Sei sulla pagina 1di 160

224

nuova umanità trimestrale di cultura


rivista fondata da Chiara Lubich nel 1978

controcorrente
Paura, potere e populismi - A. Lo Presti________________________ » pp. 5-7
I nuovi populismi emergenti nelle culture politiche contemporanee impongono una
riflessione sulle classi dirigenti e sui leader politici. Un paragone col recente passato
spiega il cambiamento in atto. Una volta si sceglievano figure di grande equilibrio,
oggi si preferiscono persone in grado di sconvolgere ogni equilibrio. L’articolo tenta
di mettere in luce il percorso storico di tali trasformazioni, e di individuare alcune
possibili soluzioni.

Focus
Scienza, natura, cosmo
A un anno dalla Laudato si’ - L. Fiorani________________________ » pp. 9-14
La Laudato si’ è molto più che l’enciclica dell’“ecologia integrale”: introduce un rivo-
luzionario paradigma culturale, che supera il mito del progresso materiale illimitato,
e apre un nuovo dialogo con la scienza. Da una parte, il papa argentino e gli scienzia-
ti contemporanei sono alleati nella lotta contro il riscaldamento globale, dall’altra,
sono convinti che alla base della nostra comprensione del cosmo ci sia la categoria
della relazione, capace di gettare ponti tra scienza, filosofia e teologia.

Relazioni ed evoluzione nell’Universo - D. Spadaro___________ » pp. 15-24


I risultati più importanti delle scienze fisiche, in particolare dell’astrofisica, eviden-
ziano un quadro dell’Universo in cui sembra prevalere l’aspetto relazionale: ogni
cosa è in rapporto con un’altra. Le quattro interazioni fisiche fondamentali, forza
di gravità, forza elettromagnetica, forza nucleare forte, forza nucleare debole, co-
stituiscono una rete di rapporti che legano tra loro le varie entità fisiche nell’am-
bito dell’Universo, il quale acquista pertanto un quadro unitario, marcatamente
relazionale e di reciproca dipendenza. Potremmo sintetizzare questo quadro nell’e-
spressione: nessuna entità fisica “è sola nell’Universo”. Ritroviamo proprio questo
aspetto in uno degli assi portanti dell’enciclica Laudato si’, che descrive l’Universo
composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri, di-
spiegando molteplici forme di relazione e manifestando una dipendenza reciproca.
sommario

Tra atomi e icona. Una lettura delle proprietà emergenti attraverso


la lente del chimico - A. Puglisi_____________________________» pp. 25-36
La chimica si posiziona a un livello di complessità intermedio nella gerarchia dei
sistemi complessi. Per questa sua caratteristica di “scienza di mezzo” essa diven-
ta una disciplina importante dal punto di vista della riflessione epistemologica in
quanto costituisce il primo livello di complessità della scienza in cui si manifesta
il fenomeno dell’emergenza. Con l’avvento della chimica supramolecolare, poi, il
concetto di proprietà emergenti ha guadagnato un suo vero e proprio valore intel-
lettuale all’interno della comunità scientifica andando “oltre” i suoi tradizionali con-
fini. La complessità del mondo molecolare ha di fatto spinto i chimici a rivedere la
loro disciplina sempre più in un’ottica non-riduzionista, in cui l’entità molecolare è
considerata a livello microscopico nella sua globalità ed unità, per poter spiegare la
realtà macroscopica arricchendo tra l’altro sempre più il vocabolario di pubblicazio-
ni scientifiche con aggettivi come “eleganza” e “bellezza”.

Conoscenza scientifica e valori - K. Colanero________________ » pp. 37-46


L’articolo cerca di chiarire la natura della conoscenza scientifica moderna e le sue
possibili interazioni con i valori dell’uomo e le sue scelte. In particolare si mostra
che, se da un lato tale conoscenza non può fornire indicazioni di carattere morale,
d’altro canto scelte basate su un’etica della responsabilità non possono ignorare le
informazioni e le previsioni ottenute tramite quell’umile ma affidabile ed intersog-
gettiva forma di conoscenza che va sotto il nome di scienza moderna.

Relazione persona-natura. Il recupero dei significati -


S. Rondinara _____________________________________________ » pp. 47-59
Dinanzi ai problemi posti dalla crisi ambientale la tesi di questo saggio è che un rap-
porto persona-natura rinnovato e adeguato all’oggi passa necessariamente attraver-
so il recupero del significato delle relazioni che legano ciascuno di noi alla natura.
Questa è considerata una sfida culturale non irrilevante, in cui ogni autentica tradizio-
ne culturale è chiamata a dare il proprio contributo. Tale sfida viene tracciata a grandi
linee su quattro livelli: antropologico culturale, etico, religioso e sul livello del pensiero.

scripta manent
Cibernetica e trascendenza - P. Pasolini______________________ » pp. 61-70
Questo scritto del compianto Piero Pasolini fu pubblicato 37 anni fa sulla rivista
Nuova Umanità. Esso tratta dei princìpi della cibernetica in relazione all’esito tra-
scendente della conoscenza umana. Il traguardo è un assoluto – Dio – verso il quale
la ricerca intellettuale dell’uomo contemporaneo deve attingere per dare senso alla
sua collocazione nel cosmo.
sommario

parole chiave
Interazione per la scienza - A. Conte________________________ » pp. 71-75
Nelle scienze il termine “interazione” assume un significato specifico e al contem-
po diversificato a seconda della disciplina scientifica cui si fa riferimento. Tuttavia,
nell’ultimo secolo, la fisica delle particelle elementari è riuscita a sintetizzare le in-
terazioni conosciute e a ricondurle tutte a quattro interazioni fondamentali. La sfida
attuale della scienza è quella di portare all’estremo questo processo di sintesi e
ottenere l’unificazione di tutte le interazioni.

punti cardinali
Il senso della sussidiarietà - B. Di Giacomo Russo____________ » pp. 77-89
Cercare il senso della sussidiarietà è impegnativo; l’ambito di approfondimento è le-
gato a un tempo determinato con l’intento di evidenziare la capacità ispirativa della
sussidiarietà riferita alla Dottrina sociale. La sussidiarietà esprime una sintesi tra il
pensiero liberale, socialista, democratico e federale, trovando accoglienza nell’ordi-
namento giuridico italiano ed europeo.

B. Pietrogrande. Tra verbo divino e carne mortale -


M. Michelacci_____________________________________________ » pp. 91-99
Lo scultore Benedetto Pietrogrande è nato a Montegalda (Vicenza) nel 1928, ha
studiato al liceo artistico e poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Il suo è un
linguaggio essenziale, che traspare in tutto il suo lavoro. Già negli anni Cinquanta
entra nel novero di quel nutrito gruppo di artisti che attinge ampiamente ai discorsi
di Giovan Battista Montini, allora vescovo di Milano. L’amore per la Chiesa e per
Maria è un suo tratto distintivo mentre uno dei temi cari all’artista è quello euca-
ristico; la realtà di un Dio che si fa uomo e diventa cibo e bevanda per la salvezza
dell’intera umanità prende forma e sostanza nel suo immaginario visivo e si traduce
in linguaggio contemporaneo.

a 20 anni dal premio unesco a chiara lubich


Reinventare la pace - M. Voce____________________________ » pp. 101-109
A 20 anni dal Premio UNESCO per la pace conferito a Chiara Lubich, le ragioni per
lavorare per essa, attraverso le molteplici esperienze condotte dal Movimento dei
Focolari, indicano l’attualità del messaggio di amore e fraternità universali per la
famiglia umana. Reinventare la pace, in tal senso, non è solo uno slogan, ma un pro-
gramma d’azione preciso, coinvolgente tutti gli uomini di buona volontà.
sommario

Unità della famiglia umana e cultura di pace - J. Morán______ » pp. 111-115


Le culture della pace odierne sono sfidate da fenomeni nuovi, singolari. Il terrorismo
globale, per esempio, ha prodotto inediti interrogativi sul modo di conciliare pace,
giustizia e difesa degli inermi. Le ragioni della pace invocano un approfondimento
maggiore, nell’età del pluralismo etico e religioso. La cultura che promana dalla spi-
ritualità dell’unità può, oggi, favorire la costruzione di un nuovo modo di concepire
la pace e operare per essa.

alla fonte del carisma dell’unità


Pluralismo e verità in Chiara Lubich - C. Guerrieri __________ » pp. 117-127
In questo contributo si chiarisce la compresenza in Chiara Lubich di relazione alla
verità ed accoglienza dell’altro. La relazione ontologica di ogni persona con Dio e la
dimensione trinitaria aprono la via a un pluriprospettivismo. Molteplicità delle per-
sone e accesso alla verità si unificano. La relazione ermeneutica persona-verità-altri
si articola come mostrarsi della verità nel dialogo intellettuale, etico ed esistenziale.

Storia di Light. 8 - I. Giordani_____________________________ » pp. 129-142


Prosegue la storia della nascente comunità del Movimento dei Focolari narrata dalla
stupenda penna di Igino Giordani. In questa puntata arriva Pasquale Foresi, si met-
tono radici a Roma, si svela il segreto del successo dell’iniziativa di Chiara Lubich e
delle sue prime compagne.

in biblioteca
La dialettica di Abelardo - Piotr Zygulski __________________ » pp. 143-148

english summary _______________________________________ » pp. 149-152

murales – G. Berti __________________________________________ » p. 172


controcorrente

Paura, potere e populismi

Negli anni cupi della Guerra fredda ci sentivamo tut-


ti sull’orlo del precipizio. In quella posizione difficile era
necessario mantenere l’equilibrio. La principale paura
Alberto era che un pazzo salito al potere potesse premere un
Lo Presti bottone sbagliato e scatenare l’inferno nucleare. Per
questo la classe politica era perlopiù composta di per-
politologo. sone compassate, le quali dovevano infondere sicurezza
direttore di con un portamento e una loquacità ridotti al minimo sin-
nuova umanità dacale. Dovevano essere figure sobrie, pacate, riservate,
e del centro
attente all’uso di ogni singolo concetto, di ogni avverbio
studi “igino
giordani”. insegna e proposizione, di qualsiasi virgola. Ci voleva un sacco
teoria politica di tempo per intervistare uno di questi politici, tanto
all’istituto lenti erano alla risposta ed estremamente prudenti nel
universitario consegnare all’opinione pubblica le strategie del proprio
sophia di figline e
partito politico. Della loro vita privata si sapeva poco
incisa valdarno,
firenze. o niente. Era impossibile che chi deteneva il potere di
sterminare il genere umano potesse essere distratto da
una moglie avvenente, o da passioni extra-politiche di
qualsiasi tipo. Il leader non veniva selezionato per chis-
sà quale dote superiore, o per genialità creativa, ma per
la capacità di individuare i punti di equilibrio di sistemi
sociali complessi, feriti dalla lotta ideologica, costan-
temente esposti al rischio bellico. Quella era l’epoca
(anno più, anno meno) dei vari Willy Brandt ed Helmut
Kohl, Giscard D’Estaing e François Mitterrand, Giulio
Andreot­ti e Aldo Moro, Richard Nixon e Gerald Ford,
Harold Wilson e Margaret Thatcher, Felipe González e
José María Aznar. Un’eccezione singolare fu Nikita Kru-
scev, a cui successe Breznev. Se si vuole capire perché

nuova umanità 224 5


controcorrente
Paura, potere e populismi

Kruscev fu l’unico presidente sovietico a terminare il mandato senza morire


al Cremlino, è sufficiente ricordarsi di quando sbatté ripetutamente la scar-
pa, in segno di protesta, sul tavolo dell’assemblea dell’ONU. Era un gesto
che oggi attirerebbe attenzione e consenso, mentre nel 1960 era proprio
fuori dal tempo. La paura di allora era in mezzo alla gente, frutto della diffu-
sa consapevolezza che gli esiti delle lotte planetarie avrebbero travolto tutti,
nessuno escluso.
La situazione odierna è assai diversa. Quel senso di paura collettiva s’è
trasformato in insicurezza individuale, mettendo radici nel profondo dell’e-
sperienza di ogni singolo cittadino. Le cause di questa radicalizzazione sono
diverse e molteplici. Le più evidenti chiamano in causa la mobilità e la preca-
rietà nel mercato del lavoro, l’interdipendenza economica, i processi migra-
tori, le sfide poste dalla convivenza in contesti segnati dal pluralismo etico
e religioso. La paura non ha più una dimensione collettiva, nonostante sia
avvertita da tutti, ma individuale. Anche per questo i sondaggi politici oggi
funzionano poco. Se uno ci chiede cosa pensiamo, rispondiamo “a lui” in
una determinata maniera. Se ce lo chiediamo dentro di noi, e questo accade
nella cabina elettorale, tutto diventa possibile. In questo modo si arriva a
sovvertire i pronostici e a dare il consenso a Trump, Le Pen, Grillo, Salvini o
alla Brexit.
Il clima di incertezza stravolge il modo di concepire, e formare, la classe
politica. Il leader che vuole diffondere sicurezza deve ostentare il proprio
successo personale, per cui parla e straparla con creatività e inventiva. È
lui stesso considerato la soluzione dei problemi, non il suo partito politico o
la sua ideologia. Stavolta il leader deve mettere in campo tutto il suo umore
geniale, deve mostrare di avercela saputa fare negli affari, deve esibire le
conquiste in campo sentimentale. Il fatto che spesso questi leader carisma-
tici risultino ignoranti di politica, non conoscano il “politicamente corretto”,
facciano continue gaffe, ignorino i meccanismi istituzionali non è per loro
uno svantaggio, ma un punto di forza. In questo modo, infatti, dichiarano
la loro prossimità con l’uomo qualunque e, siccome l’uomo qualunque è in-
sicuro, e la persona insicura predilige l’uscita dallo stallo determinato dal-
la complessità politica, il gioco è fatto. I movimenti antipolitica godono da
matti in questo frangente storico. Più sono trasandati nel loro linguaggio

6 nu 224
alberto lo presti

culturale, più si mostrano alieni alle regole istituzionali, più esibiscono de-
ficit nelle competenze politiche, più guadagnano voti. Matematico e dram-
matico, allo stesso tempo.
Come uscirne? Forse dovremmo piantarla di rivendicare le apparenti
buone ragioni di una volta, quando eravamo tutti intrappolati nella pola-
rizzazione ideologica, e il nostro istinto di salvezza ci costringeva a “fare
comunità”, a organizzarci secondo schemi tanto efficaci quanto obbligatori,
e l’apparato dei partiti politici era tanto solido quanto moralmente fragile.
Mi sembra poi quanto mai inadeguato l’atteggiamento strisciante che ogni
tanto affiora nel dibattito politico odierno, animato dai populismi, secondo
cui c’è sempre qualche cospiratore che trama nel buio e impone le sue oscu-
re decisioni, asservite solo ai grandi interessi di poche lobby economiche o
finanziarie. È un modo per tirarsi indietro nella lotta, perché, qualora esi-
stesse tale grande burattinaio, è chiaro che ciascuno di noi avrebbe poche
chances di sovvertire le cose. Tale vecchio e sbagliato modo di pensare e di
agire nasconde una duplice esigenza. Chi sostiene la tesi della cospirazione,
difatti, vuole mostrare l’ingenuità degli altri, considerandoli non in grado di
capire come va veramente il mondo, e al tempo stesso rivendica per sé il
ruolo di sopravvissuto alla narcosi collettiva, l’unico rimasto con gli occhi
aperti, vigile e cosciente, in mezzo a una massa di illusi. Le élite esistono,
altroché, ma, come rilevato più volte dagli studi politologici dell’ultimo seco-
lo, sono tante, nemiche fra di loro, escono ed entrano dalla scena politica, a
volte vincono e a volte perdono. Si tratta di stanarle, di concorrere con loro,
in modo trasparente, per riuscire a seminare i princìpi e i valori positivi a cui
crediamo, attraverso la diffusione di buone pratiche e di un solido pensiero.
La partita non è affatto persa, è appena cominciata.

nuova umanità 224 7


dallo scaffale di città nuova

Abbonati ad Avvenire
In più, per te, gratis anche l’abbonamento digitale

Abbonarsi ad Avvenire significa entrare ogni giorno nel OFFERTA SPECIALE


cuore del cambiamento della Chiesa e di tutto il mondo Paghi € 309,00 anziché € 502,00

RISPARMI
cattolico. Grazie a idee, analisi e approfondimenti puoi
seguire e comprendere i mutamenti della società e riscoprire
i valori profondi dell’essere cristiani e cittadini dell’Italia
e del mondo. In più, con l’abbonamento, hai accesso senza
€193,00
alcun costo aggiuntivo anche all’edizione digitale del Chiama subito
quotidiano già dalla mezzanotte. Abbonati ad Avvenire
il numero verde
per essere insieme protagonisti nel cambiamento.
800 82 00 84
dal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 12,30 e dalle 14,30 alle 17,00

www.avvenire.it

nu 224
focus. scienza, natura, cosmo

A un anno dalla Laudato si’

La Laudato si’ sarà ricordata per aver affermato l’“e-


cologia integrale”. In linea con i suoi predecessori, papa
Francesco ingloba ambiente, economia, società, cultura
Luca e vita quotidiana, orientandoli al bene comune e alla giu-
Fiorani stizia tra le generazioni: in un certo senso, ci fa passare
da un’ecologia in bianco e nero a un’ecologia a colori.
fisico. ricercatore È un’operazione culturale importante ma… è tutto
enea nei sensori qui? No, c’è molto di più.
laser per il C’è un nuovo e rivoluzionario paradigma culturale,
monitoraggio
ambientale. forse il più originale dalla rivoluzione industriale. Non a
docente di caso, Bergoglio ci invita a «porre fine al mito moderno
fisica del clima del progresso materiale illimitato» (Laudato si’, 78). Ad
all’università accorgersi più lucidamente della portata di queste affer-
roma tre e in mazioni sono stati i pensatori laici1.
altre università.
coordinatore C’è lo sforzo di aprire un dialogo sincero con la scien-
dell’iniziativa za contemporanea. Scherzando, potremmo dire che,
ecologica dopo il drammatico divorzio tra scienza e fede, consu-
internazionale mato con il processo a Galileo, il papa argentino le rimet-
ecoone. te assieme, in una specie di “coppia di fatto”, alleandole
per la «cura della casa comune».
Non pochi ritengono ormai anacronistica la separa-
zione tra scienza e fede. Potrei citare l’amico fisico (non
credente) che al bar del mio centro di ricerca mi chiede:
«Ma, in fondo, che problema c’è tra scienza e fede? Non
sono due linguaggi diversi che parlano dello stesso og-
getto, il cosmo?».
Un altro amico, il climatologo Antonello Pasini, nel
suo blog Il Kyoto fisso, riconosce che «l’approccio che
adotta Papa Francesco è sicuramente quello della scien-

nuova umanità 224 9


focus. scienza, natura, cosmo
A un anno dalla Laudato si'

za dei sistemi complessi»2. La teoria della complessità è ritenuta la terza


grande rivoluzione scientifica del secolo scorso, dopo relatività e meccanica
quantistica.
La marcia di riavvicinamento tra scienza e fede intrapresa da papa Fran-
cesco parte da lontano. Facciamo un passo indietro nel tempo. Science, una
delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, il 19 settembre 2014
ha pubblicato un editoriale che sottolineava con simpatia l’interesse di Ber-
goglio per l’ambiente. Agli autori non era sfuggito il workshop congiunto
delle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali Sustainable
Humanity, Sustainable Nature: Our Responsibility del 2-6 maggio 2014. Inoltre,
durante la presentazione della Laudato si’, la parola era stata data alla scien-
za, nella persona di John Schellnhuber, fondatore e direttore del “Potsdam
Institute for Climate Impact Research”.
Oltretutto, nell’enciclica, il papa rivolge una domanda ben precisa alla
scienza (e quindi a tutti): «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a co-
loro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» (Laudato
si’, 160).
E la scienza risponde, con osservazioni e modelli, che la media globale
della temperatura superficiale sta aumentando a causa dei gas serra emessi
per le attività antropiche che bruciano combustibili fossili. Non solo: se la
temperatura aumenta più di 2 °C, il pianeta potrebbe raggiungere un punto
di non ritorno e a pagare per primi sarebbero i più poveri.
Ma c’è un’altra liaison dangereuse tra enciclica e scienza. Se, da una parte,
il papa esprime la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connes-
so, dall’altra, l’idea chiave che emerge dal cosmo, come ce lo presentano le
scienze della natura, è la relazione o, per dirlo con il linguaggio della fisica
contemporanea, l’interazione.
La scoperta del bosone di Higgs ha portato alla ribalta il Modello Stan-
dard, in cui le forze tra le particelle che costituiscono lo “scheletro” della ma-
teria (fermioni) sono interpretate come scambi di altre particelle (bosoni),
un po’ come due giocatori che, passandosi la palla, rimangono vicini. I film di
fantascienza3 ispirati alla relatività generale di Albert Einstein ci hanno abi-
tuato all’idea che spazio e tempo sono intimamente legati. Addirittura, se-
condo i più recenti sviluppi della fisica teorica, in particolare la teoria quan-

10 nu 224
luca fiorani

tistica a loop, il tempo stesso emerge dal rapporto tra entità fondamentali.
In una recente intervista, il fisico Carlo Rovelli ha spiegato che il tempo «è
una proprietà emergente, che compare sulla scena con tutta la sua realtà e
la sua irreversibilità solo in presenza di grandi insiemi di “atomi di spazio”,
così come la liquidità è una proprietà emergente di un grande insieme di
molecole di acqua»4.
Questo “Focus” della Rivista si apre con gli articoli di quattro studiosi.
Daniele Spadaro coglie la relazione nell’infinitamente piccolo e nell’infini-
tamente grande del cosmo. Scopriremo che la massa, la più intima proprietà
della materia, nasce dalla relazione. Che le forze fondamentali sono relazio-
ni. Che tutti gli elementi del cosmo sono in relazione. Che noi siamo dentro
queste relazioni, anzi siamo polvere di stelle, nasciamo dalla morte di alcune
stelle.
Il passo successivo sulla via della complessificazione del cosmo è com-
piuto da Antonino Puglisi: la chimica, “scienza di mezzo” tra particelle ele-
mentari e materia vivente, è forse la disciplina scientifica in cui è più evidente
l’emergere di nuove proprietà quando gli atomi si mettono in relazione; ad
esempio, combinando due gas come l’idrogeno e l’ossigeno, otteniamo l’ac-
qua, un liquido dotato di proprietà peculiari e inattese.
L’articolo di Klaus Colanero abbandona l’ambito delle sole scienze della
natura e, dopo aver introdotto la peculiarità della conoscenza scientifica
– nata dalla rivoluzione di Bacone, Galileo, Cartesio e Newton – esplora una
nuova relazione, quella tra scienze della natura e valori umani. Alla luce di
questa relazione, l’Autore tira conclusioni utili per impostare un corretto rap-
porto tra persona e natura.
La relazione tra persona e natura è l’asse portante dell’articolo di Ser-
gio Rondinara. Il tema è affrontato dal punto di vista umanistico, compiendo
così in quattro articoli la parabola ideale dal cosmo all’essere umano. Questa
scelta è motivata dal riconoscere che la crisi ambientale, dovuta a un errato
rapporto persona-natura, è culturale e non si risolve con la mera adozione di
soluzioni tecniche.
Oltre a questi quattro articoli, presentati in forma preliminare al conve-
gno internazionale Relazionalità naturale e coscienza ambientale5, organizzato
da EcoOne6, questo “Focus” della Rivista comprende un breve saggio sull’in-

nuova umanità 224 11


focus. scienza, natura, cosmo
A un anno dalla Laudato si'

terazione (“Parole chiave”), un testo antologico (“Scripta manent”) e un te-


sto consigliato corredato da un glossario.
Andrea Conte, introducendo l’interazione come è intesa dalla scienza,
si spinge oltre e accenna a un tema caro, soprattutto ai fisici: trovare una
sola interazione fondamentale a cui siano riconducibili tutti i fenomeni. Per
far questo approfondisce le quattro interazioni fondamentali oggi note e
descrive la teoria quantistica dei campi, in cui compare, accanto all’oggetto
e al soggetto dell’interazione, un terzo attore, quasi che un modello della
fisica7 alluda a una “struttura trinitaria”8.
Il testo antologico è di Piero Pasolini, probabilmente il primo scienziato
a riflettere sul rapporto tra scienza contemporanea e carisma dell’unità, e
riproduce parte di un suo saggio scritto per un numero del 1979 di questa
Rivista9. Sebbene siano passate quasi tre decadi, la sua ampia concezione
della cibernetica come «scienza degli insiemi» e non come mera branca
dell’informatica è ancora attuale e – oserei dire – profetica, cogliendo «l’atto
di trascendenza» nella «novità emergente» che deriva dallo «strutturarsi dei
vari enti». Le sue affermazioni, perfettamente in linea con gli altri testi di
questo “Focus” della Rivista, permettono di gettare ponti tra scienza, filoso-
fia e teologia.
All’inizio di questo testo ho parlato scherzosamente della “coppia di fat-
to” tra scienza e fede. Se c’è una persona in cui scienza e fede si sposano,
questa è John Polkinghorne, professore di fisica-matematica e sacerdote an-
glicano, Premio Templeton 2002 per aver «rinvigorito la ricerca di una inter-
faccia tra scienza e religione»10: suo è il testo consigliato di questo “Focus”
della Rivista, disponibile sul portale DISF (Documentazione interdisciplinare
di scienza e fede)11.
Scriveva Wolfgang Amadeus Mozart al padre Leopold il 28 dicembre
1782, parlando dei concerti per pianoforte e orchestra K413-K415: «Questi
concerti sono una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo difficile; sono
molto brillanti, piacevoli all’orecchio, e naturali senza essere insipidi. Ci sono
qua e là passaggi da cui i conoscitori possono cavare la loro soddisfazione;
ma questi passaggi sono scritti in modo che i meno colti non possono non
essere contenti, senza sapere il perché»12. Non tutti hanno studiato la mec-
canica quantistica, la più profonda rivoluzione concettuale che ha scosso le

12 nu 224
luca fiorani

fondamenta della fisica. Tutti, leggendo Polkinghorne, riusciranno a cogliere


la bellezza degli spunti che questa teoria offre alla riflessione flosofica e teo­
logica. Alcuni “passaggi” del testo antologico non sono “troppo facili”, ma
ridurne la complessità avrebbe rischiato di renderli “insipidi”. Comunque of-
friamo al lettore il glossario “Parole chiave” che correda il testo consigliato:
Andrea Conte, con la competenza scientifica e la capacità divulgativa che lo
contraddistinguono, illustra brevemente ma esaurientemente i concetti più
ostici toccati da Polkinghorne.
Secondo la meccanica quantistica, una particella microscopica non è
descritta da una traiettoria (come può essere quella di un proiettile macro-
scopico) ma da una “funzione d’onda” che esprime esclusivamente la proba-
bilità che quella particella microscopica si trovi in un punto dello spazio a un
dato tempo. Soltanto la misura operata da uno sperimentatore la costringe
a manifestarsi in un punto e in un tempo precisi. L’irrompere di questa in-
determinazione ha irritato non poco i fisici, Einstein in testa. Ma la natura è
stata irremovibile: tutti gli esperimenti (il testo consigliato cita quelli di Alain
Aspect) hanno confermato che (per ora) la meccanica quantistica ha ragio-
ne. E la stranezza non finisce qui: quando due particelle microscopiche han-
no interagito, sono descritte da una sola funzione d’onda e quindi, quando
uno sperimentatore ne misura una, costringe l’altra ad avere caratteristiche
ben precise, anche se può essere ormai lontanissima. Polkinghorne conclude
che il mondo microscopico deve essere trattato come una realtà unitaria e
che i paradossi della meccanica quantistica ci aprono a interpretazioni della
realtà che vanno al di là del senso comune.
Concludendo, ringrazio gli Autori per aver rielaborato i contenuti presen-
tati al convegno e mi auguro che la lettura dei testi di questo “Focus” della Ri-
vista stimoli il lettore a stupirsi di fronte al cosmo, persona inclusa, riflettendo
sulla fitta rete di relazioni da cui è costituito: «L’insieme dell’universo, con le
sue […] relazioni, mostra […] la ricchezza inesauribile di Dio» (Laudato si’, 86).

1
  Cf. M. Pallante, Destra e sinistra addio. Per una nuova declinazione dell’uguaglian-
za, Lindau, Torino 2016.

nuova umanità 224 13


focus. scienza, natura, cosmo
A un anno dalla Laudato si'

2
 http://pasini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/06/23/lau-
dato-si-e-la-scienza-del-sistema-terra/.
3
 Cf. Interstellar (2014) di C. Nolan.
4
 http://espresso.repubblica.it/visioni/scienze/2014/10/22/news/il-tempo-
ora-sappiamo-che-non-esiste-1.185095.
5
  Gli atti del convegno sono disponibili in http://www.enea.it/it/produzione-
scientifica/pdf-volumi/V2014ProceedingsCastelGandolfo.pdf.
6
  EcoOne è una iniziativa culturale costituita da una rete internazionale di do-
centi, ricercatori e professionisti che lavorano nelle scienze ambientali e vogliono
completare la loro conoscenza scientifica con una lettura umanistica e sapienziale
dei problemi ecologici. Cominciato nel 1999 – su iniziativa di Sergio Rondinara e
Chiara Lubich – il cammino di EcoOne è stato caratterizzato dalla ricerca di alcune
categorie nel campo del pensiero, della cultura e della vita sociale che indirizzino
teoria e azione nelle tematiche ambientali. In particolare ci siamo soffermati su cu-
stodia, responsabilità e sostenibilità.
7
  Come ha spiegato Klaus Colanero, i modelli della fisica sono falsificabili, quin-
di questa allusione deve essere considerata con cautela.
8
  «Ogni creatura porta in sé una struttura propriamente trinitaria» (Laudato
si’, 239)
9
  Cf. P. Pasolini, Cibernetica e trascendenza, in «Nuova Umanità», (1979/2) 2, pp.
51-66.
10
 http://www.templetonprize.org/previouswinner.html#polkinghorne.
11
  Cf. http://disf.org/fisica-quanti-scienza-religione.
12
  Citato in G.P. Minardi, I concerti per pianoforte e orchestra di Mozart, Edizioni
Studio Tesi, Pordenone 1990, p. 48.

14 nu 224
focus. scienza, natura, cosmo

Relazioni ed evoluzione
nell’Universo

Il termine Universo viene comunemente utilizzato


Daniele per indicare un’entità collettiva, che comprende tutta la
materia e l’energia, i pianeti, le stelle, le galassie e il con-
Spadaro tenuto dello spazio intergalattico.
astrofisico. I risultati più importanti delle scienze fisiche, in parti-
astronomo colare dell’astrofisica, emersi a partire dal secolo scorso,
associato evidenziano un quadro dell’Universo in cui sembra pre-
all’istituto valere l’aspetto relazionale: ogni cosa è in rapporto con
nazionale di
astrofisica –
un’altra. Abbiamo il Sole e i vari pianeti legati nel Sistema
osservatorio Solare, questo fa parte di un insieme più vasto di stelle,
astrofisico gas e polveri, la Via Lattea, la nostra Galassia. Sono ormai
di catania. emerse ampie evidenze osservative dell’esistenza di altri
sistemi planetari, legati a stelle prossime al Sole. Le stel-
le della nostra Galassia, almeno 100 miliardi, non sono
distribuite a caso, bensì sono raggruppate in associazio-
ni e ammassi stellari, più o meno concentrati (ammassi
globulari e aperti, rispettivamente), per i quali è evidente
un legame reciproco di tipo gravitazionale. Gli studi re-
centi sui processi di formazione stellare rafforzano que-
sto dato, in quanto mostrano che tali processi tendono
a formare sistemi aggregati, non strutture singole. Le ga-
lassie osservabili, almeno 100 miliardi, sono a loro volta
legate gravitazionalmente e raggruppate in ammassi e
super-ammassi, secondo strutture via via più articola-
te e complesse. Potremmo sintetizzare questo quadro
nell’espressione: nessuna entità fisica è sola nell’Universo.
Le quattro interazioni fisiche fondamentali, forza di gra-
vità, forza elettromagnetica, forza nucleare forte, forza

nuova umanità 224 15


focus. scienza, natura, cosmo
Relazioni ed evoluzione nell'Universo

nuclea­re debole, costituiscono una rete di rapporti che legano tra loro le varie
entità fisiche nell’ambito dell’Universo, il quale acquista pertanto un quadro
unitario, marcatamente relazionale e di reciproca dipendenza. Mi sembra qui
opportuno mettere in evidenza che uno degli assi portanti dell’enciclica Lau-
dato si’ di papa Francesco è proprio «la convinzione che tutto nel mondo è
intimamente connesso»1. La lettera descrive infatti l’Universo composto da
sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri, dispiegando
molteplici forme di relazione e di interdipendenza (cf. LS 2; 79; 86).
Vorrei descrivere un paio di esempi che contribuiscono a mettere in luce
gli aspetti sopra accennati.
Innanzitutto la dipendenza, sia energetica sia elettromagnetica, della Terra
dal Sole. È ampiamente noto che la comparsa e il mantenimento della vita sul
nostro pianeta dipendono criticamente dalle caratteristiche della sua orbita
attorno al Sole e dal fatto che questo emetta con continuità energia raggiante,
che viene quindi trasmessa ai vari sistemi organici che si sviluppano nella bio-
sfera terrestre. Una minima variazione nella quantità di tale energia potrebbe
avere notevoli conseguenze, sia dal punto di vista climatico, con apprezzabi-
li mutamenti delle condizioni meteorologiche medie, sia da quello biologico,
con effetti sulla sopravvivenza o meno di un gran numero di specie vegetali ed
animali, tra cui forse anche l’uomo. Basti pensare al fatto che la differenza di
temperatura media della Terra tra ere glaciali ed ere temperate è solo di 5 gradi
centigradi, e questa differenza può essere determinata da variazioni di qual-
che per mille (0,1%) nella quantità di energia raggiante ricevuta dalla nostra
atmosfera. Ad esempio, la piccola era glaciale registrata tra il 1650 e il 1750 è
stata provocata da una variazione di appena 2 gradi nella temperatura media
terrestre: le stampe dell’epoca riportano le immagini del Tamigi ghiacciato!
Anche dal punto di vista elettromagnetico il Sole ha una significativa in-
fluenza sull’alto contenuto tecnologico degli standard di vita della società
contemporanea. Infatti il pianeta Terra è come immerso nell’atmosfera di
una stella, il nostro Sole, che emette un flusso continuo di particelle elet-
tricamente cariche (elettroni, protoni, particelle alfa ed altri ioni) e di campi
magnetici che si estendono fino alle estremità del Sistema Solare e costitui­
scono la cosiddetta eliosfera. Tale flusso può subire notevoli perturbazioni,
più frequenti durante i periodi di massima attività magnetica del Sole, che

16 nu 224
daniele spadaro

producono vere e proprie tempeste elettromagnetiche che possono investi-


re l’ambiente circumterrestre, dando luogo a eventi luminosi spettacolari e
unici, quali le aurore polari, visibili solo a latitudini elevate in prossimità dei
poli terrestri, ma anche esercitando effetti molto negativi sui sofisticati si-
stemi tecnologici che sono ormai diventati partner privilegiati dei nostri stili
di vita (black-out delle reti di distribuzione elettrica, malfunzionamento dei
sistemi di telecomunicazioni, errori nei dati forniti dai navigatori GPS, telefo-
nini muti, impossibilità di effettuare voli aerei sulle rotte polari o passeggiate
spaziali degli astronauti, e così via). Occorre quindi tener conto dell’intera-
zione con il Sole nella gestione di tali sistemi tecnologici; infatti, sempre più
negli ambiti scientifici e tecnologici si affrontano le varie problematiche lega-
te al cosiddetto space weather, una sorta di climatologia spaziale, che studia
gli effetti indotti dall’attività magnetica solare sull’ambiente circumterrestre
e le relative conseguenze per il funzionamento dei vari apparati elettronici ed
elettromagnetici, al giorno d’oggi sempre più diffusi ed estremamente cru-
ciali per i nostri stili di vita.
Ciò induce a riflettere sull’impossibilità di costruire uno sviluppo tecnolo-
gico isolato e circoscritto al nostro pianeta, che non tenga conto del fatto che
viviamo in una continua interazione gravitazionale ed elettromagnetica con
una stella, la quale procura tanti effetti benefici, ma anche alcuni disturbi che
vanno presi in seria considerazione.
Un secondo esempio è legato al concetto di massa di un corpo. La forza
gravitazionale, che si manifesta come un’attrazione reciproca tra i corpi, è
proporzionale alla quantità della loro massa e inversamente proporzionale al
quadrato della loro distanza. Proporzionale alla massa di un corpo è anche la
sua inerzia, cioè la resistenza che una massa materiale oppone a una forza
che tende a muoverla e a darle una certa velocità. Il secondo principio della
dinamica enunciato da Newton si esprime infatti con F = m x a (un corpo di
massa m sottoposto all’azione di una generica forza F, viene accelerato con
un’accelerazione pari ad a). A parità di forza agente, maggiore è la massa,
minore è l’accelerazione assunta dal corpo. Da qui il termine di inerzia di un
corpo.
Possiamo allora dire che la massa è la quantità che in un certo senso
esprime quasi l’identità del corpo, definendone l’attitudine ad assumere un

nuova umanità 224 17


focus. scienza, natura, cosmo
Relazioni ed evoluzione nell'Universo

dato comportamento dinamico, se sollecitato da forze esterne, o a rimanere


nel proprio stato di quiete o di moto, in assenza di tale azione.
Ma che cosa è la massa, allora? Una definizione operativa è stata data dal
filosofo Mach nel XIX secolo, definizione successivamente ripresa da Ein-
stein nella sua teoria generale della relatività e chiamata appunto principio di
Mach. La massa di un punto materiale, che entra in gioco nel caratterizzare
la sua inerzia, è la risultante dell’azione gravitazionale esercitata su quel dato
punto dall’intera materia sparsa in tutto l’Universo. Cioè, un corpo è inerte
proporzionalmente alla propria massa, a causa dell’azione gravitazionale che
tutte le altre masse dell’Universo hanno su di esso. L’insieme totale della
materia, tutto l’infinito numero di galassie distribuite per miliardi e miliardi
di anni-luce (o meglio, l’infinità di protoni, neutroni ed elettroni che ne com-
pongono tutti gli elementi, nonché la materia oscura che fornisce il contri-
buto gravitazionale dominante dell’Universo) creano un campo universale di
gravitazione che si esprime, in ogni punto, con l’inerzia di ogni singola massa.
Applicando il principio di Mach, si può affermare che la nostra massa è
definita dalla totalità delle altre masse; ed è anche vero che la nostra massa,
a sua volta, contribuisce pur essa a definire l’intero Universo.
Tutto l’Universo appare pertanto come interconnesso e permeato da una
rete di relazioni, a cui danno luogo le varie interazioni fisiche. Così si esprime
la Laudato si’: «Il mondo […] è una trama di relazioni»2. Vi è una profonda e
durevole solidarietà tra le parti che lo compongono: ogni parte costituisce il
tutto, ma è anche… costituita dal tutto. Questa è certamente la più profonda
e la più essenziale condizione di esistenza dell’Universo, che ne caratterizza
la natura, sia alle scale spaziali più piccole (atomi, particelle nucleari, quark)
sia a quelle più grandi (galassie).
Su questa dinamica di relazioni si innestano gli aspetti evolutivi, un’altra
caratteristica specifica dell’Universo alle varie scale, nei quali è possibile co-
gliere il dispiegarsi di fenomeni prevalentemente collettivi, con alcuni tratti
particolari su cui vale la pena di riflettere. Anche in questo caso mi rifaccio
a un esempio ben noto, che rientra tra gli argomenti fondamentali degli stu-
di di astrofisica degli ultimi decenni. Riporto quindi una storia cosmica, che
riguarda le supernovae e delinea il loro ruolo nell’evoluzione della composi-
zione chimica dell’Universo.

18 nu 224
daniele spadaro

In natura si riscontra attualmente un notevole numero di elementi chi-


mici (più di 100): alcuni sono particolarmente importanti per la biologia
(carbonio, azoto, ossigeno, magnesio, potassio, ferro…) o per l’elettronica
(silicio, gallio, arsenico…). Vale proprio la pena di chiedersi come si siano
formati tali elementi. La loro presenza nell’Universo è, infatti, il frutto di un
lungo processo che illustro qui brevemente.
Secondo il modello cosmologico più ampiamente accettato che descrive
l’origine e l’evoluzione dell’Universo (il cosiddetto Big Bang), anche la com-
posizione chimica ha subìto una notevole evoluzione rispetto alle condizioni
iniziali. Il Big Bang, definito come una singolarità iniziale da cui è partita l’e-
spansione dell’Universo che tuttora osserviamo, non ha prodotto i metalli:
così sono denominati in astrofisica gli elementi chimici con numero atomico
maggiore o uguale a 3, cioè dal litio in poi. Infatti le fasi evolutive iniziali
dell’Universo hanno dato vita solo a idrogeno, elio, un po’ di litio (il cosiddet-
to litio primordiale, la cui quantità è tuttora oggetto di accese e controverse
discussioni tra gli astrofisici), tracce di berillio, boro. Nient’altro!
Come si è giunti allora alla composizione chimica media dell’Universo
attuale? Come si sono formati gli elementi più pesanti? In particolare, quelli
presenti negli organismi viventi, ad esempio il ferro, costituente base dell’e-
moglobina che si trova nel nostro sangue?
Un aiuto importante per rispondere a tali domande è venuto dallo svi-
luppo delle conoscenze riguardo alla fisica nucleare nel corso del XX secolo.
Tali ricerche hanno permesso di individuare i processi che danno luogo alla
cosiddetta nucleosintesi degli elementi pesanti, attraverso una serie di rea-
zioni di fusione nucleare che consentono di ottenere nuclei di elementi più
pesanti dalla interazione di due o più nuclei più leggeri. Per esempio, facendo
reagire due protoni (nuclei di idrogeno) e due neutroni si ottiene un nucleo
di elio (particella α) più una certa quantità di energia che viene liberata sotto
forma di raggi γ.
Negli anni ’30 del secolo scorso il fisico Gamow dimostrò che reazioni
di nucleosintesi via via più complesse, fino alla produzione degli elementi
del picco del ferro, avvengono all’interno delle stelle. Tali reazioni sono la
sorgente dell’energia che si propaga verso la superficie della stella e che
viene successivamente irraggiata nello spazio. Avvengono principalmente

nuova umanità 224 19


focus. scienza, natura, cosmo
Relazioni ed evoluzione nell'Universo

(quasi solamente) nel nucleo centrale delle stelle, perché richiedono condi-
zioni estreme di temperatura e pressione. All’interno del Sole, per esempio,
la temperatura è di circa 17 milioni di gradi e la pressione pari a quasi 130
miliardi di atmosfere. Esistono addirittura casi di stelle, molto più massicce
del Sole, in cui la temperatura nel nucleo centrale è di circa 100 milioni di
gradi. Il resto della stella non è coinvolto dal processo, nella maggior parte
dei casi. Inoltre, il mescolamento turbolento del gas stellare non è in grado
di portare in superficie il materiale riprocessato, che quindi resta intrappolato
all’interno della stella e non entra direttamente in gioco nei processi di scam-
bio di materia con l’ambiente circostante (venti stellari, nebulose planetarie,
stelle novae). Eppure la composizione chimica del gas interstellare, da cui
si formano le stelle più giovani, non mostra solo la presenza di idrogeno ed
elio. Gli elementi più pesanti sono presenti in quantità significative, anche se
quanto detto sopra sembrerebbe escludere tale possibilità.
Rimane quindi la domanda formulata inizialmente: come si è evoluta la
composizione chimica dell’Universo?
A questo punto entrano in gioco le supernovae, ultima fase di stelle che, in
quanto più massicce delle altre e, in particolare, del Sole (la loro massa è pari
a 10-20 volte quella del Sole), si evolvono più rapidamente, con un maggiore
tasso di reazioni di fusione nucleare, dando vita alla nucleosintesi di elemen-
ti più pesanti (ossigeno, magnesio, silicio, ferro soprattutto). Esplodendo e
disintegrandosi quasi completamente al termine della loro vita, disperdono
tali prodotti nel mezzo interstellare, arricchendone il contenuto di metalli. La
quantità di elementi che vengono rilasciati nello spazio è enorme. Si calcola
che, per esempio, la supernova SN1987A, osservata nel 1987, abbia espulso
una quantità di ferro pari a 25.000 volte la massa della Terra.
Le prime stelle formatesi nelle galassie, più massicce e più calde,
avevano una composizione chimica iniziale analoga a quella primordiale
dell’Universo. Esplodendo al termine della loro evoluzione nella fase di
supernova e quindi praticamente disintegrandosi, hanno disperso i metalli
prodotti al loro interno dalla nucleosintesi nel mezzo interstellare, da cui
si sono formate nuove stelle con una composizione chimica più evoluta.
Tra queste le più massicce, a loro volta, hanno sintetizzato al loro interno
elementi via via più pesanti, per poi disperderli al termine della loro vita,

20 nu 224
daniele spadaro

come supernovae, nel mezzo interstellare, arricchendone sempre più la


composizione chimica.
Le condizioni molto speciali di temperatura e pressione che esistono nel-
le supernovae permettono anche la formazione degli elementi più pesanti
del ferro. Tali condizioni provocano la rottura dei nuclei di ferro mediante
reazioni di fotodisintegrazione con la formazione di un gran numero di neu-
troni. Poiché i neutroni non hanno carica elettrica, essi possono interagire
con la materia nucleare precedentemente formata senza subire la repulsione
coulombiana dei protoni. Questo processo di cattura di neutroni, che suc-
cessivamente decadono in protoni, determina la formazione di nuovi ele-
menti chimici ancora più pesanti del ferro.
E così via, con un ciclo quasi continuo di nascita e distruzione completa
di stelle, con ogni distruzione (equivalente ad una vera e propria morte)
fonte di arricchimento di metalli per il mezzo interstellare circostante, a
sua volta pronto a favorire la formazione di nuove stelle con un maggior
contenuto di metalli rispetto a quelle formatesi in precedenza. Ciò appare
come il quadro fisico più adatto per spiegare l’attuale composizione chimi-
ca della materia che costituisce la nostra e le altre innumerevoli galassie
che popolano l’Universo.
Gli elementi così formatisi, in particolare quelli cosiddetti biogenici (car-
bonio, azoto, ossigeno, fosforo, potassio, oltre all’idrogeno, già formatosi
nelle fasi finali del Big Bang) e il ferro, sono presenti nel mezzo interstellare
diffuso e anche nella struttura e nell’atmosfera dei vari pianeti del Sistema
Solare, compresa la Terra. Grazie a tale presenza e alle reazioni chimiche che
scaturiscono dalle interazioni tra gli atomi dei vari elementi, si sono potute
formare nell’ambiente terrestre associazioni di atomi, le molecole, via via
più complesse, fino a quelle strutture chimiche organiche, quali aminoacidi
e proteine (bio-molecole), che costituiscono i mattoni fondamentali del fe-
nomeno vita, in cui rientra anche l’essere umano, con tutte le sue specifiche
caratteristiche.
Il fenomeno evolutivo appena descritto evidenzia quindi un compor-
tamento collettivo e coordinato da parte degli oggetti stellari più massicci,
i quali complessivamente hanno contribuito, e continuano a contribuire, a
determinare la composizione chimica media dell’Universo attuale. Anche in

nuova umanità 224 21


focus. scienza, natura, cosmo
Relazioni ed evoluzione nell'Universo

questo caso viene in rilievo un quadro unitario, in cui «possiamo incontrare


innumerevoli relazioni costanti che si intrecciano segretamente»3. «Tutto è
collegato»4 e ogni componente dipende costitutivamente dal ruolo svolto
dagli altri componenti.
Questa dipendenza può risultare in alcuni casi estremamente delicata e
critica, quando, per esempio, prendiamo in considerazione la vita dell’essere
umano e le condizioni che ne hanno permesso l’emergere. È evidente che il
corpo umano, oltre a contenere qualche litro di idrogeno prodotto durante
il Big Bang, è composto da buona parte di quegli elementi che l’Universo ha
faticosamente sintetizzato nel corso della sua evoluzione, «è costituito dagli
elementi del pianeta»5. Senza alcuni di essi non potrebbe avere le proprie-
tà ed esercitare le funzioni che lo caratterizzano. Si può quindi considera-
re come un risultato particolare delle dinamiche evolutive che ho provato a
descrivere. Inoltre, sia l’emergere sia lo sviluppo e la sussistenza della vita
umana sono legati in maniera cruciale alle condizioni dell’ambiente terre-
stre, energetiche, climatiche, biochimiche. I recenti studi sui sistemi plane-
tari osservati attorno ad altre stelle evidenziano che la cosiddetta fascia di
abitabilità, cioè la regione circumstellare in cui potrebbe orbitare un pianeta
potenzialmente in grado di ospitare forme di vita simili a quella dell’essere
umano, è estremamente limitata ed esiste soltanto per alcuni tipi di stelle,
simili al Sole, non per tutti. Sembra proprio che la comparsa dell’uomo non
possa avvenire in una regione qualsiasi dell’Universo, né in una fase qualsiasi
dell’evoluzione dello stesso.
Queste considerazioni dovrebbero aiutarci ad acquisire e a mantenere
una ferma consapevolezza che anche noi, esseri umani, facciamo parte della
rete di relazioni e di interconnessioni che permea tutto quanto l’Universo,
e che si manifesta sia alle scale più grandi, cosiddette cosmologiche, che a
quelle, più piccole, dell’intero ecosistema in cui ci troviamo a vivere.
La rete dinamica di relazioni che caratterizza l’ecosistema terrestre, inol-
tre, manifesta un equilibrio estremamente delicato, che può risultare compro-
messo, con conseguenze catastrofiche, dalle variazioni anche solo di qualcu-
no dei fattori che entrano in gioco. I problemi legati al riscaldamento globale
del pianeta sono un esempio evidente in cui l’alterazione della composizione
chimica dell’atmosfera, indotta dalle attività della società industriale, si sta

22 nu 224
daniele spadaro

ritorcendo sulle condizioni di vivibilità dell’ambiente terracqueo. La criticità


di tali dipendenze, quindi, dovrebbe indurci ad abbandonare la figura dell’uo-
mo dominatore assoluto della natura, sfruttata esclusivamente per il proprio
interesse e in nome di un progresso tecnologico ed economico sempre più
sfrenato e indiscriminato, uscendo da quella visione tecnocratica del mondo
che la cultura odierna sta rendendo planetaria. Occorre liberare la natura
da una lettura riduzionista e unidimensionale in chiave utilitaristica, che si
esprime quindi in un intento fortemente manipolativo e sembra procedere
con spensierata superbia, priva di riferimenti etici certi, volutamente ignara
delle conseguenze. Il capitolo terzo della Laudato si’, in particolare, ci aiuta ad
acquisire tale consapevolezza.
Mi sembra che l’uomo contemporaneo debba svolgere un ruolo certa-
mente di guida e di orientamento nei confronti della natura, cercando di trar-
ne tutto il giovamento che la capacità creativa e razionale di cui è dotato
gli consente. Non possiamo rimanere passivi spettatori di una natura che
pretendiamo di preservare inalterata. Dobbiamo agire su di essa, plasmarla
per quanto è possibile secondo una funzionalità quanto più utile al progresso
armonioso, equo e solidale dell’intero genere umano, ma con la piena con-
sapevolezza che anche noi facciamo parte della rete di relazioni e di inter-
connessioni che permea tutta quanta la struttura della natura e garantisce
la nostra esistenza, come ho cercato di mettere in luce abbastanza sinteti-
camente in questo articolo. Occorre pertanto riacquistare il senso del limite
e dell’umiltà. «Non posso ferirti senza far male a me stesso». Si esprimeva
più o meno così Gandhi, per descrivere il profondo legame che intercorre
tra gli esseri umani. Azzarderei l’estensione di questa espressione anche al
rapporto tra l’uomo e la natura. Ogni ferita infertale si può trasformare in
un pericoloso boomerang per l’umanità. Ci ricorda, infatti, l’enciclica di papa
Francesco: «Qualunque azione sulla natura può avere conseguenze che non
avvertiamo a prima vista»6.
La comprensione di un più consapevole e corretto rapporto tra l’uomo e
la natura richiede un approccio articolato su molteplici linee, non solo scien-
tifiche e tecnologiche, ma anche filosofiche, antropologiche, sociologiche,
religiose, politiche ed economiche. In questo articolo ho voluto semplice-
mente portare all’attenzione alcuni semplici esempi, dedotti dai risultati

nuova umanità 224 23


focus. scienza, natura, cosmo
Relazioni ed evoluzione nell'Universo

dell’astrofisica, che contribuiscono a delineare la dimensione prevalente-


mente relazionale ed unitaria della natura. Acquisire consapevolezza di que-
sta dimensione, in cui anche noi siamo attivamente inseriti, è fondamentale
in tale prospettiva, come scrive il papa nella Laudato si’:

Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza […] apertura


allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della
fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i no-
stri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore
o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un li-
mite ai sui interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intima-
mente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno
in maniera spontanea7.

1
 Francesco, Laudato si’, 16. D’ora in poi (LS).
2
  LS 240; cf. anche LS 6.
3
  LS 240.
4
  Ibid.
5
  LS 2.
6
  LS 41.
7
  LS 11.

24 nu 224
focus. scienza, natura, cosmo

Tra atomi e icona


Una lettura delle proprietà emergenti
attraverso la lente del chimico

Antonino
1. riduzionismo e proprietà emergenti:
Puglisi una panoramica
chimico.
ricercatore Parlare di proprietà emergenti e di riduzionismo vuol
in chimica dire esplorare una frontiera culturale affascinante dove le
organica e
scienze naturali si incontrano con la filosofia. È un argo-
supramolecolare
presso la mento di ricerca molto ricco che fa riferimento alla teoria
greenwich del caos1 con implicazioni interessanti su una vasta gam-
university ma di scienze: dall’economia alla meteorologia all’ecologia.
e la sussex Cercherò di limitarmi a dare una mia lettura dell’argomento
university e sulle
attraverso la “lente” del chimico, alla luce di alcune pubbli-
tecnologie per il
sequenziamento cazioni scientifiche vicine alla mia area di ricerca specifica
del dna presso la che è quella della chimica organica e supramolecolare.
oxford nanopore Nel tentativo di leggere la realtà del mondo materiale
technologies ltd . che ci circonda, ci troviamo continuamente a oscillare tra
due fondamentali visioni che fanno un po’ da contrappe-
so l’una all’altra. Da un lato il riduzionismo, che sostiene
che una volta conosciuti gli elementi ultimi della mate-
ria e le leggi che li governano tutto il resto, dalla materia
inanimata a quella animata, dal pensiero umano all’idea
di autocoscienza, può essere spiegato essendo una loro,
vicina o lontana, conseguenza. Questa visione ha avu-
to dei grossi meriti storici, il principale dei quali è stato
quello di permettere di modellizzare e matematizzare le
proprietà fondamentali e permettere previsioni sul com-
portamento di sistemi più elaborati.

nuova umanità 224 25


focus. scienza, natura, cosmo
Tra atomi e icona

L’altra visione, che potremmo chiamare anti-riduzionista, ci invita a guar-


dare alla complessità qualitativa del mondo macroscopico come non riduci-
bile a una uniformità microscopica2.
Possiamo distinguere almeno tre tipi di riduzionismo che classicamente
sono presentati come strutturale, epistemologico e ontologico3.
Il riduzionismo strutturale rappresenta, di fatto, una strategia scientifica,
altamente praticata e di successo, consistente nello studiare il “tutto” fran-
tumandolo nelle sue parti costituenti. Esso ammette che, quando un sistema
complesso venga scomposto nei suoi elementi, le parti che ne risultano sia­
no esclusivamente quelle che corrispondono agli elementi costituenti che
ci si aspetterebbe di trovare. Ad esempio, un organismo vivente potrebbe
essere suddiviso fino alle molecole che lo compongono, senza che alla fine
vi sia rimasto alcun “ingrediente” extra, come potrebbe essere la “scintilla
della vita”. Tuttavia tale riduzionismo non comporta in alcun modo la tesi
che i viventi siano “nient’altro” che agglomerati di molecole, perché la loro
scomposizione porta di fatto alla morte dell’organismo!
Il riduzionismo epistemologico sostiene che i concetti applicabili al tutto
possono essere interamente espressi in termini di concetti che si applicano
alle parti. Un esempio ben riuscito di una tale “riduzione” è offerto dall’im-
piego della teoria cinetica dei gas4 che riduce il concetto di temperatura ad un
esatto equivalente microscopico delle particelle costituenti, rappresentato
dall’energia cinetica media delle molecole del gas (1/2 mv2 = 3/2 kT). Ma
ci sono anche molti altri esempi che stanno ad indicare come riduzioni di
questo tipo non siano sempre possibili. Le singole molecole dell’acqua, per
esempio, non possiedono la proprietà dell’umidità, che rappresenta invece
una proprietà concettualmente irriducibile del comportamento di un grande
insieme di queste molecole.
Il riduzionismo ontologico invece equivale ad affermare che il tut-
to è solamente la somma delle parti e che gli esseri viventi sono degli automi
costituiti nient’altro che da un aggregato più o meno complesso di bio-mo-
lecole. La vera ontologia che risulta essere alla base di tutto è quindi esclu-
sivamente quella dei costituenti fondamentali. Tutto il resto è una semplice
elaborazione conseguente. Da questo punto di vista, la fisica delle particel-
le elementari viene a essere la disciplina fondamentale: tutte le altre cose,

26 nu 224
antonio puglisi

compreso il resto della fisica, attraverso la biologia e, più in su, attraverso la


psicologia, l’antropologia e la sociologia non sarebbero altro che corollari. Di
fatto ci troviamo di fronte all’equivalente moderno dell’antica asserzione che
tutto è fatto “di atomi e di vuoto” come sosteneva Democrito. Una posizione
del genere sembra essere più ideologica che scientifica e certamente estre-
mamente difficile da dimostrare. Per dirla simpaticamente insieme a Robert
J. Russell, fondatore e direttore del Centro per la Teologia e le Scienze natu-
rali (CTNS) di Berkeley (USA), «il fatto che la mia bilancia non può dirmi che
sto pensando, questo non significa che non penso»5.
Una posizione non riduzionista non nega che tutto quello che vediamo non
sia spiegabile in qualche modo dal comportamento delle parti componenti, ma
piuttosto suggerisce che alcuni fenomeni complessi possono essere meglio
interpretati in termini di emergenza di comportamenti a un livello organizzativo
più alto, che non è riducibile al comportamento dei suoi componenti.
In un sistema complesso e affascinante come la cellula, per esempio, in
cui si manifesta quel “prodigio” che chiamiamo vita, ritorna con maggiore
evidenza la necessità di una prospettiva in cui quest’ultima non sia consi-
derata come “nien’altro-che-un-insieme-di-molecole”. L’emergere della vita
non è semplicemente una conseguenza di una sofisticata interrelazione tra
milioni di molecole (enzimi, acidi nucleici, metaboliti...) ma apre un orizzonte
nuovo che fa esclamare ad uno scienziato come M. Polanyi, su una rivista
prestigiosa come Science, «la vita trascende la fisica e la chimica»6.
Possiamo dunque definire entità emergenti quelle proprietà o sostan-
ze che “sorgono” da entità più fondamentali e tuttavia sono rispetto a loro
“nuove” o “irriducibili”7.

2. importanza della chimica


per una epistemologia dell’emergenza

Ma andiamo alla chimica e al suo ruolo all’interno di questo interessante


dibattito culturale.
La chimica può essere definita come la scienza delle molecole, o meglio
della struttura delle molecole in relazione alle loro proprietà.

nuova umanità 224 27


focus. scienza, natura, cosmo
Tra atomi e icona

Essa si posiziona a un livello di complessità intermedio nella gerarchia dei


sistemi complessi: immediatamente superiore a quello degli oggetti studiati
in fisica e appena al di sotto dei sistemi biologici. Per questa sua caratteri-
stica di “scienza di mezzo” la chimica è molto importante dal punto di vista
della riflessione epistemologica, in quanto costituisce il primo livello della
scienza in cui compaiono nuovi aspetti del reale dovuti alla complessità: le
molecole. Esse rappresentano il caso più semplice di entità persistenti la cui
straordinariamente ricca diversità richiede una scienza specifica8.
Assistiamo cioè all’insorgere del nuovo, quando gli elementi si uniscono
a formare un nuovo ente: il composto le cui proprietà non sono in relazione
semplice con quelle dei suoi costituenti. Raramente, infatti, la conoscenza
dei soli costituenti (formula bruta) può darci una ragionevole idea dell’atti-
vità chimica del composto. La sua struttura invece – il modo in cui gli atomi
sono messi insieme, “connessi”, attraverso i legami chimici – determina le
proprietà del tutto, la reattività della molecola.
La struttura molecolare può rappresentare cioè la proprietà emergente del
sistema complesso molecola e creare, quindi, un rapporto tra la chimica e le
scienze della complessità. In un’ottica non-riduzionista l’entità molecolare
va considerata a livello microscopico nella sua globalità ed unità per poter
spiegare la realtà macroscopica. Il fatto che la molecola sia costituita da ato-
mi non è certo negato, ma in nessun caso la molecola sarà “nient’altro-che-
un-aggregato-di-atomi”.

3. oltre le molecole: la chimica supramolecolare

L’emergere di nuove proprietà si manifesta poi anche nell’interazione di


più molecole, come è evidente nella chimica supramolecolare9. Ogni mole-
cola ha proprietà intrinseche che possono essere viste come un corredo di
“informazioni”, utilizzabile nell’interazione con altre molecole. Nei sistemi
supramolecolari, costituiti da opportune combinazioni molecolari, emergo-
no ancora una volta nuove proprietà che derivano dalla integrazione delle
caratteristiche dei singoli componenti. Infatti, quando le molecole si incon-
trano, ciascuna “legge” gli elementi di informazione contenuti nelle altre e, a

28 nu 224
antonio puglisi

seconda di tali elementi, può succedere che dopo l’incontro esse si separino
inalterate, oppure che reagiscano con formazione di nuove specie, oppure,
ancora, che si associno dando origine a sistemi supramolecolari. L’associa-
zione fra molecole avviene sfruttando il cosiddetto riconoscimento moleco-
lare, basato su interazioni molto specifiche come, ad esempio, il legame a
idrogeno (Figura 1)10.

Figura 1 – Esempio di riconoscimento molecolare basato su legame a idrogeno

La chimica, nel progressivo spostarsi nel territorio inesplorato dell’oltre


molecolare, ci ha fatto entrare in una nuova era nelle scienze, in cui possiamo
trovare la bellezza non soltanto in un cristallo o in un pigmento, ma emerge
un nuovo concetto di armonia nel creare strutture architettoniche a livello
molecolare con similitudini sempre più forti con l’architettura, le sculture, i
simboli della vita quotidiana.

4. alcuni esempi di proprietà emergenti


nel campo della chimica supramolecolare

Il primo esempio11 di comportamento emergente che vorrei proporre è


quello di una nuova classe di materiali organici basati su una miscela 1:1 di
composti aromatici neutri (Figura 2). Queste molecole tendono a interagire

nuova umanità 224 29


focus. scienza, natura, cosmo
Tra atomi e icona

attraverso un insieme di interazioni cosiddette “deboli” (legami a idrogeno,


forze di Van der Waals, pi-pi stacking ecc.) secondo una precisa geometria
di legame donatore-accettore.

Figure 2 - Classe di materiali organici basati su una miscela 1:1 di composti aro-
matici neutri in cui si manifestano proprietà emergenti legate all’assemblamento
supramolecolare

L’aspetto interessante di questi sistemi molecolari è che tendono a


formare aggregati supramolecolari con proprietà ferromagnetiche già a
temperatura ambiente. In questo caso il comportamento del materiale è
inaspettato, sebbene la meccanica con cui esso avviene sia estremamente
semplice. L’aggregazione supramolecolare crea una certa complessità che
dà luogo a una nuova proprietà emergente per il sistema, una volta che la
cristallizzazione è completa, che non è condivisa dalle proprietà dei com-
ponenti costitutivi.
Il secondo esempio12 viene dall’auto-assemblaggio (self-assembly), in
soluzione acqua/alcol, di un esteso network di strutture che tecnicamente
vengono definite MOFs (Metallic-Organic Frameworks). In questo caso speci-

30 nu 224
antonio puglisi

fico ci troviamo di fronte a un suo equivalente basato su ciclodestrine13 (una


classe di composti organici a forma toroidale – Figura 3) CD-MOFs. Ciascu-
na γ-ciclodestrina (γ-CD) coordina un atomo di potassio (come rappresen-
tato in Figura 4a formando un MOF. Questi aggregati avranno otto atomi di
potassio o metalli alcalini in una struttura centrata (Figura 4b).

Figura 3 – Rappresentazione della struttura molecolare della ciclodestrina

a b
Figura 4 - Metallic-Organic Frameworks basati su ciclodestrine

nuova umanità 224 31


focus. scienza, natura, cosmo
Tra atomi e icona

Ancora una volta questi CD-MOFs hanno proprietà molto diverse da


quelle delle γ-CD da sole. Per esempio possono conservare nell’interno della
loro struttura molecole di gas. Comportamento inaspettato di un altissimo
valore tecnologico.

5. considerazioni conclusive

Negli ultimi 50 anni, con l’avvento della chimica supramolecolare il con-


cetto di proprietà emergenti ha guadagnato un suo vero e proprio valore in-
tellettuale all’interno della comunità scientifica. La chimica, andando “oltre”
i suoi tradizionali confini, ha incontrato altre discipline come la fisica, l’inge-
gneria, la biologia e la medicina attorno a temi sempre più complessi sia di
tipo tecnologico, come le nanotecnologie, sia più filosofici, come l’origine
della vita.
Si è inaugurata così di fatto una nuova chimica tra il livello del legame co-
valente e non-covalente, caratterizzata da livelli di sofisticazione strutturale
sempre più alti e dall’insorgere di nuove non sempre prevedibili proprietà e
caratteristiche.
La complessità del mondo molecolare ha, di fatto, spinto i chimici a rive-
dere la loro disciplina sempre più in un’ottica non-riduzionista, in cui l’entità
molecolare è considerata a livello microscopico nella sua globalità ed unità,
per poter spiegare la realtà macroscopica arricchendo, tra l’altro, sempre più
il vocabolario di pubblicazioni scientifiche con aggettivi come “eleganza” e
“bellezza”.

È giunto il tempo di abbracciare la complessità [...]. Un motivo ec-


cellente per rispondere positivamente alla sfida intellettuale posta
dai sistemi chimici è che la complessità spesso genera proprietà
emergenti che non sono presenti nei componenti di una miscela
complessa ma si manifestano soltanto come risultato delle intera-
zioni tra molecole14.

Con queste parole sir Fraser Stoddart, professore di chimica alla Northwe-
stern University – USA, apre un suo interessantissimo articolo sulla chimi-

32 nu 224
antonio puglisi

ca e le proprietà emergenti che sintetizza anche decenni del suo lavoro nel
campo della chimica organica e supramolecolare su una rivista chimica di
altissimo prestigio come Angewandte Chemie. International Edition.

6. tra atomi e icona: aperti al mistero

Guardando attraverso la “lente” del chimico possiamo cogliere la realtà


che ci circonda come una unità a molti livelli. Ma che relazione c’è tra questi
differenti livelli di descrizione? Il “riduzionista” integrale ha la risposta pron-
ta: alla fine, tutto si riduce alla fisica. Il resto non è altro che un’increspatura
epifenomenica sulla superficie di un sostrato fisico. Questa risposta è molto
semplice, ma non è plausibile.
I girasoli di Vincent Van Gogh (Figura 5) sono allora solo un insieme di
pigmenti di solfuro di cadmio
(CdS) nella forma cristallina
esagonale della greenockite? E il
vibrante giallo che ci coinvolge,
semplicemente il frutto dell’inte-
razione tra il nostro nervo ottico
e l’elettrone che salta dalla banda
di valenza a quella di conduzione
del semiconduttore CdS? Questo
è di certo ciò che “vediamo” ana-
lizzando il quadro da un punto di
vista chimico-fisico. La chimica
analitica in questo caso non ci
rivelerà di certo un ingrediente
extra, qualcosa come lo spirito
dell’arte o l’anima di Van Gogh.
Posso descrivere un girasole
come un insieme di protoni, neu-
troni ed elettroni che danzano
vorticosamente gli uni attorno Figura 5 – I girasoli di Vincent Van Gogh

nuova umanità 224 33


focus. scienza, natura, cosmo
Tra atomi e icona

agli altri, o, attraverso un’analisi chimica, come un insieme di atomi in varie


proporzioni, o come un’organizzazione cellulare con un suo corredo genetico
o secondo una classificazione in termini di tassonomia botanica. Nulla di tut-
to ciò può però ancora trasmettere l’idea del girasole come un breve sonetto
o un dipinto. Sono forse meno vere le prime descrizioni rispetto alle ultime?
Ciascuna ci porta un’informazione sull’idea di girasole.
Potremmo estendere la nostra riflessione anti-riduzionista della realtà al
modo in cui guardiamo il creato e l’uomo, e qui la lettera enciclica Laudato si’
ci offre tantissimi spunti di riflessione.

Ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso


intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce,
ma la creazione può essere compresa solo come un dono che sca-
turisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illumi-
nata dall’amore15.

Posso percepire la persona come un aggregato di atomi, ma anche come


un sistema biochimico aperto in interazione con l’ambiente, o come un
esemplare di homo sapiens, come un oggetto di bellezza, o come qualcuno i
cui bisogni meritano il mio rispetto e la mia compassione. Tutti questi aspetti
sono veri e coesistono in maniera misteriosa in quell’unica persona. «Quindi
c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel
volto di un povero»16.
Come papa Francesco ci suggerisce, è una questione di sguardo di fronte
alla realtà: «Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un
mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode»17.
Ogni essere umano, insieme ad ogni altra cosa nell’universo, è allo stesso
tempo “atomi” ed “icona”18. Siamo senz’altro composti di atomi nella nostra
realtà materica di carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, zolfo e pochi altri ele-
menti. Ma allo stesso tempo siamo anche icone, nel senso che in ognuno di
noi è possibile vedere di più di ciò di cui siamo fatti; icone («finestre aperte
sul divino»19, per il credente), immagini che rivelano più di loro stesse.
È necessario dunque guardare alla realtà materiale attorno a noi con uno
sguardo unificante e aperto, e guardare nel modo giusto per cogliere signifi-
cati altri. Guardare alle cose ma anche attraverso le cose, come il poeta ingle-

34 nu 224
antonio puglisi

se George Herbert (1593-1633) ci suggerisce attraverso questi poetici versi:


«A man that looks on glass/ on it may stay his eye /or if he pleaseth, through
it pass, and then the heaven espy»20 («Un uomo che guarda un vetro/ può
fissarvi sopra il suo sguardo / o, se vuole, può guardarvi attraverso, e scor-
gere allora il cielo»).

1
  Cf. I. Prigogine - I. Stengers, Order Out of Chaos: Man’s New Dialogue with Na-
ture, Bantam Books, Westminster (MD) 1984.
2
  Cf. G. Villani, La chiave del mondo. Dalla filosofia alla scienza: l’onnipotenza delle
molecole, CUEN, Napoli 2001.
3
  Cf. A. Strumia - G. Tanzella-Nitti, Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede,
Città Nuova, Roma 2002, cf. «Riduzionismo».
4
  «La teoria cinetica dei gas dimostra che temperatura, pressione e volume di
un gas sono legate al movimento delle molecole che costituiscono il gas stesso.
In questo modello le molecole del gas sono in moto continuo e la loro direzione è
casuale» (moti Browniani).
5
  R.J. Russel, estratto dalla trascrizione della puntata In Whose Image? Evolu-
tion and Spirituality del 7 dicembre 2001, della trasmissione radiofonica Uncommon
Knowledge, http://www.hoover.org/research/whose-image-evolution-and-spiri-
tuality (traduzione italiana a cura dell’Autore).
6
 M. Polanyi, Life’s irreducible structure, in «Science», 21 June 1968, vol. 160
(3834), pp. 1308-1312.
7
 Cf. Proprietà emergenti nella versione online di Stanford Encyclopedia of Philoso-
phy, http://plato.stanford.edu/entries/properties-emergent.
8
  Cf. G. Del Re, The Specificity of Chemistry and the Philosophy of Science, in V. Mo-
sini (ed.), Philosophers in The Laboratory, Editrice Universitaria, Roma 1994, pp. 11-20.
9
  Cf. J.M. Lehn, Supramolecular Chemistry – Concepts and Perspectives, Wiley-
VCH, Weinheim 1995.
10
  Cf. S.K. Chang, - D. Van Engen - E. Fan - A.D. Hamilton, Hydrogen bonding
and molecular recognition: synthetic, complexation, and structural studies on barbiturate
binding to an artificial receptor, in «Journal of the American Chemical Society», 1991,
113, p. 7640.
11
  Cf. A.S. Tayi - A.K. Shveyd - A.C. Sue - J.M. Szarko - B.S. Rolczynski - D. Cao
- T.J. Kennedy - A.A. Sarjeant - C.L. Stern - W.F. Paxton - W. Wu - S.K. Dey - A.C.
Fahrenbach - J.R. Guest - H. Mohseni - L.X. Chen - K.L. Wang - J.F. Stoddart - S.I.

nuova umanità 224 35


focus. scienza, natura, cosmo
Tra atomi e icona

Stupp, Room-temperature ferroelectricity in supramolecular networks of charge-transfer


complexes, in «Nature», 23 August 2012, 488, pp. 485-489.
12
  Cf. R.S. Forgan et al., Nanoporous carbohydrate metal-organic frameworks, in
«Journal of the American Chemical Society» 134.1 (2011), pp. 406-417.
13
  Cf. J. Szejtli, Introduction and general overview of cyclodextrin chemistry, in «Che-
mical reviews» 98, 5 (1998), pp. 1743-1754; V.T. D’Souza - K.B. Lipkowitz, Cyclodex-
trins: introduction, in «Chemical reviews» 98, 5 (1998), pp. 1741-1742.
14
  J.F. Stoddart, From Supramolecular to Systems Chemistry: Complexity Emerging
out of Simplicity, in «Angew. Chem. Int. Ed.» 2012, 51, pp. 12902-12903 (traduzione
italiana a cura dell’Autore).
15
 Francesco, Laudato si’, 76.
16
  Ibid., 233.
17
  Ibid., 12.
18
  Cf. M. Fuller, Atoms and Icons – A Discussion of the Relationships Between Scien-
ce and Theology, Mowbray, London 1995.
19
  S. Lash, Icons, in A New Dictionary of Christian Theology, a cura di A. Richardson
e J. Bowden, SCM Press, London 1983, pp. 274-275.
20
  Dal poema The Elixer, uno della serie di poemi sotto il titolo The Temple. Di-
sponibile in diverse edizioni (traduzione italiana a cura dell’Autore).

36 nu 224
focus. scienza, natura, cosmo

Conoscenza scientifica
e valori

1. introduzione1
Klaus
Che rapporto c’è tra la natura della conoscenza
Colanero scientifica e la scelta delle nostre azioni sulla natura?
fisico e filosofo Tra il modo in cui decidiamo di intervenire sulla natura
della scienza. e ogni nuova scoperta della scienza? Consapevolmente
insegna storia o meno, quando intraprendiamo un’azione, lo faccia-
e filosofia mo in base a quello che crediamo di sapere riguardo
della scienza alle sue conseguenze. Cosa può dirci a questo riguardo
nell'ambito del
programma quel particolare tipo di conoscenza che va sotto il nome
di fondamenti di scienza moderna? Per poter rispondere è necessario
educativi della comprenderne le caratteristiche. A tal fine è necessa-
chinese university rio specificare che intendiamo riferirci alla natura della
of hong kong. conoscenza scientifica dal punto di vista di quella svol-
ta epistemica, il cui inizio, nel 1600, può essere ricon-
dotto, in modo semplificato, ai lavori di Galileo Galilei e
Cartesio, non dimenticando un precursore come Francis
Bacon. Nonostante tale svolta sia stata presto portata a
compimento dal lavoro di Isaac Newton, forse soltanto
nel ventesimo secolo abbiamo iniziato a prendere piena
coscienza di essa. A prendere, cioè, coscienza che non si
è trattato semplicemente di una rivoluzione della nostra
visione del mondo; non si è trattato semplicemente di
un’accelerazione senza precedenti nel numero di sco-
perte sulla natura e nello sviluppo tecnologico; ma che,
invece, si è trattato di una svolta nel modo di definire la
conoscenza: una conoscenza definita attraverso i suoi
metodi e i loro rispettivi limiti di applicazione.

nuova umanità 224 37


focus. scienza, natura, cosmo
Conoscenza scientifica e valori

2. ambiti e limiti della conoscenza scientifica

Distinzione tra studio dei fenomeni e questioni metafisiche

Una prima caratteristica della scienza moderna è che studia, o meglio,


descrive, analizza e cerca di predire, i fenomeni. Essa non si occupa della
realtà sottostante ai fenomeni. E, come vedremo, per suo statuto non può
occuparsene.
Fino a Galileo, o meglio, fino a Newton, con alcune eccezioni come
Francis Bacon, la distinzione tra descrizione dei fenomeni e speculazione
metafisica, sull’ontologia, sulla realtà soggiacente, non era chiara. Le scien-
ze della natura, in Europa, si basavano ancora su fondamenti aristotelici.
Questi, se da un lato davano un ruolo centrale all’osservazione empirica e
alla deduzione, dall’altro includevano elementi metafisici, e quindi general-
mente fuori dall’esame dell’esperienza empirica. Un esempio emblematico
è quello della causa finale aristotelica. È vero che, soprattutto in biologia,
spesso parliamo di funzione o, addirittura, di scopo di una proteina, o di
un organo, o di una specie all’interno di un ecosistema... Ma, dal punto di
vista della conoscenza scientifica, tale espressione è una conveniente ab-
breviazione di espressioni, a volte molto più lunghe e complesse, che non
implicano il concetto di fine.
Un semplice e rozzo esempio è dato dall’affermazione: «nell’ecosistema
del bosco X, le api svolgono la funzione di impollinare il fiore appartenente
alla specie Y». Dal punto di vista della conoscenza scientifica, l’informazione
contenuta in quella frase è: «nel bosco X, il fiore della specie Y è impollinato
dalle api», o, al massimo, assumendo qualche informazione aggiuntiva, «nel
bosco X, non ci sarebbe il fiore della specie Y, se non ci fossero le api». Le
ultime due espressioni, contenenti la stessa informazione scientifica della
prima, fanno a meno del concetto di scopo o fine.
Il motivo per cui i concetti di funzione e di scopo (il perché ultimo) esu-
lano dall’ambito della conoscenza scientifica moderna è dovuto al requisito
di falsificabilità di quest’ultima. Il requisito di poter falsificare un’ipotesi e,
quindi, una teoria sarà discusso in seguito. Per il momento sia sufficiente te-
ner presente che la funzione o il fine non sono proprietà intrinseche dell’og-

38 nu 224
klaus colanero

getto o del fenomeno, ma richiedono qualcuno o qualcosa che li dia, li associ


all’oggetto o al fenomeno. Ammesso che esista un fine per un fenomeno
naturale, ciò che lo determina non è qualcosa che possa essere stabilito em-
piricamente. E affermazioni che non possono essere sottoposte all’esame
dell’osservazione empirica non sono considerate false, ma semplicemente
non trattabili con gli strumenti e i metodi della scienza moderna. Tali affer-
mazioni non costituiscono quindi conoscenza scientifica nel senso moderno.

Distinzione tra descrizione e spiegazione

L’argomento sulla causa finale introduce la questione della distinzione tra


descrizione dei fenomeni e loro spiegazione, nel senso fondamentale del ter-
mine (di-spiegare, rivelare cosa c’è dietro). Tale distinzione proposta inizial-
mente da Galileo divenne generalmente accettata grazie al lavoro e all’atteg-
giamento di Newton. Già Galileo aveva distinto il tentar l’essenza delle cose
dal cercare di venir in notizia d’alcune loro affezioni, e cioè delle proprietà delle
cose e dei fenomeni ad esse connessi2. E aveva sostenuto l’estrema difficoltà
della ricerca dell’essenza delle sostanze naturali in contrasto con la concre-
ta possibilità dell’uomo di conseguire una buona conoscenza dei fenomeni.
Newton formalizza, con un atteggiamento radicale, tale posizione nello Sco-
lio ai Principia3, attraverso la sua nota risposta a chi gli chiedeva quale fosse
la causa o la natura della gravitazione universale, «Hypotheses non fingo», che
in quel contesto significava principalmente «non formulo ipotesi (metafisi-
che)» senza il sostegno dell’osservazione.
La consapevolezza della distinzione tra la capacità di descrivere e predire
accuratamente i fenomeni (o le proprietà) e quella di conoscere le essenze
è spesso molto debole tra i nostri contemporanei, anche scienziati, ma è
di cruciale importanza per comprendere il valore conoscitivo della scienza
e allo stesso tempo evitare indebite e ingenue implicazioni. Uno scienziato
accorto è, ad esempio, consapevole del fatto che la conoscenza accurata
dei fenomeni elettromagnetici non ci dice, in fondo, se effettivamente esista
un’entità campo elettromagnetico, o se esso sia soltanto un utile strumento
matematico per descrivere convenientemente i fenomeni.

nuova umanità 224 39


focus. scienza, natura, cosmo
Conoscenza scientifica e valori

Poiché si occupa dei fenomeni e non delle essenze, la scienza moderna


non può fare a meno dell’osservazione empirica. La necessità di riferirsi alle
esperienze sensibili non è cioè una scelta ideologica. Al contrario, è l’unica
pratica coerente all’ambito di validità scelto, alla limitazione auto-imposta
dall’uomo alla sua scienza.

Il problema dell’induzione

Naturalmente, l’osservazione empirica solleva il problema classico


dell’induzione, già sollevato e analizzato in dettaglio da Hume nel 17004.
Esso consiste nel fatto che inferire una legge generale da un numero finito,
per quanto grande, di osservazioni è logicamente non corretto. Di fatto, però,
la maggioranza delle leggi generali nei vari ambiti delle scienze della natura
è stata proposta facendo induzione dal particolare al generale (o all’univer-
sale). Tale questione viene tuttora, spesso, risollevata per sostenere o che la
scienza poggi su basi fragili oppure che l’uomo possieda capacità cognitive
non riducibili a un numero finito di operazioni logiche.
Fortunatamente, i limiti imposti alla scienza moderna riducono grande-
mente, o addirittura annullano, il problema dell’induzione. Ciò per due motivi.
Il primo è che qualsiasi affermazione di carattere generale, per quanto ragio-
nevole e non contraddetta dalle osservazioni, rimarrà sempre soggetta all’e-
same empirico, al confronto con nuovi fenomeni, o in generale nuovi fatti che
accadono nel mondo. Il secondo motivo, più profondo, viene esposto dal fisico
e filosofo Hans Reichenbach. Egli mostra che fare induzione da un numero
finito di dati a nostra disposizione per ottenere una legge generale è, in ogni
caso, il meno peggio che possiamo fare dal punto di vista epistemologico, se
vogliamo cercare di prevedere quali fenomeni si presenteranno in seguito o
almeno di stimarne la probabilità. Si tratta cioè, ancora una volta, di essere
consapevoli dei limiti della conoscenza umana per poterla utilizzare al meglio.
Si è, quindi, consapevoli che le affermazioni scientifiche ottenute per induzio-
ne costituiscono una conoscenza fragile, ma, come dimostra Reichenbach con
un argomento troppo lungo da riportare nel presente articolo, qualsiasi altro
approccio è meno giustificabile e porta a una conoscenza più fragile5.

40 nu 224
klaus colanero

Falsificabilità

Come ho accennato all’inizio, forse soltanto nel secolo scorso l’uomo ha


iniziato a prendere chiara coscienza dei limiti e del potere conoscitivi della
scienza. Un aspetto cruciale di tale consapevolezza è il requisito di falsifica-
bilità che una teoria deve avere per poter essere definita scientifica.
Come è noto, il maggior contributo alla riflessione sulla falsificazione
delle teorie scientifiche è dovuto a Karl Popper6. L’idea centrale è legata al
problema dell’induzione: indipendentemente da quanti esperimenti o osser-
vazioni facciamo, non potremo mai definitivamente confermare una teoria o
un’ipotesi generali. C’è sempre la possibilità che, in un qualche luogo o in un
qualche tempo non esplorati, quell’ipotesi o quella legge non valgano.
Ciò che però, in linea di principio, potendo ridurre a piacere gli errori spe-
rimentali, possiamo affermare con certezza è se una teoria scientifica non
vale. A tal fine, è sufficiente osservare una sola istanza in cui essa non sia
rispettata e la sua validità generale crolla. L’esperimento, che viene comu-
nemente inteso come finalizzato alla conferma di una teoria scientifica, è in
real­tà quel momento del metodo in cui la conoscenza scientifica si sottopo-
ne alla prova della sua falsificazione, con la consapevolezza, in ogni caso, di
non poter mai dichiarare la vittoria finale.

Valore della scienza moderna

A questo punto è legittimo chiedersi: qual è il valore di tale conoscenza?


Se la conoscenza scientifica non può mai essere considerata definitiva, cosa
essa ha di meglio o di più rispetto ad altre forme di sapere?
Innanzitutto, il valore della conoscenza scientifica moderna risiede nei
suoi valori fondanti. Non può, cioè, essere cercato tra i suoi prodotti o deri-
vato da essi. Ciò è efficacemente espresso da A. Eddington quando afferma:

Il problema della conoscenza costituisce uno strato esterno, sotto


il quale giace un altro problema filosofico – il problema dei valori.
[…] È necessario guardare non alla conoscenza stessa, ma ad una

nuova umanità 224 41


focus. scienza, natura, cosmo
Conoscenza scientifica e valori

tensione nella natura umana, che non ha da essere giustificata dalla


scienza o dalla ragione, perché è essa stessa la giustificazione della
scienza, della ragione, dell’arte, della condotta7.

Quali sono i valori fondanti della scienza moderna? La verità empirica e


la verità logica.
La svolta epistemica costituita dalla centralità del metodo consiste in re-
altà in una svolta nei valori alla base della scienza, o meglio, come direbbe il
filosofo Giulio Preti, in una diversa gerarchia di valori che pone al primo posto
la verità empirica intersoggettiva e la verità logica8.
Citando Ernst Gellner9 si può affermare che, mentre nelle scienze premo-
derne la corrispondenza al bello, al buono, al socialmente appropriato era
considerata criterio valido per l’accertamento della correttezza di un’ipotesi
o di una teoria, i moderni filosofi della natura hanno scelto come unico crite-
rio per convalidare una conoscenza quello del rispondere alla domanda: «È
vero?».
I valori del bello e del buono possono a volte aiutarci a selezionare le ipo-
tesi più promettenti, o assistere l’intuizione nel formulare teorie particolar-
mente originali, ma non possono costituire un criterio affidabile per decidere
se una teoria scientifica è o meno una fedele descrizione del mondo.
È emblematico, a tal proposito, l’esempio della scoperta delle macchie
solari da parte di Galileo10. Vari suoi contemporanei, in buona fede, non riu­
scivano a riconoscere la sua scoperta, anche di fronte alla chiarissima evi-
denza empirica, poiché essa violava alcuni valori fondanti della loro scienza:
l’autorità dei grandi del passato (Aristotele, in questo caso), i valori del buo-
no e del bello (il Sole è un simbolo di Dio, non è né bene né bello che non
sia perfetto). Il fatto è che per la nostra natura umana è molto difficile, se
non impossibile, dedurre come funziona il mondo a partire dal buono e dal
bello mentre, come Galileo potrebbe far notare, per nostra fortuna le sensate
esperienze e le certe dimostrazioni possono almeno dirci se stiamo sbagliando.
Prendendo in considerazione quanto presentato sopra, qualcuno, in li-
nea di principio, potrebbe ancora legittimamente affermare che la scienza
moderna è una conoscenza povera, incerta, potenzialmente lontana dal-
la verità e incapace di parlare della realtà. L’osservazione empirica, però,

42 nu 224
klaus colanero

con tutte le sue limitazioni, non è uno strumento qualsiasi a disposizione


dell’uomo. Ignorare o svalutare la conoscenza ottenuta per mezzo dell’os-
servazione empirica ha profonde implicazioni riguardo alle scelte morali
dell’uomo. A questo riguardo è inoltre importante notare come, alla luce
dell’evento dell’Incarnazione e del rilievo dato da Gesù alle evidenze empi-
riche, giustificare un tale atteggiamento sia particolarmente problematico
per un cristiano.
Un importante aspetto del requisito della falsificabilità empirica delle
teorie scientifiche è che esso, una volta accettato, prescinde dai processi
storici, sociali, o in generale culturali, che portano all’affermarsi di un nuovo
paradigma scientifico al posto di un altro11. Piuttosto, nell’ambito della scien-
za moderna, l’esistenza di diversi paradigmi testimonia la natura descrittiva
e non esplicativa (o rivelativa) della scienza, ma essi non sono un problema.
Se la teoria è esaminabile empiricamente, dal punto di vista strettamente
scientifico, il fatto che un paradigma supponga uno spazio-tempo assoluto o
uno relativo al moto, l’esistenza di particelle o soltanto di onde, di proprietà
definite o intrinsecamente indeterminate, non costituisce alcun problema.
Ciò implica anche che paradigmi diversi da quelli presenti in Europa al tempo
di Galilei e Newton non debbano, a priori, essere considerati ostacoli alla na-
scita della metodologia scientifica moderna12. Quel che conta è l’emergere di
un gruppo di persone che pongano il valore della verità davanti a quelli della
tradizione, del buono e del bello.

3. conclusione

Prima di concludere tornando alle domande iniziali sul rapporto tra la


natura della conoscenza scientifica e le nostre scelte riguardo all’ambiente,
vorrei far notare come, in base a quanto detto precedentemente, l’attività
scientifica, portata avanti con la consapevolezza dei suoi limiti e dei suoi
ambiti, ci renda più umani, non meno. Infatti, essa consiste innanzitutto in
una scelta di valori: i valori dell’umiltà e dell’onestà intellettuali che portano
a valutare e a riconoscere i propri limiti e, coerentemente, a stabilire un me-
todo fondato proprio sul rispetto di tali limiti epistemici.

nuova umanità 224 43


focus. scienza, natura, cosmo
Conoscenza scientifica e valori

L’attività scientifica implica la scelta di un tipo di conoscenza intrinseca-


mente intersoggettiva, nel senso che essa richiede necessariamente il con-
fronto con gli altri soggetti della conoscenza, con gli altri uomini, e diventa
conoscenza situata tra i soggetti, oltre che nei singoli soggetti.
Come abbiamo visto, l’osservazione empirica ed intersoggettiva, insie-
me alla verità logica, è valore alla base della scienza moderna. La scienza
moderna non può suggerire valori, ma non è avaloriale: essa è basata su una
gerarchia di valori che parte, appunto, dalla verità empirica intersoggettiva.
Cosa può dirci la scienza riguardo ai valori legati al nostro rapporto con
l’ambiente? Può essa fornirci indicazioni riguardo alla legittimità del nostro
atteggiamento nei confronti della natura? La scienza moderna non può indi-
carci positivamente i valori su cui basare le nostre scelte, ma i suoi risultati
possono darci indicazioni in negativo riguardo alla domanda «è bene com-
piere tale azione?». Ciò accade quando le nostre scelte di valore, e le con-
seguenti nostre intenzioni, si scontrano con le osservazioni empiriche, con
quello che, di fatto, a prescindere dalle nostre convinzioni, la natura fa. In tal
caso ci si trova di fronte a due possibilità: ignorare l’evidenza empirica, con
tutte le sue gravi conseguenze, oppure riconsiderare i nostri valori, o almeno
la loro gerarchia.
Un classico esempio di tale interazione tra conoscenza scientifica e valori
è dato dai diversi atteggiamenti nei confronti dei disastri naturali. È tuttora
non raro trovare chi, ad esempio, associa un terremoto a un avvertimento
o ad una purificazione da parte di Dio o di Madre natura nei confronti delle
persone colpite. Notare, e riconoscere, che i terremoti risultano accadere a
prescindere dalla condotta di vita delle popolazioni colpite spinge a cambia-
re idea riguardo alla possibile causa finale di tali fenomeni e, di conseguenza,
non solo ad aiutare le vittime, ma anche a intraprendere delle concrete azioni
di prevenzione dei danni. Al contrario, la possibilità, sempre presente, di tro-
vare una giustificazione non-falsificabile alle proprie convinzioni, a dispetto
dell’evidenza empirica, spinge ad agire in direzioni diverse: nel caso del pre-
sente esempio, nella direzione dell’inazione o della poca azione.
Il cuore del problema risiede nel fatto che la natura sembra operare a
prescindere dalle nostre convinzioni ideologiche, religiose o di altro tipo. Di
conseguenza, l’approccio più saggio alla comprensione della natura sembra

44 nu 224
klaus colanero

essere quello di osservarla e di interagire con essa, senza aspettarsi che essa
segua delle idee presenti a priori nella nostra mente.
Tale approccio è alla base di scelte operate in base a un’etica della re-
sponsabilità riguardo alle conseguenze delle nostre azioni sull’ambiente e
sui nostri simili. Un importante e non scontato esempio di tale atteggiamen-
to emerge dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Se da un lato è chia-
ro che le intenzioni si basano su valori e convinzioni13, dall’altro lato il papa
sottolinea con forza la responsabilità e le conseguenze delle nostre azioni14
e afferma che, anche come cristiani, è necessario riferirsi alle conoscenze
scientifiche per prendere decisioni responsabili15. L’autonomia di principio
dei valori umani dalla conoscenza si integra con il dovere morale di rico-
noscere e affrontare i non soggettivi fenomeni naturali: per fare il bene, le
buone intenzioni non sono sufficienti ed è invece necessario far anche uso di
quell’umile ma affidabile forma di conoscenza che va sotto il nome di scienza
moderna.
In conclusione, come già menzionato, è in ogni caso fondamentale tener
sempre presente che è esercizio futile cercare positivamente sostegno, per
la validità dei nostri valori, nei risultati della scienza, se non altro perché,
anche per quanto riguarda la conoscenza, è potere della scienza moderna
falsificare ipotesi, non confermarle.

1
  Questo lavoro è parzialmente finanziato dal Centro Nazionale delle Scienze
della Polonia, attraverso il Grant n. DEC-2012/07/D/HS2/03673. This document
is licensed under the User Field License Name = Attribution 3.0 Unported license,
available at http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/
2
  Cf. G. Galilei, Le opere di Galileo Galilei, a cura di A. Favaro, Barbera, Firen-
ze 1964; S. Rondinara, Il concetto di “limite” nella razionalità scientifica, in «Sophia»,
2011/2.
3
  Cf. I. Newton, General scholium – Philosophiae naturalis principia mathematica,
Cambridge 1713. Reperibile su http://www.gutenberg.org/ebooks/28233.
4
  Cf. D. Hume, An Enquiry Concerning Human Understanding, 1748. Reperibile su
http://www.gutenberg.org/ebooks/9662.
5
  Cf. H. Reichenbach, Experience and prediction: an analysis of the foundations and
the structure of knowledge, University of Chicago Press, Chicago 1938.

nuova umanità 224 45


focus. scienza, natura, cosmo
Conoscenza scientifica e valori

6
  Cf. K. Popper, Conjectures and Refutations, Routledge and Keagan Paul, London
1963.
7
  A. Eddington, The philosophy of physical science, University of Michigan Press,
Ann Arbor 1958.
8
  Cf. G. Preti, Retorica e logica. Le due culture, Einaudi, Torino 1968.
9
  Cf. E. Gellner, Legitimation of Belief, Cambridge University Press, Cambridge
1979.
10
  Cf. G. Galilei, Sidereus Nuncius, 1610. Reperibile su http://www.liberliber.it/
mediateca/libri/g/galilei/sidereus_nuncius/pdf/galilei_sidereus_nuncius.pdf.
11
  Cf. T. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, University of Chicago Press,
Chicago 1962.
12
  Ad esempio, come fanno notare due grandi sinologi e storici della scienza
del calibro di Joseph Needham e Nathan Sivin, non si può, a rigore, sostenere che
la scienza moderna non sia nata in Cina a causa della tradizionale visione cinese
del mondo, del paradigma basato sulle cinque operazioni (o elementi) e le due forze
dello Yin e dello Yang. Cf. N. Sivin, Why the Scientific Revolution Did Not Take Place in
China – or Didn’t It?, in «Chinese Science» 1982, 5, pp. 45-66. Reperibile su http://
ccat.sas.upenn.edu/~nsivin/scirev.pdf; J. Needham, Science and Civilisation in China,
vol. 7, Cambridge University Press, Cambridge 2004.
13
  Cf. Francesco, Laudato si’, 11 e 14.
14
 Cf. ibid., 169.
15
 Cf. ibid., 61 e 188.

46 nu 224
focus. scienza, natura, cosmo

Relazione persona-natura
Il recupero dei significati

La formalità con cui ci accostiamo al tema sul rappor-


Sergio to tra persona umana e natura, per questo breve lavoro,
Rondinara è di tipo umanistico. Un tale approccio – almeno come
qui viene inteso – non esclude assolutamente i contribu-
docente di ti forniti dalle varie scienze che si occupano della que-
epistemologia stione ambientale, anzi li presuppone perché è soltanto
e cosmologia a partire dai loro dati reali che possiamo cogliere ogget-
presso l’istituto tivamente con adeguata misura la portata dei problemi
universitario
sophia di figline e conseguentemente la loro rilevanza umanistica.
e incisa valdarno Questa scelta è motivata dal fatto che la rilevanza
(firenze). umanistica della questione ambientale è attestata in-
nanzitutto dall’etimologia stessa del termine ecologia
(discorso sulla casa): infatti la Terra, la nostra casa, oggi
costituisce per noi un’inscindibile unità di elementi na-
turali e umani e quindi culturali. Inoltre è avvalorata dal
fatto che la persona umana è l’unico essere naturale che
sia in grado di percepire e ascoltare la propria coscien-
za morale e agire di conseguenza responsabilmente di-
nanzi alle sfide che gli vengono lanciate dalla questione
ambientale stessa.
Infine la rilevanza umanistica di un tale rapporto è at-
testata oggi anche dalla convinzione sempre più diffusa
che la crisi ambientale non sia un problema passeggero
dalle soluzioni immediate: essa si caratterizza come un
problema strutturale nelle società industriali e per ricer-
carne la soluzione occorre inevitabilmente toccare alla

nuova umanità 224 47


focus. scienza, natura, cosmo
Relazione persona-natura

radice quei modi del pensiero, quelle idee e categorie che hanno segnato la
cultura delle società industriali negli ultimi tre secoli.
Ora, un fattore antropologico, culturalmente rilevante, che caratterizza
l’oggi di noi uomini e donne, e in particolar modo quelli delle società in-
dustriali, è lo sperimentare la capacità di dominare1 su un numero sempre
maggiore di eventi naturali e globalmente di sentirci sempre più padroni
della natura, sempre più capaci di esercitare su di essa un controllo che cor-
risponde a un vero e proprio dominio.
Un dominio, questo, che non può sorprenderci perché già annunciato
agli inizi del Seicento da quegli spiriti che con le loro riflessioni diedero vita
agli albori dell’era moderna. Tra questi, Francis Bacon sostenne che lo scopo
del sapere scientifico non è semplicemente quello di conoscere i segreti del-
la natura, ma di conquistarla, sottometterla, perché la conoscenza è potere2,
è possibilità e dominio. Inoltre considerò tale sapere un mezzo al servizio
dell’umanità di cui essa si sarebbe potuta servire per piegare la natura alle
sue esigenze e per accrescere il proprio potere. Bacon ritenne anche che
fosse giunta l’ora in cui la specie umana recuperasse quel diritto sulla na-
tura che le apparteneva per eredità divina. Nella sua opera Nuova Atlantide,
Bacon, auspicò la nascita di istituzioni di ricerca e di un’élite scientifica in-
tese come strumenti per estendere sistematicamente il dominio nascente
dell’uomo sulla natura. Altro spirito del tempo René Descartes affermò che
la persona umana è maître et possesseur de la nature e giustificò tale sovra-
nità sulla base dall’unicità razionale dell’uomo rispetto a qualunque altro
essere vivente.
Ai giorni nostri, il crescente sviluppo scientifico e tecnologico e la relati-
va razionalità strumentale che lo alimenta hanno prodotto una civilizzazione
della tecnica in cui la visione della storia e del futuro dell’umanità è pre-
sentata come una realtà del tutto programmabile e pianificabile. Ricercare,
pianificare e realizzare le singole fasi del progetto sono i tre imperativi fon-
damentali su cui poggia la forza della civiltà della tecnica. Tutto ciò che in
passato era attribuibile al destino, o all’azione di Dio nella storia personale
e collettiva, lo consideriamo oggi ben saldo nelle nostre mani e incluso – at-
traverso l’abituale dominio sugli eventi – nella nostra capacità di progettare
e quindi di pianificare il futuro.

48 nu 224
sergio rondinara

In una situazione culturale in cui la razionalità della tecnica si sostituisce


al vuoto lasciato dalle ideologie e dalla religione3 la persona umana crede
non solo di aver finalmente preso in mano – mediante la sua progettualità
– le redini della propria esistenza, ma si sente anche artefice e signore della
propria storia. Una società di tali uomini e donne tende a vivere la propria
tensione verso il futuro imbrigliata nelle capacità progettuali e pianificatrici
che la caratterizzano e non si accorge di essersi impoverita nella capacità
di pensare.
Questa nostra tendenza al dominio si esprime non soltanto nell’acquisi-
zione, attraverso l’attività scientifica, di una conoscenza sempre più ampia
degli intimi segreti della natura, ma soprattutto nell’intervenire con forza
sull’habitat naturale, il quale sospinto oltre le proprie capacità di carico ne
risulta seriamente intaccato.
Se nel passato il rapporto tra persona umana e natura è stato un rappor-
to armonioso e spesso di collaborazione (basti pensare alla società agrico-
la e contadina) oggi esso ha assunto una configurazione critica alla quale
comunemente diamo il nome di crisi ambientale4. Con questa espressione
si intende quel deterioramento del rapporto tra società umana e ambiente
naturale tipico dei Paesi industrializzati, ma che ormai si sta estendendo ad
ogni latitudine.
Per quanto detto la crisi ambientale rimanda, a mio avviso, a una crisi più
profonda che investe la persona umana nella sua interezza, essa è il campa-
nello d’allarme di una profonda crisi antropologica; è figlia di una precisa con-
cezione che l’uomo moderno e contemporaneo ha di sé. Un uomo (e quindi
un’umanità) che nella ricerca della propria affermazione, della propria au-
torealizzazione si è conformato più all’homo faber che all’homo sapiens, e si è
autonominato padrone assoluto del proprio destino e della natura.
Se da un lato, però, coltiviamo questa capacità di dominio che ci dà la
scienza con le sue conoscenze e la tecnica con i suoi prodotti, dall’altro ci
scopriamo nel profondo di noi stessi alla ricerca di un approccio e di una
fruizione della natura non invasiva e rispettosa delle sue armonie. Nel pro-
fondo siamo alla ricerca di una natura non trasformata, in modo tale da af-
fermare un’alterità di cui abbiamo una struggente nostalgia. La natura con
le sue esuberanti manifestazioni di vita, con i suoi equilibri si pone dinanzi a

nuova umanità 224 49


focus. scienza, natura, cosmo
Relazione persona-natura

noi come quell’alterità, quella purezza – anche se a volte idealizzata – nella


quale vorremmo specchiarci. Nel profondo cerchiamo di immergerci in essa
per viverla pienamente, per coglierne i significati simbolici non tanto per
valorizzarla intellettualmente, quanto per viverla da dentro.
Credo, e qui è la tesi che propongo, che un rapporto persona-natura rin-
novato e adeguato all’oggi passi necessariamente attraverso il recupero del
significato delle relazioni che legano ciascuno di noi alla natura stessa.
Ma come è possibile questa operazione culturale?
Come è possibile recuperare il significato delle relazioni che ci legano
alla natura?
Questo interrogativo è una sfida culturale non irrilevante, sia perché non
abbiamo risposte immediate, sia perché occorre intraprendere una ricerca
a tutto campo che ci mostri la ricchezza semantica dei termini “persona”,
“natura” e delle “relazioni” che tra loro intercorrono.
Una tale sfida non si può non articolarla che su vari livelli. Ne presento
quattro: livello antropologico culturale, livello del pensiero, livello etico e li-
vello religioso.
Questi quattro livelli sono altrettanti sentieri per il recupero dei significa-
ti che stiamo cercando e allo stesso tempo sono anche altrettanti momenti
di un percorso educativo personale e sociale tutto da esplorare.

1. livello antropologico culturale

Presenza storica sul territorio

Recuperare il significato delle relazioni che ci legano alla natura, per una
parte di noi, vorrà dire recuperare sul proprio territorio quelle tradizioni che
hanno culturalmente segnato il passato delle generazioni che ci hanno pre-
ceduto, per potervi riscoprire elementi vitali, quali atteggiamenti, compor-
tamenti e forme educative di un rapporto con la natura ricco di significati.
Un passo di tale cammino potrebbe essere il recupero di quegli elementi
vitali della civiltà agricola e contadina, o ancor prima delle culture antiche
che ci hanno preceduto con la loro presenza sul territorio da noi ora occupa-

50 nu 224
sergio rondinara

to, che nella loro ricchezza simbolica, sapienziale, religiosa e artistica anco-
ra oggi possono esserci di luce per recuperare, all’interno di una società for-
temente artificializzata, il significato delle relazioni che ci legano alla natura.
Solo la conoscenza di un mondo diverso da quello di oggi, ma realmente
esistito, può aiutarci a oggettivare e a cogliere le carenze del nostro tempo.
Senza distogliere lo sguardo dal futuro, sarà il passato ad offrirci questo tipo
di conoscenza. Oggi più che mai chi non è ancorato a una tradizione cultu-
rale non sarà in grado di organizzarsi un futuro migliore.
Su tale sentiero non sarà raro imbattersi in casi o pagine di grande signi-
ficato come la lettera che il capo Seathl, della lega Duwanish dei nativi del
Nord America, inviò al presidente degli Stati Uniti d’America Franklin Pearce,
nel 1854, in risposta alla sua richiesta di vendere tutte le terre dei nativi ad
eccezione di una riserva. La lettera – di cui propongo alcuni brani – è un docu-
mento che attesta l’affermarsi dell’attuale modello economico-utilitaristico
e mostra i segni vitali di una civiltà che nel nome del progresso è andata
distrutta.

Il grande Capo che sta a Washington ci manda a dire che vuole


comprare la nostra terra. […] Ma come potete comprare il cielo, il
calore della terra? Questa idea è strana per noi. Noi non siamo pro-
prietari della freschezza dell’aria e dello scintillio dell’acqua: come
potete comprarli da noi? Ogni parte di questa terra è sacra al mio
popolo. […] Noi siamo parte della terra ed essa è parte di noi. I fiori
profumati sono nostre sorelle. Il cervo, il cavallo e l’aquila sono no-
stri fratelli. […] Ma forse io sono un selvaggio e non capisco. […] Noi
venderemo questa nostra terra che amiamo come il neonato ama il
battito del cuore di sua madre. E voi amatela come l’abbiamo amata
noi. Abbiatene cura come ne abbiamo avuto cura noi, conservatela
per i vostri figli e amatela come Dio ci ama tutti5.

Siamo nel 1854, l’anno successivo le terre vennero invase da minatori e


coloni.

nuova umanità 224 51


focus. scienza, natura, cosmo
Relazione persona-natura

Stili di vita

Mi soffermo ora, sia pur brevemente, a sottolineare l’importanza di que-


gli atteggiamenti pratici chiamati stili di vita6 . Essi sono già il frutto di aver
recuperato alcuni significati della natura, ma allo stesso tempo, nella loro at-
tuazione quotidiana, ci conducono a un recupero ulteriore di tali significati.
Uno stile di vita è il risultato della nostra personale assunzione di re-
sponsabilità dinanzi alla crisi ambientale e si caratterizza per un particolare
modo di organizzare la propria esistenza in maniera sobria e responsabile.
Esso esprime un insieme di preferenze personali implementate nella prassi
quotidiana al punto che sono un luogo dove la responsabilità e le scelte del
singolo s’intrecciano con la vita sociale fino a toccare il livello delle istituzio-
ni pubbliche.
Parlare di uno stile di vita responsabile, riguardo alla crisi ambientale,
implica necessariamente un riferimento al mondo dei beni di cui usufruiamo
quotidianamente e che la pubblicità strumentalizza, inducendo false esigen-
ze, per riempire e appagare la nostra esistenza.
Per chi vive immerso in una società dei consumi non è facile percepire
quanto si è bombardati continuamente da stimoli per desiderare dei beni
non tanto necessari o di prestigio, ma in realtà spesse volte dei beni futili,
veri status symbol il più delle volte privi di ogni significato reale per l’esisten-
za di una persona.
Espressioni quali essenzialità nei consumi, efficienza della produzione dei
beni, gratuità e sostenibilità sociale del lavoro sono delle vere e proprie espres-
sioni chiave per realizzare uno stile di vita responsabile riguardo alle proble-
matiche ambientali.

2. livello del pensiero

Sul piano del pensiero, se da un lato abbiamo la necessità di proseguire


quel percorso millenario sull’approfondimento del concetto di persona uma-
na, dall’altro abbiamo la necessità di ridefinire il concetto di natura.

52 nu 224
sergio rondinara

Questo perché la crisi ambientale ha le sue radici in alcune direttive dello


spirito umano che hanno condotto la civiltà occidentale a fare propri alcuni
valori e categorie e non si potrà avere un vero e autentico cambiamento se
non sostituendo questi valori e categorie.
Il concetto di natura non potrà essere più inteso come la sfera del non
umano, tipico del paradigma cartesiano oggi dominante in cui vige una rigida
contrapposizione tra soggetto e oggetto, ma come totalità del mondo fisico
includente anche gli stessi esseri umani.
Il fallimento, tanto teoretico quanto pratico, sia del modello cartesiano
di una giustapposizione separante tra persona e natura, sia del modello che
li identifica – penso qui a un ricorrente monismo ontologico che attraversa
molto del pensiero ambientale contemporaneo – impone oggi la messa a
punto di un pensiero dialettico7. Pensiero dove vengano stabiliti legami di
ricorsività tra il soggetto, l’oggetto e l’ambiente che li accoglie. Quindi rela-
zioni di ricorsività tra i termini “persona”, “natura”, “ambiente” che esprima-
no un rapporto di mutua generazione e immanenza nel senso che ciascun
termine è allo stesso tempo causa ed effetto dell’altro.

3. livello etico

La consapevolezza che i danni inferti all’ambiente naturale minacciano


sempre più le basi della vita stimola il formarsi di una coscienza morale sulla
questione ambientale e ci spinge alla ricerca di princìpi etici basilari con i
quali informare un personale e rinnovato rapporto con la natura. Ma anche
in questo ambito, come nel livello del pensiero, siamo chiamati a dei neces-
sari e profondi cambiamenti.
Infatti, nel passato le conseguenze delle azioni su cui si misurava la re-
sponsabilità oggettiva delle scelte umane venivano esplicate in una scala
spazio-temporale ridotta. Le azioni umane avevano incidenza soprattutto
“qui” e “ora”. Questa posizione, grazie allo sviluppo tecnologico, è oggi radi-
calmente mutata: le nostre azioni sull’ambiente hanno un orizzonte spazio-
temporale ampiamente dilatato. L’agire della singola persona può avere oggi

nuova umanità 224 53


focus. scienza, natura, cosmo
Relazione persona-natura

ripercussioni in luoghi molto distanti da essa e per una durata temporale


molto estesa, che può andare anche oltre il corso della sua vita.
In altre parole, nel complesso e frammentato panorama etico odierno la
questione ambientale pone all’etica la sfida di andare oltre i due presupposti
fondamentali su cui essa si è articolata durante i secoli:
a) mentre le etiche tradizionali sono centrate sul concetto di persona
umana e sul suo êthos, un’etica che consideri adeguatamente il rapporto
persona-natura deve necessariamente considerare allo stesso tempo sia la
peculiarità dell’uomo sia il valore della natura e l’inserimento umano in essa;
b) mentre le etiche tradizionali considerano il rapporto tra gli uomini al
momento viventi sulla Terra, l’etica ambientale deve necessariamente tener
presente anche i doveri che le attuali generazioni debbono assumere nei
confronti di quelle future e quindi formulare le proprie considerazioni ben al
di là del “qui” e “ora”.

4. livello religioso

Non essendo un esperto di religioni, i riferimenti che farò al fatto religio-


so si limiteranno all’esperienza cristiana.
Gli interrogativi su come poter recuperare i significati – adeguati all’og-
gi – delle relazioni che ci legano alla natura sono una sfida per l’uomo di
fede che nella ricerca di un adeguato e rinnovato rapporto con la natura è
chiamato a far diventare cultura anche quella componente del messaggio
rivelato che riguarda il nostro rapporto con il cosmo.
Oggi, come mai nel passato, la questione ambientale si presenta come
un locus privilegiato dove la fede è direttamente interpellata e dove siamo
invitati a dare le ragioni della nostra speranza (cf. 1 Pt 3, 15).
Nel contesto attuale la fede è interpellata non solo per una risposta
apologetica a chi, come lo storico statunitense Lynn White8, il pensatore
tedesco Carl Amery9 o il filosofo Umberto Galimberti10, ha accusato il cri-
stianesimo di essere la principale causa dell’attuale crisi ecologica, ma an-
che perché è qui chiamata in causa poiché per il credente il pieno recupero
semantico delle relazioni tra persona e natura implica:

54 nu 224
sergio rondinara

a) il superamento di un modello polare persona-natura per aprirsi fatti-


vamente a una relazione Dio-persona-natura;
b) la riscoperta della propria relazione con la natura alla luce di tutta la
relazionalità presente nella creazione secondo la triplice prospettiva della
temporalità: passato, presente e futuro; la quale nell’orizzonte della Rive-
lazione giudaico-cristiana diventa: passato protologico, presente storico e
futuro escatologico.
Alla luce di questa triplice prospettiva si può ottenere una risemantiz-
zazione dei termini “persona umana” e “natura”, e conseguentemente una
loro valorizzazione. Infatti, alla luce della fede cristiana possono essere va-
lorizzati:
- la natura poiché si riconosce che essa, in quanto creazione, ha un valore
in sé, è un’auto-manifestazione di Dio e se ne conosce il fine ultimo: la base
fisica per i cieli nuovi e la terra nuova;
- la rete delle relazioni che la lega a noi poiché si acquisisce la coscienza
che siamo compagni di viaggio verso la ricapitolazione finale11;
- il ruolo creativo che la persona umana ha nel condurre la natura a Dio
poiché ella si auto-comprende come un mediatore capace di valorizzarla e
guidarla verso una pienezza che ancora non possediamo e di coinvolgerla
nello sviluppo culturale dell’umanità attraverso il lavoro umano.
Occorre però, a questo punto, che il pensiero cristiano ricollochi con
chiarezza, alla luce di questa triplice valorizzazione, la posizione antropo-
centrica dei testi genesiaci12. Una tale operazione avrebbe una grande por-
tata culturale soprattutto in ambito etico, dove oggi la miriade di dottrine
sull’etica ambientale è caratterizzata essenzialmente da due impostazioni
di fondo totalmente contrastanti: una antropocentrica e l’altra fisiocentrica.
La prima afferma la fondamentale differenza fra l’uomo e tutti gli ele-
menti naturali che costituiscono il suo habitat. Alla base di questa posizione
vi è il presupposto che la persona umana abbia un ruolo principale all’inter-
no del mondo naturale e che quest’ultimo possieda non un proprio valore
intrinseco, ma il valore che la persona stessa gli attribuisce.
La seconda impostazione, quella fisiocentrica, afferma la preservazio-
ne della natura indipendentemente dagli interessi dell’uomo. Quest’ulti-
mo, appartenendo anch’egli alla natura come qualunque altro elemento

nuova umanità 224 55


focus. scienza, natura, cosmo
Relazione persona-natura

biotico, deve vivere in consonanza con essa uniformandosi alle sue leggi.
Conseguentemente è moralmente corretto tutto ciò che mantiene gli eco-
sistemi nelle migliori condizioni possibili ed è illecito tutto ciò che possa
danneggiarli.
Ora, come si è detto, il pensiero cristiano è invitato a ridefinire il carattere
dell’antropocentrismo dei testi del Genesi. Il che equivale a chiedersi: quale
antropocentrismo per un’etica ambientale nascente in ambito cristiano?
La risposta va trovata alla luce dell’evento Cristo, cuore dell’antropolo-
gia cristiana. Sarà questo evento a stagliare la specificità dell’etica cristia-
na riguardo alla realtà naturale. L’evento Cristo realizza una trasformazione
radicale della persona umana poiché, come dice l’apostolo Paolo, «se uno
è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate»13. La per-
sona umana è dunque creatura nuova, non soltanto perché riscattata dalla
situazione di non-amore in cui il peccato l’aveva relegata, ma perché è ora
ricolma dello Spirito stesso di Dio.
Innestati in Gesù14 diventiamo realmente figli nel Figlio, veniamo coinvolti
nella stessa Vita di Dio, al punto che in noi abita lo Spirito Santo che grida:
«Abbà, Padre»15.
Incorporati in Gesù e ricolmi del suo amore ci scopriamo legati fra noi
da un profondo vincolo d’unità16, ci scopriamo “uno” fra noi in quanto siamo
«una sola persona in Cristo Gesù»17. Non siamo più degli individui ripiegati
sulle anguste dimensioni della nostra esistenza, ma aperti sull’Io di Gesù,
ci apriamo anche su tutti gli uomini e le donne, siamo, come dice Cirillo di
Gerusalemme18, consanguinei e concorporei con Gesù e fra noi.
Ricolmi dello Spirito Santo diventiamo anche lievito d’unità per l’intera
creazione (umana e non), diventiamo persone che:
- compongono in unità non soltanto la propria dimensione interiore e
le varie espressioni della vita umana (affettività, socialità ecc.), ma anche i
popoli e le culture;
- preparano con il loro agire, attraverso il proprio lavoro19, il compimento
del cosmo20.
È questo il tipo di persona umana, nuova creatura, che determina il tipo
di antropocentrismo dell’etica cristiana, un antropocentrismo cristico, un an-
tropocentrismo oblativo che con difficoltà riesce a star dentro alle classifica-

56 nu 224
sergio rondinara

zioni fenomenologiche delle attuali analisi filosofiche. Una persona umana


che nel realizzare il dono-di-sé diventa sempre più se stessa in quanto vive
come figlio di Dio, vive in piena reciprocità con i suoi simili al punto da es-
sere con loro «un cuore e un’anima sola»21, e vive trascinando l’umanità e il
cosmo verso la Vita stessa di Dio.
Questa non è altro che la realizzazione della triplice vocazione che se-
condo il Genesi contraddistingue l’essere umano sin da quando Dio lo creò:
- lo creò a sua immagine e somiglianza (chiamato alla comunione con
Dio);
- lo creò nella reciprocità uomo/donna (chiamato alla comunione con gli
altri esseri umani);
- lo creò e gli affidò la terra (chiamato alla comunione con il cosmo).

concludendo

Per concludere, realizzare un nuovo modello per il rapporto persona-


natura, che miri a risolvere radicalmente i presupposti antropologici della
crisi ambientale, non sarà né facile né semplice, ma è tra le sfide culturali più
grandi e urgenti che ci pongono i nostri giorni.
Riuscire in una tale impresa comporterà nella società umana una svolta
epocale dal sapore rivoluzionario e culturalmente paragonabile – quanto alla
portata – solo alla rivoluzione neolitica e alla rivoluzione industriale. Però, men-
tre queste due rivoluzioni furono graduali, spontanee e inconsce, la nostra
dovrà necessariamente essere un’operazione rapida, del tutto consapevole
e ispirata da valori forti.
Dai vari tentativi fin qui svolti di realizzare un nuovo paradigma riguar-
dante il nostro rapporto con la natura, e conseguentemente la sostenibilità
del nostro modello di sviluppo socio-economico, si evince la consapevolez-
za che non basteranno soltanto scelte positive da parte di individui o nazio-
ni, ma occorreranno cambiamenti strutturali nell’economia mondiale.
Sorge inevitabile a questo punto la domanda: tutto ciò sarà possibile
senza l’acquisizione di una nuova sensibilità al bene comune22 dell’umanità,
alla destinazione universale dei beni23, alla fratellanza universale, alla giu-

nuova umanità 224 57


focus. scienza, natura, cosmo
Relazione persona-natura

stizia intergenerazionale24 – come ha sollecitato papa Francesco nella sua


enciclica – e senza un radicale cambiamento nei propri comportamenti con-
sumistici per una parte considerevole della popolazione mondiale?
Questa sfida esige e sollecita essa stessa un modello antropologico (una
figura di uomo e di donna) – per gran parte oggi ancora inedito – in cui la
persona umana non si auto-comprenda né come dominatore secondo la
prospettiva antropocentrica, né come un comune elemento biotico secondo
la prospettiva fisiocentrica, ma come un soggetto cosciente e responsabile
che è parte della natura e si realizza esistenzialmente nel suo dar-si, nell’at-
tuare cioè il dono-di-sé ai suoi simili e alla realtà naturale di cui fa anch’egli
parte. Quindi un modello antropologico in cui si passi da un’ottica prevalen-
temente individuale a un’ottica di comune-unione, da un’ottica di gruppo
limitato a un’ottica di famiglia umana globale.
E qui ogni autentica tradizione culturale è chiamata a dare il proprio
contributo.

1 
Cf. Francesco, Laudato si’, 2. In questo lavoro il lettore troverà riferimenti all’en-
ciclica Laudato si’ (LS) a indicarne la consonanza di analisi, aspettative e speranze.
2 
Cf. F. Bacon, Novum organum, I, 3, Rusconi, Milano 1998.
3 
Cf. G. Anders, L’uomo è antiquato, 2 voll., Bollati Boringhieri, Torino 2007.
4 
Cf. LS 101-136.
5 
Cf. http://www.peacelink.it/pace/a/1513.html (1 aprile 2014).
6 
Cf. LS 203-208.
7 
Cf. F. Ost, Il giusto “milieu”. Una concezione dialettica del rapporto uomo-natura, in
M. Tallacchini (ed.), Etiche della terra. Antologia di filosofia dell’ambiente, Vita e Pen-
siero, Milano 1998, pp. 351-364.
8 
Cf. L. White, Le radici storico-culturali della nostra crisi ecologica, in «il Mulino»
226 (1973), pp. 251-263.
9 
Cf. C. Amery, Das Ende der Vorsehung. Die gnadenlosen Folgen des Christentums,
Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1972.
10  
Cf. U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Mila-
no 1999, pp. 294-295.
11  
Cf. LS 92.
12  
Cf. Gen 1. In particolare Gen 1, 27-28; 2, 15.

58 nu 224
sergio rondinara

13  
2 Cor 5, 17.
14  
Cf. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 40.
15  
Cf. Rm 8, 15; Gal 4, 6.
16  
Cf. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 42.
17  
Gal 3, 28.
18  
Cirillo di Gerusalemme, Catechesis Mystacogicae 4,3; PG 33, 1100.
19  
Cf. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 44.
20  
Cf. Rm 8, 19-21.
21  
At 4, 32.
22  
Cf. LS 156-158.
23  
Cf. LS 93-95.
24  
Cf. LS 159-162.

nuova umanità 224 59


31/1/2017
scripta manent

Cibernetica e trascendenza1

Vorrei presentare una prospettiva che la visione ci-


bernetica delle cose potrebbe aprire per la compren-
sione del loro intimo modo di essere, attraverso quelli
Piero che si potrebbero chiamare “contenuti di trascenden-
Pasolini za” che, sempre più, appaiono essere, appunto, propri
di questa visione cibernetica del mondo.
(1917-1981) Ormai da più di trent’anni la parola “cibernetica” è
fisico, focolarino, entrata nel linguaggio della scienza, della tecnica e, a
uno degli volte, anche della filosofia. Il profano, e non solo lui, ne
iniziatori della
sa qualcosa forse solo perché ne è spesso informato
cittadella
dei focolari dai mass media. Ma ciò porta più che altro all’idea che
di fontem, la cibernetica riguardi meccanismi elettronici estrema-
in camerun, mente complessi.
è autore di L’idea che emerge da tutto ciò è vera, ma assai par-
numerosi saggi
ziale e quindi fortemente inadeguata. Forse raramente
su scienza e
fede, molti dei nella storia della cultura umana, una parola ha acqui-
quali sono stato un contenuto di senso così ricco e universale.
stati pubblicati Già fin dall’inizio, negli ultimi anni Quaranta, Norbert
sulla rivista Wiener scrivendo il suo Cybernetics era partito in tutta
nuova umanità
semplicità, coll’intenzione di manifestarne il senso più
ampio: proprio quello riguardante ogni realtà organiz-
zata dell’universo, in quanto operativa e capace cioè,
per necessità di cose, di azioni e, quindi, di rapporti.
Cibernetica = scienza dell’autogoverno, scienza del-
l’azione, scienza della strutturazione organizzativa, e,
come suprema attribuzione, scienza degli atti reali di
trascendenza..., a seconda dell’approfondimento con
cui è considerata.

nuova umanità 224 61


scripta manent
Cibernetica e trascendenza

Certo che il meccanismo che appare in superficie, e da cui prende le


mosse, è di una elementarità sorprendente.
Con la semplicità della nomenclatura americana è stato chiamato feed­
back – o retroazione. Esso può affiorare nei fatti più banali e comuni, come
nel termostato che regola la temperatura di uno scaldabagno o di una
stufa; ma può anche rivestirsi dei più appariscenti paludamenti scientifi-
ci nella infinita ridda di autoregolazioni, di scambi informativi, di controlli
automatici realizzati, per esempio, in tutti i processi vitali: dai metabolismi
più complessi nelle cellule di un organismo, al funzionamento incommen-
surabilmente complesso di quei pochi ettogrammi di materia bianca e gri-
gia costituente il cervello...
Il principio di feedback connesso a pochi altri concetti, come quello
di comunicazione, informazione... (già in esso impliciti), che lo rendono
realmente operante, agisce in questo modo: vincola all’indietro l’effetto
alla sua causa (per dirla in termini classici), per condizionarla e regolarla
sull’effetto stesso. E ciò in quanto l’effetto non è solo provocato dalla cau-
sa, ma è determinato e giustificato da un fine. Si può dire che il feedback
realizza un gioco continuo di alternanza operativa tra una causa che pre-
cede l’effetto e una causa (causa finale) che lo determina dal “dopo”.
Un principio elementare, dicevo, e semplice; il quale però si presen-
ta proprio come il principio che dà realtà ad ogni rapporto. Esso si trova
alla base di ogni processo, e, nel cosiddetto mondo fisico apparentemente
bruto e determinista, manifesta la presenza di una vera, intima natura fi-
nalistica; rivela – in ogni punto e in ogni attimo – l’essenziale modo di esi-
stere degli esseri sempre “per qualcosa”; quasiché sia questo “per” la chia-
ve reale che pone in sé l’esistenza di ogni essere. In una parola, si potrebbe
dire che esso muove e regola quella corrente ascendente dell’essere che
si chiama “evoluzione”, nella quale si attua nel tempo e nello spazio ogni
concetto di finalità e quindi di progresso, di vita e di pensiero.
Per questa sua natura, il principio cibernetico ci sta rivelando che la
realtà del mondo, a qualunque livello, non è mai del tutto bruta e determi-
nista, poiché esso è presente e diffuso fin nei più profondi ed elementar-
mente sfumati processi di organizzazione delle realtà più primordiali e in-
determinate della fisica. La realtà pare possa esistere, perché assieme alla

62 nu 224
piero pasolini

sua componente impropriamente detta, ripeto, fisica e bruta c’è sempre


compresente come base fondamentale della sua natura questo principio
che le dà il senso sostanziale di esistere sempre “per” qualcosa, la finalizza
quindi fin nell’intimo più profondo della sua trama.
Per questo, come dicevo, la cibernetica non può avere solo un sen-
so tecnico ristretto: essa è una “forma” di pensiero che si può ritrovare
nella scienza, nell’arte, nella psicologia, nella sociologia, nella filosofia
e – perché no? – nella teologia stessa. Essa abbraccia, dal suo punto di
vista, tutto il reale: dalla primordiale formazione degli atomi, alla vita, ai
meccanismi più intimi della ragione, al linguaggio espresso, alla natura del
sociale. Essa si può presentare come la chiave per comprendere la vita di
quel grande organismo che è l’universo, concepito nel suo pieno senso di
totalità e di unità.
Premessi questi rapidi e necessariamente insufficienti flash sul modo
di considerare la cibernetica, possiamo passare a mettere in rilievo la “fun-
zione trascendente”, che può essere ritenuta l’aspetto più profondo, quel-
lo più strettamente legato alla conoscenza “metafisica”, di ogni processo
cibernetico. Di esso, a parere mio e come vedremo, deve tener conto sia
lo scienziato, quando vuol rendersi conto della natura di ciò che gli sta
succedendo tra le mani nei fenomeni cosiddetti spazio-temporali esami-
nati da ogni tipo di scienza, sia il filosofo, se vuol cogliere il vero senso di
quei fenomeni.
Ora vorrei brevemente mettere in rilievo l’attuarsi di atti di trascenden-
za (soprattutto di trascendenza-organizzazione) come un fatto continuo,
dato che questi atti paiono accompagnare, con effetti qualificanti, ogni
fatto cibernetico.
Forse sarà utile precisare che la parola “trascendenza” la userei se-
condo il significato di salto da un modo d’essere ad un altro. Cioè, si può
dire che in una cosa, o in uno stato, si verifica una trascendenza quan-
do in quella cosa o in quello stato insorge qualche qualifica o situazione
in nessun senso presente precedentemente né derivabile da qualcosa di
precedente. È proprio nell’atto di trascendenza che si realizza la venuta
all’esistenza di qualcosa qualitativamente “altro”; che, cioè, non è rappor-

nuova umanità 224 63


scripta manent
Cibernetica e trascendenza

tabile sullo stesso piano con la natura della “pre-cosa” o delle “pre-cose”
che sono state trascese.
Se questo è l’atto di trascendenza, allora la cibernetica potrebbe essere
anche chiamata la “scienza della trascendenza”. È un modo che certamen-
te può essere più proprio di chi la considera sotto l’aspetto filosofico che
non sotto l’aspetto scientifico. Il concetto di “trascendere” non è comune
a nessuna scienza cosiddetta positiva. Eppure questo fatto misterioso, che
è la “creazione” di qualcosa di nuovo quando si instaura una situazione
cibernetica, sembra che sia stato percepito in qualche modo da sempre
dai cibernetici. Prova ne è l’espressione che si ritrova molto spesso negli
articoli e nelle opere di divulgazione: «se vari elementi vengono strutturati
tra loro secondo rapporti unificati da un certo significato, danno origine
a un sistema che non è la loro somma, ma è qualcosa di nuovo e diverso».
Più in breve: «in cibernetica l’insieme non è la somma delle sue parti».
Quest’espressione, che può sembrare molto semplice ed elementare, può
invece sottintendere un fatto più profondo e più essenziale espresso dalle
leggi cibernetiche; un fatto che si riferisce addirittura alla radice dell’esse-
re delle cose.
Ora, si potrebbe dire: ma questo fatto avviene sempre; avviene ogni
volta che si attua un’azione, ogni volta che si realizza un fenomeno; sem-
pre si cambia qualcosa, sempre si “crea” qualcosa di nuovo. Ciò è vero;
ed è per questo che più sopra ho presentato la cibernetica come una for-
ma mentale, un modo tutto proprio e universale di considerare le cose.
La realtà è sempre “sistema”, fin nei minuti particolari; è sempre “parti
strutturate” secondo un certo significato; e il tutto è in azione secondo
quel significato. Si può dire che il “bruto”, l’inerte non esista mai. Ciò che
può apparire, su un piano d’essere, bruto e inerte si rivela finalizzatissimo,
organizzatissimo, “ciberneticissimo”, direi, se si considera sul suo giusto
piano d’essere. Si può dire che ogni sistema è “uno” in sé, dà il proprio
significato alle parti che in lui si strutturano e, a sua volta, viene integrato
da un altro sistema in un significato trascendente...
Si può, giustamente, osservare che tutto il discorso precedente è un
“fare filosofia” e non scienza. Di fatto la cibernetica, vista così, si presenta
come una ricerca analitica sul formarsi di ogni cosa: l’atto con cui un siste-

64 nu 224
piero pasolini

ma si pone come organizzazione delle sue parti; l’atto cioè di trascenden-


za che costituisce un sistema come “essere” nuovo, inesistente prima, con
aspetti del tutto assenti nelle sue parti se prese individualmente; in una
parola l’“atto creativo” di qualcosa.
È, questo, certamente l’aspetto filosofico della cibernetica. Quindi lo
scienziato quasi sempre ricerca il senso delle strutture che esamina o che
cerca di scoprire, e non può non rilevare la novità emergente dallo strut-
turarsi dei vari enti. Questo non è altro che percepire e provare scientifi-
camente l’atto di trascendenza che si sta attuando in quel fenomeno. La
già citata frase, semplicissima, comune sulla bocca dei teorici della ciber-
netica – «l’insieme non è la somma delle sue parti» – rivela la coscienza
che questi scienziati hanno della realtà nuova che emerge dai rapporti tra
le parti.
Ora, se si approfondisse e se si recepisse il fatto comunissimo della
trascendenza presente in ogni evento reale, e si costituisse ciò come ca-
tegoria di pensiero per comprendere un po’ di più ciò che avviene in ogni
realtà, forse non sorgerebbero i tanti falsi problemi che hanno diviso con
discussioni e a volte con diatribe più o meno violente, durante gli ultimi
secoli, i detentori in genere della ricerca scientifica e del pensiero, con
l’intervento, spesso, delle varie forme ideologiche. Con una certa confu-
sione, forse; ma inevitabile in quello stato di cose; perché l’uomo che fa
scienza è spinto tendenzialmente a valicarne i confini convenzionali per
darsi una visione interpretativa; e l’uomo che fa filosofia non può evitare
di sentirsi interferito dal primo; e, aggiungerei, l’uomo che fa teologia non
può anch’esso evitare di sentirsi invadere il campo dalle molte inferenze
che ogni tipo di fatti reali, o supposti tali teoricamente, della scienza e
spesso filosoficamente interpretati, porta in una certa visione religiosa del
mondo, a volte non sufficientemente universale e aperta.
È vero: esistono molti scienziati che, per principio, non interpretano,
non trascendono; per essi esiste solo un mondo completamente definibile
in chiave di particelle materiali e di leggi fisiche che le regolano, senza che
considerino minimamente le forme da quelle generate come qualcosa di
natura diversa dalla loro. Essi rifiutano ogni idea di trascendenza e perciò,
per esempio, la vita che è già reale nelle cellule viventi è da essi concepita

nuova umanità 224 65


scripta manent
Cibernetica e trascendenza

come puro fenomeno fisico-chimico; così pure lo psichismo, che diventa


una pura interazione fisico-chimica tra cellule cerebrali; e lo stesso pen-
siero, lo stesso potere d’astrazione, la stessa autocoscienza, tutto diventa
un fascio di reazioni fisico-chimiche.
Sì, perché di fatto tutto avviene anche così: a ogni stadio di struttura
si trovano sempre le solite particelle, i soliti atomi e molecole, le solite
reazioni tra essi, i soliti scambi energetici. Dalla “macchina” più sempli-
ce, l’atomo, a quella più infinitamente complessa, il cervello umano, sono
sempre le stesse cose che succedono, sempre di “macchine” si tratta, fun-
zionanti tutte come sistemi più o meno estesi degli stessi fenomeni ele-
mentari; è nel gioco di questi che risiederebbe ogni spiegazione.
Si arriva così a compiere l’ultimo atto, un vero e proprio suicidio men-
tale, quello di non ammettere la trascendenza della propria mente e del-
la propria coscienza sulle strutture neuroniche sulle quali emerge e nelle
quali opera.
La cibernetica, dunque, scienza degli insiemi, scienza dello strutturarsi
degli esseri, può correre il rischio di essere destituita dei suoi significati
più profondi; lo stesso rischio che può correre il “senso artistico” se qual-
cuno dicesse che il Mosè di Michelangelo è una mezza tonnellata di car-
bonato di calcio, o che una sinfonia di Beethoven è un insieme variabile di
frequenze sonore. In cibernetica quindi ci si presentano due possibilità: o
si sceglie la via della trascendenza, cioè dei significati attuati in sistemi, i
quali così acquistano un essere proprio, emergente dall’“uno” della loro
struttura, cioè si sottolinea il sostanziale grado di disomogeneità ontolo-
gica tra l’insieme organico e le sue parti considerati a sé, cioè, ancora, si
afferma un’alterità tra la natura di ciò che emerge e quella degli enti che lo
costituiscono organizzandosi, oppure tutto si appiattisce e si sgrana in un
gioco, complicantesi all’infinito e privo di significati reali, tra elementi pri-
mordiali omogenei, il cui strutturarsi non riflette altro che le loro varie pos-
sibilità di combinazione, sia pure secondo la linea di certe leggi logiche.
La cibernetica, condotta alle sue ultime inferenze, ci porta alla soglia
di qualcosa di assoluto. Questa trascendenza, che è un concetto della no-
stra mente, ma è un “fatto” nella realtà (constatabile nella constatabilità
dell’insorgere del nuovo, del “non prima esistente” nei processi organizza-

66 nu 224
piero pasolini

tivi), da una parte mette lo scienziato continuamente di fronte a realtà la


cui natura e la cui proprietà non derivano solo dalla natura e dalle proprietà
dei componenti, ma soprattutto dal significato dei loro rapporti; dall’altra
mette il filosofo di fronte alla realtà oggettiva del formarsi di esseri emer-
genti da un fatto di trascendenza. L’“immanenza”, per così dire, di questo
verificarsi di atti di trascendenza, da che cosa ha origine?
Si può pensare alla presenza di un principio logico, intimo ad ogni azio-
ne, attivo nel più infinitesimo risvolto di qualunque cosa capace di esse-
re reale? È una posizione questa sostenuta da alcuni fisici, matematici,
e cibernetici, che rientra sempre nel tentativo di affermare le inferenze,
necessitanti esistenzialmente, del logico nell’ontologico, nel reale. È una
posizione sostenuta fortemente, per esempio, dallo scomparso matema-
tico italiano Luigi Fantappié, seguito, seppur con angolazioni diverse, da
molti altri in tutto il mondo. Come è noto, ogni processo fisico, può essere
rappresentato nella sua forma più generale da un sistema di equazioni
differenziali, dette equazioni delle onde, le quali di solito si usano per de-
scrivere i fenomeni nella loro situazione entropica, cioè di dispersione gra-
duale dell’energia, di aumento globale di disordine e omogeneità. Le onde
(non si tratta sempre di onde fisiche, ma di onde nel senso della mecca-
nica ondulatoria e quantistica) raffigurate in queste equazioni si possono
presentare divergenti, e la fenomenologia relativa si disperde all’infinito.
Questa divergenza può essere intesa come la rappresentazione logica
della componente entropica presente in tutti i processi; e l’entropia (cioè
la dispersione irreversibile) globale è sempre crescente. Fantappié, colpito
dagli aspetti non entropici presenti in molti processi, come quelli vitali,
per esempio, e quelli organizzativi in genere, si pose il problema di rilevare
questo aspetto dallo stesso gruppo di equazioni. E di fatto dimostrò che
esse, prese nella totalità delle loro soluzioni possibili, ammettevano sia
soluzioni positive (fenomeni entropici) sia soluzioni negative (fenomeni
organizzativi o “sintropici”, come li chiamò). Sostenne allora che era ar-
bitrario prendere per buone solo le soluzioni entropiche (che davano la
ragione logica della china entropica presa ovunque dall’universo), ma era
doveroso prendere per altrettanto buone le soluzioni “sintropiche” (o delle
onde convergenti, o dei potenziali anticipati, come si dice anche). Quin-

nuova umanità 224 67


scripta manent
Cibernetica e trascendenza

di ammise, accanto al principio di entropia (che domina vistosamente i


processi energetici dell’universo), anche l’esistenza reale e operante di
un principio di “sintropia”, principio questo che dà un contenuto logico e
necessitante a tutti i processi sintropici, organizzativi; oggi diremmo ci-
bernetici. Anzi, i due princìpi operano di necessità intimamente connessi,
poiché ogni processo cibernetico di creazione si sostiene sui processi en-
tropici che forniscono energia degradandone una parte.
Non insisto qui su questo argomento; l’ho accennato appena solo per
elevare la prospettiva di un fondamento essenzialmente logico, posto alla
radice delle cose, per i processi cibernetici. Questi processi si realizzereb-
bero nell’universo, non per caso, né per interventi, per così dire, “artificia-
li”. Essi emergerebbero per necessità logica, per natura di cose.
Ed è qui che, forse, la cibernetica viene ad approdare all’assoluto, la
cui immanenza nelle azioni creative del mondo avrebbe la stessa neces-
sità esplicativa che ha la sua immanenza nei processi di conoscenza au-
tocosciente, come già vedemmo. E anche qui una posizione del genere
si presta certamente alla taccia di fideista o teista da parte dei logici e
cibernetici positivisti e materialisti. Poiché sarebbe ingenuo nascondere il
fatto che, sotto la parola “assoluto”, si nasconde il nome dell’unica realtà
che, volere o no, può attribuirsi questo titolo: Dio.
Quindi, come dovemmo ammettere l’immanenza divina nell’atto tra-
scendente di conoscenza intellettuale, così ora pare altrettanto necessario
postulare la stessa immanenza in tutti i fatti di trascendenza in cui si ge-
nerano, si “creano”, esseri sempre nuovi, sempre crescenti, lungo l’infinita
serie evolutiva di processi cibernetici che si realizzano in ogni “dove” e in
ogni “quando” dell’universo. Né mi parrebbe cosa peregrina accostare, in
qualche modo, questa immanenza dell’assoluto trascendente (principio
fondante di ogni atto di trascendenza cibernetica) alla presenza nella na-
tura delle cose del principio di sintropia, intuito per via logico-matematica,
principio che porrebbe le radici logiche della trascendenza.
Così l’assoluto, invece di essere postulato come deus ex machina solo in
alcuni salti di trascendenza, si presenterebbe come un vero Deus in natu-
ra rerum, distinto e immanente nello stesso tempo, intimamente aderente

68 nu 224
piero pasolini

alle azioni degli esseri, al loro creare ed essere creati negli atti cibernetici
di trascendenza.
Tutta la questione così sarebbe illuminata anche nella sua trattazione
teologica, la quale in tal modo disporrebbe, a mio avviso, di una piattafor-
ma più vasta e più vicina al concreto, nella visione dell’azione divina nel
mondo. Il principio di trascendenza, immanente nei fatti cibernetici, e il
principio di sintropia, alla radice del primo, potrebbero esser visti, con oc-
chio teologico, come l’attiva aderenza di un “operatore assoluto” (per dirla
con parole matematiche) cioè “divino” (per dirla teologicamente) all’atto
esistenziale di ogni realtà.
Questa visione “religiosa” dell’essere e operare delle cose non dovreb-
be scandalizzare né scienziati né filosofi. Anche i positivisti e i materialisti,
fondando la ragione intima delle cose e degli eventi su princìpi di casualità
assoluta e di intrinseco contenuto logico, fanno a loro modo filosofia e re-
ligione, ponendo, a loro modo, un trascendente. Ma, senza voler citare gli
antichi, come Eraclito, Platone, Aristotele, Plotino ecc., per i quali la vera
interpretazione del reale era di carattere mistico-religioso, venendo al no-
stro secolo posso citare grandi spiriti, scienziati o filosofi, come Teilhard
de Chardin, cibernetico ante litteram, il quale concepiva il realizzarsi degli
esseri per un principio di “evoluzione creatrice”, ponendo Dio come crea-
tore per evoluzione attraverso l’opera delle cose stesse; opera coinvolgen-
te la trascendenza radicata nell’immanenza dell’azione divina. Posso ricor-
dare altri grandi scienziati, fondatori della moderna visione scientifica del
mondo, come Planck, Einstein, Schrödinger, Heisenberg, per citare solo
alcuni nel campo della fisica; il loro sforzo fu quello di dare una giustifica-
zione filosofica della scienza, con frequenti riferimenti religiosi. Einstein,
pur professandosi aconfessionale, arrivò addirittura a dire che non poteva
concepire un vero scienziato che non abbia una visione religiosa del mon-
do. E aggiungeva: «L’esperienza religiosa cosmica è la più nobile, la più
forte che possa sorgere da una profonda ricerca scientifica». Heisenberg,
riferendosi ai princìpi logici su cui poggia l’esistenza del reale fisico, dice-
va: «La fisica moderna, a proposito delle strutture materiali, fa pensare a
quelle parole: “In principio era il Verbo”».

nuova umanità 224 69


scripta manent
Cibernetica e trascendenza

È l’esigenza del trascendente, innata per essenza nella nostra natura


intellettuale; quel trascendente che l’ultima espressione del pensiero uma-
no, la cibernetica, ritrova operante in ogni fatto relazionale tra gli esseri.

  Il presente scritto nasce dalla selezione di alcuni temi contenuti in P. Pasolini,


1

Cibernetica e trascendenza, in «Nuova Umanità», (1979/2) 2, pp. 51-66.

70 nu 224
parole chiave

Interazione per la scienza

Relazione, rapporto o influenza reciproca sono spes-


so i termini che utilizziamo nella nostra vita quotidiana
per indicare l’interazione tra più entità: «Il clima […] è
Andrea un sistema complesso in relazione con molte condizioni
Conte essenziali per la vita umana»1, oppure «Gli ambienti in
cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita,
astronomo. di sentire e di agire»2. In questi due esempi, papa Fran-
astrofisico. cesco vuole evidenziare l’intima connessione tra l’essere
membro della umano e l’ambiente. Dal punto di vista scientifico lo stu-
commissione
internazionale dio dell’interazione tra elementi così complessi richiede
di ecoone. una semplificazione più o meno rilevante a seconda del
tipo di risposta desiderata. Ma fino a dove può spingersi
l’indagine scientifica? Esiste un limite a questo processo
di semplificazione?
Immaginiamo due persone A e B che camminano
sullo stesso marciapiede. La persona A si rivolge a B per
chiedere indicazioni. Dunque si può dire che le due per-
sone subiscono vicendevolmente un’interazione. In altre
parole, esse si sono messe in relazione modificando il
loro percorso individuale. Prendiamo questo esempio
come punto di partenza per approfondire il concetto di
interazione. Possiamo dire, infatti, che nell’istante in cui
le due persone interagiscono, probabilmente A attira
l’attenzione di B dicendo: «Scusi!», e magari alzando an-
che un braccio per farsi notare. Si tratta dunque di un’in-
terazione di tipo visivo/uditivo. In che modo la scienza
descriverebbe un evento di questo tipo?
La spiegazione deve tener conto dell’emissione di
onde sonore da parte di A, le quali si propagano nell’aria

nuova umanità 224 71


parole chiave
Interazione per la scienza

raggiungendo l’orecchio di B. Nel medesimo istante l’immagine del braccio


alzato di A viene catturata dagli occhi di B. Studiare questo evento dal punto
di vista scientifico richiede, tuttavia, un maggiore approfondimento.
Possiamo suddividere, dunque, l’interazione tra A e B in tre parti: neu-
ronale, sonora e visiva. L’emissione della voce e il movimento del braccio da
parte di A, nonché la percezione uditiva e visiva da parte di B, sono infatti
caratterizzati dall’emissione/ricezione di impulsi nervosi da parte del cer-
vello. Si tratta di un impulso elettrico emesso dai neuroni di A che si propaga
attraverso il sistema nervoso fino alla zona muscolare interessata (corde vo-
cali o braccio nell’esempio descritto). Il suono così generato si propaga at-
traverso l’aria, e l’onda, più o meno attenuata dalla dissipazione nel mezzo,
raggiunge il timpano di B che inizia a vibrare trasmettendo il suono al cervel-
lo. Allo stesso tempo la luce incidendo sul braccio di A viene diffusa in varie
direzioni, tra le quali vi è anche quella che collega il braccio di A all’occhio di
B, e stimola particolari cellule poste sulla retina dell’osservatore. Nell’occhio
di B viene dunque prodotto un segnale elettrico che giunge al cervello di B.
Si potrebbe dire di aver raggiunto un buon risultato da questo processo
semplificativo ma lo scienziato potrebbe spingersi ancora oltre cercando di
semplificare ulteriormente l’interazione. Un processo, questo, che lo scien-
ziato ama definire unificazione, dal quale ne risulterebbe un’unica semplice
interazione fondamentale in grado di descrivere tutte le altre: si tratta, in
questo caso, dell’interazione elettromagnetica.
L’impulso nervoso, in effetti, non è altro che il repentino cambiamento
della differenza di potenziale elettrico tra l’esterno e l’interno di una cel-
lula neuronale. In questo caso i messaggeri sono principalmente due ioni
Na+ (ione sodio) e K+ (ione potassio), in altre parole due cariche elettriche.
Ecco come tutto ciò che avviene all’interno degli esseri viventi può essere
spiegato con la sola interazione elettromagnetica: dalla chimica inorganica
e organica, alla biologia fino ad arrivare alla medicina. I legami chimici tra
atomi o molecole, la forma di proteine, del DNA e delle stesse cellule, il
comportamento degli enzimi, i meccanismi alla base della digestione, della
respirazione e del movimento sono tutti governati dalle interazioni elettri-
che tra gli atomi costituenti. Cosa ci dice invece la scienza sulla propagazio-
ne del suono?

72 nu 224
andrea conte

L’onda sonora necessita della presenza di un mezzo in cui possa propagar-


si ed è il risultato di successive compressioni e rarefazioni del mezzo provoca-
te dall’oscillazione di un corpo. Per comprendere meglio questo meccanismo
è necessario considerare il mezzo come una struttura costituita da atomi e
molecole di vario tipo tenuti insieme da legami chimici. Quando un atomo
vibra, in seguito ad una sollecitazione esterna, questo trasmette il movimento
a tutti gli atomi e la vibrazione si propaga nel mezzo con una velocità che di-
pende dalle caratteristiche fisiche del mezzo stesso. Tutto ciò avviene perché
l’atomo che subisce una variazione di posizione si trova ad avere una distanza
differente dagli atomi a lui legati. La forza dell’interazione, fortemente dipen-
dente dalla distanza tra le cariche coinvolte, ne risulta modificata provocando
il riadattamento dell’intera struttura del mezzo. Anche in questo caso la sola
interazione elettromagnetica è in grado di descrivere quantitativamente tutti
quei fenomeni che richiedono un “contatto”3 tra materiali diversi.
In ultima analisi, vediamo come anche l’interazione visiva tra A e B possa
ricondursi all’interazione elettromagnetica. La luce, in effetti, non è altro che
un’onda elettromagnetica con caratteristiche ben definite, cioè campi elettrici
e magnetici oscillanti concatenati l’un con l’altro che viaggiano in direzione
trasversale a tali oscillazioni. L’onda in questo caso non necessita di un mezzo
in cui propagarsi ma può farlo anche nel vuoto. Quando raggiunge la super-
ficie di un oggetto, il campo elettromagnetico dell’onda mette in vibrazione i
suoi atomi che, a seconda della loro natura, possono assorbire rapidamente
l’onda, rifletterla o trasmetterla più o meno imperturbata. Questa interpre-
tazione permette di includere nel dominio elettromagnetico una serie di altri
fenomeni: la ricezione di un segnale radio, una radiografia X e il riscaldamento
di oggetti in un forno a microonde, ma anche la fotosintesi clorofilliana4.
Insomma il mondo in cui viviamo è caratterizzato da una serie di inte-
razioni macroscopicamente diverse ma che microscopicamente sembrano
tutte essere descritte da un’unica interazione fondamentale: l’interazione
elettromagnetica.
La scienza è andata oltre chiedendosi se l’interazione elettromagneti-
ca fosse l’unica interazione fondamentale esistente nel nostro universo. La
risposta appare evidente dal momento in cui ci allontaniamo dalla Terra e
rivolgiamo la nostra attenzione all’intero universo. Osservando il moto dei

nuova umanità 224 73


parole chiave
Interazione per la scienza

pianeti intorno al Sole o della Luna intorno alla Terra, di tutte le stelle intorno
al centro della galassia e di tutte le galassie nell’universo, si scopre chiara-
mente come l’interazione elettromagnetica passi in secondo piano rispetto
ad un’altra forza fondamentale: l’interazione gravitazionale, la stessa che ci
tiene ancorati alla superficie della Terra.
Eventi come le maree, il ciclo dell’acqua (dalla formazione di nubi alle
piogge, dalla formazione dei fiumi alla loro discesa verso il mare), la caduta
di una meteora e le oscillazioni di un pendolo non esisterebbero se non ci
fosse la gravità.
In realtà, esistono altre due interazioni fondamentali non riconducibili né
all’interazione elettromagnetica né a quella gravitazionale: si tratta di due
interazioni di tipo nucleare, cioè che si manifestano solamente a distanze
tipiche di un nucleo atomico (un milionesimo di miliardesimo del metro).
Tenendo conto della sola interazione elettromagnetica non è possibile, ad
esempio, spiegare la stabilità dei nuclei atomici in quanto costituiti da sole
particelle positive (protoni) e neutre (neutroni). Secondo l’interazione elet-
tromagnetica, infatti, cariche dello stesso segno si respingono e, più la loro
distanza è piccola, maggiore sarà la forza con cui si respingono.
Cosa, dunque, permette l’esistenza stabile del nucleo atomico? Ecco che
entra in gioco l’interazione nucleare forte che a distanze confrontabili con il
nucleo atomico diviene più intensa dell’interazione elettromagnetica ed es-
sendo attrattiva tiene uniti i protoni e i neutroni.
La quarta e ultima interazione fondamentale è l’interazione nucleare debole.
Proviamo a comprenderla prendendo in considerazione una banana. Questo
frutto risulta in natura lievemente radioattivo a causa del suo alto contenuto di
potassio ed in particolare del suo isotopo: il potassio-40 (K-40). Un solo neu-
trone del K-40 si trasforma in un protone emettendo un elettrone (e un neu-
trino). Questo processo spontaneo è chiamato decadimento ed è alla base
della radioattività. Oltre alla banana anche altri elementi naturali contengono
dosi non trascurabili di elementi radioattivi, ed è proprio l’interazione nucleare
debole la responsabile del riscaldamento interno della Terra.
Riassumendo, tutto ciò che avviene nel nostro universo può essere spie-
gato mediante quattro interazioni fondamentali indipendenti l’una dall’altra.
Ma quali sono i protagonisti di queste interazioni?

74 nu 224
andrea conte

Secondo la teoria quantistica dei campi, affinché ci sia un’interazione è


necessaria la presenza di tre entità: due che interagiscono e la terza che per-
mette l’interazione. Le particelle che costituiscono la materia interagiscono,
infatti, attraverso lo scambio di una particella elementare mediatrice dell’in-
terazione. La più conosciuta di esse è il fotone, responsabile dell’interazione
elettromagnetica, poi il gluone per l’interazione nucleare forte, i bosoni deboli
per l’interazione nucleare debole ed infine il gravitone, particella prevista dal
modello standard delle particelle elementari e che dovrebbe mediare l’inte-
razione gravitazionale ma che, per il momento, risulta ancora ben nascosta
agli occhi degli scienziati.
La scienza, tuttavia, non sembra volersi fermare qui. Il desiderio di colmare
le lacune ancora presenti, ma soprattutto quello di interpretare le interazioni
fondamentali come diverse manifestazioni di un’unica interazione sono dav-
vero inarrestabili. Gli sforzi degli scienziati hanno già portato all’unificazione
dell’interazione elettromagnetica con l’interazione nucleare debole nella teo-
ria dell’interazione elettrodebole, ma non sono ancora sufficienti per l’inclusio-
ne dell’interazione nucleare forte: la cosiddetta teoria della grande unificazione.
E il passo successivo? Come raccordare anche l’interazione gravitazio-
nale? Per unificare l’interazione gravitazionale e quella elettronucleare sarà
necessario formulare una nuova teoria? A questo attualmente la scienza
non sa rispondere ma, come diceva il fisico Albert Einstein, «l’importante è
non smettere di fare domande».

1
 Francesco, Laudato si’, 23.
2
Ibid., 147.
3
Il termine “contatto” assume in fisica un significato ben più ampio di quello di
uso quotidiano. Quando spostiamo un oggetto con la mano, gli atomi della mano
non toccano quelli dell’oggetto, ma lo spostamento avviene proprio a causa della
repulsione elettrica tra gli atomi della mia mano e quelli dell’oggetto.
4
La fotosintesi clorofilliana è un meccanismo naturale alla base della produzione
di ossigeno nell’atmosfera del nostro pianeta. Le piante possiedono, infatti, la capa-
cità di catturare radiazione luminosa per attivare una reazione chimica in grado di
sostenerle e avente come “scarto” l’ossigeno.

nuova umanità 224 75


dallo scaffale di città nuova

Il destino della libertà


quale società dopo la crisi
economica?
di Zigmunt Bauman, Chiara Giaccardi, Mauro Magatti

Cosa significa essere liberi? Una domanda


imprescindibile oggi.

L’anelito di libertà ha attraversato tutta la storia dell’umanità,


dando vita a movimenti politici, ordinamenti giuridici e sistemi
economici, modificando tradizioni e costumi; generando sim-
boli e identità culturali.
E oggi la società occidentale è autenticamente libera? Parten-
do da tale interrogativo, uno dei più importanti intellettuali
odierni, Zygmunt Bauman, il teorico della società liquida, in-
isbn sieme ai sociologi Mauro Magatti e Chiara Giaccardi riflet-
9788831175227 te sull’esito paradossale che ha avuto il poderoso sviluppo
economico degli ultimi 40 anni. Il progresso ha aumentato
pagine le potenzialità di scelta dell’uomo, ma lo ha ingabbiato in una
100 concezione radicalmente individualista dell’esistenza umana,
prezzo prigioniero del consumismo, degli apparati tecno-economici e
euro 12,00 della volontà di affermare se stesso.
Cosa significa, dunque, essere liberi? Una domanda impre-
scindibile oggi. Perché, in fondo, come ha scritto Bauman “la
libertà è il nostro destino: una sorte che non può essere igno-
rata e non ci abbandona mai”.

Disponibile in formato cartaceo ed e-book su


http://editrice.cittanuova.it

nu 224
punti cardinali

Il senso della sussidiarietà

1. alla ricerca del significato


della sussidiarietà

Bruno Di Prima di iniziare una disamina del principio di sussi-


Giacomo diarietà e delle sue applicazioni nel nostro ordinamento,
è necessario un excursus storico, seppur breve, parten-
Russo do dalla sua origine.
Il primo dato da segnalare è che della sussidiarietà,
docente di diritto
costituzionale quale principio generale di organizzazione sociale, non
all’università v’è traccia nella letteratura precedente il secolo XIX, an-
degli studi che se vi sono i primi gemiti di una concezione a dimen-
milano bicocca. sione sociale della vita di gruppo.
responsabile
Il fondamento concettuale – in termini molto gene-
dell’ufficio
studi della rali – sotteso al principio di sussidiarietà è il riferimento
cisl sondrio. al singolo, alla persona, al cittadino, quale membro del-
la società civile e politica, come destinatario finale dei
benefici derivanti dalla convivenza e dall’organizzazione
politica e sociale.
In tale contesto, le diverse comunità, politiche e
sociali, devono supplire le minori comunità e i singoli,
senza sovrapporsi e senza togliere loro la possibilità di
provvedere autonomamente ai propri bisogni.
La sussidiarietà rappresenta il principio ispiratore di
alcune norme fondamentali della convivenza e dell’or-
ganizzazione sociale, fra quelle che valorizzano la so-
cialità soprattutto rispetto agli atti sovrani in materia
di diritti fondamentali, di autonomia e di pluralismo
sociale1. In tal senso, in merito alle radici filosofico-po-
litiche della sussidiarietà, analizzare le origini storiche

nuova umanità 224 77


punti cardinali
Il senso della sussidiarietà

del principio è indispensabile per comprenderne appieno la valenza, e ap-


prezzarne l’attualità.
Anche se è certamente vero che la nozione assume contorni precisi e
definiti in epoche e contesti più recenti2, la sussidiarietà affonda le proprie
radici in un humus antico nel quale ritrova le proprie premesse essenziali,
necessarie a far luce sulle più recenti formulazioni.
L’essenza dei princìpi fondamentali, qual è la sussidiarietà, risiede nella
considerazione che ogni principio si mantiene valido nel tempo, e da ciò ne
consegue la possibilità di sempre nuove letture, quasi che esse disvelino
nuovi profili al mutare della prospettiva complessiva in cui viene collocato.
Non risulta, pertanto, né inutile né arbitrario provare a indicarne un si-
gnificato, né ricercare generiche anticipazioni o addirittura formulazioni
ante litteram del medesimo, o comunque tentare di cogliere alcune linee
guida presenti nel pensiero classico che costituiscono la base della nozio-
ne di sussidiarietà, con un’attenzione rivolta, peraltro, essenzialmente alla
sua dimensione “orizzontale”, che ne rappresenta, del resto, la dimensione
originaria.
In tema di significato originario di sussidiarietà, in estrema sintesi, la cor-
rente aristotelica considera l’uomo – in senso generico – un essere in movi-
mento, che finisce col divenire ciò che egli è.
L’uomo rappresenta quello che fa più che quello che detiene. A ciò con-
segue che nella società politica occorre far di tutto per non privare alcuno
dell’azione che può o vuole compiere.
La società politica è intesa come un’entità che ha un proprio destino,
un’entità organica nel Medioevo, entità semplicemente strutturata nel XX
secolo con la comparsa dell’individualismo.
Nell’ambito della convivenza civile, l’essere umano, che costituisce il
fine ultimo che la società politica deve perseguire, si distingue come essere
sociale, il cui bisogno naturale di solidarietà deve prevaricare sul naturale
egoismo individuale. L’uomo si completa quando partecipa in prima persona
al bene comune.
Della sussidiarietà si delinea un’antropologia specifica, che si fonda sulla
filosofia dell’uomo nella società, per cui l’azione umana si realizza nella pre-
cisa definizione dell’interesse generale.

78 nu 224
bruno di giacomo russo

L’individuo va considerato responsabile del proprio destino e capace di


farsene carico in rapporto alla comunità che lo circonda.

2. la dottrina sociale della chiesa

Nel particolare contesto storico alle soglie del XX secolo compare, prima
in dottrina poi nei documenti ufficiali della Chiesa cattolica, il principio di
sussidiarietà.
Tra il XIX e il XX secolo, il pensiero della Chiesa cattolica consiste nell’i-
dea che lo Stato moderno, basato sui fondamenti teorici del costituzionali-
smo rivoluzionario, si limiti a svolgere una funzione meramente suppletiva.
Questa visione culmina nel 1931 con la proclamazione del principio di sus-
sidiarietà nell’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI, che ne conia anche la
formula lessicale3.
Con l’enciclica Quadragesimo anno – pubblicata in occasione dei qua-
rant’anni dalla Rerum novarum di papa Leone XIII – Pio XI persegue lo scopo
di correggere gli influssi sociali della concezione illuminista contraria alle
comunità intermedie, fortemente radicatasi negli ordinamenti dell’Otto-
cento e ancora ben presente nel Novecento, e, al contempo, di contrastare
l’assolutizzazione dello Stato che è insita nell’affermarsi dei nuovi regimi au-
toritari e antidemocratici.
In tale situazione Pio XI proclama la definizione del principio di sussidiarietà.

È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mu-


tazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere
se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche
dalle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importan-
tissimo nella filosofia sociale (in philosophia sociali gravissimum illud
principium): che come è illecito togliere agli individui ciò che essi
possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo
alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta
società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è
questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto or-
dine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento

nuova umanità 224 79


punti cardinali
Il senso della sussidiarietà

della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva (sub-


sidium afferre) le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed
assorbirle.
Una corretta applicazione di tale principio esige che
l’autorità suprema dello Stato rimetta ad associazioni minori ed in-
feriori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle
quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; ed allora essa
potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che
a lei sola spettano, perché essa sola può compierle; di direzione
cioè, di vigilanza, di incitamento, di repressione, a seconda dei casi
e delle necessità4.

In sintesi, è necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad as-


semblee minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor impor-
tanza, potendo così ad esso riservarsi compiti di direzione, cioè, di vigilan-
za, di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Ciò
dimostra come sia presente anche nella Dottrina sociale la preoccupazione
di limitare l’azione dello Stato, per contrastarne l’invadenza ai danni dell’au-
tonomia dei soggetti pubblici inferiori e dei singoli individui.
Il papa Pio XI conclude invitando gli uomini di governo a persuadersi che
quanto più perfettamente sarà mantenuto l’ordine gerarchico tra le
diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppleti-
va (sussidiaria) all’attività sociale (subsidiarii officii principio), tanto
più forte riuscirà l’autorità e la potenza sociale e perciò anche più
felice e più prospera la condizione dello Stato stesso5.
Queste affermazioni vengono proclamate in aperta polemica anti-libe-
rale, oltre che in opposizione al regime fascista.
La Chiesa cattolica e il movimento cattolico – soprattutto attraverso l’at-
tività svolta dall’Opera dei Congressi – non mancano di riproporre la teoria
dello Stato sussidiario. Ciò allo scopo di esaltare la crisi dello Stato moderno,
individualista e rappresentativo, rimproverando alla classe dirigente liberale
di essere espressione di una piccola minoranza eletta su una ristretta base
censitaria, di propugnare un accentramento dello Stato che mortifica il ruolo
degli enti intermedi, della famiglia, del Comune, della Provincia, dell’asso-

80 nu 224
bruno di giacomo russo

ciazionismo diffuso in tanti settori della società civile, di aver peggiorato le


condizioni dei ceti inferiori, dei contadini e degli operai, con la sua politica
fiscale e con l’incameramento dei beni del Clero, che in passato avevano
costituito un sostegno per i poveri.
La polemica è essenzialmente diretta contro i valori costitutivi del nuovo
Stato unitario, liberale e laico.
La formula del principio di sussidiarietà, riferita al contesto dell’organiz-
zazione sociale, compare intorno alla questione della «restaurazione dell’or-
dine sociale secondo il Vangelo»6. A causa dell’individualismo, secondo Pio
XI, «le cose si trovano ridotte a tal punto che, abbattuta e quasi estinta l’an-
tica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo mediante un complesso
di associazioni diverse, restano di fronte quasi soli gli individui e lo Stato»7.
La principale preoccupazione è che la deformazione dell’ordine sociale
rechi un grosso danno allo Stato, sul quale si fondano quelle distrutte cor-
porazioni che non possono più sopportare un’infinità di carichi e di affari. Il
tentativo operato dalla Chiesa è quello di opporsi alla condanna liberale dei
corpi intermedi tra l’individuo e lo Stato.
L’equilibrio tipico del pluralismo politico medievale, nel quale le comuni-
tà originarie rappresentano l’interezza del popolo di fronte al sovrano, viene
progressivamente a rompersi con la nascita e l’affermazione dello Stato mo-
derno, per cui l’autonomia delle formazioni sociali si configura non più come
una risorsa, quanto piuttosto come un ostacolo da eliminare.
Tale processo si realizza in Italia in tempi relativamente brevi. Durante
il Risorgimento la lotta contro il potere temporale della Chiesa è qualificata
come lotta contro i residui di feudalità. Alla distruzione del potere giuridico
della Chiesa, attraverso l’annientamento degli istituti dell’Ancien Régime, se-
gue ben presto la distruzione del suo potere economico8.
A fronte della drammatica crisi che la Chiesa cattolica si trova ad af-
frontare dopo la metà del XIX secolo, della quale la secolarizzazione della
società civile, l’individualismo e il razionalismo costituiscono i risvolti teorici
essenziali, la Chiesa avverte la necessità di formulare un simbolico neologi-
smo che consenta di continuare a sostenere la superiorità normativa delle
società naturali. A tale sommità non può non collocarsi la Chiesa stessa,
rispetto alle organizzazioni artificiali, e allo Stato moderno prima di tutti, in

nuova umanità 224 81


punti cardinali
Il senso della sussidiarietà

considerazione che la superiorità naturale del potere spirituale sul potere


temporale, matrice della superiorità delle società naturali su quelle artificia-
li, è già profondamente radicata.
Dopo l’attuazione dei princìpi della Rivoluzione francese, sopravvissuti
alla Restaurazione, si avverte la necessità di uno specifico principio rela-
tivo all’organizzazione della società che si pretende di descrivere come
corrispondente a un ordine naturale superiore, ma che, a dire il vero, si
vuole prescrivere proprio perché non più corrispondente alla realtà che si
va affermando9.
In definitiva, è una necessità storica a spingere la Chiesa cattolica, in
qualità di societas iuridice perfecta10, a teorizzare il principio di sussidiarietà
come principio generale di filosofia sociale.
La sussidiarietà della comunità superiore rispetto a quelle inferiori, dello
Stato rispetto alle società naturali, assume il significato normativo della ne-
cessaria superiorità della comunità statale rispetto a quelle inferiori.
Lo Stato e, con esso, anche le sue articolazioni interne sono sussidia-
ri perché sono organizzazioni volontarie, artificiali, logicamente e natural-
mente secondarie e successive rispetto alle associazione naturali.
Il movimento sociale cattolico risorge dalla sua crisi storica, dando vita
a una fitta rete di organismi caritativo-assistenziali, di società di mutuo soc-
corso, di casse rurali, e successivamente anche a un movimento sindacale
cattolico.
L’obiettivo è quello di indicare una strada intermedia fra gli opposti er-
rori dell’individualismo liberale, che si è rivelato fallimentare nella storia e
nel presente, e del collettivismo socialista, che sta acquistando una larga
base di massa, con molte incertezze sulla realizzabilità sia dal punto di vista
dell’organizzazione sia da quello della tutela dei diritti11.
In tempi più recenti, la Dottrina sociale della Chiesa cattolica fa ampio
riferimento a questa fondamentale formulazione, e provvede a sviluppare il
principio e a dettagliarlo in campi e per aspetti particolari.
Così il principio è richiamato dall’enciclica Familiaris consortio di papa
Giovanni Paolo II nelle relazioni fra Stato, società e famiglia, considerata
questa una «società che gode di un diritto proprio e primordiale» secondo
l’affermazione della dichiarazione Dignitatis umanae del Concilio Ecumenico
Vaticano II12.

82 nu 224
bruno di giacomo russo

Il principio è anche richiamato integralmente con la formula di Pio XI


e applicato, specificamente, all’economia dall’enciclica Mater et magistra di
papa Giovanni XXIII13.
Il principio di sussidiarietà è evocato anche nella regolazione dei rapporti
tra poteri pubblici delle singole comunità politiche e poteri pubblici della
comunità mondiale, in particolare e con ampia digressione, dall’enciclica
Pacem in terris di papa Giovanni XXIII14.
La Dottrina sociale, dall’enciclica Quadragesimo anno in poi, sviluppa il
contenuto della sussidiarietà e, soprattutto, con il pontificato di Giovanni
Paolo II moltiplica i riferimenti ad esso.
Il principio di sussidiarietà in diversi documenti è messo in stretto col-
legamento con il principio di solidarietà15; entrambi i princìpi cooperano ad
assicurare la dignità della persona umana16.
La Dottrina sociale afferma l’aspetto negativo di divieto, nel senso di vie-
tare di rimettere alle comunità maggiori quello che dalle minori può essere
fatto, e quello positivo di aiuto, nel senso di dovere di sostegno delle comu-
nità di subsidium afferre ai membri del corpo sociale e delle altre comunità17.
L’inquadramento della sussidiarietà è di concezione sociale e solidaristi-
ca, che preserva l’individualità delle persone e delle comunità, piuttosto che
di concezione organicistica che vede i membri del corpo sociale integrati
nel tutto18.
Con l’enciclica Caritas in veritate, si rinforza una visione sia personalista
che relazionale della sussidiarietà che, in tal senso, viene fortemente con-
nessa allo sviluppo della persona, soggetto attivo della società, nel rispetto
della sua libertà e della sua dignità.
La solidarietà è strettamente legata alla sussidiarietà, perché senza l’at-
tivismo personale e comunitario diviene assistenzialismo19.

3. l’attualità della sussidiarietà

La Dottrina sociale nasce come affermazione di una terza via, rispetto


alle altre ideologie, e diretta alla ricerca del bene comune, elevandola sostan-
zialmente a un livello più alto.

nuova umanità 224 83


punti cardinali
Il senso della sussidiarietà

Giovanni Paolo II afferma che è qualcosa di diverso dall’essere solo una


terza via, nel senso di una via intermedia. Perciò, la Dottrina sociale va inse-
rita nell’ambito di applicazione delle stesse scienze sociali.
È difficile enucleare, senza rischiare di scivolare nell’approssimazione,
pochi e salienti principi di questa Dottrina sociale che tanto si occupa del
vivere umano.
Se intendiamo individuare un principio, elemento caratterizzante la stes-
sa dottrina, ma che allo stesso tempo sia anche quella parte che, meglio di
altre, è in grado di sintetizzare la specificità e, soprattutto l’essenza, racco-
gliendone i valori dall’inizio fino ai giorni nostri, non potremmo che pensare
alla sussidiarietà, non solo da un punto di vista giuridico, perché non è solo
una cosa giuridica, ma ben oltre.
La mediazione sta nell’aver elaborato la sussidiarietà per la necessità
storica di teorizzare un principio generale di filosofia sociale, che si ponesse
a utilità per una riforma sociale attenta alle necessità dal basso.
Se la Dottrina sociale è una dottrina della società, sono quattro gli ele-
menti e i princìpi essenziali in cui si raccolgono i suoi insegnamenti: la va-
lorizzazione della persona umana, la solidarietà, la sussidiarietà e il bene
comune20.
La premessa del ragionamento è che la sussidiarietà racchiuda in sé gli
altri tre princìpi, come i concetti base, della Dottrina sociale: giustizia socia-
le, corpi intermedi, bene comune, persona, lavoro, e Stato.
La sussidiarietà è l’essenza della Dottrina sociale perché il suo aspetto
costante è lo sviluppo delle relazioni sociali21, nel senso della socialità, intesa
come progressivo moltiplicarsi dei rapporti sociali con consapevolezza dei
propri doveri con varie forme e attività – e qui sta la ricchezza sociale – e con
la loro istituzionalizzazione.
L’istituzionalizzazione della socialità, o socialità giuridica, è la sussidia-
rietà sociale, chiamata ora orizzontale, che è quella originale rispetto a quel-
la istituzionale, chiamata ora verticale, entrambe nel diritto costituzionale.
Perché oltre ad un principio di relazione sociale, giuridicamente, è un criterio
di preferenza di competenza, perciò di organizzazione sociale.
L’essenza della Dottrina sociale risiede nella valorizzazione della società
civile attraverso la sussidiarietà sociale, o socialità giuridica, neutrale, pre-

84 nu 224
bruno di giacomo russo

scindendo dalla fede, perché la Dottrina sociale si interessa del bene comu-
ne di tutti.
Nel 1991, con l’enciclica Centesimus annus, Giovanni Paolo II rinvigorisce
in modo rilevante il senso della sussidiarietà, evidenziando le disfunzioni e
i difetti dello Stato assistenziale, che derivano da una comprensione inade-
guata dei compiti propri dello Stato.
Va rispettato il principio di sussidiarietà, nel senso che una società di or-
dine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine
inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in
caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre
componenti sociali, in vista del bene comune.
Nel 2009, con l’enciclica Caritas in veritate, l’impostazione dello sche-
ma concettuale che presiede all’analisi del rapporto economia-etica e del
rapporto Stato-mercato tocca relazioni fondamentali, quali l’uso dei beni
materiali e dei servizi, il lavoro umano e la famiglia, così come dei beni co-
muni tornati alla grande ribalta, specie di fronte alle questioni del territorio
e dell’ambiente22.
Nell’enciclica Laudato si’, dedicata alla «cura della casa comune», papa
Francesco torna più volte e in svariate forme sul rapporto fra politica ed eco-
nomia, ribadendo che la prima non deve “sottomettersi” alla seconda, che
a sua volta non deve vincolarsi eccessivamente «ai dettami e al paradigma
efficientista della tecnocrazia». Per papa Francesco risulta indispensabile
che politica ed economia siano «in dialogo per la pienezza umana» e, af-
finché tale dialogo sia proficuo, occorre definire in maniera precisa su quali
presupposti deve basarsi tale relazione che si auspica stabile e condivisa23.
La logica di fondo dell’impostazione proposta dalla Dottrina sociale è
quella della critica alla concezione basata sul calcolo utilitario, da sostitu-
ire con una concezione della creatività e della realizzazione della persona,
che – spogliata di ogni intento puramente negativo-rivendicativo oppure
narcisistico – trova il suo paradigma nel dono, nell’assunzione di rischio e
nella capacità progettuale, che nel diritto costituzionale si traducono nella
solidarietà, nella responsabilità e nella libertà d’azione.
La sintesi dell’economia civile, intesa come la sana capacità sociale della
redistribuzione degli utili, sta nell’attivismo creativo dei soggetti in termini

nuova umanità 224 85


punti cardinali
Il senso della sussidiarietà

di sussidiarietà sociale ovvero in termini di socialità giuridica, per cui lo Stato


ha solo un ruolo sussidiario. In tal senso, risulta improcrastinabile una pro-
spettiva sussidiaria che muova dal basso verso l’alto (bottom up) in grado di
raccogliere i bisogni e le istanze dei cittadini, protagonisti del bene comune,
ponendosi a garanzia dell’organizzazione pluralistica della convivenza so-
ciale e istituzionale.

1
  Cf. P.G. Zampetti, Dallo Stato liberale allo Stato dei partiti, Giuffrè, Milano 1973,
pp. 75ss.; P. Duret, La sussidiarietà “orizzontale”: le radici e le suggestioni di un concetto,
in «Jus» (2000), pp. 95ss.; A. Sciumè, I principi generali del diritto nell’ordine giuridico
contemporaneo, Giappichelli, Torino 2002, pp. 201ss.
2
  S. Cassese, L’aquila e le mosche. Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi
nell’area europea, in F. Roversi Monaco (ed.), Sussidiarietà e Pubbliche Amministrazio-
ni, Maggioli, Rimini 1997, pp. 73ss., che attribuisce la genitura della parola e della
nozione in questione al «monsignore De Ketteler, vescovo e Deputato alla Dieta
nazionale di Francoforte, un erede del tomismo e delle libertà germaniche, un critico
della burocrazia prussiana e teorico dei gruppi intermedi e del corporativismo», e la
sua fioritura alla dottrina sociale cattolica novecentesca. Per un approfondimento
cf. W.E. Von Ketteler (a cura di A. Lo Presti), La questione operaia e il cristianesimo,
Città Nuova, Roma 2015.
3
  Anche se già nel 1891, di fronte alla miseria causata dagli eccessi del libera-
lismo, Leone XIII, nella Rerum novarum, invoca l’intervento statale: «Certamente,
se accade che una famiglia si trovi in una situazione materiale critica e che, priva
di risorse, non possa in alcun modo uscirne da sola, è giusto che in tale situazione
estrema, il poter pubblico venga in suo aiuto, poiché ogni famiglia è un membro
della società. Ciò non significa ledere i diritti dei cittadini, ma assicurare loro una
difesa e una protezione che la giustizia impone», in Giovanni XXIII, Vaticano II, 74.
4
  Pio XI, enciclica Quadragesimo Anno (15 maggio 1931), 80.
5
  Ibid., 81. Qui si deve aggiungere che, tra le righe della filosofia sottesa all’enci-
clica, si legge il pensiero del teorico del “diritto sussidiario” W.E. Von Ketteler, che
contribuisce a porre le premesse stesse di tutta la Dottrina sociale della Chiesa e
del corporativismo sociale cattolico che ha esponenti di rilievo in tutta Europa nella
seconda metà dell’Ottocento. Il popolo ha il diritto di «svolgere e di adempiere da
solo nella propria casa, nella propria comunità e nella propria patria quel che da solo
è in grado di fare. Naturalmente ciò non si accorda in alcun modo con il principio
del potere centralizzatore dello Stato […]. In tal caso infatti il troppo governare e la

86 nu 224
bruno di giacomo russo

legiferazione si vedrebbero posto ben presto un limite». Di fronte alla famiglia, per
esempio, lo Stato possiede solo «un certo diritto tutorio in quei casi in cui i genitori
trasgredissero gravemente i loro diritti e doveri parentali». «Lo Stato, che abusa di
questo che chiamerei un diritto sussidiario, dà vita a un duro assolutismo, a una vera
schiavitù dello spirito e delle anime». Cf. W.E. Von Ketteler (a cura di A. Lo Presti),
La questione operaia e il cristianesimo, cit.
6
  Il principio di sussidiarietà è espressamente richiamato nella prefatio al Codice
di Diritto canonico del 1983 tra i princìpi normativi di fondo enucleati come guida
per la riforma dell’intero codice. Analogamente anche il paragrafo n. 1884 del Cate-
chismo della Chiesa cattolica.
7
  Pio XI, enciclica Quadragesimo anno (15 maggio 1931), 79.
8
  Sull’atteggiamento anticlericale del Risorgimento italiano, cf., fra tutti, A.C.
Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino 1949, pp. 182ss.
Analogamente, dopo il 1848-1849, l’opposizione della Chiesa e di gran parte dei
cattolici ai princìpi liberali e democratici assume, rispetto alla Restaurazione, un
carattere più propriamente nazionale, nel senso che si indirizza contro il moto risor-
gimentale, considerato come un aspetto di una più vasta rivoluzione: cf. G. Verucci,
La Chiesa cattolica in Italia dall’Unità a oggi, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 9ss.; Id., I
cattolici e il liberalismo dalle “Amicizie cristiane” al modernismo, Liviana, Padova 1968,
pp. 38ss. Sul travaglio del pensiero politico cattolico dinanzi al problema dello Stato
unitario cf.: G. Miglio, I cattolici di fronte all’unità d’Italia, in «Vita e Pensiero», 1959,
12, pp. 12ss.
9
  Cf. F.X. Kaufmann, Il principio di sussidiarietà: il punto di vista di un sociologo delle
organizzazioni, in AA.VV., Natura e futuro delle conferenze episcopali, EDB - Edizioni
Dehoniane, Bologna 1988, p. 301, per cui «ciò che colpisce prima di tutto è l’emer-
gere così tardivo di questo principio di diritto naturale. Perché non si era sentito
il bisogno di formulare prima un principio cosi fondamentale? Questo può essere
capito se accettiamo l’idea che la sua formulazione è una reazione contro gli sviluppi
caratteristici della società moderna, cioè che l’idea di sussidiarietà non è proble-
matico nelle società tradizionali». E ancora: «Il valore del principio di sussidiarietà
– considerato dal lato della efficacia storica – è stato provato meno dall’applicabilità
ai casi concreti che non nella sua funzione critica nei confronti delle ideologie indivi-
dualiste e collettivistiche» (p. 303). Altresì cf. S. Stammati, Declinazioni del principio
di sussidiarietà nella disciplina costituzionale della famiglia, in «Diritto e società», 2003,
2, p. 266: «Da una sussidiarietà dell’essere dell’età premoderna, dominata da un di-
ritto metapolitico come quello naturale, che ridondava in legge di struttura per tutte
le forme di convivenza sociale e politica di natura statica e con un centro debole, si
passa a una sussidiarietà del dover essere, sollecitata dalla dominanza dello Stato
e del diritto da esso positivamente dettato, ed elaborata sotto la spinta di indirizzi

nuova umanità 224 87


punti cardinali
Il senso della sussidiarietà

teorico-politici impegnati, nella nuova situazione, a studiare le forme negative atte a


imbrigliare la dominanza degli strumenti giuridici dei quali la nuova organizzazione
del potere pubblico poteva avvalersi per dominare la vita sociale, e a indicare stra-
de conducenti lo Stato, nuovo, impersonale e sovrano, verso l’obiettivo positivo di
ripristinare l’articolazione sociale e istituzionale pluralistica, in gran parte sradicata
dall’ideologia individualizzante della sua prima forma liberale».
10
  La Chiesa risente in questo periodo soprattutto delle teorie controriformisti-
che e dell’elaborazione della dogmatica dello ius publicum ecclesiasticum. È di questo
periodo una concezione della Chiesa di prevalente carattere giuridico-istituzionale,
nella quale un ruolo pressoché esclusivo viene attribuito al papa e alla gerarchia ec-
clesiastica. È la concezione della Chiesa come società perfetta, e pertanto non solo
completamente autonoma dallo Stato, ma anche ad esso superiore.
11
  Cf. G. Gonella, L’ordine internazionale, in G. Fanello Latinucci (ed.), Documenti
programmatici dei democratici cristiani (1899-1943), Roma 1983, I, p. 121.
12
  Concilio Ecumenico Vaticano II, dichiarazione Dignitatis umanae, 5, in I docu-
menti sociali della Chiesa, a cura di R. Spiazzi, Massimo, Milano 1988, p. 957.
13
  L’azione dei pubblici poteri «che ha carattere di orientamento, di stimolo, di
coordinamento, di supplenza e di integrazione deve ispirarsi al principio di sussidia-
rietà...» e «la presenza dello Stato in campo economico, anche se ampia e penetran-
te, non va attuata per ridurre sempre di più la sfera di libertà dell’iniziativa perso-
nale dei singoli cittadini, ma anzi per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza
possibile nella effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della
persona», in Giovanni XXIII, enciclica Mater et Magistra, 57ss., in I documenti sociali
della Chiesa, cit., pp. 653 ss.
14
 Giovanni XXIII, enciclica Pacem in terris (1963), in I documenti sociali della Chie-
sa, cit., p. 771.
15
  I due princìpi di sussidiarietà e solidarietà si radicano entrambi nel mistero
della persona, colta nella sua ricchezza di essere relazionale e nella sua indigenza
bisognosa di aiuto e sostegno solidale.
16
  Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, istruzione Libertà cristiana e
liberazione, 22 marzo 1986, par. 73, in I documenti sociali della Chiesa, cit., p. 1455: «il
supremo comandamento dell’amore conduce al pieno riconoscimento della dignità
di ciascun uomo, creato a immagine di Dio. Da questa dignità derivano diritti e do-
veri naturali. Alla luce dell’immagine di Dio, si manifesta in tutta la sua profondità la
libertà, prerogativa essenziale della persona umana: sono le persone i soggetti attivi
e responsabili della vita sociale. Al fondamento, che è la dignità dell’uomo, sono
intimamente legati il principio di solidarietà e il principio di sussidiarietà. In virtù del
primo, l’uomo deve contribuire con i suoi simili al bene comune della società, a tutti
i livelli. Con ciò la dottrina della Chiesa si oppone a tutte le forme di individualismo

88 nu 224
bruno di giacomo russo

sociale o politico. In virtù del secondo, né lo Stato né alcuna società devono mai so-
stituirsi all’iniziativa e alla responsabilità delle persone e delle comunità intermedie
in quei settori in cui esse possono agire, né distruggere lo spazio necessario alla
loro libertà. Con ciò la Dottrina sociale della Chiesa si oppone a tutte le forme di
collettivismo».
17
  Cf. G. Feliciani, Principio di sussidiarietà e organizzazioni non profit nella Dottrina
sociale della Chiesa, in G. Vittadini (ed.), Il non profit dimezzato, Etas, Milano 1997, pp.
47ss.; L. Giussani, L’io, il potere, le opere, Marietti, Genova 2000, ove in particolare
Più società meno Stato, p. 48: «Per questo ho sempre insistito sulla formula secondo
cui un vero governo di popolo di una società umanamente viva deve innanzitutto
favorire la creatività della base subentrando (secondo il “principio di sussidiarie-
tà” della Dottrina sociale della Chiesa) per dare compimento, sostegno ed even-
tualmente per creare ciò che non è stato ancora pensato, nell’attività degli uomini
coscienti, vivi. “Più società meno Stato” non solo non significa minimamente una
proiezione d’ombra sul valore dello Stato, ma significa semplicemente indicare allo
Stato l’orizzonte ultimo della sua attività, che è quelle di collaborare con l’uomo, col
singolo uomo a camminare verso il suo Destino con tutta la produttività, e perciò
l’utilità – in tutti i sensi – di cui è stato reso capace dalla Natura».
18
  Cf. L. Rosa, Il “principio di sussidiarietà” nell’insegnamento sociale della Chiesa. La
formulazione del principio e la sua interpretazione, in «Aggiornamenti sociali», 1962,
11, pp. 589ss.
19
  Cf. G. Arena, Il welfare di comunità, in G. Arena - C. Ianone (edd.), L’Italia dei
beni comuni, Carocci, Roma 2012, p. 92.
20
  Mi sia concesso il rinvio a B. Di Giacomo Russo, Il valore della sussidiarietà.
Origine e attualità, Città Nuova, Roma 2015, pp. 115ss.
21
  In tal senso, nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, LEV, Città del
Vaticano 2004, al punto 185.
22
  Così, Giovanni Paolo II, ricorda l’enciclica Caritas in veritate (n. 38), «nella Cen-
tesimus annus aveva rilevato la necessità di un sistema a tre soggetti: il mercato, lo
Stato e la società civile».
23
  Francesco, con l’enciclica Laudato si’, afferma (n. 196): «Qual è il posto della
politica? Ricordiamo il principio di sussidiarietà, che conferisce libertà per lo svilup-
po delle capacità presenti a tutti i livelli, ma al tempo stesso esige più responsabilità
verso il bene comune da parte di chi detiene più potere».

nuova umanità 224 89


dallo scaffale di città nuova

Un tempo per tacere e un


tempo per parlare
di Brunetto Salvarani

Un invito alla mutua conoscenza in un mondo che


fa i conti con la diversità. Storie e volti di dialogo
interreligioso e interculturale.

Un libro autobiografico, che non è un’autobiografia: ma piut-


tosto la constatazione che, guardando gli anni trascorsi dall’a-
dolescenza, l’Autore ha attraversato – sempre dalla sua Carpi,
sempre da laico, sempre con più dubbi che certezze – diverse
stagioni del dialogo. Da quello speranzoso e ottimista a oltran-
za di un post-concilio parrocchiale e grintoso a quello aperto
a tutto di un Paese che si è trovato da un giorno all’altro re-
ligiosamente pluralistico; da quello, denso di angoscia, dopo
isbn
eventi tragici come quelli dell’11 settembre a quello, continua-
9788831117524 mente messo in discussione, condannato dal clima culturale
pagine generale a essere letto come l’anticamera del relativismo; fino
112 a quello di papa Francesco che invita a camminare insieme
senza curarci troppo delle differenze dogmatiche. Tante sto-
prezzo rie, tanti volti, tante buone pratiche, più o meno riuscite, ma
euro 18,00 in ogni caso affrontate con passione, l’unica cosa che dà sale
a una vita.

Disponibile in formato cartaceo ed e-book su


http://editrice.cittanuova.it

nu 224
punti cardinali

B. Pietrogrande. Tra verbo


divino e carne mortale

Marta
Nell’incipit al catalogo del padiglione della Santa
Michelacci Sede alla Biennale di Venezia, Gianfranco Ravasi entra
artista e storica nel vivo del discorso che giustifica le scelte artistiche per
dell’arte. la 56a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale
di Venezia. Una prolusione sostanziosa, importante, che
giustifica il titolo del padiglione, In principio… la Parola si
fece carne1. L’unione teandrica, umano-divina del Cristo,
è la giustificazione di tutta l’arte cristiana: un Dio che si
fa uomo e quindi si rende visibile.
Il Lógos puro e perfetto si fa scandalosamente fra-
gile, carnale, limitato e risolve l’incompatibilità greca di
immanenza e trascendenza. Proprio questo è il fil rou-
ge che lega tutto il lavoro artistico di Benedetto Pietro-
grande, artista milanese del quale si è inaugurata, il 29
maggio 2015 al Museo Diocesano di Milano, una mostra
dal titolo In viaggio2. Si trattava di una selezione di lavori
realizzati dall’artista in tempi diversi, dai piccoli bronzi
della fine degli anni Cinquanta al grande pannello per il
centenario dell’Istituto Gonzaga di Milano del 2007.
Si può dire con certezza che quella di Benedetto è
un’intera esistenza dedicata all’arte, al lavoro intenso,
duro e faticoso della modellazione, che si è tradotta, in
larga parte, in bassorilievi bronzei di una forza che tra-
valica la materia. Eppure l’incontro con l’artista coincide
con l’eloquenza disarmante delle sue opere. Il suo è un
linguaggio essenziale, che traspare dagli oggetti, dalle

nuova umanità 224 91


punti cardinali
B. Pietrogrande. Tra verbo divino e carne mortale

composizioni, dalle bisacce, dalle valigie e dalle opere realizzate per gli spa-
zi della liturgia. Nel percorso della mostra era possibile compiere un vero e
proprio viaggio che si concentrava, secondo la visione di Paolo Biscottini, già
direttore del Museo Diocesano di Milano, sulla metafora della transitorietà
del reale «osservata fra la perentorietà dei dati immanenti e la forza tutta
spirituale di quelli trascendenti»3.
Ed è proprio qui che ritroviamo la peculiarità dell’artista: l’umanità che
viene guardata e abbracciata dal suo sguardo che la trasforma in bellezza.
Benedetto Pietrogrande è nato a Montegalda (Vicenza) nel 1928, ha studia-
to al liceo artistico e poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia con Venanzo
Crocetti, che aveva raccolto l’eredità di Arturo Martini per la cattedra di
scultura; negli anni successivi diverrà egli stesso docente dell’Accademia
veneziana e collaboratore della Fondazione Bevilacqua La Masa. Gli anni
Sessanta saranno per l’artista fecondissimi; nel frattempo ha sposato Maria
Luisa, figlia di Piero Scazzoso, intellettuale milanese. Egli, grande sostenito-
re del suo impegno artistico, ha segnato un importante ruolo nella sua vita
proprio in quanto uomo di cultura capace di consentirgli di spalancare lo
sguardo sulla molteplicità di espressioni dell’arte, da quella greca a quella
tardo antica, dal romanico al gotico. L’artista quindi si trasferisce a Milano,
pur mantenendo la cattedra a Venezia. Ed è proprio a Milano che entra nel
novero di quel nutrito gruppo di artisti che attinge ampiamente ai discorsi
dell’allora vescovo di Milano, come lui stesso racconta: «Ho seguito Montini
fin dall’inizio, con entusiasmo, già dall’epoca in cui ero a Venezia… incantava
i giovani e rivelava sempre qualcosa di nuovo, un cristianesimo forte». Non
è facile strappare a Benedetto dei lunghi discorsi, la sua parola è scarna ed
essenziale come le sue opere. Ma nel colloquio con l’artista emerge nuo-
vamente un’altra affermazione circa i fatti di quegli anni: «L’esperienza del
Concilio è stata travolgente»; il Concilio Ecumenico Vaticano II aveva infatti
affermato importanti novità che riguardavano l’arte e gli artisti. Nella Gau-
dium et spes, all’art. 62, a proposito del rapporto con le arti e la letteratura, se
ne ribadivano il valore antropologico e l’importanza per la vita della Chiesa;
esse venivano definite in quel contesto come capaci di «esprimere l’indole
propria dell’uomo, i suoi problemi e la sua esperienza nello sforzo di cono-
scere e perfezionare se stesso e il mondo, di scoprire la sua situazione nella

92 nu 224
marta michelacci

storia e nell’universo, di illustrare le sue miserie e le sue gioie…» 4 . Di seguito


si dice pertanto che:

Bisogna perciò impegnarsi affinché gli artisti si sentano compre-


si dalla Chiesa nella loro attività e, fruendo di un’ordinata libertà,
stabiliscano più facili rapporti con la comunità cristiana. Siano rico-
nosciute dalla chiesa le nuove tendenze artistiche adatte ai nostri
tempi secondo l’indole delle diverse nazioni e regioni. Siano am-
messe negli edifici di culto, quando con un linguaggio adeguato e
conforme alle esigenze liturgiche, innalzano lo spirito a Dio5.

E ancora, in uno dei documenti conciliari, la costituzione sulla sacra li-


turgia Sacrosanctum concilium, si afferma che «l’arte religiosa e il suo vertice,
cioè l’arte sacra», sono in relazione con “l’infinita bellezza divina” e il fine
degli artisti è «quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro
opere, a indirizzare religiosamente le menti degli uomini a Dio»6.
Il papa riconosce che in qualità di committente la Chiesa ha imposto
regole pesanti: «Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso,
possiamo dirlo; perdonateci!»7. Dopo aver affermato che per «assurgere alla
forza dell’espressione lirica della bellezza intuitiva»8 il ministero ecclesia-
stico dovrebbe far coincidere il sacerdozio con l’arte, il papa sottolinea che
si è turbata l’amicizia con gli artisti: «Voi ci avete un po’ abbandonato, siete
andati lontani, a bere ad altre fontane»9.
Paolo VI ammette che la Chiesa ha imposto come canone l’imitazione,
la fedeltà alla tradizione, e, implicitamente, riconosce che gli artisti sono
stati abbandonati a loro stessi. D’altra parte è vero che nella costituzione
sulla sacra liturgia Sacrosanctum concilium, al numero 127, si dedica ampio
spazio al tema della formazione degli artisti e ai vescovi viene rivolto l’invito
a prendersene cura e a istituire delle apposite scuole o accademie di arte
sacra. Tra le indicazioni della costituzione si ribadisce che:

La Chiesa non ha mai considerato come proprio un particolare stile ar-


tistico, ma, secondo l’indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei
vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così,
nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura.

nuova umanità 224 93


punti cardinali
B. Pietrogrande. Tra verbo divino e carne mortale

Anche l’arte contemporanea di tutti i popoli e paesi abbia nella Chiesa


libertà di espressione, purché serva con la dovuta reverenza e il dovuto
onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In tal modo essa
potrà raggiungere la propria voce al mirabile concerto di gloria che uo-
mini eccelsi innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica10.

E ancora, nello stesso documento, si ribadisce la necessità di mantenere


l’uso di esporre nelle chiese le immagini sacre, ma se ne raccomanda un
uso moderato e ordinato per non «destare ammirazione nei fedeli e per non
indulgere a una devozione svisata»11.
Nel discorso agli artisti del 7 maggio 1964, il papa propone loro di “rifare
la pace”, di ritornare amici e alleati lasciando «alle vostre voci il canto libero
e potente, di cui siete capaci». Già nel 1957, Giovanni Battista Montini, si era
rivolto agli artisti durante una messa celebrata in duomo a Milano richia-
mandoli ad essere discepoli prima che maestri12, e, ripetutamente, ritornerà
sull’argomento ribadendo che è auspicabile che nell’arte «la linea prevalga
sull’aspetto decorativo, e il significato, il contenuto, come si dice, sulla forma
ricercata e sull’estetica convenzionale»13.
Prima ancora di essere papa, al IV Congresso dell’UCAI (Unione Catto-
lica Artisti Italiani), intervenne ribadendo che è compito dell’arte tradurre il
misterioso tesoro che detengono gli uomini della religione14.
Sempre nel discorso agli artisti del 7 maggio 1964 le sue parole si fanno
accorate:

Dobbiamo dire la grande parola che del resto voi già conoscete?
Noi abbiamo bisogno di voi. Il nostro ministero è quello di predi-
care e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il
mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa
operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili,
intelligibili, voi siete maestri. È il vostro mestiere, la vostra missione;
e la vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi
tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità15.

Non mancano però aspetti complessi: da un lato la decisa affermazione


che la Chiesa ha bisogno degli artisti ai quali viene data libera voce, dall’al-

94 nu 224
marta michelacci

tro all’artista è chiesto di essere mediatore nel rapporto tra liturgia e arte, e
quindi di realizzare opere funzionali e conformi al linguaggio della comunità
orante16. Più volte Paolo VI incontrerà gli artisti sia nella Cappella Sistina (23
giugno 1973), sia nella basilica di San Pietro in occasione del quinto cente-
nario della nascita di Michelangelo (29 febbraio 1976), ribadendo ogni volta
che la realtà ineffabile e misteriosa dell’opera d’arte è lo specchio dell’intima
sensibilità religiosa dell’artista.
Si capisce come queste affermazioni, in una personalità così sensibile
al desiderio di un cristianesimo autentico, abbiano dato le ali a Benedetto
Pietrogrande. Sulla scorta dei documenti conciliari, si evince la straordina-
ria capacità di Paolo VI di stabilire un discorso aperto con gli artisti, con i
quali, già prima del pontificato, aveva intrattenuto intensi momenti di dialo-
go. Le intuizioni artistiche del giovane Montini erano radicate nello splendor
formae di ascendenza tomista ma aggiornate su amplissime frequentazioni
filosofiche, in primis quella con Jacques Maritain, come si rivela anche nel
suo saggio Su l’arte sacra futura del 193117. Negli stessi anni in Francia un do-
menicano, padre Alain Couturier, nella rivista L’art Sacré, si interrogava sul
problema se l’arte cristiana potesse essere figurativa o non-figurativa ma, al
contempo, lanciava un appello agli artisti, anche non credenti, ad operare in
campo liturgico in nome del fatto che esiste le Dieu des artistes che riporta il
gesto creatore all’esperienza di relazione con l’Assoluto. Dal confronto con
le sue idee discendono opere straordinarie come, a titolo esemplificativo,
la cappella di Vence, quella di Ronchamp e il convento domenicano de La
Tourette.
Paolo VI era aggiornatissimo sui termini di questo dibattito e quindi la
sua visione incoraggiava gli artisti a credere fermamente che l’arte cristiana
avesse una missione da compiere nel presente.
Questa è l’anima profonda del lavoro di Benedetto come artista e come
cristiano. Nulla sfugge al suo sguardo e tutto, anche i particolari apparen-
temente più insignificanti dell’opera, rimandano ad un altrove che non è
astratto ma tangibile. Così le “bisacce” sono il segno del perenne peregrina-
re dell’uomo alla ricerca del senso del presente, e analogamente le “valigie”,
che rimandano anche all’idea del nomadismo culturale che ha accompagna-
to la generazione di artisti degli anni Settanta e Ottanta, sia della Transavan-

nuova umanità 224 95


punti cardinali
B. Pietrogrande. Tra verbo divino e carne mortale

guardia (nell’opera di un artista come Nicola De Maria il tema della valigia


è ricorrente), sia dell’Arte povera. L’attenzione ai poveri, agli ultimi sembra
gridata in alcune opere come Sfratto e nella serie dei Carri, che rivelano lo
sguardo di chi si fa carico della povertà e si commuove fin nel profondo per
la condizione di privazione che affligge l’uomo, sognando e auspicando un
modello di nuovo umanesimo che, come nel Magnificat, propone di deporre
i potenti dai troni e di innalzare gli umili.
L’amore per la Chiesa e per Maria è un altro dei temi cari a Benedetto
Pietrogrande, come pure il dialogo ecumenico. L’artista vibra alla notizia del
probabile incontro di Paolo VI con Athenagoras e, profeticamente, ne antici-
pa i tempi con il Grande incontro del 1963 e ce ne rivela il páthos tutto rappre-
so nella materia (storicamente Paolo VI e Athenagoras si incontreranno nel
1964). Così anche il bozzetto per il monumento di Corsico, dedicato a papa
Giovanni XXIII, poi realizzato in bronzo, ci presenta un papa che attraversa
la dimensione spazio/temporale in una figurazione sorprendente che si po-
trebbe forse definire cubista.
Il sì di Maria, realizzato per la cappella dell’Istituto “Annunciata Cocchet-
ti” a Milano per le suore di Santa Dorotea di Cemmo, è un piccolo bronzo di
grande intensità emotiva; l’artista ha dichiarato, a proposito di quest’opera,
che non è stato necessario realizzare una bella Madonna per dire la bellezza
tutta interiore di Maria, perché il suo è un “dramma d’Amore” e allora anche
la materia stessa prende l’aspetto di fiamme che sembrano divorare la for-
ma, un consumarsi che dice la realtà dell’umano che si trasforma, per effetto
di quel sì, in divino. Nella mostra trovava spazio anche il grande gesso, di
oltre due metri d’altezza, che raffigura Maria con il bambino realizzata nel
1979 per la chiesa di San Pietro Apostolo ai Cappuccini di Romano di Lom-
bardia (recentemente, nel 2008, Pietrogrande ha realizzato la statua di N.S.
di Fatima per il grande santuario mariano del Portogallo).
Ma è nei bassorilievi bronzei che il suo lavoro tocca un vertice altissimo
che potrebbe trovare corrispondenza nell’opera di Giacomo Manzù. In mo-
stra erano presenti solo alcuni degli innumerevoli bassorilievi destinati alla
liturgia e realizzati in conformità alle esigenze del culto di cui aveva piena
competenza poiché, per lunghi anni, l’artista ha fatto parte della Commis-
sione di Arte Sacra della Diocesi ambrosiana. L’intensità emotiva di questi

96 nu 224
marta michelacci

lavori è straordinaria, come si trattasse di visioni, intuizioni mistiche; così


Gesù prende la croce o Gesù incontra la Maddalena, solo per citarne alcuni,
realizzati come stazioni della Via Crucis della chiesa di Dio Trinità d’Amore
di Vimodrone (Milano), sono di una forza plastica straordinaria e i tagli pro-
fondi nella materia sono come lacerazioni che portano al di là del dato visi-
vo, in una spazialità che sta oltre l’oggetto rappresentato. Un altro dei temi
che ha trovato spazio nella mostra del Museo Diocesano (che ha richiesto
al curatore uno sforzo immane nel selezionare un esiguo numero di opere
nel contesto di un corpus notevole di lavori di ogni tipo, dalle sculture, alle
vetrate) è quello eucaristico.
La realtà di un Dio che si fa uomo e diventa cibo e bevanda per la salvez-
za dell’intera umanità, prende forma e sostanza nell’immaginario plastico
dell’artista che, pur utilizzando la tradizione iconografica paleocristiana del
pane e dei pesci, la traduce in un linguaggio espressivo contemporaneo che
si apparenta con gli Achromes di Piero Manzoni o con le opere di Aldo Mon-
dino. Ma per essere fedeli alla dimensione umana e artistica di Benedetto
Pietrogrande non si può tralasciare un aspetto importante della sua vita:
l’incontro con il carisma dell’unità e con Chiara Lubich. La Lubich sosterrà
costantemente il lavoro artistico di Benedetto e la sua spiritualità sostanzie-
rà di luce, di intuizioni profonde le opere dell’artista. L’adesione al carisma
sarà un aspetto importante del lavoro di Pietrogrande e gli darà il corag-
gio di uscire da quell’estetica convenzionale, come diceva papa Montini, in
cui non si ricerca il compiacimento estetico ma la linea prevale sull’aspetto
decorativo. Chiara Lubich interverrà personalmente ad appoggiare le scel-
te artistiche di Benedetto anche quando non incontravano i consensi della
maggioranza.
È il caso del grande bassorilievo bronzeo Maria madre della Chiesa, realiz-
zato nel 1990 per la cappella del Centro Congressi del Movimento dei Foco-
lari a Castel Gandolfo; l’opera connota fortemente lo spazio circostante e ha
richiesto all’artista uno sforzo notevolissimo poiché dibattuto nel dare figura-
zione a personalità viventi, come la Lubich stessa, con il rischio di precipitare
nell’oleografico. Come dice Gianfranco Ravasi, il Lógos «è di sua natura eterno
ed infinito e, perciò, innestandosi nel temporale e nel finito lo irradia radical-
mente, strutturalmente e permanentemente. È per questo che ogni “carne”

nuova umanità 224 97


punti cardinali
B. Pietrogrande. Tra verbo divino e carne mortale

umana reca in sé un bagliore del divino, ogni viso umano è un riflesso del volto
divino»18 . Benedetto ha intuito, analogamente, che il volto di Maria, al centro
del bassorilievo, conteneva la figurazione di tutti coloro che potenzialmente
si riconoscono in quel sì totale a Dio, risolvendosi in tal senso. L’artista non
è mai sceso a compromessi, molto facili in questo ambito, in cui il consenso
pubblico si ottiene con il compiacimento estetico. La radicalità delle sue scelte
lo aveva portato, già all’inizio della sua carriera artistica, a distruggere tutte le
opere realizzate prima di una certa data rimarcando la necessità e la volontà
determinata di far tabula rasa di tutto ciò che poteva creare ostacolo verso un
linguaggio che deve rinnovarsi continuamente.
Non sono presenti nel contesto della mostra, ma meritano una breve
citazione, almeno a grandi linee, l’enorme numero di interventi in opere ar-
chitettoniche.
La consapevolezza e la necessità di voler dialogare con lo spazio circo-
stante gli ha consentito, nel tempo, di entrare nel merito della progettazio-
ne di luoghi sacri e quindi di poter lavorare negli spazi liturgici di numerose
chiese di nuova costruzione come nella chiesa di Cristo Risorto a Cavi di
Lavagna (1990-1991) dove ha realizzato e pensato la collocazione del fon-
te battesimale, o anche nelle chiese di Cadine (1990), Milano Due (1992)
e a Roma nella chiesa di Dragoncello (2000). Forti anche le esperienze di
dialogo con spazi antichi, in cui le sue opere si sono inserite con grande
rispetto. È il caso della basilica preromanica di Santa Maria Assunta in
Calvenzano, di Vizzolo Predabissi (1997), della cappella preromanica dei
Martiri Anauniesi nella basilica di san Simpliciano (2005), della basilica di
San Giuseppe al Trionfale a Roma (2013) per la quale ha realizzato le 12
formelle bronzee del portale.
Queste solo alcune delle tappe di un’esistenza davvero straordinaria, se
vogliamo poco conosciuta, perché l’artista non ama parlare di sé, non ama
il clamore e le grida ma il “taneta e buseta” di ascendenza trentina e che,
finalmente, nel Museo Diocesano di Milano ha trovato il suo pieno ricono-
scimento, pur rimanendo un tesoro ancora tutto da scoprire.

98 nu 224
marta michelacci

1
  Cf. E. Cristallini - M. Forti (edd.), In Principio… la Parola si fece carne, Catalogo
del Padiglione della Santa Sede alla 56a Esposizione Internazionale d’Arte, Biennale
di Venezia, Gangemi, Roma 2015.
2
  Cf. M. Michelacci, Al Museo Diocesano di Milano la mostra di Benedetto Pietro-
grande “In viaggio”, in «Arte Cristiana» 891, Milano 2015, pp. 475-476. Nell’articolo
l’Autrice si è attenuta alle necessità editoriali della rivista proponendo una versione
sintetica dell’evento e della biografia di Benedetto Pietrogrande.
3
  B. Pietrogrande, In viaggio, catalogo della mostra, a cura del Museo Diocesa-
no di Milano, Scalpendi, Milano 2015, p. 12.
4
  Tutti i documenti del Concilio, Massimo, Milano 1979, p. 250.
5
 Ibid.
6
  Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum concilium, 4 dicembre 1963, 122,
in Enchiridion Vaticanum.
7
  Paolo VI, Discorso agli artisti, in Enchiridion Vaticanum.
8
  Ibid.
9
  Ibid.
10
  Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum concilium, cit., 123.
11
  Ibid., 125.
12
  Cf. L. Crivelli, Il miracolo delle vetrate, in AA.VV., Discorsi sull’arte, Ancora, Mi-
lano 2005.
13
  Paolo VI, Udienza generale, Città del Vaticano, 16 giugno 1965.
14
  Cf. G.B. Montini, L’artista è il ponte, 2 febbraio 1964, in AA.VV., Discorsi
sull’arte, cit.
15
  Paolo VI, Discorso agli artisti, 7 maggio 1964, in P.V. Begni Redona (ed.), Paolo
VI. Su l’arte e agli artisti. Discorsi, messaggi e scritti (1963-1978), Istituto Paolo VI, Roma
2000.
16
  Cf. Paolo VI, Discorso nella Sala del Concistoro agli appartenenti a vario titolo alla
Scuola superiore d’arte cristiana Beato Angelico di Milano, 20 febbraio 1965, in P.V. Be-
gni Redona (ed.), Paolo VI. Su l’arte e agli artisti. Discorsi, messaggi e scritti (1963-1978),
cit., e Paolo VI, Discorso nella Sala del Concistoro ai partecipanti al Convegno delle Com-
missioni diocesane di liturgia e di arte sacra in Italia, Roma 4 gennaio 1967, in P.V. Begni
Redona (ed.), Paolo VI. Su l’arte e agli artisti. Discorsi, messaggi e scritti (1963-1978), cit.
17
  G.B. Montini, Su l’arte sacra futura, in «Notiziario» n. 16, a cura dell’Istituto
Pao­lo VI, Brescia 1988, pp. 13-24.
18
  E. Cristallini - M. Forti (edd.), In Principio… la Parola si fece carne, cit., p. 12.

nuova umanità 224 99


dallo scaffale di città nuova

Le antiche chiese cristiane


d’oriente
un cammino millenario
di Paolo Siniscalco

Per conoscere la storia delle comunità cristiane


orientali. Un grande patrimonio di vita e di
spiritualità.

La storia del cristianesimo nel Vicino e nel Medio Oriente è


poco nota. Un panorama vasto e complesso che il volume
ricostruisce con l’intento di offrire uno strumento per la co-
noscenza di comunità cristiane che hanno espresso in poco
meno di due millenni testimonianze religiose e culturali di
grande valore, generalmente ignorate. Comunità che, in mag-
isbn gioranza, stanno vivendo giorni tragici di dolore e di immani
9788831117523 distruzioni, con il pericolo reale di scomparire proprio là dove,
pagine oltre mezzo millennio prima delle conquiste islamiche, hanno
cominciato a vivere.

prezzo
euro

Disponibile in formato cartaceo ed e-book su


http://editrice.cittanuova.it

nu 224
a 20 anni dal premio unesco a chiara lubich

Reinventare la pace

Ci troviamo qui1 in occasione del 20° anniversario


del conferimento del Premio per l’Educazione alla pace a
Maria Chiara Lubich: momento di ricordo certamente, ma so-
Voce prattutto occasione per rileggere oggi e far proprio il suo
pensiero riguardo all’educazione alla pace, e quindi, in
presidente del ordine alla costruzione della pace. E non è certamente
movimento dei una semplice coincidenza che ci troviamo qui a parlare
focolari. giurista,
di pace, a soli due giorni dalla commemorazione del pri-
canonista.
mo anniversario dei tragici attentati terroristici di Parigi.
Il doloroso e commosso ricordo di quegli eventi ci spro-
na a lavorare con maggior determinazione e creatività
per trovare nuove vie per la pace.
La pace è certamente un dono di Dio, ma anche frutto
delle scelte degli uomini e quindi è qualcosa che anche
ciascuno di noi può contribuire a costruire nel proprio
piccolo, nella quotidianità perché – come si legge nel
Preambolo della Costituzione dell’UNESCO del 1945 – «le
guerre hanno origine nello spirito degli uomini, è nello
spirito degli uomini che si debbono innalzare le difese
della pace».
Per questo mi preme ringraziarvi per tutto quanto
l’UNESCO fa quotidianamente per la pace e per contri-
buire a costruire – attraverso l’educazione, la scienza e
la cultura – un mondo più fraterno e unito.
L’oggi della storia ci presenta in modo incalzante
l’immagine di un mondo lacerato da conflitti di ogni ge-
nere, di muri che si ergono, di migranti e di rifugiati che

nuova umanità 224 101


a 20 anni dal premio unesco a chiara lubich
Reinventare la pace

fuggono dalla miseria e dalla guerra, di egoismi politici che si fronteggiano


incuranti delle ricadute umane.
Per esprimere la crudezza e anche la gravità del contesto in cui viviamo,
Sua Santità papa Francesco ha spesso usato l’espressione “terza guerra
mondiale a pezzi”, proprio a significare la frammentazione e allo stesso
tempo la globalizzazione dei conflitti: guerre, azioni terroristiche, persecu-
zioni per motivi etnici o religiosi e prevaricazioni hanno segnato inesorabil-
mente questi ultimi anni, moltiplicandosi dolorosamente in molte regioni
del mondo.
È una violenza non convenzionale, ubiqua e pervasiva, difficile da scon-
figgere con gli strumenti sinora utilizzati. Sono conflitti che possono essere
risolti solo con un impegno corale, non solo della comunità internaziona-
le, ma della comunità umana mondiale. Nessuno può sentirsi escluso da
questa azione: essa deve passare nelle nostre strade, nei luoghi del lavoro,
dell’istruzione e della formazione, dello sport e del divertimento, delle co-
municazioni, del culto.
Alla “guerra mondiale a pezzi” si risponde con una pace mondiale fatta
anch’essa di “singoli pezzi”, di piccoli passi, di gesti concreti. Tutti hanno un
ruolo, ognuno ha una responsabilità.
Troviamo qui in prima linea le organizzazioni internazionali con la loro
instancabile opera di promozione della pace. Il dialogo incessante e il con-
senso tenacemente ricercato in tali organizzazioni, ivi compresa questa
prestigiosa istituzione, devono essere riconosciuti come segni importanti
dell’aspirazione globale verso la pace e l’unità.
Ma vi troviamo anche comunità, associazioni di ogni genere, movimenti
di ispirazione religiosa o laica che sono portatori, in modo più o meno espli-
cito e consapevole, di una nuova logica che rompe con quella fondata sulla
ricerca del potere e sull’interesse unilaterale, sul desiderio di dominio, sulla
volontà egemonica, quando non direttamente sulla violenza. Essi adottano
invece una prospettiva alternativa, propugnano e realizzano nei loro ambiti
un cambiamento radicale, l’unico oggi all’altezza delle sfide, siano esse di
dimensione locale o mondiale, l’unico in grado di costruire le fondamenta
della pace di oggi e di domani.
È l’esperienza diretta del Movimento che rappresento!

102 nu 224
maria voce

La nostra storia inizia nella città di Trento sotto i bombardamenti cui


veniva continuamente sottoposta la città. Nel momento stesso in cui tutto
crollava, in cui gli ideali materiali venivano distrutti e quelli immateriali era-
no di fatto impossibili da raggiungere, in cui i popoli si combattevano fino
allo sterminio in una lotta insensata e tragica, in cui emergevano nel tessuto
sociale cittadino conflitti e tensioni di ogni genere – personali, famigliari, di
classe e ideologici –, nel cuore di una giovane donna trentina, Chiara Lubich,
germogliava ed esplodeva un ideale che non passa, che nessuna bomba può
distruggere, grande, immenso e che si sarebbe poco a poco rivelato – non
senza difficoltà e incomprensioni – come un’unzione, un vaccino efficace
per risanare ferite profonde e colmare fratture laceranti.
Così, proprio sotto i bombardamenti, Chiara Lubich e le sue prime com-
pagne non fuggono dalla loro città bombardata: nel loro dedicarsi ai poveri,
nel riversare il loro amore su tutti, diventano portatrici di speranza. Le loro
azioni hanno avuto una portata ben più ampia di quello che si poteva vede-
re sul momento: hanno immesso nel circuito distruttivo della guerra nuova
linfa di rigenerazione del tessuto sociale che sarebbe diventata generatrice
di pace.
E quelle azioni ancora oggi portano frutti di pace. Un esempio è il lavoro
per l’unità che il Movimento porta avanti da anni all’interno del mondo cri-
stiano. Un altro esempio è il dialogo che il Movimento promuove con espo-
nenti dell’ebraismo, del buddhismo, dell’islam, dell’induismo e delle religioni
tradizionali, e pure con persone di convinzioni non religiose; un dialogo che
è basato sull’accoglienza delle persone, sul comprendere profondamente le
loro scelte, le loro idee, valorizzando il bello, il positivo, quello che ci può es-
sere di comune, che può formare dei legami fra persone e fra gruppi religiosi.
Un dialogo fruttuoso che ha portato, in Paesi in cui l’intercultura e il dialogo
interreligioso sono difficili, alla nascita di comunità che vivono fraternamen-
te il carisma dell’unità non solo nel rispetto reciproco, ma nella gioiosa e per
molti versi sorprendente riscoperta della ricchezza della propria identità,
nella serena consapevolezza della diversità culturale e religiosa.
La molla che ha spinto e continua a spingere a scommettere ancora sulla
pace, e quindi a proseguire in questa via del dialogo, viene dall’esempio di
Gesù: essere pronti ad amare il prossimo fino al sacrificio di sé, come ha

nuova umanità 224 103


a 20 anni dal premio unesco a chiara lubich
Reinventare la pace

fatto lui che in croce è morto per l’umanità intera. Infatti, l’impegno per la
pace richiede un mezzo adeguato per raggiungere l’obiettivo. Chiara Lubich
parlando all’ONU nel 1997 lo ha detto con chiarezza:

Non è uno scherzo impegnarsi a vivere e a portare la pace! Occor-


re coraggio, occorre saper patire. […] Se più uomini accettassero
la sofferenza per amore, la sofferenza che richiede l’amore, essa
potrebbe diventare la più potente arma per donare all’umanità la
sua più alta dignità: quella di sentirsi non solo un insieme di popoli
uno accanto all’altro, spesso in lotta fra di loro, ma un solo popolo
abbellito dalla diversità di ognuno, custode delle differenti identità2.

Un altro punto di forza del messaggio della Lubich sulla pace è la fraternità.
Ne ha parlato sin dai primi tempi del suo percorso umano e spirituale,
ma con gli anni il concetto di fraternità ha preso un posto di sempre maggior
rilievo nel suo pensiero.
La fraternità è stata da lei declinata nei più vari ambiti della vita e del sa-
pere come una vera e propria categoria, anzi, un nuovo paradigma a fonda-
mento di valori e di atti concreti in grado di indirizzare le nostre convivenze
verso l’unità e la pace.
Parlando a dei politici italiani il 15 dicembre 2000, a Roma, Chiara Lubich
sosteneva:

La fraternità […] ricostruisce il tessuto sociale e, per essa, acqui-


stano nuovi significati anche la libertà e l’uguaglianza, con tutti gli
orientamenti politici e le scelte che da essi discendono.
La fraternità consente di tenere insieme e valorizzare esperienze
umane che rischiano, altrimenti, di svilupparsi in conflitti insanabili
[…]. Consolida la coscienza dell’importanza degli organismi inter-
nazionali e di tutti quei processi che tendono a superare le barriere
e realizzano importanti tappe verso l’unità della famiglia umana3.

Su questa base il lavoro di Chiara Lubich per la pace si è intrecciato con la


riflessione di esponenti delle grandi religioni, del mondo politico e culturale,

104 nu 224
maria voce

con semplici cittadini, dando vita a un dialogo quanto mai proficuo, che si
rivela oggi di grande attualità.
In un suo messaggio del 2003 troviamo scritto:

È la fraternità che può far fiorire progetti e azioni nel complesso tes-
suto politico, economico, culturale e sociale del nostro mondo. È la
fraternità che fa uscire dall’isolamento e apre la porta dello sviluppo
ai popoli che ne sono ancora esclusi. È la fraternità che indica come
risolvere pacificamente i dissidi e che relega la guerra ai libri di sto-
ria. È per la fraternità vissuta che si può sognare e persino sperare
in una qualche comunione dei beni fra Paesi ricchi e poveri, dato che
lo scandaloso squilibrio oggi esistente nel mondo è una delle cause
principali del terrorismo. Il profondo bisogno di pace che l’umanità
esprime dice che la fraternità non è solo un valore, non è solo un
metodo, ma un paradigma globale di sviluppo politico4.

Il messaggio di amore e fraternità di Chiara Lubich si declina in modo


inscindibile con la costante ricerca dell’unità. È un messaggio unico, ma che
si articola in una concatenazione virtuosa: vivere, praticare l’amore recipro-
co; l’amore reciproco rende possibile l’unità; dall’unità nasce la pace, la pace
vera.
Parlando a Tokyo, il 24 novembre 1985, ai giovani del movimento buddhi-
sta Rissho Kosei-Kai che le avevano fatto una domanda sulla pace, Chiara
Lubich ha risposto: «La pace è effetto dell’unità. Quando c’è unità fra noi e
Dio c’è la pace interiore. Quando c’è unità fra i fratelli c’è pace fra fratelli.
Quando c’è unità fra i popoli c’è pace nel mondo».
Chiara Lubich sottolineava sempre che l’unità poteva essere vissuta da
tutti, proprio da tutti, perché l’unità, causa della pace, è:

l’amore che batte in fondo ad ogni cuore umano. Che per i seguaci
di Cristo può consistere in quella […] agape che è una partecipazio-
ne all’amore stesso che vive in Dio: amore forte, amore capace di
amare anche chi non contraccambia ma attacca, come il nemico,
amore capace di perdonare… E per chi segue altre fedi religiose è
un amore che può chiamarsi benevolenza, e che, per le persone che

nuova umanità 224 105


a 20 anni dal premio unesco a chiara lubich
Reinventare la pace

non hanno una fede religiosa, può voler dire filantropia, solidarietà,
non-violenza.

Su queste basi è possibile ripensare la pace, anzi è possibile reinventarla.


Reinventare la pace significa anzitutto impegnarsi a fondo sul dialogo,
prendere il dialogo sul serio, non solo come un metodo, ma come un valore
in sé. Il dialogo autentico è tale se non è episodico, se promuove ed edifica
una cultura del dialogo. Il dialogo è profondo interesse per l’altro, è cono-
scenza e stima reciproca, è sincero rispetto per la diversità, è valorizzazione
del pluralismo. Il dialogo è una strategia, non una tattica; è una visione di
lungo termine, e non si limita a obiettivi immediati. Il dialogo vero costruisce
rapporti solidi e duraturi, investe nel futuro senza perdere di vista le que-
stioni del presente. Il dialogo innesca processi strutturali di intesa e di com-
prensione, necessari se si vuole passare dalla convivenza, pur necessaria, al
mutuo riconoscimento e alla scoperta di una identità condivisa.
Reinventare la pace significa realizzare progetti politici che non siano con-
dizionati da interessi di parte e di corto respiro; progetti coraggiosi e incisivi,
che abbiano come stella polare il bene comune e i beni comuni dell’intera
famiglia umana.
Reinventare la pace significa abbattere il muro dell’indifferenza e assu-
mere un atteggiamento responsabile e attivo per ridurre le disuguaglianze
attraverso iniziative concrete, politiche specifiche, scelte etiche che vadano
nella direzione della realizzazione di un’autentica giustizia sociale. Signi-
fica rompere con la logica dell’accumulazione e del profitto senza limiti e
senza scopi sociali, significa fermare l’incremento delle spese militari e del
commercio internazionale degli armamenti, significa ripensare le politiche
economiche degli Stati e delle istituzioni finanziarie e commerciali interna-
zionali.
Reinventare la pace significa promuovere una cultura della legalità a ogni
livello per contrastare, attraverso azioni positive, la corruzione, l’evasione
fiscale, l’appropriazione illecita delle risorse pubbliche.
Reinventare la pace significa avere a cuore la salvaguardia del creato, far
crescere in noi e attorno a noi il rispetto per la nostra casa comune.

106 nu 224
maria voce

Reinventare la pace significa amare il nemico. Amare il nemico è novità di


vita, di quella vita che Gesù porta. Nel messaggio evangelico ci viene pro-
posto addirittura di andare oltre e annullare la categoria del nemico, sull’e-
sempio di Dio che manda il suo sole e fa cadere la sua pioggia sui buoni e sui
cattivi (cf. Mt 5, 45), e viene fatta una richiesta che può sembrare inaudita:
«Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6, 27).
Amare il nemico vuol dire disarmo globale, progressivo e bilanciato, non
per cadere nell’anarchia e nel caos, ma per inventare strumenti, forme e
modi di risoluzione dei conflitti più consoni alla dignità delle persone e dei
popoli, per passare alla pratica di una sicurezza condivisa e disarmata che si
fondi sulla consapevolezza di un comune destino.
Reinventare la pace significa perdonare. Il perdono non è contrario alla
giustizia internazionale, ma offre la possibilità di riavviare i rapporti su nuo-
ve basi.
Con forti accenti Giovanni Paolo II parlava del perdono come via alla
pace il 1° gennaio 2002:

Il perdono si rende necessario anche a livello sociale. Le famiglie, i


gruppi, gli Stati, la stessa comunità internazionale hanno bisogno
di aprirsi al perdono per intessere legami interrotti, per superare
situazioni di sterile condanna mutua, per vincere la tentazione di
escludere gli altri non concedendo loro possibilità di appello. La
capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società
futura più giusta e solidale. Il perdono mancato, al contrario, spe-
cialmente quando alimenta la continuazione dei conflitti, ha costi
enormi per lo sviluppo dei popoli. [...] La proposta del perdono
non è di immediata comprensione né di facile accettazione; è un
messaggio per certi versi paradossale. Il perdono infatti comporta
sempre un’apparente perdita a breve termine, mentre assicura un
guadagno reale a lungo termine. [...] Il perdono potrebbe sembrare
una debolezza; in realtà, sia per essere concesso che per essere ac-
cettato, suppone una grande forza spirituale e un coraggio morale
a tutta prova. Lungi dallo sminuire la persona, il perdono la conduce
ad una umanità più piena e più ricca, capace di riflettere in sé un
raggio dello splendore del Creatore.

nuova umanità 224 107


a 20 anni dal premio unesco a chiara lubich
Reinventare la pace

Reinventare la pace significa impegnarsi a fondo nella riconciliazione, ap-


prendendo questa difficile arte dalle esperienze storiche già realizzate con
successo, che hanno posto le basi per una rinascita politica, dopo conflitti
laceranti, come accaduto con le Commissioni per la verità, la giustizia e la
riconciliazione sperimentate in Sud Africa, in Cile, Argentina, El Salvador,
Guatemala, Panama, Perù, Ghana, Sierra Leone, Liberia, Timor Est, Tunisia
e anche in Colombia.
In conclusione, reinventare la pace è davvero possibile nella misura in cui
cambia le mente e il cuore delle persone. Per questo è necessaria una pro-
fonda operazione culturale. Occorre investire sulla cultura e sull’istruzione,
come raccomanda questa Istituzione, specialmente a favore delle nuove
generazioni, per formare giovani e adulti che maturino la coscienza della
guerra come un’opzione impensabile e come una via del tutto impraticabile.
Dar vita a luoghi in cui si possa fare un’autentica esperienza di pace, in cui
si incontrino persone di culture, esperienze, età, provenienze diverse, luo-
ghi dove ogni identità possa diventare un arricchimento reciproco, dove la
fraternità universale diventi tangibile. Questi luoghi – ed il Movimento dei
Focolari ne ha costruito qualche decina –, queste strutture, già presenti in
tante parti del mondo, sono piccoli fari di luce che indicano un percorso che
ci può trasformare, ci può rendere persone rinnovate, aperte al mondo e al
tempo stesso attente alle esigenze, alle sofferenze, ai bisogni, alle aspirazio-
ni e anche alle gioie degli altri5.
Infine, reinventare la pace significa amare la patria altrui come la propria,
il popolo, l’etnia, la cultura altrui come i propri.
La pace, per Chiara Lubich, è una dimensione globale, anzi, universale.
Essa parte dalle persone e si allarga fino ai confini della terra, abbracciando
l’umanità intera con le sue culture, le sue mille identità, le sue articolate
strutture, con il pluralismo delle sue istituzioni, la molteplicità dei suoi mo-
delli politici, economici, sociali. La pace non è una promessa, è un impegno
e una scelta. Sta a noi farla fiorire sulla faccia della terra.
L’invito a tutti quanti qui presenti, o che ci seguono in tutto il mondo, è
di armarsi di pace, di essere portatori di pace, testimoni in ogni angolo del
mondo che la pace la si può reinventare!

108 nu 224
maria voce

1
  Discorso all’UNESCO per il 20° anniversario del Premio per l’Educazione alla
pace a Chiara Lubich, Parigi, 15 novembre 2016.
2
  C. Lubich, Discorso al Simposio Verso l’unità delle Nazioni e l’unità dei popoli,
organizzato dalla WCRP nella sede dell’ONU a New York nel 1997.
3
 Id., La dottrina spirituale, Mondadori, Milano 2001, p. 298.
4
  C. Lubich al prof. Benjamin Barber, Messaggio per la Giornata dell’interdipenden-
za, Filadelfia, 12 settembre 2003.
5
  Mi riferisco alle Cittadelle del Movimento dei Focolari, presenti nelle varie la-
titudini del mondo (cf. http://www.focolare.org/all-opera/cittadelle).

nuova umanità 224 109


dallo scaffale di città nuova

Fedeltà creativa
la sfida dell’attualizzazione di un
carisma
di Jesús Morán

Che cos’è un carisma? Come si incarna nella


storia della Chiesa e dell’umanità?

Può un movimento nato da un carisma essere fedele nel tempo


all’ispirazione iniziale senza che questa fedeltà risulti stanca
ripetizione? Sono domande che nella storia di un movimento
nascono in modo particolare quando viene meno il suo fon-
datore; domande che fanno da sfondo alla riflessione di Jesús
Morán - dal 2014 co-presidente del Movimento dei Focolari –
sul carisma del Movimento fondato da Chiara Lubich. Il testo
isbn nasce da un intreccio di circostanze: i numerosi incontri avuti
9788831115178 negli ultimi due anni in diversi contesti geografici e culturali
pagine con persone esperte in vari campi della vita culturale, sociale
e spirituale del nostro tempo; i tanti mutamenti, incalzanti e di
100
non sempre semplice lettura, che la realtà mondiale ci mani-
prezzo festa ormai quasi giornalmente, soprattutto lo straordinario
euro 10,00 vento di novità che in questi anni sta soffiando all’interno della
Chiesa cattolica grazie al pontificato di papa Francesco, anni
così pieni di sorprese che inducono decisamente a una nuova
speranza e fanno riemergere insospettate energie sopite da
tempo con quel timbro di novità che solo il vangelo promette
e permette.

Disponibile in formato cartaceo ed e-book su


http://editrice.cittanuova.it

nu 224
a 20 anni dal premio unesco a chiara lubich

Unità della famiglia umana


e cultura di pace

Jesús Signor Direttore generale dell’UNESCO1,


Morán Eccellenze illustrissime,
gentili partecipanti a questo evento dedicato al 20°
copresidente anniversario del Premio che l’UNESCO ha conferito a
del movimento Chiara Lubich sul tema Educazione alla pace, con gratitu-
dei focolari. dine accolgo l’opportunità che generosamente mi avete
filosofo, teologo.
concesso di parlare sulla questione dell’unità della fami-
glia umana e della cultura di pace.
Vent’anni fa, in questa prestigiosa sede, Chiara Lubich
descriveva il rapporto fra la cultura dell’unità e la pace,
presentando l’esperienza del Movimento dei Focolari nel
mondo. Essa – diceva – era al servizio del mutuo rico-
noscimento della dignità di ciascuno, favoriva uno stile
di vita comunitario, abbatteva le artificiali barriere che
producevano diffidenza, ostilità e inimicizia, e soprattut-
to presentava l’idea portante del nuovo ordine mondiale
basato sulla visione della pace: l’umanità come famiglia,
con Dio Padre, sorgente di infinito amore per tutti e per
ciascuno. E se si elevavano, allora, venti di guerra nell’u-
manità, Chiara Lubich metteva in luce le tante iniziati-
ve ed esperienze che indicavano la strada della ricerca
dell’unità fra le persone, le comunità, i popoli.
Vent’anni fa il mondo era diverso. Era afflitto da nu-
merosi conflitti, i quali si presentavano in forma perlo-
più localizzata e coinvolgevano gruppi riconoscibili di
belligeranti. Gli anni successivi hanno mostrato il volto

nuova umanità 224 111


a 20 anni dal premio unesco a chiara lubich
Unità della famiglia umana e cultura di pace

duro e angoscioso di nuove situazioni di guerra. Ricordiamo le primavere


arabe, con le conseguenti instabilità delle aree mediorientali e la formazione
dell’autoproclamato Stato islamico. Sono ancora vive alla nostra mente le
immagini delle distruzioni di intere città, delle devastazioni di monumenti
e opere d’arte. Vent’anni fa nessuno poteva pensare che l’Europa potesse
ancora essere il teatro dell’occupazione di una regione di uno Stato da parte
di un altro confinante, come avvenuto in Crimea. La recrudescenza dei con-
flitti in Afghanistan, in Birmania, il colpo di stato in Thailandia, i conflitti fra
gruppi religiosi, e non solo, in Centrafrica e in altre regioni dell’Africa subsa-
hariana, sembrano mettere le lancette dell’orologio indietro nel tempo, a
epoche di instabilità politiche che, forse, vent’anni fa erano meno evidenti.
La guerra è, oggi, un dramma dai mille volti. Alle guerre fra gli Stati si ag-
giungono guerre all’interno degli Stati, fra etnie, gruppi politici e comunità reli-
giose. A volte è combattuta da eserciti regolari, altre volte da milizie irregolari,
o da gruppi di mercenari, o da irriconoscibili “lupi solitari”, come accade nel
caso delle azioni terroristiche. Anche gli strumenti della guerra sono cambia-
ti. È evidente che le guerre oggi si manifestano spesso sugli inediti campi di
battaglia dei mercati finanziari ed economici, per l’approvvigionamento delle
materie prime e delle risorse energetiche, per conquistare nuovi mercati.
L’insorgenza e lo sviluppo di nuovi conflitti chiede anche alle culture di
pace di trovare nuove e più aggiornate risposte. Pensiamo, per esempio, alla
cultura della non-violenza. Essa è autenticamente una forza rivoluzionaria al
servizio della pacificazione dei contesti di guerra più cruenti. È potente per-
ché trasforma l’ingiustizia subita nell’opportunità di fondare azioni di pace e di
perdono. È la risposta di chi, offeso e perseguitato, rifiuta di impugnare le armi
perché non crede che l’azione di guerra sia il modo ragionevole di superare i
conflitti. Ma oggi sta accadendo qualcosa di nuovo: i civili inermi, che cadono
sotto le azioni terroristiche, sono già indifesi, innocenti, disarmati. Sono, in
altre parole, non-violenti, ma senza averlo potuto scegliere. D’altronde, non
sapevano neanche di trovarsi in un campo di battaglia. Cos’è allora la non-
violenza quando da scelta etica diventa circostanza imprevedibile?
Oppure si pensi alla cultura della pace impostata sul normativismo. Essa
ha il suo fondamento teorico nell’opera di Immanuel Kant, Zum ewigen Frie-
den2 (Per la pace perpetua), nella quale il filosofo prussiano dipinse le ragioni

112 nu 224
jesús morán

di ordine non etico, ma giuridico, razionale e contrattuale, della pace fra gli
Stati e le comunità. Ma gli scenari globali attuali hanno immesso sulla scena
nuovi attori sociali, indifferenti alle diplomazie, agli accordi, alla negoziazio-
ne dei vantaggi e degli svantaggi della cooperazione internazionale.
La spiritualità di Chiara Lubich, centrata sull’unità, può dare un contri-
buto alle culture di pace odierne. Il Movimento dei Focolari è impegnato,
al pari di altre organizzazioni, in questi ambiti. È presente in circa 180 Paesi
del mondo e in molti di essi rappresenta una sorta di presidio per l’unità e la
pace. Consentitemi di ricordare qui che esiste oggi una comunità dei Focola-
ri ad Aleppo, in Siria, che offre spazi di condivisione e reciproca solidarietà a
una popolazione martoriata dalla guerra. Esistono comunità vitali nei Paesi
della fascia centrale del continente africano, che ho recentemente visitato,
dove la violenza dell’intolleranza miete quasi quotidianamente le sue vitti-
me. Si è appena concluso a Tlemcen (Algeria) le Congrés Musulman del
Movimento dei Focolari, con la partecipazione anche di cristiani di vari Paesi
del mondo, con l’appello finale a lavorare più capillarmente e con maggiore
profondità per costruire una cultura di pace. E siamo presenti e attivi per la
pace nei Paesi dove essa è attualmente più minacciata. Il primo obiettivo
di queste iniziative è, ovviamente, la fine dei conflitti e l’instaurazione di un
clima sociale e civile pacifico3. Ma, come la storia contemporanea spesso ci
ha insegnato, oggi le ragioni della pace implicano questioni più profonde. Il
Movimento dei Focolari, in tal senso, opera per una giustizia sociale fondata
sulla comprensione che, nel nostro mondo globale, l’avvenire sarà sempre
più condiviso, e le guerre e le miserie localizzate avranno comunque riper-
cussioni globali. Nessuno può salvarsi da sé, nessuno può sperare di rima-
nere felice da solo. Occuparsi del bene e della pace altrui è oggi decisivo per
curare la propria felicità, come c’insegnano figure come Zygmunt Bauman,
e prima di lui John Dewey e Karl Mannheim4.
La spiritualità dei Focolari, in tal senso, può dare un contributo utile alla
edificazione di una nuova cultura di pace. Essa, infatti, è stata definita da Chia-
ra come una spiritualità collettiva, comunitaria. Dal punto di vista politico, si
potrebbe credere che ciò significhi semplicemente che essa si realizzi attorno
a un ente collettivo, come lo Stato, il partito, o una Chiesa. Non è così e, fra
l’altro, la storia moderna ci ha mostrato il volto terribile che i collettivismi pro-

nuova umanità 224 113


a 20 anni dal premio unesco a chiara lubich
Unità della famiglia umana e cultura di pace

ducono quando tentano di imporre le loro visioni etiche e, in ciò, implicano la


violazione delle libertà individuali e generano guerre, non la pace. Invece, la
spiritualità dei Focolari si distingue dalle spiritualità individuali dal fatto che
queste di solito si basano su una vita religiosa conquistata come ricerca per-
sonale. La spiritualità comunitaria aggiunge, a questa ricerca individuale, un
percorso specifico, secondo il quale si arriva a Dio insieme, cioè uniti alla figu-
ra di Cristo (secondo le parole del Vangelo di Giovanni: «Come tu, Padre, sei
in me e io in te, siano anch’essi in noi» [Gv 17, 21]), e costruendo l’unità fra tutti
(«perché tutti siano una cosa sola» [Gv 17, 21]).
Allora, al centro della nostra esperienza non c’è un ente collettivo, non
c’è un impersonale “noi”, ma una persona: la persona di Gesù5.
È Gesù, perciò, a portare la sua pace. Di più, Gesù ci indica la misura ra-
dicale con cui dovremmo agire per guarire ogni ferita, sanare ogni problema,
risolvere ogni conflitto. Amare come lui ci ha amato, fino a salire sulla croce
per amore dell’umanità. Così non solo lo seguiremo, nell’amore reciproco,
ma saremo con lui, agiremo come lui, e lasceremo perciò a lui fare la storia.
In Gesù, dunque, unità e pace sono la stessa cosa.
Ora, questa è l’ispirazione. Se è vero che il desiderio di pace ispira tutti
gli uomini di buona volontà6, se è vero che esso è scritto nel cuore di ogni
uomo, è nel momento in cui tale anelito si trasferisce dal cuore alla mente, e
poi all’azione, che esso diventa cultura.
Tale cultura della pace fondata sull’ideale dell’unità (come amava chia-
marlo Chiara) è in grado oggi di affrontare le sfide portate dal pluralismo
etico e religioso. La convivenza di comunità e popoli che hanno visioni del
mondo differenti è una sfida per la pace. Di sicuro, sarà difficile che la pace
possa generarsi dal prevalere di una di queste concezioni pacifiste sulle al-
tre. Per quanto siano lodevoli i tentativi di diffondere i princìpi di tolleran-
za, di democrazia, di concordia, a tutti gli angoli del mondo, non possiamo
dimenticare che esistono altre concezioni della vita buona, altri princìpi di
etica sociale, o che semplicemente la grammatica etica che stiamo usando
non corrisponde a quella di altre culture.
Non c’è altra soluzione che intavolare processi di dialogo che coinvolga-
no culture diverse, fedi diverse, concezioni del mondo diverse, finalizzati al
mutuo riconoscimento, alla cooperazione internazionale, alla promozione

114 nu 224
jesús morán

della solidarietà e del bene comune. Questi sono i caratteri di una comunità
fondata su uno stile di vita alla ricerca dell’unità. E quando essa si manifesta,
rappresenta una forza capace di generare soluzioni pacifiche dirompenti.
Il pensiero va a quanto avvenuto questa estate a Jacques Hamel, il quale
fu trucidato nella chiesa di Saint-Étienne-de-Rouvray. Quel tragico episo-
dio condusse tanti cittadini islamici a recarsi nelle chiese cristiane per un
momento di riflessione e unità. Tale scelta ha inferto al terrorismo un colpo
assai più grave di tante strategie politiche e militari.
È questa la cultura di pace che nasce dall’unità. La sua efficacia è stata mo-
strata ad Assisi, lo scorso settembre, all’incontro di dialogo fra le religioni e le
culture, a trent’anni dal primo grande incontro voluto da san Giovanni Paolo II.
Il Movimento dei Focolari è al servizio di tale prospettiva, oggi avvertita
come determinante per pacificare un mondo sempre più interdipendente.
La profezia del messaggio di Chiara Lubich, premiata vent’anni fa dall’UNE-
SCO, risuona oggi ancora più attuale.
Grazie

1
  Discorso all’UNESCO per il 20° anniversario del Premio per l’Educazione alla
pace a Chiara Lubich, Parigi, 15 novembre 2016.
2 
I. Kant, Zum ewigen Frieden, 1795.
3
  Attraverso queste iniziative, il Movimento dei Focolari intende costruire un
clima sociale fondato su princìpi di pace e di armonia, in grado di mettere al centro
dell’azione pubblica il bene comune, il quale si propone oltre ogni interesse partico-
lare di natura economica, finanziaria o geopolitica.
4
  Cf. Z. Bauman, Does Ethics Have a Chance in a World of Consumers?, Harvard
University Press, Cambridge-London, 2008; J. Dewey, Democracy and Education,
The MacMillan Company, New York 1916; K. Mannheim, Freedom, Power and Demo-
cratic Planning, Routledge & Kegan Paul Ltd., London 1965.
5
  Gesù può comporre il mosaico ricco e vario delle nostre comunità. La pace
è un suo dono perché, come scrive Isaia: «Dio ci donerà la pace, perché compie in
noi ogni nostra azione» (Is 26, 12). Già Tommaso d’Aquino aveva intuito che tale
passaggio era la chiave ermeneutica per collegare l’azione umana alla Provvidenza
di Dio (cf. Tommaso D’Aquino, Summa contra Gentes, III, 67).
6
  Cf. Giovanni XXIII, Pacem in terris, 11 aprile 1963, 89.

nuova umanità 224 115


dallo scaffale di città nuova

Princeps philosophorum
Platone nell’Occidente tardo-
antico, medievale e umanistico
di Maria Borriello - Angelo Maria Vitale (edd.)

L’influenza del pensiero di Platone nella filosofia


nella cultura occidentale dal II al XVI secolo.

La filosofia di Platone, più di ogni altra, ha plasmato l’intera


riflessione filosofica occidentale, configurandosi per molti
aspetti come il modello ideale del “fare filosofia”. Ripercorrere
pertanto le molteplici vie della ricezione del messaggio pla-
tonico significa osservare il vivo operare di questo messag-
gio all’interno del pensiero metafisico-teologico nel corso dei
secoli. I saggi contenuti nel volume ricostruiscono l’incidenza
isbn del pensiero e della stessa figura di Platone nella riflessione
9788831111754 filosofica e nel contesto culturale tra tarda antichità e Rinasci-
pagine mento, consentendo di indagare, anche nei suoi aspetti meno
noti, il formarsi di quella “tradizione platonica” che costitui-
544
sce uno dei momenti fondativi della stessa identità spirituale
prezzo dell’Occidente.
euro 45,00

Disponibile in formato cartaceo ed e-book su


http://editrice.cittanuova.it

nu 224
alla fonte del carisma dell’unità

Pluralismo e verità
in Chiara Lubich

Claudio
una premessa
Guerrieri
La molteplicità delle persone con le loro idee imme-
phd in filosofia
(pul, roma). diatamente espresse e confrontabili, a volte conciliabi-
baccalaureato li, altre volte tra loro del tutto contraddittorie, appare
in teologia (pug, come un’esperienza innegabile del nostro interagire.
roma). docente Nelle società del passato, il forte senso di identità e la
di filosofia. si volontà di essere riconosciuti come integrati nel gruppo
occupa di dialogo
ecumenico. sociale di appartenenza hanno comportato diversi livelli
è membro di presa di posizioni ben determinate e delimitanti entro
del centro cui poter esprimere la propria opinione diversa, la pro-
interdisciplinare pria interpretazione della verità. Questo ha comportato
di studi “scuola sia una forte delimitazione della verità, che si configura-
abbà”.
va come assoluto punto di riferimento pur fondandosi
di fatto più su una tradizione culturale che su un vero
approccio libero ed accogliente della verità, sia una forte
costrizione delle persone nella loro ricerca e nella loro
interpretazione della verità.
Questo percorso di cristallizzazione della verità in
specifiche formulazioni ha caratterizzato per secoli le
culture tradizionali e ha imbrigliato la scienza, la filosofia
e l’esperienza religiosa.
Al contempo, l’irrompere nella storia di personalità,
di scoperte, di contatti con tradizioni diverse ha imposto
un continuo aggiornamento e una continua correzione
dei parametri di determinazione della verità e sempre

nuova umanità 224 117


alla fonte del carisma dell’unità
Pluralismo e verità in Chiara Lubich

più si è imposta la questione della relazione tra molteplicità delle persone e


possibile molteplicità delle interpretazioni della verità. Nel nostro contesto
multiculturale e multireligioso, la domanda sulla possibilità di accedere alla
verità e la relativizzazione di ogni verità proposta, la sua riduzione a sempli-
ce opinione, sono questioni quotidiane. La stessa possibilità di un dialogo
tra prospettive diverse sembra ridursi a semplice compromesso e basarsi su
una tolleranza che appare fondarsi semplicemente sull’ininfluenza dell’opi-
nione altrui sulla nostra vita e quindi sostanzialmente su una indifferenza ed
estraneità. Al polo opposto cresce l’urgenza d’un reciproco riconoscimento
e di un’identità che a volte tende a radicalizzarsi in modo nuovo, rispetto ai
contesti della storia passata, in fondamentalismi più o meno integralisti in
cui chi non è con loro è già sicuramente contro di loro.
Se guardiamo alla dottrina e al vissuto della Lubich e del Movimento dei
Focolari, la dimensione identitaria e quella dialogica sembrano integrarsi in
un riconoscimento del valore della persona come capace di aprirsi alla verità
e come luogo di presenza di Dio. Questa prospettiva si radica in modo origi-
nale nel pensiero cristiano ed ha fatto maturare, in vari contesti, possibilità
di dialogo tra culture e religioni spesso impensate e a volte espressamente
osteggiate.
Questi dialoghi caratterizzanti la finalità specifica del Movimento dei
Focolari, ed espressamente definiti come tali dai suoi Statuti, si basano su
un’esperienza vissuta dalla Lubich che ha aperto una riflessione sulla rela-
zione tra molteplicità delle persone e accesso alla verità, senza sacrificare
nessuno dei due poli della questione.

molteplicità delle persone e degli accessi alla verità

La prospettiva evangelica cristiana, entro cui si muove il pensiero della


Lubich, si fonda sull’identificazione di ogni uomo, anche del più piccolo e
socialmente insignificante, con Gesù e d’altra parte con l’autodefinizione di
Gesù come “via, verità e vita”. Questi due nodi teologici articolano e interro-
gano prassi e pensiero in modo radicale ogni qualvolta si cerchi un approc-
cio alla verità tenendo conto della molteplicità delle persone.

118 nu 224
claudio guerrieri

In prospettiva filosofica si evidenziano diverse conseguenze, non sono


solo sul piano ontologico ed esistenziale (che lasciamo qui sottintese), ma
anche nella definizione della relazione tra verità e interpretazioni, tra Gesù e
singole persone, o meglio, tra Gesù-Verità e persona-Gesù.
L’identificazione di Gesù con ognuno offre, sul piano conoscitivo, la pos-
sibilità a ciascuno di esprimere il vero e questo assume il suo pieno significa-
to e valore proprio nell’incontro con il vero dell’altro, qualora entrambi siano
disposti a dialogare, non sul piano del mero confronto o del riconoscimento
del limite proprio e altrui e del confine di separazione definibile tra il pensare
mio e quello altrui, ma siano disposti ad assumere il pensiero altrui come
proprio riproponendo, ciascuno, il proprio a partire dall’altrui prospettiva.
Il pensare dell’uno e dell’altro, l’interpretazione d’una disciplina rispetto
all’altra, non risultano tra essi indifferenti o semplicemente compatibili, ma
effettivamente complementari. Si potrebbe dire che il Lógos si renda presen-
te nei suoi lógoi, nei “singoli detti”, così che ognuno costituisca un tassello
insostituibile del rivelarsi di Dio, essendo ognuno oggetto d’un amore infini-
to e soggetto capace di attuare una comunione di cuore, mente e forze con
ogni altro.
In questo modo si sottolineano sia l’esclusività dell’essere di ognuno che
la complementarietà e l’imprescindibilità dell’essere e degli altri. La com-
prensione del tutto, il Verbo-Verità, diventa compartecipazione cosciente
della coappartenenza di tutti gli uomini al Verbo e comporta uno sguardo
inclusivo.
Se la misura della comunione è quella indicata dal Cristo, la donazione
reciproca come lui ha fatto, l’essere “figli nel Figlio” si traduce nell’essere
luogo di un approfondimento e uno svelamento della rivelazione, sempre
aperta all’autocomunicazione di Dio che attualizza la rivelazione e la sua
azione nella storia.

il circolo ermeneutico verità - singola persona - altri

L’autocomunicazione di Dio è concepita, nella tradizione ebraico-cristia-


na, come realizzantesi nella storia e nella sua pienezza in Gesù. La rivelazio-

nuova umanità 224 119


alla fonte del carisma dell’unità
Pluralismo e verità in Chiara Lubich

ne definitiva che con Gesù si attua risulta aperta a una ulteriore compren-
sione, come lo stesso Gesù indica, sia con l’invio dello Spirito Santo, sia con
la promessa della sua presenza tra i suoi.
Il momento dialogico assume in questo contesto la sua possibilità
estrema.
È interessante notare come, commentando il suo testo Risurrezione di
Roma, in una nota la Lubich scriva:

Si pensa a volte che il Vangelo non risolva tutti i problemi umani e


che porti solo il Regno di Dio inteso in senso unicamente religioso.
Ma non è così. Non è certo il Gesù storico o Lui in quanto Capo del
Corpo mistico che risolve tutti i problemi. Lo fa Gesù-noi, Gesù-io,
Gesù-tu... È Gesù nell’uomo, in quel dato uomo – quando la sua gra-
zia è in lui –, che costruisce un ponte, fa una strada. Gesù è la perso-
nalità vera, più profonda di ognuno. Ogni uomo (ogni cristiano), in-
fatti, è più figlio di Dio (= altro Gesù) che figlio di suo padre. È come
altro Cristo, membro del suo Corpo mistico, che ogni uomo porta
un contributo suo tipico in tutti i campi: nella scienza, nell’arte, nella
politica... È l’incarnazione che continua, incarnazione completa che
riguarda tutti i Gesù del Corpo mistico di Cristo1.

C’è qui il nodo della relazione tra interpretazioni e verità, nonché la pro-
spettiva di reciproco riconoscimento e di reciproca valorizzazione che l’a-
zione e il pensare altrui offrono alla propria azione e al proprio pensare. La
prospettiva, seppur colorata teologicamente, sembra approfondire quella
jasperiana che offriva la possibilità dell’integrazione tra esistenza della veri-
tà, sottolineandone la trascendenza e l’inoggettivabilità, e dimensione dia-
logica della ricerca filosofica2. Una prospettiva che risulta centrale in tutta la
filosofia ermeneutica3.
Il legame tra intuizione intellettuale del divino, rilettura del “filo d’oro”
della propria esistenza e rapporto quotidiano d’amore con gli altri, nonché la
luce scaturente dall’amore reciproco che attira la presenza del Risorto4 sem-
brano rimandare a quelle grandi prospettive del rapporto tra intersoggetti-
vità e verità che hanno animato il XXI secolo. Che la questione sia radicata
in questa modalità di “commercio” di ciascuno con gli altri e con la verità ce

120 nu 224
claudio guerrieri

lo testimonia la prassi del pensare e dell’azione quotidiana. La riflessione


filosofica ci ha mostrato con chiarezza che non c’è possibilità d’un ascolto
assoluto e definitivo della verità come compiutamente posseduta che non
sia delirio o idolatria, né è possibile affidarsi a ogni vento di novità che il pen-
siero altrui ci offre senza perdere l’orientamento, tanto meno rinchiudersi in
un isolamento soggettivo in ogni affermazione negando il desiderio d’uni-
versalità e di condivisione che, radicato in ognuno, ci apre costitutivamente
agli altri e trova prima espressione nella comunicazione linguistica.
Il circolo ermeneutico verità - singola persona - altri, nella definizione
del vero, non è circolo vizioso, ma segnale d’una coappartenenza dei tre
costituitivi.
C’è un’esclusività della relazione, con la verità legata all’unicità della per-
sona, e una inclusività della verità, in cui ognuno ha una sua collocazione
significativa, e un continuo e incessante “commercio” tra sé e gli altri nella
ricerca e nella determinazione dell’orizzonte di senso. Questo “commercio”
comporta il riconoscimento, il conflitto, l’accoglienza. Su questo si basano
le interpretazioni filosofiche che insistono sul valore del dialogo come luogo
di rivelazione del vero e che hanno un significativo primo approccio già nella
tradizione socratica e platonica e in particolare nella dottrina-prassi presen-
tata nella Settima Lettera di Platone.
Nell’esperienza religiosa della Lubich si può ritrovare sia la dimensione
della rivelazione del tutto personale ed esclusiva, sia il suo aprirsi ad essa
grazie all’apertura all’altro come presupposto – secondo quella che racconta
lei stessa, relativamente al momento del cosiddetto “patto” con Igino Gior-
dani5 –, sia il suo comprendere meglio quanto intuito nell’atto della comu-
nicazione che non comporta solo un “ascolto” da parte di chi era coinvolto,
ma un vero condividere la sua intuizione. Nel racconto si esplicitano questi
due elementi “dialogici”:

La sua persona [quella di Igino Giordani] portava chiaramente una


particolare presenza di Gesù in mezzo a noi, che mi metteva l’anima
in festa e mi faceva vedere le cose come prima non le avevo vedute.
Ogni incontro con lui, ogni discorso, lo ripetevo poi alle pope6 alla
lettera e col calore che sentivo, per farle partecipare di ogni cosa e
perché mi sembrava che ciò che non è utile all’umanità o almeno

nuova umanità 224 121


alla fonte del carisma dell’unità
Pluralismo e verità in Chiara Lubich

agli altri, non ha valore. Lo comunicavo inoltre perché conservasse


quella trasparenza divina e non s’aggiungessero elementi “umani”
a guastare ogni cosa7.

Igino Giordani, che aveva conosciuto la Lubich nel ’48 e condiviso la sua
spiritualità nascente, nell’estate del ’49 le propose di legarsi a lei in modo
personale più esplicito per attuare un cammino evangelico di perfeziona-
mento. La Lubich a questa richiesta rispose mostrando delle perplessità ma,
guardando non tanto a sé o alla richiesta ma a quanto potesse esservi di
valido in entrambe le posizioni, propose un ascolto di quello che Dio potesse
volere. Per la Lubich Gesù-Verità, presente nell’eucarestia, a cui si stavano
per comunicare, avrebbe potuto rispondere adeguatamente qualora aves-
sero chiesto concordemente la sua presenza «sul nulla di noi». Si segnala, in
questo episodio fondamentale nell’esperienza della Lubich e del Movimento
che in lei prende vita, un atteggiamento che potremmo definire sia dialogi-
co che veritativo e che comporterà sia un portare a maturazione il vissuto
che precede questa esperienza sia l’aprirsi ad ulteriori intuizioni e ad una
visione complessiva nuova. Questa non chiuderà la prospettiva dialogica,
anzi la stimolerà ulteriormente, non solo perché fondata sull’esperienza del
“patto”, ma perché si vede in questa una modalità strutturale dell’aprirsi al
divino e alla verità. Che l’unicità dell’esperienza non comporti una esclusivi-
tà di rapporto tra due particolari persone viene sottolineato ripetutamente
dalla Lubich.
«Questa visione – diciamo così – lo ricordo bene, mi è stata chiara solo
quando anche le “pope” fecero fare, sul loro nulla, lo stesso patto a Gesù Eu-
caristia onde unirsi con noi»8. E conclude: «ognuno di noi sentiva di portare
in sé distintamente quanto fino a quell’attimo ci era apparso patrimonio
comune»9.
Nel nodo concettuale del rapporto persona, verità e dialogo si evidenzia
nella Lubich un senso di coappartanenza tra le persone e le verità e quasi
“l’impossibilità” di separare incontro con gli altri e con Dio, Gesù-Verità e
persona-Gesù, dalla percezione della verità nella coscienza.

122 nu 224
claudio guerrieri

una relazione dinamica tra le persone e con la verità

Nella Lubich risulta la necessità di concepire la relazione al vero e agli


altri come una dinamica mai esaustiva né esauribile, anche dalle pagine
in cui è descritto il processo, definito altrove di “trinitazzione” – in quanto
richiama analogicamente la vita della Trinità. L’attuarsi delle relazioni tra
le persone, che con un atto di libertà si legano nella ricerca veritativa ed
esistenziale, evidenzia la dinamica dialogica come costitutiva e questa ri-
manda, come modello possibile e strutturale, alla Trinità. Con un linguaggio
poetico e mistico scrive che tutte le persone coinvolte in questo processo
di dialogo comunionale si uniranno per formare “un centro”, «come un boc-
ciolo di una mistica rosa» e poi si distingueranno di nuovo «come in tanti
petali, ognuno dei quali si formerà in rosa [...]. La rosa poi si aprirà ancora
in altri modi, secondo altri rapporti che passano tra le anime, e i disegni e
le armonie saranno perennemente nuovi... Così il cielo sarà sempre nuo-
vo... il bello sempre nuovo»10. Il “perennemente nuovo” esprime con lucidità
l’unicità dell’orizzonte divino in cui ci si muove e la pluralità delle persone e
delle prospettive in esso raccolte nel loro avere “altri rapporti” tra loro. L’o-
rizzonte veritativo in cui la verità si esprime si configura come determinato
in ogni uomo, costituito dalle relazioni tra loro, e continuamente nuovo per
il suo svelarsi continuo. Risulta per questo costitutivo della spiritualità di
comunione, proposta e vissuta dalla Lubich, la dimensione della scoperta e
della condivisione dell’azione di Dio in ognuno. In un testo così si esprime in
modo esplicito:

I fedeli che tendono alla perfezione, cercano, in genere, di unirsi a


Dio presente nel loro cuore. Essi stanno come in un giardino fiorito
e guardano e ammirano un solo fiore. Lo guardano con amore nei
particolari e nell’insieme, ma non osservano tanto gli altri fiori.
Dio – per la spiritualità collettiva che egli ci ha donato – chiede a
noi di guardare tutti i fiori perché in tutti è lui e così, osservandoli
tutti, si ama più lui che i singoli fiori. Dio che è in me, che ha pla-
smato la mia anima, che vi riposa in Trinità, è anche nel cuore dei
fratelli11.

nuova umanità 224 123


alla fonte del carisma dell’unità
Pluralismo e verità in Chiara Lubich

C’è qui non solo l’identificazione tra coscienza umana e sede della voce
interiore con cui Dio parla all’uomo, nonché l’identificazione tra Gesù e l’es-
sere più profondo d’ognuno, dottrine già presenti nella radice teologica del-
la Lubich, ma un certo pluriprospettivismo dello sguardo verso Dio e una
possibilità d’approccio plurimo all’infinito mistero dato dalla pluralità delle
persone e dal loro essere luoghi della presenza di Dio. Questo comporta una
prospettiva sulla verità che lascia aperta la via a una continua apparizione
nuova del vero come animato dal connettersi delle persone nell’amore, nel
reciproco riconoscimento e dono. In questo modo non si prospetta un facile
relativismo, ma si sottolinea la possibilità d’un nuovo e plurimo approccio
al mistero, di cui l’umanità partecipa ontologicamente e, di conseguenza,
gnoseologicamente. In questo testo la riflessione va a esplicitare quanto già
accennavamo a proposito del rapporto tra lógoi e Lógos:

Il guardare tutti i fiori è avere la visione di Gesù, di Gesù che, oltre


ad essere il Capo del mistico Corpo, è tutto: tutta la Luce, la Parola,
mentre noi ne siamo parole. Però se ognuno di noi si perde nel fra-
tello e fa cellula con esso (cellula del corpo mistico) diviene Cristo
totale, Parola, Verbo12.

È evidente la componente mistico-poetica, ma la conseguenza non è


solo la prospettiva unitiva mistica, bensì la possibilità di accesso al senso
e al significato, al conoscere che si realizza con l’esperienza dell’incontro
effettivo e unitivo con l’altro, incontro che sul piano gnoseologico vede
il dialogo come sua modalità specifica. La prospettiva mistica determina
anche quella escatologica, perché l’unità, di cui la capacità dialogica è
un elemento, diviene punto d’arrivo non solo nel rapporto con Dio ma
anche con gli altri. A chi condivideva la sua esperienza la Lubich arriva
a scrivere:

Quando in Paradiso faremo unità con altre anime entrando in esse


(io in te) entreremo nel Paradiso della loro anima, ché ogni anima,
essendo Verbo, avrà tutto il Paradiso in sé. Dunque è esatto quando
ti dico che tu sei il mio Cielo13.

124 nu 224
claudio guerrieri

Questo approccio all’altro chiede a ognuno la responsabilità di testimo-


niare il vero con la propria esistenza14. Il vero nell’altro, essendo l’amore l’u-
nica categoria esistenziale capace d’aprire vie nuove, non può che essere
“assunto”, il che comporta il perdere la distinzione congelante di “mio” e
“tuo” come orizzonti paralizzati e solo sovrapponibili e amare la verità altrui
come la propria, facendo emergere in entrambe l’unica Verità che colora di
sé ognuno. È evidente anche qui la radice teologica del pensare della Lubich.
La Verità che conosciamo più propriamente è, infatti, la Verità crocifissa e
abbandonata, che nella sospensione di sé per amore assume in sé cielo e
terra, uomini e Dio, si fa spazio dialogico infinito amando.
Entrare in relazione con l’altro non è annullamento delle differenze nel-
la costruzione di un’identità simbiotica, ma mantenimento delle differenze
nell’unità sperimentabile nel reciproco accoglimento. Accettare le diffe-
renze che la dialogicità sperimentata contiene è scoperta della dialogicità
intima a ognuno di sé con sé, di sé con la realtà e con la verità e della im-
prescindibilità della propria identità dalla relazione con questi poli dialettici
entro cui si compiono e si attuano un’identità relazionata e una dialogicità
esistenziale e gnoseologicamente capace di fondare un senso e i significati
in esso. Solo nella misura in cui si accoglie la polarità in ognuno, e quella in
relazione al tutto e agli altri, l’identità non è illusoria. Nessuna “annessio-
ne” identitaria risolve veramente le questioni di confine che ci interpellano
e ci mettono in crisi continuamente, mentre la dialogicità che comporta l’a-
pertura delle frontiere e la libera circolazione dei beni di ognuno verso gli
altri qualifica l’identità e la fonda in una comune radice esponendola alla
diversità. Esporsi alla differenza non significa annullarsi, né confondersi, ma
liberare la propria identità rendendola capace di accogliere. In questa mo-
dalità relazionale è superato il conflitto come unica possibilità di confronto
e si prospetta il riconoscimento reciproco come possibilità di guardar fuori
e trovare un significato condivisibile. Una modalità che richiama fortemente
la libertà di ognuno di farsi coinvolgere e stupire amando l’alterità e la diver-
sità altrui e la verità così come si è riusciti a comprenderla e come può ulte-
riormente esplicitarsi. Reciprocità e gratuità sembrano essere fondanti per
l’effettiva possibilità dell’aprirsi alla verità. Questo comporta una gradualità
di possibilità mai formalmente definibile, sempre interpellante e aperta15.

nuova umanità 224 125


alla fonte del carisma dell’unità
Pluralismo e verità in Chiara Lubich

L’apparire di altre interpretazioni e il loro incontro vanno a costituire il carat-


tere polifonico e sinfonico dello svelarsi inesauribile della verità.
La filosofia, nel suo consumarsi alla ricerca del vero nella pluralità delle
prospettive filosofiche che raccoglie, ritrova nuovo senso e la Verità si mo-
stra come l’accoglienza estrema di se stessa in se stessa a partire dall’essere
formulata da ognuno. Il contributo d’ognuno e la radice divina d’ognuno ap-
paiono così non solo integrati ma generatori di “cieli perennemente nuovi”.

  C. Lubich, Risurrezione di Roma, in «Nuova Umanità», (1995/6) 102, p. 8, nota


1

1. La prima pubblicazione è in «La Via» 36, 1949.


2
 Cf. K. Jaspers, I grandi filosofi [Die grossen Philosophen. Erster Band, 1957, Piper,
Munchen 1981], Longanesi, Milano 1973.
3
 Cf. C. Guerrieri, Dialogare nella bellezza e nella verità, Città Nuova X, Roma
2013, in particolare la parte relativa alla fondazione del dialogo, pp. 102-113.
4
  Il richiamo a Mt 18, 20 e all’esperienza pasquale dei discepoli è determinante
nel definire la spiritualità e la prassi comunitaria del Movimento dei Focolari.
5
  Considerato dalla Lubich un confondatore del Movimento dei Focolari, Gior-
dani fu testimone e condivise il periodo di particolari illuminazioni che caratterizza
l’esperienza religiosa della Lubich e che vede nel momento di questo “patto” il mo-
mento fontale e fondante. Su questo cf. il testo che riporta per intero l’esperien-
za condivisa della Lubich e di Giordani e le prime riflessioni che ne sono scaturite:
AA.VV., Il patto del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich. Percorsi interdisciplinari, Città
Nuova, Roma 2012.
6
  In trentino “bambine” nel senso evangelico, come si usava chiamare le prime
compagne di Chiara.
7
  C. Lubich, “Paradiso ’49”, in «Nuova Umanità», (2008/3) 177, p. 287.
8
  Ibid., p. 288.
9
  Ibid., p. 296.
10
  Questo esempio è tratto da un appunto inedito di Chiara Lubich riportato in J.
Povilus, “Più in alto, più in dentro”. Spunti sul concetto matematico di infinito a raffronto
con alcuni scritti di Chiara Lubich, in «Nuova Umanità», (1999/3-4) 123-124, p. 336.
11
  C. Lubich, La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, p. 74. Su questo
testo è stato pubblicato un libro a cura del Centro Studi del Movimento dei Foco-
lari che presenta varie piste di prospettiva di ricerca in un quadro multidisciplina-
re: AA.VV., Guardare tutti i fiori. Da una pagina del ’49 di Chiara Lubich, Città Nuova,
Roma 2014.

126 nu 224
claudio guerrieri

12
  C. Lubich, La dottrina spirituale, cit., p. 76.
13
  Id., testo inedito, Appunti Paradiso ’49.
14
  Per la relazione alla dimensione testimoniale dell’interpretazione della verità
rimando a C. Guerrieri, Dialogare nella bellezza e nella verità, cit., pp. 89ss.
15
  Nel chiarire ed esplicitare l’esperienza della Lubich è stata fatta un’acuta di-
stinzione, sul piano della comunicazione, tra comunione e dialogo, cf. P. Tóth, Co-
munione e dialogo in Chiara Lubich, in «Nuova Umanità», (2015/3) 219. Nel conte-
sto della nostra riflessione questa distinzione non è centrale solo perché si intende
chiarire il carattere dialogico e veritativo ad un tempo di ogni tipo di relazione, di
cui sono tipologiche la comunione e il dialogo, che caratterizza la visione religiosa e
intellettuale chiariana.

nuova umanità 224 127


dallo scaffale di città nuova

Racconto di una vocazione


Eugenio de Mazenod,
gli anni giovanili
di Fabio Ciardi

Fedele come un saggio storico, avvincente come


un romanzo.

La vita appassionante e ricca di colpi di scena di Eugenio de


Mazenod (1782-1861), fondatore degli Oblati di Maria Imma-
colata. Nel Sud di una Francia sconvolta dall’ascesa di Napole-
one, la prigionia di Pio VII e la crisi della Chiesa cattolica, vive
un percorso esistenziale travagliato: il divorzio dei genitori, il
sogno di una carriera brillante, di una moglie bella e ricca, e
le delusioni, la noia e la costante insoddisfazione. Fino all’i-
isbn naspettato incontro con Cristo che, a 27 anni, ne sconvolge
9788831115373 la vita e la spalanca su orizzonti nuovi e appaganti. Come in
pagine un film, Fabio Ciardi ripercorre quindici anni, i più critici, della
sua vita.
128
prezzo
euro 12,00

Disponibile in formato cartaceo ed e-book su


http://editrice.cittanuova.it

nu 224
alla fonte del carisma dell’unità

Storia di Light. 8

don foresi

Un giorno a Trento, Doriana, in chiesa, tornando dalla


Igino balaustra, dove aveva fatta la comunione, si accorse che
le era stata rubata la borsa contenente un vestito, del de-
Giordani naro e carte. Disse: «Conta più Gesù che la borsa». E si
(1894-1980)
raccolse in preghiera. Poi denunciò il furto al parroco e ai
confondatore suoi, presso cui lavorava: essi denunziarono alla questura.
del movimento «Un povero, certo; magari povero di grazia, ha rubato»,
dei focolari. diceva Dori, la quale si rammaricava solo di aver smarrito
scrittore, carte (lettere di creature bramose di Dio). Ed ecco che,
giornalista e
parlamentare
dopo tre giorni, un religioso le riportò la borsa trovata in
della repubblica un angolo del convento: essa conteneva le carte.
italiana. Da Trento Ginetta si recava di quando in quando a
Torino, dove incontrò l’avvocato Vittorio Sabbione e i
sindacalisti Mario e Guido Brini e altri, e a Milano, alla
Cardinal Ferrari, dove incontrò ingegneri e medici e stu-
denti; tra essi Giorgio Battisti, Piero Pasolini, Danilo Zan-
zucchi e Alfredo Zirondoli.
Silvana Veronesi, la più giovane delle focolarine, che,
come s’è accennato, stava a Firenze per gli studi univer-
sitari di medicina, nel pensionato installò un vero centro
di incontri, al punto che lo stesso cardinale Della Costa,
informato, si interessò. In Silvana si vide come anche
una giovinetta, travolta dall’ideale di santità, attinga
dall’amore energie impensate per conquistare anime
alla santità stessa.

nuova umanità 224 129


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 8

In quello scorcio del 1949, fu conosciuto il ragazzo, reduce dalle lotte


dei partigiani, Pasquale Foresi, figlio dell’on. Foresi. Per andare coi partigiani
era fuggito di casa a 14 anni e si era trovato tagliato fuori dai suoi, rimasti a
Livorno. Aveva liberato 10 prigionieri dai tedeschi ed era stato condannato
perciò a morte: si era eclissato, sottraendosi con la fuga; e in montagna pre-
se la polmonite, che una donnetta dei campi gli curò. Essa fu poi conosciuta,
ché si presentò alla prima messa vestita in costume folcloristico.
Finita la guerra Pasquale entrò in seminario, a Parma1: ma non si trovò
soddisfatto; la vita circostante gli pareva poco conforme all’ideale apostoli-
co che ricavava dal Vangelo. I compagni erano in pace: lui no. Dunque – con-
cludeva – «io sono indegno, cattivo…».
Meditò per questo di farsi gesuita, pensando che la regola severa della
Compagnia di Gesù l’avrebbe domato. Non ne fece niente; e dopo due anni
uscì dal seminario con la convinzione che tutti i compagni meritavano, e lui
no, di farsi prete.
L’incontro avvenne così: Foco confidava il suo segreto agli amici più vi-
cini, e tra essi al collega on. Palmiro Foresi, il quale volle informarsi meglio.
Il Foresi lo invitò ad annunciare quella bella scoperta a Pistoia. E Foco inviò
Graziella a Montecitorio a parlare a un gruppo di deputati; poi la inviò a Pi-
stoia, su istanza dell’on. Foresi. Graziella andò; solo che, come le capitava,
arrivò in ritardo: un giorno di ritardo (per un atto di carità a due creature
desolate incontrate in treno e accompagnate a Perugia). Perciò non trovò
l’onorevole, trovò in compenso il figliolo di lui, Pasquale: questi era uscito dal
seminario, per amore – diceva – del cristianesimo, e poi perché non gli pare-
va la vita del seminario corrispondente all’idea che si era fatta del cristiane-
simo. Quando Graziella si presentò, Pasquale, ragazzo diciannovenne, stava
per recarsi a una partita. Si intavolò tra i due un breve discorso che peraltro
si dilatò per due ore. Ella espose l’Ideale e le vicende dei Focolari. Il ragazzo
ascoltò senza batter ciglio. Addio partita! Addio compagni! (Dicevano i fo-
colarini che chi capitava in mano di Graziella era spacciato…).
«Ma… e i sacramenti?» fu l’unica domanda del giovanotto, tra selvatico
e mistico.
«I sacramenti? Se potessimo, noi faremmo anche due volte al giorno la
comunione».

130 nu 224
igino giordani

Uscirono quindi insieme, e si recarono a un bar e poi da don Giovannini a


cui Pasquale presentò Graziella, dicendo: «Questa signorina ha da dirle cose
che non son da discutere, ma da mettere in pratica…».
Graziella restò un paio di giorni a Pistoia. Tornata a Trento convinse Chia-
ra a invitare quel giovane al convegno natalizio, da tenersi a Casetta Foco.
Casetta Foco – denominata così dal primo ospite, Foco – sorgeva campestre
e rupestre tra alberi da frutto e viti e pinastri.
A Natale ci fu il raduno, cui parteciparono Giulio Marchesi, Enzo Fondi,
Marino Fornari, Antonio Petrilli e altri, in tutto 42 persone. Il Foresi per tre
giorni non parlò. Lui era il primo a correre a lato o ai piedi di Chiara, e ad
ascoltarla, con avidità, come un assetato che bevesse.
Alla fine scoppiò a piangere, quindi corse a Roma per chiedere al padre
il permesso di entrare in focolare. Due cose sono notevoli in quell’incontro:
la rapidità con cui Foresi comprese Chiara; l’illuminazione con cui Chiara,
sotto l’asprezza quasi violenta e selvaggia dell’ex partigiano, comprese l’a-
nima sacerdotale fatta per il Movimento. Difatti gli diede il proprio nome:
Chiaretto. Così intanto ella formava e avviava delicatamente al sacerdozio
anche gli altri giovani, plasmando il tipo del focolarino-prete.
Del pari a Foco aveva dato il nome di Chiara, e anche di Maria, e più tardi
doveva dargli il nome di Chiaro: tutti nomi che però non balzavano fuori,
sia perché era divampato il nome Foco, sia perché non pareva opportuno
divulgarli.
La circolazione delle idee e delle persone si intensificava. In quel tempo i
più anziani dei candidati focolarini e delle focolarine furono invitati da Chia-
ra o da Vale o da Ginetta a Milano, a Torino, a Firenze…
A loro volta essi venivano a Trento: Giulio, Piero, Oreste, Giorgio, Gu-
glielmo, Danilo.
A Roma nel 1950 Chiara – come s’è detto – andò ad abitare in un appar-
tamento di proprietà di Tommasa Aliquò alla Garbatella. C’era una cappel-
lina e le focolarine ne fecero una centrale della carità e della povertà a cui
approdarono giovani da tutta Roma.
Dopo qualche mese essi si trasferirono in casa Veroj a Ostia. Anno di
attività intensa in cui Chiara e focolarine parlarono da per tutto, ogni giorno,
da cantine a Montecitorio.

nuova umanità 224 131


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 8

Prima dell’estate il comm. Alvino acquistò per le pope un appartamento


a Roma, a viale XXI Aprile. Incontri con anime avvenivano spesso in case
particolari, dove una focolarina spiegava la Parola di vita del mese e narrava
esperienze apposite.
Tornata Chiara, dopo le vacanze del 1949 a Trento, s’intensificò la col-
laborazione con Foco, la quale fu come un incontro di divino (Chiara) e di
umano (Foco). L’uno s’introdusse nella vita dell’altra ad attingervi energia di
soprannaturale, l’altra s’introdusse nella vita di lui, per scoprire miserie della
convivenza su largo raggio. Invece di chiudersi nella sola contemplazione,
attivata dall’assistenza ai poveri, ella fu indotta ad aprirsi all’umanità intera
interessandosi ai principali problemi – le principali angustie del suo tempo.
Quell’intervento di Foco nello sviluppo dell’Ideale fu come una richiesta ag-
gressiva dell’umanità che abbisognava delle forze dello spirito.
Così in quella reciprocità stabilitasi, Chiara intervenne nell’ottobre 1949,
con uno scritto di quattro fitte pagine nella strutturazione programmatica
de La Via, il settimanale fondato e diretto da Foco, sostenuto finanziaria-
mente anche da Luigi Alvino. Ella ne criticava la mancanza di unità nei temi
trattati ed era vero, perché il direttore – lo scrivente – cercava di amalgama-
re le varie correnti che convergevano, spesso rissando, verso la Democrazia
cristiana in politica.
A proposito de La Via, il primo maggio 1952, mentre nell’ufficio io scrive-
vo un articolo, Chiara si sedette accanto a me e disegnò il mio volto, con una
precisione e una luminosità, nella semplicità, da farmi restare stupefatto.
Pensai ancora: se lei avesse coltivato l’arte e la filosofia e la politica o
qualunque altra disciplina, sarebbe riuscita magnificamente.

maestra giovinetta

Non c’è da sorprendersi che nella storia del Movimento sia al vertice
sempre Chiara. Chiara vuol dire l’Opera di Maria; l’Opera di Maria si rias-
sume in Chiara. Da anni è risaputo che quando due focolarine o più focola-
rini stanno a conversare, specie se lontano da Roma, parlano soprattutto di
Chiara. C’era uno scherzoso modo di dire: «Scommetto che io indovino di

132 nu 224
igino giordani

cosa parlate!». E si citava un motto ingenuo trentino: «Se indovini che cosa
ho dietro di me te ne do una picca» (un grappolo).
Capitando a Milano, in un monastero cistercense nel 1966 Foco dovette
fare ancora quella constatazione, che espresse così: «Se si incontrano due
focolarini parlano di Chiara, se si incontrano due focolarine parlano di Chia-
ra; se si incontrano una focolarina e un focolarino parlano di Chiara; se si
incontrano due cistercensi parlano di Chiara».
Ella era ormai arrivata allo stadio, di cui santa Teresa d’Avila scrive: «Non
si cura né di dir bene di sé, né di sentirselo dire da altri, e così si impossessa
della vera umiltà». Poteva quindi accadere che magari gradisse le lodi fatte
a lei, ma pure i benefici che ne potevano derivare a chi lodava. Era semplice
carità: e la carità non ombrava, ma illuminava l’umiltà. D’altro canto umiltà
non è incomprensione: ed ella vedeva che in effetti Dio le aveva fatto doni
particolari. Solo che li attribuiva a Dio, e ne traeva impulso a chiedere santità
a chiunque le capitasse di incontrare.
La forza interiore era in quel suo essersi donata intera a Dio, non era re-
stato un frutto per l’Io. Aveva fatto la sua scelta: una scelta totale, radicale. E
pari scelta esigeva da tutti, pope e popi. Quando Foco si avvicinò ai Focolari,
lei lo invitò a consacrarsi a Dio; e gli suggerì la formula: «Gesù io voglio esser
tuo come intendi Tu; fa’ di me tutto quello che vuoi».
Così aveva fatto lei, resasi disponibile per il Signore: e alunni e alunne
di lei facevano di solito altrettanto. Se no, scappavano. Non si poteva stare
in quella fornace con la presunzione di salvare dall’incendio d’olocausto un
pensiero, un oggetto, una consuetudine… Tutto o nulla. Sotto quella dolcez-
za c’era una forza di diamante. Ritta, come sull’attenti, sui piedini sempre
serrati, alla trentina, si capiva dalle prime parole che ella era una scolta vigi-
le, indomita della Chiesa militante. Non conosceva – e non voleva che i suoi
conoscessero – difficoltà o stanchezza. La sera, andando a letto, cascava
dalla fatica: ma non ci pensava; pensava al da fare dell’indomani.
Il suo fuoco infiammava tutti; sì che l’ardore di ciascuno era una parte-
cipazione – una razione – della fiamma di lei; e ognuno diveniva una porzio-
ne della sua personalità, sì che messi insieme fossero Chiara, e Chiara era
Gesù. Poteva di fatti dir di sé: «Io, non io vivo, ma vive Cristo in me».

nuova umanità 224 133


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 8

Di questa devozione si fece eco uno di loro, Foco, un giorno a Tonadico


nella rimessa a nuovo “baita Paradiso”, mentre nella stanza di sotto i popi
cantavano, con don Taddei, le loro canzoni focolarine alpine. E scrisse in
pochi istanti questi versi:

Chiara, ed il cuore ci sobbalza in seno.


Chiara, ed il cielo tutto ride lieto.
Dietro il tuo nome, ratto arcobaleno
s’incurva a terra, ardendo, il Paracleto.

O giovinetta, che al Signor le porte


Disserri lieve con le dita bianche,
di terra, ecco, ci levi, membra morte,
e ci ravvivi, creature stanche.

Spersa la colpa doni ai cuori un volo,


ci trai con forza ad unità con Dio,
quel Dio che vive, tuo Ideale, solo.

Tu ci rilevi con divino afflato,


tu persa al mondo per totale oblio,
tu sposa avvinta a Dio Abbandonato.

Tu sposa al Cristo in croce Abbandonato


Superi i solchi delle ree fratture,
vergine guida, mentre il delicato
tuo tratto rende le anime più pure.

Tu copia di Maria figli ricrei,


li fai Gesù per ricondurli al Padre,
fusi in un Corpo Mistico ove sei
Maestra giovinetta, vergin madre…

Noi quanti t’incontrammo in te la via


trovammo per raggiungere il Signore,
te figlia nata da Gesù e Maria.

134 nu 224
igino giordani

Clarificati da quel tuo sorriso,


godiamo persi in te il divino amore,
o porta spalancata al Paradiso.

Anche nell’estate del 1950 si era tornati a Tonadico, dove la baita era
stata restaurata, tanto che non si vedeva più il cielo da squarci aperti nel
solaio. E si gremì più dell’anno precedente. Sporadicamente salirono anche
focolarini e focolarine da Roma e da altri centri.
Questi allora non avevano ancora propri focolari. Ma nel settembre a
Roma si prese in affitto un appartamento a piazza Lecce e si impiantò il
primo focolare maschile, dopo quello di Trento.
Le focolarine erano invitate a porre per iscritto quesiti, cui Chiara rispon-
deva, esponendoli in forme atte alla lettura di tutti. Difatti le sue risposte
erano attese con avidità e circolavano largamente. Ne diamo qualcuna.

Domanda: «Non mi sento sempre al mio posto. Tu sai come io a quel


tempo abbia accolto l’Ideale e come abbia subito buttato in esso tutto il mio
essere. Come i totalitari. Ora, perché, come sovente constato, sono di media
misura?».
Risposta: «Dopo i primi mesi di Ideale, quando l’anima è tutta travolta dal
nuovo spirito che aleggia tra i fratelli (dato che vivere nell’unità è vivere in un
altro Regno) e dagli aiuti straordinari che Gesù dà all’anima all’inizio, si trova
di fronte a lotte maggiori.
Il Signore sembra abbandonarla a sé, alle proprie forze. Ma ormai Egli è
sicuro di lei; per questo fa cadere questa quasi impalcatura di grazie che Egli
le aveva dato e la lascia più distinta da Sé a corrispondere alla Grazia.
Qui occorre essere semplici, non controllarsi; badare solo a dare a Dio
senza interesse, né desiderio né ricompensa, vedere nelle gioie (che non si
amano per sé, ma per Iddio) un tratto del suo Amore e nelle tribolazioni un
altro tratto del Suo amore. Lodarlo sempre in tutto e per tutto. Così, per Lui,
trattare con i fratelli.
Allora Dio fa sentire all’anima la Sua divina presenza con la Pace Sua, la
Sicurezza. Allora l’anima è tutta limpida, priva delle scorie che le oscuravano
la divina Presenza. È come sana e si sente fatta soltanto per essere tempio

nuova umanità 224 135


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 8

di Dio. Ha desiderio di star con Lui ma quando è l’ora. Ha identico desiderio


di far qualsiasi altra Sua volontà purché sia Sua volontà anche se, oggettiva-
mente, lo star con Lui è più bello.
Non è certamente priva di tentazioni, di esalazioni dell’uomo vecchio – che
è tutto ciò che turba –, né di sottili tentazioni dal demonio che vuole avvilire.
Ma allontana tutto con gran semplicità. Sa che dove è la pace ivi è Gesù. Non
altrimenti. E il vivere G.A. [Gesù Abbandonato, n.d.r.] in tutti gli aspetti ci pro-
cura sempre la pace».

Domanda: «Un altro aspetto dell’uomo vecchio che non vuol morire è
l’assenza di unità qualche volta con X e con altri fratelli».
Risposta: «Ho inteso che qualche volta ti costa l’unità coi fratelli (anche
con X). Lo comprendo benissimo. Il focolare è il Paradiso di Dio e il crogiuolo
dell’io.
Infatti se vive Gesù in ambedue (e vive se a base della vostra vita – ante
omnia – mettete il comandamento nuovo, e cioè vi amate) è Paradiso per-
ché Gesù si trova con Se stesso eguale e distinto da Sé. Se vive l’io è purga-
torio perché si è costretti a vivere insieme quando non si è eguali. L’amore
suppone che le persone siano uguali e distinte nello stesso tempo come
Padre e Figlio nella Trinità che sono Amore entrambi, ma l’Uno è il Padre
distinto dal Figlio. Cosicché c’è attrazione per la distinzione e distinzione
per l’uguaglianza.
Gli uomini, ciascuno col loro io, non riescono a far unità. Occorre esser
Gesù.
Ora l’io di un focolarino è purgatorio per l’altro.
Come facciamo?
Facciamo così come col nostro io. Il nostro io va odiato nel senso che non
si considera perché si lascia vivere solo Gesù.
Col fratello si fa altrettanto. Si guarda a Gesù soltanto e si tratta con
Gesù nel fratello, non con l’io. È proprio del nostro Ideale amare il prossimo
come sé e cercare quindi la santità nel prossimo come sé».

Domanda: «Ti confesso che, malgrado la gioia di scriverti e di avere ogni


tanto qualche risposta, in me ha destato qualche preoccupazione, poiché

136 nu 224
igino giordani

l’unione con Dio credo di non averla mai avuta, almeno nel senso che sia Dio
intero che vive in me, che non capisco il senso esatto della parola».
Risposta: «Il fare la divina volontà nell’attimo presente è tutto l’Ideale.
Però questa unione con Dio va poi approfondendosi man mano che siamo
generosi in modo che Dio entri con la Sua Luce nella nostra mente, col Suo
Amore nel nostro cuore e noi riusciamo veramente a vedere (non con questi
occhi) la Sua Luce ed a sentire la Sua soave, pacifica e piena Presenza, tanto
da arrivare a sentirLo sempre in noi ed a non essere capaci di muoversi se
non Lo sentiamo.
Vogliamo prima di ogni altra cosa far unità con Lui. Quest’unità poi cre-
scerà continuamente. Tu devi battere ben su quest’unico punto: quello di
essere sempre la Volontà di Dio viva nell’attimo presente».

Domanda: «In questo momento la mia natura è in una situazione di de-


pressione. Mi sembra che un tale stato derivi da un vago senso di sfiducia
verso la nuova vita che ho intrapreso, sfiducia nelle mie possibilità e capaci-
tà: è tutta la manifestazione del mio io che è ben lontano dal voler morire».
Risposta: «Il Signore ha tracciato per noi una nuova via. Per altri ha trac-
ciato la via della “povertà”, della “piccola via”, ecc. Per noi la via dell’unità e
cioè di Gesù tra noi. Gesù è la nostra via. E Gesù è l’Uomo-Dio. In Lui Dio e
Uomo sono uno.
Noi per seguire Gesù dobbiamo far sì che il nostro uomo sia in unità
con Dio dentro di noi e cioè con la Grazia. Questa corrispondenza deve
essere costante nell’attimo presente. Se usciamo da questa unità siamo
fuori Ideale.
La collaborazione con Dio deve essere inoltre totalitaria. Per amare Dio
con tutto il cuore, la mente, le forze occorre vivere con tutto il cuore la Sua
volontà nell’attimo presente.
Vivendo nell’attimo presente la volontà di Dio non attendiamo quindi di
morire perché siamo già morti in quanto viviamo un Altro (Dio, la Sua volon-
tà) e la “sfiducia” in te – come dici tu nella lettera – “e nelle tue possibilità e
capacità” non ha più ragione di essere causa di turbamento. Infatti vivendo
Dio l’Io non ha più a che fare. E di ciò che non esiste non si ha fiducia né
sfiducia».

nuova umanità 224 137


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 8

L’unità tra le pope era così forte che nessuna diceva: «Io ho patito…; io
gioisco», ma: «Noi abbiamo patito, noi godiamo!». Erano così fuse con Chia-
ra, in Chiara, da vedersi non più come anime distinte, ma come l’anima. Esse
avevano realizzato l’insegnamento della fondatrice, la quale in quel tempo
così spiegava il rapporto: «Gesù Abbandonato è la libertà, perché è il vuoto;
e solo nel vuoto si è liberi…, un vuoto pieno di Dio. Ma Dio è amore e l’amo-
re è l’unica cosa penetrabile». Inconsapevolmente ella ripeteva e ravvivava
l’insegnamento di De Berulle, il maestro di san Vincenzo de’ Paoli: «L’uomo
è un vuoto capace di Dio».

un episodio di questa unità…

Un giorno una popa – che doveva divenire una delle collaboratrici più ani-
mose e fedeli di Chiara – mentre si usciva per andare alla messa, si ritenne
offesa da una parola detta dalla fondatrice; e invece di fare unità, chiedendo
perdono della interpretazione data alle parole della sua Maestra e Madre,
si chiuse nella nuvoletta del suo rancore. Arrivò in chiesa qualche minuto
dopo le altre focolarine, che subito entrando avevano fatto la comunione,
all’inizio della santa messa. Non ebbe coraggio di chiarire la sua anima con
Chiara; e arrivata al momento della santa comunione, si presentò con altri
fedeli alla balaustra. Ma, per un guasto alla serratura del tabernacolo, il sa-
cerdote non riuscì ad aprire e quindi non poté distribuire l’ostia santa.
Allora la focolarina capì, e, confusa, si appressò a Chiara e le chiese per-
dono. Frattanto era finita la messa; il sacerdote provò a riaprire il taberna-
colo e stavolta la chiave funzionò e la comunione fu distribuita anche alla
focolarina pentita e felice.
Ora che i focolarini avevano un centro a Roma, l’arcivescovo di Trento – “Ve-
scovo focolarino”, come scherzosamente si firmava scrivendo a Foco, oppure
“focolarino onorario” e, l’ultima volta, “focolarino soprannumerario” – volle as-
sicurare loro un’assistenza ecclesiastica; e agli inizi del 1950 sollecitò un suo
confratello stimmatino, già suo superiore (perché già generale della Congre-
gazione), ad assumersi questo incarico. Padre G.B. Tomasi si accollò, benché
più che ottuagenario, ben volentieri questo onore. Confessore di pontefici, te-

138 nu 224
igino giordani

ologi, profondo, sacerdote santo, rimase colpito – soprattutto – dalla bellezza e


purezza dell’Ideale dei focolarini, espostogli da Chiara a Ostia; tanto che ebbe
bisogno, dopo un quarto d’ora, di levarsi e recarsi a respirare dal balcone l’aria
marina. Dopo d’allora egli divenne il convinto assertore apologista del Movi-
mento. Cambiò vita. Pur con quell’età egli prese a seguire i focolarini sino alle
Alpi, sin nelle gite, sin sulla seggiovia…
Pei focolarini una notte fu visitato dal demonio, il quale mise un trambu-
sto nella sua stanza, spostando un tavolo e impressionando i vicini.
Egli colse la novità del Movimento: e lo diceva. Esso era il vangelo eterno;
ma, come per santa Teresina, quella delle pope era “una via nuova” (e usava
l’espressione della bolla di canonizzazione di quella grande santa moderna).
E fu padre, maestro, amico saggio, sorridente, consigliere instancabile: fu un
“popo” che ritrovò la sua giovinezza – a 83 anni sino a 87 anni – tra quelle
anime.
Nel giugno dell’anno (1950) dopo un incontro con lui Chiara ebbe a scri-
vere questa lettera ai suoi figli spirituali:

Magnificat anima mea Dominum


(Parola di vita per luglio)

Roma, 24.6.1950
Carissimi focolarini,
Oggi è la festa di san Giovanni Battista e cioè la festa di P. Tomasi,
il nostro carissimo Padre, e noi focolarini e focolarine romani siamo
stati alla sua Messa.
Strada facendo passammo davanti alla Madonna del Divino Amore
ed in unità perfetta patteggiammo di essere sempre fuori di noi e cioè
nel Puro Amore. Quindi sempre nella Vita perché, non vivendo più
noi, viviamo il fratello e quando siamo soli viviamo Gesù in noi: con
Gesù in noi.
Ricordammo che un Santo2 disse che va più avanti nella vita di Dio
un’anima in 40 giorni se non si ferma mai che un’altra in 40 anni an-
che chiusa in un convento con tutti gli aiuti per essere perfetta, se
ogni tanto si ferma “nelle valli delle imperfezioni e dei peccati ve-
niali”. Il Santo diceva che nella via dello spirito si riposa non riposando

nuova umanità 224 139


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 8

e ciò è vero. L’abbiamo sperimentato tante volte anche noi perché


una volta acceso il fuoco è facile mantenerlo, ma spento è difficile
riaccenderlo.
Perciò abbiamo iniziato la corsa: la via la conosciamo per arrivare al
Padre: il fratello - Gesù - il Padre.
Abbiamo promesso personalmente a Gesù d’essere sempre nell’a-
more e perciò legati gli uni agli altri in questo proposito, veniamo
formando come un sistema di “carrucole” spirituali che solleveran-
no il mondo.
I quaranta giorni stanno di fronte a noi e arriviamo presso a poco
al giorno 12 agosto: S. Chiara, così potremo fare avere a voi questa
nostra e legarvi a noi nella più alta impresa: vivere la rivoluzione di
Gesù, essere la conversione viva verso Dio, il Puro Amore, il Divino
Amore, Maria, la Trinità… Insomma l’Ideale nostro.
E non ci fermeremo. Ogni ostacolo sarà una spinta: abbracciato in
essa G.A. ci troveremo come per incanto molto più addentro nella
Trinità e con noi – trascinati –, i fratelli. Se per caso qualche attimo
succederà che ci fermiamo: Viva G.A. fallimento: voluto, abbraccia-
to, consumato in più puro amore. È Lui il puro Amore.
E se alla sera dobbiamo dormire non è un fermarci. Ci mettiamo
nella piaga del Costato di Gesù dove si è consumato il Supremo Do-
lore e lì ci ritroveremo il giorno appresso. E se morissimo di notte,
moriamo in Dio. Appena svegli un atto di amore puro a Lui senza
entrare mai nella tenebra dell’io che è covo di altri spiriti. E avanti.
Così sempre.
Il giorno di Santa Chiara non sappiamo quello che sarà: sappiamo
che sarà un canto del Magnificat fatto in coro che non noi, ma lo
Spirito Santo in noi, ormai abituato a vivere nel suo albergo che è
il nostro cuore, lancerà al Padre in adorazione e amore ed a Gesù
Abbandonato perché si senta consolato.
Noi pregheremo l’Amore in noi di non lasciarci mai più. L’anima no-
stra è stanza Sua. E dunque che ci rimanga.
Abbiamo decretato la morte a noi e morte sia. Viva Dio. La Mamma
del Divino Amore senta col nostro il patto vostro. Correte che la
luce sta accesa nell’anima in cui l’Amore è in moto, è vivo.
Gesù fra noi vuol vedere tutti i focolarini e le focolarine, speranza
del Suo cuore per l’attuazione del Suo testamento in questo peren-

140 nu 224
igino giordani

ne stato d’incandescenza divina perché nel mondo sia bruciato l’u-


mano, purificato ogni luogo da Lui, Luce del mondo che risplende
in noi.
Chiara

Creatura tutt’amore, ella amava però solo in Dio «Mi amo demò Gesù» (= io
amo solo Gesù) mi rispose una volta che gliene domandai, e quindi nella veri-
tà. Si poteva essere con lei intimi quanto si volesse, all’occorrenza ella diceva
la verità, anche se amara. Solo che la diceva con carità. Riferendomi a questo
suo comportamento, a me pareva che verità e carità fossero i due volti di una
stessa realtà.
Così una volta, ad esempio, in casa Alvino, frate Jacopa (moglie di Al-
vino e così denominata per la sua anima francescana) se ne uscì a dire che
per amore di Dio ella era pronta ad andare anche all’inferno. «Questo no
– esclamai io –. L’inferno è l’odio di Dio: per amore di Dio non si può che
odiarlo [l’inferno, n.d.r.]: no e poi no».
Successe una disputa accesa, in cui io alzai troppo il tono e Chiara prese,
in certo modo, le parti di frate Jacopa.
Vado a casa e scartabellando una storia della Chiesa trovo che quella era
stata un’eresia spagnola, condannata a suo tempo. E l’indomani, col volume
sotto braccio, torno da Chiara; l’accompagno da padre Veuthey e poi final-
mente le metto sotto gli occhi il brano. Ella neppure lo legge. Mi dice: «Per
noi quello che vale è la carità. Non si può, per sostenere la verità, offendere
il fratello».
Poche parole: ma per me una lezione tremenda, tanto che non ebbi re-
quie fino a che non ebbi ottenuto il perdono.
Lezione anche per questo: che io ripetevo di avere con lei tale rispettosa,
ma profonda intimità, da non poter essere mai trattato come uno qualun-
que. E invece, anche più tardi, pur con tutte le prove vissute in solidarietà per
anni, mi trattò come un qualunque focolarino, con gemiti e ululi dell’uomo
vecchio.
Vari pensieri Foco raccolse nel libro La divina avventura, scritto sotto l’in-
flusso di quell’insegnamento. Nel volume le frasi citate tra virgolette, senza
nome d’autore, sono frasi di Chiara.

nuova umanità 224 141


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 8

Alcuni scritti miei fecero conoscere a non pochi il Movimento e fecero


sapere che io ne facevo parte. Ciò incuriosì gli uni, scandalizzò gli altri. Primo
motivo di scandalo: «Come un uomo può accettare una spiritualità promos-
sa da una donna?».
Avevo studiato fin da ragazzo la storia di santa Caterina e perciò non mi
stupii di tali reazioni.
Secondo motivo di scandalo: ero stato identificato come il più acceso
polemista cattolico, ecco che mi mettevo a parlare di carità e litigavo meno
con gli avversari.
Ci si vedeva un tratto di quell’indebolimento muliebre che la religione,
secondo militaristi celebri, produrrebbe sugli spiriti.
Disse san Vincenzo de’ Paoli: «Son convinto che per fare orazione non
serve la scienza e che un teologo, per dotto che sia, non vi trovi alcun aiu-
to nella sua dottrina. Dio si comunica più ordinariamente ai semplici e agli
ignoranti di buona volontà che ai più dotti: e ne abbiamo tanti esempi. La
devozione e i lumi e le tenerezze spirituali sono più spesso comunicati alle
ragazze e alle donne veramente devote che agli uomini, se essi non siano
semplici e umili…».
Questo pensiero del santo m’era ignoto e neppure ricordavo allora, in
mezzo alla frenesia della politica, un pensiero analogo suggerito al beato
Raimondo da Capua dall’esempio di quella sua “madre e figlia” che era stata
santa Caterina da Siena.

1
  Lapsus dell’Autore: Pasquale entrò in seminario nella sua città, Pistoia [n.d.r.].
2
  San Bonaventura.

142 nu 224
in biblioteca

La dialettica di Abelardo

Per sciogliere le apparenti contraddizioni del pensiero di Pietro Abelardo


occorre andare al cuore della sua dialettica relazionale, che riconcilia l’ele-
mento soggettivo della coscienza del singolo e quello oggettivo di Dio in una
dimensione che trascende la loro singola astrazione. È ciò che si propone il
dottorando Davide Penna, già diplomato in Ontologia trinitaria presso l’Isti-
tuto Universitario Sophia di Loppiano, nel suo libro Dio, l’uomo e la felicità. La
riflessione morale di Pietro Abelardo come etica della relazione1, che scaturisce
dalla tesi di laurea magistrale in Metodologie filosofiche discussa presso
l’Università degli Studi di Genova, sotto la giuda del professor Letterio Mau-
ro, che ne ha curato la premessa.
L’Autore del saggio, nel fornire una panoramica dello scenario storico-
culturale in cui Abelardo trascorse la sua vita terrena, offre spunti per co-
glierne gli aspetti di continuità e di originalità rispetto ad altri pensatori a lui
coevi. Il XII secolo è stato caratterizzato da un vivace «fermento culturale»2:
si è trattato di un primo “rinascimento”, secondo la definizione di Charles
H. Haskins, che voleva sottolineare la continuità con il Rinascimento vero
e proprio? Penna non rigetta tale definizione, ma preferisce quella di «pro-
gresso inteso come ripresa e sviluppo di germi precedentemente fecondati»3,
in accordo con la più recente storiografia, che osserva come il pensiero cri-
stiano si sia fecondamente innestato sulle fonti classiche, e demolisce – nel
caso ci fosse ancora qualcuno a sostenerlo – il pregiudizio sulla presunta
oscurità dell’Età di Mezzo. Seguendo il teologo tomista Marie-Dominique
Chenu e soprattutto Étienne Gilson, il giovane studioso articola in tre punti
le specificità del periodo di Abelardo: un risveglio evangelico, giacché affio-
rava un’esigenza mistica e di autenticità, in bilico fra tradizione e novità, con
una ripresa del dialogo tra terra e cielo per conformarsi maggiormente all’i-
deale dei Vangeli; un nuovo sguardo sulla natura e sul suo rapporto con l’uomo,
che si concretizzava in un rinnovato interesse per le leggi di natura e per la
ricerca di un’armonia tra il microcosmo umano e il macrocosmo divino; un
risveglio metafisico, messo in moto soprattutto dalle figure sociali dei magistri
e dei clerici vagantes per l’Europa, nella quale si intensificavano le relazioni

nuova umanità 224 143


in biblioteca

anche con il mondo orientale e venivano fondate le prime università basate


sul metodo della Scolastica.
Penna, in seguito, presenta alcune pagine sulla biografia di Abelardo, che
si intreccia con quella dell’amata Eloisa; lo scopo è semplicemente quello di
inquadrare l’esperienza del pensatore francese, del quale ci viene affidato il
ritratto che gli fece Pietro il Venerabile, abate di Cluny, in una sorta di conso-
latio indirizzata ad Eloisa, alla quale lo descrisse nei termini di modestia, mi-
tezza e umiltà. Siamo ben lontani dalle accuse – in parte fondate, per stessa
confessione del soggetto interessato4, che riteneva di aver vinto le proprie
debolezze – di un eccesso di superbia, spregiudicatezza e ambizione, co-
stantemente rinfacciategli dai detrattori; al giorno d’oggi, tali caratteristiche
sembrano connaturate alla figura dell’intellettuale, di cui Abelardo potrebbe
rappresentare una prima “apparizione”5, se non fosse per la sua battaglia
per vincere quello che, per noi, potrebbe rientrare nei tratti del narcisismo.
Si potrebbe partire da tale tensione dialettica per segnalare le novità che
apporta la lettura di Penna, soprattutto nel capitolo terzo della sua ricerca,
ove entra nei nodi più complessi della morale abelardiana. Uno di essi è
costituito appunto da quella passio, da lui vissuta in prima persona, «che si
oppone alla voluntas intesa come moto indeliberato, e tuttavia è ricercata in
vista di un fine che si riconosce razionalmente come buono e che realizza
formalmente il desiderio profondo di felicità che muove il moto istintivo»6.
In ciò l’Autore abbozza un parallelismo con l’antitesi hegeliana, «che proprio
dalla crocifissione di Cristo, vertice della passio, ha l’intuizione del proce-
dimento dialettico»7; tale aspetto potrebbe aprire un nuovo filone di inda-
gine, dal momento che Hegel, nell’analizzare Abelardo, si soffermò quasi
esclusivamente sulla dimostrazione filosofica della Trinità, trascurandone le
riflessioni etiche. Esaminando il concetto di voluntas, Penna sottolinea che
lo stesso termine ricorre con significati differenti nella produzione abelar-
diana: quando il pensatore francese intende semplicemente commentare
l’Epistola ai Romani essa «assume un significato simile, se non identico, al
consensus, luogo della decisione morale», mentre nell’opera etica, lo Scito
te ipsum, la qualifica come «priva di rilievo morale, come tutto ciò che è
naturale e necessario», al fine di dimostrare, per contrastare la posizione
di Guglielmo di Champeaux, la «non sostanzialità del peccatum»8. Anche a

144 nu 224
La dialettica di Abelardo

proposito del peccatum l’Autore nota l’uso che Abelardo fa di questo lemma,
vuoi in un senso rigoroso, come nello Scito te ipsum, in cui analiticamente e
in una visione dinamica lo definisce come «consensus del singolo soggetto
all’inclinazione malvagia» – la quale di per sé sarebbe solo un vitium –, vuoi
in un senso più largo, riscontrato dal filosofo medioevale nei «diversi modi»9
utilizzati nelle Sacre Scritture quando si parla di “peccato”. Per giunta, lo
studioso genovese argomenta efficacemente contro l’obiezione di Robert
Blomme secondo cui Abelardo avrebbe non considerato la distinzione mo-
rale tra ignoranza colpevole e non colpevole; esistono passi ove i due con-
cetti sono opportunamente separati da Abelardo, ma solo qualora ne ravvisi
la necessità. L’intuizione ermeneutica abelardiana – basata sull’usus, la signi-
ficatio e l’intentio auctoris –, che affonda le sue origini in Cicerone e Prisciano,
viene applicata da Penna al pensiero di Abelardo stesso, ad esempio per ri-
solvere le contrastanti interpretazioni che si consumano sul termine vitium, in
alcuni passi considerato come inclinazione (corrotta) naturale, mentre in al-
tri come un habitus acquisito. Sarebbe poi il peccatum, il quale assume valore
morale, a permettere il «passaggio dalla potenza (vitium animi) all’atto (mala
actio)» – per usare un lessico aristotelico, non ignorato da Abelardo – trami-
te il consensus pieno e consapevole del singolo soggetto «a tradurre in atto
l’inclinazione malvagia»10. Nessuna “evoluzione” del pensiero abelardiano, su
questo punto; nessuna sostanziale “contraddizione” o “aporia” è riscontrata
da Penna, diversamente da Mario Dal Pra e da Massimo Parodi, curatori di
alcune opere del pensatore francese. L’Autore del libro – che tiene anche a
precisare il carattere meramente apologetico e non di abiura della Confessio
fidei di Abelardo – legge nell’intera sua costruzione etica (e logica) una ten-
sione dialettica che tiene presente sia la «complessità intrinseca dell’uomo»,
sia «la finitezza dell’uomo distinta dall’infinità di Dio»11, la cui ratio è solo im-
perfettamente accessibile alla mente umana.
Penna considera lo Scito te ipsum, assieme all’incompiuto Dialogo tra un
filosofo, un giudeo ed un cristiano, il testamento filosofico di Abelardo, «una
sorta di compendio del suo pensiero»12; al cuore dell’etica abelardiana vi è
l’idea di Sommo Bene, «ovvero di ciò che può donare all’uomo la beatitudine
eterna»13, e non il mero soggetto. L’«interiorizzazione della morale» è sicu-
ramente messa in risalto dall’«approccio dereificante», così inquadrato da

nuova umanità 224 145


in biblioteca

Jean Jolivet e da tutta la critica successiva; metodo che, in materia morale, si


sofferma sul piano intenzionale svalutando quello delle azioni esterne. Cio-
nonostante, a detta dell’Autore del saggio qui recensito, Abelardo non pro-
pone «un’etica soggettivistica», come fraintenderebbe Odon Lottin, al quale
può essere associato il pontefice emerito Benedetto XVI14, legato ad un’in-
terpretazione più tradizionale; al contrario, saremmo di fronte ad «un’eti-
ca della relazione in cui il riferimento soggettivo e quello oggettivo sono
salvaguardati e vissuti come tali nella dimensione dell’intersoggettività»15.
Infatti, come osservano altresì, con diverse sfumature, le critiche di David E.
Luscombe, John Marenbon e Gaia De Vecchi, sarebbe errato concentrarsi
esclusivamente sull’autonomia del soggetto per definire l’etica abelardiana,
poiché non esaurirebbe tutta la ricerca del filosofo medioevale. L’interioriz-
zazione manterrebbe pur sempre un nesso con qualcosa di esteriore: in-
nanzitutto Dio, quale garanzia oggettiva del bene morale, in grado di evitare
che la coscienza del singolo possa diventare un arbitrario soggettivismo, e
dunque una relazione tra l’io e l’Altro «che s’incarna in un approfondimento
continuo della verità, in una consapevole problematizzazione del reale e, in
altri termini, in una euristica del vivente»16.
Penna pertanto evidenzia il valore relazionale – «intesa come unità nel-
la differenza concepita alla luce della rivelazione trinitaria»17 – della morale
abelardiana, in grado di fuggire sia dalle interpretazioni soggettivistiche, sia
da quelle eccessivamente religiose; siffatta impostazione relazionale sareb-
be in grado di integrare entrambe le dimensioni «per vedere nell’interiorità
del singolo l’apertura a Dio»18, raccogliendo così il lascito agostiniano che ha
spalancato l’intimità dell’uomo quale luogo di relazione. Ponendo le cose in
questo modo, anche il supposto contrasto con i “tariffari” imposti dai libri
penitenziali medioevali, come quello di Burcardo di Worms, verrebbe meno:
anch’essi avrebbero avuto il compito di far emergere la contrizione del cuore
del peccatore, nel comune intento di pervenire a «una relazione reale e au-
tentica tra l’uomo e Dio»19, tenendo inoltre presente che, secondo Abelardo,
il piano della morale “pura” – la vera giustizia – risponde al criterio di equi-
tà ed entra nelle intime intenzioni, mentre quello terreno esige prudenza e
guarda all’opportunità sociale delle azioni.

146 nu 224
La dialettica di Abelardo

Per apprezzare la riflessione etica del filosofo francese sarebbe quindi


necessario comprendere che essa consta sia dell’oggettività divina, esterna,
in grado di accompagnare le azioni umane, sia della soggettività del singolo
uomo che ricerca la felicità; le due dimensioni, se considerate separatamen-
te, aprirebbero a equivoci. Sebbene Gilson, parlando di “socratismo cristia-
no”20, non ebbe mai modo di menzionare Abelardo, questi, secondo Penna,
è ascrivibile a pieno titolo a tale filone; lo stesso Abelardo si richiama a So-
crate sia nel nome delfico-socratico con cui battezza la sua Ethica, sia nella
Teologia del Sommo Bene, quando rimarca l’importanza di uno stile di vita de-
gno al fine di conoscere Dio. Il socratismo cristiano eredita una concezione
pratica volta alla cura dell’uomo e la indirizza alla relazione con Dio e con gli
altri uomini; nel pensatore francese questo si concretizzerebbe, nell’ottica
di Penna, in una testimonianza «di un umanesimo integrale, di una visione
dell’uomo e della sua vita interiore come essere-in-relazione»21. In perfetta
continuità con il sentire del XII secolo, Abelardo attribuisce somma impor-
tanza alla filosofia morale e imprime alla sua opera un carattere teologico,
ma si distingue dai suoi contemporanei per l’approccio dereificante cui si
faceva cenno, per il dialogo costante con l’etica dei pensatori pagani, che
rievoca per le analisi dei vizi e delle virtù, e per la sistematicità della tratta-
zione, nella quale, con l’uso rigoroso degli strumenti razionali della logica,
problematizza le istanze morali della tradizione classica.
Per concludere, l’etica relazionale di Abelardo, nell’interpretazione offer-
ta da Penna in questo libro – che può vantare una buona chiarezza espositi-
va per la sua articolazione schematica ma al contempo esauriente –, costi-
tuisce «una tra le più feconde radici di un umanesimo integrale»22, che invita
l’uomo ad entrare nella propria intimità al fine di riemergere e di trascen-
dersi per incontrare l’altro, in un’arricchente tensione, proteso verso quella
Relazione che possa evitare la schiavitù dei soggettivismi di ieri e di oggi.

Piotr Zygulski

nuova umanità 224 147


in biblioteca

1
  D. Penna, Dio, l’uomo e la felicità. La riflessione morale di Pietro Abelardo come
etica della relazione, Europa Edizioni, Roma 2015.
2
  Ibid., p. 59.
3
  Ibid., p. 24.
4
  Cf. Abelardo, Epistola 1, in Abelardo ed Eloisa, Epistolario, trad. it. di I. Pagani,
Utet, Torino 2004, p. 131.
5
  Cf. J. Le Goff, Gli intellettuali nel Medioevo, trad. it. di C. Giardini, Mondadori,
Milano 2008, cap. I: Il XII secolo. Apparizione degli intellettuali, pp. 19-64.
6
  D. Penna, Dio, l’uomo e la felicità, cit., p. 153.
7
  Ibid.
8
  Ibid., p. 149.
9
 Abelardo, Conosci te stesso o etica, La Nuova Italia, Firenze 1976, p. 59.
10
  D. Penna, Dio, l’uomo e la felicità, cit., p. 135.
11
  Ibid., p. 174.
12
  Ibid., p. 90.
13
  Ibid., p. 118.
14
  Abelardo «insisteva nel considerare l’intenzione del soggetto come l’unica
fonte per descrivere la bontà o la malizia degli atti morali, trascurando così l’ogget-
tivo significato e valore morale delle azioni: un soggettivismo pericoloso», secondo
Benedetto XVI, Due modelli teologici a confronto: Bernardo e Abelardo, Udienza Gene-
rale, 4 novembre 2009.
15
  D. Penna, Dio, l’uomo e la felicità, cit., p. 193.
16
  Ibid.
17
  Ibid., p. 16.
18
  Ibid., p. 174.
19
  Ibid., p. 181.
20
  Cf. É. Gilson, Lo spirito della filosofia medievale, trad. it. di P. Sartori Treves,
Morcelliana, Brescia 1988 e E. Bertola, Il socratismo cristiano nel XII secolo, in «Rivista
di filosofia neoscolastica», 1959, n. 51, pp. 252-264.
21
  D. Penna, Dio, l’uomo e la felicità, cit., p. 194.
22
  Ibid., p. 193.

148 nu 224
Gesù Abbandonato Ethos dell’uomo nuovo nel carisma di Chiara Lubich

Gesù Abbandonato Ethos dell’uomo nuovo


nel carisma di Chiara Lubich
Antonio Trigiani, Gesù Abbandonato Ethos dell’uomo nuovo
nel carisma di Chiara Lubich, Città Nuova X, Roma 2015.

Etica e spiritualità si inseguono nello sforzo di indicare una via di realiz-


zazione e di felicità e le esperienze e le riflessioni si arricchiscono nel contat-
to e nel confronto tra loro. È questo lo scopo della pubblicazione di Trigiani,
Gesù Abbandonato Ethos dell’uomo nuovo nel carisma di Chiara Lubich: metterci
a contatto con l’esperienza spirituale della Lubich, confrontarla con altre di-
verse e convergenti prospettive per aprire un percorso di ricerca etica tutto
da svolgere.
Il testo si articola come una poderosa sintesi di diversi percorsi teolo-
gici convergenti con la prospettiva della spiritualità che nasce nella Lubich
dal suo specifico approfondimento sul momento della vita di Gesù che sulla
croce ha gridato il suo abbandono. Questo ha preso un posto centrale nel
quadro della sua dottrina spirituale per le conseguenze sull’interpretazio-
ne dell’intero evento salvifico operato dal Cristo e per la comprensione del
mistero del dolore e della separazione da Dio in cui siamo immersi come
uomini. Così si articola nel testo una presentazione sintetica della dottrina
spirituale della Lubich nei suoi elementi strutturali essenziali mettendo in
luce come danno vita ad alcune prassi personali e comunitarie che possono
rappresentare un percorso aperto per la riflessione e la prassi morale.
Nelle pagine di Trigiani si trova una sintesi rispettosa di diverse prospet-
tive che ne mette in luce le peculiarità considerandole contributi essenziali a
una visione sull’uomo e dell’ethos in Gesù Cristo per alcuni aspetti nuova. Il
convergere dei contributi teologici di Bulgakov, Von Balthassar e Tremblay,
nel loro ridefinire il problema morale in prospettiva cristologica e in partico-
lare guardando alla dimensione kenotica dell’Incarnazione, della discesa agli
inferi e della solidarizzazione del Figlio con l’umanità, costituiscono la base
per evidenziare come sia necessaria una nuova attenzione della teologia

nuova umanità 224 149


in biblioteca

morale, a partire dalle considerazioni relative al momento dell’abbandono


sperimentato dal Cristo, al rapporto da determinarsi tra azioni, intenzioni,
natura e normatività divina in senso giuridico e casistico e, d’altra parte, una
nuova attenzione, sul piano strettamente teologico, alla relazione tra vita
nuova nello Spirito, come relazione al Padre, e sua fondazione nella kenosi
del Figlio.
Per Trigiani è essenziale ripartire dalla dimensione cristologica e trinita-
ria sottesa alla riflessione teologica degli autori indicati e presente nel magi-
stero ecclesiale, anch’esso presentato in modo articolato nello sviluppo che
ha avuto nel Concilio Vaticano II e nei documenti e interventi più significati-
vi, degli ultimi papi, per la riflessione morale.
La finalità ultima del testo appare quella di prospettare un’articolazio-
ne della dottrina teologica morale che, abbandonata la mera valutazione
casistica valutata oramai come un approccio ed un modello interpretativo
superato, e senza ridursi a semplice parenetica spirituale, abbia un plurimo
radicamento nell’esperienza spirituale, nella riflessione teologica, nei dati
biblici e del magistero, e dia vita ad una visione antropologica e, di conse-
guenza, etica alla luce di Gesù Cristo.
Se il punto focale è Cristo nel suo abbandono, lo sviluppo d’una dottrina
morale conseguente comporta una rivisitazione e un chiarimento di alcuni
concetti tradizionali della morale teologica: il concetto di peccato e di grazia,
il concetto di sequela e di virtù.
Nella prospettiva aperta il fondamento resta la categoria dell’“amore” in
tutta la pienezza di significazione biblico-teologica, irriducibile al sentimen-
to o proiezione di sé in altro, ed intesa come predicato di Dio. L’espressione
“Dio è amore” definisce non solo la capacità comunicativa dell’essere come
capacità creativa e conservativa propria di Dio, ma anche l’essere stesso
intimo di Dio che si rivela nel suo essere attuato come Amore trinitario.
La messa in luce di questa dimensione intrapersonale trinitaria comporta
la fondazione conseguente di una prospettiva morale che non risulta solo
normativa per il singolo uomo ma per l’essere sociale dell’uomo, per la sua
dimensione esistenzialmente e strutturalmente comunitaria.
D’altra parte la prospettiva del “rivivere” l’esperienza del Cristo, in par-
ticolare la condizione di abbandonato, assume alcune caratteristiche che,

150 nu 224
Gesù Abbandonato Ethos dell’uomo nuovo nel carisma di Chiara Lubich

superando lo iato tra ascesi e mistica, comporta un riconoscimento in sé e


negli altri del peccato come condizione già assunta e salvata dall’Abbando-
nato.
Si apre in tal senso un nuovo possibile percorso alla riflessione morale
nella direzione dell’assunzione della categoria della misericordia come so-
stanziante la libertà e le contraddizioni che in nome della libertà l’uomo ha
messo in atto. La misericordia, come attributo di Dio e come virtù imitativa
di Dio, assume peculiari caratteristiche come conseguenza della condivi-
sione kenotica del Cristo che ci svela, ed ha come presupposto, l’assoluto
amore gratuito di Dio, la prossimità e l’identificazione attuate dall’amore
kenotico dell’Abbandonato nei confronti di ogni uomo in qualunque condi-
zione si trovi.
Vanno comprese in questa dinamica le pagine che costituiscono la con-
clusione del testo, che ripercorrendo gli elementi essenziali compiuti tenta-
no una “traduzione” in termini di morale teologica delle riflessioni, più spe-
cificatamente teologiche e spirituali, precedenti. In queste pagine si indica
nel “rivivere” la kenosi del Verbo incarnata fino all’abbandono, nella lettura
dell’amore come unità realizzata e della relazione alla Trinità e nella Trinità,
la via per una proposta morale. Una proposta che parte dall’esperienza del
Cristo nel suo assumerci in lui, nel suo accompagnarci, che comporta ed
apre la via per un nostro “osare” una nuova esperienza di Dio in Dio.

Claudio Guerrieri

nuova umanità 224 151


in biblioteca

La custode del silenzio


A. Lumini - P. Rodari La custode del silenzio. «Io, Antonella,
eremita di città», Einaudi Stile libero extra, Torino 2016.

Io, la parola pustinia, non l’avevo mai sentita prima di trovarla nel libro di
Antonella Lumini e Paolo Rodari La custode del silenzio. «Io, Antonella, eremita
di città». E, nonostante non conoscessi il significato della prima parola del
libro che stavo leggendo, non sono andato a cercarla sul dizionario perché,
così ho pensato, dal momento che sono pigro, «sicuramente poi gli autori la
spiegheranno dopo». E in effetti, per mia fortuna, gli autori la spiegano alla
pagina 11: «Cosa significa esattamente la parola pustinia?», domanda Paolo
Rodari ad Antonella Lumini (tutto il libro è una raccolta di incontri e conver-
sazioni tra loro due). È Lumini, per prima, a parlare di pustinia, citando un
volume di Catherine de Hueck Doherty, Pustinia: le comunità del deserto oggi
(Jaca Book, Milano 1981, traduzione di Mimmi Cassola). E alla domanda di
Rodari risponde: «Nella lingua russa vuol dire deserto. Ma per un russo indi-
ca molto di più che un semplice luogo geografico. Designa un posto solitario
e tranquillo in cui si può entrare per trovare il silenzio. Un luogo esteriore
che aiuta a discendere nel silenzio interiore. I pustinikki, nella Russia dei se-
coli passati, erano uomini e donne che lasciavano tutto per ritirarsi in luoghi
solitari […]».
Quindi, ho pensato, se i pustinikki sono degli eremiti, anche Antonella
Lumini, che si rifà alla loro esperienza, deve essere un’eremita. Fossi sta-
to più attento al sottotitolo, «Io, Antonella, eremita di città», ci sarei arrivato
prima. Solo che poi, poco più avanti nel libro, Lumini spiega che lei non ama
definirsi “eremita”, preferisce dire che è una «donna che a un certo punto
della vita ha scoperto il silenzio». Salvo poi, a pagina 84, raccontare di aver
partecipato a degli incontri tra eremite e affermare che la vita eremitica «co-
stituisce il germe del monachesimo e fin dalle origini, in Egitto e in Siria, si
è caratterizzata come esperienza al cui centro sta la ricerca del deserto e
della solitudine».

152 nu 224
La custode del silenzio

Alla pagina 83 Lumini parla anche della necessità di un nuovo mona-


chesimo: «La nostra società mediatica ha un bisogno improprio di donne
e uomini che si facciano carico del silenzio, ma le forme tradizionali forse
non corrispondono più ai tempi». Il monachesimo a cui lei aspira, mi pare
di capire, è indipendente da qualsiasi regola o autorità: «Non potevo dipen-
dere da un ordine, da una congregazione o da una qualsiasi altra istituzione
religiosa. Lo Spirito ha bisogno di donne e uomini liberi, disposti a seguirne i
richiami, a porsi all’ascolto senza mediazioni» (pp. 43-44).
L’esperienza di Antonella Lumini, quella che viene fuori dalle pagine di
questo libro, non sembra l’esperienza di una donna che aspira a una solitudi-
ne come quella degli eremiti del III e del IV secolo (che è, forse, un’esperien-
za irripetibile, anche alla luce del fatto, come scrive ironicamente Ermanno
Cavazzoni, che «un eremita oggi sarebbe soggetto al fisco, e l’eremitaggio
una professione con iscrizione all’albo professionale, il reddito e le spese da
documentare, e i moduli da compilare con l’ausilio di almeno un commercia-
lista» [Gli eremiti del deserto, Quodlibet 2016, p. 6]).
D’altra parte, la sua, non sembra neppure essere un’esperienza comuni-
taria: quando parla della vocazione al silenzio, Lumini non fa mai riferimento
a una qualche capacità del silenzio di creare relazioni (capacità di cui scrive,
per esempio, Michel Maffesoli nel suo ultimo libro, Le virtù del silenzio, Mi-
mesis, Milano 2016).
Forse, il silenzio di cui parla Antonella Lumini è più simile a quello del
secondo versetto del Salmo 65 («A te il silenzio è lode») e di cui scrive Da-
vide Brullo nell’«Introduzione» alla sua traduzione dei Salmi (Città Nuova,
2011): «rifugio ultimo all’estremità del mondo, nel regno dei ghiacci, ultima
dimora dell’uomo prima del precipizio. Cosa dobbiamo fare, pregare? No,
state zitti». Forse, è in questo essere «un passo prima del precipizio», nello
spazio che c’è tra il mondo e la fuga dal mondo, che si trova il silenzio di cui
parla Lumini.
Non lo so. Quello che so, credo, è che le mie aspirazioni a fuggire dal
consorzio umano, perlomeno quelle che mi hanno interrogato per un po’
dopo la lettura di questo libro, hanno trovato, almeno per ora, risposta in
uno dei racconti che sono contenuti nella Vita e detti dei padri del deserto,
quello in cui il padre Longino dice al padre Lucio: «Desidero fuggire dagli

nuova umanità 224 153


in biblioteca

uomini», e padre Lucio gli risponde: «Se prima non riesci a spuntarla con
gli uomini, non riuscirai a spuntarla neppure nella solitudine» (Città Nuova,
1999, p. 297, a cura di L. Mortari).

Matteo Girardi

154 nu 224
english summary

controcorrente Relations and evolution


Fear, power and populisms in the Universe
A. Lo Presti D. Spadaro
p. 5 p. 15
The new populisms emerging in con- The most important results in the natu-
temporary political cultures force new ral sciences – especially in a­ strophysics
reflection on political leadership. A – highlight a picture of the Universe
comparison with the recent past can where the relational aspect prevails:
help explain the change we are facing: eve­ry thing is related to other things. The
once we preferred characters capable of four fundamental physical interactions –
demonstrating great balance; today we gravitational, electromagnetic, strong
prefer those who can disrupt balan­ce. nuclear and weak nuclear forces – con-
This article attempts to cast light on the stitute a web of relations that connect
historical course of these transforma- natural entities in the Universe to each
tions, and identify some possible solu- other. This favours a unitary picture,
tions. markedly relational and reci­procally de-
pendent. This picture of the Universe
may be summarised in the expression:
no natural entity is “alone in the Uni-
Focus verse”. This aspect may be found in one
scienza, natura, cosmo of the key points of the encyclical Lauda­
Laudato si’. One year later to si’, which describes the Universe as
composed of open systems i­nteracting
L. Fiorani with each other, displaying multiple
p. 9 forms of relation and interdependence.
Laudato si’ is much more than an encycli­
cal on “integral ecology”. It introduces a
Between atoms and icon. A reading
revolutionary cultural paradigm, which
overcomes the myth of unlimited ma- of the emergent properties from the
terial progress, and opens up a new point of view of the chemist
dialogue with science. On the one hand, A. Puglisi
the argentinian pope and contemporary
scientists are allied in their struggle p. 25
against global warming. On the other Chemistry lies at an intermediate
hand, both are convinced that at the ba- level of complexity in the hierarchy
sis of our understanding of the cosmos of complex systems. Because of this
lies the category of relation, capable of characteri­
stic of being a “science-in-
building bridges between science, phi- the-middle” it becomes an important
losophy and theology. discipline from the point of view of

nuova umanità 224 155


english summary

the epistemological discourse, since it of this essay is that a renewed per-


represents the first level of complex- son-nature relationship, adapted to
ity in science in which we observe the the times in which we live, needs to
phenomenon of emergence. With the be built on a recovery of the meaning
advent of supramolecu­ lar chemistry of the relations that link each of us to
the concept of emergent properties has nature. This is considered a cultural
gained its own intellectual value in the challenge of some significance, and
scientific community going “beyond” its each authentic cultural tradition is
traditional boundaries. The complexity called to give its own response. This
of the molecular world has urged che­ challenge is traced in outline form on
mists increasingly to reconsider their four levels: cultural-anthropological,
discipline in a non-reductionist per- ethical, religious and on the level of
spective in which the molecular entity thought.
is considered at its microscopic level in
its globality and unity in order to explain scripta manent
the macroscopic reality so increasingly
enriching the vocabulary of scientific Cybernetics and transcendence
publications with adjectives such as P. Pasolini
“ele­gance” and “beauty”.
p. 61
This writing of the late Piero Pasolini
Scientific knowledge and values was published 37 years ago by Nuova
K. Colanero Umanità. It deals with the principles of
cybernetics in relation to the transcen-
p. 37 dent destiny of human knowledge. The
This article aims at showing the spe- goal is an absolute – God – towards
cific nature of the knowledge acquired which the intellectual quest of contem-
through the methods of modern scien­ porary humankind needs to aim in order
ce, the possible interaction between to give meaning to its position in the
scientific knowledge and human values, cosmos.
and its relevance for human interven-
tions on nature. parole chiave
Interaction in science
The person-nature relation. The
A. Conte
retrieval of meaning
p. 71
S. Rondinara
In the sciences, the term “interac-
p. 47 tion” has a specific meaning, but one
Faced with the problems posed by which also varies from one scientific
the environmental crisis, the thesis discourse to another. Nevertheless,

156 nu 224
english summary

in the last century, the physics of ele­ op of Milan. Love for the Church and for
mentary particles has managed to syn- Mary is his distinctive characteristic,
thetize the known interactions and to and one of the themes dear to the art-
trace them back to four fundamental ist is that of the Eucharist; the reality of
interactions. The current challenge is a God who became man and becomes
to bring this process of synthesis to its food and drink for the salvation of all
extreme, and obtain the unification of humanity takes shape and substance in
all interactions. his imagination, and this he translates
into visual imagery in contemporary
punti cardinali language.

The meaning of subsidiarity


a vent’anni dal premio unesco
B. Di Giacomo Russo a chiara lubich
p. 77 Reinventing peace
Seeking the sense of subsidiarity is far
from easy. The field of study here is lin-
M. Voce
ked to one particular time with the in- p. 101
tention of highlighting the inspirational 20 years after the conferring of the UNE-
capacity of subsidiarity referred to the SCO Prize for peace on Chiara Lubich, the
Social Doctrine. Subsidiarity expresses reasons to work for peace, through the
a synthesis between liberal thought, so- many experiences lived by the Focolare
cialism, democracy and federal thought, Movement, indicate the ongoing relevan-
and has been welcomed into the legal ce of the message of love and universal
frameworks of Italy and Europe. brotherhood of the human family. Rein-
venting peace is more than just a slogan;
it is a programme of precise action which
B. Pietrogrande. Between divine involves all humans of good will.
word and mortal flesh
M. Michelacci The unity of the human family and
p. 91 the culture of peace
Benedetto Pietrogrande was born in
J. Morán
Montegalda (Vicenza) in 1928, where
he studied at art school, and then at the p. 111
Academy of Fine Art in Venice. His lan- The contemporary cultures of peace are
guage is essential and shines through challenged by new and unexpected phe-
in all of his work. In the 1950s he was nomena. Global terrorism, for exam­ple,
already one of that large group of art- has provoked new questioning of how
ists who drew extensively on speeches to reconcile peace, justice and defence
by Giovan Battista Montini, then bish- of the disadvantaged. The reasons for

nuova umanità 224 157


english summary

peace call for greater study in an age of manifestation of the truth in intellectual,
ethical and religious pluralism. The cul- ethical and existential dialogue.
tures that springs from the spirituality
of unity can, today, favour the construc-
tion of a new way of conceiving of and Story of Light. 8
building peace. I. Giordani
p. 129
alla fonte del carisma dell’unità
The history of the nascent community
Pluralism and truth in of the Focolare Movement wonderfully
Chiara Lubich narrated by Igino Giordani continues.
In this episode Pasquale Foresi arrives,
C. Guerrieri roots are put down in Rome, the secret
p. 117 of the success of the initiative of Chiara
In this contribution the co-presence Lubich and her companions is revealed.
in Chiara Lubich of truth and welcome
of the other is explored. The ontologi-
cal relation of each person with God in biblioteca
and the trinitarian dimension open the p. 143
path to a pluriperspectivism. Multiplic-
ity of persons and access to truth come
together. The hermeneutic relation of murales
person-truth-others is articulated as a p. 160

158 nu 224
Mille Italie
storie e sorprese del Belpaese nel
mondo
di Franz Coriasco

L'“altra Italia”, quella delle eccellenze e dei


cervelli in fuga. Quella che adora l’italiano e il
made in Italy. Quella che sogna di venirci o di
tornarci. Quella che non dimentica le sue radici.

L'Italia di quasi ottanta milioni di persone (tra emigrati recenti


e pronipoti vari) sparsi in tutti i continenti. Con una lingua tra
le più studiate al mondo e un marchio, Made in Italy, terzo as-
soluto per popolarità. Una storia lunga e spesso travagliata,
isbn di orgogli e pregiudizi, di successi memorabili e di tragedie,
978883117521 pubbliche e private. Un libro per ripercorrere il senso dell’ita-
lianità, la storia della nostra emigrazione, la diffusione della
pagine nostra lingua e della nostra cultura nel mondo, le nostre eccel-
224 lenze, le principali istituzioni impegnate sul campo, l’impegno
della tv pubblica, i giovani e le nuove rotte dell’emigrazione
prezzo tra passato, presente e futuro. Ciascun capitolo contiene una
euro 17,00 intervista a protagonisti che incarnano l’eccellenza italiana
nel mondo. Tra questi: Samantha Cristoforetti, Renzo Arbore,
Carla Fracci, Dacia Maraini, Andrea Riccardi, Cristina Ravaglia
e Piero Corsini.

Disponibile in formato cartaceo ed e-book su


http://editrice.cittanuova.it

nuova umanità 224


in biblioteca

murales
di Giovanni Berti

160 nu 224

Potrebbero piacerti anche