una specifica riflessione sulla magia nel solco di una concezione
della vita, di Dio, dell’universo, della natura, e con esse, dell’essere
umano, maturata ed elaborata sin dagli inizi della nolana filosofia.
Nel De magia è in atto una ripresa del concetto di anima del mondo,
forma dell’universo, forza generatrice o «artefice interno che forma la
materia e la figura da dentro»160, come già definita nel De la causa161.
Come nel dialogo londinese, così anche negli scritti magici, la presenza
dell’anima non è limitata all’umanità, ma si estende universalmente a
tutti gli elementi e i corpi naturali. Le forme o anime individuali sono
riflessi di quest’unità spirituale, di questa luce che irradia la sua azione
su ogni essere e in ogni direzione162. Bruno afferma tutto «il mondo
con gli suoi membri essere animato»163, non limitando la presenza
dell’anima a «le parti principali»164 o a «quelle che son vere parti del
mondo»165, ma intendendola come la causa vitale riflessa nei singoli
composti e in ogni minima particella presente in natura. Il principio
dell’animazione si estende anche nel De magia a tutti gli elementi e
dicono essere per tutto, non s’intende corporalmente e dimensionalmente, per che
tali non sono, e cossì non possono essere in parte alcuna: ma sono tutti per tutto
spiritualmente; come per esempio (anco rozzo) potreste imaginarvi una voce, la quale
è tutta in tutta una stanza et in ogni parte d quella: per che da per tutto se intenda
tutta; come queste paroli ch’io dico sono intese tutte da tutti, anco se fussero mille
presenti, e la mia voce si potesse giongere a tutto il mondo, sarebe tutta per tutto».
Cfr. De immenso, p. 283.
160
Causa, p. 211.
161
Ivi, p. 224.
162
Cfr. F. Tocco, Le opere inedite di Giordano Bruno, cit., p. 72; cfr. G. Gentile,
Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Firenze 1991, p. 219.
163
Causa, p. 215.
164
Ivi, p. 216.
165
Ibidem.
110 giulio gisondi
166
De magia, p. 180.
167
Infinito, p. 422.
168
Cena, pp. 80-82, pp. 112-113.
169
Ivi, p. 81.
170
De magia, p. 182.
dalla philosophia occulta alla physica magica 111
171
Ivi, pp. 242-244.
172
De magia, p. 198.
173
Ibidem.
174
Ibidem.
112 giulio gisondi
questo legame, non vi è nell’universo alcuno spazio che non sia cor-
po: «non datur vacuum, nempe spacium sine corpore; neque etenim
corpus unum ab uno loco recedit, nisi succedente altero»175. L’anima
non può abbandonare l’«universum vero corpus»176, né quest’ultimo
può sciogliersi dal legame con essa. L’anima mundi e la materia sono
coessenziali: all’atto della decomposizione corporea anche l’anima
abbandona il composto, per formarne e animarne un altro, come la
materia universale, alla dissoluzione di una forma finita, assume nuova
forma per continuare a vivere eternamente. Questa considerazione è
resa possibile dall’osservazione dei fenomeni naturali dalla prospettiva
dell’Uno: nell’infinito, in cui ogni contrarietà è ricondotta alla sua
unità originaria, vi è assoluta identità di materia e forma. Tutto lo
spazio è materia, allo stesso modo in cui tutta la materia è forma o
anima, la quale «indissolubilem habet nexum ad universalem mate-
riam, quapropter cum ipsius natura sit ubique tota et continua, ubique
materiam corpoream consistem agnoscit»177. Il vuoto non sussiste
nel senso di uno spazio senza corpo, ma esclusivamente come uno
spazio, anch’esso materiale, in cui si muovono e si alternano i corpi:
«vacuum esse utpote spacium in quo diversa corpora sibi succedant
et moveantur»178.
Nell’affermazione della non sussistenza del vuoto, agisce implicita-
mente la decostruzione della fisica aristotelica già svolta da Bruno nei
dialoghi italiani e nei poemi francofortesi. Molteplici sono i passaggi
di queste opere in cui egli si sofferma sul problema del vuoto ricusando
la fisica di Aristotele e recuperando le filosofie e le fisiche che erano
state criticate e rigettate dallo Stagirita. Nel De l’ infinito, dopo aver
passato in rassegna le differenti tradizioni filosofiche non aristoteliche
e aver distinto mondo e universo, egli sostiene che il vacuo è uno spazio
materiale in cui si avvicendano i corpi, i mondi o pianeti179.
Ibidem.
175
Ibidem.
176
177
Ibidem.
178
Ivi, p. 200.
179
Infinito, pp. 347-348: «Noi non diciamo vacuo alcuno, come quello che sia
semplicemente nulla; ma secondo quella raggione con la quale ciò che non è corpo
dalla philosophia occulta alla physica magica 113
che resista sensibilmente, tutto suole esser chiamato (se ha dimensione) vacuo […].
In questo modo diciamo esser un infinito, ciò è una eterea regione immensa, nella
quale sono innumerabili et infiniti corpi come la terra, la luna et il sole; li quali da
noi son chiamati mondi composti di pieno e di vacuo: perché questo spirito, questa
aria, questo etere non solamente è circa questi corpi, ma ancora penetra dentro tutti,
e viene insito in ogni cosa».
180
Cfr. B. Amato, «atomo», «Bruniana & Campanelliana», XVIII, 2 (2012), pp.
579-580; Ead., «materia», in Enciclopedia Bruniana & Campanelliana, Giornate di
Studio 2005-2008, E. Canone e G. Ernst (a cura di), Roma 2010, vol. II, pp. 58-64.
181
Cfr. M. Matteoli, atomo, in Giordano Bruno. Parole concetti immagini, M.
Ciliberto (direzione scientifica), Pisa 2014, vol. I, pp. 1922-193; cfr. Id., materia, mi-
nimo e misura: la genesi dell’atomismo geometrico in Giordano Bruno, «Rinascimento»,
L (2000), pp. 1-25.
182
Cfr. De minimo, pp. 141-142.
183
Ivi, p. 285.
114 giulio gisondi
Dopo l’analisi del vacuum, Bruno introduce altri due problemi di ca-
rattere fisico, già oggetto dei dialoghi cosmologici: l’etere e il moto. Dalla
non sussistenza del vuoto egli fa derivare un moto continuo delle parti
di un corpo verso quelle di un altro corpo. Questo movimento avviene
in un «continuum spacium»184 in cui il vacuum è mediazione tra pieno
e pieno, quello spazio «in quo nullum corpus est sensibile»185. L’unico
corpo totalmente «continuum»186 è il cosiddetto «corpus insensibile»187,
lo «spiritus nempe aëreus seu aethereus»188 che, unito all’anima in virtù
della somiglianza per cui si allontana gradualmente dalla «substantiae
sensibilis compositorum»189, permea l’infinità dell’universo. L’espressio-
ne «spiritus aëreus seu aethereus» rimanda, ancora una volta, al lessico
fisico già impiegato in precedenza: basti solo ricordare la definizione
dell’aether che compare nel De immenso per osservare i rimandi e le
riprese tra un’opera e l’altra: «aether vero idem est quod coelum, inane,
spacium absolutum, qui insitus est corporibus, et qui omnia corpora
circumplectitur infinitus»190. Definizione questa che ricalca il lessico
e gli argomenti già esposti nel De l’ infinito, laddove, come poi nel De
immenso e nel De magia, Bruno descrive lo spazio come una eterea
regione […] immensa, nella qual si muove, vive e vegeta il tutto: questo
è l’etere che contiene e penetra ogni cosa». Questo spazio se «si trova
dentro la composizione (in quanto dico si fa parte del composto), è
comunemente nomato “aria” […]», ma se «è puro e non si fa parte di
composto, ma luogo e continente per cui quello si muove e discorre,
si noma propriamente “etere”»191.
Anche nel De magia l’etere è definito come una materia spirituale
sottilissima che assicura la coesione di ogni cosa presente in natura
e nell’universo. Nel suo essere spazio infinito che contiene i corpi,
184
De magia, p. 200.
185
Ibidem.
186
Ibidem.
187
Ibidem.
188
Ibidem.
189
Ibidem.
190
De immenso, p. 78
191
Infinito, p. 448.
dalla philosophia occulta alla physica magica 115
192
Cfr. De magia, pp. 200-202.
193
Ivi, p. 200.
194
Ibidem.
195
Ivi, p. 202.
196
Ivi, p. 203.
197
Ivi, p. 202.
116 giulio gisondi
nabili tra loro, questi non possono trasformarsi negli altri elementi e
non subiscono alcuna mutazione.
L’operazione condotta da Bruno in queste pagine del De magia
costituisce il tentativo di sviluppare una riflessione fisica su questioni
tradizionalmente considerate di carattere occulto. Quest’operazione
manifesta, in altre parole, l’esigenza di rintracciare e applicare un me-
todo d’indagine e un lessico proprio alla fisica e alla filosofia naturale
nell’esplicazione di fenomeni a cui pur le stesse fonti bruniane avevano
sempre attribuito delle spiegazioni occulte. Si tratta di un passaggio
cruciale, non solo nel contesto teorico del De magia, ma anche nell’im-
postazione dei successivi scritti magici. Ciò equivale alla naturalizza-
zione di una riflessione sulla magia, gradualmente spogliata delle sue
apparenze occulte, per essere ricondotta nel solco di una fisica e di
una filosofia naturale che mai pienamente si accordano con il contesto
ontologico e cosmologico proprio alla letteratura magica. Se osservati
in quest’orizzonte teorico non appaiono casuali i rimandi presenti nel
De magia a un lessico, a questioni e problemi fisici già ampiamente
analizzati ed elaborati nei dialoghi italiani e nei poemi francofortesi.
Queste riprese si configurano, da un lato, come il tentativo di ripensare
la magia in una visione infinita dell’essere, della vita e dell’universo;
dall’altro, di osservare e tradurre in un linguaggio fisico rinnovato, lo
studio della magia e con essa della natura.
198
Ivi, p. 206.
199
Ibidem.
200
Ibidem.
201
Ibidem.
202
Ibidem.
203
Ibidem.
204
Ibidem.
205
Ibidem.
206
Ivi, p. 207.
118 giulio gisondi
207
Ivi, p. 208.
208
Ibidem.
209
Ibidem.
210
Ibidem.
211
Ivi, p. 210.
212
Ibidem.
213
Ibidem.
214
Ibidem.
dalla philosophia occulta alla physica magica 119
215
Cena, p. 80.
216
Ibidem.
217
Ibidem.
218
Ibidem.
219
Cena, p. 80.
220
Ibidem.
120 giulio gisondi
221
Ivi, pp. 81-82: «Ne gli animali quali noi conoscemo per animali, le loro parti
sono in continua alterazione e moto, et hanno un certo flusso e reflusso, dentro
accogliendo sempre qualche cosa dell’estrinseco, et mandando fuori sempre qual-
che cosa da l’intrinseco: onde s’allungano l’unghie; se nutriscono i peli, le lane et i
capelli; se rinsaldano le pelle, s’induriscono i cuoii: cossì la terra riceve l’efflusso et
influsso delle parti, per quali molti animali (a noi manifesti per tali) ne fan vedere
espressamente la lor vita».
222
Infinito, pp. 359-360: «Non stimo che sia cosa assorda et inconveniente, anzi
convenientissima e naturale, che sieno transmutazioni finite possibili ad accadere ad un
soggetto; e però de particole de la terra vagar l’eterea regione et occorrere per l’inmenso
spacio ora ad un corpo ora ad un altro. Non men veggiamo le medesime particole
cangiarsi di luogo, di disposizione e di forma, essendono ancora appresso di noi».
dalla philosophia occulta alla physica magica 121
223
Ivi, p. 360: «Circa il sperma, giongendosi atomi ad atomi per la virtù dell’intel-
letto generale et anima (mediante la fabrica in cui come materia concorreno), se viene
a formare e crescere il corpo : quando l’influsso de gli atomi è maggior che l’efflusso ;
e poi il medesimo corpo è in certa consistenza quando l’efflusso è equale a l’influsso
; et al fine va in declinazione, essendo l’efflusso maggior che l’influsso (non dico
l’efflusso et influsso assolutamente, ma l’efflusso del conveniente e natio, e l’influsso
del peregrino e sconveniente ; il quale non può esser vinto dal debilitato principio per
l’efflusso, il quale è pur continuo del vitale come del non vitale). Per venir dumque al
punto, dico che per cotal vicissitudine non è inconveniente, ma raggionevolissimo
dire che le parti et atomi abbiano corso e moto infinito per le infinite vicissitudini e
transmutazioni, tanto di forme quanto di luoghi».
122 giulio gisondi
224
De magia, p. 210.
225
Ibidem.
226
Ibidem.
227
Ibidem.
228
Ivi, p. 212.
dalla philosophia occulta alla physica magica 123
229
Ibidem.
230
Ivi, p. 214.
231
Ivi, pp. 214-216.
232
Ibidem.
233
Ivi, pp. 214-216.
124 giulio gisondi
234
Ivi, p. 216.
235
Origenes Commentaria in Evangelium secundum Mattheum, cit., p. 883.
236
De magia, p. 216.
dalla philosophia occulta alla physica magica 125
237
Ivi, p. 242.
126 giulio gisondi
238
Cfr. Sigillus, p. 264; cfr. Cena, pp. 98-99.
239
M.A. Granada, «Voi siete dissolubili ma non vi dissolverete». Il problema della
dissoluzione dei mondi in Giordano Bruno, in «Paradigmi», XVIII, 53 (2000), p. 263.
240
Platonis Timaeus, in Omnia divini Platonis Opera, translatione Marsilii Ficini,
Basilea, 1546, 41a-b, p. 710.
dalla philosophia occulta alla physica magica 127
241
Cfr. M. Ficini In Plotinum commentarium, in Opera, Basilea 1576, vol. II, p.
1593; cfr. Id., In Timaeum Commentarium, in ivi, p. 1444.
242
Cena, p. 119.
243
Cfr. M. Ficini Theologia Platonica, cit., lib. III, cap. 1, p. 115.
244
Cena, p. 118.
245
M.A. Granada, «Voi siete dissolubili ma non vi dissolverete». Il problema della
dissoluzione dei mondi in Giordano Bruno, cit., p. 273.
128 giulio gisondi
246
Ibidem.
247
Cena, p. 119.
248
Ibidem.
249
Ibidem.
250
Causa, p. 208.
251
Ibidem.
252
Cfr. M. Ficini In Timaeum commentarium, in Opera, cit., p. 1433, p. 1463.
dalla philosophia occulta alla physica magica 129
253
M.A. Granada, «Voi siete dissolubili ma non vi dissolverete». Il problema della
dissoluzione dei mondi in Giordano Bruno, cit., p. 273.
254
Causa, p. 208.
255
Infinito, pp. 359-360: «Onde questa terra, se è eterna et perpetua, non è tale
per la consistenza de sue medesime parti e di medesimi suoi individui, ma per la vi-
cissitudine de altri che diffonde et altri che gli succedono in luogo di quelli; in modo
che, di medesima anima et intelligenza, il corpo sempre si va a parte a parte cangiando
e rinovando. Come appare anco ne gli animali, li quali non si continuano altrimente
se non con nutrimenti che ricevono, et escrementi che sempre mandano; onde chi ben
considera saprà che giovani non abbiamo la medesima carne che avevamo fanciulli,
e vecchi non abbiamo quella medesima che quando eravamo giovani: perché siamo
in continua transmutazione, la qual porta seco che in noi continuamente influiscano
nuovi atomi, e da noi se dipartano li già volte accolti».
130 giulio gisondi
256
Ivi, p. 398: «Onde non avendo parte che talmente effluisca dal gran corpo che
non refluisca di nuovo in quello, aviene che sia eterno, benché sia dissolubile: quan-
tumque la necessità di tale eternità certo sia dall’estrinseco mantenitore e providente,
non da l’intrinseca e propria sufficienza, se non m’inganno».
dalla philosophia occulta alla physica magica 131
257
Ivi, p. 408: «Per quanto appartiene alli primi corpi indivisibili, de quali ori-
ginalmente è composto il tutto, è da credere che per l’immenso spacio hanno certa
vicissitudine, con cui altrove influiscano, et effluiscano altronde. E questi se pur per
providenza divina secondo l’atto non costituiscano nuovi corpi e dissolvano gli antichi,
al meno han tal facultà: per che veramente gli corpi mondani sono dissolubili; ma può
essere che o da virtù intinseca o estrinseca sieno eternamente persistenti medesimi, per
aver tale e tanto influsso, quale e quanto hanno efflusso di atomi; e cossì perseverino
medesimi in numero, come noi, che nella sustanza corporale similmente giorno per
giorno, ora per ora, momento per momento, ne rinuoviamo per l’attrazione e dige-
stione che facciamo da tutte le parti del corpo. Di questo ne parleremo altre volte».
258
Furori, p. 837.
259
De immenso, pp. 272-274.
132 giulio gisondi
In tal modo è posta una sostanziale equivalenza tra tutti i corpi natu-
rali, dagli infinitamente piccoli agli infinitamente grandi. Ma se nella
prima parte del passo egli sembrerebbe accettare la possibilità della non
eternità dei corpi celesti, occorre osservare, come ha rilevato Granada,
che «sia nel titolo del capitolo che nel testo la dissoluzione dei mondi
è affermata in termini ipotetici o condizionali»260. Nella seconda par-
te, infatti, Bruno recupera la fonte platonica e il modello teleologico,
opponendolo alla prospettiva atomista. Associando le parole del Ti-
meo, «Vos quidem dissolubiles estis, nequaquam vero dissolvemini»261,
alla citazione del passo biblico «Deus stetit in sinagoga Deorum»262,
egli mette sullo stesso piano l’affermazione platonica dell’eternità dei
mondi e l’autorità del testo sacro secondo la quale «divina monumenta
mistras dei, flammas ignis appellant, stellas coeli, quibus similes sint
Sancti apud nos, volucres coeli, terram viventium, aquas super coelos
obtemperantes ordini altissimo»263. Egli riprende così, non soltanto la
considerazione della divinità come immanente all’universo, ma anche
la tesi dell’eternità dei mondi in quanto ministri e ambasciatori della
potenza divina, confermata e avvalorata dal recupero della fonte biblica
in accordo con quella platonica.
Se i mondi si dissolveranno a causa della disgregazione e della se-
parazione degli atomi di cui sono composti non sarà possibile saperlo.
Bruno riconosce sia la dissolubilità dei mondi, sia l’incapacità di cono-
scere pienamente questo fenomeno, poiché si verificherebbe in tempi
che trascendono la singola esistenza umana. Egli afferma l’impossibilità
che i mondi possano perpetuarsi grazie a un principio intrinseco: i
movimenti di effluxus e d’influxus degli atomi comportano la dissolu-
bilità di tutti i corpi naturali, compresi i mondi. Ma al tempo stesso,
in quanto opera di una potenza divina infinita e legati a essa da un
saldissimo vincolo, questi seppur dissolubili non si dissolveranno. E
260
M.A. Granada, «Voi siete dissolubili ma non vi dissolverete». Il problema della
dissoluzione dei mondi in Giordano Bruno, cit., p. 281.
261
De immenso, p. 274.
262
Ibidem.
263
Ibidem.
dalla philosophia occulta alla physica magica 133
ciò può avvenire, per l’appunto, in virtù del principio estrinseco divino
che tende a conservare eternamente i mondi assicurando la loro perma-
nenza. Tuttavia, come rileva ancora Granada, «ciò è in contraddizione
con la concezione bruniana dell’identità assoluta di volontà divina e
legge naturale»264; ma d’altra parte, nonostante la vita dei mondi sia
lunghissima, «Bruno sa che tra il tempo finito e l’eternità non c’è pro-
porzione, per cui, a fronte dell’eternità dell’universo e di Dio, la nostra
vita e quella dei mondi hanno la stessa durata, vale a dire nessuna»265.
La ricognizione sin qui svolta attraverso il recupero del problema
della dissolubilità/indissolubilità dei mondi ci consente di osservare
come la nozione di vinculum, nel senso del legame e della relazione
ontologica e cosmologica tra la divina potenza infinita e l’universo,
costituisca nella filosofia naturale di Bruno un nodo problematico
originario e antecedente la redazione degli scritti magici. Oltre che
nelle opere già esaminate, ciò emerge in misura maggiore negli Articuli
adversus Peripateticos, che raccolgono le tesi pronunciate da Bruno
contro la Physica e il De coelo di Aristotele nel corso di una disputa
pubblica svoltasi il 28 maggio 1586 al Collège de Cambrai a Parigi, poi
nuovamente riprese nel Camoeracensis acrostimus266. Commentando il
primo libro del De coelo aristotelico, egli sostiene che i mondi, sebbene
siano corruttibili in quanto generati, sono talmente prossimi al primo
efficiente da essere perciò legati a esso da «tenacissimis vinculis»267.
Quest’espressione rimanda alla traduzione ficiniana di Timeo 41a-b,
manifestando come il tema platonico-parmenideo dei δέσμοι che legano
l’essere e il cosmo fosse presente in Bruno nella prospettiva ontologica e
cosmologica. Allo stesso tempo, il ricorso a quest’espressione consente di
rilevare la presenza della nozione di δέσμος, vinculum/nexus, nel senso
che sarà proprio alla terza parte del De vinculis, vale a dire di vinculum
Cupidinis, legame d’amore tra il principio e i principiati. L’utilizzo del
264
M.A. Granada, «Voi siete dissolubili ma non vi dissolverete». Il problema della
dissoluzione dei mondi in Giordano Bruno, cit., p. 284.
265
Ibidem.
266
Cfr. Camoeracensis acrostimus, p. 176.
267
Articuli adversus Peripateticos, p. 26.
134 giulio gisondi
268
De vinculis, p. 472.
dalla philosophia occulta alla physica magica 135
Sembrano qui riformulate quelle stesse parole con cui nel Sigillus
egli descriveva un unico principio d’amore che lega la molteplicità degli
elementi in un solo e immenso organismo. Tuttavia, questo universale
vincolo di Cupido se lega e tiene insieme ogni cosa, allo stesso tem-
po, opera anche attraverso la disgregazione e la ricomposizione degli
elementi e dei corpi naturali, affinché la materia infinita possa soddi-
sfare l’insaziabile desiderio di abbracciare tutte le possibilità formali,
secondo il ritmo della vicissitudine. Nonostante lo spirito di autocon-
servazione insito in tutti i composti naturali, la dissoluzione di questi
e la trasformazione della materia è funzionale alla rigenerazione e alla
conservazione dell’intero universo. Per questa ragione, ogni corpo, dal
più semplice al più complesso, ivi compresi i mondi, gli astri e le stelle,
sperimentano la concentrazione e la dispersione, l’impoverimento e la
dissoluzione, secondo una condizione generale del vincolo d’amore
osservabile in tutte le differenti specie di legame:
269
Ivi, pp. 512-514.
270
Ivi, p. 512.
136 giulio gisondi
Tra gli articoli XII e XV della terza sezione del De vinculis, dedi-
cata al vinculum Cupidinis, Bruno ripercorre pressocché testualmente
alcune delle principali questioni relative alla distinzione tra potentia
Dei absoluta e potentia Dei ordinata, alla relazione tra materia e forma
e all’identità di Dio e materia, come erano state poste e discusse quasi
dieci anni prima nel De la causa e nel De l’ infinito. I termini in cui le
questioni sono presentate e le fonti citate dall’autore a sostegno delle
sue tesi sono le stesse già richiamate nei due dialoghi italiani:
1
De vinculis, p. 520.
138 giulio gisondi
2
Cfr. S. Munk, Mélanges de philosophie juive et arabe, Paris 1988.
3
Causa, p. 168, p. 275.
4
Ivi, p. 168, p. 232, p. 242, p. 260, p. 275.
5
Ivi, p. 168.
6
Ibidem.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 139
7
Ivi, p. 232.
8
Ivi, p. 242.
9
Cfr. De vinculis, pp. 510-520.
140 giulio gisondi
10
Cfr. R. Sturlese, «Averroè quantumque arabo et ignorante di lingua greca»: note
sull’averroismo di Giordano Bruno, «Giornale critico della filosofia italiana», LXXI
(1992), pp. 248-275.
11
P. Terracciano, «Nemici et impazienti di poliarchia». Riflessioni sul rapporto tra
Bruno e Shelomon Ibn Gabirol, in Favole metafore e storie. Seminario su Giordano
Bruno, introduzione di M. Ciliberto, O. Catanorchi e D. Pirillo (a cura di), Pisa
2007, pp. 447-472.
12
T. Dagron, Unité de l’ être et dialectique. L’ idée de philosophie naturelle chez
Giordano Bruno, Paris, 1999, pp. 353-356; Id., David de Dinant. Sur le fragment «Hyle,
Mens, Deus» des Quaternuli, «Revue de métaphysique et de morale», XL (2003/2004),
pp. 419-436.
13
F. Tocco, Giordano Bruno. Conferenza tenuta nel circolo filologico di Firenze,
Firenze 1886.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 141
14
G. Théry, Autour du decret du 1210: I David de Dinant. Etude de son panthéisme,
«Revue des sciences philosophiques et théologiques», 1925, p. 7; cfr. P. Lucentini,
Platonismo, Ermetismo, Eresia nel Medioevo, Louvain-La-Neuve 2007, pp. 19-22, pp.
372-388, pp. 435-440, pp. 463-465; cfr. L. Bianchi, Censure et liberté intellectuelle
à l’Université de Paris (XIII ͤ -XIV ͤ siècles), Paris 1999, pp. 23-27, p. 55, pp. 92-101.
15
G. Théry, Autour du décret du 1210: I David de Dinant. Etude de son panthéisme,
cit., p. 8.
16
A. Birkenmajer, Découverte des fragments manuscrits de David de Dinant, «Revue
néoscolastique de Philosophie», XXXV (1933), pp. 220-229.
17
Davidis de Dinanto Quaternulorum Fragmenta, M. Kurdzialek (a cura di),
«Studia Mediewistyczne», III (1963), pp. 3-94.
18
E. Maccagnolo, David of Dinant and the Beginnings of Aristotelicianism in Paris,
in P. Dronke, A History of Twelfth Century Western Philosophy, Cambridge 1988,
pp. 429-442; cfr. E. Casadei, David di Dinant, traduttore di Aristotele, «Freiburger
Zeitschrift für Philosophie und Theologie», XLV (1998), pp. 381-406; cfr. Ead., Il
corpus dei testi attribuibili a David di Dinant, «Freiburger Zeitschrift für Philosophie
und Theologie», XLVIII (2001), pp. 87-124; Ead., I testi di David di Dinant. Filosofia
della natura e metafisica a confronto col pensiero antico, Spoleto 2008; cfr. T. Dagron,
142 giulio gisondi
David de Dinant. Sur le fragment «Hyle, Mens, Deus» des Quaternuli, cit., pp. 419-436;
cfr. A. Rodolfi, «Il velo di Atena». La critica di Alberto Magno a David di Dinant, «I
Castelli di Yale», V (2002), pp. 39-49.
19
Cfr. G. Théry, Autour du décret de 1210: David de Dinant. Études sur son pan-
théisme matérialiste, cit., pp. 13-15.
20
Ivi, p. 22.
21
Ivi, pp. 24-27.
22
Cfr. S. Gentile, In margine all’epistola “De divino furore” di Marsilio Ficino, in
«Rinascimento», n.s., XXIII (1983), pp. 33-77.
23
Alberti Magni ordinis fratrum praedicatorum De homine, ediderunt H. Anzu-
lewicz et J.R. Soder, Monasterii Westfalorum 2008 p. 66: «Sed hoc totum derisione
plenum est, quia dicit David ibidem quod formae rerum nihil sunt nisi secundum sen-
sum tantum et quod licet mundus secundum sensum habeat magnitudinem et motum,
tamen secundum ratione neque magnitudinem habet neque motum, sed est quidam
impartibile et immobile, et quod tempus et locus non sunt nisi secundum sensum, et
quod motus etiam omnis, sive localis sive alius, non sit nisi secundum sensum».
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 143
24
David de Dinant, Frammento P, in E. Casadei, I testi di David di Dinant:
Filosofia della natura e metafisica a confronto col pensiero antico, cit., pp. 297-298:
«Nam quantitas, ut ait Aristoteles, primum est adveniens yle et sit corpus, corpori
vero advenit naturalis motus, et sit elementum. Cum enim yle vi sui naturae sicut
imperceptibile et immobile, sensus tamen recipit magnitudinem et motum in ea».
25
Ivi, Frammento W, p. 326: «Yle est omnia corpora per adventum formarum,
et nois est omnes anime. Item quaecumque differunt formis differunt. Ergo si non
formis differunt non differunt ergo idem sunt et ita volunt philosophorum Plato et alii
quod mundus est deus prebens sibi visibile, et est yle corporum et mens animarum».
Cfr. ivi, Frammento P, p. 298 «[…] mens et yle unum sunt aut diversa. Cum igitur
sola passiva differant ad se invicem, videtur mentem et ylen nullo modo differe, cum
neutrum eorum sit subiectum passioni». Cfr. Albertus Magnus, De homine, cit., p.
63: «Item, omnis differentia est a forma; ergo quod nullam habet formam, nullum
habet differentiam; sed prima simplicia, quae sunt deus, nous et hyle, nullam habent
formam; ergo nullam habent differentiam».
26
David de Dinant, Frammento W, in E. Casadei, I testi di David di Dinant:
Filosofia della natura e metafisica a confronto col pensiero antico, cit., p. 263.
27
Ivi, pp. 263-266: «Itam quecumque differunt formis differunt. Ergo si non
formis differunt non differunt ergo idem sunt et ita volunt philosophorum Plato et alii
144 giulio gisondi
quod mundus iste est deus prebens sibi visibile, et yle corporum et mens animarum.
Unde Iupiter est quodcumque vides». Cfr. Albertus Magnus, De homine, cit., p. 63:
«Et inducit ibidem Platonem et Xenophanem philosophos sibi super hoc consentientes,
quia dicebant “mundum nihil aliud esse quam deum sensibilem”».
28
Ivi, p. 66.
29
David de Dinant, Frammento P, in E. Casadei, I testi di David di Dinant:
Filosofia della natura e metafisica a confronto col pensiero antico, cit., pp. 298-299.
30
Albertus Magnus, De homine, cit., p. 66.
31
Ibidem.
32
Id., Summa Theologiae, in Opera omnia, cura ac labore A. Borgnet, Parisiis
1895, vol. XXXII, pars II, tr. XII, q. 72, p. 43.
33
David de Dinant, Frammento P, in E. Casadei, I testi di David di Dinant:
Filosofia della natura e metafisica a confronto col pensiero antico, cit., pp. 298-299:
«Dico autem quod quemadmodum se habet corpus ad ylen, ita se anima ad mentem.
Si autem sint corpus et yle passiva, ita anima et mens passiva. Dico autem quod una
sola est mens, multe vero anime, et una sola yle, et multa vero corpora. Cum enim
sole passiones, hoc est accidentia sive proprietates, faciunt differentiam rerum ad se
invicem, necesse est unum solum esse id quod nulli passioni subiectum est, cuismodi
sunt mens et yle. Ea vero que passiva sunt necesse est esse multa, et quod proprietates,
que in ipsis sunt, faciunt unius cuiusque differenciam ad alterum, cuiusmodi sunt
corpora et anime. Manifestum est quod una sola est mens et una sola yle».
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 145
34
Ibidem: «Manifestum est igitur unam solam substanciam esse non tantum
omnium corporeum, sed etiam animarum omnium, et eam nichil esse quam ipsum
deum. Substancia vero ex qua sunt omnia corpora dicitur yle, substancia vero ex
qua sunt omnes anime dicitur racio sive mens. Manifestum est ergo deum esse ra-
cione omnium animarum et ylen omnium corporum». Nel commentare questa tesi
di David, Alberto sembra riportare e seguire il testo dei Quaternuli pressoché alla
lettera, cfr. Albertus Magnus, De homine, cit., p. 62: «Manifestum igitur est unam
solam substantiam esse non tantum omnium corporum, sed et omnium animarum,
et eam nihil aliud esse quam ipsum deum. Quia vero substantia ex qua sunt omnia
corpora dicitur yle, substantia vero ex qua omnes animae, dicitur ratio sive mens,
manifestum est deum esse rationem omnium animarum et hyle omnium corporum».
35
E. Casadei, I testi di David di Dinant: Filosofia della natura e metafisica a con-
fronto col pensiero antico, cit., Frammento P, pp. 298-299: «Ex hiis ergo colligi potest
mentem et ylen idem esse. Huic autem assentire videtur Plato, ubi dicit mundum esse
Deum sensibilem. Mens enim, de qua loquimur et quam unam dicimus esse eamque
impassibilem, nichil aliud est quam Deus. Si ergo mundus est ipse Deus preter se
ipsum perceptibile sensui, ut Plato et Zeno et Socrates et multi alii dixerunt, yle
igitur mundi est ipse Deus, forma vero adveniens yle nil aliud quam id, quod facit
Deus sensibile se ipsum».
146 giulio gisondi
36
Albertus Magnus, Summa Theologiae, in Opera omnia, cit., vol. XXXIII, pars
II, tr. I, q. 4, p. 109.
37
Id., Metaphysica, in Opera omnia, cit., vol. VI, tr. IV, cap. VII, p. 72: «Cir-
ca idolum enim Palladis inscriptum fertur fuisse, quod Pallas est, quidquid est et
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 147
quidquid erat et quidquid erit et quidquid vides, cuius peplum nullus umquam
sapientum revelare potuit. Et haec opinio placuit Alexandro Peripatetico, et aliquid
eius, quantum scivit, David de Dinanto ascivit, sed perfecte et profunde non eam
intellexit. Hoc autem quod hic inductum est de ea, sufficit ad hoc quod sciantur ra-
tiones Xenophanis, quae eum in hunc perduxerunt errorem, quod ad totum caelum
respiciens ipsum dixit esse deum».
38
Id., Super II sententiarum, in Opera omnia, cit., vol. XXVII, lib. II, d. I, art. 5,
p. 17: «Ergo videtur, quod opifex et materia reducantur in idem, et hoc concessit ille
stulissimus, qui numquam aliquid vere et bene intellexit: et ideo dixit, quod materia
prima et Deus et νοῦς sive mens essent idem, et nihil esset principium universi nisi
aliud, cum tamen sit omnium indivinius et imperfectius. Et dixit hoc signatum in
templum Palladis, in cujus superstitione erat scriputum: “Pallas est quidquid fuit,
et quidquid est, et quidquid erit: cujus peplum nullus umquam hominum homini
revelare potuit”. Et dixit Palladem esse materia primam, et peplum ejus esse formam,
et multos revelasse peplum hoc usque ad formas Creatoris et creati, et efficientis et
formae».
39
Id., Summa Theologiae, in Opera omnia, cit., pars II, tr. I, q. 4, m. 3, p. 109.
40
Causa, p. 221; Cfr. Libri physicorum, p. 341; cfr. N. Badaloni, La struttura
del tempo in Giordano Bruno, Bruniana & Campanelliana, III, 1 (1997), pp. 11-45.
148 giulio gisondi
41
Causa, p. 167: «Decimo, se viene ad fare intendere che essendo questo spirito
persistente insieme con la materia la quale gli Babiloni e Persi chiamaro ombra, et
essendo l’uno e l’atra indissolubili, è impossibile che in punto alcuno cosa veruna vegga
la corrozione, o vegna a morte secondo la sustanza; benché secondo certi accidenti ogni
cosa si cangie di volto, e si trasmute or sotto una or sotto un’altra composizione, per
una o per un’altra disposizione, or questo or quell’altro essere lasciando e repigliando.
Undecimo, che gli Aristotelici, Platonici et altri sofisti non hanno conosciuta la su-
stanza de le cose; e si mostra chiaro che ne le cose naturali quanto chiamano sustanza
oltre la materia, tutto è purissimo accidente. E che da la cognizion de la vera forma
s’inferisce la vera notizia di quel che sia vita, e di quel che sia morte […]. Ultimo, si
mostra con certa similitudine accomodata al senso volgare, qualmente questa forma,
quest’anima può essere tutta in tutto e qualsivoglia parte del tutto».
42
E. Casadei, I testi di David de Dinant: filosofia della natura e metafisica a confronto
col pensiero antico, cit., p. 297.
43
Cfr. T. Dagron, Unité de l’ être et dialectique, cit., p. 356.
44
Albertus Magnus, Summa Theologiae, in Opera Omnia, cit., vol. XXXIII, pars
II, tr. XII, q. 72, m. 4, art. 2, p. 42: «De hac etiam opinione fuit Alexander philoso-
phus, et Xenophanes, et David de Dinanto, qui nititur multis rationibus hunc errore
probare in librum qui dicitur De Tomis, sive De Divisionibus : post quas probationes
ponit talem conclusionem sic dicens: “Manifestum est igitur unam solam substantiam
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 149
esse, non tantum omnium corporum, sed etiam omnium animarum: et hanc nihil
aliud esse quam ipsum Deum: quia substantia de qua omnia corpora, dicitur hyle:
substantia vero de qua sunt omnes animae, dicitur ratio vel mens”. Manifestum est
igitur Deum esse substantiam omnium corporum et omnium animarum. Patet igitur,
quod Deus et hyle et mens una sola substantia sunt».
45
S. Tommaso d’Aquino, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, Libro II,
Distinzioni 1-20, introduzione di I. Biffi, trad. it. P.R. Coggi, con testo integrale di
Pietro Lombardo, Bologna 2001, vol. III, d. 17, q. 1, a. 1, 1 co., p. 793: «Respondeo
dicendum, quod quorumdam antiquorum philosophorum error fuit, quod Deus
esset de essentia omnium rerum: ponebant enim omnia esse unum simpliciter, et
non differre, nisi forte secundum sensum vel aestimationem, ut Parmenides dixit: et
illos etiam antiquos philosophos secuti sunt quidam moderni; ut David de Dinando.
Divisit enim res in partes tres, in corpora, animas, et substantias aeternas separa-
tas; et primum indivisibile, ex quo constituuntur corpora, dixit yle; primum autem
indivisibile, ex quo constituuntur animae, dixit noym, vel mentem; primum autem
indivisibile in substantiis aeternis dixit Deum; et haec tria esse unum et idem: ex
quo iterum consequitur esse omnia per essentiam unum […]et inde ortus est error
Parmenidis et Melissi, qui videntes ens praedicari de omnibus, locuti sunt de ente
sicut de una quadam re, ostendentes ens esse unum et non multa, ut eorum rationes
indicant in 1 Physicor recitatae».
46
Aristotele, Fisica, lib I, cap. 2, cl. 185a-186a, rr. 15-30; cfr. Id., De coelo, lib.
III, cap. 1, cl. 298b, rr. 15-25.
47
Cfr. E. Casadei, I testi di David di Dinant: Filosofia della natura e metafisica a
confronto col pensiero antico, cit., p. XVII.
150 giulio gisondi
48
Ivi, p. XV.
49
Cfr. ivi, p. XVII.
50
Albertus Magnus, De homine, cit., p. 65.
51
Id., Summa theologiae, in Opera omnia, cit., pars II, tr. 1, q. 4, m. 3, p. 108, p.
110; cfr. G. Théry, Autour du décret de 1210: David de Dinant. Études sur son pan-
théisme matérialiste, cit., pp. 76-78.
52
Id., De homine, cit., p. 63; Id, Metaphysica, cit., p. 55.
53
Id., Summa theologiae, in Opera omnia, cit., pars II, tr. 1, q. 4, m. 3, p. 108;
cfr. G. Théry, Autour du décret de 1210: David de Dinant. Études sur son panthéisme
matérialiste, cit., pp. 76-78, pp. 86-93.
54
G. Théry, Autour du décret de 1210: David de Dinant. Études sur son panthéisme
matérialiste, cit., p. 21.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 151
55
Albertus Magnus, Super II Sententiarum, in Opera omnia, cit., lib. II, d. I, a.
5, p. 18.
56
Ivi, lib. II, d. I, a. 5, p. 17.
57
Id., Summa Theologiae, in Opera omnia, cit., pars II, tr. XII, q. 72, m. 4, a. 2,
44, p. 45.
58
Sancti Thomae Aquinati Summa Theologiae, in Opera omnia iussu impensaque
Leonis XIII P.M. edita, Romae 1888-1906, I, t. IV, 1888, q. III, art. 8, p. 48.
59
Id., Summa contra gentiles, in Opera omnia, cit., t. XIII, lib. I, cap. 17, p. 47.
60
G. Théry, Autour du décret de 1210: David de Dinant. Études sur son panthéisme
matérialiste, cit., p. 85.
152 giulio gisondi
61
Ivi, p. 31.
62
Ibidem.
63
Ibidem.
64
T. Dagron, David de Dinant. Sur le fragment Hyle, Mens, Deus, des Quaternuli,
cit., p. 421.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 153
65
Causa, p. 274.
66
Ibidem.
67
Ibidem.
68
Cfr. G. Théry, Autour du décret de 1210: David de Dinant. Études sur son pan-
théisme matérialiste, cit., p. 25.
69
E. Casadei, I testi di David de Dinant: filosofia della natura e metafisica a confronto
col pensiero antico, cit., p. 23.
70
Ibidem.
154 giulio gisondi
vera Cusano tra quei pochi eruditi che nel XV secolo potevano ancora
interessarsi all’opera del filosofo di Dinant71. Quello di Cusano è un
approccio differente rispetto a quello di Alberto e di Tommaso: nel
Tetralogus de non aliud il cardinale non sembra condizionato nel suo
giudizio dalle critiche dei due maestri domenicani nei confronti di un
pensatore considerato eretico, anzi lo include tra coloro che «minime
errarunt»72 nel definire Dio hyle, nous et physis.
L’accesso non mediato ai Quaternuli fa emergere questioni e inter-
pretazioni che erano state o poste in secondo piano, oppure omesse a
favore di una riabilitazione dell’aristotelismo in senso teologico. Dai
riferimenti presenti negli scritti del cardinale di Cusa, Bruno ha ac-
cesso a un’interpretazione della filosofia di maître David ripulita dalle
critiche e dai giudizi scolastici. Tramite Cusano egli può intravedere
e riproporre una delle maggiori questioni della dottrina del filosofo di
Dinant, vale a dire quella coincidentia o identità nell’Uno o Dio di hyle
e mens, materia e forma, potenza e atto, o meglio, posse facere e posse
fieri, potestà di fare e potestà d’esser fatto. Si tratta del riconoscimento
della necessità che per essere bisogna innanzitutto poter essere: una
potenza attiva che opera come causa efficiente e principio formale e
una potenza passiva, intesa in un duplice senso; passivamente come
sostrato, ovvero possibilità d’azione dell’agente, e attivamente come ciò
che attualizza l’agente stesso.
Bruno ricava quest’indissolubile reciprocità tra potestà di fare e potestà
d’esser fatto, proprio dal posse facere e posse fieri del De possest cusaniano73
71
Cfr. G. Théry, Autour du décret de 1210: David de Dinant. Études sur son pan-
théisme matérialiste, cit., p. 24.
72
N. Cusano, Trialogus de non aliud, in Opere filosofiche, teologiche e matema-
tiche, E. Peroli (a cura di), Milano 2017, XVII, rr. 81-82, p. 1536: «David igitur de
Dynanto et philosophi illi quos secutus is est, minime errarunt, qui quidem deum,
hylen et noyn et physin, et mundum visibilem deum visibilem nuncuparunt. David
hylen corporum principium vocat, noyn seu mentem principium animarum, physin
vero naturam principium motum et illa non vidit differre inter se ut in principio,
quocirca sic dixit».
73
Cfr. P. Secchi, «Del mar più che del ciel amante». Bruno e Cusano, Roma 2006,
p. 106.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 155
74
Cfr. Causa, p. 247.
75
S. Gentile, In margine all’epistola “De divino furore” di Marsilio Ficino, cit., p. 33.
76
M. Ficino, Di Dio et anima, in Supplementum ficinianum, P. O. Kristeller (a
cura di), Firenze 1973, vol. II, p. 138: «Sicché il mondo non è altro che uno animale
massimo, circulare, eterno, nel cui gremio gli altri animali vivono, e questa anima
del mondo chiama Iddio. Di questa sententia fu etiamdio Orfeo, poeta antiquissimo,
el quale chiamava la predetta anima Giove. Col quale s’accorda Varrone philosophao
Romano et David Dinanteo e Lucano poeta, Seneca stoico con molti altri Stoici phi-
losophai. Ancora vogliono alcuni simile essere stata opinione di Pitagora, Anaxagora,
Heraclito, Talete, et la medesima sententia canta Virgilio nella Eneida et etiamdio
nella Giorgica con grande elegantia».
156 giulio gisondi
77
S. Gentile, In margine all’epistola “De divino furore” di Marsilio Ficino, cit., p. 69.
78
Ibidem.
79
M. Ficini Commentarium in Philebum Platonis, in Opera, Basilea 1576, vol. II, p.
1211: «Quod quidem corpus non est, ut Democritii dicunt, multas enim corpus habet
partes […]. Neque mens, ut Anaxagoras, mentis enim actio est ut se ipsam intelligat;
est igitur in mente quod intelligit intellectioque et quod intelligitur. Neque vita, ut
Zenon, est enim vita motus essentiae, in ea igitur duo sunt saltem et esse scilicet et
moveri. Neque essentia ipsa, ut Dinantes, nam uno quidem participant omnia, essentia
vero non omnia; fluxus enim privationesque essentiam nullam habent, unum tamen
esse non negantur. Neque ipsum esse, ut Alpharabius et Avicebron, est enim actus es-
sentiae et essentiae cum praesenti momento participatio, ut in Parmenide dicit Plato».
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 157
Come per Ficino, così anche per Bruno, David de Dinant appartiene
a quella eterogenea tradizione filosofica presocratica che ha interrogato il
problema del rapporto tra l’unicità della sostanza e la molteplicità delle
sue manifestazioni in senso non aristotelico. È a Pitagora, Senofane,
Parmenide, Melisso, Eraclito, Anassagora, anziché alla filosofia peripa-
tetica, che egli ricorre sistematicamente nell’affrontare questo problema
80
S. Gentile, In margine all’epistola “De divino furore” di Marsilio Ficino, cit., p. 69.
81
M. Ficini, Theologia Platonica, in Opera, cit., vol. I, lib. XV, cap. 19, p. 367.
158 giulio gisondi
82
Causa, p. 168.
83
Ivi, p. 166.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 159
84
Ibidem.
85
Ivi, p. 210.
86
Cfr. ivi, p. 211.
87
Cfr. Ibidem.
88
Ibidem.
89
Causa, p. 241.
160 giulio gisondi
90
Ibidem.
91
Ivi, pp. 242-243: «Niente assolutamente opera in se medesimo, e sempre è qual-
che distinzion tra quello che è agente e quello che è fatto, o circa il quale è l’aczione et
operazione: là onde è bene nel corpo della natura distinguere la materia da l’anima;
et in questa distinguere quella raggione delle specie. Onde diciamo in questo corpo
tre cose: prima l’intelletto universale indito nelle cose; secondo, l’anima vivificatrice
del tutto; terzo il suggetto».
92
Cfr. Albertus Magnus, Summa Theologiae, in Opera Omnia, cit., vol. XXXIII,
pars II, tr. XII, q. 72, m. 4, art. 2, p. 42.
93
Causa, p. 174.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 161
94
Ivi, p. 295.
95
Ivi, p. 168.
162 giulio gisondi
96
F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno, Firenze 1968,
p. 293.
97
Sigillus, p. 224.
98
Ibidem.
99
Ibidem: «Atque altius conscendentibus non solum conspicua erit una omnium
vita, unum in omnibus lumen, una bonitas et quod omnes sensus sunt unus sensus,
omnes notitae sunt una notitia, sed et quod omnia tandem, utpote notitia, sensus,
lumen, vita, sunt una essentia, una virtus et una operatio».
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 163
100
Ibidem.
101
Ibidem.
102
Ibidem: «Principiare autem principiatum esse, facere fieri, illuminare illumi-
nari, superius et inferius non ens sunt, sed entis, non sunt id quod unum, sed ea quae
unius vel ex uno vel de uno».
103
Ivi, pp. 224-226.
164 giulio gisondi
Causa, p. 169.
104
un constante principio materiale; e che con la diversità de disposizioni che sono nella
materia, il principio formale si trasporta alla moltiforme figurazione de diverse specie
et individui […]. Settimo, come sia necessario che la raggione distingue la materia
da la forma, la potenza da l’atto».
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 165
106
De vinculis, pp. 518-520.
107
Cena, p 25.
108
Causa, p. 242.
109
Ivi, p. 281.
166 giulio gisondi
110
Infinito, p. 423.
111
Causa, p. 281.
112
Ivi, p. 252.
113
T. Dagron, Unité de l’ être et dialectique, cit., p. 163.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 167
Ruggiu, all’imporsi «una volta per tutte della ragione sulle tenebre»114,
ma è fatica e conquista incessante a cui, «chi vuol sapere massimi secreti
di natura»115 deve rivolgersi in ogni ciclo naturale e storico. Ogni forma
di sapere, ogni dottrina, ogni verità e conquista umana, sia sul piano
della conoscenza, sia su quello pratico, non è acquisita una volta e per
tutte nel corso della storia. Ma, immersa nel ritmo naturale in cui ogni
forma di vita si alterna a un’altra e non permane mai in eterno, così
anche la storia umana procede secondo cicli di memoria e di oblio, in
cui a una forma di sapere se ne sovrappone un’altra che la scalza e ne
prende il posto. La relazione tra verità e oblio è la stessa che intercorre
tra l’essere e il suo explicarsi, tra l’alternarsi del giorno e della notte,
come recita la dedica del Candelaio alla Signora Morgana:
il tempo tutto toglie e tutto dà: ogni cosa si muta, nulla s’annichila;
è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e può preservare
eternamente uno, simile e medesimo». Con questa filosofia l’animo
mi s’aggrandisse e me si magnifica l’intelletto. Però, qualunque sii
il punto di questa sera ch’aspetto, si la mutazione è vera, io che son
ne la notte, aspetto il giorno, e quei che son nel giorno, aspettano la
notte: tutto quel ch’è, o è cqua o llà, o vicino o lungi, o adesso o poi,
o presto o tardi116.
114
L. Ruggiu, La ripresa dell’antico in Giordano Bruno, in Giordano Bruno. Destino
e verità, D. Goldoni e L. Ruggiu (a cura di), Venezia 2002, p. 189.
115
Causa, p. 295.
116
Candelaio, p. 22.
168 giulio gisondi
117
Cfr. Cena, pp. 33-34: «non è cosa nova, che non possa esser vecchia; e non è
cosa vecchia, che non sii stata nova […] come è la vicissitudine de l’altre cose, così
non meno de le opinioni et effetti diversi: però tanto è aver riguardo alle filosofie
per le loro antiquità, quanto voler decidere se fu prima il giorno o la notte. Quello
dumque al che doviamo fissar l’occhio de la considerazione, è si noi siamo nel gior-
no, e la luce de la verità è sopra il nostro orizzonte, overo in quello de gli adversari
nostri antipodi; si siamo noi in tenebre, o ver essi; et in conclusione si noi che damo
principio a rinovar l’antica filosofia, siamo ne la mattina per dar fine a la notte, o pur
ne la sera per donar fine al giorno: e questo certamente non è difficile a determinarsi,
anco giudicando a la grossa da frutti de l’una e altra specie di contemplazione». Cfr.
Infinito, p. 376: «s’aprirà la porta de l’intelligenza de gli principii veri di cose naturali,
et a gran passi potremo discorrere per il cammino della verità; la quale ascosa sotto
il velame di tante sordide e bestiale immaginazioni, sino al presente è stata occolta,
per l’ingiuria del tempo e vicissitudine de le cose, dopo che al giorno de gli antichi
sapienti successe la caliginosa notte di temerari sofisti».
118
Furori, p. 765.
119
Cena, p. 120: «cossì tutte le cose nel suo geno hanno tutte vicissitudine di
dominio e servitù, felicità et infelicità, de quel stato che si chiama vita e quello che si
chiama morte, di luce e tenebre, di bene e male. E non è cosa alla quale naturalmen-
te convenga esser eterna eccetto che alla sustanza che è la materia; a cui non meno
conviene essere in continua mutazione. Della sustanza soprasustanziale non parlo al
presente, ma ritorno a raggionar particularmente di questo grande individuo ch’è la
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 169
nostra perpetua nutrice e madre, di cui dimandaste per qual caggione fusse il moto
locale; e dico che la causa del moto locale, tanto del tutto intero, quanto di ciascuna
delle parti, è il fine della vicissitudine: non solo per che tutto si ritrove in tutti luoghi,
ma ancora perché con tal mezzo tutto abbia tutte disposizioni e forme; per ciò che
degnissimamente il moto locale è stato stimato principio d’ogni altra mutazione e
forma, e che tolto questo non può esser alcun altro».
120
Aristotele, Fisica, in Opere, trad. it., O. Longo e A. Russo, vol. III, Bari 1983,
lib. I, cap. 2, cl. 184b-185a, rr. 25-5 p. 4.
170 giulio gisondi
121
Cfr. De Coelo, in ivi, lib. III, cap. 1, cl. 298b-299a, rr. 5-25, p. 322.
122
Aristotele, Fisica, cit., lib. I, cap. 3, cl.185b-186a, rr. 5-10, p. 7: «Ragionando
in tal modo, risulta impossibile che l’essere sia uno, e non è difficile demolire le loro
argomentazioni. Entrambi, invero, sia Parmenide sia Melisso, fanno sillogismi eristici
[si fondano, infatti, su premesse false e il loro procedimento è illogico».
123
Ivi, lib. I, cap. 3, cl. 186a-b, rr. 20-35, p. 8: «Anche contro Parmenide si pro-
cede con gli stessi criteri, benché ve ne siano di più appropriati. E la confutazione si
fa sia perché egli erra nelle premesse, sia perché è incoerente nelle conclusioni: erra
nelle premesse, perché stabilisce di parlare dell’uno in senso assoluto, mentre poi ne
parla in molti sensi; è incoerente nelle conclusioni, perché, se pur si prendessero in
esame solo le cose bianche, pur significando ‘bianco’ un solo essere, non di meno
le cose bianche sarebbero molte e non una: ché né per continuità né per definizione
il bianco sarà uno, perché diversa è l’essenza del bianco da quella dell’oggetto che
l’accoglie, e non si potrà separare nulla tranne il bianco. Non si potrà, invero, operar
separazione, sebbene, in quanto all’essere, ci sia differenza tra il bianco e l’oggetto
cui esso inerisce. Ma ciò Parmenide non lo vedeva ancora».
124
Ivi, lib. I, cap. 3, cl. 186a-b, rr. 35-5, pp. 8-9: «È indispensabile, altresì, per gli
Eleati porre non solo che l’uno indica l’essere in relazione al quale esso sia predicato,
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 171
Causa, p. 206: «Dico però che non si richiede dal filosofo naturale, che ammeni
127
129
Cabala, p. 745.
174 giulio gisondi
130
T. Dagron, Unité de l’ être et dialectique, cit., pp. 145-146.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 175
131
Cfr. P. Pomponazzi, Tractatus de immortalitate animae, in Tutti i trattati pe-
ripatetici, testo latino a fronte, F.P. Raimondi e J.M. García Verde (a cura di), trad.
it. F.P. Raimondi, Milano 2013, pp. 932-1030.
176 giulio gisondi
132
Cfr. E. Canone, Giordano Bruno lettore di Averroè, in Il dorso e il grembo
dell’eterno. Percorsi della filosofia di Giordano Bruno, Supplementi di «Bruniana &
Campanelliana», Studi 4, Pisa-Roma 2003, pp. 79-120.
133
Causa, p. 206.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 177
134
Ivi, p. 222.
178 giulio gisondi
Aristotele, Fisica, cit., lib. IV, cap. 11, cl. 219a-b, rr. 35-5, p. 103; lib. VIII,
136
138
Ivi, lib. III, cap. 5, cl. 204a, rr. 10-15, p. 61.
139
Ivi, lib. III, cap. 6, cl. 207a, rr. 5-10, p. 68.
140
Cfr. F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno, cit. pp. 21,
31-34, 169, 172.
180 giulio gisondi
141
Causa, p. 285.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 181
Dite che quel tutto che si vede di differenza ne gli corpi quanto alle
formazioni, complessioni, figure, colori et altre proprietadi e commu-
nitadi, non è altro che un diverso volto di medesma sustanza; volto
labile, mobile, corrottibile, di uno immobile, perseverante et eterno
142
De umbris, p. 100.
182 giulio gisondi
143
Causa, p. 283.
144
Sigillus, pp. 217-219.
145
Infinito, p. 325.
146
Ibidem.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 183
147
Cena, p. 112.
148
Causa, p. 281.
149
Ibidem.
il vinculum nexus nella relazione tra unità e molteplicità 185
150
Ibidem.
151
Ibidem.
152
Ivi, p. 283; cfr. Camoeracensis Acrostimus, p. 97.
186 giulio gisondi
1
S. Munk, Mélanges de philosophie juive et arabe, Paris 1988.
2
Causa, p. 252.
188 giulio gisondi
3
Albertus Magnus Physica, in Opera Omnia, cura ac labore Augusti Borgnet,
Parisiis 1890, vol. III, lib. I, tr. III, pp. 68-72.
4
Id., De causis et processu universitatis libri II, in Opera omnia, cit., Parisiis 1891,
vol. X, lib. I, tr. I, pp. 372-374; tr. III, p. 405; tr. IV, pp. 413-418, p. 430.
5
S. Thomae Aquinatis De substatiis separatis, in Opuscula philosophica, ed. P.
Raymundi e M. Spiazzi (a cura di), Roma 1954, cap. VI, p. 28.
6
P. Terracciano, «Nemici et impazienti di poliarchia». Riflessioni sul rapporto tra
Bruno e Shelomon Ibn Gabirol, in Favole metafore e storie. Seminario su Giordano Bruno,
introduzione di M. Ciliberto, O. Catanorchi e D. Pirillo (a cura di), Pisa 2007, p. 452.
unità e vincolo di materia e forma 189
che sia in grado di cogliere la natura nel suo concreto prodursi, laddove
la predicazione logica per generi e differenze funge più da elemento di
separazione e ostacolo nella conoscenza. Il richiamo di Bruno al Fons
vitae costituisce un motivo che, come nel caso di David de Dinant,
ricorre ogni qual volta egli esamina il rapporto tra materia e forma. Il
Nolano legge Avicebron attraverso le critiche scolastiche, rovesciandole
costantemente e recuperando il tentativo di ricollocare il linguaggio
logico in ciò che è «indiviso secondo natura e verità»7. Come nel caso
di David, allo stesso modo, sia Alberto sia Tommaso associano la po-
sizione di Avicebron a quella degli antiqui philosophi che concepivano
la materia sostanza di tutte le cose, ritenendo che tutto fosse corpo.
Ma per i due maestri domenicani la sua dottrina è ancor più erronea,
poiché concepisce questa materia prima come sostanza non corporea
e, dunque, subiectum tanto delle sostanze corporee quanto di quelle
ideali. Le critiche scolastiche al Fons vitae sono presenti e rovesciate nel
De la causa sin dalla Proemiale Epistola, laddove Bruno annuncia non
soltanto una questione fisica e metafisica, ma ancor più una premes-
sa metodologica, ovvero come «con diverse vie di filosofare possano
prendersi diverse raggioni di materia, benché veramente sia una prima
et absoluta»8.
La possibilità di considerare la materia secondo vie di filosofare
differenti costituisce una metodologia costante dell’approccio di Bruno,
legata alla consapevolezza della legittimità di una pluralità di lessici
filosofici e teologici, del rifiuto di stabilire il primato o l’esclusività di
un unico linguaggio sugli altri. Quest’approccio metodologico è un
riflesso dell’ontologia e della gnoseologia della nolana filosofia. Nel
dialogo II del De la causa, riprendendo quanto già sviluppato nel De
umbris, il Nolano sostiene che la conoscenza della causa e del principio
primo è preclusa all’uomo «anco in vestigio», ma che è possibile soltanto
sedere all’ombra della luce9. Come osservava Nicola Badaloni, queste
7
Causa, p. 222.
8
Ivi, p. 168.
9
Cfr. De umbris, p. 42.
190 giulio gisondi
14
Ibidem.
15
Ivi, p. 233.
16
Ibidem.
17
Ibidem.
18
Ibidem.
19
P. Terracciano, «Nemici et impazienti di poliarchia», cit., p. 454, nota 12.
20
Cfr. Causa, p. 1060, nota 30.
21
Ivi p. 233.
192 giulio gisondi
22
Ibidem.
23
Ibidem.
24
Ibidem.
25
Ivi, p. 234.
26
Cfr. ivi, p. 1061, nota 41.
27
Ivi, p. 235.
unità e vincolo di materia e forma 193
28
Ibidem.
29
Ibidem.
30
Ibidem.
31
Ivi, p. 236.
32
Ibidem.
33
Ivi, p. 239.
194 giulio gisondi
3. «In che modo al fine qualche logica intenzione viene ad esser posta
principio di cose naturali»
Là onde […] volendo più tosto iscusare che accusare la insufficenza del
suo nume Aristotele, hanno trovata la umanità, la bovinità, lo olività,
per forme sustanziali specifiche: questa umanità, come socreità, questa
bovinità, questa cavallinità, essere la sustanza numerale; il che tutto
han fatto per donarne una forma sustanziale, la quale merite nome di
sustanza, come la materia ha nome et essere di susbstanza. Ma però
non han profittato già mai nulla; perché se gli dimandate per ordine:
«In che consiste l’essere sustanziale di Socrate?», risponderanno: «nella
socreità»; se oltre dimandate: «Che intendete per socreità?», risponde-
ranno: «La propria forma sustanziale e la propria materia di Socrate»36.
34
Ibidem.
35
Ibidem.
36
Ibidem.
unità e vincolo di materia e forma 195
37
Ivi, pp. 239-240.
38
Ivi, p. 240.
39
Ibidem.
196 giulio gisondi
40
Ibidem.
41
Ivi, p. 242.
42
Ibidem.
43
Ibidem.
unità e vincolo di materia e forma 197
maniera di filosofare, di quei che non separano l’atto della raggion della
materia, e la intendono cosa divina: e non pura et informe talmente,
che lei medesma non si forma e vesta»44. Questa tesi, che è poi quella di
Avicebron e di «molti più antichi filosofi»45, non è erronea, ma soltanto
una delle possibili vie nella conoscenza della natura, «perché è cosa da
ambizioso, e cervello presuntuoso, vano et invidioso, voler persuadere
ad altri, che non sia che una sola via di investigare»46. Come sono leciti
diversi tipi di medicina a seconda del male da curare, così è legittimo
ricorrere a differenti modi di filosofare nella cognizione della natura:
tra queste «quella è la meglior che più comoda et altamente effettua
la perfezzion de l’intelletto umano, et è più corrispondente alla verità
della natura»47.
L’esigenza di riconoscere legittimità a una pluralità di lessici e ap-
procci filosofici è qui funzionale ad accreditare sia la tesi di Avicebron
sia quella degli antiqui philosophi. Bruno può così sostenere come an-
che le filosofie che non si sono spinte oltre la definizione di materia e
forma, non siano da rigettare, ma costituiscano validi strumenti nella
conoscenza della natura.
44
Ibidem.
45
Ivi, p. 243.
46
Ibidem.
47
Ivi, p. 244.
198 giulio gisondi
48
Ivi, p. 242.
49
Ivi, p. 246.
50
Ivi, 247.
51
Ibidem.
unità e vincolo di materia e forma 199
52
Cfr. N. Cusano, Trialogus de possest, in Opere filosofiche, teologiche e matematiche,
E. Peroli (a cura di), Milano 2017, rr. 6-7, p. 1356: «Nec potest iam dicta possibilitas
prior esse actualitate quemadmodum dicimus aliquam potentiam praecedere actum.
Non quomodo prodisset in actum nisi per actualitatem? Posse enim fieri si se ipsum
ad actum produceret, esset actu antequam actu esset. Possibilitas ergo absoluta, de
qua loquimur, per quam ea quae actu sunt actu esse possunt, non praecedit actuali-
tatem neque etiam sequitur. Quomodo enim actualitas esse posset possibilitate non
existente? Coeterna ergo sunt absoluta potentia et actus utriusque nexus. Nec plura
sunt aeterna, sed sic sunt aeterna quod ipsa aeternitatis».
53
P. Secchi, «Del mar più che del ciel amante». Bruno e Cusano, Roma 2006, p. 103.
200 giulio gisondi
Per che la possibilità assoluta per la quale le cose che sono in atto, pos-
sono essere, non è prima che la attualità, né tampoco poi che quella:
oltre il posser essere è con lo essere in atto, e non precede quello; per che
se quel che può essere facesse se stesso, sarebbe prima che fusse fatto.
Or contempla il primo et ottimo principio, il quale è tutto quel che
può essere; e lui medesimo non sarebe tutto, se non potesse essere tutto:
in lui dumque l’atto e la potenza son la medesima cosa. Non è cossì
nelle altre cose, le quali quantumque sono quello che possono essere,
54
Ibidem.
55
Causa, p. 247.
unità e vincolo di materia e forma 201
Non è cossì nelle altre cose, le quali quantumque sono quello che
possono essere, potrebono però non esser forse; e certamente altro o
altrimente che quel che sono: perché nessuna altra cosa è tutto quel
che può essere. Lo uomo è quel che può essere, ma non è tutto quel
che può essere. La pietra non è tutto quello che può essere, per che non
è calci, non è vase, non è polve, non è erba. Quello che è tutto quel
che può essere è uno, il quale nell’esser suo comprende ogni essere.
Lui è tutto quel che è, e può essere qualsivogli’altra cosa che è e può
essere. Ogni altra cosa non cossì: però la potenza non è equale all’atto,
perché non è atto assoluto ma limitato; oltre che la potenza sempre è
limitata ad uno atto, perché mai ha più che uno essere specificato e
particolare; e se pur guarda ad ogni forma et atto, questo è per mezzo di
certe disposizioni, e con certa successione di uno essere dopo l’altro57.
56
Ibidem.
57
Ibidem.
202 giulio gisondi
58
T. Dagron, Unité de l’ être et dialectique. L’ idée de philosophie naturelle chez
Giordano Bruno, Vrin, Paris, 1999, p. 330.
59
N. Cusano, Trialogus de possest, in Opere, cit., rr. 7-8, p. 1356.
60
Cfr. P. Secchi, «Del mar più che del ciel amante», cit., pp. 112-113.
61
Cfr. N. Cusano, De docta ignorantia, in Opere, cit., lib. I, cap. 8, rr. 22-23, p. 30.
unità e vincolo di materia e forma 203
62
P. Secchi, «Del mar più che del ciel amante», cit., p. 175.
63
Infinito, p. 382.
204 giulio gisondi
di fare e potestà d’esser fatto che egli ricava dalla distinzione tra posse
facere e posse fieri del De possest. Ma egli può seguire la via tracciata da
Cusano soltanto sul terreno filosofico, non teologico, recuperando la
soluzione filosofica, vale a dire l’interdipendenza ontologica, il nexus
di potenza e atto.
La considerazione della natura come unigenita comporta un con-
tinuo e inarrestabile processo di generazione, non esterno, ma interno
alla natura stessa: un principium plenitudinis per il quale l’Uno compli-
cato partorisce o explica eternamente, da materia infinita, forme finite
sempre differenti:
Mentre l’Uno o Dio è in atto tutto ciò che può essere, in modo con-
tratto, complicato, gli enti individui, gli accidenti, in quanto explicati,
sono ciò che sono ma non sono in atto tutto ciò che possono essere. È
qui implicita l’identità dell’Uno con la materia, considerata nella sua
unità col principio formale. Materia e forma, nella loro unità e compli-
catione, sono la causa e principio primo infinita, la coincidentia assoluta
64
Causa, p. 248.
unità e vincolo di materia e forma 205
65
Ivi, p. 252.
66
Ibidem.
67
Ivi, p. 251.
68
Cena, p. 13.
206 giulio gisondi
69
Causa, p. 252.
70
Cfr. M. A. Granada, Il rifiuto della distinzione tra «potentia absoluta» e «potentia
ordinata» di Dio e l’affermazione dell’universo infinito in Giordano Bruno, in «Rivista
di storia della filosofia», a. XCIV, n. s., 3 (1994), p. 502.
71
Cfr. De immenso, p. 320.
unità e vincolo di materia e forma 207
72
Infinito, pp. 334-335: «Come vuoi tu che Dio, e quanto alla potenza, e quanto
a l’operazione, e quanto a l’effetto, (che in lui son medesima cosa), sia determinato, e
come termino della convessitudine di una sfera: più tosto che (come dir si può) termino
interminato di cosa interminata? Termino dico senza termine: per esser differente la
infinità dell’uno da l’infinità dell’altro; perché lui è tutto l’infinito complicatamente
e totalmente: ma l’universo è tutto in tutto (se pur in modo alcuno si può dir totalità
dove non è parte né fine) explicatamente, e totalmente; per il che l’uno ha raggion di
termine, l’altro ha raggion di terminato, non per differenza di finito et infinito, ma
perché l’uno è infinito e l’altro è finiente secondo la raggione del totale e totalmente
essere in tutto quello che, benché sia tutto infinito, non è però totalmente infinito:
perché questo ripugna alla infinità dimensionale».
208 giulio gisondi
73
Cfr. Processo, pp. 167-168.
unità e vincolo di materia e forma 209
74
Cfr. De umbris, p. 50, pp. 52-54, pp. 56-60.
75
Ivi, p. 142.
76
Ibidem.
77
S. Tommaso d’Aquino, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, Libro I,
Distinzioni 1-21, introduzione di I. Biffi, trad. it. P.R. Coggi, con testo integrale di
Pietro Lombardo, Bologna 1999, vol. I, d. 10, q. 1, a. 3, p. 598.
78
N. Cusano, Trialogus de possest, in Opere, cit., rr. 6-7, p. 1356.
210 giulio gisondi
Processo, p. 168.
80
81
Lampas, p. 1045.
82
Cfr. E. Fantechi, La posizione sulla Trinità e la riflessione metafisica di Bruno,
in Favole, metafore, storie, cit., p. 396, p. 406.
unità e vincolo di materia e forma 211
83
Lampas, p. 1060.
84
Ibidem.
85
Ibidem.
86
Ibidem.
87
Causa p. 261.
88
Ibidem.
89
Ibidem.
90
P. Secchi, «Del mar più che del ciel amante», cit., p. 143.
212 giulio gisondi
Uno è quello che è tutto e può esser tutto assolutamente. Nelle cose
naturali non veggiamo cosa alcuna, che sia altro che quel che è in
atto, secondo il quale è quel che può essere per aver una specie di
attualità: tuttavia né in questo unico esser specifico giammai è tutto
quel che può essere qualsivoglia particulare. Ecco il sole: non è tutto
quel che può essere il sole, non è per tutto dove può essere il sole, per
che quando è a oriente a la terra, non gli è a occidente, né meridiano,
né di altro aspetto. Or se vogliamo mostrar il modo con il quale
Dio è sole, diremo (perché è tutto quel che può essere) che è insieme
oriente, occidente, meridiano, merinozziale, e di qualsivoglia di tutti
i punti de la convessitudine della terra: onde se questo sole (o per
sua revoluzione, o per qualla de la terra) vogliamo intendere che si
muova e muta loco, perché non è attualmente in un punto secondo
potenza di essere in tutti gli altri, e però have attitudine ad esservi: se
91
Ivi, p. 280.
unità e vincolo di materia e forma 213
dumque è tutto quel che può essere, e possiede tutto quello che è atto
a possedere, sarà insieme per tutti et in tutto […]92.
92
Causa, pp. 249-250.
93
Cfr. ivi, p. 251.
94
Ivi, 259.
95
Candelaio, p. 45
214 giulio gisondi
96
Causa, p. 259.
97
Ibidem.
98
Ivi, 260: «E se la si fosse contentata di quella forma che avea cinquanta anni
addietro, che direste? Sareste tu Polihimnio? Se si fusse fermata sotto quella di quaranta
anni passati, sareste sì adultero, (dico) sì adulto, sì perfetto e sì dotto? Come dumque
ti piace che le altre forme abbiano ceduto a questa, cossì è in volontà de la natura che
ordina l’universo, che tutte le forme cedano a tutte. Lascio che è maggior dignità di
questa nostra sustanza, di farsi ogni cosa ricevendo tutte le forme, che ritenendone una
sola, et essere parziale. Cossì al suo possibile ha la similitudine di chi è tutto in tutto».
99
De vinculis, p. 415.
unità e vincolo di materia e forma 215
100
F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno, Firenze 1968,
p. 12.
101
Causa, pp. 275.
102
De vinculis, p. 417.
216 giulio gisondi
103
Causa, p. 211.
104
Ivi, p. 267.
105
Cfr. De vinculis, p. 518.
unità e vincolo di materia e forma 217
106
Cfr. P. Terracciano, «Nemici et impazienti di Poliarchia», cit., p. 470.
107
Causa, p. 260.
108
Ibidem.
109
Ibidem.
110
Ibidem.
111
Ibidem.
218 giulio gisondi
identica e grande voce «la quale è tutta in tutta una stanza et in ogni
parte di quella, per che da per tutto se intende tutta»112.
Bruno riconduce ogni separazione ontologica tra il principio e i prin-
cipiati, ogni gerarchizzazione, partecipazione ed emanazione all’unità
dell’essere, in cui non sussiste alcuna distinzione tra materia e forma,
tra forma materiale e materia formale. Queste ultime sono categorie
concettuali necessarie all’intelletto umano, il quale procedendo ra-
zionalmente e discorsivamente non può conoscere nulla dell’unica
sostanza, se non per vestigia e simulacri. La difficoltà umana risiede
nell’incapacità di rappresentazione di una sostanza che oltrepassa la
struttura e l’ordine del pensiero, delle possibilità figurative del sapere.
Le forme particolari non sono qualcosa di ontologicamente differente
dalla sostanza unica, ma solo molteplici volti di quella, di un essere
che trascende l’ordine razionale umano. È su questo terreno che egli
recupera la tesi avicebroniana di una materia unica a cui, solo in un
secondo momento, «si aggionge la differenza e forma distintiva»113:
112
Ivi, p. 226.
113
Ivi, p. 261.
unità e vincolo di materia e forma 219
114
Ivi, pp. 260-261.
115
Ivi, p. 261.
116
Causa, pp. 287-288.
117
Ivi, p. 167, p. 223.
220 giulio gisondi
118
Albertus Magnus Physica, in Opera Omnia, cura ac labore Augusti Borgnet,
Parisiis 1890, vol. III, tr. III, cap. 9, p. 63-66.
119
S. Tommaso d’Aquino, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, Libro II,
cit., vol. III, d. 17, q. 1, a. 1, p. 793.
120
Causa, p. 261.
unità e vincolo di materia e forma 221
121
Ivi, p. 262.
122
Cfr. Ibidem: «“Non mi adorare” disse un de loro angeli al patrarca Iacob,
“perché son tuo fratello”; or se costui che parla (come essi intendono) è una sostanza
intellettuale, et affirma col suo dire che quell’uomo e lui convegnano nella realtà
d’un soggetto stante qualsivoglia differenza formale, resta che gli filosofi abbiano un
oraculo di questi teologi per testimonio». Cfr. Apocalisse, 19, 10.
123
Causa, p. 262.
124
Ivi, p. 263.
125
Ivi. p. 265.
222 giulio gisondi
finitezza «in più volte, in tempi diversi e certe successioni»126. Essa non
è tutto nello stesso tempo e nello stesso spazio, ma si fa tutto secondo
l’alternarsi del processo di generazione e rigenerazione, di aggregazione
e disgregazione, secondo il ritmo della vicissitudine. Ancora una volta
è il binomio cusaniano complicato-explicato a chiarire il rapporto che
lega materia e forma nella loro complicatione, dove non vi è né spazialità
né temporalità, e nella dimensione dell’explicato finito e molteplice, in
cui ogni forma particolare è soggetta al tempo e allo spazio.
La differenza tra l’intellegibile e il sensibile dipende «dalla contraz-
zione a l’essere corporea e non essere corporea»127 della materia, dal suo
definirsi assumendo una forma finita e particolare, pur essendo, nel suo
permanere, sostanza universale. Nell’essere complicatamente legata alla
forma universale, la materia è «attualmente tutto quel che può essere,
ha tutte le misure, ha tutte le specie di figure e di dimensioni»128, e al
tempo stesso, non ne assume alcuna, «perché quello che è tante cose
diverse, bisogna che non sia cosa alcuna di quelle particolari»129. Seppur
logicamente distinta in sensibile e intellegibile, corporea e incorporea,
la materia è una, infinita e permanente. La sola differenza riscontrabile
è legata al suo stato: se complicata, informe, intellegibile e incorporea,
ingloba l’infinità delle forme particolari, mentre se explicata, sensibile
e corporea, assume una forma finita finché non la rigetta per partorirne
un’altra130.
Bruno ribalta e oltrepassa, in queste pagine, la prospettiva inizial-
mente tracciata nel dialogo II del De la causa, lasciando intravedere
come la materia operi da soggetto al pari della forma. Alla domanda
di Dicsono se la materia sia atto, se questa nelle cose incorporee coin-
126
Ibidem.
127
Ivi, p. 265.
128
Ibidem.
129
Ibidem.
130
Ivi, p. 268: «cossì dumque mai è informe quella materia, come né anco questa,
benché differentemente quella e questa: quella ne l’istante de l’eternità, questa ne
gl’istanti del tempo; quella insieme, questa successivamente; quella esplicatamente,
questa complicatamente; quella con molti, questa come uno; quella per ciascuno e
cosa per cosa, questa come tutto et ogni cosa».
unità e vincolo di materia e forma 223
cida con l’atto, Teofilo risponde notando che essa non differisce in
«niente nell’absoluta potenza et atto absoluto»131, ma nella sua «sim-
plicità, indivisibilità et unità»132 è «assolutamente tutto»133 insieme
e al pari della forma, «che se avesse certe proprietà, certa differenza,
non sarebbe absoluto, non sarebbe tutto»134. La materia «absoluta da le
dimensioni»135, include nel suo grembo l’infinità delle possibili forme.
Essa non è esclusivamente il sostrato su cui agisce la forma, ma madre
partoriente le forme particolari, i composti e gli aggregati che abitano
l’universo. Richiamandosi ad Averroè e a Plotino, Bruno propone questa
tesi come la ripresa di un motivo ricorrente nella storia del pensiero
filosofico, anche aristotelico:
131
Ivi, p. 266.
132
Ibidem.
133
Ibidem.
134
Ibidem.
135
Ivi, 267.
136
Ivi, pp. 267-268.
224 giulio gisondi
137
Ivi, p. 268.
138
Ibidem.
139
Ivi, p. 274
140
Ibidem.
141
Ibidem.
142
Ivi, p. 269.
143
Ibidem.
144
Ibidem.
145
Ibidem.
V. Il vinculum amoris
tra filosofia naturale e filosofia politica
1
De vinculis, p. 450.
226 giulio gisondi
fosse capace «per omnes illum intrare portas»2, allora vincolerebbe con
la massima potenza ed efficacia. Il vinciens è, come lo definisce Papi, un
«prudente ed esperto manipolatore di contenuti spirituali»3, in grado
di attrarre i suoi simili grazie a un’universale e unitaria conoscenza
della natura, ma che al tempo stesso sa riconoscere come le strutture
generali vadano ricondotte ai singoli, specifici e determinati casi. Mago
è colui che trasforma e manipola ciò che è naturale, senza la necessità
di ricorrere a cerimonie, rituali o invocazioni di potenze superiori, ma
attraverso pratiche e strumenti esclusivamente umani. Un mago che
vincola in virtù di una «rerum […] universalem rationem»4, per mezzo
di una conoscenza dei temperamenti e della specificità degli individui
su cui agisce, dei tempi, delle circostanze, dei luoghi e degli strumenti
con cui legare.
Questa forma di magia non è differente da quella naturale che opera
attraverso la conoscenza dei principi generali e della struttura degli
elementi, per riconoscere come i corpi si attirino e si respingano, così
da poter agire su di essi per modificarli e stabilire rapporti di dipen-
denza. La differenza tra la magia naturale e la tecnica elaborata nel De
vinculis è, piuttosto, riscontrabile nel suo dominio di applicazione: se
la prima possiede uno statuto più generale e ha come oggetto specifico
la natura in ogni sua parte, la seconda costituisce una sua applicazione
particolare nell’ambito umano. A differenza della magia naturale in
cui interviene un rapporto tra essere umano, mago e natura, come nel
caso della medicina, il tipo di relazione analizzata nel De vinculis è
quello tra l’essere umano e il suo simile. Mentre chi pratica la magia
naturale esercita un rapporto di manipolazione sui composti natu-
rali, il vinciens esercita, invece, un rapporto di supremazia sull’essere
umano, attraverso una profonda conoscenza delle passioni, agendo e
modificando inclinazioni e comportamenti. Questa forma di magia
Ibidem.
2
5
Ibidem.
6
Cfr. F. Tocco, Le opere inedite di Giordano Bruno, «Atti della Reale Accademia
di Scienze morali e politiche di Napoli», XXV (1892), Napoli 1891, pp. 259-260.
7
G. De magia, p. 284.
8
Cfr. Theses, p. 398: «Omnes affectus et vincula voluntatis reducuntur ad duo,
ipsaque referunt, nempe ad irascibilem et concupiscibilem, seu odium et amorem;
odium tandem ad amorem reducitur; itaque vinculum unum voluntatis est amor».
228 giulio gisondi
9
Cfr. De vinculis, pp. 414-416.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 229
10
Ivi, p. 492.
11
Ibidem.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 231
12
Cfr. N. Machiavelli, Istorie Fiorentine, in Opere, C. Vivanti (a cura di), Torino
2005, vol. III, lib. V, cap. 1, p. 519; cfr. Id., Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio,
in Opere, cit., 1999, vol. I, lib. I, cap. 2, p. 205.
13
Id., Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, cit., lib. I, capp. 16-17, pp. 240-245.
14
Ivi, p. 204.
232 giulio gisondi
15
Id., Il Principe, in Opere, cit., vol. I, 1997, cap. XVII, pp. 165-167.
16
Ibidem.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 233
fa sentir più stretti i lacci, più fermo il giogo, e più ardenti le fiamme.
Al contrario, de gli ordinarii prencipi e tiranni, che usano strettezza
e forza, dove veggono aver minore imperio»17. Amore è la più potente
delle armi di cui un principe possa servirsi, non soltanto in quanto lega
con più efficacia, ma perché costituisce la ragione intima e strutturale
di tutto il vivente.
Il riconoscimento dell’amore come ragione universale non equivale,
tuttavia, al semplice rispecchiamento dell’ordine naturale in quello
antropologico. Nella coincidentia oppositorum non vi è separazione
né contrarietà: tutto è indistinto e racchiuso nell’unità della causa e
principio primo. In esso non sussiste alcuna possibilità di operazione
né di conoscenza da parte dell’essere umano. Laddove vi è, invece,
molteplicità, contrarietà, distinzione e, dunque, causalità e contingenza,
vi è libertà e possibilità di azione. Una volta compresa questa struttura
unitaria del reale, occorre far ritorno nel molteplice e agire in esso,
riproducendo l’unità naturale in quella civile, attraverso l’istituzione
di vincoli come le leggi, le religioni, e garantire in essa la libertà, la
concordia e le differenze individuali. Bisogna, in altre parole, ripensare
positivamente il finito come l’unico spazio possibile all’agire umano
sulla contrarietà del vivente.
La considerazione unitaria e non separabile della dimensione natu-
rale e di quella civile costituisce, nell’analisi del De vinculis, una delle
maggiori difficoltà. Bruno espone l’esame dei vincoli civili celandoli
nella conclusione dell’esame dei legami naturali. Non è un caso se le
ultime righe dei principali articoli del trattato siano dedicate e si aprano
a una riflessione politica e civile. Questo modo di analizzare i vincoli
naturali e civili è espressione della prospettiva antropologico-naturali-
stica, per la quale le dinamiche umane di attrazione non possono essere
isolate e scisse dal mondo fisico di cui l’umanità è parte. Il vinculum
incarna non soltanto la relazione tra la materia e la forma, ma il legame
tra la filosofia naturale e la politica, ciò che consente di rintracciare le
categorie del politico come già radicate nell’indagine sulla natura. La
riflessione sull’amore, strumento di fascinazione psicologica sul piano
17
Furori, p. 850.
234 giulio gisondi
20
Ivi, pp. 512-514: «Itaque est vinculum, quo res volunt esse ubi sunt et non
amittere quae habet. Interea quoque volunt esse ubique et habere quae absunt: unde
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 235
23
L. Ebreo, Dialoghi d’amore, S. Caramella (a cura di), Bari 1929, pp. 24-25:
«l’insaziabile e ardente amore de la sapienza e virtù de le cose oneste è quello che fa
divino il nostro intelletto umano, e [che] il nostro fragil corpo, vaso di corruzione,
converte in strumento d’angelica spiritualità. […] E da quel mezzo si verifica che,
quanto più ecessivamente si desidera ama e segue, tanto più veramente è virtù. Perché
già tal desiderio non è più delettazione né utilità; ma depende da la moderazione di
quelle, ch’è virtù intellettiva e veramente è cosa onesta».
24
Ivi, p. 39.
25
Ivi, pp. 32-33.
26
Ibidem.
27
Ivi, p. 46.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 237
28
Furori, p. 814.
29
Ibidem.
30
Furori, pp. 814-815. Cfr. L. Ebreo, Dialoghi d’amore, cit., p. 33: «l’occhio
comprende le cose secondo la sua forza oculare, sua grandezza e sua natura; ma non
secondo la condizione de le cose viste in se medesime. E di questa sorte comprende il
nostro piccolo intelletto l’infinito di Dio: secondo la capacità e forza intellegibile uma-
na, ma non secondo il pelago senza fondo de la divina essenzia e immensa sapienza».
31
Ivi, p. 824: «Atteso che non è cosa naturale né conveniente che l’infinito sia
compreso, né esso può donarsi finito: percioché non sarebbe infinito; ma è conve-
niente e naturale che l’infinito per essere infinito sia infinitamente perseguitato (in
quel modo di persecuzione il quale non ha raggion di moto fisico, ma di certo moto
metafisico […])».
238 giulio gisondi
L’oggetto della ricerca del furioso, osserva Bassi, «sfugge a ogni ten-
tativo di apprensione definitiva»32, si sottrae a ogni definizione logica,
almeno sin quando il furioso non lo scorga e si tramuti in esso. Come
Atteone, che solo per un istante sorprende Diana nuda e, trasformato
nell’oggetto della sua caccia, diviene preda de «gli cani, pensieri de cose
divine»33, così il furioso coglie l’infinita verità soltanto facendosi preda
della sua stessa ricerca. Come Atteone, così il furioso «vede l’Anfitrite,
il fonte de tutti numeri, de tutte specie, de tutte raggioni, che è la mo-
nade, vera essenza de l’essere de tutti; e se non la vede in sua essenza,
in absoluta luce, la vede nella sua genitura che gli è simile, che è la
sua imagine: perché dalla monade che è la divinitade, procede questa
monade che è la natura, l’universo, il mondo»34.
Il ricorso di Bruno al mito e alla poesia manifesta l’impossibilità
di esprimere una verità che ciclicamente si cela e si disvela attraver-
so un linguaggio che sia esclusivamente logico e razionale. Soltanto
ricorrendo alle immagini suscitate dal linguaggio mitico e poetico,
che vincolano la potenza cogitativa, è possibile tradurre in parole una
realtà impermamente che sfugge a ogni assoluta definizione. L’unico
strumento attraverso cui cogliere ed esprimere un’immagine fugace e
istantanea dell’infinità e unità della natura, di una verità continuamen-
te celata sotto forme diverse, è la poesia filosofica o filosofia poetica.
Nell’Explicatio triginta sigillorum, pubblicata a Parigi, 1583, Bruno
identifica l’attività filosofica con quella poetica e pittorica: «philosophi
sunt quodammodo pictores atque poetae, poetae pictores et philosophi,
pictores philosophi et poetae, mutuoque veri poetae, veri pictores et
veri philosophi se diligunt et admirantur»35.
La filosofia è incapace «d’esplicar gl’intricati sentimenti»36, di affer-
rare l’infinita dinamicità delle metamorfosi del reale, se non tramutan-
dosi in linguaggio poetico e pittorico. L’identificazione della filosofia
32
S. Bassi, L’arte di Giordano Bruno. Memoria, Furore, magia, Firenze 2004, p. 80.
33
Furori, pp. 921.
34
Ivi, p. 922.
35
Explicatio, p. 133.
36
Cena, p. 28.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 239
[Cicada] Sì che come Omero nel suo geno non fu poeta che pendesse
da regole, ma è causa delle regole che servono a coloro che son più atti
ad imitare che ad inventare; e son state raccolte da colui che non era
poeta di sorte alcuna, ma che seppe raccogliere le regole di quell’una
sorte, cioè dell’omerica poesia in serviggio di qualch’uno che volesse
doventar non un altro poeta, ma un come Omero: non di propria
musa, ma scimia de la musa altrui.
[Tansillo] Conchiudi bene, che la poesia non nasce da le regole, se non
per leggerissimo accidente; ma le regole derivano da le poesie: e però
240 giulio gisondi
tanti son geni e specie de vere regole, quanti son geni e specie de veri
poeti […] dico che sono e possono essere tante sorte de poeti, quante
possono essere e sono maniere de sentimenti et invenzioni umane37.
R. Sturlese, Arte della natura e arte della memoria in Giordano Bruno, in «Ri-
38
39
Furori, p. 757.
40
Ivi, p. 841.
41
Ivi, p. 808: «Dove dimostra l’amor suo non esser come de la farfalla, del cervio
e del liocorno, che fuggirebono s’avesser giudizio del fuoco, della saetta e de gli lacci,
e che non han senso d’altro che del piacere: ma vien guidato da un sensatissimo e pur
troppo oculato furore, che gli fa amare più quel fuoco che altro refrigerio, più quella
piaga che altra sanità, più que’ legami che altra libertade. Perché questo male non è
absolutamente male: ma per certo rispetto al bene secondo l’opinione, e falso […].
Perché questo male absolutamente ne l’occhio de l’eternitade è compreso o per bene,
o per guida che ne conduce a quello; atteso che questo fuoco è l’ardente desio de le
cose divine, questa saetta è l’impression del raggio de la beltade della superna luce,
questi lacci son le specie del vero che uniscono la nostra mente alla prima verità: e le
specie del bene che ne fanno uniti e gionti al primo e sommo bene».
242 giulio gisondi
42
Ivi, p. 917: «Or l’esca de la mente bisogna dire che sia quella che sempre è
bramata, cercata, abbracciata, e volentieri più ch’ogni altra cosa gustata, per cui
s’empie, s’appaga, ha prò e dovien megliore: cioè la verità alla quale in ogni tempo,
et in ogni etade et in qualsivoglia stato che si truove l’uomo, sempre aspira, e per cui
suol spreggiar qualsivoglia fatica, tentar ogni studio, non far caso del corpo, et aver
in odio questa vita».
43
S. Bassi, L’arte di Giordano Bruno, cit., p. 82.
44
Furori, p. 823.
45
Cfr. M. Ficini Commentarium in Convivium Platonis, testo, trad. fr. e note P.
Laurens (a cura di), Paris 2002, d. II, cap. 8, p. 43.
46
Cfr. L. Ebreo, Dialoghi d’amore, cit., p. 178.
47
Cfr. G. Pico della Mirandola, Commento sopra a una canzona de amore composta
da Girolamo Benivieni, in Opere, E. Garin (a cura di), Torino 2004, vol. I, pp. 557-558.
48
Furori, p. 800: «Non è morto, perché vive ne l’oggetto; non è vivo, perché è
morto in se stesso: privo di morte, perché parturisce pensieri in quello; privo di vita,
perché non vegeta o sente in se medesimo. Appresso è bassissimo per la considerazione
de l’alto intelligibile e la compresa imbecillità de la potenza; è altissimo per l’aspira-
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 243
zione dell’eroico desio che trapassa di gan lunga gli suoi termini, et è altissimo per
l’appetito intellettuale che non ha modo e fine di gionger numero a numero […]».
49
Ivi, p. 805.
244 giulio gisondi
introdursi, essendo questi già ricolmi della loro ragione, liberi e non
schiavi della propria o altrui immaginazione50.
Questa distinzione non è esclusivamente gnoseologica, ma assume
una connotazione morale ed etico-civile. I Furori rappresentano la
proposta di una riforma interiore, una trasformazione dell’essere umano
da vaso, strumento e soggetto della vicissitudine degli eventi e delle
metamorfosi, ad artefice della propria esistenza e del proprio destino. Se
«la luce divina è sempre presente; s’offre sempre, sempre chiama e batte
le porte de nostri sensi et altre potenze cognoscitive et apprensive»51,
ciò significa che questa è sempre percepibile da ogni individuo e che
ognuno può mettersi sulle sue tracce e parteciparne. Il rifiuto di questa
luce non è che un pigro soggiornare in una dimensione d’asinità, di
ferina e bestiale schiavitù. Il compito di ogni individuo è, invece, quello
di potenziare e accrescere le facoltà che lo rendono libero e capace di
autodeterminarsi.
La distinzione tra queste due forme di furore è il riconoscimento
della differenza antropologica, già tracciata nel Sigillus, tra quanti si
rendono schiavi di fantasie e pensieri che legano il soggetto a una co-
stante e passiva ignoranza; e quanti agiscono attivamente, in virtù del
proprio intelletto o lume naturale, tentando di conoscere, apprendere
ed elevarsi dal loro stato ordinario. Se i primi sono umiliati, aggiogati
e vincolati a uno stato di bestiale asinità, i secondi rappresentano il
compimento delle virtù umane, fonte di progresso per l’intera specie. I
primi sono vincolati e agiti dalla loro stessa immaginazione e attraverso
questa istituiscono legami che incatenano a uno stato di dipendenza
e schiavitù intellettuale. I secondi sono, invece, in grado di dominare
e agire sulla propria e altrui immaginazione, istituendo vincoli che
fortificano e uniscono la repubblica degli uomini:
50
Ibidem: «per essere avezzi o abili alla contemplazione, e per aver innato uno spi-
rito lucido e intellettuale, da uno interno stimolo e fervor naturale suscitato da l’amor
della divinitate, della giustizia, della veritade, della gloria, dal fuoco del desio e soffio
dell’intenzione acuiscono gli sensi, e nel solfro della cogitativa facultade accendono
il lume razionale con cui veggono più ordinariamente: e questi non vegnono al fine
a parlar et oprar come vasi et instrumenti, ma come principali artefici et efficienti».
51
Ivi, p. 762.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 245
Gli primi hanno più dignità, potestà et efficacia in sé: perché hanno
la divinità. Gli secondi son essi più degni, più potenti et efficaci, e
son divini. Gli primi son degni come l’asino che porta li sacramenti:
gli secondi come una cosa sacra. Nelli primi si considera e vede in
effetto la divinità e quella s’admira, adora et obedisce. Ne gli secondi
si considera e vede l’eccellenza della propria umanitade52.
52
Ivi, p. 806.
53
Cfr. C. Agrippa, De occulta philosophia libri tres, V. Perrone Compagni (a cura
di), Leiden-New York-Köln 1992, lib. I, cap. 50, pp. 212-216, lib. III, cap. 45-50,
pp. 545-556.
54
Furori, pp. 806-807: «Questi furori de quali noi raggionamo, e che veggiamo
messi in execuzione in queste sentenze, non sono oblio, ma una memoria; non son
negligenze di se stesso, ma amori e brame del bello e del buono con cui si procure
farsi perfetto con transformarsi et assomigliarsi in quello. Non è un raptamento sotto
le leggi d’un fato indegno, con gli lacci de ferine affezzioni: ma un impeto razionale
che siegue l’apprension intellettuale del buono e del bello che conosce; a cui vorrebbe
conformandosi parimente piacere».
246 giulio gisondi
Chi è preda del vincolo d’amore vive sensazioni opposte, una con-
trarietà che spinge a voler gridare e tacere, a provare gioia e tristezza,
pur essendo legato da uno stesso e unico sentimento d’amore. E la
causa risiede nella constatazione che non vi è «delettazione alcuna senza
qualch’amaro; anzi […] se non fusse l’amaro nelle cose, non sarebe
alcuna delettazione»57. La ripresa nel De vinculis dei primi otto versi
di questo sonetto è funzionale a chiarire come gli effetti provenienti
da una stessa specie di sentimento e legame possano essere tra loro
contrari e opposti.
55
Cfr. De vinculis, pp. 426-429.
56
Furori, p. 795.
57
Ivi, p. 795.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 247
58
Ivi, p. 796.
59
De vinculis, pp. 446.
60
Ivi, p. 448.
61
Ivi, p. 450: «Vinciens non unit sibi animam nisi raptam, non rapit nisi vinctam;
non vincit nisi illi se copulaverit, non copulatur nisi eam pervenit; non pervenit nisi
per motum, non movetur nisi per appulsum; non appellit nisi postquam inclinaverit
vel declinaverit ad illam, non inclinat nisi desideravit et appetierit; non appetit nisi
cognoverit, non cognovit nisi oculis et auribus, vel interni sensus obtutibus, obiectum
specie vel simulachro praesens adfuerit. Pervenire igitur facit vincula per cognitionem
in genere, necit vincula per affectum in genere. Cognitionem dico in genere, quia
nescitur interdum quo sensu rapiatur; affectum dico in genere, quia nec iste facile
interdum definitur».
248 giulio gisondi
Ivi, p. 448: «Sicut in specie non vincit Venus neque arcem expugnat facile,
62
inania sunt vasa, turbatus spiritus, urens anxia: sed produnt arcem intumescentia
vasa, tranquillus animus, mens quieta, corpus otiosum, quorum custodum et vigilum
vicibus observatis, repente audendum, irruendum, viribus omnibus agendum, non
cessandum. Haud aliter in aliis vinciendi actibus observandum».
63
Cfr. M. Ficini In convivium, cit., d. V, cap. 2, pp. 86-92.
64
De vinculis, pp. 526-528.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 249
4. Dalla critica del bello platonico alla relatività del sentimento d’amore
65
Ivi, p. 446.
66
Ivi, p. 436: «Putant nonnulli, parum distinguentes, ut Platonici, illud quod
vincit esse rei speciem, quae a re/ad animam proficiscintur, a re subiecta tamen non
recedit, sicut ignis qui comunicans suam speciem non attenuantur, sicut imago quae
in subiecto primo, inde in speculo, in intermedio et in oculis»; cfr. pp. 428-432.
67
Cfr. Platone, Fedro, 247c-e; cfr. Id, Fedone, 72b-77b; cfr. Id, Menone, 81c-86c.
250 giulio gisondi
Bruno svolge qui una critica tesa a capovolgere i termini della questio-
ne. La relazione d’amore non rispecchia il compimento sensibile dell’idea
del bello, ma matura come un legame dell’esperienza. Se il bello, il buono
e il vero assoluti, la causa e principio primo, vincolano più di ogni altra
cosa68, tuttavia, come recita l’articolo XII («Non est unus qui omne vinciat
particularis») della sezione De vinciente, «nullum particulare sit absolute
pulchrum, bonum, verum etc., non solum supra genus, sed neque in
genere neque in specie aliqua»69. Se nessun oggetto sensibile e particolare
può esser definito bello, buono e vero in assoluto, ciò vuol dire che «nihil
est quod simpliciter vincire per eosdem gradus possit»70, ovvero nulla può
vincolare in ogni circostanza, in ogni tempo e in ogni luogo.
Nonostante quest’impossibilità, ogni cosa desidera, essere bella in as-
soluto, almeno secondo la condizione particolare che attiene alla propria
specie, così come ogni essere umano aspira alla propria conservazione e
all’affermazione di sé stesso sotto ogni aspetto71. L’idea del bello non è
esprimibile in un particolare oggetto o corpo sensibile, poiché differisce
in ogni specie. Una bellezza ideale potrebbe essere rintracciata soltan-
to nella totalità e nell’eternità72. Se la bellezza assoluta, rappresentata
dall’universale vinculum Cupidis, vincola sopra ogni cosa, al contrario, la
bellezza esperibile nel mondo sensibile non solo non può essere definita
tale in senso assoluto, ma non può neppure vincolare assolutamente, sia
che consista in una certa qual simmetria73, sia in qualcosa d’incorporeo
che si riflette o s’incarna in un corpo particolare74.
Ivi, pp. 428-430: «Id quod absolute pulchrum et bonum et magnum et verum
68
absolute vincit affectum, intellectum et omne. Item nihil perdit, omnia continet,
omnia desiderat, desideratur et persequitur a pluribus, quod diverso vinculorum
genere viget».
69
De vinculis, p. 430.
70
Ibidem.
71
Ibidem: «Omnia enim appetunt esse absolute et ex omni parte pulchra, iuxta
propriae speciei atque generis conditionem saltem».
72
Ibidem.
73
Ivi, p. 432.
74
Ibidem.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 251
75
Furori, p. 809.
76
Cfr. M. Ficini In convivium, cit., d. V, cap. 3, pp. 92-97.
77
Cfr. De vinculis, p. 498.
78
Furori, p. 809.
79
Ibidem.
80
Ibidem.
81
Ibidem.
82
Ivi, p. 497.
83
Ibidem.
84
De vinculis, pp. 436-438: «Indefinita ergo et incircumscriptibilis omnino est
ratio pulchritudinis et a simili ratio iocundi atque boni. Proinde non tota vinculi ratio
in re subiecta perspicienda est, sed etiam, secundum alteram non minus praecipuam
partem, in eo quod vincitur nihilo enim mutata cibi qualitate atque substantia, nunc
post refectionem reiicitur, qui paulo ante avide sumebatur. Cupidinis vincula, quae
ante coitum intensa erat, modico seminis iactu sunt remissa, et ignes temperati,
252 giulio gisondi
obiecto pulchro nihilominus eodem permanente. Non tota igitur vinculi ratio ad
illud est referenda».
85
F. Papi, L’antropologia naturalistica, cit., p. 162.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 253
86
Ivi, p. 433: «Diversa igitur individua a diversis vinciuntur obiectis; etsi quippe
idem sit quod vinciat. Socratem atque Platonem, aliter tamen hunc vinciet atque illum;
alia multitudinem, alia paucos movent, alia mares et viriles, alia feminas et muliebres».
87
F. Papi, L’antropologia naturalistica, cit., p. 163.
88
De vinculis, p. 549.
89
Ivi, p. 482.
90
Cfr. M. Ficini In convivium, cit., d. V, cap. 3, pp. 92-97.
254 giulio gisondi
91
De vinculis, p. 482: «Achei non ad ratione, seu cognitionis speciem, sed ad
fortunam referebant, quod aliquid amore vel odio vel aliis affectibus vinciretur, unde
in eadem ara amorem atque fortunam colebant. Cui iudicio adstipulantur Platonici
quidam, ideo dicentes animalia muta non semper amore vinciri, quia ratione carent
et prudentia. Sed isti nimis crasse sentiunt de natura cognitionibus et intellectus, qui
cum spiritu universi implet omnia, et ex omnibus pro suppositi ratione enitescit. Nobis
vero tum amor tum omnis affectus valde practica est cognitio, quin etiam discursus,
ratiocinatio et argumentatio – qua potissimum homines vinciuntur – neuquaquam
inter primarias cognitionis species numerantur».
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 255
92
Ibidem.
Ivi, p. 483: «Duas vincibilitatis sunt causa, et eadem sunt de essentia vincibilis,
93
Ivi, p. 508.
95
96
Ivi, p. 510; cfr. Ivi, pp. 510-514: «Ad particularium vero vicissitudinem facit,
ut singula quodammodo a se ipsis recedant, ubi in amatum transferri concupiscit
amans omne; per se ipsa quoque dissolvantur, aperiantur, dehiscant, ubi totum amans
concipere concupit amatum et imbibire. Itaque est vinculum, quo res volunt esse ubi
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 257
quale ogni cosa conosce e desidera conservarsi nella sua forma attuale
e, al tempo stesso, tende a uscir da questa per partecipare all’infinità
della vita universale. Bruno intreccia la prospettiva dell’Uno, infinito
e permanente a quella del singolo composto temporale e terminato.
Nel passaggio dall’articolo XIII al XIV («Vinculi qualitas») della
terza sezione del De vinculis, egli descrive il vincolo come neutro, «neque
pulchrum est neque bonum»97. Il vincolo è ciò «quo pulchrum atque
bonum persequuntur omnia atque singula»98, il mezzo attraverso cui
tutte le cose, ognuna secondo la propria modalità, partecipano alla vita
universale e ricercano il bello e il buono per sé, la loro conservazione ed
espansione. Di conseguenza, ogni cosa che desidera per sé il bello e il
buono, non è in sé né bella né buona, ma manchevole di entrambe. In
questa considerazione rientra anche la riflessione ontologica. La materia,
se desidera, appetisce e tende al bello e al buono, dimostrando di essere
manchevole e imperfetta, non è, però, turpe o cattiva, come vogliono
i peripatetici. Se la materia fosse il male essa non potrebbe volgersi al
bene, perché ciò equivarrebbe volere il suo contrario99.
sunt et non amittere quae habent. Interea quoque volunt esse ubique et habere quae
absunt: unde ex complacentia quadam circa possessa, desiderio et appetitu circa
distantia et possessibilia, et amore circa omnia, quia particulari et finito bono atque
vero non expletur particularis appetitus et intellectus, qui ad universum bonum et
universum verum respiciunt obiecta. Hinc est ut ab eodem vinculo finita potentia
et in quadam definita materia simul et stringi et dispergi, de[s]trahi atque dissipari
se experiatur. Hanc conditionem vinculi secudum genus in vinculis secundum spe-
cierum singulas observato».
97
Ivi, p. 514.
98
Ibidem.
99
Ivi, pp. 514-516: «Inde male concludit in proposito materiae Peripathetocorum
aliquis materiam turpe[m] esse atque malum, quia appetendo bonum et pulchrum
eodem carere se constatur. Circumspectius dixit Aristoteles «sicut turpe», «sicut ma-
lum», non autem simpliciter huiusmodi. In rei autem veritate neque turpe, neque pul-
chrum, neque malum est neque bonum, quod ad bonitatem, malitiam, turpitudinem
et pulchritudinem tendit et aeque fertur ut materia. Si materia esset malum, contra
eius naturam esset appetere bonum, itidem natura turpe. Item, si esset secundum
similitudinem, / similiter se haberet atque contrarium, quod alterum contrarium non
appetit, sed excludit et abhorret».
258 giulio gisondi
Nel passaggio dalla «divina vis […] in rebus omnibus; amor, pater,
fons et Amphitrites […] vinculorum»100, alla materia partoriente le
forme dal suo interno, Bruno recupera la considerazione, già affermata
nel De la causa101, della materia generante le forme dal suo interno,
ponendo un rapporto inscindibile tra l’amore inteso come principio
divino intimo della natura e la vicissitudine universale. Il vinculum
amoris spinge la materia a partorire infinitamente dal suo interno le
forme, nel desiderio eterno di colmare una mancanza costitutiva. E
proprio quest’eterno desiderio di attualizzare la sua stessa infinità la
rende perfettissima. Ogni cosa che desidera la pienezza e la perfezio-
ne partecipa dell’infinità e della perfezione della causa e principio
primo102.
Il desiderio di pienezza e perfezione della materia pone l’identità
ontologica di essa con la totalità degli elementi e dei corpi naturali,
con il loro perenne ex-sistere. Come la materia, così ogni cosa, incluso
l’essere umano, è mossa dal desiderio di perfezionamento e di pienezza
che avviene attraverso le relazioni che istituisce, legando e legandosi
ai suoi simili per espandere la propria presenza nel ciclo della vita
universale. L’unità dell’anima del mondo e della materia universale fa
sì che ogni cosa viva, ami, si trasformi e si degeneri secondo le stesse
dinamiche di attrazione e repulsione e lo stesso ritmo vitale. L’appetitus
e la cognitio sono pertanto due condizioni dell’amore presenti in ogni
cosa, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande.
Dal riconoscimento di quest’analogia ontologica, Bruno ricava un
suggerimento sul piano morale ed etico-civile, osservando come nel
vinculum amoris si celi la struttura e il fondamento del reale, sia in senso
naturale che politico. Nella conclusione dell’articolo XIV, formulando
un’avvertenza per chi opera tra e sugli esseri umani, egli rileva:
Ivi, p. 510.
100
102
Ivi, p. 516: «Profundis vero philosophantes intelligunt quod nos alibi decla-
ravimus, ut materia ipsa inchoationem habet omnium formarum in sinu suo – ita ut
ex eo omnia promat et emittat –, non puram illam externo. Extra quippe materiae
gremium nulla forma est, sed in eo tum omnes latent, et ex eo tum omnes educuntur».
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 259
103
Ibidem.
104
Ibidem.
260 giulio gisondi
Perfectissumum ergo est illud quod fieri vult omnia, et quod non
ad particularem formam fertur et particularem perfectionem, sed
ad universam formam et ad universam perfectionem. Eiusmodi est
materia per universum, extra quam nulla est forma, in cuius potentia,
appetitu et sipositiones omnes sunt formae, et quae in partibus suis
vicissitudine quadam omnes recipit formas, quarum simul vel duas
recipere non posset. Et divinum ergo quoddam est materia, sicut et
divinum quoddam existimatur esse forma, quae aut nihil est, aut
materiae quiddam est107.
107
De vinculis, p. 518.
108
F. Papi, L’antropologia naturalistica, cit., p. 167.
262 giulio gisondi
109
De vinculis, pp. 464-466.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 263
110
Ivi, p. 458.
111
Ivi, pp. 474-476.
112
Cfr. Furori, p. 852: «la differenza de l’amor sensuale che non ha certezza né
discrezion de oggetti, da l’amor intellettivo il qual ha mira ad un certo e solo, a cui si
volta, da cui è illuminato nel concetto, onde è acceso ne l’affetto, s’infiamma, s’illustra
ed è mantenuto nell’unità, identità e stato».
264 giulio gisondi
113
Ivi, p. 806: «Doviene un Dio dal contatto intellettuale di quel nume oggetto:
e d’altro non ha pensieri che de cose divine, e mostrasi insensibile ed impassibile
in quelle cose che comunemente massime sentono, e da le quali più vegnon altri
tormentati; niente teme, e per amor de la divinitade spreggia gli altri piaceri, e non
fa pensiero alcuno de vita».
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 265
114
E. Garin, L'umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento, Bari
1952, p. 263.
115
Cfr. De vinculis, p. 464.
266 giulio gisondi
116
Furori, p. 912: «Bisogna che siene arteggiani, meccanici, agricoltori, servidori,
pedoni, ignobili, vili, poveri, pedanti ed altri simili: poiché altrimenti non potrebomo
essere filosofi, contemplativi, cultori degli animi, padroni, capitani, nobili, illustri,
ricchi ed altri che siano eroici simili agli dei».
117
Ivi, p. 851.
118
Ivi, pp. 851-852: «Questo intelletto unico specifico umano che ha influenza
in tutti li individui, è come la luna, la quale non prende altra specie che quella unica,
la qual sempre se rinova per la conversion che fa al sole che è la prima et universale
intelligenza: ma l’intelletto umano individuale e numeroso viene come gli occhi a
voltarsi ad innumerabili e diversissimi oggetti, onde secondo infiniti gradi che son
tutte le forme naturali viene informato».
119
Cfr. M. Ficini In convivium, cit., d. VI, cap. 8, p. 151.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 267
120
Furori, p. 852: «Là onde accade che sia furioso, vago et incerto questo intelletto
particulare; come quello universale è quieto, stabile e certo, cossì secondo l’appetito
come secondo l’apprensione. O pur quindi (come da per te stesso puoi facilmente desci-
ferare) vien significata la natura dell’apprensione et appetito vario, vago, incostante et
incerto del senso, e del concetto et appetito definito, fermo e stabile de l’intelligenza».
121
Ivi, p. 818.
122
Ibidem: «Or questa conversione e vicissitudine è figurata nella ruota delle
metamorfosi, dove siede l’uomo nella parte eminente, giace una bestia al fondo, un
mezzo uomo e una mezza bestia descende dalla sinistra, et un mezzo bestia e mezzo
uomo ascende da la destra».
123
Ibidem: «Il furioso eroico inalzandosi per la conceputa specie della divina
beltà e bontade, con l’ali de l’intelletto e voluntade intellettiva s’inalza alla divinitade
lasciando la forma de suggetto più basso. E però disse: “Da suggetto più vil dovegno
un Dio, Mi cangio in Dio da cosa inferiore”».
268 giulio gisondi
d’amore per la verità, liberandosi dai lacci del senso per congiungersi
all’intelletto universale.
Quest’autodeterminazione dei caratteri e delle facoltà di ogni indi-
viduo spinge, sul piano civile, al diversificarsi dei destini umani e alla
strutturazione gerarchica sociale. Le contrarietà e le differenze sono
necessarie alla costruzione di una comunità ben organizzata. Bruno
pensa alla repubblica degli uomini come garanzia e salvaguardia delle
specificità dei soggetti. Come negli organismi naturali vi sono parti
superiori e parti inferiori che contribuiscono in egual misura alla so-
pravvivenza e all’accrescimento di un corpo unico, allo stesso modo,
le diversità di complessione, di stato, di occupazione e di ruolo di ogni
individuo all’interno di un corpo sociale, sono necessarie al manteni-
mento della concordia e del benessere della comunità:
124
Furori, p. 912.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 269
125
Cfr. De magia, p. 228.
270 giulio gisondi
126
De vinculis, p. 428: «vincire ergo novit, qui universi rationem habet, vel saltem
rei particularis vinciendae naturam, dispositionem, inclinationem, habitum, usum,
finem».
127
Cfr. ivi, p. 424.
128
Ivi, p. 428.
129
Ivi, pp. 424-426: «non ergo ad unum principium referendum est et simplex,
quod aliquid compositum et in sua natura varium, atque etiam ex contrariis consi-
stens, vinciatur».
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 271
130
Ivi, p. 432.
131
Ibidem.
132
Ivi, pp. 432-434: «ut diversa sunt tempora, diversae occasiones et diversi
subeunt affectus, neque una eademque mensura, ita neque est aliquid unum atque
simplex et eiusdem quantitais et qualitatis, quod omnibus placere aeque possit, aeque
omnes explere».
133
Ivi, p. 440.
272 giulio gisondi
134
Ivi, p. 442.
135
De vinculis, p. 442.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 273
136
Ivi, p. 445.
137
Ivi, p. 448: «Non ligat vincibile vinciens, sicut neque munitissimam arcem
expugnat dux facile, nisi domestico aliquo proditore, vel alio quocumque pacto con-
sentiente, vel succumbente, vel utcunque tractabili ministro, fiat aditus».
138
Ibidem.
274 giulio gisondi
Vinciens non unit sibi animam nisi raptam, non rapit nisi victam; non
vincit nisi illi se copulaverit, non copulatur nisi ad eam pervenit; non
pervenit nisi per motum, non movetur nisi per appulsum; non appellit
144
De vinculis, p. 450.
276 giulio gisondi
145
Ivi, p. 452.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 277
146
Ivi, p. 462: «Pro aetatis atque temporis varietate varie unum idemque fit
vincibile, et varia sunt ad unum idemque vinculum non uno modo dispisita, neque
ex eodem pariter composita redduntur. Hinc adverte ut qui iunior extiterit et facilis,
vir est constantior et prudentior, senex suspiciosior magis et morosus, decrepitus
contemnit et fastidit».
147
Ivi, pp. 462-464: «Quoniam magis uni obiecto vincitur animus, quo magis ab
aliis abstrahitur et relaxtur, ideo vincibile ad unum definire volenti operare precium
est, ut eum in negotiis aliisque que rebus torpentem, vel magis ab earum sollicitudine
abductum reddat».
278 giulio gisondi
Ivi, p. 464: «hinc rhetor per risum, per invidiam et alios affectus solvit ab
148
152
Ibidem: «Idque ut naturale est, et aeternam rerum conditionem antecedit,
concomitatur atque consequitur, ita natura varietate et motu vincit, et ars naturae
aemulatrix vincula multiplicat, variat, diversificat, ordinat et successiva quadam
serie componit».
153
Ibidem: «Status quoque usque adeo a rebus abhorret, ut interdum etiam in
vetitum nitamur magis, et eius desiderio amplius afficiamur. A vinculis enim solvi ita
naturale est appetere, sicut et paulo ante ipsis alligari ultronea et spontanea quadam
inclinationem potuimus».
154
Ivi, p. 468.
280 giulio gisondi
155
Ivi, pp. 468-470: «si quis philautiam posset in subiecto extinguere, maximopere
potens ad quomodolibet vinciendum et exolvendum reddetur. Philautia item accensa,
facilius naturalium sibi vinculorum generibus astringuntur omnia».
156
Cfr. ivi, pp. 468-470.
157
Cfr. ivi, p. 428.
158
F. Papi, L’antropologia naturalistica, cit., p. 175.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 281
159
Cfr. De vinculis, p. 470.
160
Ivi, p. 470.
161
Ivi, pp. 470-472.
162
Ivi, p. 472.
282 giulio gisondi
163
Cfr. ivi, pp. 472-474.
164
Ivi, p. 476.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 283
165
Ivi, p. 474.
166
Ivi, p. 478.
167
Ivi, p. 450.
168
Ivi, p. 452, p. 484.
284 giulio gisondi
169
Ivi, p. 484.
170
Ivi, p. 486.
171
Ibidem.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 285
l’«opinio boni»172, non il bello, ma l’opinione che qualcosa sia bello, non la
verità, ma l’opinione che qualcosa sia vero. La fantasia e l’opinione vinco-
lano molti più soggetti rispetto alla ragione e alla verità, poiché colpiscono
con maggiore efficacia e più potente intensità i cuori prim’ancora che le
menti173. Nell’articolo XXX («Vincibilis veritas»), ultimo della sezione De
vincibilibus, Bruno osserva come l’attrazione, la soggezione e il dominio
dell’altro si realizzino più efficacemente attraverso vincoli apparenti. Per
legare un soggetto non occorrono lacci che abbiano un fondamento nella
verità, ma sono sufficienti vincoli generati dall’apparenza e dall’opinione:
«potest enim imaginatio sine veritate vere vincire, et per imaginationem
vincibile vere obligare»174. L’immaginazione possiede la capacità di legare
senza che il contenuto dell’immagine sia vero. Attraverso questa facoltà, il
vinciens può suscitare nel vincibile dei vincula apparentia, che possiedono
il potere di piegarne la volontà. La costruzione del vincolo non necessita
della verità perché possa essere efficace, poiché l’opinione e l’apparenza
vincolano più intensamente della verità.
Vincolare la mente e il cuore di uno o più soggetti attraverso fan-
tasmi prodotti dall’immaginazione, slegati dal rapporto con la verità,
rappresenta l’apice del dominio, della manipolazione e assoggettamento
dell’essere umano. La diffusione di un’opinione e di una fantasia, non
necessariamente corrispondenti alla loro concreta e fattuale esistenza,
può configurarsi come una perturbante e drammatica realtà per chi
ne subisce il vincolo, più di quanto non accada con la verità. È il caso
dell’inferno, esempio analizzato da Bruno in quest’ articolo: seppur
non esista come luogo in cui espiare terribili pene dopo la morte, un
soggetto può viverlo come una condanna nella sua esistenza terrena per
mezzo della propria e dell’altrui immaginazione. E ciò lo rende reale
e concreto alla coscienza di quanti sono schiavi di quest’immagine:
«etsi enim nullus sit infernus, opinio et imaginatio inferni sine veritatis
fundamento vere et verum facit infernum»175.
172
Ibidem.
173
Ibidem.
174
Ivi, p. 488.
175
Ibidem.
286 giulio gisondi
176
Ibidem: «habet enim sua<m> species phantastica veritatem, unde sequitur
quod et vere agat, et vere atque potentissime per eam vincibile obstringatur, et cum
aeternitate opinionis et fidei et aeternus sit inferni cruciatus».
177
N. Machiavelli, Il Principe, in Opere, cit., vol. I, cap. XVIII, pp. 165-166: «E
li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani; perché tocca a vedere
a ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello
che tu se’; e quelli pochi non ardiscono opporsi alla opinione di molti, che abbino la
maestà dello stato che li difenda
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 287
178
F. Papi, L’antropologia naturalistica, cit., p. 177.
179
Ivi, pp. 177-178.
180
De vinculis, p. 498.
288 giulio gisondi
181
Ivi, pp. 498-500.
182
Ivi, p. 500.
183
Ivi, pp. 500-502.
il vinculum amoris tra filosofia naturale e filosofia politica 289
non è scissa dalla natura, come l’artificio dalla semplicità: «ars a natura
non absolvitur, cultus a simplicitate non recedit»184.
Negli articoli X («Vinculorum distributio») e XI («Vinculorum gra-
dus»), il Nolano distingue tra atti perfetti a cui sono vincolate realtà
perfette, atti nobili a cui si legano realtà nobili, atti imperfetti e difettosi
ai quali sono vincolate realtà imperfette e difettose. Attraverso questa
distinzione, egli riafferma il principio della reciprocità o proporzio-
nalità del vincolo, presupposto necessario anche dei vincula civilia:
«in civilibus vinculis proportionale omnino facile est iudicium»185. La
reciprocità è una condizione necessaria e insopprimibile del vincire:
non si può vincolare se non vi è un movimento del vinciens verso il
vincibile. Questa reciprocità strutturale e costitutiva alla natura di ogni
cosa muove il desiderio e fa tendere ogni soggetto verso l’altro. Nella
rete delle relazioni tra tutti gli elementi e i corpi naturali vi sono cose
che si congiungono ad altre senza nessuna mediazione, come avviene
per gli individui di una stessa specie, legati da vincoli semplici e in-
trinseci; altre cose che, essendo subordinate reciprocamente, devono
attraversare tutte le mediazioni e le trasformazioni affinché possano
stabilirsi dei vincoli. Allo stesso modo, la varietà e le differenze dei
composti e delle specie comporta la varietà dei tempi, dei luoghi e dei
mezzi attraverso cui vincire. Questa considerazione è comune a ogni
tipologia e a ogni realtà suscettibile di vincolo, innanzitutto a quella
civile, politica e religiosa186.
Dall’analisi del De vinculis emerge un motivo dominante in gran
parte della produzione bruniana e relativo alla considerazione dei diversi
stati in cui si trovano gli esseri umani gli uni rispetto agli altri. Dalla
prospettiva umana e finita in cui ogni cosa è terminata e posta in rela-
zione all’altra, la scala naturae non è più ontologica, ma antropologica.
L’indeterminatezza del desiderio, il lavoro, la fatica intellettuale e mate-
riale, la varietà di oggetti, sentimenti, passioni e soggetti a cui ci si lega,
costituiscono i fattori che determinano la posizione di ognuno nella
184
Ivi, p. 506.
185
Ivi, p. 508.
186
Ivi, p. 510.
290 giulio gisondi
1
T. Dagron, Giordano Bruno et la théorie des liens, «Les études philosophique»,
4 (1994), p. 469. Cfr. F. Raimondi, La repubblica dell'assoluta giustizia. La politica di
Giordano Bruno in Inghilterra, Pisa 2003, pp. 171-353.
2
Spaccio, p. 539.
3
Ibidem.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 293
come in sustanza, essenza e natura sono uno: cossì per raggion del
numero che subintrano, incorreno innumerabili vicissitudini e specie
di moto e mutazione. Ciascuna dumque di esse, e particularmente
Giove, si trova ad esser tale individuo, sotto tal composizione, con tali
accidenti e circostanze, posto in numero per differenze che nascono da
le contrarietadi, le quali tutte si riducono ad una originale e prima, che
è primo principio de tutte l’altre, che sono efficienti prossimi d’ogni
cangiamento e vicissitudine: per cui come da quel che prima non era
Giove, appresso fu Giove, al fine sarà altro da Giove4.
4
Ivi, p. 465.
5
Ivi, pp. 465-466.
294 giulio gisondi
6
Ivi, p. 653.
7
Ivi, p. 587.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 295
8
Ivi, p. 481.
9
Cfr. De vinculis, pp. 510-520.
296 giulio gisondi
Ivi, p. 482.
10
Cossì mi par vedere, che per la giustizia non ha l’atto se non dove è
l’errore, la concordia non s’effettua se non dove è la contrarietade; il
sferico non posa nel sferico perché si toccano in punto, ma il concavo
si quieta nel convesso; e moralmente il superbo non può convenire
col superbo, il povero col povero, l’avaro con l’avaro: ma si compiace
l’uno nell’umile, l’altro nel ricco, questo col splendido. Però se fisica,
matematica e moralmente si considera: vedesi che non ha trovato
poco quel filosofo che è dovenuto alla raggione della coincidenza de
contrarii; e non è imbecille prattico quel mago che la sa cercare dove
ella consiste. Tutto dumque che avete profferito è verissimo12.
12
Ibidem.
13
Ivi, p. 475.
298 giulio gisondi
S. Bassi, Immagini della pace nei dialoghi italiani, in Favole, metafore e storie,
14
15
Cena, p. 91.
16
Ibidem: «Or quanto a questo credetemi che se gli dèi si fussero degnati d’inse-
gnarci la teorica delle cose della natura, come ne han fatto favore di proporci la prattica
di cose morali, io più tosto mi accostarei alla fede de le loro revelazioni, che muovermi
punto della certezza de mie raggioni e proprii sentimenti. Ma […] nelli divini libri in
servizio del nostro intelletto non si trattano le demonstrazioni e speculazioni circa le
cose naturali, come se fusse filosofia: ma in grazia de la nostra mente et affetto, per
le leggi si ordina la prattica circa le azzioni morali.»
17
Spaccio, p. 514.
18
Ivi, 515.
19
Ivi, p. 516: «perché non è vera né buona legge quella che non ha per madre la
Sofia, e per padre l’intelletto razionale; e però là questa figlia non deve star lungi da
la sua madre: et a fin che da basso contempleno gli uomini come le cose denno essere
ordinate appresso loro, si provveda qua in questa maniera cossì».
300 giulio gisondi
rispecchiarla nei suoi ordinamenti. Nella prima parte del dialogo II,
Bruno ritorna più volte sulla descrizione delle virtù e del rapporto che
intercorre tra loro, radicando la trattazione di problemi etico-politici
nella sua prospettiva ontologica:
Dumque la verità è avanti tutte le cose, è con tutte le cose, è dopo tutte
le cose; è sopra tutto, con tutto, dopo tutto: ha raggione di principio,
mezzo e fine. Essa è avanti le cose per modo di causa e principio,
mentre per essa le cose hanno dependenza; è nelle cose et è sustanza
di quelle istessa, mentre per essa hanno la sussistenza; è dopo tutte le
cose, mentre per lei senza falsità si comprendeno. È ideale, naturale e
nozionale; è metafisica, fisica e logica. Sopra tutte le cose dumque è la
verità: e ciò che è sopra tutte le cose, benché sia conceputo secondo altra
raggione, et altrimente nominato, quello pure in sustanza bisogna che
sia l’istessa verità. Per questa causa dumque raggionevolmente Giove
ha voluto che nella più eminente parte del cielo sia vista la veritade.
Ma certo questa che sensibilmente vedi e che puoi con l’altezza del
tuo intelletto capire, non è la somma e prima: ma certa figura, certa
imagine e certo splendor di quella 20.
20
Ivi, p. 534.
21
Ivi, p. 535.
22
Ibidem.
conoscenza dell’universale e del particolare che «ha per damigella la
dialettica, e per guida la sapienza acquisita, nomata volgarmente me-
tafisica, la quale considera gli universali de tutte le cose che cascano
in cognizione umana»23. La prudenza è cautela e custodia della verità
sensibile, scudo donato ai mortali per proteggersi dalle avversità in cui la
ragione umana può incorrere, fortificandola e donandole la possibilità
di adattarsi al mutamento senza essere sconvolta dagli accadimenti: «per
cui a gli bene affetti niente accade come subitano et improviso, di nulla
dubitano, ma tutto si guardano: ricordandosi il passato, ordinando il
presente e prevedendo il futuro»24.
Anche la Sofia possiede una forma superiore, celeste e ultramondana,
identificata con la Provvidenza e la Verità, e una mondana, consecutiva
e inferiore che «non è verità istessa, ma è verace e partecipe della verità;
non è il sole, ma la luna, la terra et astro che per altro luce»25. A diffe-
renza della Sofia celeste, indivisibile, infigurabile e non comprensibile
da un intelletto finito, quella terrena non è tale per essenza, ma per
partecipazione alla sua omologa. Come l’occhio che riceve la luce da
un lume esterno non vede di per sé, ma in virtù di altro da sé, così la
sapienza mondana «non è l’uno, non è l’ente, il vero; ma de l’uno, de
l’ente, del vero; a l’uno, a l’ente, al vero; per l’uno, per l’ente, per il vero;
nell’uno, nell’ente, nel vero; da l’uno, da l’ente, dal vero»26. Proprio in
virtù della sua partecipazione alle realtà superiori, la Sofia terrena è vin-
colo che permette la comunicazione tra il piano metafisico dell’essere,
dell’Uno, della verità, e quello finito, fisico, instabile e mutevole della
contrarietà. Se la sapienza e verità unica e semplicissima non è visibile
alla ragione umana, alla Sofia terrena è possibile, invece, avvicinarsi
e partecipare attraverso molteplici e differenti porte, a cui «per vari
gradi e scale diverse […] tutti aspirano, tentano, studiano e si forzano
salendo pervenire»27.
23
Ibidem.
24
Ivi, p. 536.
25
Ibidem.
26
Ibidem.
27
Ivi, p. 537.
302 giulio gisondi
«Alla Sofia succede la legge sua figlia»28, che opera grazie ad essa. La
Legge è il principio in virtù del quale «gli prencipi regnano, e li regni e
republiche si mantegnono»29. Completando il passaggio dal piano della
verità celeste, a quello finito e mutevole della contrarietà, Bruno pensa
la legge come strumento di concordia adattabile ai differenti contesti e
corpi civili. Con i «suoi otto ministri […] taglione, carcere, percosse,
esilio, ignominia, servitù, povertade e morte»30, la Legge è il vincolo
civile più appropriato al mantenimento dell’ordine e della concordia di
uno Stato. Anch’essa come la Verità e la Sofia possiede un volto celeste,
affinché i governanti, i principi e i sovrani le si sottopongano al pari
di tutti i membri di una comunità. Se ogni individuo è sottoposto ai
vincoli della legge, «gli più potenti»31 son da lei «più potentemente
compresi e vinti»32: in modo che «gli potenti sieno sustenuti da gl’im-
potenti, gli deboli non sieno oppressi da gli più forti, sieno deposti i
tiranni, ordinati e confirmati gli giusti governatori e regi, sieno faurite
le republiche»33; una legge che sappia premiare la virtù intesa come il
bene che il singolo apporta all’intera comunità e, viceversa, che puni-
sca non il peccato particolare compiuto dal singolo verso sé stesso, ma
quello arrecato a danno della pace e del bene pubblico.
La Legge è la virtù a cui Giove «ha donata […] la potenza di
legare»34. Ma affinché essa possa effettivamente legare, non deve né
incoraggiare o promuovere le iniquità e le ingiustizie, né proporre e or-
dinare qualcosa d’impossibile a compiersi: ciò risulterebbe dannoso per
il bene pubblico, poiché una siffatta legge dissolverebbe i suoi vincoli,
generando oppressione e discordia. Bruno pensa il principio per cui
una legge deve poter essere compiuta, in opposizione alla prospettiva
riformata, sia luterana sia calvinista. Per i riformati la legge mosaica è
stata concessa agli esseri umani affinché prendessero coscienza del loro
28
Ivi, p. 538.
29
Ibidem.
30
Ibidem.
31
Ibidem.
32
Ibidem.
33
Ibidem.
34
Ibidem.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 303
Una legge e, con essa, una religione che mirino a promuovere non
il progresso di ogni individuo per la comunità, ma l’abbandono a un
oggetto esterno di venerazione e la conseguente rinuncia di sé, delle
35
M. Lutero, Tractatus de libertate christiana, in Werke, J.K.F. Knaake (a cura
di), Weimar 1897, vol. VII, pp. 52-53.
36
Ihoannis Calvini Institutio christianae religionis, in Opera quae supersunt omnia,
ediderunt J.-W. Baum, E. Cunitz, E. Wilhelm, E. Reuss, Berlin 1864, vol. II, lib.
II, cap. 7, pp. 252-266.
37
P. Melanchton Loci communes rerum theologicarum seu hypotyposes theologicae,
testo latino-tedesco, H.G. Pöhlmann (a cura di), Gütersloh 1997, pp. 110-118.
38
Spaccio, pp. 544-545.
304 giulio gisondi
39
Ibidem.
40
Ibidem.
41
Ivi, p. 540.
42
Ibidem.
43
Ivi, p. 520.
44
Ivi, pp. 540-541.
45
Cfr. De vinculis, p. 418.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 305
cità degli individui che non si adatta al lessico della conoscenza della
verità. Se un legislatore «usasse termini che le capisse lui solo et altri
pochissimi, e venesse a far considerazione e caso de materie indifferenti
dal fine a cui sono ordinate le leggi, certo parrebbe che lui non drizza
la sua dottrina al generale et alla moltitudine per la quale sono ordi-
nate quelle»46. Le leggi sono rivolte ai popoli e devono, perciò, essere
espresse da un linguaggio comune e semplice, differente da quello della
verità, per essere comprese dai molti che non sono in grado di agire
virtuosamente per la comunità se non sottoposti al vincolo della legge.
Bruno recupera questa distinzione anche nel De l’ infinito, laddove
ragionando della potentia absoluta e ordinata di Dio, osserva come
alcune verità di natura, non ammesse dai teologi, sarebbero incom-
prensibili o male interpretate dalla maggior parte degli esseri umani,
provocando effetti nefasti sul piano civile47. Le verità di natura non
sono in contrasto con la religione e le leggi, ma risulterebbero assurde a
quanti vivono sotto il giogo dell’altrui immaginazione. Legge, religione
e verità non possiedono lo stesso scopo e non sono rivolte agli stessi
soggetti, ma si comunicano attraverso linguaggi e modi differenti. Nel
De l’ infinito, come nella Cena, l’intento di Bruno è quello di garantire
i meriti e le virtù che rischierebbero di essere disprezzati dalla moltitu-
dine. Il riconoscimento della coincidenza in Dio di libertà e necessità,
se comunicato ai «rozzi popoli et ignoranti»48, si risolverebbe sul piano
civile in una dissoluzione del libero arbitrio e di un’idea di salvezza
legata ai «meriti di giusticia»49. Nella distinzione tra il linguaggio e lo
scopo della filosofia, e quello della religione e della legge, egli ricono-
sce, tuttavia, come non si sia trovato «giamai filosofo, dotto et uomo
da bene»50 che, dalla considerazione dell’identità in Dio di libertà e
necessità, ne abbia dedotto «la necessità delli effetti umani»51» e del
libero arbitrio. Anticipando la critica dello Spaccio contro le religioni
46
Cena, p. 92.
47
Cfr. Infinito, p. 337.
48
Ibidem.
49
Ibidem.
50
Ibidem.
51
Ibidem.
306 giulio gisondi
riformate e la dottrina della gratia sola fide, egli osserva che dall’identità
di necessità e libertà in Dio non è possibile inferire l’assenza del libero
arbitrio. Seppur sottoposto alla vicissitudine, nella contingenza della
sua esistenza l’essere umano è sempre libero di elevarsi dal gradino
più basso della scala verso quello più alto, dove splende la luce e il sole
della verità52. Se l’essere umano al pari di tutti gli elementi e corpi na-
turali non è che accidente, manifestazione finita, mutevole e temporale
dell’essere, egli può trasformare positivamente questa sua condizione.
Ma ciò può avvenire soltanto operando nella repubblica del mondo,
attraverso buone leggi e religioni, seguendo la philautia iscritta nella
natura, scoprendo la propria di libertà.
Nello Spaccio le leggi e le religioni costituiscono due strumenti
attraverso i quali indirizzare, favorire, promuovere e premiare la virtù
civile, le azioni compiute da un singolo per il bene pubblico. Ma a tal
fine è necessario che in tutti i membri di una comunità, nei governanti
e nei principi, vi sia una grande forza di volontà. Non è un caso se
nella seconda parte del dialogo III, Bruno ponga proprio la Fortezza
al fianco della Verità, della Legge e del Giudizio. Questa è necessaria
per governare con giudizio e prudenza secondo legge e verità53.
Alla distinzione della Cena tra l’ambito della verità e quello della
legge e della religione, fa da contraltare nello Spaccio la dipendenza
che le unisce. Questa relazione corrisponde a una diversa modalità di
rappresentazione del rapporto tra le facoltà umane: come l’intelletto e
la volontà non sono opposti e differenti ma coessenziali l’uno all’altra
nel raggiungimento di un unico scopo, così, Verità e Legge sono legate
in ragione di una stessa finalità. Se la Legge è figlia della Sofia, ciò non
significa soltanto che non è separata dalla madre, ma che, affinché sia
anche una buona legge, deve poggiare sulla conoscenza della Verità,
sull’uso dell’intelletto e di una volontà forte. Per questa ragione Giove
52
Ivi, p. 357-358: «come me tra gli altri Platone et Aristotele, con ponere la
necessità et immutabilità in Dio, non poneno meno la libertà morale e facultà della
nostra elezzione: perché sanno bene e possono capire come siano compossibili quella
necessità e questa libertà».
53
Cfr. Spaccio, p. 574.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 307
l’ha posta nel firmamento, in modo che «da basso contempleno gli
uomini come le cose denno essere ordinate appreso di loro»54. La com-
prensione e l’istituzione della legge costituisce un momento necessario
non solo sul piano della concordia, ma anche nel processo di conoscenza
della natura e della verità.
Se ontologicamente l’essere umano è identico a ogni altro essere
naturale, egli ha però avuto in dono dagli dèi le mani e l’intelletto, vale
a dire la capacità di conoscere e ripensare la natura per manipolarla
attraverso l’azione, sino a che questa non diventi il suo proprio mon-
do55. I saperi, le leggi e le religioni, gli istituti e gli ordinamenti, tutte
le produzioni umane devono essere indirizzate al progresso della specie.
Se l’essere umano non può porsi al di fuori della vicissitudine, egli può
intervenire su di essa attraverso l’uso dell’intelletto e della mano, della
contemplazione e dell’azione. Con il miglioramento della propria con-
dizione individuale e collettiva, esplicando sul piano civile il naturale
vincolo d’amore inscritto in ogni cosa, approssimandosi alla luce della
verità, l’essere umano rende omaggio a sé stesso, alla natura e a Dio.
La ragione della mutata relazione tra verità e legge dalla Cena allo
Spaccio è, dunque, rintracciabile nello slittamento della prospettiva con
cui Bruno passa dalla considerazione dell’unità e infinità della natura
a quella della molteplicità e contrarietà del mondo civile. Rispetto alla
Cena sono qui mutati non soltanto il punto di osservazione e il fine
della ricerca, ma anche l’oggetto: seppur nello Spaccio egli tratti sempre
della natura, questa è indagata non più nella sua unità, ma volgendosi
alla molteplicità delle sue produzioni, all’essere umano e allo spazio
etico-politico.
Come la legge, così anche la religione è uno strumento con cui vin-
cire sul piano civile a supporto dell’esercizio di governo nella contrarie-
54
Ivi, p. 516.
55
Cfr. ivi, p. 601.
308 giulio gisondi
tade della polis. Nella prima parte del dialogo II, Saulino, interlocutore
della Sofia, discutendo delle buone e delle cattive leggi e riferendosi alla
dottrina riformata della gratia sola fidei, chiede in che modo vadano
considerate quelle religioni che stimano «per minimo e vile […] l’azzione
et atto di buone operazioni»56. Lo scopo della religione risiede nel suo
carattere e nella sua funzione pratica. Gli obblighi, i vincoli, i sacra-
menti e i divieti religiosi costituiscono strumenti normativi funzionali
all’ordine e alla vita di una comunità, di una repubblica, una monarchia
e uno Stato. Il complesso di credenze, sentimenti, cerimonie e riti che
legano uno e più individui a ciò che si ritiene sacro, può configurarsi
in un duplice senso: da un lato, come un efficacissimo strumento di
potere, di attrazione e manipolazione del soggetto sul piano politico;
dall’altro, come mezzo di salvaguardia della pace. La considerazione e
l’analisi della religione assumono un carattere politico, laddove, svuotata
del suo contenuto mistico, è giudicata sulla base dei frutti che apporta
sul piano della concordia e del progresso civile.
Se la legge possiede la potenza di legare fra loro gli esseri umani, la
religione è ugualmente necessaria a questo scopo. Come osserva Nuc-
cio Ordine, la sua funzione è già inscritta nella radice etimologica, la
quale non corrisponde al re-legare gli individui in comunità settarie,
nell’isolamento, nella chiusura e nella difesa dalla minaccia costituita
dal diverso e dall’infedele. Bruno pensa, invece, la religione come un
re-ligare che, attraverso i comandamenti, i vincoli di fede e dell’im-
maginazione, muove ogni individuo a compiere azioni virtuose per
l’intera comunità e ad abbandonare le cerimonie che non apportano
alcun frutto alle repubbliche57. Il vincolo che la religione istituisce non
è verticale, verso Dio, ma orizzontale tra gli esseri umani.
Egli recupera l’idea e l’esigenza umanistica di una religio civilis,
definizione che seppur assente dai testi bruniani, ben chiarisce il ruolo
che la religione riveste nello spazio politico. Essa incarna la necessità
di un sentimento di fede verso lo stato, di un amor di patria che pre-
Ivi, p. 540.
56
58
Spaccio, p. 541.
59
Ivi, p. 542.
310 giulio gisondi
Il timore e l’amore che gli dèi attendono dagli esseri umani muove
questi ad agire al servizio della comunità. Le divinità s’interessano e
giudicano i peccati solo se producono effetti esteriori, misurabili sulla
base del danno arrecato all’intera comunità, così come le azioni giuste
e virtuose, se non rivolte al bene pubblico, sono piante prive di frutti
tenute nella minima considerazione. La prospettiva dalla quale valutare
le azioni umane è sempre quella dei frutti pubblici e collettivi. Ai fini
della concordia e della salvaguardia dei regni e delle repubbliche è ne-
cessario saper riconoscere le azioni, i costumi, le abitudini, i caratteri,
le leggi e le religioni che apportano un bene alla collettività e quanto,
invece, o non influisce o risulta nocivo. Bruno osserva come siano da
approvare la penitenza, il credere e lo stimare, ma che non possano
essere mai poste sullo stesso piano dell’innocenza, del fare e dell’operare,
così come il «confessare e dire al rispetto del correggere et astinere»61.
Ogni azione e attitudine umana, ogni istituto e ordinamento civile è
valutato dal punto di vista dell’interesse e del bene pubblico:
60
Ibidem.
61
Ivi, p. 543.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 311
62
Ibidem.
312 giulio gisondi
Spaccio, p. 544.
63
(a cura di), Torino 1999, vol. II, lib. II, cap. 2, p. 282.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 313
è atta a formare cittadini e uomini di Stato che possano far grandi le re-
pubbliche, ma buoni servi e umili fedeli del Signore. La religione cristiana
appare dannosa al bene della repubblica, poiché spinge al disinteresse
per la vita politica e, allo stesso tempo, non premia le azioni eroiche volte
al bene comune e alla virtù, ma l’essere umili e il disprezzare le vicende
terrene. Da ciò deriva un indebolimento e un invilimento degli uomini,
i quali non sono più in grado di contrastare adeguatamente i tiranni che
infestano e sopprimono le repubbliche65. La causa della crisi civile che
Machiavelli denuncia non è da rintracciare nella religione cristiana in
quanto tale, ma in una sua errata interpretazione, poiché se volta all’azione
e non all’ozio, essa si rivelerebbe utilissima ed efficacissima nell’esaltare
la difesa della patria e nel promuovere la virtù pubblica66.
Bruno recupera la prospettiva in cui Machiavelli ripensa l’uso civile
della religione. Il rimarcare e l’elogiare l’azione e l’attività di ogni mem-
bro di una repubblica come virtù pubblica, di contro all’umiltà con
cui un’errata interpretazione del cristianesimo ha assopito gli individui,
inducendoli a subire le tirannie e il sovvertimento delle repubbliche,
sono questioni centrali anche dello Spaccio. È questa la ragione per
cui, nella prima parte del dialogo II, Giove elogia il popolo romano,
considerandolo un modello da seguire:
perché con gli suoi magnifici gesti più che l’altre nazioni si seppero
conformare et assomigliare ad essi, perdonando a’ summessi, debel-
lando gli superbi, rimettendo l’ingiurie, non obliando gli benefici,
65
Ibidem: «questo modo di vivere adunque pare che abbi renduto il mondo debole,
e datolo in preda agli uomini scelerati; i quali sicuramente lo possono maneggiare,
veggendo come l’università degli uomini per andare in Paradiso pensa più a sopportare
le sue battiture che a vendicarle».
66
Ibidem: «E benché paia che si sia effeminato il mondo e disarmato il Cielo,
nasce più sanza dubbio dalla viltà degli uomini, che hanno interpretato la nostra
religione secondo l’ozio e non secondo la virtù. Perché se considerassono come la
ci permette la esaltazione e la difesa della patria, vedrebbono come la vuole che noi
l’amiamo ed onoriamo, e prepariamoci a essere tali che noi la possiamo difendere.
Fanno adunque queste educazioni e sì false interpretazioni, che nel mondo non si
vede tante repubbliche quante si vedeva anticamente; né per consequente si vede ne’
popoli tanto amore alla libertà quanto allora».
314 giulio gisondi
67
Spaccio, p. 544.
68
Cfr. N. Ordine, Contro il vangelo armato, cit., pp. 57-62; cfr. M. Viroli, Machia-
velli’s God, Princeton-Oxford 2010, pp. 241-244; cfr. M. Ciliberto, Nicolò Machiavelli.
Ragione e pazzia, Roma 2019, pp. 275-298.
69
Cfr. S. Ricci, Bruno e Machiavelli nelle crisi delle guerre di religione, in Machiavelli
e la cultura politica del Meridione d’Italia, Atti del Convegno (Napoli 27-28 novembre
1997), G. Borrelli (a cura di), Napoli 2001, p. 28.
70
Cfr. D. Pirillo, Magia e machiavellismo. Giordano Bruno tra ‘praxis’ magica e
vita civile, La magia nell’Europa moderna. Tra antica sapienza e filosofia naturale, F.
Meroi ed E. Scapparone (a cura di), Atti del Convegno (Firenze 2-4 ottobre 2003),
Firenze 2007, p. 518; cfr. S. Bassi, Editoria e filosofia. Giordano Bruno e i tipografi
londinesi, «Rinascimento» XXXVII (1997), pp. 437-458.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 315
71
Cfr. D. Panizza, Alberico Gentili, giurista ideologo dell’Inghilterra elisabettiana,
Padova 1981; cfr. Id., Machiavelli e Gentili, in «Il pensiero politico», II (1969), pp.
476-483; cfr. F. Mignini, Temi teologico-politici nell’ incontra tra Alberico Gentili e
Giordano Bruno, La mente di Giordano Bruno, F. Meroi (a cura di), introduzione di
M. Ciliberto, Firenze 2004, pp. 103-123.
72
Cfr. Processo, pp. 162, 290.
73
Cfr. D. Pirillo, Magia e machiavellismo, cit., pp. 520-523.
74
Cfr. A. Gentili, De legationibus libri tres, ristampa anastatica dell’edizione del
1584, introduzione di E. Nys, Buffalo-New York 1995.
316 giulio gisondi
75
Id., De iure belli libri tres, riproduzione anastatica dell’edizione Oxford-Londra,
1933, traduzione dell’edizione del 1612 di J.C. Rolf, introduzione di C. Phillipson,
Buffalo-New York 1995.
76
E. C. Davila, Storia delle guerre civili di Francia, M. D’Addio e L. Gambino
(a cura di), Roma 1990, t. I, p. 149.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 317
77
Cfr. Discorsi di Niccolò Machiavelli sopra la prima Deca di Tito Livio, per
Bernardo Giunta, nell’anno 1531 (Bibliothèque Nationale de France, RES-E*-247).
78
Cfr. Processo, pp. 161-162.
79
Da una lettera di Corbinelli a Giovan Vincenzo Pinelli del 6 giugno 1586, in
A.F Yates, Giordano Bruno e la cultura del Rinascimento, Roma-Bari 1988, p. 124.
318 giulio gisondi
Cfr. Index des livres interdits, VIII: Index de Rome 1557, 1559, 1564. Les premiers
80
81
G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, Roma-Bari
1995, p. 138.
82
Cfr. I. Gentillet, Discours contre Machiavel. A new edition of the original text
with selected variant readings, A. D’Andrea e P.D. Stewart (a cura di), Firenze 1974.
83
Cfr. P.D. Stewart, Innocent Gentillet e la sua polemica antimachiavellica, Firenze
1969, pp. 37-38.
84
G. Procacci, Machiavelli e la cultura europea dell’età moderna, cit., p. 132.
85
Cfr. Documenti, pp. 213, 283, 289, 631, 700.
86
S. Ricci, Bruno e Machiavelli nelle crisi delle guerre di religione, cit., p. 24; cfr.
Id., Giordano Bruno nell'Europa del Cinquecento, Roma 2000, 271-364.
320 giulio gisondi
La distinzione che Bruno pone tra una buona e una cattiva religio
non è lontana dalla critica machiavelliana alle errate interpretazioni del
cristianesimo. Come il segretario fiorentino, così anch’egli distingue
una religione che favorisce l’impegno civile e intellettuale, e una secon-
da che vincola l’essere umano in uno stato di passività e umiliazione
delle proprie capacità. Se il modello di buona religio è rappresentato da
quella dei Romani, la cattiva e oziosa religione è identificata nel ciclo
della rivelazione giudaico-cristiana e, in particolare, nell’interpreta-
zione del messaggio biblico che da Paolo giunge sino alla predicazione
di Lutero e Calvino, seguaci di una forma di credulitas che sovverte
l’ordine naturale.
Nella Cabala, il messaggio dell’apostolo di Tarso costituisce la ma-
trice nefasta da cui ha avuto origine la perniciosa dottrina riformata
che spinge ad abbondonare le buone opere e, dunque, il piano civile.
Come ha osservato Meroi87, Bruno prende a prestito la struttura e il
modello delle prediche di Seripando, riproponendo in forma ironica,
l’invito che nel cardinale agostiniano era tutt’altro che ironico a farsi
umili. Questo è, ai suoi occhi, l’invito a farsi asini, stolti, ignoranti,
a rinunciare alla curiositas che anima l’essere umano e che lo spinge
alla ricerca, al desiderio di conoscenza, un invito alla rinuncia di ogni
quae supersunt omnia, ediderunt G. Baum, E. Cunitz, E. Reuss, Berlin 1892, vol.
XLIX, cap. 10, p. 195.
89
Cfr. Id., Institutio christiane religionis, in Opera, cit., lib. I, cap. 4, p. 38.
90
Cfr. ivi, lib. II, cap. 2, pp. 193-194.
91
Ivi, lib. II, cap. 3, pp. 209-210.
92
Ivi, lib. II, cap. 3, pp. 223-224.
322 giulio gisondi
stianus, non per fidem suam consecratus bona facit opera, sed non per haec magis
sacer aut Christianus efficitur, hoc enim solius fidei est, immo nisi ante crederet
et Christianus esset, nihil prorsus valerent omnia sua opera, essentque vene impia
damnabilia peccata».
94
Ivi, p. 53.
95
Id., De servo arbitrio, in Werke, cit., 1908, vol. XVIII, p. 635.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 323
Basterà che done fine a quella poltronesca setta di pedanti, che senza
ben fare secondo la legge divina e naturale, si stimano e vogliono essere
stimati religiosi e grati a’ Dei, e dicono che il far bene è bene, il far
96
Erasmo da Rotterdam, Contributo alla discussione sul libero arbitrio, in Scritti
religiosi e morali, C. Asso e A. Prosperi (a cura di), Milano 2010, p. 374.
97
L. Auvray, Giordano Bruno d’après le témoignage d’un contemporaine (Guillaume
Cotin) 1585-1586, «Mémoires de la Société de l‘Histoire de Paris et de l‘Isle-de-
France», XXVII (1900), p. 11; cfr. Processo, pp. 177-179.
98
Spaccio, pp. 516-517.
324 giulio gisondi
male è male: ma non per ben che si faccia, o mal che non si faccia, si
viene ad essere degno e grato a’ dèi; ma per sperare e credere secondo
il catechismo loro99.
99
Ivi, p. 517.
100
Ibidem.
101
Ibidem.
102
Ivi, p. 518.
103
Ibidem.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 325
104
Ibidem.
105
Ibidem: «Tutti quei ch’hanno giudicio naturale» disse Apolline, «giudicano
le leggi buone perché hanno per scopo la prattica; e quelle in comparazione son me-
gliori, che donano meglior occasione a meglior prattica: perché de tutte leggi altre
son state donate da noi, altre finte da gli uomini massime per il comodo de l’umana
vita; e per ciò che alcuni non veggono il frutto de lor meriti in quella vita, però gli
vien promesso e posto avanti gli occhi de l’altra vita il bene e male, premio e castigo,
secondo le lor opre».
106
Ivi, p. 544.
326 giulio gisondi
107
Spaccio, pp. 544-545.
108
Ivi, p. 545.
109
T. Dagron, Giordano Bruno et la théorie des liens, cit., p. 468.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 327
110
Spaccio, p. 545.
111
Ibidem.
112
Ibidem.
113
Ibidem.
114
Ibidem.
328 giulio gisondi
Gli Tifi han ritrovato il modo di perturbar la pace altrui, violar i patrii
geni de le reggioni, di confondere quel che la provida natura distinse,
per il commerzio radoppiar i difetti e gionger vizii a vizii de l’una
e de l’altra generazione, con violenza propagar nove follie e piantar
l’inaudite pazzie ovo sono, conchiudendosi al fin più saggio quel che
è più forte; mostrar novi studi, instrumenti, et arte de tirannizar e
sassinar l’un l’altro: per mercé de quai gesti, tempo verrà ch’avendono
quelli a sue male spese imparato, per forza de la vicissitudine de le cose,
sapranno e potranno renderci simili e peggior frutti de sì perniciose
invenzioni119.
117
Ivi, p. 518.
118
Ivi, pp. 597-598.
119
Cena, pp. 26-27.
330 giulio gisondi
dei popoli. La scoperta del Nuovo Mondo e l’impresa con cui Colombo
ha abbattuto frontiere naturali e intellettuali, mettendo in discussione
il cosmo aristotelico-tolemaico e l’antropocentrismo, rappresentano
paradossalmente una conquista barbara e sacrilega. Come i riformati,
così anche i conquistadores hanno agito perturbando la pace dei popoli,
usurpando ricchezze altrui, introducendo armi e strumenti di tirannia,
violentando la natura, l’ordine e la legge d’amore che essa incarna, pre-
sentandosi nelle vesti di salvatori, convertitori e civilizzatori. Se questi
sono descritti alla pari dei riformati è perché non rappresentano feno-
meni differenti, ma parte della stessa crisi che ha interrotto la relazione
tra l’essere umano, la natura e Dio. Riformati e conquistadores sono
falsi profeti intenti a distruggere forme di legami sociali e di civiltà, a
esportare violenza celata dietro un’apparente e falsa idea di modernità e
progresso. Essi hanno spezzato il vincolo originario che legava i popoli
indigeni alla natura, per introdurre «le lien colonial»120, la legge del più
forte: non un vincolo su cui fondare e costruire pacifiche repubbliche,
ma una scia di assassinii, mali, vizi e strumenti di morte che un giorno
ricadranno sugli stessi colonizzatori europei.
All’affermazione della discordia, della violenza e dell’ipocrisia, della
schiavitù arrecata da questi Tifi che hanno invaso popoli pacifici per-
vertendo la natura, Bruno contrappone nella Cena la sua filosofia121.
Come l’uscita dal buio della caverna platonica o le guarigioni del Cristo,
l’apertura della nolana filosofia verso l’infinito conduce alla liberazione
dall’ignoranza, dalle chimere e dal carcere con cui la rappresentazione
cosmologica, teologica e antropologica, cristiana e aristotelica, incatena-
va l’essere umano in un mondo chiuso, immutabile, geometricamente
perfetto di cui egli era l’unico e il solo centro. La liberazione dell’essere
umano dal carcere in cui egli stesso si è ridotto consiste nel riscoprire
un’immagine nuova e antichissima della natura, la quale è stata chiusa,
limitata e degradata alla finitezza e a un’eterna mancanza.
L’infinito non trascende la natura, ma è immanente a ogni singolo
elemento e corpo, come a ogni esistenza umana, agendo sotto forma
120
T. Dagron, Giordano Bruno et la théorie des liens, cit., p. 469.
121
Cena, p. 28.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 331
122
Spaccio, p. 461.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 333
123
Ivi, pp. 461-462.
124
Ivi, p. 462.
125
Ivi, p. 549.
334 giulio gisondi
126
Ibidem.
127
Ivi, p. 550.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 335
128
Ivi, p. 558.
129
Ivi, p. 560.
130
Ibidem.
336 giulio gisondi
Nella prima parte del dialogo III dello Spaccio, l’Ozio interviene
nel concilio divino per mostrare i suoi meriti e per reclamare un posto
nel cielo delle virtù, esaltando il tempo di una mitica età dell’oro132.
L’esaltazione dell’Ozio comporta parallelamente il disprezzo delle
133
Ibidem.
134
Ibidem.
135
Ibidem.
136
Ibidem.
137
Ibidem.
138
Ivi, pp. 597-598.
139
Ivi, p. 598.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 339
140
Ibidem.
141
Ivi, 599.
340 giulio gisondi
142
Ivi, pp. 601-602: «Ne l’età dumque de l’oro per l’Ocio gli uomini non erano
più virtuosi che sin al presente le bestie son virtuose, e forse erano più stupidi che
molte di queste. – Or essendo tra questi per l’emulazione d’atti divini, et adattazione
di spirituosi affetti, nate le difficultade, risorte le necessitadi, sono acuiti gl’ingegni,
inventate le industrie, scoperte le arti; e sempre di giorno in giorno per mezzo de
l’egestade, dalla profundità de l’intelletto umano si eccitano nove maravigliose in-
venzioni. Onde sempre più e più per le sollecite et urgenti occupazioni allontanandosi
dall’esser bestiale, più altamente s’approssimano a l’esser divino».
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 341
143
Ivi, p. 583.
144
Ibidem.
145
Ivi, p. 589.
146
Ivi, p. 585.
147
Ibidem.
148
Ibidem.
149
Ibidem.
150
Ivi, p. 596.
342 giulio gisondi
Ivi, p. 588.
151
Ivi, p. 603.
152
153
Cfr. N. Ordine, La Cabala dell’asino: asinità e conoscenza in Giordano Bruno,
Milano 2017, pp. 39-54.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 343
Il compito di ogni essere umano sta nel farsi «dio della terra», nel
ripensare e manipolare la natura Ma ciò può avvenire agendo nel ri-
spetto della natura e delle sue leggi e, al tempo stesso, al di fuori di
essa, ossia trasformandola e donandole un ordine che possa garantire la
sopravvivenza e il miglioramento degli esseri umani, l’evoluzione della
civiltà. Tuttavia, il processo di civilizzazione non può avvenire nella
separazione dell’azione dell’intelletto da quella delle mani, attraverso
una scissione tra theoria e praxis. Soltanto dal legame che unisce l’agire
al pensare può scaturire un reale progresso: «e per questo ha determinato
la providenza che vegna [l’uomo] occupato ne l’azzione per le mani, e
contemplazione per l’intelletto; de maniera che non contemple senza
azzione, e non opre senza contemplazione»155. L’azione civile può ap-
portare frutti se retta dal pensiero, così come l’attività contemplativa
risulta benefica se rivolta al compimento di opere per la comunità.
Come oziosa e vana è quella riflessione che si perde nella pura e sterile
contemplazione astratta, così «le azzioni senza premeditazione e con-
siderazione non son buone»156.
L’unità di mano e intelletto è ciò che Bruno definisce ingegno, sintesi
di pensiero e azione. Questo è il legame tra pensiero logico e fantastico,
vale a dire di una forma di contemplazione razionale che trae origine
dalle immagini corporee che la sensibilità produce nel contatto con
la natura. La capacità ingegnosa non corrisponde all’isolamento del
soggetto in un vano razionalismo che allontana dal reale, né all’essere
154
Ivi, p. 601.
155
Ibidem.
156
Ivi, p. 610.
344 giulio gisondi
Cabala, p. 717.
157
Ibidem.
158
159
Ivi, p. 718.
160
Cfr. E. Canone, Il concetto di «ingenium» in Bruno, in «Bruniana & Campa-
nelliana», IV, 2 (1998), p. 25.
346 giulio gisondi
161
Cabala, pp. 718-719.
162
Cfr. E. Canone, Il concetto di «ingenium» in Bruno, cit., p. 21.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 347
163
Ibidem.
164
M. Ciliberto, Giordano Bruno. Il teatro della vita, Milano 2007, p. 278.
348 giulio gisondi
giustizia che sopra siede alle cose tutte»165 ai suoi meriti e costretta a
vagare eternamente e senza memoria per ogni corpo o stanza, se in
una vita precedente non si sia elevata dalla propria condizione. Le
anime di quanti sono ascesi al di là del limite corporeo e tempora-
le, apportando progresso alla comunità umana, saranno premiate
con un corpo nobile e serberanno memoria delle loro vite passate.
Ciascuna anima particolare vive in molteplici corpi, ascendendo o
discendendo la ruota infinita delle metamorfosi secondo il giudizio
della fatal giustizia o vicissitudine: «per il fato della mutazione, eterno
verrà incorrendo altre et altre peggiori e megliori specie di vita e di
fortuna: secondo che s’è maneggiato megliore o peggiormente nella
prossima precedente condizione e sorte»166.
In ogni individuo, nelle sue espressioni, nei gesti, nelle movenze,
negli atteggiamenti, si celano le tracce di cosa è stato nella vita pre-
cedente o che sarà nella prossima. Il ricorso alla dottrina pitagorica
e platonica della metempsicosi è funzionale a determinare vizi e virtù
di ogni essere umano, premi e punizioni sancite dalla mutazione che
guida il destino delle anime nel suo ciclo eterno. La ragione del ricorso
a questa teoria è rintracciabile nel tentativo di salvaguardare il libero
arbitrio e il riconoscimento del lavoro come principi costitutivi della
dimensione civile.
La priorità della causa formale sul principio materiale rappresenta
uno slittamento del punto di osservazione sulla natura e sull’essere
umano, non più focalizzato sulla considerazione della materia o sul
vincolo di questa con la forma, quanto piuttosto sull’opportunità di
considerare come la priorità assegnata all’anima faccia emergere la
libertà e l’autonomia umana nell’orizzonte della necessità naturale,
esaltandone le possibilità di pensiero e di azione. Dal riconoscimento
dell’anima come coscienza e guida del soggetto, Bruno argomenta la
possibilità che l’essere umano sia premiato o punito sulla base delle sue
azioni, del bene o del male che egli ha arrecato alla repubblica umana. Il
165
Spaccio, p. 468.
166
Ibidem.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 349
Nella seconda parte del dialogo III dello Spaccio Bruno recupera
nuovamente il rapporto tra magia e filosofia. Anticipando la prospet-
tiva del De vinculis, la magia non è qui esclusivamente socia ed emula
della natura, ma sapere e arte rivolta all’azione sui contrari nello spazio
della vita politica. La magia è inseparabile dal riconoscimento della
coincidentia oppositorum e agisce sulla molteplicità e sulla dispersione
dei contrari, cercando di ricomporre l’unità del vivente, legando aspetti
del reale che appaiono distanti e in conflitto tra loro. La crisi descritta
nello Spaccio è originata proprio dall’oblio del sapere e dell’arte magi-
ca, che ha causato il sovvertimento della legge e dell’ordine naturale
fondato sulla philautia e sul vinculum amoris. Gli esseri umani si sono
allontanati dalla conoscenza della natura, modello esemplare a cui
ispirarsi nell’azione politica e religiosa, facendo prevalere un agire fon-
dato sull’odium sui, sull’avarizia e sull’ozio, vizi che hanno perturbato
e spezzato ogni benefico vincolo.
A questa rappresentazione della natura, Bruno contrappone non solo
quella dei Romani, ma anche dei Greci e degli Egizi, i quali considera-
vano animali e piante «vivi effetti di natura, la qual natura non è altro
167
Furori, p. 770.
168
Ibidem.
350 giulio gisondi
che dio ne le cose»169, avendo questi compreso come «natura est deus in
rebus»170. Ogni elemento accoglie in sé l’essere absoluto che si comunica
a tutta la natura e a ogni cosa secondo diversa capacità e misura:
Per mezzo di questa conoscenza della natura e del suo legame con
il divino, delle dottrine e dei riti magici, quegli antichi popoli fonda-
rono durature civiltà, in cui la legge, la religione, l’azione politica e
le scienze costituivano strumenti attraverso cui apportare progresso
all’intera comunità:
Vedo come que’ sapienti con questi mezzi erano potenti a farsi fa-
miliari, affabili e domestici gli dèi che per voci che mandavano da
le statue gli donavano consegli, dottrine, divinazioni et instituzioni
sopraumane: onde con magici e divini riti per la medesima scala di
natura salevano a l’alto della divinità per la quale la divinità descende
sino alle cose minime per la comunicazione di se stessa174.
169
Ivi, p. 631
170
Ibidem.
171
Ibidem.
172
Ibidem.
173
Ibidem.
174
Ivi, p. 632.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 351
lontanando l’essere umano dal contatto con la verità e con il divino, dal
riconoscimento dell’infinità della natura e della vita e, allo stesso tempo,
sovvertendo l’ordine, la legge e la concordia naturale per cui ogni con-
trario era ricondotto all’unità originaria. La rottura del vinculum amoris
costituisce la ragione per la quale ogni tentativo di riprodurre la magia
cerimoniale degli Egizi, risulta vana e sterile idolatria, imitazione di un
linguaggio e di una relazione con la natura e il divino oramai dissolta:
175
Ibidem.
352 giulio gisondi
Quelli dumque per impetrar certi beneficii e doni da gli dèi, con rag-
gione di profonda magia passavano per mezzo di certe cose naturali,
nelle quali in cotal modo era latitante la divinitade, e per le quali essa
potea e volea a tali effetti comunicarsi. Là onde que’ cerimoni non
erano vane fantasie, ma vive voci che toccavano le proprie orecchie
de gli Dei; li quali, come da lor vogliamo essere intesi non per voci
d’idioma che lor sappiamo fengere, ma per voci di naturali effetti,
talmente per atti di cerimoni circa quelle volsero studiare di essere
intesi da noi: altrimente cossì fussemo stati sordi a gli voti, come un
Tartaro al sermone greco che giamai udio. Conoscevano que’ savii
Dio essere nelle cose, e la divinità, latente nella natura, oprandosi e
scintillando diversamente in diversi suggetti, e per diverse forme fisiche
con certi ordini venir a far partecipi di sé, dico de l’essere, della vita
et intelletto176.
176
Ivi, pp. 632-633.
177
Ibidem.
178
Ivi, pp. 637-638.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 353
Gli nomi (anco presso gli Greci) sono apposticci alla divinità […].
Non adoravano Giove come lui fosse la divinità, ma adoravano la
divinità come fusse in Giove: perché vedendo un uomo in cui era
eccellente la maestà, la giustizia, la magnaimità, intendevano in lui
esser dio magnanimo, giusto e benigno; et ordinavano e mettevano
in consuetudine che tal dio, o pur la divinità, in quanto che in tal
maniera si comunicava, fusse nomata Giove; come sotto il nome di
Mercurio Egizzio sapientissimo, fusse nominata la divina sapienza, in-
terpretazione e manifestazione. Di maniera che di questo e quell’uomo
non viene celebrato altro che il nome e representazion della divinità,
che con la natività di quelli era venuta a comunicarsi a gli uomini, e
con la morte loro s’intendeva aver compìto il corso de l’opra sua, o
ritornata dal cielo180.
179
Ivi, p. 1278, in nota 336.
180
Ivi, pp. 633-634.
354 giulio gisondi
Molteplici sono i nomi con cui è definita e sotto cui si cela la divinità
presente in natura. In ogni tempo, luogo e civiltà, il divino assume for-
me diverse che, di volta in volta, sono adorate dagli uomini, non perché
siano esse stesse divine, ma come ciò in cui la virtù è maggiormente
presente. La trasmigrazione della divinità da una forma all’altra segue
il ritmo della metempsicosi: questa è funzionale a mostrare come la
stessa divinità si comunichi incessantemente assumendo forme sempre
diverse, ora umane, ora animali. L’attribuzione bruniana della divinità
sotto forma di virtù rappresenta il tentativo di rintracciare una religio
che riconosca e premi quanti con la loro opera hanno apportato frutti
all’umanità, rendendo grazie alla natura e a Dio.
Questa considerazione della divinità come comunicata secondo
misura e capacità differenti in ogni cosa corrisponde all’affermazione
della natura e del vinculum amoris come di un’idea politica, ovvero
dell’immagine ideale della polis quale continua dialettica ed equilibrio
tra la molteplicità dei contrari e opposti e l’unità dell’organismo civile.
Il problema della pace si radica all’interno di questa riflessione sulla
necessità tanto del riconoscimento della verità, quanto di una legge che
sia buona religio, manifestazione pratica del vinculum amoris che, sul
piano dell’essere, lega la contrarietà in un unico organismo. La presenza
di Dio in ogni elemento naturale fa sì che ogni cosa sia legata all’altra
dalla comune appartenenza a una relazione eterna. Allo stesso tempo,
ciò permette di pensare concretamente la religio in una dimensione
in cui la divinità non trascende e abbandona il mondo civile, ma è
immanente a essa, vincolo orizzontale che stringe in un solo corpo
tutte le sue membra.
È questo il passaggio osservabile nello Spaccio e che Bruno porta a
compimento con il De vinculis, quello cioè da una considerazione della
comunità politica come istituita sul vincolo della legge e della religione,
al riconoscimento del vinculum amoris quale loro fondamento. In altre
parole, lex e religio sono manifestazioni e realizzazioni concrete sul
piano civile del legame d’amore immanente alla natura. Una legge e
una religione che apportino frutti al progresso della comunità devono
porsi come traduzione politica di quell’unità a cui la natura riconduce
la molteplicità e la contrarietà delle sue manifestazioni.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 355
Vedi dumque come una semplice divinità che si trova in tutte le cose,
una feconda natura madre conservatrice de l’universo, secondo che
diversamente si comunica, riluce in diversi soggetti, e prende nomi
diversi; vedi come a quell’una diversamente bisogna ascendere per la
partecipazione de diversi doni: altrimente in vano si tenta comprendere
l’acqua con le reti, e pescar i pesci con la pala181.
181
Spaccio, p. 634.
182
Ivi, p. 635.
183
Ibidem.
356 giulio gisondi
184
Spaccio, p. 516.
185
Ibidem.
186
Ivi, p. 519.
187
Ivi, pp. 519-520.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 357
Nella terza e ultima parte del III e ultimo dialogo dello Spaccio,
Bruno affronta esplicitamente una questione che, fino a quel momento,
aveva sempre accompagnato sottotraccia la sua riflessione naturale e
188
Ivi, p. 520.
358 giulio gisondi
189
G. Sacerdoti, Sacrificio e sovranità. Teologia e politica nell’Europa di Shakespeare
e Bruno, Torino 2002, p. 145.
190
Ibidem.
191
Ivi, p. 143.
192
M. Ciliberto, Nascita dello Spaccio: Bruno e Lutero, in G. Bruno, Spaccio de la
bestia trionfante, Milano 1985, p. 35.
193
Ibidem.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 359
Appresso dimandò Nettuno “che farrete, o dèi, del mio favorito, del
mio bel mignone, di quell’Orione dico, che fa per spavento […] orinare
il cielo?” “Qua” rispose Momo, “lasciate proponere a me, o dèi […].
Questo, perché sa far meraviglie, e […] può camminar sopra l’onde
del mare senza infossarsi, senza bagnarsi gli piedi; e con questo con-
seguentemente potrà far molte altre belle gentilezze mandiamolo tra
gli uomini; e facciamo che gli done ad intendere tutto quello che ne
pare e piace, facendogli credere che il bianco è nero, che l’intelletto
umano, dove li par meglio vedere, è una cecità; e ciò secondo la rag-
gione eccellente, buono et ottimo: è vile, scelerato et estremamente
malo; che la natura è una puttana bagassa, che la legge naturale è una
ribalderia; che la natura e divinità non possono concorrere in uno
medesimo buono fine, e che la giustizia de l’una non è subordinata
alla giustizia de l’altra, ma son cose contrarie come le tenebre e la luce
[…]. Persuaderà con questo che la filosofia, ogni contemplazione, et
ogni magia che possa fargli simili a noi, non sono altro che pazzie;
che ogni atto eroico non è altro che vigliaccaria: e che la ignoranza è
la più bella scienza del mondo, perché s’acquista senza fatica, e non
rende l’animo affetto di melancolia194.
194
Ivi, pp. 650-651.
360 giulio gisondi
Spaccio, p. 653.
196
197
Ibidem.
198
Ibidem.
199
G. Sacerdoti, Sacrificio e sovranità. Teologia e politica nell’Europa di Shakespeare
e Bruno, p. 149
200
Ibidem.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 361
201
Spaccio, p. 653.
202
Ibidem
362 giulio gisondi
è qua, nella region australe; or non mi par cosa a cui bisogna donare,
ma a cui convegna che sia tolto qualche luogo203.
Ivi, p. 654.
203
rebus fidei et morum, Wurzburg, 1854, pp. 190-191: «Per consecrationem panis et vini
conversionem fieri totius substantiae panis in substantiam corporis Christi Domini
nostri, et totius substantiae vini in substantiam sanguinis ejus. quae conversio con-
venienter et proprie a sancta catholica Ecclesia transsubstantiatio est appellata». Cfr.
Sancti Thomae Aquinati Summa Theologiae, in Opera omnia iussu impensaque Leonis
XIII P.M. edita, Romae 1888-1906, III, 1906, t. XII, q. 75, art. 4, p. 168: «Nam tota
substantia panis convertitur in totam substantiam corporis Christi, et tota substantia
vini in totam substantiam sanguinis Christi. Unde haec conversio non est formalis,
sed substantialis. Nec continetur inter species motus naturalis, sed proprio nomine
potest dici transubstantiatio».
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 363
«Anzi», disse Momo, «o Padre, mi par cosa degna (poi che ha questa
proprietade l’Eridano fiume di posser medesimo essere suppositale
e personalmente in più parti) che lo facciamo essere ovumque sarà
imaginato, nominato, chiamato e riverito: il che tutto si può far con
pochissima spesa, senza interesse alcuno, e forse non senza buon gua-
dagno. Ma sia di tal sorte, che chi mangerà de suoi pesci imaginati,
nominati, chiamati e riveriti, sia come (verbigrazia) non mangiasse;
chi similmente beverà de le sue acqui, sia pur come colui che non ha
da bere; chi parimente l’arà dentro del cervello, sia pur come colui che
l’ha vacante e vodo […]; «Bene» disse Giove, «qua non pregiudizio
alcuno, atteso che per costui non avverrà che gli altri rimangano senza
cibo, senza da bere, senza che gli reste qualche cosa in cervello, e senza
compagni: per essere quel loro mangiare, bere, averlo in cervello, e
tenere compagnia, in immaginazione, in nome, in voto, in riverenza
364 giulio gisondi
[…]. Sia dunque l’Eridano in cielo, ma non altrimente che per credito
et imaginazione: là onde non impedisca che in quel medesimo luogo
veramente vi possa essere qualch’altra cosa 205.
Per Bruno la presenza del corpo e del sangue di Cristo nel pane e
nel vino è puramente immaginaria e simbolica, senza alcun significato
di reale manducatio e potatio della divinità. A differenza di Orione,
l’Eridano potrà restare in cielo, ma solo in immagine, svuotato di ogni
contenuto e presenza reale, proprio come il Cristo continuerà a essere
presente nel mistero e sacrificio eucaristico come immagine, segno e
simbolo. Come già osservava Alfonso Ingegno206, Bruno recepisce in
queste pagine la critica che Calvino aveva svolto, nel capitolo XVII
del libro IV dell’Institutio207, alla dottrina della transustanziazione
cattolica e della consustanziazione luterana, tacciando di stupidità
quest’interpretazione del culto eucaristico. Per il riformatore ginevrino
la consacrazione con la quale i sacerdoti e i pastori trasformano il pane
e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo è una «magica incantatio»208.
Come un tempo i maghi Egizi, essi affascinano e vincolano la comu-
nità dei fedeli. Il pane e il vino, nutrimento della carne, sono i segni
del corpo e del sangue di Cristo, nutrimento spirituale dell’anima. La
condivisione del pane e del vino durante la celebrazione eucaristica
sono i segni attraverso cui non si reitera ogni volta il sacrificio, ma in
cui si compie la memoria di esso. Attraverso quest’atto della memoria,
questo sacrificio simbolico, non è più il Cristo a discendere tra i par-
tecipanti al rito, ma sono essi a innalzarsi a lui per mezzo del vincolo
dello Spirito Santo. Il rito eucaristico pensato e attuato da Calvino è
un legame mistico e spirituale, ma che assume una profonda valenza
civile. La comunione è un atto di partecipazione e fedeltà non solo
a Dio, ma di appartenenza a una stessa communitas, dalla quale gli
207
Ihoannis Calvini Institutio christianae religionis, in Opera, cit., lib. IV, cap.
17, pp. 1013-1015.
208
Ivi, lib. IV, cap. 17, p. 1013.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 365
211
G. Sacerdoti, Sacrificio e sovranità, cit., p. 192.
212
Spaccio, p. 656.
213
Ivi, p. 657.
214
Ibidem.
lex e religio. dal vinculum amoris al vinculum civile 367
«Cossì dumque» conchiuse Giove «io voglio che la venazione sia una
virtù […] Sia dico virtù tanto eroica, che quando un prencipe perse-
guita una dama, una lepre, un cervio o altra fiera, faccia conto che le
legioni nemiche gli corrano avanti; quando arà preso qualche cosa, sia
a punto in quel pensiero come avesse alle mani cattivo quel principe o
tiranno di cui più teme: onde non senza raggione vegna a far que’ bei
cerimoni, rendere quelle calde grazie al cielo, e porgere al cielo quelle
belle e sacrosante bagattelle»216.
215
Ivi, p. 658.
216
Ivi, pp. 658-659.
368 giulio gisondi
* A causa della frequenza con cui compare nel testo, il nome di Giordano Bruno
non è stato indicizzato.
376 indice dei nomi