Edizione italiana
a cura di Antonio Zani
Paideia Editrice
ISBN 88.394.0695.6
Titolo originale dell’opera:
Félix Garcia Lopez
E l Pentateuco
Introducción a la lectura de los cinco primeros libros de la Biblia
Traduzione italiana di Paola Florioli
Revisione di Antonio Zani
© Editorial Verbo Divino, Estella zoo3, *2004
© Paideia Editrice, Brescia Z004
Som m ario
9 Prefazione
ii Premessa
13 Abbreviazioni e sigle
Capitolo I
15 Caratteristiche del Pentateuco
Capitolo 11
3i L’interpretazione del Pentateuco
Capitolo h i
56 Il libro della Genesi
Capitolo iv
108 Il libro dell’Esodo
Capitolo v
176 Il libro del Levitico
Capitolo vi
201 Il libro dei Numeri
Capitolo v i i
224 Il libro del Deuteronomio
Capitolo vili
266 Composizione del Pentateuco
Capitolo ix
287 Il Pentateuco e la Bibbia
299 Indice analitico
302 Indice dei passi biblici
306 Indice degli autori moderni
311 Indice del volume
Prefazione
Ab. Abacuc. Abd. Abdia. Agg. Aggeo. Ara. Amos. Apoc. Apocalisse.
Atti Atti degli Apostoli. Bar. Baruc. Cant. Cantico dei cantici. Col. Let
tera ai Colossesi. i, 2 Cor. Prima, seconda lettera ai Corinti. 1, 2 Cron. Pri
mo, secondo libro delle Cronache. Dan. Daniele. Deut. Deuteronomio.
Ebr. Lettera agli Ebrei. Eccl. Ecclesiaste. Ef. Lettera agli Efesini. Es.
Esodo. Esd. Esdra. Est. Ester. Ez. Ezechiele. Fil. Lettera ai Filippesi.
Film. Lettera a Filemone. Gal. Lettera ai Galati. Gd. Lettera di Giuda.
Gdt. Giuditta. Gen. Genesi. Ger. Geremia. Giac. Lettera di Giacomo.
Giob. Giobbe. Gion. Giona. Gios. Giosuè. Giud. Giudici. Gl. Gioele.
Gv. Vangelo di Giovanni. 1, 2, 3 Gv. Prima, seconda, terza lettera di Gio
vanni. Is. Isaia. Lam. Lamentazioni. Le. Vangelo di Luca. Lev. Levitico.
1, 2 Macc. Primo, secondo libro dei Maccabei. Mal. Malachia. Me. Van
gelo di Marco. Mich. Michea. Mt. Vangelo di Matteo. Naum Naum.
Neem. Neemia. Num. Numeri. Os. Osea. 1, 2 Pt. Prima, seconda lettera
di Pietro. Prov. Proverbi. 1, 2 Re Primo, secondo libro dei Re. 1, 2, 3, 4
Regn. Primo, secondo, terzo, quarto libro dei Regni (LXX). Rom. Lettera ai
Romani. Rut Rut. Sai. Salmi. 1, 2 Sam. Primo, secondo libro di Samuele.
Sap. Sapienza di Salomone. Sir. Siracide (Ecclesiastico). Sòf. Sofonia. 1,
2 Tess. Prima, seconda lettera ai Tessalonicesi. 1, 2 Tim. Prima, seconda lette
ra a Timoteo. Tit. Tito. Tob. Tobia. Zacc. Zaccaria.
Sigle
i . Nomi
Due sono i nomi comunemente impiegati per indicare i primi cinque li
bri della Bibbia: Torà e Pentateuco.
Il sostantivo ebraico torà significa essenzialmente «istruzione», ma ha
anche altre accezioni. Nella Bibbia ebraica si riferisce spesso a una legge
o a una raccolta di leggi (cfr. Lev. 11,46; 26,46; Ez. 43,11.12) e anche a
uno o più libri (cfr. Deut. 31,26; Gios. 8,34; 2 Re 22,8.11; Neem. 8,1;
2 Cron. 34,14). Nella tradizione giudaica s’impiega l’espressione «i cin
que libri della Torà» per indicare i primi cinque libri della Bibbia.1
La versione greca dei LXX traduce il termine torà con nomos («leg
ge»).2 Il prologo del traduttore greco dell’Ecclesiastico (11 sec. a.C.) di
stingue tra la «Legge» (Nomos), i «Profeti» e gli «Scritti», senza preci
sazioni ulteriori su ciascuno dei libri.3 Invece Filone d’Alessandria (pri
ma metà del 1 sec. d.C.) precisa che il primo dei cinque libri nei quali
sono scritte le sante leggi si chiama Genesi, nome attribuito dallo stesso
1. In Esdra, Neemia e Cronache l’espressione «Torà di Mosè» si riferisce probabilmente al
Pentateuco come unità (cfr. sotto, cap. vili, 2 e; F. Garda Lopez, tórdh, ThW AT vili [19 9 5 ],
5 9 7 -6 37 ; Id., Dalla Torab al Pentateuco: RSB 3 [19 9 1] 11-2 6 ). La divisione in cinque libri è
posteriore. Il Talmud allude ripetutamente ai «cinque quinti della Torà», con riferimento evi
dente ai primi cinque libri della Bibbia (cfr. bMegillah 1 5 3 ; bNedarim 22b; bSanhedrin 44a).
2. Parecchi autori ritengono che la versione dei L X X abbia contribuito alla concezione nomi
stica della Torà. Tuttavia L. Monsengwo Pasinya, La notion de vópoq dans le Pentateuque grec
(AnBibI 52), Roma 1 9 7 3 , 88, ha mostrato che nomos nel Pentateuco greco significa rivelazio
ne divina, considerata come un tutto e composta da una parte dottrinale e una parte legislati
va, esattamente come torà.
3. Il Nuovo Testamento distingue «la legge di Mosè, i profeti e i Salmi» (Le. 24,44) oppure
«la legge e i profeti»: cfr. Mt. 5 ,1 7 ; 7,12.; Le. 1 6 ,1 6 ; A tti 1 3 , 1 5 ; 2.4,14; Rom. 3 ,2 1 .
16 Caratteristiche del Pentateuco
Mosè.4 E Giuseppe (seconda metà del I sec. d.C.) afferma che dei venti-
due libri propri dei giudei «cinque sono i libri di Mosè». In essi sono
presentate le leggi e la storia tradizionale dalla creazione dell’uomo sino
alla morte del legislatore.5
Il termine greco pentateucbos (penta - cinque, teuchos = contenitore
per libri/rotoli) compare per la prima volta nel il sec. d.C. (il primo a ri
corrervi fu lo gnostico Tolomeo, morto nel 180 d.C.). La forma latina
pentateuchus liber s’incontra da Tertulliano in avanti.6
In ebraico i libri della Torà vengono designati con la prima parola im
portante di ciascun libro: i. b er è ’stt («in principio»), 2. s em ót («nomi»),
3. w a jjiq rà ’ («e chiamò»), 4. b em idbar («nel deserto»), 5. d ebàrim («pa
role»).
La traduzione greca dei LXX attribuì loro un titolo riferito al conte
nuto del libro: 1. Genesis («origine»), in quanto parla delle origini del
mondo, dell’umanità e di Israele; 2. E x o d o s («uscita»), che allude al
l’uscita d’Israele dall’Egitto; 3. Leu itiko n («levitico»), in relazione al nu
cleo centrale delle leggi e dei riti levitico-sacerdotali; 4. A rith m o i («nu
meri»), dovuto ai censimenti conservati nel libro; 5. D euteronom ion
(«seconda legge», deuteros nom os ; cfr. D eu t . 17,18), inteso nel senso di
una nuova legge promulgata a Moab, che avrebbe completato la legge
del Sinai.
Le versioni latine adottarono e adattarono i nomi greci (G enesis , E x o -
dusy LeuiticuSy N u m e ri , D euteronom ium ), i quali poi passarono nell’uso
delle lingue parlate.
2. N arrazion i e leggi
a) La narrazione biblica
altri due casi si possono incontrare poemi più lunghi. Le ultime due
scene del racconto della benedizione di Isacco, ad esempio, sono coro
nate da pochi versetti (Gen. 2 7,2 7-2 9 .39 -4 0 ); la prima parte dell’Esodo
(Es. 1 , 1 - 1 5 , 2 1 ) culmina in un inno di ringraziamento (E s. 1 5 , 1 - 2 1 *),
mentre i libri di Genesi e Deuteronomio si concludono con testi poetici
(cfr. Gen. 49 e Deut. 3 2 ; 33).
b) Le leggi
Nella seconda parte del Pentateuco sono conservate tre grandi raccolte
di leggi: il codice dell’alleanza [Es. 2 0 ,2 2 -2 3 ,19 ), la legge di santità {Lev.
17 -2 6 ) e il codice deuteronomico {Deut. 12-26 ). A queste vanno ad ag
giungersi altre tre piccole raccolte: due versioni del decalogo (Es. 20 ,2
1 7 ; Deut. 5 ,6 -2 1), e il «diritto di privilegio di Jahvé» {Es. 34 ,10 -26 ). Es
senzialmente essi abbracciano tutti gli ambiti della vita, ponendo parti
colare enfasi su tre aree: l’area giuridica (ws), quella etica {ethos) e quel
la cultuale {cultus).
Le leggi nascono dalla storia e nella storia, e perciò sono temporali e
caduche. Nel Vicino Oriente antico come in Grecia e a Roma le leggi
erano di origine umana. In teoria ciò vale anche per le leggi dell’Israele
antico, però la Bibbia le attribuisce tutte a Jahvé. Essa stabilisce una di
stinzione fondamentale tra il decalogo e le altre leggi: solo il primo è sta
to trasmesso direttamente da Dio (Es. 20,2; Deut. 5,6), le altre leggi fu
rono trasmesse da Mosè (cfr. Es. 2 0 ,18 -2 1 .2 2 ; Deut. 5 ,2 2 -3 1).
Le leggi del Pentateuco ricevettero la loro impronta in seno alla co
munità israelitica. Una comunità di persone libere che sperimentò la po
tenza di Dio al momento della liberazione dall’Egitto e la sua forte pre
senza durante la ratifica dell’alleanza, eventi cruciali affinché il popolo
credesse in Jahvé, lo riconoscesse come proprio Dio e ne accettasse le leg
gi come norma di vita. Pertanto la legislazione biblica appare non solo co
me un dono di Dio, ma anche come un compito ben preciso per Israele.
Sovente le leggi bibliche hanno il loro fondamento nel ricorso alla sto
ria e si inculcano per mezzo di esortazioni e ammonimenti. Il tono pare-
netico e le «clausole motivanti», che puntano a convincere e persuadere
gli israeliti affinché siano fedeli alla volontà di Dio, figurano tra i passi
più noti della legislazione biblica.
3 . 1 personaggi
Caleb - ricordato da Ben Sira nel suo «elogio degli antenati illustri» (44,
1-4 6 ,1 2) - o ancora Adamo ed Èva, Sara, Rebecca, Lia, Rachele e M i
riam, ma la loro importanza neL complesso dell’opera è assai minore, per
cui se ne rimanda lo studio ai libri o alle sezioni di cui sono protagonisti.
Nei racconti biblici i personaggi solitamente sono al servizio della tra
ma, raramente sono presentati per se stessi. Ciononostante, «molte delle
concezioni s’incarnano nella narrazione attraverso i personaggi, e in par
ticolare per mezzo della loro parola e del loro destino finale».24 Nelle leg
gi del Pentateuco i protagonisti sono Jahvé, il legislatore, Mosè, il me
diatore, e Israele, il destinatario.25
a) Jahvé
Il Dio della Bibbia può essere considerato un essere reale oppure un per
sonaggio letterario. In linea di principio le teologie bibliche classiche lo
presentano come un essere reale. I più recenti studi letterari di norma lo
trattano come il personaggio di un libro. Entrambi gli approcci sono le
gittimi e complementari.
Comunque lo si guardi, il Dio della Bibbia è un personaggio comples
so, caratterizzato da un’ampia e varia gamma di tratti, conflittuali e tal
volta persino contraddittori,26 aspetto che ne rende difficoltosa la com
prensione e la sistematizzazione. Più che «un personaggio» il Dio della
Bibbia racchiude in sé «tanti personaggi».27
Nel Pentateuco la sua presenza è costante (il solo nome Jahvé compa
re 1 8zo volte); le sue parole e azioni sono decisive. Nei momenti crucia
li interviene sempre. Jahvé è il protagonista per eccellenza del Pentateu
co, dal quale dipendono tutti gli altri personaggi. Il nome Jahvé compa
re direttamente legato all’epoca di Mosè (E s. 3 , 1 3 - 1 5 riferisce il mo
mento della sua rivelazione); indirettamente, anche in epoche precedenti
(cfr. Gen. 2,4 ; 4,26; 1 2 ,1 , ecc.).
Jahvé si definisce «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (Es. 3,
6 .15), «colui che ha fatto uscire Israele dall’Egitto» (Es. 20,2). Il Dio de
gli antenati di Israele (Gen. 12 -50 ) ha i tratti di un padrone; il Dio di
2.4. S. Bar-Efrat, N a r r a t iv e A r t in th è B ib le (JSOT.S 70), Sheffield 1989, 47.
25. Cfr. J.W . Watts, R e a d in g L a w . R h e t o r ic a l S h a p in g o f th è P e n t a t e u c h , Sheffield 19 9 9 , 89
13 0 .
26. Cfr. A . Berlin, P o e tic s , 2 3-2 4 . «L’insieme di tratti che forma il ritratto di Dio affiora solo
gradualmente e soltanto attraverso l’azione stessa, iniziando dalla creazione della luce per mez
zo di un conciso fìa t» (M. Sternberg, T h e P o e t ic s , 322). Cfr. anche D .J.A . Clines, G o d in th è
P e n ta te u c h : R e a d in g a g a m s t th è G r a in , in Id., In t e r e s t e d P a rtie s : T h e I d e o lo g y o f W riters a n d
R e a d e r s o f th è H e b r e w s B ib le (JSO T.S 205), Sheffield 19 9 5 , 1 8 7 - 2 1 1 ; Id., Im a g e s o f Y a h w e h :
G o d in th è P e n ta te u c h , in R.L. Hubbard e a. (edd.), S t u d ie s in O l d T e sta m e n t T h e o lo g y ,
Dallas 19 9 2 , 79-98.
27. D .M . Gunn - D .N. Fewell, N a r r a t iv e in th è H e b r e w B i b le , Oxford 19 9 3 , 89.
22 . Caratteristiche del Pentateuco
b) Abram o
I racconti del libro della Genesi dipingono Abramo come padre di Isac
co e nonno di Giacobbe, ossia come l’antenato più importante d’Israele.
Con Abramo inizia una tappa nuova. Nella prospettiva della Genesi, la
storia degli inizi deirumanità procede verso Abramo, del quale Dio farà
«una grande nazione» (Gen. 12 ,2 ). Abramo è il padre di tutto Israele,
come Adamo lo è dell’umanità intera.
Abramo, Nahor e Aran (Gen. 1 1 ,2 6 ) , proprio come i discendenti di
Sem ( 1 1 ,1 0 - 2 5 ) o di Adamo (Gen. 5), appaiono come anelli di una lun
ga catena di esseri umani. Ciò che fa di Abramo un personaggio davve
ro diverso e singolare è la chiamata di Dio, il quale esige la rottura con
tutto il suo passato (12 ,1) per intraprendere una nuova avventura ( 1 2 ,2
3). A distinguerlo sono inoltre la sua fede e l’obbedienza al mandato di
vino ( 12 ,4a).2-8 E tutto questo a 7 5 anni suonati ( 1 2 ,4 ) !2,9 Il testo biblico
relativo ai primi 74 anni di vita di Abramo non ha alcuna importanza.
A ll’autore della Genesi interessa la figura di Abramo solo a partire dalla
chiamata divina.
I racconti su Abramo non hanno lo scopo di fornirne una biografia.
Per una buona parte sono leggendari e teologici. Scritti parecchi secoli
dopo la presunta epoca di Abram o,28 30 per la maggior parte durante l’esi
29
lio in Babilonia o persino in epoca postesilica, tali racconti intendevano
offrire un paradigma per i giudei che vivevano o avevano vissuto in esi
lio e si apprestavano a rifarsi una vita nel paese di Canaan, circostanza
che di per sé costituiva una nuova avventura paragonabile in certo qual
modo a quella di Abramo stesso.
28. Cfr. F. G arda Lopez, Abraham, amigo de D ios y padre de los creyentes, in Creyentes ayer
y boy (TeD 15 ), Salamanca 19 9 8 , 5 3 -7 6 (59-70).
29. Quando Abramo esce da Harran suo padre Terah vive ancora. Terah aveva settantanni
quando nacque Abram {11,2 6 ). Se Abram lasciò Harran a 7 5 anni {12 ,4 ) e Terah morì a 205
anni ( 1 1 ,3 2 ) , questi era ancora in vita quando Abram partì. Il narratore chiude il racconto re
lativo a Terah ( 1 1 ,3 2 ) prima di cominciare quello di Abramo ( 1 2 ,1 - 2 5 ,1 1 ) , malgrado entram
bi abbiano vissuto simultaneamente per parecchi anni. Si tratta di una tecnica narrativa utiliz
zata anche per altri personaggi biblici; cfr. J.L . Ska, Essai sur la nature et la sìgnification du
cycle d’Araham (Gn 1 1 ,2 7 - 1 5 ,1 1 ) , in A . Wénin (ed.), Studies in thè Book o f Genesis (BEThL
1 5 5 ) , Leuven 2 0 0 1 , 1 5 3 - 1 7 7 {15 7 ).
30. Al di fuori del Pentateuco Abramo compare relativamente poco e sempre in testi esilici o
postesilici: cfr. Gios. 24,2-4; 1 Re 18 ,3 6 ; 2 Re 1 3 ,2 3 ; Is. 29 ,22; 4 1,8 ; 5 1 ,2 ; 6 3 ,16 ; Ger. 3 3 ,2 6 ;
Ez. 3 3 ,2 4 ; Mich. 7,20 ; Sai. 4 7 ,10 ; 10 5 ,6 -10 .4 2 ; 1 Cron. 1,2 7 -3 4 ; 1 6 ,1 6 ; 2 9 ,1 8 ; 2 Cron. 20 ,7;
30,6; Neem. 9,7-8.
c) Giacobbejlsraele
d) Mosè
giorni nostri esegeti, storici, artisti, letterati e musicisti si sono sentiti at
tratti da questo singolare personaggio, del quale hanno lasciato le raffigu
razioni più diverse: «i ritratti di Mosè sono numerosi quasi quanto gli au
tori che gli hanno dedicato uno studio».33
Per Klaus Baltzer i racconti su Mosè sono parte della sua «biografia».34
Secondo Rolf P. Knierim il Pentateuco comprende due grandi sezioni: Ge
nesi ed Esodo-Deuteronomio. Contrariamente a quanto spesso si pensa,
Esodo-Deuteronomio non sarebbe tanto una storia narrativa d’Israele
quanto una «biografia di Mosè» introdotta dal libro della Genesi.35 Van
Seters è dell’opinione che Esodo-Deuteronomio racchiuda una biografia
specifica su Mosè, dalla nascita (Es. 2) sino alla morte {Deut. 34). Non
sarebbe la biografia di un leader in senso moderno, bensì una pseudobio
grafia interamente orientata all’interesse e al destino del popolo. «La vi
ta di Mosè è la vita del primo e più grande capo del popolo».36
Mosè appare come strumento di Dio al servizio del popolo. La sua
vocazione e missione lo configurano come capo e insieme come profeta
(cfr. Es. 3 ,1 0 ss.; v. Deut. 3 4 ,10 -iz ) . Sul monte Sinai egli interviene co
me mediatore tra Dio e Israele (cfr. Es. 2 0 ,18 -19 ; Deut. 5,5). Ogni qual
volta il popolo si lamenta e mormora nel deserto, Mosè intercede davan
ti a Jahvé implorando per il popolo l’aiuto o il perdono (cfr. Es. 1 5 , 2 2
2 5 ; 1 7 ,1 - 7 ; Num. x i, ecc.). Mosè è «il servo di Dio» (cfr. Es. 1 4 ,3 1 ;
Deut. 34,5), col quale ha intrattenuto una singolare relazione (cfr. Num.
12 ,6 -8 ; Deut. 34,10 ).
In poche parole, la personalità di Mosè è subordinata a Jahvé e Israe
le. Continua a essere viva e presente nella Torà, della quale Jahvé, Già-
cobbe/Israele e Mosè stesso sono i protagonisti indiscussi.4
4. Tempo e spazio
Le categorie cronologiche e geografiche giocano un ruolo determinante
nel Pentateuco. A volte esse corrono parallele (cfr. Es. 1 9 ,1 - 2 e Num.
1 0 ,1 1 - 1 2 ) , altre - e sono la maggior parte - separatamente. La funzione
strutturante che rivestono in determinati testi e sezioni conferisce loro un
valore aggiunto.
33 . Cfr. R. Martin-Achard, M o 'ise, fig u r e d e m é d ia t e u r s e lo n V A n c ie n T e sta m e n t, in R. Mar-
tin-Achard e a. (edd.), L a fig u r e d e M o'ise. É c r it u r e e t r e le c tu r e s , Genève 19 7 8 , 1 3 ; F. Garda
Lopez, E l M o is é s h is tó r ic o y e l M o is é s d e la f e : Salm. 36 (1989) 5 -2 1 (5). Tra le opere recenti
cfr. J. Kirsch, M o s e s . A L i f e , N ew York 19 9 8 ; E. Otto (ed.), M o s e . À g y p t e n u n d d a s A lt e T e
s t a m e n t (SBS 18 9 ), Stuttgart 2000.
34. IC. Baltzer, B io g r a p h ie d e r P r o p h e t e n , Neukirchen/Vluyn 19 7 5 , 38.
35. R.P. Knierim, T h e C o m p o s it io n o f th è P e n t a t e u c h , in Id., T h e T a s k o f th è O l d T e s ta m e n t
T h e o lo g y . S u b s ta n c e , M e t h o d , a n d C a s e s , Grand Rapids 19 9 5 , 3 5 1 - 3 7 9
36. J. Van Seters, T h e L i f e o f M o s e s . T h e Y a h w is t a s H is t o r ia n in E x o d u s - N u m b e r s , Louisville-
Ziirich 19 9 4 , 2-3.
a) La dimensione temporale
b) La dimensione spaziale
40, Cfr. ICA. Deurloo, Narrative Geography in thè Abraham Cycle: OTS 26 (1990) 48-62
(48-53); M . Colliri, Une tradition ancienne dans le cycle d'Abraham . Don de la terre et p ro
messe en Gn 1 2 - 1 3 , in P. Haudebert (ed.), L e Pentateuque. Débats et recherches (LD 1 5 1 ) ,
Paris 19 9 2 , 209-228. 4 1 . Cfr. sotto, cap. iv, 1,3.
42. D .J.A, Clines, The Theme o f thè Pentateuch (JSOT.S io), Sheffield 1978.
Caratteristiche del Pentateuco *7
5. Problemi specifici
a) Doppioni e ripetizioni
Tanto nei testi narrativi quanto in quelli legali sono presenti doppioni e
ripetizioni che conferiscono al Pentateuco una fisionomia peculiare.
Nelle narrazioni a volte vengono offerte due o più versioni di un me
desimo evento. Possono essere sovrapposte (Gen. 1 ,1 - 2 ,3 ; 2 ,4 -3 ,2 4 : due
racconti delia creazione), separate da testi diversi [Gen. 12 ,10 -2 0 ; 2 0 ,1
18 ; 2 6 ,1 - 1 1 : tre versioni della moglie-sorella; Es. 16 ; Num. 1 1 ,4 - 3 5 : epi
sodio della manna e delle quaglie; Es. 1 7 ,1 - 7 ; Num. 2 0 ,1 - 1 3 : episodio
delle acque di Meriba), oppure mescolate tra loro (Gen. 6-9: due versio
ni del diluvio; Es. 14 : due versioni del miracolo del mare).44
Nelle leggi, il doppione più famoso è quello del decalogo (Es. 2 0 ,2 -17 ;
Deut. 5,6 -21). Merita anche ricordare i doppioni-ripetizioni delle leggi
sugli schiavi (Es. 2 1 , 2 - 1 1 ; Lev. 2,5,39-55; Deut. 1 5 ,1 2 - 1 8 ) , sulle feste
(Es. 2 3 ,1 4 - 1 7 ; Lev. 2 3 ; Deut. 1 6 ,1 - 1 7 ) , sui giudici (Es. 2 3 ,2 -8 ; Lev. 19 ,
1 5 - 1 6 ; Deut. 16 ,18 -2 0 ) e sui prestiti a interesse (Es. 2 2 ,2 4 ; Eei/. 2 5 ,3 5
3 7 ; Deut. 2 3 ,2 0 -2 1) .45
47. Cfr. S .R. Driver, An Introduction to thè Literature o f thè O ld Testamenti Edinburgh
1 9 6 1 , 1 3 0 - 1 3 5 ; A. Hurvitz, A Linguistic Study o ft h e Relationshìp between thè Priestly Source
and thè Book o f Ezekiel. A N ew Approach to an O ld Problem (CahRB zo), Paris 19 8 2.
48. Cfr. S. Mowinckel, T etrateuch-Pentateuch-Hexateuch. Die Berichte iiber die Landnahme
in den drei altisraelìtischen Geschichtswerken (BZÀW 90), Berlin 19 6 4 ; A.G. Auld, Joshua ,
Moses and thè Land ' Tetrateuch-Pentateuch-Hexateuch in a Generation sìnce 1 9 3 8 , Edin
burgh 19 8 0 ; T . Ròmer, La fin de Vhistoriographie deutéronomiste et le retour de VHexateu-
que : T h Z 5 7 (2001) 269-280.
Caratteristiche del Pentateuco 29
tra le tribù sono narrati nel libro di Giosuè. In origine questo libro po
trebbe aver fatto parte di un’opera unica assieme ai primi cinque libri
della Bibbia.
M a la storia di Israele non si conclude con Giosuè. Dalla conquista
della terra (Giosuè) parte un arco che termina con la sua perdita (2 Re).
Questa storia è unita alla precedente (Genesi-Deuteronomio), con la
quale forma una grande composizione letteraria, che si estende dalla
creazione del mondo sino all’esilio a Babilonia. Di fatto vi sono alcuni
riferimenti che collegano gli avvenimenti riferiti all’inizio e alla fine di
questi libri. Ad esempio in 1 Re 6yi è detto che la costruzione del tem
pio di Salomone ebbe inizio 480 anni dopo l’esodo. Da questo punto di
vista si potrebbe parlare di Ennateuco (Genesi-Re).49
Per quanto sensate siano queste ipotesi, certo è che con la morte di
Mosè {Deut. 34) termina un periodo della storia d’Israele e si produce
un taglio netto tra i primi cinque libri della Bibbia e i libri successivi.
Nasce così il Pentateuco, opera dal finale aperto nella quale coesistono al
meno due tipi di linguaggio, stile e teologia.
Da questa serie di caratteristiche si desume che il Pentateuco è una
composizione letteraria complessa, suscettibile delle interpretazioni più
diverse. Come interpretare i doppioni e le ripetizioni o i cambi di voca
bolario, stile e ideologia? Quali motivi prevalsero tra i responsabili del
l’opera al momento di «chiuderla» come Pentateuco e non come Tetra-
teuco, Esateuco o Ennateuco? Di queste e di altre questioni si occuperà
il capitolo successivo.
Bibliografìa
49. Cfr. K. Schmid, Erzvaterund Exodus. Untersuchungen z w doppelten Begrundung der Ur-
spriinge Israels innerhalb der Geschichtsbiicher des Alteri Testaments (W M A N T 81), Neukir-
chen/VIuyn 1 9 9 9 , 1 8 ss.
3© Caratteristiche del Pentateuco
L ’interpretazione
del Pentateuco
i. Periodo precritico
La tradizione giudaica e quella cristiana attribuirono assai presto la To
rà a Mosè;2 stando a Filone e a Giuseppe, Mosè scrisse persino il rac
conto della propria morte (Deut. 34,5 ss.).3 Questa tradizione, saldamen
te affermata per parecchi secoli, parte da alcune affermazioni del Penta
teuco sull’attività di Mosè come scrittore. Si dice ad esempio che Jahvé
incaricò Mosè di scrivere in un «libro di memorie» la vittoria d’Israele
1 . D.J.A. Clines - J.C . Exum, The N ew Literary Criticism, in J.C . Exum - D .J.A. Clines (edd.),
The N ew Literary Criticism and thè H ebrew Bible (JSOT.S 14 3 ), Sheffield 19 9 3 , 1 4 - 1 5 . Per
R.P. Carroll, Enfoques postestructuralistas, neohistoricismo y postmodernismo , in J. Barton
(ed.), La interpretación biblica, hoy (PT 1 1 3 ) , Santander 19 9 8 , 86, «il futuro degli studi bibli
ci appare promettente, ma piuttosto confuso». z. Cfr. sopra, cap. 1 , 1 .
3. Filone, De Vita Mosis 2 ,5 1 ; Giuseppe, Antiquitates Iudaicae 4,8, 48.
32 L ’interpretazione del Pentateuco
14 . J.S. Vater, Commentar iiber den Pentateuci?, mit Einleitungen zu den einzelnen Abschnit-
tens der eigeschalteten Uebersetzung von Dr. A. Geddes's merkwiirdigeren critischen und exe-
getischen Aftmerkungen , und einer Abhandlung uber Moses und die Verfasser des Pentateuchs ,
3 voli., Halle 18 0 2 -18 0 5 .
15 . F. Bleek, Einìge aphoristische Beitràge zu den Untersuchungen iiber den P e n t a t e u c i Bi-
blisch-Exegetisches Repertorium 1 (18 2 2 ) 1-7 9
16 . Cfr. H . Ewald, D ie Composition der Genesis kritisch untersucht , Braunschweig 18 2 3 ,
17 . Cfr. J.W . Rogerson, W .M .L. de Wette, Founder o f M odera Biblical Criticism . An Intellec-
tual Biography (JSO T.S n é ) , Sheffield 19 9 2 .
18. W .M .L. de Wette, Dissertano critico-exegetica qua Deuteronomium a prioribus Pentateu-
chi libris diversum, alius cujusdam recentioris auctoris opus esse monstratur , Halle 18 0 5.
19 . Altri dati su questo autore nella storia della ricerca del Deuteronomio, cap. vii , 1,1 a.
36 L ’interpretazione del Pentateuco
pone la critica della forma. I due aspetti metodologici sono assai vicini
l’uno all’altro. Gunkel si interessò soprattutto alla forma dei testi, ma i
suoi studi posero le basi per la critica delle tradizioni. Quest’ultima ac
quisì maggior peso nelle opere di von Rad e di Noth.
Spetta a Hermann Gunkel28 il merito di aver applicato la critica della
forma all’analisi dell’Antico Testamento. Per questo motivo è stato con
siderato il «fondatore della critica della forma» negli studi biblici. Suo
obiettivo non era di recidere il legame con la critica letteraria o con la teo
ria delle fonti, ma di superarle, sebbene concepisse «la propria opera
più come complemento dell’ipotesi documentaria che come alternativa
a essa».1? A suo avviso non è sufficiente limitarsi a determinare gli strati
letterari del testo biblico, ma bisogna anche interrogarsi sui racconti re
trostanti alle fónti identificate dai critici.
Ritiene che la letteratura dell’Israele antico faccia parte della vita del
popolo e così vada intesa. Di conseguenza s’interroga sul «contesto vita
le» (Sitz im Leben), sull’ambiente di origine delle piccole unità letterarie.
Tale questione lo porta a uscire dai testi scritti per considerare gli stadi
preletterari (i prototipi / le tradizioni orali) di determinati testi biblici.
Nel commento alla Genesi pone un interrogativo cruciale dal punto di
vista metodologico: qual è l’unità determinante da cui la ricerca deve
iniziare? Per Gunkel tale unità non si trova nelle «fonti» ma nelle «pic
cole unità». Nella Genesi si tratta delle leggende: «La Genesi è una rac
colta di ‘leggende’ (Sagen)»; così afferma sul frontespizio della sua ope
ra. Definisce la «leggenda» {Sage) «una narrazione poetica, popolare, tra
smessa dai tempi antichi, che riguarda persone o fatti del passato».30
Le leggende della Genesi nella loro forma primitiva erano brani indi
viduali e indipendenti, con un inizio e una fine ben definiti. Nel corso del
la loro trasmissione orale andarono via via raggruppandosi in cicli, for
se su iniziativa di narratori professionisti. Successivamente furono rac
colti e messi per iscritto in un’opera maggiore. A questo stadio Gunkel
si ricollega alla teoria documentaria. Lo Jahvista e l’Elohista furono i pri
mi redattori delle leggende della Genesi. Le differenze, le tensioni o le
contraddizioni nel testo attuale non sono necessariamente dovute alla
giustapposizione di fonti, ma possono essere agevolmente spiegate con
l’eterogeneità delle leggende redatte.
A giudizio di Gerhard von Rad, l’origine dell’Esateuco risiede nel «pic
colo credo storico» (compendio della storia salvifica fungente da profes
sione di fede) di Deut. z6,sb-y, collegato alla festa dell’alleanza a Sichem.
2.8. Cfr. W . Klatt, H. Gunkel. Zu seiner Tbeologie der Retigionsgeschichte und zur Entste-
hung der formgeschicbtlicben M etbode (F R L A N T ioo), Gottingen 196 9.
29. R .N . Whybray, E l Pentateuco. Estudio m etodològico, Bilbao 1 9 9 5 , 4 3.
30. H. Gunkel, Genesis, Gottingen * 19 10 (’ ^ o i ) , vm . xix-xx.
40 L ’interpretazione dei Pentateuco
3 7 , «Una grande frammentazione dei testo», stando a J. Van Seters, Recent Studies on thè
Pentateuch: A Crisis in M ethod : JA O S 99 (19 79 ) 667.
38 . Cfr. R. Rendtorff, Das uberlìeferungsgescbichtliche Problem des Pentateuch (BZAW 14 7 ),
Berlin 1 9 7 7 . Riguardo a quest'opera cfr. L . Zaman, R . R endtorff en zijn «Das iìberlieferungs-
geschichtliche Problem des Pentateuch». Schets van een Maccabeèr binnen de hedendaagsche
Pentateuchexegese , Brussei 19 8 4 .
L ’interpretazione del Pentateuco 43
4. Studi letterari
Gli studi biblici condotti con i nuovi metodi di analisi letteraria si distin
guono dai precedenti per il loro carattere astorico e sincronico. A diffe
renza della teoria delle fonti o documentaria, in cui il testo biblico è im
piegato come «documento» per ricostruire il passato, le nuove teorie let
terarie percepiscono il testo come un «monumento» che può essere con
templato e ammirato per il suo particolare valore estetico e artistico.
Nella prospettiva generale dei nuovi metodi di analisi letteraria, il te
sto appare come un sistema chiuso da interpretare per se stesso, indipen
dentemente dal suo autore e dalle sue origini, dalle circostanze e dall’am
biente che lo circondano. Benché siano per molti aspetti differenti, i vari
49. Cfr. E. Otto, D el Libro de la Alianza a la Ley de Santidad , 19 5 2.17. Per ulteriori indica
zioni cfr. la storia della ricerca del Deuteronomio, sotto, cap. vii, 1,5.
L’interpretazione del Pentateuco 47
a) Il metodo retorico
coerenza interna, da cui deriva una «comprensione» più puntuale del te
sto nel suo insieme.
Tra i numerosi studi di tipo retorico prodotti negli ultimi decenni me
rita ricordare i seguenti:
b) Il metodo narrativo
55. Cfr. M .A . Powell, What is Narrative Criticism i A N ew Approach to thè Bible, London
1 9 9 3 ,1 9 .
L ’interpretazione del Pentateuco 51
c) Il metodo semiotico
Polzin, R.M., Biblical Structuralism. Method and Subjectivity in thè Study ofAn-
cient Texts, Philadelphia 1977.
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tory, New York 1980.
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altri testi, Gen. 22 e Gen. 37-50.
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5. Bilancio e intenti
Dopo aver indugiato per tanti secoli sugli stessi problemi, gli esegeti non
hanno ancora trovato una soluzione soddisfacente per rispondere alle
questioni poste dal Pentateuco. Ciò dimostra non solo la complessità dei
temi, ma anche i limiti dei metodi e la fragilità delle ipotesi. Nessun me
todo è in grado di estrarre dai testi biblici tutta la ricchezza che essi rac
chiudono. Nessuna ipotesi è stata in grado sino al momento attuale di
fornire una spiegazione adeguata alla varietà di dati differenti offerti dal
Pentateuco. Gli studi biblici recenti hanno contribuito alla presa d’atto
di questa realtà, sollecitando a riconsiderare i fondamenti, i criteri impie
gati e le conclusioni tratte.
Malgrado il disorientamento dell’esegesi attuale del Pentateuco, alcu
ne posizioni vanno chiarendosi mentre emergono determinati punti fer
mi. Ogni volta appare più ovvia la necessità di rifiutare qualsiasi tipo di
esclusivismo. Bisogna evitare di cadere in una tendenza «storicizzante»,
come avvenne per i metodi storico-critici, ma anche nell’eccesso oppo
sto di dimenticare la storia, caratteristico dei nuovi metodi letterari. A p
pare egualmente chiaro che la soluzione dei problemi non deve passare
per un’esegesi «atomizzante», ma nemmeno per la concezione del Pen
tateuco come un’opera d’arte, frutto di un unico autore.56
Su un punto converge un ampio consenso: la necessità di cominciare
l’analisi dal testo finale. A ll’interesse per l’individuazione degli strati ori-
56, Questa è l'opinione espressa da R .N . W hybray in E l Pentateuco.
L 5interpreta7Ìone del Pentateuco 53
57. Cfr, D. Carr, R eadingthe Fractures ofG enesis. Historical and Literary Approaches> Louis-
ville 1996.
58. Cfr. D.W . Jamieson-Drake, Scribes and Schools in Monarchici) Ju d a h . A Socio-Archaeolo-
gical Approach (JSO T.S 109), Sheffield 1 9 9 1 ; A. de Pury, Las dos leyendas sobre el origen de
Israel (Jacob y Moisés) y la elaboración del Pentateuco: EstB 5Z (1994) 96-97.
54 L ’interpretazione del Pentateuco
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Capitolo ili
I. IN T R O D U Z IO N E
Dagli inizi della ricerca critica sino ai nostri giorni il libro della Genesi
ha spesso attirato l’attenzione degli esegeti, ricoprendo un ruolo centra
le nella formulazione delle teorie critiche del Pentateuco.
Gli studi storico-critici mossero i primi passi proprio nell’ambito del
la Genesi. Basti ricordare i nomi di Witter e Astruc, rappresentanti del
l’ipotesi documentaria antica, o quelli di Hupfeld e Gunkel, rispettiva
mente leader della nuova ipotesi documentaria e della critica delle for
me. In epoca più recente varrebbe la pena anche menzionare tra gli altri
Van Seters, Rendtorff, Blum e David M. Carr.1
Trattandosi di un libro narrativo, con pagine che sono dei capolavori
dell’arte della narrazione, anche la nuova critica letteraria ha riservato a
esso particolare attenzione. A titolo di esempio si possono citare le ope
re di Jan Fokkelman, Terry J. Prewitt e Hugh C. White.2
Sarà piuttosto difficile trovare una prospettiva non ancora considera
ta dai numerosi studi sulla Genesi. Le analisi di ogni tipo si sono molti
plicate, con il ricorso ai metodi e agli strumenti più svariati, compreso il
computer.3 Ma, nonostanze gli sforzi, gli esegeti non giungono a un ac
cordo su molti dei problemi posti dal libro. Se gli studi diacronici ne sot
tolineano il carattere composito, quelli sincronici enfatizzano la sua unità.
cente, perché negli altri casi la formula tóledót inaugura il racconto- Per
tale motivo, secondo altri, 2,4a introdurrebbe la narrazione seguente.
Ma neppure una simile ipotesi è molto convincente. Che cosa si dice, in
fatti, del cielo nel racconto che segue?
Gen. 2,4a funge piuttosto da ponte tra i due racconti (1,1-2,3 e 2,4b-
3,24), rinviando tanto a ciò che precede quanto a ciò che segue. In un
certo qual modo è la medesima funzione svolta anche dalle altre formu
le tòVdòt. In tutte, senza alcuna eccezione, il personaggio introdotto per
mezzo della formula tóledót è già noto grazie a un testo precedente:
Adamo (4,25), Noè (5,29), figli di Noè (6,10), Sem (6,10), Terah (11,
24), Ismaele (16,15), Isacco (21,1 ss.), Esaù (25,25 ss.) e Giacobbe (25,
26 ss.). Dunque le formule tóledót9 oltre a introdurre la narrazione o la
genealogia seguente, rimandano a un testo precedente. Sarebbe questo il
caso di 2,4a. Pertanto la sua collocazione ideale è proprio quella attua
le, dopo aver parlato del cielo e della terra. Quest’osservazione denota il
carattere redazionale di 2,4a.8
Le formule tóledót strutturano la Genesi, conferendo una certa unità
all’insieme del libro. In virtù della formula tòledòt di 2,4a, la genealogia
di Adamo (5,1 ss.) si ricollega alla creazione del mondo e alle origini del
genere umano. A sua volta le generazioni successive si riagganciano a
quella di Adamo.
Nonostante le differenze formali e di contenuto, le genealogie e i rac
conti della Genesi hanno in comune un elemento essenziale: l’interesse
per le questioni familiari. Le genealogie sono un tipo particolare di espo
sizione «storica», in quanto sia la continuità nel tempo sia l’unione dei
gruppi sono espresse attraverso i legami di sangue: nella provenienza da
certi genitori e nel rapporto con certi fratelli. Sotto questo profilo la Ge
nesi presenta il mondo come una grande famiglia. Dietro alle genealogie
e alle leggende della Genesi pulsa la vita di un popolo.
ni del mondo e dell’umanità con quanto gli era noto delle antiche civiltà
caldee, egiziane e cinesi, da cui dedusse l’esistenza di un’umanità preada
mitica. Un secolo dopo, Johann G. Eichhorn e Johann Ph. Gabler intro
dussero il termine mito nella discussione sul racconto delle origini.9
Da allora ha trovato sempre più conferma nella storia delle origini il
carattere mitico o l’esistenza di elementi mitici (paradiso, serpente, albe
ri della conoscenza e della vita [Gen. 2.-3], «esseri divini» [Gen. 6,1-4]).
Si è osservato come una serie di frasi (cfr. Gen. r,i; 2,4^25; 3,1; 6,1.4;
11,1) trasferiscano le narrazioni in un’altra epoca.10 Frasi del medesimo
tenore compaiono in letterature del mondo antico, specialmente del Vi
cino Oriente antico. In tal senso i racconti di Gen. 1-11 sono paragona
bili a quelli dei popoli circostanti, con la differenza che questi si muovo
no in un contesto politeista e i primi in un contesto monoteista.
Le storie patriarcali (Gen. 12-50) costituiscono un caso a parte. La
questione di fondo consiste nel sapere sino a che punto siano storica
mente attendibili le informazioni trasmesse dai racconti patriarcali.
A metà del xx secolo molti studiosi attribuivano un grande valore sto
rico alle tradizioni patriarcali. I legami tra queste e alcuni documenti
orientali extrabiblici dei secondo millennio a.C. (specialmente di Mari,
Nuzi e Ugarit) li indussero a scommettere su un’«epoca patriarcale» nel
periodo segnalato.11 Studi successivi sollevarono serie obiezioni contro
la storicità e l’antichità del periodo patriarcale. In primo luogo ai paral
leli extrabiblici del secondo millennio ne andavano aggiunti altri del pri
mo, cosicché alcuni tratti dei racconti patriarcali (nomi, abitudini, viag
gi, ecc.) che ben si adattano a un’epoca antica possono adattarsi egual
mente bene a un’epoca più recente. In secondo luogo, i riferimenti ai cal
dei (11,31; 15,7) o ai cammelli (12,16; 24,10 ss.), tanto per citare due
esempi ben noti, non possono riferirsi al secondo millennio per la sem
plice ragione che i cammelli non erano stati ancora addomesticati e i cal
dei non esistevano ancora.11
Questa e altre ragioni hanno indotto la maggior parte degli esegeti
recenti a ritenere che i racconti patriarcali non riflettano tanto la storia
degli avvenimenti narrati, quanto piuttosto quella dell’epoca in cui vive
vano coloro che la trasmettevano nel primo millennio, ossia l’epoca mo-
9. Cfr. A. de Pury - T . Romer, L e P e n ta te u q u e e n q u e s tio n i p o s it io n d u p r o b lè m e e t b r è v e h is-
to ire d e la r e c h e r c h e , in A. de Pury - T. Romer (edd.), L e P e n t a t e u q u e en q u e stio n . L e s o rig i-
n es et la c o m p o s it ìo n d e s c in q p r e m ie r s liv re s d e la B ib le à la lu m iè re d e s re c h e rc h e s ré c e n te s ,
Genève 32oo2, 9-80 (20).
10 . Cfr. J.W . Rogerson, G e n e s ìs 1 - 1 1 (OTG), Sheffield 1 9 9 1 , 53 ss.
1 1 . Cfr. J. Bright, E a r ly I s r a e l in R e c e n t H is to ry W ritin g {SBT 19), London 1956 .
1 2 . Cfr. T.L. Thompson, T h e H is t o r ic it y o f thè P a t r ia r c h a l N a r r a t iv e s : T h e Q u e st f o r th è H is -
t o r ic a l A b r a h a m (BZAW 13 3 ) , Berlin 19 7 4 ; J. Van Seters, A b r a h a m in H is to ry a n d T r a d it io n ,
New Haven 19 7 5 .
Il libro delia Genesi 61
3. Teologia
Il Dio della Genesi appare innanzitutto come il Dio creatore. A differen
za di tutti gli altri personaggi del libro, il Dio creatore non ha una ge
nealogia né un passato; non ha storia. Ciò lo fa diventare un essere to
talmente differente. Dio non entra in scena come gli altri personaggi, an
zi, la sua prima azione consiste nel creare appunto la scena. In questo
modo non solo si accredita come il creatore, ma anche come il direttore
e signore del mondo e degli esseri che ha creato.15
Il Dio della Genesi, inoltre, è il Dio della benedizione e della promes
sa, due temi teologici chiave all’interno del libro. Nella prospettiva ge
nealogica della Genesi la benedizione della prima coppia (1,28) acquisi
sce una dimensione basilare per tutto il genere umano. La genealogia di
Adamo (Gen. 5) inizia con l’evocazione della creazione dell’essere uma
no a immagine di Dio e la benedizione divina, e prosegue poi con Ada
mo che genera Set «a sua immagine e somiglianza» (5,1-3/1,26-28). La
genealogia del cap. 5 allude alla trasmissione dell’immagine e della bene
dizione divina attraverso i figli, da Adamo fino a Noè, ponendo così in
risalto la funzione teologica della genealogia.16
Dio benedice anche Noè e i suoi figli: Sem, Cam e Iafet (9,1). Sem crea
il collegamento da una parte con Noè, dall’altra con Terah, padre di
Abramo. La storia di quest’ultimo inizia sotto il segno della benedizione
e della promessa. Per cinque volte compare la radice brk (benedire, be
nedizione) in 12,2-3. Sebbene Gen. 12,1-3 segni un nuovo inizio e le pro
messe-benedizioni abbiano caratteristiche proprie,17 la benedizione di
Abramo può essere letta in rapporto con la benedizione dell’umanità.18
Anche qui si riflette la funzione teologica delle genealogie verticali, con
sistente nel riaffermare la linea principale, la linea scelta da Dio.19
4. Struttura e divisioni
In uno studio di tipo canonico sulla struttura narrativa della Genesi, Rob
ert L. Cohn ha osservato un’evoluzione graduale in tre elementi signifi
cativi: la presenza di Dio, l’autonomia dei personaggi umani e la trama
narrativa. In G en. 1-11 Dio appare di continuo; in G en. 12-50, invece,
la sua presenza diminuisce progressivamente: si rivolge con una certa re
golarità ad Abramo, occasionalmente a Giacobbe e mai, in forma diret
ta, a Giuseppe. Viceversa, con il progressivo sottrarsi di Dio dalla scena
i personaggi umani assumono una maggiore autonomia. La trama nar
rativa, che inizialmente avanza per episodi, prosegue con una continuità
sempre maggiore e, quando si conclude, è assai più unificata.11
Dall’analisi di Cohn si apprende l’esistenza di quattro sezioni narrati
ve nella Genesi: quella delle origini (1-11*), quella di Abramo (11-25*),
quella di Giacobbe (25-36*) e quella di Giuseppe (37-50*). In realtà ta
le divisione va di pari passo con la distinzione classica tra storia delle ori
gini e storie patriarcali, suddivise a loro volta nei tre blocchi segnalati.
Tali divisioni, in linea generale, sono compatibili con le divisioni segna
te dalle formule tòVdòt. Nei paragrafi che seguono entrambe le suddivi
sioni si combinano tra loro. Le dieci sezioni inaugurate dalle formule tó-
l edót si dividono in due grandi parti: 1. la «storia delle origini» (1,1-11,
26) con cinque formule tò ledòt\ 2. storie patriarcali (11,27-50,26), sezio
ne che racchiude altre cinque formule tò V d ò t , tre delle quali introduco
no sezioni narrative, ciascuna con un personaggio di spicco: Abramo (11,
27-25,11), Giacobbe (25,19-35,28) e Giuseppe (37,2-50,26).
II. « S T O R IA D E L L E O R IG IN I» ( l , 1 - 1 1 ,2 6 )
Pochi altri testi biblici hanno suscitato tanto interesse e provocato tante
polem iche tra gli specialisti di vari settori come i capitoli iniziali della Ge
nesi. I progressi delle scienze e delle lettere nel xix secolo hanno indotto
gli esegeti a ripensare al significato dei racconti delle origini del mondo
e dell’umanità. Le conclusioni dei geologi sull’età della terra o delle SCÌen-
2.0. Cfr. R. Rendtorff, « C o v e n a n t » as a S tr u c t u r in g C o n c e p t in G e n e s is a n d E x o d u s : JB L 10 8
(1589 ) 3 8 5 -3 9 3 ; P.R. Williamson, A b r a h a m , I s r a e l a n d th è N a t io n s . T h e P a t r ia r c h a l P ro m is e
a n d its C o v e n a n t a l D e v e lo p m e n t in G e n e s is (JSO T.S 3 1 5 } , Sheffield 2.000.
2.1. R.L. Cohn, N a r r a t iv e S t r u t t u r e a n d C a n o n ic a ! P e r s p e c t iv e in G e n e s is : J S O T 1 5 (19 8 3 ) 3-16 .
Il libro della Genesi 63
Dal punto di vista della composizione, in Gen. 1-11* hanno un ruolo ri
levante le cinque formule tó led ó t : 2,4a e 6,9 introducono le narrazioni di
1-3 e 6,9-9,17 (in realtà 2,4a introduce 2,4^3,24, però serve anche per
unire questa narrazione a quella di 1,1-2,3 nel senso indicato nel para
grafo 1), mentre 5,1; 10,1 e 11,10 introducono differenti genealogie.
I due gruppi di racconti più importanti {Gen. 1-3 e 6,9-9,17) formano
22. Cfr. P. Gibert, B ib b ia , m it i e r a c c o n ti d e l l ’ in iz io , Brescia 19 9 3 ; J.-P. Lonchamp, L a créa -
t io n d u m o n d e , Paris 1990 ; A.F. Campbell, T e o r ia e v o lu z io n is tic a e d is c o r s o b ib lic o : Conci-
lium 36/1 (2000) 1 2 6 -1 3 9 .
2 3 . Cfr. J.W . Rogerson, G e n e s is 1 - 1 1 : CR.BS 5 (1997) 67-90.
24. Cfr. C. Westermann, A r t e n d e r E r z à h lu n g in d e r G e n e s is , in Id., F o r s c h u n g z u m A lte n T e -
s ta m e n t (ThB 24), Miinchen 1 9 7 4 , 9 -9 1 (47); D.J.A. Clines, T h e T h e m e o f th è F e n ta te u c h
(JSOT.S io), Sheffield 19 7 8 , 6 1-6 4 .
64 II libro della Genesi
una sorta di dittico, con alcuni elementi paralleli. In essi vengono poste
in evidenza la creazione (capp. 1-3) e la contro-creazione (capp. 6-7) in
sieme alla ri-creazione (capp. 8-9). Gen. 1 presenta la creazione come
una vittoria sul caos, Gen. 6-7 come un ritorno alla situazione caotica
primordiale. Se la figura chiave dei primi tre capitoli è Adamo, quella
del racconto del diluvio è Noè, che per certi versi possiede i tratti di un
nuovo Adamo, il rappresentante dell’umanità postdiluviana. Strettamen
te legati ai temi della creazione e della controcreazione compaiono i te
mi della colpa/peccato, del castigo divino e dell’attenuazione/grazia.
Considerato nell’insieme, Gen. 1 -1 1 * trascende i limiti imposti da cia
scun brano o gruppo di brani. La bontà delle opere create da Dio, più vol
te sottolineata nei capp. 1-2, contrasta con la malvagità degli esseri uma
ni, costantemente ribadita nei capp. 3-11. Il genere umano tende a di
struggere ciò che Dio aveva creato di buono. Malgrado la grazia mani
festata da Dio, gli esseri umani continuano a peccare. Essi oltrepassano
i limiti imposti da Dio e contravvengono all’ordine da lui stabilito.
Poiché è lo stesso Dio a castigare e salvare, a benedire e maledire, l’idea
che ne offrono i primi capitoli della Genesi può risultare sconcertante. Il
medesimo Dio che aveva creato l’uomo a sua immagine (1,27) vedendo
il male che ha compiuto si pente di averlo creato (6,7). Ma a stupire
maggiormente è che lo stesso Dio, il quale aveva giudicato buono tutto
ciò che aveva creato (1,31), pone dei limiti all’uomo persino prima che
questi abbia ecceduto (2,16 s.), come se ne avesse timore. Dio confesse
rà più avanti che l’essere umano può arrivare a essere come lui. Se Dio
l’aveva voluto «a sua immagine e somiglianza», che senso hanno le pa
role di 3,22?25
Gen. i - i i , insomma, cerca di trovare una risposta a una serie di in
terrogativi fondamentali sull’origine del mondo e del genere umano, sul
la vita e la morte, sul bene e il male.
1. Genesi 1,1-2,3. Per forma e stile questa prima pagina della Bibbia è
un capolavoro d’arte narrativa. La sua struttura è numerica, si sviluppa
su sette gradini («costruzione scalare») corrispondenti ai sette giorni del
la prima settimana della creazione. Dopo l’introduzione generale (vv. 1
2) si ha la presentazione di ciascun giorno. I primi sei, i giorni della crea
zione, seguono uno schema regolare in cinque punti: 1. formula intro
duttiva: «E Dio disse»; 2. comando divino: «Sia...»; 3. adempimento del
comando: «E fu...», «E così avvenne»; 4. giudizio divino: «E Dio vide
che era cosa buona»; 5. formula conclusiva: «e fu sera e fu mattina: X
giorno». C’è corrispondenza tra i primi tre giorni e i tre giorni successi
vi, come mostra lo schema che segue:16
arti aumenta la barbarie della violenza. Nel canto dei w . 23-24 Lamek
si vanta davanti alle mogli del suo spirito vendicativo.
Genesi 4,25-26: Set, il terzo figlio di Adamo, inaugura una nuova li
nea. Come Caino (4,1), anche Set è accolto come un dono di Dio (4,25).
Trova così espressione il sentimento religioso che anima le genealogie:
la procreazione è un prolungamento della forza creatrice di Dio. Ogni
singola nascita umana testimonia l’efficacia della benedizione divina.
Enos, il figlio di Set, fu il primo a invocare il nome di Jahvé (4,26). La
linea di Set fa da contrappunto a quella di Caino. È la linea di Noè -
modello di uomo giusto che ottenne il favore di Jahvé - e sarà la linea
dei patriarchi, che tanto spesso invocheranno il nome di Jahvé.
38. Cfr. J.L. Sica, E l relato del diluvio. Un relato sacerdotal y algunos fragmentos redacciona-
les posteriores: EstB 52. ( 1 9 9 4 ) 3 7 - 6 2 .
74 Il libro della Genesi
sotto il segno della benedizione e dell’alleanza di Dio con Noè e i suoi fi
gli. La benedizione si apre e si chiude, come un’inclusione, con la formu
la «crescete e moltiplicatevi» e la variante «riempite la terra» e «domi
natela» {9,1-7; cfr. 1,28). L'alleanza (9,8-17) assicura la stabilità del co
smo per il futuro: Dio promette che non ci sarà un altro diluvio che de
vasti la terra e garantisce la sua promessa con il segno dell’arcobaleno.
L’alleanza è incondizionata e, sebbene si stabilisca tra Dio e Noè con i
suoi figli, viene estesa a tutta la terra. Essa ha portata cosmica: «Questo
è il segno dell’alleanza che stabilisco con tutti i viventi della terra» (v.
17). I vv. 8-17 sono una successione di tre discorsi di Dio a Noè.
Nella prospettiva teologica del racconto determinanti sono le decisio
ni e le parole di Dio, che attivano una serie di avvenimenti. Detiene un
ruolo decisivo anche la condotta di Noè, la sua risposta concreta alla
parola e alla volontà di Dio. Dio ordina e Noè compie tutto ciò che Dio
gli ingiunge. È un’immagine esatta di Noè fedele e obbediente a Dio. Nel
l’obbedienza di Noè si realizza la sua salvezza e, attraverso di lui, la sal
vezza dell’umanità. La costruzione scrupolosa dell’arca e l’ingresso in es
sa, in ossequio al comando divino, gli assicura la vita futura. L’obbedien
za di Noè modifica la rotta dell’umanità, in cammino verso il proprio
annientamento. Dalla benedizione divina e dall’alleanza tra Dio e Noè
nascerà un’umanità nuova.39
Il racconto di Gen. 6,9-9,17 presenta due diverse sfaccettature. Da un
lato il diluvio ribalta la creazione di Dio; è una «contro-creazione». Dal
l’altro lato dal diluvio sorge un mondo nuovo, una «nuova creazione».
L’autore del racconto rimanda più volte ai racconti della creazione, in
particolare al primo. Secondo Gen. 1 il mondo sorse da un caos acqueo
primordiale (v. 2). Si può ben dire che la creazione è un atto di separa
zione e distinzione. Il firmamento serve per separare le acque inferiori
da quelle superiori (vv. 6-7); a loro volta le acque inferiori vengono rac
colte in un unico luogo per separarle dalla terra (vv. 9-10). Il diluvio è
un ritorno al caos delle acque. Il suo inizio coincide con l’eruzione di tut
te le sorgenti dell’oceano e l’apertura delle cateratte del cielo (7,11), men
tre finisce quando le sorgenti dell’oceano e le cateratte del cielo si richiu
dono {8,2). Subito dopo l’acqua raggiunge la sua massima altezza, rico
prendo i monti più alti e cancellando quanto si erge sul suolo (7,18-24).
S’inverte così l’opera creatrice del terzo giorno. Se in 1,2 era stata la rùàh
di Dio a cominciare a soffiare sul caos delle acque e a dare inizio alla
creazione, in 8,1 è questa stessa rùàh a soffiare sulle acque, facendole ri
tirare.
La fine del diluvio coincide con l’inizio della creazione nuova: «Finché
durerà la terra, non cesseranno seme e raccolto, freddo e caldo, estate e
39. Cfr. F. G arda Lopez, sw h , ThW AT vi (19 89 ), 9 3 6 -9 5 9 (945-946).
76 II libro della Genesi
40. Cfr. E.W . Davies, Walking in G o d ’s Ways: The C oncepì o/" Imita rio Dei in thè O ld Testa
menti in E. Ball (ed.), In Search o f T r u e Wisdom. Fs. R .E . Clements (JSOT.S 300), Sheffield
1 9 9 9 , 9 9 -1 1 5 ( i o 7 ss.).
4 1 . Cfr. J.W . Rogerson, Genesis 1 - 1 1 (O TG), Sheffield 1 9 9 1 , 72.-73.
5. T ó ledót dei figli di N o è ( 1 0 ,1 - 1 1 ,9 )
Le ultime due genealogie della storia delle origini iniziano con la formu
la «dopo il diluvio» ( 10 ,1; 1 1 ,1 0 ) , quasi volessero sottolineare un prima
e un dopo di questo evento così singolare.
b) La torre di Babele ( 1 1 ,1 -9 )
quando aveva 1 7 5 anni (25,7). Tra questi due estremi altre date costel
lano i momenti più significativi della vita del patriarca: nascita d’Ismae-
le a 86 anni (16 ,16 ), circoncisione di Abramo a 99 anni (17 ,2 4 ); nascita
d’Isacco a 10 0 anni (2 1,5), ecc. Non si tratta di riferimenti isolati ma ri
entrano essi pure nell’intfeccio in cui spicca una domanda chiave: «Uno
che ha cent’anni potrà avere un figlio e Sara a novantanni potrà partori
re?» ( 1 7 ,1 7 ) .51
Quanto ai riferimenti geografici, si è già rilevata ( § 1 ) l’importanza de
gli itinerari e di Canaan nella vita dei patriarchi. Sebbene i primi rac
conti riguardanti Abramo diano l’impressione che la sua vita sia un con
tinuo andirivieni (cfr. 1 1 , 3 1 ; 1 2 ,5 -1 3 ,4 ) , in realtà la maggior parte della
storia di Abramo si svolge in terra di Canaan, e principalmente a He-
bron ( 1 3 ,1 8 ; 1 4 ,1 3 ; 1 8 ,1 ) e dintorni (cfr. 2 0 ,1; 2 2 ,19 ; 24,62). Senz’om
bra di dubbio Mamre/Hebron rappresenta il luogo centrale delle tradi
zioni su Abram o.52
La vita di Abramo si presenta come un itinerario singolare dalla dop
pia dimensione: geografica e spirituale. Dal punto di vista geografico,
inizia con la partenza da Ur ( 1 1 , 3 1 ) e termina con la sepoltura a Mak-
pela (25,9). Dal punto di vista spirituale comincia con un ordine e alcu
ne promesse da parte di Jahvé ( 1 2 ,1 -3 ) e culmina in un altro comando e
nuove promesse divine (2 2 ,1-19 * ) ; la prima e l’ ultima parola apparten
gono a Dio, il quale trasforma in un percorso spirituale straordinario
quello che potrebbe essere stato un semplice itinerario geografico. Di
conseguenza i passi che precedono e seguono ( 1 1 ,2 7 - 3 2 e 2 2 ,2 0 -2 5 ,11)
fungono da cornice generale, da introduzione e conclusione, contribuen
do a esaltare il nucleo della storia di Abramo ( 1 2 ,1 -2 2 ,1 9 ) .
a) Introduzione ( 1 1 ,2 7 - 3 2 )
b) Un itinerario singolare ( 1 2 ,1 - 2 2 ,1 9 )
separati dagli aramei (discendenti di Nahor: 22,20 -24), dagli arabi (di
scendenti dal matrimonio di Abramo con Qetura: 2 5 ,1-6 ) e dagli ismae
liti (discendenti di Abramo e Agar: 2 5 ,1 2 -1 8 ) . Lot sceglie la fertile pia
nura del Giordano e parte verso levante, stabilendosi a Sodoma (cfr. 1 3 ,
1 1 - 1 2 ; 1 4 ,1 2 ; 19 ,1), al confine con la terra promessa. La città di Sodo
ma sarà lo scenario di vari avvenimenti nei quali saranno coinvolti Àbra
mo e Lot (capp. 14 e 19). Il riferimento agli abitanti di Sodoma ( 1 3 ,1 3 )
- presagio del destino fatale che li attende (cap. 19) - contrasta con le
promesse fatte ad Abramo, augurio del vasto territorio e della numero
sa discendenza che gli spetteranno ( 1 3 ,1 4 - 1 7 ) .
Con le informazioni del v. 18 si conclude la prima parte dell’itinera
rio di Abramo. Nella regione di Hebron il patriarca trascorrerà una buo
na parte della sua vita.
63. Cfr. R.I. Letellier, D ay in Mamre, N ight in Sodom. Abraham and L o t in Genesis 1 8 and
1 9 (BIS io ), Leiden 19 9 5 ; W .W . Fields, Sodoma and Gom orrah: History and M o tif in Biblical
Narrative (JSO T.S 1 3 1 ) , Sheffield 19 9 7 .
90 II libro della Genesi
era qualcosa di più di un dono naturale: «Chi avrebbe mai detto ad Àbra
mo che Sara avrebbe allattato dei figli!» (21,7). Isacco era il frutto di un
miracolo di Dio, il vero figlio della promessa nel quale era racchiusa tut
ta la salvezza divina. La promessa divina tocca anche Ismaele, sebbene
in modo diverso. Questi sarebbe diventato l’antenato delle tribù del de
serto ( 2 1 ,1 7 - 1 8 ; 1 6 ,1 2 ; 17,20 ).
Le relazioni tra Abramo e Abimelek pongono in evidenza due cose. In
primo luogo, che attraverso Abramo la benedizione divina raggiunge al
tri popoli. Grazie all’intercessione di Abramo (di tipo profetico, come
quella di Sodoma), Abimelek recupera la salute (2 0 ,17 -18 ) e, per mezzo
dell’alleanza con Abramo (2 1,2 2 -3 4 ), cerca di assicurarsi la benedizione
divina (cfr. vv. 22-23). In secondo luogo, che la promessa della terra co
mincia a concretizzarsi e a prender corpo quando Abimelek offre ad
Abramo il suo territorio, perché si stabilisca dove più gli piace (20 ,15)
e, soprattutto, quando riconosce ad Abramo i diritti sul pozzo che si è
scavato a Bersabea (2 1 ,2 5 -3 1 ) .
Dopo la nascita e lo svezzamento di Isacco si potrebbero considerare
superati tutti gli ostacoli relativi al figlio/erede di Abramo e Sara. E in
vece c’è ancora da superare la prova decisiva.
c) Conclusione ( 2 2 ,2 0 -2 5 ,11)
confine tra ciò che precede e ciò che segue/5 Ciò è confermato anche dal
la breve annotazione sui discendenti di Nahor (vv. 2ob-24). Sebbene i
nomi di Nahor e Milka (v. zob) rimandino a Gen. 1 1 ,2 9 , qui la loro fun
zione consiste piuttosto nell’introdurre la famiglia di Rebecca, futura
sposa di Isacco. Questi due nomi, con quelli di Betuel e Rebecca (vv. 2 2
23), ricompaiono varie volte nel cap. 24 (cfr. vv. 15 .2 4 . 47.50).
L ’acquisto di un sepolcro a Makpela (2 3 ,3 -18 ) si colloca tra la morte
di Sara (2 3 ,1-2 ) e la sua sepoltura (2 3 ,19 ). In un’annotazione finale si
sottolinea il fatto che la località diventò proprietà di Abramo (23,20). È
un dato di grande importanza, in quanto rappresenta il primo titolo di
proprietà sulla terra promessa. Se la promessa di una discendenza ha
ormai trovato compimento, la promessa della terra inizia ora ad avere
realizzazione.
Il racconto del cap. 24 - il più lungo e uno dei migliori della Genesi -
ruota attorno all’idea di partire per andare a cercare una moglie per Isac
co. È questa la missione affidata da Abramo al proprio servo, il quale a
sua volta la pone nelle mani di Dio sapendo che da lui proverrà il suc
cesso dell’impresa. Si tratta di una missione importantissima, in quanto
la continuità della storia di Abramo non dipende solo dal figlio della pro
messa, ma anche dalla futura sposa di Isacco. Una volta celebrato il ma
trimonio (v. 67) Abramo ritiene giunto il momento di nominare Isacco
erede universale di tutti i suoi beni (25,5).
La conclusione della storia di Abramo è simile, per molti aspetti, alla
conclusione della storia di Davide. Di entrambi è detto che sono vecchi,
«avanti negli anni» {Gen. 2 4 ,1 ; 1 Re 1 ,1 ) . In tutti e due i casi la succes
sione è dovuta alla loro età avanzata.6 566 La storia di Abramo si conclude
con un’annotazione sulla sua morte e sulla sepoltura del patriarca da
parte dei figli, nel luogo comprato da Abramo per seppellire Sara (2 5 ,7
10). Un finale praticamente identico attende le vicende di Isacco ( 3 5 ,2 7
29) e di Giacobbe (4 9 ,29 -33; 50 ,13).
Una volta conclusa la storia di Abramo si affronta la storia dei suoi due
figli, a cominciare da quella del primogenito (2 5 ,12 -18 ) per proseguire
con quella del minore (2 5 ,19 -3 5 ,2 9 ). Nel primo caso si tratta essenzial
mente di poche note genealogiche, mentre nel secondo si narra una lun
ga storia.
(1975) 15-38 (Z3-2.5), riconosce che G en , z6 e 34 sono anomali rispetto al contesto, tuttavia
osserva che entram bi questi capitoli sono stati inseriti simmetricamente con funzione di inter’
ludio nell’ insieme della narrazione; cfr. anche J.P . Fokkelm an, Narrative Art in Genesìs, 83-
Z 4 1; S .D . W alters, Jacob Narrative , in D .N . Freedm an (ed.), The Anchor Bible Dictionary 3,
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a .M . 1999, 35-48.
Il libro della Genesi 95
7 1 . Cfr. F. G arda Lopez, Genèse 2 9 ,1-14 . La rencontre de Jacob avec Rachel et Laban , in J.-
D. Macchi - T. Rómer (edd.), Com m entale à plusieurs voix de Gen. 2 5-36. Fs. A. de Pury, Ge
nève 2 0 0 1, 87-94.
96 II libro della Genesi
no si congeda dalle sue figlie e dai nipoti e fa ritorno a casa sua (32,1).
Si conclude così la storia di Giacobbe-Labano.
Sulla via di ritorno per Canaan Giacobbe incontra alcuni angeli/mes-
saggeri di Dio a Mahanaim (32,2-3). Il ritorno di Giacobbe s’inserisce
tra un comando divino ( 3 1 ,3 ; cfr. 3 1 ,1 3 ) e un’apparizione di Dio che ri
corda quella di Betel (2 8 ,11-2 2 ). Se l’apparizione di Betel invitava Gia
cobbe alla fiducia nella protezione divina, quella di Mahanaim contiene
implicitamente il medesimo invito. Mahanaim è un luogo sacro e gode
della protezione divina.
A differenza delle altre formule tóledòt del bbro della Genesi, impiegate
un’unica volta in riferimento a ciascun personaggio, la formula di 3 6 ,1
si ripete in 36,9 con riferimento a Esaù/Edom. Questo e altri indizi fan
no pensare che 36 ,9 -4 3 sia un’aggiunta, un brano più recente inserito tra
3 6 ,1-8 e 3 7 ,1 .
Tanto dal punto di vista formale quanto da quello tematico, 3 6 ,1-8 e
36 ,9 -43 si presentano come due unità distinte, ciascuna con una propria
formula iniziale e conclusiva, a modo di inclusione:
Oltre a riportare i nomi dei figli di Esaù, Gen. 36,2-8 richiama l’atten
zione su due aspetti significativi della storia di Esaù: il suo matrimonio
con donne cananee (vv. 2-5) e l’insediamento in Seir (w . 6-8). Il primo
evento si scontra con la volontà e la tradizione dei suoi padri (cfr. 24,3
s.; 28,2), mentre il secondo non s’intona con la promessa della terra. Que
st’ultimo dato è ancora più evidente se raffrontato con il comportamen
to di Giacobbe: se si prescinde da 36,9-43 e si leggono di seguito 36,8 e
3 7 ,1 , il contrasto è evidente:
3 6,8 wajjèseb ‘és'àw behar sè‘tr
37,1 wajjèseb ja iàqób be5eres m egùré ’àbiw be’eres k enà ‘an.
Mentre Giacobbe si stabilì in Canaan, la terra promessa, Esaù s’insediò
in Seir, al di fuori della terra promessa. In 3 7 ,1 , inoltre, è detto espres
samente che Canaan è la terra ove aveva abitato suo padre. Viene così
posto in evidenza per l’ennesima volta che Giacobbe è l’erede della pro
messa ed Esaù resta escluso da questo ambito.
D ’altra parte 36,9-43 conferma l’oracolo divino a Rebecca: la lunga li
sta dei discendenti di Esaù, «padre di Edom» (w . 9.43), ne pone in ri
salto la statura di nazione (cfr. 2.5,23) e allo stesso tempo sottolinea i le
gami che lo uniscono a Giacobbe/Israele.
2. Grati vizir del faraone in Egitto (39 -41). È opinione di G.W . Coats che
i capp. 3 9 -4 1 costituiscano «un racconto dentro un racconto», «un rac
conto separato, forse in origine indipendente, riguardante Giuseppe».77
L ’episodio di 39 ,7-20 presenta un certo parallelismo con il Racconto
dei due fratelli, testo egiziano del x iii secolo a.C. In entrambi i racconti
una donna sposata (rispettivamente la moglie di Potifar e quella di Anu-
bi) tenta di sedurre un giovane onesto (rispettivamente Giuseppe e Bata)
e, fallito il tentativo, lo accusa davanti al marito di tentata violenza. Il
finale dei due racconti non è identico: nel secondo la verità viene a galla
e la donna viene punita, mentre nel primo il castigo ricade su Giuseppe
e della donna non si sa più nulla.78
Tenuto conto del tono egiziano di Gen. 39,7-20 , dell’utilizzo del no
me di Jahvé (esclusivo di questo capitolo), nonché della mancanza di
una conclusione simile a quella del Racconto dei due fratelli e della pre
senza di certe incongruenze con l’inizio del cap. 40, parecchi autori so
no dell’idea che Gen. 39 sia stato interpolato in un secondo tempo tra i
capp. 3 7 e 4 0 -4 t . Attualmente funge da preludio alla sezione centràle.
In Gen. 4 0 -4 1 vengono riferiti i sogni del coppiere e del panettiere del
re (cap. 40) e quelli del faraone (cap. 4 1). Giuseppe li interpreta tutti in
modo corretto. Il coppiere si dimentica di Giuseppe (40 ,14 s.), non così
il faraone, che lo eleva al rango di gran vizir. Sebbene ogni capitolo in
troduca personaggi nuovi (Potifar e sua moglie, il coppiere e il panettie
re, il faraone), il vero protagonista è sempre Giuseppe. Per quanto possa
essere interessato alla sorte delle varie figure, ciò che realmente preoc
cupa il narratore è la sorte di Giuseppe e la sua ascesa al potere in Egit
to. Se alla sua abilità nell’interpretare i sogni si aggiungono le sue quali
tà personali («avvenente e di bell’aspetto»: 39,6; «saggio e prudente»:
4 r ,3 9), pare ovvio che Giuseppe sia stato sfiorato dal dito di Dio. E in
fatti il testo annota che Dio era con lui e faceva riuscire tutto ciò che
egli intraprendeva (3 9 ,2 -3 .2 1-2 3 ). L ’interpretazione dei sogni è da attri
buire a Dio (cfr. 40,8; 4 1 ,1 6 .2 5 .2 8 .3 2 ) . Sia Potifar sia il capo della pri
gione e il faraone riconosceranno che è Dio a benedire e a donare il suc
cesso a ogni cosa che fa Giuseppe (cfr. 3 9 ,2 -5 .2 1 -2 3 ; 4 1,3 8 -3 9 ). Per que
sto i tre ripongono la loro fiducia in Giuseppe: lo spirito di Dio è con lui.
In Gen. 3 9 -4 1 ricorrono alcuni motivi sapienziali. Il racconto della
moglie di Potifar, ad esempio, illustra perfettamente i pericoli della «don
na straniera» (cfr. Prov. 2 ,16 ; 5,3.2 0 ; 6,24-26). Non si deve comunque
(
Il libro della Genesi 10 3
dar troppo peso al tono sapienziale della storia di Giuseppe. La sua sag
gezza non è tanto conseguenza della sua formazione in una scuola - co
me avviene per i consiglieri egiziani - quanto dono di Dio. In virtù della
sua origine divina, la saggezza di Giuseppe è superiore a quella dei ma
ghi e dei saggi del re (cfr. 4 1,8 ss.).
II sognatore (cap. 37), il quale ha visto realizzati i propri sogni di glo
ria (capp. 3 9 -4 1), tra poco vedrà anche i fratelli inchinarsi davanti a lui
(capp. 4 2-4 5).
naan, luogo della promessa, per scendere in Egitto, che finirà per diven
tare luogo di schiavitù. Giacobbe prende una decisione rischiosa e per
far questo necessita dell’approvazione e dell’assistenza di Dio.
Gen. 4 -7,13-2 6 offre un’immagine di Giuseppe in qualità di gran vizir
(cfr. capp. 3 9 -4 1}, il quale cerca d’imporre e giustificare un nuovo siste
ma di tassazione.
L ’elenco di coloro che scesero in Egitto (46,8-27) si rifà tanto alla sto
ria di Giuseppe quanto ad altre tradizioni patriarcali. Es. 1,5 riprenderà
poi proprio tale elenco.
Bastino questi riferimenti per evidenziare sia la varietà di testi che com
pongono tali capitoli sia la funzione da essi svolta nel concludere la sto
ria di Giuseppe e le storie patriarcali.
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Witte, M., Die bibliscbe Urgeschichte. Redaktions- und tbeologiegescbicbtlicbe
Beobachtungen zu Genesis 1,1 -1 1 ,2 6 (BZAW 265), Berlin 1998.
Capitolo iv
Il lib r o d e ll’ E s o d o
I. IN T R O D U Z IO N E
1. Tratti letterari
a) Racconti e leggi
Fra i tratti più significativi del libro dell’Esodo vi è l’alternanza tra rac
conti e leggi. Questo fenomeno, nella Bibbia attestato qui per la prima
volta, costituisce uno dei problemi classici nell’esegesi del Pentateuco.
La combinazione tra racconti e leggi in un medesimo scritto non è un
problema solo dell’Esodo o del Pentateuco. Nei trattati orientali di vas
sallaggio, ad esempio, il racconto dei benefici del sovrano prosegue con
una serie di accordi legali. Anche in alcuni codici giuridici mesopotami-
ci, come quello di Hammurabi, le leggi sono inquadrate in una cornice
narrativa. Tuttavia il problema acquista un tale peso nel libro dell’Eso
do che si può parlare di una «struttura dialettica tra narrazione e legge».1
Nonostante ciò, i nuovi modelli sulla composizione del Pentateuco
sono stati elaborati di preferenza a partire dai testi narrativi, prestando
scarsa attenzione alle leggi e alla loro interazione con i racconti.1 Comun
que non sono mancate voci con la richiesta di porre la questione critica
1. E. Zenger, D ie Biicher der Torà j des Pentateuci?, in Id. (ed.), Einleitung in das Alte Testa
menti Stuttgart 19 9 5 , 3 4 1 2 3 (38).
z. Cfr. F. Garda Lopez, D e la antigua a la nueva critica literaria del Pentateuco-. EstB 52 (1994)
7 -3 5 (2 0 -11); T. Ròmer, La form ation du Pentateuque selon Vexégèse historico-critique , in
C.-B. Amphoux - J. Margain (edd.), Les premières traditions de la Bible, Lausanne 1 9 9 6, 1 7
55 (51-52.)-
Il libro dell’Esodo 109
no che Es. 35-40 «non sono racconto autentico, bensì ripetizione in for
ma narrativa».14 Secondo Mary Douglas, racconto e legge differiscono
per il modo di rapportarsi con il tempo, lo spazio e le persone. Le leggi
si rivolgono a persone di qualsiasi tempo e luogo e debbono essere os
servate sempre. Non vanno confuse con i comandi, rivolti a individui
concreti durante il periodo nel deserto per essere realizzati un’unica vol
ta.15 Se si applicano questi criteri, Es. 25-31; 35-40 appartengono al ge
nere narrativo. A sostegno di questa opinione si può portare l’esempio
di Gen. 6-9*. La costruzione del tabernacolo durante la permanenza nel
deserto {Es. 25-31; 35-40) ha il parallelo letterario più prossimo nel te
sto sacerdotale relativo alla costruzione dell’arca all’epoca di Noè {Gen.
6,13-22). In entrambi i passi risalta un comando divino e il successivo
accertamento della sua esecuzione.16
Nella prospettiva finale del Pentateuco la legge va interpretata pel qua
dro dei racconti. Così come sono state trasmesse, le leggi non andrebbe
ro separate dagli eventi storico-salvifici. Le vicende dell’esodo {Es. 1-15)
precedono quelle del Sinai. L’esodo, l’atto salvifico per eccellenza, non
solo fornisce le basi per le leggi, ma le illumina e dà loro un senso. La ra
gione principale per cui Israele deve osservare i comandamenti e le leggi
è perché Jahvé l’ha fatto uscire dall’Egitto. Tuttavia è evidente che non
è questo l’unico approccio possibile; la prospettiva genetica è egualmen
te legittima. .
b) Struttura e divisioni
L’Esodo si sviluppa principalmente su tre scenari: Egitto, il deserto e il
Sinai, che giustificano la divisione del libro in tre sezioni:
1. uscita dall’Egitto: 1,1-15 ,2 1;
2. marcia attraverso il deserto: 15,22-18,27;
3. avvenimenti del Sinai: 19-40.
La prima e la terza sezione sono le più ampie e anche quelle che han
no il maggior peso e rilevanza; la seconda parte è una sorta di ponte che
necessariamente funge da collegamento tra le altre due.
Il racconto dell’uscita dall’Egitto presenta una grande coesione inter
na; alla sua conclusione si osserva una cesura,17 la quale si accentua con
14 . Cfr. L. Alonso Schòkel, Los Libros Sagrados, 1. Pentateuco-. 1. Génesis. É x o d o , Madrid
3 55-
15 . M . Douglas, N el deserto. La dottrina della contaminazione nel libro dei Numeri , Bologna
2,001, 13 9 s. 1 6. Riguardo a G en . 6-9* cfr. sopra, cap. III, 11,401*
17 . Cfr. G. von Rad, Beobachtungen zur Moseerzàblung Exodus 1 - 1 4 , in Id., Gesarpmelte
Studien zum Alten Testament n, Miinchen 1 9 7 3 , 1 9 2 - 1 9 5 ; J.L. Ska, Récit et récit métadiégéti-
que en Ex r - 1 5 . Remarques critiques et essai d'interprétation de E x 3 ,16 - 2 2 , in P. Haudebert
Il libro dell’Esodo in
il linguaggio poetico del cap. 15, che corona la narrazione di Es. 1-14 .18
La sezione di Es. 19-40 è più eterogenea e complessa, tanto per l’aspet
to formale (combinazione di racconti e leggi) quanto sotto quello tema
tico (teofania, alleanza, decalogo, codice legale, santuario, vitello d’oro).
L’unico a restare invariato è lo scenario, il monte santo del Sinai.
La marcia attraverso il deserto è costellata da una serie di «formule
itinerario» (cfr. Es. 15,22.27; 16,1; 17,1). Si tratta di formule che, in
gran parte, sono composte dai verbi ndsa'> («partire», «trasferirsi»), bó’
(«arrivare») e nàbàh («accamparsi»). Questo tipo di formule ricompare
alla fine della sezione dell 'uscita daWEgitto (Es. 12,37; 13,20; [14,2.]),
all’inizio di quella del Sinai (Es. 19,2) e nella seconda parte della marcia
attraverso il deserto, in Num. 10 ,11-12; 12,16; 20,1.22; 21,4.10-11; 22,
1.19 Oltre a strutturare gli episodi della marcia attraverso il deserto, pri
ma e dopo il Sinai, le «formule itinerario» mettono in cpllegamento una
serie di blocchi e di tradizioni diverse, dalla prima sezione dell’Esodo si
no all’ultima di Numeri, come mostra lo schema seguente:
Egitto Deserto Sinai Deserto Moab
Es. 1 , 1 - 1 5 , 2 1 E s . 15,2.2,-18,2.7 Es. 19-40; Lev.; Num. 1 0 , 1 1 - 2 1 , 3 5 Num. 2 2 -36
Num. 1 ,1 - 1 0 ,1 0
Sino al xix secolo la storicità dei racconti di Es. 1-19 non si metteva in
discussione. Da allora sino ai giorni nostri le posizioni hanno oscillato
da un estremo all’altro, dall’affermazione della storicità assoluta sino
alla sua negazione totale.
Alla fine del xix secolo Wellhausen riteneva plausibile l’esistenza di
un gruppo di pastori ebrei che entrarono in Egitto, ove furono posti in
schiavitù e costretti a lavorare a opere pubbliche a Goshen. Successiva-213
24. J. Wellhausen, Israel , in Id., Prolegomena to thè History o f Ancient Israel. With a Reprint
of thè Arride Israel from thè Encyclopaedia Britannica , Gloucester 1 9 7 3 , 4 2 9 -54 8 {429-440),
25. J. Bright, Storia dell'antico Israele , Dagli albori del popolo ebraico alla rivolta dei Macca
bei, Roma 200 2, 1 3 7 .
2 6. N.P. Lemche, Ancient Israel. A N ew History o f Israelite Societyy Sheffield 19 8 8 , 10 9 ; cfr.
K.A. Kitchen, The Exo du sy in D,N< Freedman (ed.), The A nchor Bible Dictìonary 2, New York
19 9 2, 7 0 1-7 0 8 (70 1 s.).
27. N.P. Lemche, D ie Vorgeschichte Israels . Von den Anfdngen bis zum Ausgang des 1 3 >Jahr-
hunderts v. C hr . (BE 1), Stuttgart 1996, 52.66.
28. N.P. Lemche, D ie Vorgeschichte Israels , 68-72.
29. Cfr. K .A. Kitchen, The Exodusy 70 2 ; L Cardellini, E s o d o ..J Quando, come?: RivBiblIt 45
(1997) 1 2 9 - 1 4 2 ; J.K . Hoffmeier, Israel in Egypt. The Evidence for thè Authenticity o f thè E x-
a) Affidabilità dei dati biblici
caso di Ramses. Pitom non compare come nome di città sino all’epoca
saitica (v i i - v i sec. a.C.). Es. i , i i starebbe perciò proiettando in un tem
po precedente circostanze ed eventi di un’epoca successiva, con l’obiet
tivo di tratteggiare i contorni delle origini della storia d’Israele.34
D’altra parte, nella descrizione dei lavori forzati e dei conflitti cui si
accenna in Es. i ss. è possibile che traspaiano alcuni tratti caratteristici
dell’oppressione salomonica, assai simile a quella egiziana quanto a ter
minologia e simboli (cfr. i Re 5,27-32; 9,15-26). Secondo M.D. Oblath
vi è una stretta correlazione tra la narrazione dell’esodo e il racconto re
lativo alla ribellione di Geroboamo contro Salomone e Roboamo. Gli
incontri di Mosè con i due faraoni sono paralleli agli incontri di Gero
boamo con Salomone e Roboamo. Dopo un’analisi dei luoghi geografi
ci, dei lavori della corvée, ecc., questo autore giunge alla conclusione che
il racconto biblico dell’esodo è un’allegoria che riflette l’epoca e gli av
venimenti attorno ai regni di Salomone e Roboamo e alla divisióne del
regno d’Israele.35
Secondo la tradizione biblica, gli ebrei si liberarono di tali lavori fug
gendo. L ’Esodo parla di negoziati tra gli ebrei e il faraone perché con
cedesse loro il permesso di partire. Ciò non è inverosimile, come risulta
dal documento di un funzionario di frontiera del tempo di Seti 11:
b) Storicità di Mosè
c) L ’esodo e il Sinai
em. 9 (cfr. w . 13 s.). Da questo si può dedurre che la tradizione del Si
nai ebbe inizialmente un’origine e una storia indipendenti e solo in un
secondo tempo entrò a far parte dell’insieme del Pentateuco.43
Nella stessa direzione parrebbe puntare il fatto che i profeti classici
primitivi mantengono un silenzio totale riguardo agli eventi del Sinai. Vi
sono allusioni alle vicende dell’esodo (cfr. Is. 11,16 ; Ger. 32,2,1; Os. 2,
17; 11,1 ; 12,10; 13,4; Am. 2,10; 3,1; 9,7; Mich. 7,15) o al protagoni
smo di Mosè, Aronne e Miriam {Mich. 6,4; cfr. Os. 12,14), come pure
al periodo trascorso nel deserto (Ger. 2,2-6; Os. 2,26 s.; 13,5; Am. 2,
io) e all’alleanza di Jahvé con i padri {Ger. 7,22 s.; 11,7; 31,32; 34,13
ss.; Ez. 20), ma nulla è detto a proposito della proclamazione dei coman
damenti da parte di Mosè, né del Sinai come luogo dell’alleanza tra Jah
vé e il popolo d’Israele.44
Se ai dati precedenti si aggiungono i vari nomi usati per designare il
monte (Sinai, Horeb, monte santo, ecc.), nonché le interpretazioni sul si
gnificato e la portata degli avvenimenti legati a questi luoghi, si rafforza
l’impressione che la tradizione del Sinai ebbe vita indipendente dalle tra
dizioni dell’esodo e della conquista. Di conseguenza ne viene messo in
dubbio il fondo storico attuale, e contemporaneamente, prende forza
l’ipotesi di una leggenda cultuale.45
Ciononostante alcuni autori si sono rifiutati e continuano a rifiutarsi
di separare le tradizioni dell’esodo da quelle del Sinai. Artur Weiser, ad
esempio, sostiene che il contenuto della tradizione del Sinai non è un
evento storico dello stesso tenore degli eventi storici dell’uscita dall’Egit
to e dell’ingresso in Canaan, ma è un incontro con Dio.4* Rainer Al-
bertz scorge alcuni indizi di unione tra Sinai ed esodo, in particolare tra
il monte della vocazione di Mosè (Es. 3,1 ss.), ove si reca a celebrare il
culto il gruppo liberato (Es. 3,12; cfr. 3,18; 5,3; 7,16.26; 8,16; 9,1.13),
ed Es. 18,12. Che questi motivi ricompaiano solo in parte in Es. 19 ss. è
interpretato da questo autore come una deliberata tendenza a troncare
con la tradizione madianita (rappresentata da Es. 3,1 ss. e 18,12) o a dis
simulare il legame tra il monte di Dio e i madianiti e un culto preisraeli
ta di Jahvé. L’isolamento degli avvenimenti del Sinai sarebbe, almeno in
parte, la conseguenza di una correzione dogmatica successiva.47
43. C£r. W .H. Schmidt, Exodus, Sinai und Mose (EdF 1 9 1 ) , Darmstadt 19 8 3 , 7 5 . Gli argo
menti a sostegno di tale ipotesi, tuttavia, non sono decisivi: consultare, tra gli altri, Th. Booij,
Mountain and Theophany in thè Sinai Narrative: Bib 65 (19 8 4 ) 1-2.6 (18-2.1).
44. Cfr. Th. Booij, Mountain and Theophany, 3.
45. Cfr, W .H . Schmidt, Exodus, Sinai und Moses, 7 1 - 7 1 .
4 6. Cfr. A . Weiser, Introduction to thè Oid Testament, London 1 9 6 1 , 8 1-9 9 ; E.W . Nichol-
son, Exodus and Sinai in History and Tradition, Oxford 1 9 7 3 , 33 -5 2 .
47. R. Albertz, A History oflsraehte Religion in thè Old Testament Period, 1. From thè Begin-
nings to thè End o fth e Monarchy, London 19 9 4 , 53-54 .
3. Questioni teologiche
Gli studi narratologici pongono in risalto il nome, che è un modo per ca
ratterizzare un personaggio. Più che una sola qualità, il nome indica tut
ta una serie di qualità; aggiunge originalità a ciascuna caratteristica di
un personaggio. Nella narrazione, i nomi propri spesso hanno il compi
to di anticipare. In questo senso non sarebbe esagerato affermare che
«tutta la storia dell’esodo può essere letta come una definizione narrati
va di questo nome».49
Si discute sull’origine e il significato di jhwh.5° Per Es. 3,14 esso deri
va da una forma antica del verbo hjh o del suo corrispondente aramaico
hwh, che significa «essere, giungere all’esistenza, manifestarsi», jhwh si
gnificherebbe quindi «io sono l’esistente», inteso non tanto in senso pas
sivo o statico, come traducono i LXX {ho ón), quanto in senso attivo e
dinamico, come richiede il contesto. Per via della peculiarità dell’ebrai
co, la formula ’ehjeh ’aser ’ehjeh può essere tradotta con «Io sono colui
che sono» o «Io sono colui che sarò» o altre forme ancora. In ogni caso,
il nome jhwh sarebbe in relazione col verbo «essere», inteso in senso
esistenzialista e dinamico. Mentre la traduzione «Io sono colui che so-
4 8 . In un saggio di teologia biblica sul libro dell’E so d o , D .D . G o w a n , Theology in Exodus:
Biblical Theology in thè Form o f a Commentary, Louisvilie 1 9 9 4 , si pone un’ unica dom anda
sul testo biblico: cosa dice l’ Eso d o su Dio?
Breve storia del popolo d’Israele, Bologna 1 9 9 1 , 4 8 ; G . Fischer, Exodus 1
4 9 . C fr. S. B o ck ,
1 5 - Eine Erzàhlung, 1 6 2 s.
5 0 . C fr. F. G a r d a L o p ez, Dios en la Biblia, 1. Antiguo Testamento, in X . Pikaza ( N . Silanes
(edd.), Diccionario Teològico E l Dios cristiano, Salam an ca 1 9 9 2 , 1 5 7 - 1 7 6 ( 1 6 2 s.).
Il libro dell’Esodo ili
no» racchiude un senso misterioso, la traduzione «Io sono colui che sa
rò» implica che Dio farà conoscere progressivamente la sua identità at
traverso le sue parole e le sue azioni.
Nel contesto immediato della rivelazione del nome divino, Jahvé si pre
senta a Mosè come colui che lo affianca nel servizio al popolo, a benefi
cio d’Israele (3,10 ss.; 4,12 ss.). Vista la situazione in cui si trova il po
polo (3,7), l’azione divina è liberatrice (3,8). L’Esodo mostra Jahvé co
me un Dio coinvolto negli avvenimenti che riguardano Israele. L’origine
della religione jahvista è legata indissolubilmente al processo di libera
zione sociopolitica di un gruppo di ebrei emarginati e sfruttati dagli egi
ziani. In queste circostanze l’azione di Jahvé viene messa in relazione di
retta con la situazione del gruppo, raggiungendo una dimensione sociopo
litica, non solo religiosa. Il primo atto salvifico di Jahvé, quello che lo ri
vela come il Dio della salvezza, ebbe carattere politico e sociale. L’inter
vento di Jahvé in favore d’Israele lo portò a scontrarsi con il faraone.51
Il Dio dell’esodo agisce a volte in modo diretto, altre in modo indiret
to, attraverso Mosè (Es. 14 ne è un chiaro esempio). Mosè funge da pro
tagonista umano dell’esodo, chiamato da Dio per portare a termine la
sua azione liberatrice (3,8-10; cfr. 0,13.26-27). Tra gli altri collaborano
attivamente anche le donne menzionate all’inizio e alla fine della sezione
(Es. 1,15 ss.; 15,21): «Le donne liberate guidano alla celebrazione della
libertà che iniziò quando delle donne si rifiutarono di partecipare all’op
pressione e che ha trovato la sua realizzazione grazie alla solidarietà di
Jahvé con gli oppressi».52
Se Mosè è il protagonista umano dell’esodo, il faraone è il suo anta
gonista. Se si guarda dal punto di vista della teologia egiziana, si tratta
di un antagonista divino.S3 Dalla prospettiva dell’Antico Testamento è
invece un antagonista umano, benché assai potente. «Ciò che il testo in
tende affermare... è l’intervento divino a fianco degli umili e degli op
pressi e il trionfo di questi su una delle massime potenze dell’epoca e sul
suo sovrano, considerato divino».54 Il libro dell’Esodo presenta Jahvé e
il faraone che si fronteggiano dall’inizio alla fine del racconto. Secondo
Es. 4,22-23 Jahvé considera Israele come il suo «figlio primogenito», ed
esige dal faraone che spezzi le catene con cui lo tiene in schiavitù. In ca
so contrario minaccia di far morire il suo «figlio primogenito».
Questo scontro di poteri proprio all’inizio della vicenda dell’esodo
5 1 . Cfr. F. G arda Lopez, E l Dios del éxodo y la realidad social, in N. Silanes (ed.), E l Dios
cristiano y la realidad social (SET 2 1), Salamanca 19 8 7 , 1 1 - 3 3 .
52. R. Burns, Il libro dell’Esodo : Concilium 2 3 / 1 (19 8 7 ) 2 3 -3 7 (29 s.).
53. Cfr. G. Posener, Dictionnaire de la civilisation égyptienne, Paris 19 8 8 , 2 1 8 -2 2 2 ; F. Abitz,
Pharao als G oti in den Unteru/eltsbuchem des Neuen Reiches (OBO 14 6 ), Freiburg 19 9 5.
54. J.A . Soggin, Storia d’Israele, Brescia *2002, 1 1 5 .
12 2 . Il libro dell’Esodo
punta già all’ultima piaga, la morte dei primogeniti d’Egitto, e alla libe
razione d’Israele attraverso il prodigio del mare, occasione in cui Jahvé
dispiegherà tutta la sua forza annientando l’esercito del faraone. Prima
di arrivare all’epilogo Jahvé si farà conoscere gradualmente, dimostran
do la propria superiorità.
b) C h i è Ja h v é ? Conoscenza e sovranità di Jh w h
Una volta che gli ebrei conoscono il nome del loro Dio («Jahvé è il no
stro Dio», E s. 3,18), si rivolgono al faraone in suo nome. Ma questi ri
batte: «Chi è Jahvé?», assicurando di non conoscerlo (5,2). La risposta
a questa domanda arriva in Es. 6,2-8. Negli studi classici questo passo
viene considerato il racconto sacerdotale della vocazione di Mosè, ma
può essere spiegato anche come un «oracolo di risposta», del medesimo
genere delle «dispute» di Ezechiele. Questo tipo di oracoli solitamente
offre una risposta a un’obiezione o a una critica precedente.” ÀI farao
ne che chiede chi sia Jahvé e alla sua obiezione di non conoscerlo, Jahvé
risponde: «Io sono jh w h ». Questa formula non solo apre e chiude l’ora
colo (6,2.8), ma viene ripetuta anche al suo interno (v. 6). In 6,3 anzi si
aggiunge: «Io sono apparso ad Abramo, Isacco e Giacobbe come ’ el sad-
d a jy ma il mio nome non l’ho rivelato loro». La vera risposta che Dio dà
al faraone è il suo nome, jh w h , come affermazione del suo potere salvi
fico. Qui importa la rivelazione dell’identità e della natura di jh w h in re
lazione alla storia d’Israele, di cui E s. 6,2-8 offre un compendio.
In Es. 7,5 il nome jh w h è unito alla formula di riconoscimento, nella
quale trovano espressione le misure di potere che Jahvé sta per adottare:
«perché gli egiziani sappiano che io sono Jahvé, quando stenderò la mia
mano contro l’Egitto e farò uscire gli israeliti...». Quando afferma di non
conoscere Jahvé, il faraone aggiunge: «Non conosco Jahvé e non lascerò
uscire gli israeliti» (5,2). La risposta di Jahvé al faraone implica questo:
Io sono Jahvé ed essi sapranno che io sono Jahvé quando mi vedranno
agire, quando farò uscire Israele dall’Egitto. Di conseguenza, Jahvé è il
Dio che ha il potere di liberare/salvare Israele.
E s. 1,1-15 ,2 1 passa da una situazione di oppressione a una di libera
zione (intreccio di azione). Il racconto è di tono epico con una tensione
drammatica. Il Dio dell’esodo, il Dio salvatore, si scontra con tanti tipi
di resistenza, prima di tutto quella del faraone, il quale si comporta co
me un «anti-dio». L ’intreccio di azione si mescola a un intreccio di rive
lazione. In un primo momento il faraone afferma di non conoscere Jah
vé (5,2), mentre Mosè ignora come presentare agli israeliti il Dio che lo
5 5 . Cfr. J .L . Sk a, Quelques remarques sur Pg et la dentière rédaction du Pentatpuque, in A . de
Pury ~ T . R o m e i (edd.), Le Pentateuque en question, 9 5 - 1 2 5 .
Il libro dell’Esodo 12 3
tà. Uno dei temi fondamentali del libro delPEsodo consiste nel sapere
chi è il vero sovrano d’Israele e, di conseguenza, se Israele deve servire il
faraone oppure Jahvé. Le formule di riconoscimento hanno come loro
obiettivo ultimo di mostrare la sovranità di Jahvé. Poiché il faraone non
riconosce Jahvé e gli oppone resistenza, Jahvé è costretto a compiere pro
digi e a lottare per vincerlo. Ciò trasforma Jahvé in un guerriero, un re
potente. Appare così nel «miracolo» del mare {Es. 14) e così è esaltato
nel cantico di Mosè {Es. 15,3.17). Il cuore della tradizione dell’esodo pa
re esser sempre stato la distruzione dei persecutori (14,27; 15,2.21). «Il
ricordo di un’azione bellica compiuta da Jahvé... è il contenuto specifi
co, e comunque più antico, del ‘credo’ relativo all’esodo dall’Egitto».59
Ma quale genere di sovranità esercita dunque Jahvé? Le strade di Jah
vé sono in contrasto con quelle del faraone (cfr. Es. 3,7-10 con 5,5-18).
Nel libro dell’Esodo si avverte una dinamica che va dalla schiavitù for
zata al faraone al libero servizio a Jahvé.60 Con la presenza di Jahvé nei
santuario come re {Es. 15,17) e con la presenza della sua gloria nel ta
bernacolo {Es. 40,34-38), egli afferma la sua sovranità in mezzo al po
polo. Israele riconosce liberamente Jahvé come suo Dio e gli rende culto
come al proprio sovrano. Nel Vicino Oriente antico la divinità afferma
la propria sovranità al momento della consacrazione dei tempio. Proba
bilmente Es. 40,35-38 è in relazione con la consacrazione del tempio (cfr.
1 Re 8,10-13; 2 Cron. 5,11-6,2; Ez. 43,i-7).6r
II. L ’ U S C IT A D A L L ’ E G IT T O (1,1-15,2l)
63. Secondo B.S. Childs, Teologia biblica. Antico e Nuovo Testamento, Casale M onf. 199 8,
1 5 5 s., nella forma attuale del libro dell’Esodo l’arrivo d’Israele sul Sinai (Es. 19 ) fa da preludio
a tutta una serie di temi strettamente collegati tra loro: la teofania sul monte, il dono della leg
ge e la conclusione dell’alleanza. Queste tradizioni si unirono solo dopo un lungo periodo di cre
scita, la cui esatta natura non è facile da definire (cfr. sopra, 1,2 c).
12 6 II libro dell’Esodo
64. Cfr. J. Sievert-Hommes, Let thè Daughters Live! The Literary Arcbitecture o fE xo d u s 1-2
as a K eyfo r Interpretation (BIS 37), Leiden 19 9 8.
65. W. Beyerlin (ed.), Testi religiosi per lo studio dell’Antico Testamento , Brescia 1 9 9 2 ,1 4 2 .
ii8 II libro dell’Esodo
sec. a.C.) con intenti politici e ideologici. Le somiglianze con Es. 2,1-10
hanno indotto alcuni autori a chiamare Sargon «il Mosè arcadico».66
Pur narrata in prima persona per darle una parvenza di autenticità, la
leggenda di Sargon non nasconde il suo carattere fittizio. Leggende simi
li circondano figure come Ciro, Perseo, Romolo e Remo, solo per citar
ne alcune. In esse si sottolinea l’importanza di salvare il fanciullo non
tanto per motivi umanitari quanto per la missione che gli verrà affidata.
Sargon sarà un grande re, il fondatore dell’impero assiro, e Mosè sarà il
liberatore e fondatore del popolo d’Israele.
Il racconto della giovinezza di Mosè e della sua fuga in Madian (vv.
11-22) è unito al precedente mediante indicazioni temporali: «quando il
bambino fu cresciuto...» (v. io); «... cresciuto in età» (v. 11).
Della giovinezza di Mosè si riferiscono tre episodi tipici, che lasciano
intuire la tempra del futuro capo e liberatore d’Israele. Il primo (vv. 1 1
12) lo presenta come fratello degli ebrei, solidale con essi; anzi, come un
loro portabandiera contro l’oppressione egiziana. L’educazióne ricevuta
a corte (v. io) diede a Mosè la capacità di valorizzare la libertà e la di
gnità umane. I suoi fratelli vivevano come schiavi, erano vessati e calpe
stati dagli oppressori. Essere solidali con loro non significava rassegnar
si e accettare le loro condizioni di vita, quanto piuttosto l’esatto contra
rio. Questo primo intervento di Mosè non è frutto di un progetto preme
ditato, bensì di una reazione spontanea di fronte a un’azione ingiusta.
Mosè percepisce anche le divisioni tra gli ebrei e cerca di mediare, ma
viene rifiutato (vv. 13-153). Gli ebrei gli rinfacciano il suo comporta
mento con l’egiziano e non lo accettano come capo o giudice. Dell’azio
ne di Mosè non considerano che il lato negativo, senzaf apprezzarne
l’aspetto positivo di lotta contro l’oppressione e di tentativo di liberazio
ne. Mosè deve comprendere che non si può far uscire dalla schiavitù un
popolo che ha smarrito il gusto della libertà e del valore dell’unità. Inol
tre deve rendersi conto che la sua vita è in pericolo. La cosa migliore sem
bra dunque, per il momento, la fuga e il rifugio in un luogo più sicuro.
Vepisodio della fuga di Mosè dall'Egitto e l'inizio della sua permanen
za in Madian (vv. jjb-22) è una «scena tipica» che ricorda la fuga di Gia
cobbe (Gen. 29,1-14). Lo schema formale dei due racconti è pratica
mente identico (cfr. anche Gen. 24).67 L’intervento di Mosè in difesa delle
figlie del sacerdote di Madian contro alcuni pastori lo fa apparire una
volta di più come liberatore (v. 19).
Es. 2,23-25 è un testo di transizione: conclude la serie di episodi nar
rati in 1,1-2,22 e contemporaneamente apre i capp. 3-4. Se il riferimen
to alla morte di Giuseppe {Es. 1 ,6) segnava la fine di un periodo, l’accen-
66. Cfr. P.R. Ardinach, La leyenda acàdica de Sargón: Revista Biblica 50 (19 9 3) 1 0 3 - 1 1 4 .
67. Cfr. F. Garda Lopez, Genèse 2 9 ,1 -1 4 , 88-93.
Il libro dell'Esodo 129
I Il Ili
6, ii> 12 risultano un po’ arretrati, per cui i vv. 28-30 li ripetono una se
conda volta.
In Es. 7,1-7 si dà una risposta alla seconda e alla terza parte dell’obie
zione di Mosè: Jahvé assicura a Mosè che avrà autorità assoluta davanti
al faraone (v. 1) e gli comunica che Aronne sarà il suo profeta (v. 2). Es.
7,1-5 ha inoltre funzione d’introduzione. E uno di quei testi programma
tici che non solo rimanda a ciò che precede, ma anticipa anche quanto
seguirà. Vengono preannunciate le piaghe e le resistenze del faraone, ma
anche il loro superamento e la vittoria finale.
Il piano tracciato troverà realizzazione piena: «Mosè e Aronne fecero
esattamente come aveva comandato loro Jahvé» (7,6). Proprio come Noè
(cfr. Gen. 6,22, ove viene impiegata la medesima formula «comando-ese-
Il libro dell’Esodo 13 3
A partire da 7,8 si narra una serie di scontri tra Mosè e Aronne e il fa
raone. Si tratta dell’avvio del piano disegnato e annunciato da Jahvé, che
condurrà al suo scontro col faraone. In questo piano rientra la realizza
zione di «segni e prodigi» contro l’Egitto (cfr. 7,3; vedere anche 4,8-9.
17.30 e 4,21), comunemente conosciuti come «piaghe». Data la ricchez
za di significato dell’espressione «segni e prodigi», vi è chi propone di ini
ziare il racconto delle piaghe in 7,8-13, anche se in senso stretto queste
iniziano in 7,14.
Es. 7,8-13 riferisce la trasformazione in serpente del bastone di Aron
ne, che inghiotte i bastoni/serpenti dei maghi egiziani. Sullo sfondo di
questo episodio s’intravedono alcuni elementi della mitologia del Vicino
Oriente relativi alla lotta primordiale al momento della creazione del
mondo contro il mostro del caos. L’Egitto appare simboleggiato dal coc
codrillo, il mostro del Nilo (cfr. Ez. 2.9,3). L’episodio del bastone prodi
gioso predice velatamente quanto sta per accadere: Jahvé vincerà il mo
stro del Nilo e per Israele avrà inizio una nuova vita; sarà come una nuo
va creazione.
Il termine piaga (ebr. maggéfà) appare un’unica volta, in 9,14 (in 12,13,
in relazione alla decima piaga, si usa negef, della stessa radice, e in 1 1,1
il sinonimo nega1). Ciononostante l’uso si è generalizzato, estendendosi
a tutti i «segni e prodigi» (’ófó* ùmòfetim) narrati nei capp. 7-11.
’ór(óf) e mófet(im) ricorrono più volte nei capp. 7 -11. Es. 7,3.9 e 11,
9.10 fanno da cornice al racconto delle piaghe: in 7,3 e 11,9 i «segni e
prodigi» sono attribuiti a Jahvé, mentre in 7,9 e 11,10 gli stessi prodigi
(qui non s’impiega ’ófóf) sono attribuiti a Mosè e ad Aronne. Entrambi
non sono che strumenti di Dio al servizio del suo piano di salvezza. Il
vero autore dei segni e dei prodigi in realtà è Jahvé. Il racconto legato a
ciascuna piaga è preceduto da un discorso divino che predice e anticipa
la piaga. In 10,1-2 e 8,19 le piaghejsegni hanno la funzione di mostrare
che Jahvé è il motore degli eventi. I segni debbono servire a portare il fa-
72. F. Garcia Lopez, swh , ThW AT vi (1989), 9 36 -9 59 (944-947).
134 II libro dell’Esodo
raone, gli egiziani e gli israeliti al riconoscimento di Jahvé. Ciò non impe
disce che servano anche per accreditare Mosè davanti al faraone e agli
israeliti.
Delle piaghe di Es. 7,14-11,10 si conservano altre due versioni diffe
renti nei Sai. 78,43-51 e 105,27-36. I tre passi ricordano le medesime
piaghe (nel Sai. 78 manca la piaga dell’oscurità), ma l’ordine non è lo
stesso se si eccettua la piaga della morte dei primogeniti, l’ultima della se
rie in tutte e tre le versioni.
Alcuni esegeti ritengono che la morte dei primogeniti sia l’unica piaga
originale. Le restanti nove sarebbero una composizione letteraria finaliz
zata alla preparazione della decima piaga. La struttura generale e alcuni
elementi particolari del racconto appoggiano tale ipotesi.
A prescindere dall’identità del processo di formazione dei testi (tal
volta si attribuiscono sette piaghe a J e tre a P,73 altri invece parlano di
serie parallele di sette),74 pare innegabile l’esistenza di due tipi di mate
riali, disposti con maestria e qualità letteraria. Lo schema di p. 132 ne fis
sa alcuni tra gli elementi più significativi. Come mostra lo schema, le pri
me nove piaghe sono ordinate in tre serie di tre piaghe ciascuna. La deci
ma piaga non rientra in nessuna delle tre serie, e ciò non solo per le dif
ferenze formali, ma anche per differenze di contenuto che si vedranno in
seguito. Di conseguenza, la decima piaga va considerata a parte rispetto
alle prime nove.75
Nella prima piaga di ciascuna serie coincidono il comando iniziale di
Jahvé, la circostanza temporale e locale (quest’ultima assente nella pri
ma piaga della terza serie) e la richiesta di lasciar partire il popolo per
ché possa servire Jahvé. Anche nella seconda piaga di ogni serie coinci
dono il comando iniziale di Jahvé a Mosè di recarsi dal faraone e la ri
chiesta di lasciar partire il suo popolo, però sono assenti le circostanze
locali e temporali che caratterizzavano le piaghe precedenti (nell’ottava
piaga vi è una variante nella formulazione). Nella terza piaga di ciascuna
serie Jahvé ordina a Mosè (e ad Aronne) di compiere un gesto che pro
duce la piaga, tuttavia manca un ordine precedente rivolto al faraone.
D’altra parte, nelle due prime piaghe della prima serie si osserva che i
maghi d’Egitto compiono gli stessi prodigi di Mosè e Aronne. A loro vol
ta le prime due piaghe della seconda serie operano una distinzione tra
Egitto e israeliti. Nelle prime due piaghe della terza serie, inoltre, viene
posta in rilievo la particolare gravità della piaga.
La funzione di tutte le piaghe è di portare alla conoscenza di Jahvé,
della sua forza e del suo potere rispetto al faraone. Ciascuna delle tre
7 3 . Cfr. J. Van Seters, The Life o f Moses, 80.
74. Cfr. J. Blenkinsopp, Il Pentateuco, 18 0 s.
7 5 . Cfr. S. Bar-Efrat, Narrative Art in thè Libie (JSO T.S 70), Sheffield 1 9 8 9 ,1 0 5 - 1 0 7 .
Il libro dell’Esodo 135
zimi (12 ,1-2 8 ). La stessa cosa avviene con i primogeniti e gli azzimi (1 3,
1-16 ) . Graficamente ne risulta lo schema seguente;
pasqua: 12 ,1-14 primogeniti: 13,1-2
A. azzimi: 15-20 B. azzimi: 3-10
pasqua: 21-28 primogeniti: 11-16 .
Paradossalmente gli azzimi separano più che unire, in quanto tra gli az
zimi e la pasqua (A) non vi è altro collegamento oltre al riferimento di
12,8 (il pasto pasquale deve essere accompagnato da pani azzimi) e tra i
primogeniti e gii azzimi (B) manca ogni tipo di collegamento. Ciò che
unisce veramente queste istituzioni sono gli avvenimenti «storici» (testi
narrativi), che occupano un posto di rilievo tra i due blocchi precedenti
(12,29-51*),81 in quanto costellano i testi sulla pasqua, gli azzimi e i pri
mogeniti.
Nella versione finale, i testi legali risultano incorniciati da quelli nar
rativi come parte integrante della trama dell’esodo, tuttavia il loro ag
gancio a essi è piuttosto esterno. Gli studi storico-critici hanno spesso
sottolineato la separazione originaria delle tre istituzioni e il loro colle
gamento successivo agli avvenimenti storici dell’uscita dall’Egitto.8i
a) La pasqua (12,1-14.21-28.43-50)
A differenza della pasqua, la celebrazione degli azzimi era tipica delle cul
ture agrarie, dei popoli stabilitisi in un luogo. Nei calendari delle feste
di Es. 23,14-17 e 34,18-23 essa appare unita ad altre due feste agrarie:
quella della mietitura o delle settimane e quella del raccolto. La data per
la celebrazione di queste feste non dipendeva tanto dalle fasi della luna
quanto dal ritmo dei raccolti, variabile a seconda degli anni e dei luoghi.
La festa degli azzimi si celebrava in primavera, quando la falce comin
ciava a mietere le messi. Con questa celebrazione gli agricoltori inaugu
ravano il tempo sacro, che andava dall’inizio del raccolto - quando si ta
gliava e si raccoglieva il foraggio dell’orzo - sino alla sua conclusione.
Nei calendari ricordati la festa della pasqua non è menzionata. In ori
gine la pasqua e gli azzimi erano due feste distinte e separate. Nel testo at
tuale di Es. 12,1-20 la celebrazione degli azzimi si presenta come il pro
lungamento della pasqua: questa aveva luogo il giorno 14 (Es. 12,6) e gli
azzimi i giorni 15-2T (t 2, i 8). La fusione degli azzimi con la pasqua ri
sultò favorita da due circostanze: 1. le due celebrazioni si svolgevano in
primavera; 2. in entrambe si mangiava pane azzimo (12,8.15). M a il col
legamento tra le due celebrazioni è certamente esterno e secondario.
La medesima cosa avviene per l’associazione tra gli azzimi e l’uscita
dall’Egitto. A essa si allude in 12,17, e 13,3-10 vi insiste più volte. In 12,
33-34.39 gli azzimi vengono collegati alla fretta di uscire dall’Egitto.
Appare fuor di dubbio lo sforzo e l’interesse per mettere in relazione re
ciproca i due avvenimenti. In Es. 13,3-10 si insiste egualmente sull’idea
di «memoriale»: la celebrazione degli azzimi deve servire per ricordare
l’uscita dall’Egitto (13,3), come memoriale per le generazioni future (13,
8-10).
c) Iprimogeniti (13,1-2.11-16)
Il sacrificio dei primogeniti è un caso concreto della legge che prevede
l’offerta a Dio delle primizie del bestiame e dei campi (cfr. Es. 22,28-29).
La pratica di tali offerte come segno che Dio viene riconosciuto signore
della fecondità e della vita risale sicuramente a epoche antiche (cfr. Gen.
4 , 3 - 4 )-
La legge dei primogeniti in Es. 13 si presenta inizialmente in forma as
soluta: «Consacrami ogni primogenito israelita..., di uomini o di anima
ci. Brekelmans - L. Lust (edd.), Pentateuchal and Deuteronomistic Studies (BEThL 94), Leu
ven 1990, 1 9 1 - 1 9 6 ; S.S. Tuell, The Law o f thè Tempie in Ezekiel 40-48 (H SM 49), Atlanta
19 9 2 ; J. Van Seters, The Life o f Moses, 1 1 8 ; F. Garda Lopez, La festa de la pascna, in Aa.V v.,
La festa cristiana (TeD 7), Salamanca 1 9 9 2 , 1 0 1 - 1 1 5 .
14 0 II libro dell’Esodo
li» (v. 2). Poi però appare in forma attenuata: «Consacrerai a Jahvé tut
ti i primogeniti,... però riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i suoi
figli» (w. 12-13).
Nella catechesi di tipo eziologico che segue (13,14-15) viene fornito il
motivo tanto della legge generale quanto del riscatto in particolare. En
trambi gli aspetti hanno a che vedere con la vicenda dell’esodo. Il riscat
to dei primogeniti degli israeliti si ricollega direttamente alla morte dei
primogeniti degli egiziani. Questo tema, che era stato già preannunciato
in 4,22-23, diventa il cuore della decima piaga (cfr. 11,5; 12,12.29-30) e
dell’insegnamento da trasmettere ai figli in occasione della legge sui pri
mogeniti (13,14-15).
L’attuazione della legge sui primogeniti servirà come memoriale della
liberazione dall’Egitto (13,16): ogni primogenito degli animali che sarà
sacrificato a Jahvé richiamerà alla memoria degli israeliti gli eventi del
l’esodo; e la presenza del primogenito degli uomini, che è stato riscatta
to, servirà anch’essa come memoriale perenne del grande evento della li
berazione dalla schiavitù egiziana.
( 1 9 9 0 ) 2 2 ; J . W agen aar, Crossing thè Sea o f Redes (Exod 13 -14 ) and thè Jordan (Josh 3-4). A
Priestly Pramework for thè Wilderness Wanderìng, in M . V ervenne (ed.), Studìes in thè Book
o f Exodus, 4 6 1 - 4 7 0 . 89. C fr. J. V a n Seters, The Life o f Moses, 1 3 9 - 1 4 9 .
Il libro dell’Esodo J 43
90. Cfr. F. Garda Lopez, E l Dios judeo-cristiano ante las utopìas (Éxodo , reforma de Jostas y
exilio), in N . Siianes (ed.), Dios Trinidad. Entre utopia y esperanza (SET 36), Salamanca
2 0 0 1 ,1 5 - 3 6 (17 -2 3 ).
9 1 . Cfr, M .L. Brenner, The Song o f thè Sea: E x j j .1 - .2 r (BZAW 19 5), Berlin 1 9 9 1 , 1 7 5 - 1 7 7 .
4. L ’esodo, paradigma permanente
Sebbene Es. 1 - 1 5 parli costantemente del faraone, non ne rivela mai il no
me e s’ignora chi fu il faraone dell’esodo. N on si sa neppure molto bene
chi furono e com’erano coloro che uscirono dall’Egitto. I testi biblici a
volte li chiamano israeliti, altre ebrei. Quest’ ultimo termine ha contribui
to a metterli in relazione con gli bap/biru / ‘pr.w , gruppi di persone so
cialmente misere ed emarginate. In ogni caso gli israeliti/ebrei figurano
come schiavi e oppressi.
Se l’autore di Es. 1 - 1 5 non svela questi segreti, probabilmente è per
ché non attribuisce loro una grande importanza ai fini del messaggio che
vuole trasmettere. Di conseguenza il faraone, Egitto o Israele non deb
bono essere considerate esclusivamente entità politiche o nazionali. Con
ciò non si vuol certo negare lo sfondo storico dei racconti dell’esodo,
quanto piuttosto sottolineare che essi possono trascendere la loro dimen
sione storica concreta per tramutarsi in simboli. In tale prospettiva Israe
le simboleggia tutti gli oppressi, i perseguitati e gli indifesi che hanno bi
sogno dell’aiuto e della protezione di un potere più alto. Ciò spiega il cla
more per la giustizia, la libertà e l’intervento del Dio sovrano. Faraone
ed Egitto sono il simbolo del potere oppressore.
Es. 1 - 1 5 non è un racconto chiuso in sé. L ’esodo diventa perciò un pa
radigma di valore perenne, in grado di essere attualizzato e di esprimere
l’esperienza umana di oppressione e schiavitù nonché le istanze egual
mente umane di liberazione e indipendenza. Muteranno le circostanze
concrete, ma vi saranno sempre situazioni ed emergenze analoghe. Farao
ne non muore mai.
Tra le varie dimensioni dell’esodo e tra le differenti letture che ne so
no state fatte, vale la pena porre in risalto quella che lo Considera un pa
radigma di speranza. Questo tipo d’interpretazione nasce in tempi bibli
ci per giungere sino ai giorni nostri. Il Deutero-Isaia (Is. 4 0 -55), ad esem
pio, canta il ritorno d’Israele dall’esilio di Babilonia come se si trattasse
di un secondo esodo. Per l’Apocalisse l’esodo è il paradigma di una spe
ranza che ha trovato compimento in Gesù Cristo. Ed Ernst Bloch indivi
dua nel racconto biblico un «principio esodo» che definisce «principio
speranza». Il suo tentativo di trasformare la «storia» dell’esodo in un
principio metafisico metaforico è una delle tante testimonianze della ri
percussione e importanza del paradigma dell’esodo.92
1. Elementi e struttura
Con il mare alle spalle, gli israeliti affrontano ora un «deserto grande e
terribile», attraverso il quale vagheranno per quarantanni (cfr. Num . 14 ,
3 3 ; Deut. 2,7; 8 ,15 ). Il racconto della marcia attraverso il deserto si col
lega direttamente a quello dell’uscita dall’Egitto. A l momento della sua
vocazione Mosè ricevette l’incarico di presentarsi davanti al faraone per
dirgli: «Jahvé, il Dio degli ebrei, ci è apparso e ora dobbiamo fare un viag
gio di tre giorni nel deserto per offrire sacrifìci a Jahvé, nostro Dio» (E s.
3 ,18 ). Mosè trasmise il messaggio al faraone (5,3) e glielo ricordò più
volte mentre le piaghe tormentavano l’Egitto.
Immediatamente dopo il cantico del mare ( 1 5 ,1 - 2 1 ) si riferisce che gli
israeliti partirono dal mare di Suf verso il deserto di Sur, «camminando
per tre giorni nel deserto» ( 1 5 ,2 2 ; cfr. Num. 33,8). A questa informazio
ne di itinerario si ricollegano due importanti realtà geografiche dell’Eso
do: il mare, culmine della prima parte del libro, e il deserto, che gli israe
liti percorreranno sino al loro arrivo al monte Sinai, scenario dell’ultima
parte del libro.
I tre giorni di marcia attraverso il deserto inseriscono l’epopea dell’eso
do in una dimensione nuova. La richiesta divina di adorare Jahvé nel de
serto, a tre giorni di cammino, implica che l’uscita dall’Egitto non si ri
solva semplicemente con la distruzione in mare dell’armata egiziana, ma
che continui con la marcia attraverso il deserto.
Al centro di questo luogo inospitale s’innalza il monte santo, testimo
ne cosmico dei grandi eventi salvifici (Es. 19 -40 ; Levitico; Num. 1 ,1 - 1 0 ,
io ). Il racconto della marcia attraverso il deserto precede e segue la per
manenza sul monte Sinai (Es. 1 5 ,2 2 - 1 8 ,2 7 ; Num . 1 0 ,1 1 - 2 1 ,3 5 ) . I pro
blemi degli israeliti nel deserto sono in buona parte gli stessi prima e do
po il monte santo. Si possono suddividere in tre tipi: necessità di ordine
naturale (fame e sete), difficoltà in seno alla comunità stessa (questioni
di autorità e di potere), attacchi da parte di altri abitanti del deserto (ama-
leciti). Come regola generale le necessità di ordine naturale scatenano
tutta una serie di reazioni espresse nei testi (cfr. Es. 1 5 ,2 2 - 2 7 ; 1 6; 1 7 ,1 -
y ;N u m . 1 1 ,1 - 3 .4 - 3 4 ; 1 2 , 1 - 1 5 ; I 3 “I 4 ; 1 6 - 1 7 ; 2 0 ,1 - 1 3 ; 2 I >4 _9 )> seguendo
uno schema formale di base che si sviluppa in quattro punti:
1 . situazione di necessità
2. lamentele contro M osè
3. mediazione di M osè
4. intervento di Jahvé.
Nei testi della marcia anteriori al Sinai (Es. 1 5 - 1 7 * ) le lamentele riflet
tono necessità autentiche, e non vengono punite da Dio. Nei testi della
14 6 II libro dell’Esodo
3. Sconfitta di Amalek ( 1 7 ,8 - 1 6)
Ietro, suocero di Mosè, riveste un ruolo di spicco nelle due parti che com
pongono il cap. 18 (vv. 1 - 1 2 e 13 -2 7 ). Dopo aver appreso ciò che Jahvé
aveva fatto con Israele (v. 1), Ietro si reca da Mosè, accampato «presso
14 8 II libro dell’Esodo
il monte di Dio» (v. 5) e benedice Jahvé che ha liberato gli israeliti dal
potere degli egiziani. Lo scenario dell’incontro - che coincide con quello
della rivelazione del nome jhwh (E s. 3) - e l’atteggiamento di Ietro nei
confronti di Jahvé (w . 1 1 - 1 2 ) hanno indotto parecchi esegeti a ipotizza
re un’ origine madianita dello jahvismo.93
Nei vv. 1 3 - 2 7 Ietro appare interessato all’amministrazione della giu
stizia, un aspetto essenziale perché il gruppo dei liberati funzioni in mo
do efficace. Dietro il consiglio di Ietro di decentralizzare l’amministrazio
ne della giustizia s’intuisce la riorganizzazione del sistema giuridico israe
lita in epoca monarchica. Senza togliere importanza al consiglio di Ietro,
il testo presenta egualmente il nuovo sistema giuridico come espressione
della volontà di Dio.
Per quanto possano sembrare differenti, le due parti del cap. 18 deno
tano una coesione profonda. La liberazione d ’Israele dall’Egitto, luogo
di schiavitù, costituisce l’inizio di un nuovo ordine giusto. La giustizia
che deve essere amministrata tra i liberati non può che basarsi sulla vo
lontà di Dio. Il cap. 18 rimanda agli inizi dell’esodo e allo stesso tempo
si colloca nello scenario degli avvenimenti che seguono: sul monte san
to, dove Jahvé si manifesterà al popolo, gli comunicherà la sua legge e
stringerà una alleanza con lui.
1 . 1 monti sacri
Nella storia delle religioni le montagne hanno spesso avuto un ruolo fon
damentale.34 Nelle religioni antiche lo spazio viene valutato più per la
sua qualità che per la sua quantità o collocazione geografica. Il valore di
una località concreta è determinato da ciò che vi sperimenta Un indivi
duo o una comunità. Lo spazio in cui la divinità si manifesta acquista la
prerogativa di sacralità. Il centro del mondo, secondo il linguaggio mito
logico, è occupato da una montagna sacra la cui cima tocca il cielo e la
cui base affonda nelle profondità dell’abisso. E l’asse del mondo, luogo
in cui s’incontrano i tre spazi cosmici: cielo, terra e mondo sotterraneo.
La religione dell’Israele antico non è lontana da questa mentalità. N el
l’Antico Testamento sono menzionate parecchie montagne sacre in rela
zione alla religione israelita. Certe si trovano all’esterno di Canaan, altre
al suo interno. Tra tutte spiccano il monte Sinai/Horeb e il monte Sion.
Stando al libro dei Giubilei (8,19), il Sinai è il centro del deserto mentre
Sion è l’ombelico del mondo.
9 3. Cfr. F. Garcfa Lopez, Dios en la Bibita, i 6 i - i 6z.
94. Cfr. F.R. McCurley, Ancient Myths and Biblical Faith. Scriptural Transformations, Phil-
adelphia 1 9 8 3 , 1 2 5 - 1 8 2 .
Il libro dell’Esodo 14 9
a) L ’alleanza
plicazione delle prime, se gli schemi impiegati nei trattati orientali abbia
no funto da modello per esprimere le relazioni tra Dio e Israele.
Stando a uno studio programmatico di George E. Mendenhall, segui
to da un secondo studio più minuzioso e sistematico di Klaus Baltzer,103
i trattati ittiti sarebbero serviti da modello a non pochi testi biblici - tra
cui quelli della sezione del Sinai e quelli del Deuteronomio - per espri
mere i rapporti di Dio con Israele. Come regola generale questi trattati
seguono un «formulario» in sei punti:
1 . preambolo: vengono indicati nome e titoli del sovrano;
2. prologo storico: il sovrano ricorda al suo vassallo gli avvenimenti prece
denti il patto, in special modo i benefici prestati, allo scopo di giustificare le
condizioni del patto;
3. clausole generali di base - relative alla fedeltà che deve governare i rapporti
tra i partner - e disposizioni concrete;
4. documento del patto: conservazione e lettura in determinati periodi;
5. testimoni: gli dèi vengono chiamati a essere testimoni e garanti del patto;
6. benedizioni e maledizioni, a seconda che quanto concordato venga rispetta
to o meno.
10 3 . G.E. Mendenhall, Ancient Orientai and Bìblical Law\ BA 1 7 (19 54 ) 26-46. 49 -76 ; K.
Baltzer, Das Bttndesformular ( W M A N T 4), Neukirchen/Vluyn ‘ 19 6 0 P 19 64 ).
104. D.J. McCarthy, Treaty and Covenant. A Study in Form in thè Ancient Orientai Docu
menta and in thè O ld Testament (AnBibl 2 1}, Roma ‘ 19 6 3 P 19 78 ).
10 5 . L. Perlitt, Bundestheologie im Alten Testament (W M A N T 36), Neukirchen/Vluyn 19 6 9 ;
154 II libro dell’Esodo
Gii studi più recenti non puntano tanto sugli antichi trattati ittiti di
vassallaggio quanto sui formulari di alleanza neoassiri106 e, in armonia
con il dibattito sul Pentateuco, si occupano di preferenza dell’alleanza
nelle tradizioni deuteronomista e sacerdotale107 o nei testi canonici.108
In questa prospettiva, l’alleanza è una categoria fondamentale della teo
logia biblica.
E .W . N ich o lso n , God and bis People. Covenant and Tbeology in thè Old Testamenti O x fo rd
1 9 8 6 ; c£r. S .L . M cK enzie, Covenant, Se L o u is 2.000.
1 0 6 . C fr . H .U . Sceymans, Deuteronomium 28 und die adè zur Thronfolgeregelung Asarhad-
dons. Segen und Fluch ìm Alten Orient und im Israel (O B O 1 4 5 ) , Freiburg 1 9 9 5 ; E. O tto, Das
Deuteronomium. Politische Theologie und Rechtsreform in Juda und Assyrien (B Z A W 2 8 4 ) ,
Berlin 1 9 9 9 .
1 0 7 . C fr. B. R enaud, La théophanie du Sinai; W . G ross, Zukunft fiir Israel. Alttestamentliche
Bundeskonzepte und die aktuelle Debate um den Neuen Bund (SBS 1 7 6 ) , Stuttgart 1 9 9 8 .
1 0 8 . C fr. N . Lohfink - E . Z en ger, Der G oti Israels und die Volker. llntersuchungen zum Jesaja-
buch und zu den Psalmen {SB S 1 5 4 ) , Stuttgart 1 9 9 4 .
1 0 9 . C fr. M .S . Smith, The Pilgrimage Pattern in Exodus (JS O T .S 2 3 9 ) , Sheffield 1 9 9 7 , 2.83,
n o . L . Periitt, Bundestheologie, 1 8 1 .
Il libro dell’Esodo 155
lebrare un pasto. Per alcuni autori si tratta di una teofania che culmina
con la visione di D io 111 o con l’istituzione del culto, del quale non sono
sopravvissuti che pochi frammenti di pasto sacrificale.112 Senza perdere
il suo carattere cultuale, tale pasto può essere interpretato come ratifica
dell’alleanza (cfr. Gen. 3 1,4 4 -5 4 ). Se così fosse, i vv. 3-8 rappresente
rebbero una tradizione alternativa della conclusione dell’alleanza.
Secondo Es. 2 4 ,3 -8 Mosè comanda agli israeliti di offrire olocausti e
sacrificare giovenchi come vittime pacifiche a Jahvé. Si tratta di «sacrifi
ci di comunione», ossia di sacrifici volti a realizzare l’unione tra Dio e il
popolo. Questo viene posto in risalto nel rito del sangue (vv. 6.8), che è
sede della vita (cfr. Lev. 1 7 ,1 4 ; Deut. 12 ,2 3 ). L ’aspersione col sangue -
metà sull’altare, che rappresenta Dio, e metà sul popolo - significa che il
popolo e Dio partecipano dello stesso sangue e dunque della stessa vita.
Durante l’aspersione del popolo col sangue viene pronunciata la for
mula seguente: «Ecco il sangue dell’alleanza che Jahvé tagliò (kàrat) con
voi» (v. 8). L ’espressione krt brft (alla lettera «tagliare un’alleanza») pro
babilmente deriva dal rito di alleanza menzionato in Gen. 1 5 , 9 - 1 0 .1 7
18 e in Ger. 3 4 ,1 8 , nonché in un trattato di vassallaggio. Il rito consiste
va nel tagliare la vittima in due metà e nel disporle in maniera tale che i
due partner potessero passarvi in mezzo. Era un modo per simboleggia
re l’eventuale distruzione del partner qualora non avesse rispettato il pat
to. Nel trattato tra i re Barga’ ya di K T K e Matiel di Arpad dell’vin sec.
a.C. si legge:
Quest’idea sarebbe latente in Es. 24,3-8 , ove si uniscono il rito del san
gue e l’impegno di compiere quanto comandato da Jahvé (v. 7; cfr. 19 ,5).
I due brani - quello dei vv. 3-8 e quello dei vv. 1 - 2 .9 - 1 1 - ricorrono a
simboli che rimandano alla condivisione della vita: il cibo e la bevanda
(v. 1 1 ) necessari per vivere, e il sangue (w . 6.8), principio vitale. I due
riti intendono porre in risalto il significato dell’alleanza, i vincoli tra Jah
vé e Israele. Attraverso questi riti si fa capire che Dio e il popolo entra
no a far parte di una medesima famiglia, in quanto spartiscono la stessa
vita. L ’impegno di Israele rispetto alla parola di Dio (v. 7) rafforza, da
un’angolatura diversa, questo medesimo aspetto.
c) La legge
potente fece uscire il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto, è uno degli
elementi costitutivi della comunità dei redenti. Di conseguenza la legge,
oltre a essere dono di Dio, è una missione per il popolo. Essa è liberatri
ce, ma al tempo stesso anche vincolante.
La comunità israelita si riconosce in questa legge, che accetta come
norma di vita nella terra promessa. Per un israelita, vivere bene e in li
bertà significa possedere la terra e godere di essa. L ’adempimento della
legge salvaguarda la vita libera nella terra promessa. La sua trasgressio
ne compromette non solo la condizione di benessere e la libertà, ma an
che il possesso stesso della terra. Tra il dono e l’impegno si stabilisce
una tensione, e contemporaneamente un equilibrio. A ll’azione di Jahvé
che salva deve corrispondere l’azione dell’uomo che osserva la legge,
che è fedele alla volontà di Dio.
L ’etica nasce dal dono della liberazione, non viceversa. Di conseguen
za Israele deve custodire la legge non tanto per salvarsi, ma perché è sta
to salvato. L ’osservanza dei comandamenti costituisce la risposta ade
guata dell’uomo liberato.
it o . A . Alt, Die Urspriinge des israelitischen Recbts> in Id., Kleine Schriften 1, Miinchen 1 9 5 3 ,
2 7 8 -3 3 2 .
1 2 1 . Cfr. K. Elliger, Das Gesetz Leviticus 18 , in Id., Kleine Schriften zum Altert Testament (ThB
32), Miinchen 19 6 6 , 2 3 2 -2 5 9 .
Il libro dell’Esodo 16 1
1 2 3 . Cfr. F. Criisemann, Bewabrung der Freibeit. Das Thema des Dekalogs in sozialgeschìcbt-
licher Perspektive, Miinchen 19 8 3 ; F. Garcia Lopez, Los diez mandamientos, cauces de vida y
libertad : Resena Biblica 9 (1996) 33-40 .
Il libro dell’Esodo 16 5
12 4 . Cfr. H.J. Boecker, Law and thè Admìnìstratìon o f Justice in thè O ld Testament and An-
cient East, London 1 9 8 0 ,1 9 3 s.; F. Criisemann, Die Torà. Theologie und Sozialgeschtchte des
alttestamentlichen Gesetzes, Miinchen 1 9 9 2 ,1 9 . 1 3 2 - 1 3 3 .
i6 6 II libro dell’Esodo
Delle tre parti che compongono questa sezione, la prima e l’ultima (24,
1 2 - 3 1 , 1 8 e 35-40) ruotano attorno al santuario, mentre quella centrale
(32-34) riguarda il vitello d’ oro (32) e l’alleanza (34), temi tra i quali si
colloca quello della presenza di Dio in mezzo al suo popolo (33).
Es. 2 5 - 3 1 riporta le istruzioni che Jahvé impartisce a Mosè per la co
struzione del santuario. Il brano si conclude con un riferimento alle «ta
vole di pietra» che Dio consegna a Mosè sul Sinai ( 3 1,18 ) . Il santuario è
1 2 7 . Cfr. F. Criisemann, Das Bundesbucb. Historiscber Ort und institutioneller Hintergrund,
in J.A . Emerton (ed.), Congress Voi. Jerusalent 1986 (VTS 40), Leiden 19 8 8 , 2 7 -4 1 (28 -35. 41).
16 8 II libro dell’Esodo
Nei paragrafi che seguono s’inizierà con i capp. 32-34 per finire con i
passi relativi al santuario.
b) Il santuario ( 2 5 -3 1; 35-40)
L ’Esodo dedica quasi un terzo di tutto il libro al tema del santuario. I te
sti sono disposti in due parti parallele: istruzioni per la costruzione (2 5
3 1) e loro esecuzione (35-40). Jahvé rivela a Mosè parecchi dettagli ri
guardanti la costruzione:
1 . contributi del popolo per il santuario ( 2 5 ,1 -7 ) ;
2. progetti e arredi ( 2 5 ,8 - 2 7 ,2 1 ) ;
3. ornamenti e consacrazione dei sacerdoti ( 2 8 ,1 - 2 9 ,3 7 ) ;
4. sacrifici che verranno celebrati nel santuario (2 9 ,3 8 -4 6 );
5. tributo per il riscatto e altri dati integrativi (30);
6. operai del santuario ( 3 1 , 1 - 1 1 ) ;
7. riposo sabbatico ( 3 1 , 1 2 - 1 7 ) .
Bibliografia
1 . Commenti
2. Studi
I. IN T R O D U Z IO N E
Collocato al centro delia sezione del Sinai (Es. 19 - Num. io), il Leviti-
co è un libro con una propria identità letteraria. In esso la rivelazione di
vina si sposta dal monte {Es. 19,3) alla tenda del convegno {Lev. i,!).1
È opera della corrente sacerdotale, interessata alla costruzione del san
tuario {Es. 25-40*), all’inaugurazione del culto e alla regolamentazione
del comportamento d’Israele come assemblea cultuale (Levitico), non
ché all’organizzazione della comunità {Num. t - to *). Le leggi relative ai
sacrifici, ai sacerdoti, alla purità rituale, alle feste, ecc. riguardano il cul
to della comunità israelita nei santuario.
Negli studi recenti si è alquanto modificata la valutazione dei testi cul
tuali biblici. Alla fine del xrx secolo e durante la prima parte del xx la ri
cerca storico-critica esaltava il «monoteismo etico» dei profeti classici
come punto culminante della fede israelita, mostrando scarso apprezza
mento per il culto.1 Tale modo di pensare ebbe ripercussioni negative sul
lo studio del Levitico.
I lavori antropologici moderni hanno posto in risalto il valore dei riti
e dei sacrifici per la comprensione del funzionamento delle società pri
mitive. Inoltre, alcuni studi comparati hanno dimostrato che le leggi re
lative ai sacrifici non sono un’invenzione tarda dei giudei, ma possono
vantare numerosi precedenti nelle culture del Vicino Oriente antico. Ciò
spiega l’interesse suscitato negli ultimi decenni non solo da tali questio
ni ma anche dal Levitico in generale.
1. Tratti letterari
a) Leggi, racconti, parenesi e formule introduttive
Gli elementi principali letterari che compongono il Levitico Sono quat
tro: leggi, racconti, parenesi e formule introduttive.
1. Cfr. J.E. Hartley, Leviticus (W BC 4), Dallas 1992., 8; R.P. Knierim, The Composition o fth e
Pentateuch, in Id., The Task o f thè Old Testament Theology. Substance, Method and Cases,
Grand Rapids 19 9 5 , 3 5 1 - 3 7 9 (367).
2. Basterebbe rivedere le riflessioni di J. Wellhausen, Prolegomena to thè History o f Ancient Is
rael, Gloucester 19 7 3 (*1878), 5 2 -8 2 , sul sistema sacrificale del Sacerdotale per convincersene.
Il libro del Levitico 177
2. Prospettiva storico-sociale
Dietro i riti, le leggi e i racconti del Levitico si avverte il pulsare di una so
cietà complessa e, a volte, difficile da definire, così come complesso e dif
ficoltoso risulta spesso il libro stesso.
Il culto affonda le sue radici nella vita. I testi del Levitico riflettono dif
ferenti momenti storici e sociali della società israelita; non hanno tutti
la stessa origine, né hanno sperimentato tutti il medesimo processo di for
mazione. Jacob Milgrom allude ad alcuni sistemi sacrificali del Vicino
Oriente antico che potrebbero aver influito sul sistema sacrificale del Le
vitico. Le leggi rituali del Levitico si cristallizzarono in un’epoca relati-
7. Cfr. M . Noth, Levitico, Brescia 19 8 9 , io.
8. M . Douglas, Poetic Structure in Leviticus, in D.P. Wright e a. (edd.), Pomegranates and
Golden Bells. Fs. J. Milgrom, Winona Lake 19 9 5 , 239-2.56.
9. C.R . Smith, The Literary Structure o f Leviticus: JSO T 70 (1996) 1 7 -3 2 .
10 . Cfr. W . Warning, Literary Artistry in Leviticus (BIS 35), Leiden 19 9 9 . Secondo H .-W . Jiing-
ling, Das Buch Levitikus, 18 .20 , il Levitico consta di un insieme di discorsi divini che conferi
scono al libro un profilo caratteristico.
li libro del Levirico 17 9
3. Concezione teologica
II. L E G G E SU I S A C R IF IC I E S U L L E O F F E R T E (1-7)
1. Principi di base e strutturazione
Nel Levitico non si trova una definizione 0 una teoria relativa ai sacrifi
ci; si presuppone piuttosto una pratica, a volte di vari secoli, alla quale
occorre dare un ordinamento. Oltre a questa sezione dedicata a sacrifici
e offerte (capp. 1-7) vi è una serie di passi, disseminati lungo tutto il li
bro, che direttamente o indirettamente sono in relazione con i sacrifici.
Le spiegazioni relative alla funzione dei sacrifici sono da tempo nume
rose e molteplici. Mentre vi è chi sottolinea l’idea di donazione, altri pre
ferisce parlare di comunione o di sostituzione come concetti chiave.2,0 In
realtà non c’è un’interpretazione del tutto soddisfacente, forse perché
non è facile cogliere e definire l’essenza dei sacrifici. In linea generale il
sacrificio è un atto rituale compiuto per rendere grazie a Dio, riconosce
re i suoi doni, espiare i peccati, ristabilire la comunione con Dio e con
gli esseri umani. Senza dubbio le idee di espiazione, purificazione e san
tificazione fanno parte dell’essenza stessa dei sacrifici. Il loro obiettivo
ultimo consiste nel mantenere o restaurare l’ordine stabilito da Dio.
Tuttavia i riti non hanno potere magico. Anche quando vengono com
piuti nel rispetto di tutte le prescrizioni stabilite, non sortiscono auto
maticamente gli effetti desiderati. Per ottenere il perdono dei peccati e
la restaurazione dell’ordine divino sono richieste la confessione del pec
cato e la contrizione (cfr. Lev. 5,5-6). Il sangue dei sacrifici generalmen
te viene associato alla purificazione e santificazione. Eppure il sangue non
zo. Cfr. L.L. Grabbe, Leviticus (O TG), Sheffield 19 9 3 , 44-46. Riguardo ai sacrifìci dell’Antico
Testamento cfr. l’eccellente monografìa di I. Cardellini, I sacrifìci dell’antica alleanza. Tipolo
gie, Rituali, Celebrazioni, Cinisello Bals. zo o i.
Il libro del Levitico 18 3
Questa sezione è stata composta proprio come un trittico: tre tipi di of
ferte, con tre varianti ciascuna. Le offerte cucinate, inoltre (2,4-10), po
ste esattamente al centro del trittico, si suddividono in tre categorie, per
cui risulta lo schema seguente:
1. Olocausto 2. Offerta vegetale Sacrifici di comunione
bestiame grosso (3-9) crude ( 1-3 ) bestiame bovino (1-5 )
bestiame minuto cucinate (4-10 ): pecore ( 7 - 1 1 )
(10 -13 ) cotte nel forno
cotte sulla teglia
cotte nella pentola
uccelli ( 1 4 - 1 7 ) primizie ( 1 4 - 1 6 ) capre ( 1 2 - 1 7 )
Evidentemente non si tratta di una struttura casuale. La sezione è stata
costruita seguendo un piano prestabilito e con un obiettivo ben preciso.
Trattandosi di leggi rituali e di istruzioni (spesso si considera questa rac
colta una sorta di manuale) si può pensare che nell’impianto della sezio
ne abbiano avuto un certo peso motivi didattici, finalizzati alla memo
rizzazione.11 David Damrosch parla di «struttura lirica» con presenta-
2 1 . Cfr. A.F. Rainey, The Order o f Sacrifices in Old Testament Ritual Texts: Bib 5 1 (1970 )
4 8 5-4 9 8 (487).
18 4 II libro del Levitico
a) Olocausto (1,2-17)
L’olocausto inaugura la raccolta, forse perché è l’oblazione più comune
(nei giorni normali veniva compiuta due volte, nei giorni festivi con fre
quenza maggiore) e probabilmente la più antica (cfr. Gen. 8,20; Es. 20,
24), All’inizio, inoltre, forse era l’unico sacrificio pubblico.
È caratteristica dell’olocausto (‘olà) che la vittima sia consumata com
pletamente dal fuoco. A seconda delle vittime (bestiame grosso, minuto
o uccelli), gli olocausti si suddividono in tre gruppi, i quali dividono il
cap. 1 in tre parti facilmente identificabili grazie alle formule introdutti
ve (vv. 3.10.14) e a quelle conclusive (w. 9.13.17).
La funzione principale dell’olocausto era quella espiatoria (1,4; cfr. 9,
7; 14,20; 16,24). Ciò risulta chiaramente dalle formule conclusive: «obla
zione di soave odore che placa Jahvé» (vv. 9.13.17; cfr. Gen. 8,21).
ne) sono offerti in espiazione per il peccato. D’altra parte è possibile of
frire sacrifìci di purificazione senza che vi sia peccato (cfr. Lev. 1 2,6).
L’aspetto più caratteristico di tali sacrifici sono i riti di sangue. Il san
gue ha valore purificatore e protettore. Qui si tratta di purificare le im
purità prodotte dai peccati dovuti non tanto a cattiva coscienza o a cat
tiva volontà, quanto a trasgressioni «per inavvertenza» (4,2). Se il pec
cato macchia la terra, a maggior ragione macchierà il santuario. Nasce
così la necessità dei riti di purificazione attraverso il sangue. Il tipo di
impurità dipende dal genere di peccato commesso e dal rango delle per
sone che lo commettono. La legge contempla i seguenti casi:
1 . sacerdoti che hanno ricevuto l’unzione ( 4 ,3 - 1 2 ) ;
2. comunità israelita ( 4 ,1 3 - 2 1 ) ;
3. capi (4 ,2 2 -2 6 );
4. persone del popolo ( 4 ,2 7 - 3 1 .3 2 - 3 5 ) ;
5. casi speciali (5 ,1-6 );
6. poveri (5 ,7 -1 0 ) ;
7 . poverissimi ( 5 , 1 1 - 1 3 ) .
Tutti i casi si concludono con la formula: «il sacerdote farà per lui (per
loro) il rito espiatorio e sarà (saranno) perdonato(i)» (4,20.26.31.35;
5,6.10.13). Logicamente è escluso il primo caso, in quanto i sacerdoti non
possono certo pronunciare il perdono per se stessi. Il quarto caso preve
de due varianti, a seconda della vittima immolata, e pertanto la formula
viene ripetuta per due volte.
Mentre la prima formula compare nei capp. 1-5, la seconda appare qui
per la prima volta. Il termine torà può essere qui tradotto con «legge»,
«istruzione» o «rituale». Sostanzialmente le tórót sono leggi o istruzioni
riguardanti questioni legate al culto, che Jahvé trasmette ad Aronne e ai
suoi figli (i sacerdoti) perché essi le insegnino ai laici.
Delle otto unità, le prime sei corrispondono a differenti sacrifici e of
ferte: alle cinque già prese in esame a proposito dei capp. 1-5 si aggiun
ge il «sacrificio di consacrazione» {6,12-16). Il cambiamento nell’ordine
seguito costituisce una novità rispetto ai capp. 1-5. Nei capp. 6-7 l’or
dine seguito può riguardare la frequenza: l’olocausto, l’offerta vegetale
e l’offerta di consacrazione erano quotidiani, mentre il sacrificio di puri
ficazione veniva offerto solo in certe feste, quello di riparazione in occa
sione di determinati peccati, quello di comunione era opzionale.
L’offerta di consacrazione (6,12-16) non viene menzionata in Lev. 1
5, ma compare in Es. 29 e in Lev. 8-9. Si trattava di un’offerta vegetale,
del tipo di quella di Lev. 2. Alcuni esegeti pensano che Lev. 6,12-16 co
stituisca insieme a Lev. 2 un’unica unità sulle offerte vegetali; essi inter
pretano il riferimento al «giorno della consacrazione» (v. 13) come una
interpolazione erronea, dato che si trattava di un’offerta quotidiana e
non solo del «giorno della consacrazione». Non vi è dubbio, tuttavia, che
gli autori dei testi abbiano voluto distinguere l’offerta di consacrazione
dalle offerte vegetali; per questo motivo la fanno iniziare con una sua for
mula introduttiva e la citano nell’elenco conclusivo di 7,37-38. Con tale
menzione veniva gettato un ponte tra la sezione legale dei capp. 1-7 e la
sezione narrativa dei capp. 8-9 (v. anche Es. 29).
III. C O N S A C R A Z IO N E S A C E R D O T A L E . P R IM I S A C R IF IC I E O F F E R T E
(8-1 0 )
Più che una realtà storica, il racconto dei capp. 8-10 riflette un’inven
zione letteraria. L’investitura dei sacerdoti e i primi sacrifici compiuti
secondo le modalità stabilite non avvengono, come afferma il testo, al
l’epoca di Mosè e di Aronne. Essi sono piuttosto l’espressione del sacer
dozio e del culto caratteristici di un’epoca successiva, proiettati al tem-
18 8 II libro del Levitico
po della tappa cruciale del Sinai. Con tali testi s’intende dimostrare che
il sacerdozio e il culto aroniti risalgono al monte santo e godono dell’ap
poggio di Jahvé e di Mosè.
Sebbene il ruolo di protagonisti tocchi ad Aronne e ai suoi figli, i per
sonaggi principali sono Jahvé e Mosè: «Jahvé disse a Mosè: Prendi Aron
ne e i suoi figli». «Mosè eseguì l’ordine di Jahvé» (cfr. 8,1-4). L’ampiez
za di questa introduzione giunge sino a 10,7. In Lev. 10,8 Jahvé parla di
rettamente ad Aronne.
La struttura dei capp. 8-10 segue fondamentalmente lo schema «co
mando-esecuzione». In Lev. 8 si parla di un ordine impartito a Mosè da
Jahvé (vv. 1-3) e del suo compimento da parte del primo (vv. 4 ss.). In
Lev. 9 è Mosè a comandare ad Aronne e all’assemblea d’Israele che ob
bediscano al comando. Il cap. io contrasta con i precedenti, nel senso
che Nadab e Abiu fecero «quanto Jahvé non aveva loro comandato» (io,
1). Il fuoco, segno dell’approvazione divina {Lev. 9,2,4; cfr. Giud. 13,15
ss.; 1 Re 8,38 ss.; 2 Cron. 7,1 ss.), si tramuta in segno della disapprova
zione di Dio e di castigo {Lev. 10,2). La morte fulminea di Nadab e
Abiu, che nell’esercizio delle loro funzioni sacerdotali si discostano dal
le leggi stabilite da Jahvé e compiono quanto non era stato loro coman
dato di fare, pone in evidenza la santità richiesta ai ministri di Dio. Il
servizio cultuale a Jahvé esige che si rispetti tutto ciò che egli comanda
di fare. La manifestazione della gloria di Jahvé davanti a tutto il popolo,
come apice della prima celebrazione sacra dopo l’investitura (9,23), di
mostra egualmente che il sacrificio è risultato gradito al Signore.
Lev. 8-9 presenta i tratti caratteristici di un rito dì passaggio. Questo
tipo di riti segue un proprio schema in tre punti:
1. un rito di separazione: la consacrazione di Aronne e dei suoi figli im
plica un passaggio dalla condizione comune alla condizione di santità;
2. un rito di transizione o periodo intermedio tra la condizione che si
sta per lasciare e la condizione che si sta per raggiungere: gli aroniti ri
masero confinati per una settimana nella tenda del convegno;
3. un rito di adesione: i sacrifici compiuti da Aronne e i suoi figli l’ot
tavo giorno.24
L’episodio di Nadab e Abiu fornisce lo spunto per inculcare, con nuo
ve norme {Lev. 10,4 ss.), la santità sacerdotale. In 10,10-11 si definisce
la mansione fondamentale dei sacerdoti: distinguere «ciò che è santo da
ciò che è profano, ciò che è puro da ciò che è impuro» per insegnarlo agli
israeliti. Il profeta Ezechiele rimprovera ai sacerdoti del suo tempo di non
rispettare quest’obbligo (Ez. 22,26). Tale prescrizione anticipa e introdu
ce la sezione che segue.
Il cibo era un aspetto essenziale del sistema di purità. Certi animali po
tevano essere mangiati senza commettere impurità, altri no.
Lev. 1 1 comprende due parti, incorniciate da un’introduzione (w. 1-
2a) e una conclusione (w. 46-47): nella prima (w. 2b-23) gli animali
puri e impuri - commestibili o meno - trovano classificazione in tre ca
tegorie: terrestri (w. 2b-8), acquatici (w. 9-12) e volatili (uccelli: w . 1 3
19; insetti alati: vv. 20-23); nella seconda parte (w. 24-45) considera
no gli animali che contaminano. La prima parte è nota anche come leg
ge alimentare, e se ne conserva una versione assai simile in Deut. 14,3-21.
La classificazione degli animali in tre categorie a seconda dello spazio
in cui si muovono (terra, acqua, aria) evoca l’ordine stabilito da Dio nel
la creazione {Gen. 1). Emerge qui il desiderio di preservare l’ordine e le
distinzioni proprie della creazione. La concezione del mondo come crea
zione ordinata è fondamentale nell’antropologia sociale.15 Dietro questa
concezione degli scritti sacerdotali si nasconde una filosofia dell’univer
so presentata in forma arcaica. L’ordine cultuale e il sistema sociale so
no un riflesso dell’ordine cosmologico.
Malgrado la sua grande importanza, l’idea di ordine di per sé non spie
ga in maniera soddisfacente tutte le distinzioni di Lev. 11,2-23. È que
sto il motivo delle numerose discussioni degli esegeti a proposito di tale
questione. Edwin Firmage mette in discussione l’opinione di Mary Doug
las, per il quale l’impurità degli animali non commestibili è dovuta a cer
te anomalie. Le leggi alimentari differiscono dalle altre leggi del sistema
sacerdotale di purità {Lev. 12-15; Num. 19, ecc.). In esso purità e impu
rità hanno significato solo in relazione al santuario.26 Ricollegandosi a
questo autore, Walter Houston sostiene che la classificazione sistemati
ca di animali in puri e impuri si sviluppò nei santuari come misura per
25. Cfr. M . Douglas, Purezza e pericolo, saggio pionieristico in questo campo.
16 . E. Firmage, The Biblica l Dietary Lau>s and thè Concept o f Holiness, in J.A . Emerton (ed.),
Studies in thè Pentateuch (VTS 4 1), Leiden 19 9 0 , 17 7 -2 0 8 .
Il libro del Levitico 19 1
Le leggi relative alle persone pure e impure iniziano col parto (Lev. 12).
I capp. 13-14 affrontano il problema delle «malattie della pelle» da tre
27. W . Houston, Purity and Monotheism. Clean and Unclean Ammais in Biblical L a w (JSOT.S
140), Sheffield 19 9 3 .
19 2. Il libro del Levitico
Il termine sara'at designa varie malattie cutanee degli esseri umani non
ché diverse infezioni che colpiscono abiti e case. Tradizionalmente que
sto termine è stato tradotto con «lebbra», ma il fatto che sia applicato a
oggetti dimostra che non si tratta di ciò che oggi si intende con la paro
la lebbra. Le infezioni che colpiscono i vestiti e le case sono equiparate,
per estensione, alle malattie cutanee delle persone, e anche il rituale di
purificazione che a esse viene applicato è assai simile (si confronti 14 ,1
9 con 14,49-53).
Le prescrizioni dei capp. 13-14 sono dirette esclusivamente a Mosè e
ad Aronne (13,1; 14,1.33). La prima cosa che i sacerdoti devono fare è
identificare le infezioni in base ai sintomi; seguirà la dichiarazione d’im
purità e l’applicazione del rituale appropriato per la purificazione. Sor
prende constatare che il rituale dei due uccelli (14,1-9.49-53) è assai si
mile a quello dei capri maschi del giorno dell’espiazione (cfr. Lev. 16).
Sebbene i casi considerati nei capp. 13-14 siano assai diversi, condivi
dono tutti un elemento: tanto le malattie delle persone quanto le infezio
ni che colpiscono abiti e case ledono l’integrità e la perfezione, ossia la
santità.
3. Chiave teologica
La santità di Jahvé è la chiave di volta su cui poggia Lev. 17-26. Più
volte si ribadisce che è Jahvé colui che santifica e s’invita Israele a essere
santo perché Jahvé è santo (19,2; 20,7.8.24.26; 21,15.23; 22,9.16.32).
Il libro del Levitico 19 9
A volte la santità d’Israele è legata alla sua uscita dall’Egitto. Lev. 22,
32-33 proclama: «Io sono Jahvé; io vi santifico, io che vi ho fatti uscire
dall’Egitto per essere vostro Dio». Uscita dall’Egitto e santificazione
confluiscono qui come parte di un medesimo processo {in questa pro
spettiva, l’obiettivo primario della liberazione dall’Egitto consiste nel
portare Israele alla comunione con Dio).38
Al momento della liberazione Jahvé diventa il Dio d’Israele. A sua vol
ta Israele diviene il popolo di Dio, e deve esprimere questa sua apparte
nenza attraverso il rispetto dei comandamenti (22,32-33). Su questo prin
cipio fondamentale si basano tutte le esigenze etiche e cultuali. Se libe
rando Israele dall’Egitto Jahvé ha voluto farne il suo popolo, le prescri
zioni della legge di santità sono gli strumenti per raggiungere quest’obiet
tivo. L’invito a «essere santi, perché Jahvé è santo» riassume tutte le esi
genze.
Concludendo, le esortazioni parenetiche - tra le quali spicca l’invito
pressante alla santità - si intrecciano alle condizioni legali, dando una
certa coesione e un preciso rilievo teologico a tutto l’insieme.
Bibliografia
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Capitolo vi
I. IN T R O D U Z IO N E
2. Sfondo storico
Alcuni dati del libro dei Numeri risultano poco verosimili. Per esempio
appare assolutamente esagerato il numero degli israeliti registrati nei
censimenti dei capp. 1 e 26. Come potrebbe sopravvivere nel deserto e
per quarantanni una moltitudine così immensa? D’altra parte, la dispo
sizione dell’accampamento (capp. 2-10*) e la marcia degli israeliti attra
verso il deserto (capp. 10-21 *) hanno più l’aspetto e l’organizzazione di
una processione religiosa che non di una marcia militare.
Le tradizioni della conquista, che hanno sempre attirato l’attenzione
degli storiografi, incontrano anch’esse grosse difficoltà. Se si dà credito
ad alcuni giudizi recenti, il racconto dell’occupazione della Transgiorda-
nia di Num. 21,21-31; 32 - analogo a quello dell’occupazione di Canaan
di Gios. 1-24 - non rifletterebbe tanto le circostanze storiche della con
quista quanto piuttosto le idee che in epoca postesilica (al momento di
mettere i testi per iscritto) circolavano a proposito di tali avvenimenti.6
I dati del libro dei Numeri sulla conquista sono troppo frammentari
per trarne una conclusione sicura sul loro valore storico. Il libro dei Nu
meri è una composizione letteraria con evidenti interessi teologici, co
struita su uno sfondo scarsamente storico.
Num. 1,1-10 ,10 offre una visione particolare degli ultimi momenti del
popolo d’Israele nel deserto del Sinai. Grazie alla collocazione geografi
ca, come pure ad alcune circostanze cronologiche o storiche e a deter-
7. Cfr. O. Artus, Études sur le livre des Nombres. Récit, Histoire et L o i en N b 13 ,1-2 .0 ,13
(OBO 1 5 7 ) , Fribourg 19 9 7 .
204 ^ libro dei Numeri
Num . i comprende tre parti: i. elencodei capi delle tribù (w. 5-19 ) che,
obbedendo agli ordini dati da Dio a Mosè (w. 2-4), realizzeranno il cen
simento; 2. censimento di tutti gli israeliti laici {w. 20-46); 3. esclusione
dei leviti, a motivo delle loro funzioni speciali (w. 4 7-54 ). Il censimento
occupa la parte centrale: i w. 2 -19 servono come preparazione ei w. 4 7
53 anticipano in parte i capp. 3-4.8.
Jahvé ordina di registrare «tutti i maschi maggiori di vent’anni adatti
alla guerra» (v. 3). Questa formula, che si ripeterà più volte durante la
stesura del censimento di ciascuna tribù (cfr. 1,2 0 .2 2 .2 4 .2 6 , ecc.), di
venta la nota dominante del capitolo. Israele si preparava a una campa
gna militare, ed è normale che le truppe facessero il censimento prima e
dopo una guerra (cfr. N u m . 31,49; 1 Sam . 11,8 ) . L’esclusione dei leviti
dal censimento ècomprensibile, poiché essi dovevano occuparsi del san
tuario (w. 47-53) e non partecipavano ai combattimenti.
Ridotto in numeri e cifre, il risultato del censimento è il seguente:
1. Ruben 46 500
2. Simeone 5 9 3 00
3. Gad 45 650
4. Giuda 74 600
5. Issacar 54 4oo
6. Zàbulon 57400
7. Efraim 40 500
8. Manasse 32 zoo
9. Beniamino 35 400
io. Dan 62 700
11. Aser 4 1 500
12. Neftali 53 4 ° °
totale 603 550
b) D is p o s iz io n e d e ll3a c c a m p a m e n to {2)
Manasse Zàbulon
EFRAIM GIUDA
Beniamino Issacar
Per la prima volta negli scritti sacerdotali, la tribù di Levi appare divisa
in due parti: gli aroniti, che esercitavano funzioni sacerdotali (3,2-4 .10 ),
e i leviti, aiutanti dei primi (3,5-9) e vicari dei primogeniti ( 3 ,1 1 - 1 3 .4 0 -
5 1 ) / 3 I leviti sono scelti da Dio in sostituzione dei primogeniti che era
no stati riscattati dalla morte quando l’angelo sterminatore aveva ucciso13
1 3 . L a form ala w eyèlleh tóledót 'abàrón umòseh (N u m . 3 , 1 ) ricorda le form ule tóledót della G e
nesi, ma il contesto cam bia (non genealogico) mentre la form ulazione non ha la funzione strut
turante delle introduzioni della Genesi {cfr. D . C a r r, Biblos geneseos Revisited. A Syncbronic
Analysis o f Patterns in Genesis as Pari o f thè Torah [Part One]: Z A W n o ( 1 9 9 8 ) 1 5 9 - 1 7 2
[ 1 7 1 s.]).
Il lib ro dei N u m e ri 2.07
1. keatiti 2750
2. gersoniti 2 630
3. merariti 3 200
totale 8 580
16 . C fr. M . N o b ile , Les quatres Pàques dans le cadre de la rédaction finale de Gen - 2 Rois, in
C . BrekeLmans - J . L u st (edd.), Pentateuchal and Deuteronomistic Studies. Papers Read at thè
X lIItb. IO S O T Congress Leuven 19 8 9 (B E T h L 9 4 ), Leuven 1 9 9 0 , 1 9 1 - 1 9 6 .
2 10 II libro dei N u m e ri
b) Prime difficoltà ( 1 1 - 1 2 )
3. A Qadesh e dintorni ( 1 3 ,1 - 2 0 ,1 3 )
S’incontrano qui vari punti di vista differenti: quello di Jahvé, che ha de
ciso di affidare la terra di Canaan agli israeliti (13,2 ), quello del popolo,
che vorrebbe far ritorno in Egitto (14,4), e quello di Mosè, che se prima
supplica Jahvé di non distruggere Israele ( 1 4 ,1 3 ss.) poi si oppone alla
decisione del popolo di conquistare il paese (14 ,4 1-4 2 ). In gioco ci sono
il progetto di Dio e il futuro del popolo.
Nella scenografia della conquista della terra promessa si possono di
stinguere tre scene:
19. Cfr. P.J. Budd, Numbers (WBC 5), Waco 1984, 140-164 (155); A. Schart, Mose und
Israel in Konflikt. Eine redaktionsgeschichtliche Studie zu den Wiistenerzahlungen (OBO 98),
Freiburg 1990, 58-96.149-160.218-220; A.F. Campbell - M.A. O’Brien, Sources o f thè Penta
teuci}. Texts, Introductions, Annotations , Minneapolis 1993, 80-82.153-155; G.W. Coats,
Rebeliion in thè Wilderness. The Murmuring M otif in thè Wilderness Traditions o f thè O ld
Testament, Nashville 1968, 155 s. Per N. Rabe, Vom Geriicbt zum Gericht. Die Kundschafter-
erzàhlung Num 1 3 . 1 4 als Neuansatz in der Pentateuchforschung, Tiibingen 1994, 75 s., sola
mente il racconto sacerdotale è completo e coerente; gli altri strati sarebbero frammentari.
Il lib ro dei N u m e ri 2-M
c) D ir it ti e d o v e r i d e i sa c e rd o ti e d e i leviti (16-18)
I racconti dei capp. 1 6 - 1 7 e le leggi del cap. 18 ruotano attorno a un me
desimo tema di fondo: i diritti e i doveri dei sacerdoti e dei leviti. Le leg
gi integrano e chiariscono alcuni punti dei racconti.
Alla ribellione della comunità israelita in generale (capp. 1 1 - 1 4 ) fa
ora seguito quella dei leviti in particolare, che rivendicano le prerogati
ve sacerdotali. Jahvé interviene castigando i ribelli e confermando l’ele
zione per il sacerdozio di Aronne e dei suoi figli.
Dietro questo episodio si intuiscono rivalità e conflitti storici tra i vari
gruppi sacerdotali e levitici, come pure tra sacerdoti e laici influenti (cfr.
16,2).
e) M o r t e e a c q u a (2 0 ,1-13 )
Con la notizia della morte di Miriam (v. 1) e l’annuncio che non saran
no Mosè e Aronne a far entrare il popolo nella terra promessa (v. 12 ) -
la morte di Aronne (20,24-26) e quella di Mosè ( 2 7 ,1 2 -1 4 ) si prospet
tano già all’orizzonte - si comincia a intuire la fine della permanenza
nel deserto.
L ’episodio dell’acqua dalla roccia corrisponde in parte a quello di E s .
1 7 ,1 - 7 . Ciononostante, alcune differenze saltano all’occhio. Il dato più
sorprendente è costituito dalla mancanza di fede da parte di Mosè e
zo. D.T. Olson, The Death o fth e O ld, i j z ; Id., Num bers (Interpretation), Louisville 1996,97.
2 16 li lib ro dei N u m e ri
altro che una finzione letteraria. Sono molti gli esegeti che sostengono
che la maggior parte dei testi di questa sezione siano esilici o postesili
c i / 3 In Num . 2 2 -3 6 si trovano accostati passi assai diversi quanto a for
ma e contenuto. Oltre ai racconti e alle leggi, che fanno la parte del leo
ne, compaiono anche elenchi e cataloghi (capp. 26 e 33), testi poetici
(capp. 2 3 -2 4 *), ecc. Svariati indizi che verranno sottolineati nel corso
dell’esposizione invitano a distinguere tre sezioni:
x. Balaam e Baal-Peor (22-25);
2. disposizioni relative all’occupazione della regione (26-31);
3. prime occupazioni e ultime disposizioni (32-36).
Questo anticipa quasi ciò che avverrà in Canaan. Giunti in una regione
fertile, gli israeliti si lasciano sedurre dai culti della fertilità e dai ban
chetti sacri in onore dei Baal (vv. 1-3 ). L ’apostasia irrita Jahvé, il quale
castiga i colpevoli (vv. 4-5). A detta di molti, il racconto originale si fer
merebbe qui. I w . 6 -18 sarebbero un’aggiunta successiva, destinata a
esaltare l’intervento del sacerdote Pinehas, figlio di Eleazaro (vv. 7 - 1 1 ) .
Dietro questa versione si nascondono certamente certi attacchi contro la
linea sacerdotale dei discendenti di Pinehas (cfr. E s d . 8,2; 1 C ro n . 9,20;
Sa i. i o 6 , 2 8 -3 1) e il tentativo di questi ultimi di legittimare la loro posi
zione in seno alla gerarchia sacerdotale.
I riferimenti negativi ai madianiti nei vv. 1 6 -1 8 (31) non concordano
molto con quelli di 10 ,2 9 -3 6 , né con quelli di E s . 2 e 1 8 .16
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Capitolo v ii
1. Studi storico-critici
a) Critica letteraria
Gottfried Seitz identifica due serie di titoli nel Deuteronomio: una, più
antica, costituita da 4,45; 6 ,1 e 1 2 ,1 ; una seconda, più recente, formata
da 1 , 1 ; 4,44; 28,69 e 3 3 ax.17 Partendo da quest’osservazione distingue
tre stadi nella formazione del libro: 1. una raccolta di leggi, senza un ve
ro e proprio titolo (capp. 1 2 - 2 5 ’h); 2. una composizione più ampia (capp.
5-28*), in tre parti, che si aprono con i titoli della prima serie; 3. la com
posizione finale, strutturata dalla seconda serie di titoli, la quale aggiun
geva i capp. 1-4 ; 2 7 ; 28,58-68 e 29 -34. Questa composizione corrispon
de all’inserimento del Deuteronomio nella storia deuteronomista.18
2. Studi letterari:
Norbert Lohfink, Robert M. Polzin e Timothy A. Lenchak
a) Orìgine settentrionale:
Adam C. Welch, Gerhard von Rad ed Ernest W. Nicholson
6. Bilancio
II. IN T R O D U Z IO N E
1. Tratti letterari
a) Forme di base
Dal punto di vista formale, nel Deuteronomio ricorrono quattro tipi di
testi: narrativi, legali, parenetici e poetici. Predominano i testi legali, che
occupano la parte centrale del libro, comunemente conosciuta come co
dice deuteronomico (capp. 12 -2 6 " ; si può aggiungere anche il decalogo:
Deut. 5,6 -21). I testi narrativi si trovano principalmente nella prima e
nell’ultima parte del libro (capp. 1 -3 ; 2 9 -3 1 ; 34), ma anche in 5 ,1 - 5 .2 2
3 2 * ; 9 ,7 - 1 0 ,1 1 * ; 11,2 -9 , oltre ad altre pericopi più brevi che costellano
buona parte del libro. La parenesì è più frequente rispetto agli altri libri
del Pentateuco. Oltre alle sezioni parenetiche più elaborate (capp. 4; 6,
1-9 ,7 * ; 1 0 , 1 2 - 1 1 , 3 2 * ; 30 *), la parenesi compare qua e là ad affiancare
le leggi o intrecciata ai racconti. I testi poetici si trovano alla fine del li
bro (capp. 3 2 e 33), a conclusione della narrazione, analogamente a
quanto accade nel libro della Genesi.
Se ai quattro gruppi appena ricordati si aggiungono le benedizioni e
le maledizioni dei capp. 2 7 e 28, si arriva ad avere praticamente la tota
lità delle forme di base del Deuteronomio. Sarebbe opportuno distin
guere ancora le parti minori che compongono le varie sezioni: catechesi,
monologhi, brani innici, ecc., in quanto parti integranti della parenesi, o
le leggi apodittiche e casuistiche all’interno delle sezioni legali, ecc.
Tra i tratti caratteristici del Deuteronomio spicca il frequente pas
saggio dal singolare al plurale e viceversa: testi scritti alla seconda sin
golare, o «sezioni-tu», si alternano ad altri redatti alla seconda plurale,
o «sezioni-voi». Queste ricorrono prevalentemente in cornici narrative,
mentre le prime predominano nei testi parenetici e in quelli legali. M a a
volte l’alternanza tra singolare e plurale compare in un medesimo ver
setto o in versetti vicini, che fanno parte di una stessa sentenza (cfr. 6 ,1
3 .1 7 ; 7,4; 8 ,1.19 -2 0 , ecc.). Il fenomeno non è affatto nuovo; è presente
anche in alcuni testi extrabiblici e in altri testi dell’Antico Testamento,
sebbene con frequenza minore (a mo’ di esempio si veda Lev. 19).
Il discorso del Deuteronomio è ripetitivo, persuasivo e retorico; pa
Il lib ro del D e u te ro n o m io 235
b) Struttura e divisioni
3. Teologia
Dal punto di vista teologico il Deuteronomio è uno dei libri più densi e
ricchi dell*Antico Testamento. Vi si affronta una serie di temi importan
ti, tra i quali meritano una sottolineatura quelli relativi all’alleanza tra
Dio e il popolo, all’elezione, alla terra e alla legge. Ognuno di questi te
mi possiede una propria rilevanza, ma spesso si presentano legati tra lo
ro sino a formare un intreccio teologico.
L’idea di Dio appare in stretto rapporto con quella del popolo. Jahvé
è il Dio d’Israele e quest’ultimo è il popolo di Dio, relazione che costi
tuisce il motivo centrale deli*alleanza {26,17-19). Deut. 6,4 proclama
solennemente l’unicità di Jahvé, da cui deriva per Israele l’esigenza di
amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (6,5). In
linea di principio l’amore è inteso come un sentimento spontaneo, non
come un atteggiamento obbligatorio. Alla domanda: «Cosa ti chiede Jah
vé, tuo Dio?», 10,12-13 risponde: «Che tu tema Jahvé, tuo Dio, che se
gua le sue vie e che lo ami, che tu serva Jahvé, tuo Dio, con tutto il cuo
re e con tutta l’anima, che tu osservi i precetti di Jahvé, tuo Dio...». Amo
re, timore, obbedienza e rispetto sono sullo stesso piano, come atteggia-
40. Cfr. F. Criisemann, Die Torà. Theologie und Sozialgeschichte des alttestamentlichen Geset-
zes, Munchen 19 9 z, 16 4 .
4 1. Cfr. F. G arda Lopez, E l Dios Judeo-cristiano ante las utopias, 2 3-28 .
2 38 II libro del Deuteronomio
menti fondamentali dell’israelita nei confronti del suo Dio. Amare Dio
significa essergli fedele (7,9; 11,1; 30,20). Traspare qui la medesima con
cezione cui s’ispirano i trattati orientali d’alleanza, nei quali la fedeltà
del vassallo al sovrano si esprime anche in termini di amore, obbedienza
e servizio. Ciononostante, tale concezione non esaurisce tutto il significa
to e la portata del comandamento deuteronomico dell’amore. In Deut.
8,5 Jahvé appare come un padre, un maestro che corregge suo figlio Israe
le. Passa qui in primo piano l’aspetto sapienziale del Deuteronomio, pre
sente anche in 6,4-9. L ’amore che Jahvé richiede da Israele implica anche
pietà filiale e obbedienza reverenziale.41
Jahvé ha eletto Israele fra tutte le nazioni come popolo di sua proprie
tà (7,6). La teologia dell'elezione è uno dei tratti distintivi del Deutero
nomio. La novità fondamentale di questo libro consiste nell’estensione a
tutto Israele di una dottrina che, in testi più antichi (cfr. 1 Sam. 10 ,17
24; 2 1Sam. 6,21), veniva applicata solamente al re o al santuario. Nella
prospettiva di Deut. 7,7-8 l’elezione d’Israele non si basa sulla sua gran
dezza né sul suo potere, ma sull’amore gratuito di Dio e sulla sua fedel
tà al giuramento fatto ai padri. L’elezione non è frutto della conquista
umana, ma della pura grazia divina. La si può perdere, ma non meritare
né ottenere. Il «riscatto» dal potere del faraone, grazie al quale Israele
diventa «proprietà particolare di Jahvé», e la conseguente uscita dal
l’Egitto confermano l’elezione divina d’Israele. La sua consapevolezza ri
guardo all’elezione si basa, in gran parte, sull’esperienza storica della
sua liberazione dall’Egitto. Questo dato aiuta a comprendere il carattere
belligerante della teologia deuteronomica dell’elezione.
Il dono della terra affonda le sue radici nell’elezione. Tra tutti i doni
di Dio, la terra è il più prezioso per Israele. È uno dei temi dominanti
nel Deuteronomio. In 8,7-18 (cfr. 6,10-11; 26,1-10) confluiscono la de
scrizione e la riflessione teologica più importanti relative alla terra. Il pae
se di Canaan si contrappone all’Egitto e al deserto. Da una prospettiva
storico-geografica, l’Egitto è il punto di partenza, il luogo dell’uscita, il
deserto è il luogo di passaggio, mentre Canaan è il punto di arrivo. Dal
la prospettiva umano-sociale, Israele esce dalla «schiavitù» (v. 14) e pas
sa per un luogo «terribile» (v. 15) per entrare in una «terra buona» (w.
7.10). La bontà di Canaan si manifesta nelle sue ricchezze: grano, orzo,
vigneti, alberi di fico e di melograno, olive e miele (w. 7-10). Un elenco
simile a questo si trova nel racconto autobiografico di Sinuhe, funziona
rio egiziano che fuggì dall’Egitto quando salì al trono un nuovo faraone
e finì per rifugiarsi in un paese che descrive in questi termini:
42.. Cfr. F. G a ra a Lopez, El Deuteronomio « Una ley predicada (CuadBib 6 3), Estella 19 8 9 ,
22-23.
Il libro del Deuteronomio 239
Era una bella terra. Iaa era il suo nome. V i erano fichi e uva e il vino vi era più
abbondante dell’ acqua. M olto era il suo miele, copioso il suo olio. Ogni specie di
frutta cresceva sui suoi alberi. V i erano orzo e spelta lì ed ogni tipo di bestiame,
senza numero.43
III. « Q U E S T E SO N O L E P A R O L E » . P R IM O D IS C O R S O D I M O S E
(1,1-4,43)
Il discorso comprende due sezioni (1,6-3,29 e 4,1-40), differenti quanto
a forma e contenuto, che sono precedute da una breve introduzione ge
nerale (1,1-5) e seguite da una piccola unità relativa alle città di rifugio
(4 , 4 i - 43 )-
Il narratore presenta Mosè come oratore che proclama la sua parola (v.
1) e come scriba che spiega la torà (v. 5). L’espressione «oltre il Giorda
no» denota la differente collocazione del narratore (che si trova già in
Canaan) rispetto a l l a posizione di Mosè (fermo in Trailsgiordania).
Per la precisione dei dettagli, insolita nel Deuteronomio, l’indicazione
temporale del v. 3 lascia trasparire la parentela con gli scritti sacerdotali
(cfr. Gen. 7 ,11; Es. 19,1; 40,17; Num. 1,1).
45. Cfr. G. von Rad, Der heilige Krieg ìrn alteri Israel (A Th A N T 20), Ziirich 1 9 5 1 ; F. Stolz,
Jahwes tmd Israels Kriege. Kriegstheorien und Kriegserfahrungen im Glaubert des alteri Israels
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II libro del Deuteronomio 241
usata nell’Antico Testamento per passare dal racconto alla parenesi, dal
passato al presente, dal ricordo all’azione. L’impegno richiesto ora a
Israele (cap. 4) affonda le sue radici nella storia (capp. 1-3).
Questa sezione è delimitata dalle formule relative all’osservanza della
legge e al possesso e allo sfruttamento della terra (4,1.40). La conquista
della terra promessa è condizionata all’osservanza della legge. Alla base
vi è la stessa teologia di Deut. 1-3.
A questi riferimenti generali alla legge, in 4,9 ss. se ne aggiungono al
tri più concreti attinenti al decalogo, in particolare la proibizione relati
va alle immagini (4,15 ss.). Data l’importanza della legge, è fondamen
tale che Israele non ignori gli avvenimenti del Horeb: «voi udivate paro
le, ma non vedevate alcuna figura» (4,12). Ciò che contraddistingue la
religione israelita è la parola, non l’immagine. Su questo punto Deut. 4
si avvicina alquanto alla teologia del Sacerdotale e del Deutero-Isaia. I
comandamenti del Horeb, a loro volta, evocano il motivo dell’alleanza
tra Jahvé e il popolo (4,12.23). L ’insistenza sul Horeb anticipa e insie
me commenta il tema centrale del cap. 5.
Lo sguardo retrospettivo sulla permanenza d’Israele nel deserto (pri
ma sezione) e lo sguardo in prospettiva sulla terra promessa (seconda se
zione) rendono questo primo discorso di Mosè un testo particolarmente
adatto a una riflessione durante l’esilio e il postesilio. Si ha l’impressio
ne che il Deuteronomista voglia trarre dal passato gli insegnamenti per il
luminare il presente dei deportati.
La generazione che muore nel deserto, punita da Dio a motivo dei suoi
peccati, e Mosè, che supplica di poter entrare nella terra promessa (capp.
1-3), sono esempi eloquenti per i deportati. Nella teologia del Deutero
nomista viene enfatizzata l’idea che la disobbedienza d’Israele sia la cau
sa principale della situazione in cui vive il popolo in esilio. La fede in Jah
vé come unico Dio e la lotta contro gli idoli (cap. 4) rappresentano il
programma ideale per la comunità che fa ritorno alla terra.
IV . « Q U E S T A È L A T O R À » .
S E C O N D O D IS C O R S O D I M O S È (4,44-28,68)
i . Elementi e suddivisioni
Il secondo discorso di Mosè occupa il cuore del libro. Si compone di una
introduzione generale (4,44-48) e di tre sezioni: 5,1-11,32; 12,1-26,16;
26,17-28,68. In realtà tutto il discorso gravita attorno al codice legale,
che costituisce il nucleo del Deuteronomio.
Le prime due sezioni sono delimitate dai termini huqqim umispàtim
(«leggi e decreti»). Questa coppia non ricorre più nel Deuteronomio in
tale successione, fatto che ne accentua il valore strutturante.
5 ,i «Ascolta, Israele, le leggi e i decreti».
11 ,3 2 «Rispettate tutte le leggi e i decreti».
12 .1 «Queste sono le leggi e i decreti».
2.6,16 «O ggi il Signore tuo Dio ti ordina di mettere in pratica queste leggi e
decreti».
La terza sezione, nella sua forma attuale, non rivela alcun elemento
strutturante evidente, forse a causa delle successive elaborazioni del te
sto. È probabile che nel Deuteronomio primitivo il codice legale si con
cludesse con un elenco di benedizioni e di maledizioni, nello stile del co
dice di Hammurabi. In tal caso, la terza sezione avrebbe potuto essere
strutturata da una doppia inclusione, in forma analoga alle prime due:
2 8 .1 «tutti i suoi precetti» (kol-miswótàw )
2 8 ,1 3 «i precetti di Jahvé» (miswót jhtvh)
2 8 ,1 5 «tutti i suoi precetti e i suoi comandi (kol-miswótàw w ehuqqòtàw)
2 8 ,4 5 suoi precetti e i suoi comandi» (miswòtàw w ehuqqòtàw)
da Dio e si rivolge a tutti gli israeliti, ovunque essi siano (5,1.6). Le altre
leggi sono destinate agli israeliti che vivono nella terra promessa (6,1;
12,1) e sono promulgate attraverso Mosè. Il decalogo cerca di abbrac
ciare gli ambiti più importanti della vita del popolo di Dio. In esso sono
cristallizzate tutte le leggi d’Israele. Dietro a ogni comandamento si na
scondono valori essenziali: l’amore per Dio, il diritto alla vita e a lla pro
prietà, ecc.
Il decalogo ricevette la sua formulazione definitiva in seno a una co
munità di persone libere e credenti che avevano sperimentato la salvez
za di Dio. L’esodo - l’atto salvifico per eccellenza - fonda e illumina i
comandamenti (5,6). La ragione principale per cui Israele è tenuto a os
servare i comandamenti è perché Jahvé l’ha liberato dalla schiavitù. Per
un israelita, stipulare un’alleanza con Dio significa aver parte alla sua
stessa vita. L’obiettivo primario dei comandamenti consiste nel tutelare
la vita e nel conservare la libertà. I comandamenti sono fonte di vita e
di libertà.50
Nel contesto dell’alleanza e del decalogo, Mosè acquista un ruolo sin
golare di protagonista, in quanto agisce come mediatore tra Jahvé e Israe
le (5,5.22-31). Oltre a legittimare la mediazione di Mosè, in questa peri-
cope si forniscono le basi per la sua autorità e per quella della legge deu-
teronomica.
5 1 . Cfr. W .L. Moran, The Ancient Near Eastern Background o f thè Love o fG o d in Deutero-
nomy: C BQ 25 (19 6 3) 7 7 -8 7 ; E. Otto, Das Deuteronontium. Foiitische Theologie, 3 6 3 ; F.
Garda Lopez, «El unico pueblo sabio e inteligente». Dios, ley y pueblo en la estrategia religio
sa del Deuteronomio (Dt 4,5-8; 6,4-9; 30,1^-20^: Ricerche Storico Bìbliche 15 (2003) 9-24.
52. Riguardo a Deut. 6,20 -25 cfr> sopra, cap. iv, rv,2C.
Il libro del Deuteronomio 247
Prima di compiere il passo decisivo, quello che farà entrare Israele nella
terra promessa, il narratore torna indietro per ricordare le infedeltà di
Israele nel deserto. Si narra quanto è accaduto sul Horeb, allorché Israe
le si fabbricò un vitello in metallo fuso prostrandosi davanti a esso. Si
trattò di un grave peccato di apostasia (cfr. 5,8) che causò la rottura del
l’alleanza - simboleggiata dalla rottura delle tavole della legge - e pro
vocò l’ira di Jahvé (9,7-17).
Mosè intercedette davanti a Jahvé in favore di Aronne, il principale
responsabile, e di tutto il popolo (9,18-29). Jahvé, allora, comandò a Mo
sè di tagliare due tavole di pietra per riscrivere le «dieci parole», e di fab
bricare un’arca di legno ove custodirle (10,1-5). ln questa maniera Jah-
53. Cfr. F. Garcìa Lopez, «Un peuple consacri». Analyse critique de Deutéraname VII: V T 32.
(19 82) 4 3 8 -4 6 3 ; Id., Election-vocation d ’Israel et de Jérémie: Deutéronome vii et Jérémte i:
V T 3 5 (19 8 5) 1-12..
54. Cfr. F. Garcìa Lopez, Yabvé, fuente ultima de vida: Anàlisis de Dt 8: Bib 62. (19 8 1) 2 1-5 4 .
248 II libro del Deuteronomio
Dall’unità di culto (cap. 12) si passa alla fedeltà a Jahvé (cap. 13). In
13,2-6.7-12.13-19 vengono esposti tre casi legali con un elemento in co
mune: l’invito all’apostasia. In tutti e tre compare una formula di sedu
zione pressoché identica: «andiamo, serviamo altri dèi» (w. 3.7.14). Cia
scun caso si riferisce a una situazione diversa, ma messi insieme posso
no ben rappresentare tutte le evenienze della vita. Chiunque sia l’apo
stata, è giudicato reo di morte. La fedeltà esclusiva a Jahvé deve risplen
dere al di sopra di tutte le circostanze e di tutte le situazioni. Si percepi
sce qui l’eco dei giuramenti di fedeltà ad Assaraddon (cfr. sopra, 1,4).
Anziché al re assiro, è a Jahvé che si deve ora prestare servizio.
Israele, popolo santo, deve restare aperto a Dio e chiuso a ciò che è
profano. In 14,3-20 si fa un elenco degli animali puri e impuri (cfr. Lev.
11-15), inserito tra due affermazioni relative alla santità di Israele (vv.
2.21). La santità comporta la separazione da ciò che è profano. La clas
sificazione degli animali in puri e impuri si è sviluppata nei santuari co
me misura finalizzata ad assicurare la purità dei credenti. Coloro che
mangiano animali impuri incorrono nell’impurità legale e non possono
entrare nel tempio né prendere parte ai culti finché non si siano purifica
ti.61 Le leggi del cap. 14,1-21 vanno a integrare quelle dei capp. 12-13 re
lative al santuario unico e alla fedeltà a Jahvé.
Le feste dell’Israele antico sono profondamente radicate nella vita del po
polo. Non è il culto a sostenere la vita, ma viceversa è la vita a sostenere
il culto. Lo stile di vita condiziona in buona misura il tipo di culto.
Deut. 16 ,1-17 presenta un calendario delle feste formalmente para
gonabile ai calendari di Es. 23,14-17; 34,18-23 e Lev. 23. In esso com
paiono due tipi diversi di feste: la pasqua, festa di origine nomade pa
storale, e le feste degli azzimi, delle settimane e delle capanne, dì stam
po prettamente agricolo.
NelPordinamento festivo del Deuteronomio, la pasqua si intreccia e si
fonde con la festa degli azzimi (16,1-8). L’inserimento della pasqua in
questo calendario (viene omessa in 16,16 e nei rispettivi calendari del
l’Esodo) è dovuto a un processo di assimilazione e adattamento reso più
facile anche dal fatto che la festa degli azzimi si celebrava nel mese di
Abib (Es. 23,15; 34,18) o mese delle spighe (= marzo/aprile), che se
condo l’antica tradizione coincideva con l’uscita dall’Egitto e il rito pa
squale a essa legato.
L’importanza del rito pasquale nella celebrazione degli azzimi e la con
seguente subordinazione degli azzimi alla pasqua mostrano il peso cre
scente che la festa di pasqua andò assumendo per il popolo d’Israele. Da
rito familiare (Es. 12) diventò gradualmente festa nazionale, celebrata
nel santuario centrale. Nel contesto della riforma di Giosia o riforma
deuteronomica, si afferma che il re diede ordine a tutto il popolo di ce
lebrare la pasqua in onore di Jahvé, come sta scritto nel libro dell’alle
anza. 2 Re 23,22-23 aggiunge che non si era mai celebrata una pasqua
solenne come quella sin dai tempi dei giudici. Per capire l’importanza
della pasqua e il suo intrecciarsi alla festa degli azzimi non c’è nulla di me
glio che mostrare la struttura di 16,1-7 (v. pagina seguente).
II punto centrale della struttura (D) è costituito dai due riferimenti al
l’uscita dall’Egitto e dalla «storicizzazione» degli azzimi. L’uscita dal
l’Egitto trova un’eco importante anche nelle cornici esterne, quelle che
aprono e chiudono il motivo della pasqua (A/A'). Della pasqua si parla
anche in B/B', ove vengono precisate le circostanze locali (in A/A' sono
Il libro del Deuteronomio 253
6 8 . C fr. L . Perlitt, «Etti einzig Volk von Briidern». Zur deuteronomischen Herkunft der bibli-
scben Bezeichnung «Bruder », in D . Luhrm ann - G . Strecker (edd.), Kirche . Es. G« Bornkamm ,
Tiibingen 1 9 8 0 , 2 .7 - 5 2 ; N . Loh fink , Das deuteronomische Gesetz in der Endgestalt-Entusurf
einer Gesellscbaft ohne marginale Gruppen : B N 5 1 ( 1 9 9 0 ) 2 5 -4 0 ; F . G a rd a Lopez, E l Dios
judeo-cristiano ante las utopias , 2 3 - 2 8 .
g) Offerta delle primizie e delle decime (26,1-15)
L’ultima sezione del codice si occupa dei due riti liturgici relativi alle pri
mizie dei frutti della terra (w. 1-11) e alle decime dei raccolti (w. 12-15).
Per il loro carattere religioso-sociale, queste pericopi ricordano in modo
particolare Deut. 14,22-15,23.
L’offerta delle primizie del suolo rivela la riconoscenza dell’israelita
nei confronti di Jahvé per i doni che ha ricevuto da lui. I popoli cananei
credevano che gli dèi fossero i veri proprietari della terra. Perché gli
uomini potessero sfruttarla e ricavarne frutto, era necessario che offris
sero sacrifici e che portassero offerte a questi dèi. Al momento del rac
colto, dunque, celebravano una festa in onore di Baal, signore della ter
ra, dal quale dipendevano la pioggia e la fecondità del suolo. Il Deute
ronomio condivide questa stessa credenza. Israele, che non era origina
rio del paese in cui abitava, sapeva benissimo di essere giunto al posses
so della terra dopo aver superato una serie di difficoltà, nelle quali ave
va scoperto la mano potente di Jahvé. È questo intervento che Deut.
26,1-11 ricorda e celebra.
Deut. 26,5^9 racchiude il cosiddetto «piccolo credo storico»: breve
compendio della fede d’Israele, espresso in una serie di formule storico
salvifiche (cfr. Deut. 6,20-25; Gios. 24,2-13; Sai. 136 e Ger. 32,16-25),69
nelle quali è posto in evidenza il contrasto tra la situazione degli israeliti
in Egitto e quella nella terra di Canaan. L’Egitto era un luogo di schiavi
tù, Canaan di libertà. Israele confessa che deve esclusivamente a Jahvé il
passaggio dall’oppressione in terra straniera al dominio in terra propria.
L’uscita dall’Egitto superò ogni previsione umana. Si trattò di un au
tentico prodigio di Jahvé (v. 8), un evento nel quale Israele sperimentò
la liberazione da parte del suo Dio. Quest’esperienza avrebbe inciso nel
le relazioni umane e sociali, specialmente nell’atteggiamento di Israele
verso i bisognosi e gli indifesi. Per questo gli israeliti sono invitati a di
stribuire la decima dei raccolti al forestiero, all’orfano e alla vedova, os
sia alle classi sociali più povere, ma anche al levita, che non ha parte al
l’eredità della terra (26,11.12-15). L’ideale è che i frutti del suolo basti
no per tutti, che tutti possano godere dei doni della terra.
Presentando le primizie davanti all’altare e distribuendo le decime tra
i bisognosi, Israele proclama e vive la sua fede.70 Una fede fondata sugli
interventi di Dio nella storia, che si esprime nelle pratiche religioso-cul
tuali, strettamente associate alle pratiche umanitario-sociali.
69. Cfr. G. von Rad, D a s fo r m g e s c h ic h t lic h e P r o b le m ,11-16; S. Kreuzer, D ie F riih g e s c h ic h te
Is ra e ls in B e k e n n t n is u n d V e r k ù n d ig u n g d e s A lte ri T e s ta m e n ts (BZAW 178), Berlin 1989.
70. Cfr. F. Garda Lopez, I s r a e l p r o c la m a y v iv e su f e (D t 6 ; 1 6 , 2 6): Resena Biblica 9 (1996)
4955 -
5. C onclusione d e l secondo discorso (26,17-28,68)
Delle tre parti che compongono questo passo, la prima (w. 1-14) e la
seconda (w. 15-46) sono inquadrate da alcune formule generali sui co
mandamenti (cfr. sopra, i v , i ): le benedizioni e le maledizioni si presen
tano come promesse o minacce condizionate al rispetto o meno dei co
mandamenti. La terza (w. 47-68) espone le conseguenze dell’infedeltà a
Dio: «poiché non avrai servito Jahvé, tuo Dio, [...] servirai il nemico»
(w. 47-48). I w . 49 ss. presuppongono l’esilio.
In 28,1-46 si possono distinguere varie serie di benedizioni e maledi
zioni. I w . 3-6/16-19 formano una serie ritmica e uniforme, con due par
ti simmetriche. Le espressioni contrapposte «entrare-uscire», «città-cam
pagna» e le espressioni globali come «cesta e madia» o «fecondità del
l’uomo, del bestiame e della campagna» fanno capire che tutta la vita e
ogni attività sono poste sotto il segno della benedizione o della maledi
zione.
Deut. 28,20-26 segue mio schema tripartito - fame, malattia e scon
fìtta in guerra - comune ad altri passi dell’Antico Testamento (cfr. Es.
23,20-33; Lev. 26,23-26; Deut. 7,13-24; 32,23-25; 2 Sam. 24,13-15;
Ger. 14,12; 21,9; Ez. 7,15; Am. 4,6-11, ecc.). Deut. 28,20-44 ha il suo
parallelo migliore nei «trattati di vassallaggio di Assaraddon» (cfr. so
pra, 1,4). Grazie a questi testi si capisce perché seguano le maledizioni re
lative alle malattie della pelle, alla pazzia e alla cecità (w. 27.28-29),
laddove quest’ultima è simbolo dell’assenza di legge e giustizia (cecità
giudiziaria). In Assaraddon entrambe le maledizioni, oltre a essere l’una
di seguito all’altra, sono associate agli dèi Sin e Samas. A Sin è sempre
attribuita la piaga della lebbra, mentre Samas, dio del sole, è presentato
come il dio della legge e della giustizia. La gerarchia del panteon assiro,
nel quale Sin e Samas compaiono sempre insieme, determina la sequen
za delle due maledizioni. Poiché anche nel codice di Hammurabi le due
divinità compaiono associate, ma rispetto al Deuteronomio cambia la se
rie di maledizioni, sembra necessario concludere che 28,20-44 dipende
da Assaraddon.72
Tra tutte le maledizioni, forse nessuna è crudele quanto l’ultima: «Jah
vé ti farà tornare in Egitto» (v. 68). Un tratto di penna che cancella tut
ta la storia salvifica facendo tornare Israele al punto di partenza: la schia
vitù in Egitto. Dal servizio a Jahvé alla schiavitù sotto il faraone.
II terzo discorso di Mosè comprende due parti, diverse tra loro dal pun
to di vista sia formale sia tematico. La prima (28,69-30,20) forma una
«unità» dominata dal tema dell’alleanza. La seconda (31-32) è compo
sta da una serie di passi in cui vengono date le ultime disposizioni in vi
sta della morte imminente di Mosè.
Tra gli esegeti si discute quale sia la corretta collocazione di 28,69. Per
alcuni si tratta della conclusione di quanto precede, per altri dell’inizio
di ciò che segue. Dal punto di vista formale, 28,69 è un titolo alla stre
gua di 1,1; 4,43 e 33,1. In questo caso la sua funzione è quella di inau
gurare il terzo discorso di Mosè, che si presenta come una nuova alle
anza in Moab, diversa da quella del Horeb (cap. 5).
I capp. 29-30 si compongono di una serie di piccole unità, ciascuna
con un suo profilo particolare. Il loro montaggio coincide in parte con
quello degli schemi di alleanza:73 1. prologo storico (29,1-7); 2. clausola
generale di base (29,8); 3. ratifica dell’alleanza (29,9-14); 4. benedizioni
e maledizioni (29,21-27; 30,15-18); 5. invocazione dei testimoni (30,19
20). Ciononostante, se si considerano questi capitoli nel loro insieme non
appare più così indispensabile paragonarli ai trattati di vassallaggio: più
che di un formulario di alleanza in senso stretto bisogna parlare di «uni
tà retorica»,74 nella quale sono presenti il racconto, la parenesi e le bene
dizioni insieme alle maledizioni per indurre Israele a optare per Jahvé e
per i suoi comandi.
Deut. 29,9-14 è strutturato in forma concentrica: la formula centrale
dell’alleanza (v. 12) è l’asse su cui s’impernia tutto il resto; è preceduta
e seguita da due formule simili, che esprimono la ratifica dell’alleanza (vv.
ir/13). Nelle cornici esterne (vv. 9-10/14) vengono ripetute le espressio
ni «oggi» e «alla presenza di Jahvé». Il termine chiave dell’unità è berit
(«alleanza»), lo stesso termine che appare nel titolo (28,69) e che si ripe
terà ancora in 29,20.24.
La parola chiave di 30,1-10, invece, che è uno dei passi più tardi del li
bro, è sub, che può significare «tornare» o «convertirsi». L’autore di que
sto testo - che scrive dalla prospettiva dell’esilio, punizione imposta al
popolo a motivo dei suoi peccati - nutre la speranza che se Israele si
73. Cfr. sopra, cap. rv, rv,2,ar.
74. Cfr. T .A . Lenchak, «Choose Life!». A Rhetorical-Critical Investigation o f Deuteronomy
2 8 ,6 9 - 3 0 ,2 .0 (AnBibl 1 2 9 ) , Roma 19 9 3 .
zé>2 II libro del Deuteronomio
V I. «Q U E ST A È LA B E N E D IZ IO N E » .
B E N E D IZ IO N I E M O R T E D I M O S È (33-34)
1. Benedizioni di Mosè (33)
Come Isacco e Giacobbe benedissero i loro figli poco prima di morire (cfr.
Gen. 27 e 49), così anche Mosè - considerato qui come un padre per il
7 5 . F. Garda Lopez, D e u t e r o n o m io 3 1 , e l P e n t a t e u c o y la H is t o r ia D e u t e r o n o m is t a , in M .
Vervenne - J. Lust (edd.), D e u t e r o n o m y a n d D e u t e r o n o m ic L it e r a tu r e . F s. C .H .W . B r e k e l-
m a n s (BEThL 1 3 3 ) , Leuven 19 9 7 , 7 1-8 4 (77).
Il libro del Deuteronomio 263
suo popolo - benedice Israele subito dopo che gli è stata annunciata la
sua morte (32,48-52).
Le benedizioni (33,6-25) si trovano incorniciate da due passi innici (33,
2-5/26-29) che celebrano Jahvé come re vittorioso. Destinatarie delle be
nedizioni sono le dodici tribù d’Israele. In realtà manca Simeone, assor
bito dalla tribù di Giuda, ma il numero di «dodici» viene rispettato gra
zie alla divisione in due di Giuseppe: Efraim e Manasse (33,17).
L’ordine delle tribù non coincide con quello di altri elenchi simili (cfr.
Gen. 49 e Num. 1,5-15). In Deut. 33 probabilmente si sono seguiti cri
teri geografici insieme ad altri di tipo cronologico, relativi al tempo della
conquista della terra. Il contenuto delle benedizioni allude alla posizio
ne geografica di ciascuna tribù.
In molti casi le formule di benedizione ricordano più oracoli, preghie
re o auguri che benedizioni in senso stretto.
1 . Commenti
2. Studi
i. Prospettiva sincronica
I primi «brani» che balzano subito evidenti sono i cinque libri. La divi
sione in libri è una delle ultime operazioni compiute nella composizione
del Pentateuco. Non si tratta di un’operazione puramente esteriore, ma
riguarda l’essenza stessa dell’opera. O almeno, così ritengono oggigior
no molti esegeti che pongono in risalto l’inizio e la conclusione di cia
scun libro, mentre ne sottolineano la struttura e il particolare profilo.3
1. Cfr. R.P. Knierim, The Composition o f thè Pentateuch, in Id., The Task o f thè Old Testa-
ment Theology. Substance, Method and Cases, Grand Rapids 19 9 5 , 3 5 1 - 3 7 9 (35 1).
2. Cfr. L. Alonso Schòkel, Sabre el estudio literario del A.T.: Bib 53 (19 7 2 ) 5 4 4 -5 5 6 (5 5 1).
3. Cfr. M . Weinfeld, Pentateuch, in Encyclopaedia Judaica, 1 3 , 19 7 2 , 2 3 1 - 2 6 1 (232); B.S.
Childs, Introduction to thè Old Testament as Scripture, Philadelphia 19 7 9 , 1 2 8 - 1 3 2 ; S. Demp-
ster, An «Extraordinary Paci»: Torah and Tempie and thè Contours o f thè Hebrew Canon i:
Tyndale Bulletin 48 (19 9 7) 2,3-56; H .-W . Jiingling, Das Buch Levitikus in der Forschung seit
Karl Ellìgers Kommentar aus dem Jahr 1966, in H .-J. Fabry - H .-W . Jiingling (edd.), Levitikus
als Buch (BBB 1 1 9 ) , Berlin 199 9, 1-4 5 {7 -23); E. Zenger, Das Buch Levitikus als Teiltext der
Torà j des Pentateuch. Eine synchrone Lektìire mit kanonischer Perspektive, in H .-J. - Fabry
H .-W . Jiingling, Levitikus als Buch (BBB 1 1 9 ) , 4 7-8 3 (53-62); J.L. Ska, La structure du Penta-
teuque dans sa forme canonique: Z A W 1 1 3 (20 01) 3 3 1 - 3 5 2 (33 8 ss.).
C o m p o siz io n e del P en tate u co 267
9. Cfr. M . Weinfeld, Sabbath, Tempie, and thè Enthronement o f thè L ord - The Problem o f
thè Sitz im Leben o f Gn 1:1- 2 :3 , in A. Caquot - M . Delcor (edd.), Méìanges bibliques et orien-
taux en l’honneur de Henri Cazelles (A O A T 212.), Neukirchen/Vluyn 1 9 8 1 , 5 0 1 - 5 1 2 ; B. Ja-
nowski, Tempel und Schópfung. Schópfungstheologische Aspekte der priesterschriftlichen Hei-
ligtumskonzeption: JBTh 5 (1990) 37-69.
10 . W .H .C. Propp, Exodus 1- 18 (AB 2), N ew York 19 9 9 , 5 6 1 , scrive: «Creation is complete
only when God’s reign on earth commences at Sinai». Secondo T. Pola, D ie urspriingliche Prie-
sterschrift. Beobachtungen zur Literarkritik und Traditionsgeschichte von Pg (W M A N T 70),
Neukirchen/Vluyn 19 9 5 , 295 s., il testo primitivo di Pg ha inizio in Gen. 1 e si conclude in Es.
4 0 ,3 3 b. 1 1 . Cfr. B.S. Childs, Il libro dell’Esodo, 546 s.
Gen. 1 , 1 - 2 , 3 ; Es. 1 9 - 2 4 . 2 5 - 3 1 . 3 2 - 3 4 . 3 5 - 4 0 : Levitico; Num. 1 - 1 0 * ; Deut. 4 .4 4 - 2 8 .6 8
Stando a questo schema, parrebbe che gli ultimi due terzi della sezione
del Sinai manchino di connessioni con la Genesi e con l’Esodo, ma non
è così, poiché il Levitico e Num. i - i o sono strettamente uniti a Es. 25
31.35-40. Il tema dominante nel Levitico è il culto. Ciò presuppone un
santuario e una comunità. Il santuario in questione è quello descritto in
Es. 25-40*, la comunità cui si pensa è quella di Num. 1-10*. Inoltre, la
legge di santità (Lev. 17-26) ha parecchi punti in comune con il codice
deuteronomico e con il codice dell’alleanza.
Riassumendo, da una prospettiva sincronica i vari libri e le sezioni
principali del Pentateuco sono collegati alla grande unità del Sinai, che
dal punto di vista strutturale occupa il posto centrale nel complesso del
l’opera. Ciononostante bisogna riconoscere che le connessioni tra Gene
si e Deuteronomio da una parte e Sinai dall’altra sono di natura diversa,
c per una loro corretta valutazione è opportuno adottare, oltre alla pro
spettiva sincronica, anche una prospettiva diversa.
2. Prospettiva diacronica
Si procederà in tre tappe successive: 1. identificazione delle principali pe-
ricopi preesiliche, originariamente indipendenti; 2. analisi dei primi gran
di montaggi - Sacerdotale e Deuteronomista - nei quali si inserisce la
maggior parte dei passi identificati in precedenza; 3. studio del montag
gio che dà origine al Pentateuco.
Come ha messo in luce la storia della ricerca, le opinioni relative a
queste questioni sono talmente svariate, e i modelli esplicativi talmente
diversi, che qualsiasi opzione si preferisca in questo momento risulte
rebbe inevitabilmente ipotetica. Spesso mancano criteri solidi per deci
dere se determinati testi appartengano a uno strato o all’altro, e se siano
più o meno antichi. Pertanto, la proposta che si fa qui è piuttosto gene
rica e puramente indicativa.
55. J.L , Ska, D e la relative indépendence de Vécrit sacerdotali Bib 7 6 {19 9 5) 400.
56. Lo scritto Sacerdotale ignora l’alleanza del Sinai, ma non la teofania, che la trasforma in
una rivelazione sul culto: cfr. W . Zimmerli, Sina'tbund und Abrahambund. Ein Beitrag zutn
Verstàndnis der Pnesterschrìft , in Id., Gottesoffenbarung\ Gesammelte Aufsdtze zum Alteri
Testament {ThB 1), Miinchen 19 6 9 , 2.05-216.
57 . La legge di santità {Lev. 17 -2 6 ) presenta un problema particolare: cfr. sopra, cap. v , vi , i .
Composizione del Pentateuco 2.79
pare - a volte ripetuta sino alla noia - la formula «come Jahvé aveva or
dinato a Mosè (cfr. Es. 39,1.5.7.21.26.29.31.32.42.43; 40,16.19.21.23.
25.27.29.32). L’esecuzione pratica deve rispettare esattamente il coman
do divino.58
Analogamente, anche le leggi di Levitico e Numeri regolano nei mini
mi particolari i sacrifici, le offerte e agli altri riti o azioni liturgiche che
devono compiere i sacerdoti e la comunità. In linea di principio si tratta
di preservare la purità della comunità che vive alla presenza di Jahvé (cfr.
Es. 29,42-46), specialmente quando deve accostarsi al santuario. Ogni
cosa dev’essere compiuta «come Jahvé aveva comandato a Mosè» (cfr.
Lev. 8,4.9.13.17.21.29; 9,7.10; 10,15; 16,34; Num• 45 2?3 3 -3 4 ; 3 >
42.51; 8,3.20.22; 9,5). Qualsiasi infrazione a quanto è stato comandato
può avere conseguenze fatali (cfr. Lev. 10,1-7). L’obbedienza alla paro
la di Dio, fondamentale nello spirito dello scritto Sacerdotale, diventa co
sì un elemento essenziale nella lettera stessa delle integrazioni legali.
se, sceglie di concludere la sua opera fuori dalla terra, ponendo l’accen
to sulla promessa. In linea con il Deuteronomio deuteronomista, inseri
sce e colloca il codice dell’alleanza nella sezione del Sinai, ossia nel cuo
re stesso del Pentateuco, ponendo l’accento sulla legge. In definitiva, il
Redattore del Pentateuco concepisce la propria opera essenzialmente co
me promessa e legge, come dono e impegno. Di fatto, la promessa per
corre tutto il Pentateuco (la promessa della terra è presente in ciascuno
dei cinque libri)68 e la legge (che praticamente occupa la metà del Penta
teuco) ne diventa il cuore.
68. Secondo D.J.A. Clines, The Theme o f thè Pentateucb (JSO T.S io ), Sheffield 19 7 8 , 19 -4 3 ,
le promesse costituiscono il tema principale del Pentateuco. Sebbene compaia in tutti e cinque
i libri, la promessa della terra si concentra soprattutto nella Genesi e nel Deuteronomio.
69. Cfr. F. Garcia Lopez, De la antigua a la nueva critica literaria del Pentateuco: EstB 5 1
(199 4) 7 -3 5 ( n - 1 2 ) .
Composizione del Pentateuco 283
sti tre testi, usciti dalla penna del Redattore del Pentateuco, la «gran
dezza della nazione» s’interpreta non tanto in senso numerico quanto
nel senso dell’obbedienza alla parola di Dio.76 È questo il senso anche di
Deut. 4,5-8.77
Effettivamente, in Deut. 4,5-8 il rispetto della Torà fa sì che Israele
appaia agli occhi delle altre nazioni come un «popolo saggio e intelligen
te» (v. 6). In Es. 19,5-6; Deut. 26,18-19 e 2.8,9-10, l’osservanza della
parola/legge di Jahvé trasforma Israele in un «popolo santo»;78 in Deut.
4,6 l’osservanza della torà lo converte in un «popolo saggio e intelligen
te». Ciò che definisce Israele distinguendolo dalle altre nazioni è l’osser
vanza della torà: «Perché quale grande nazione ha leggi e norme giuste
come tutta questa torà che io vi propongo oggi?» (v. 8). La grandezza
d’Israele si manifesta ancora nella vicinanza dei suo Dio: «Perché quale
grande nazione ha dèi vicini come Jahvé, nostro Dio, ogni volta che lo
invochiamo?» (v. 7). Jahvé e la torà appaiono qui come gli elementi es
senziali e distintivi di Israele. Il testo, però, induce a pensare inoltre che
la «grandezza d’Israele» si costruisce anche su Abramo e Giacobbe, suoi
padri, e su Mosè, suo fondatore, ai quali Jahvé promise di fare di essi
una «grande nazione».
In conclusione, per il Redattore del Pentateuco il popolo di Israele è
una «nazione grande», composta dai discendenti di Abramo e Giacob
be, che osservano la torà di Jahvé e di Mosè. E questo malgrado la per
dita della terra, ma non della promessa.
Bibliografia
Blum, E., Die Komposition der Vdtergescbichte ( W M A N T 5 7 ), Neukirchen/
V lu yn 19 8 4 .
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Childs, B.S., Introduction to thè Old Testament as Scripture, Philadelphia 1 9 7 9 ,
10 7 -2 2 5 .
le non rientra nella linea ismaelita bensì in quella di Abramo, Giacobbe e Mosè. L ’espressione
gój gàdól compare in altri testi veterotestamentari come parte di una formula più ampia: gój
gàdól w e'àsùm (G en . 1 8 ,1 8 ; Num. 1 4 ,1 2 ) e gój gàdól w e'àsum wàràb {Deut. 9 ,14 ; 26,5).
76. Cfr. J.L. Ska, L ’appel d ’Abraham et Vacte de naissance d ’Israèl. Genèse n , i - 4 a , in M.
Vervenne - J. Lust (edd.), Deuteronomy and Deuteronomio Literature. Fs. C.H.W . Brekel-
mans (BEThL 13 3 ) , Leuven 19 9 7 , 36 7 -3 8 9 ; E. Otto, Deuteronomium 4: Pentateuchredaktion
im Deuteronomiumsrahmen, in T. Veijola (ed.), Das Deuteronomium und seìne Querbezie -
hungen (SFEG 62), Helsinki 1 9 9 6 ,1 9 6 - 2 2 2 (220 s.).
7 7 . Cfr. F. Garda Lopez, «E l ùnico pueblo sabio e inteligente». D ios, ley y pueblo en la estra-
tegia religiosa del Deuteronomio (Dt 4,5-8; 6,4-9; 30,15-2.0): Ricerche Storico Bibliche 1 5
(2003) 9-24.
78. Cfr. A Schenker, D rei Mosaiksteinchen. «Kónigreicb von Priestem », «Und ihre Kinder
gehen w eg», «Wir tun und w ir bóren» (Exodus 19 ,6 ; z i , 2 2 ; 24 ,7), in M . Vervenne (ed.),
Studies in thè Book o f Exodus, 36 7 -3 8 0 (368-374).
z8 6 Composizione del Pentateuco
Il P e n t a t e u c o e la B i b b i a
1. Presupposti ermeneutici
«La chiesa ha ereditato dal giudaismo la Scrittura, ma non il canone».1
La teologia cristiana non inizia con il Nuovo Testamento, ma con l’An
tico. Sin dalle origini la chiesa visse con la Bibbia e sviluppò la propria
comprensione a partire dalle Scritture. Non c’è storia né teologia cristia
na senza la Bibbia.3 Gli autori del Nuovo Testamento si avvalgono spes
so della Bibbia per sviluppare su di essa i propri insegnamenti: «... se
condo le Scritture» (cfr. 1 Cor. 15,3-4)/
Tra la Bibbia ebraica e l’Antico Testamento della Bibbia cristiana vi
sono alcune differenze significative, soprattutto nella disposizione dei
libri e nel loro orientamento generale. La Bibbia ebraica segue l’ordine
Torà, N ebi’iml«Profeti» («anteriori» [Giosuè-Re] e «posteriori» [Isaia-
Malachia]) e Ketubim/«Scritti» (Salmi-Cronache). L’Antico Testamento,
invece, ordina i libri seguendo la versione greca dei Settanta: libri stori
ci, sapienziali e profetici. Ma l’aspetto fondamentale è che mentre nella
t . L a costituzione Dei Verbum del concilio V atican o u afferm a esplicitamente che «in essi [i
libri dell’A n tico Testam ento] ... sono racchiusi sublimi insegnamenti su D io , una sapienza sa
lutare per la vita dell’ u om o» {D V 1 j ) .
2. A .C . Sundberg, The Bible Canon and thè Christian Doctrine o f Inspiration : Interp. 29
(1:9 7 5 ) 352 --37 1 ( 3 5 6 ) ; cfr. C . D ohm en - M . Oem ing, Biblischer Kanon, warum und wozu?
Etne Kanontheologie (Q D 1 3 7 ) , Freibu rg 1 9 9 2 , 1 6 - 2 6 . Il termine «scrittura» o «scritture» a p
pare più volte nel N u o v o T estam ento in riferimento ai libri com unem ente noti oggi ai cristiani
Me. 1 2 , 1 0 ; Le. 4 , 2 1 ; 2 4 ,4 5 , ecc.).
co n il nom e di A n tico Testam ento (M f. 2 1 , 4 2 ;
3 . C fr. K . K o ch , Der doppelte Ausgang des Alten Testaments in Judentum und Christentum :
JB T h 6 ( 1 9 9 1 ) 2 1 5 - 2 4 2 .
4 . C fr. P .-M . Beaude, «... Segtin las Escrituras» (C u ad B ib io ) , Estella 1 9 7 8 .
28 8 II Pentateuco e la Bibbia
La Torà si chiude con lo sguardo puntato alla profezia. I profeti che se
guono (da Giosuè fino a Malachia), restano inferiori a Mosè, il profeta
per eccellenza. La sua superiorità rispetto agli altri profeti deriva dalla
superiorità della sua relazione con Jahvé, dal rapporto diretto e intimo
(«faccia a faccia») che Jahvé ha con lui (cfr. Es. 3 3 ,11 e Num. 12,6-8).
Mosè è il ricevitore, l’eccezionale mediatore di una forma straordinaria
di rivelazione. Di conseguenza la «Torà di Mosè» è superiore alle altre
forme di rivelazione. La morte di Mosè segna la conclusione di questo
tipo di rivelazione. Nella prospettiva canonica, la profezia ha la funzio
ne di rammentare e attualizzare la Torà, come pongono in evidenza,
all’inizio e alla fine dei libri profetici, due testi che incorniciano l’insie
me dei profeti anteriori e posteriori (Gios. 1,1-13 * e Mal. 3,22-24).
In Gios. 1-1-13 * Mosè appare come «il servo di Jahvé» (w. 2.7.13),
in accordo con quanto detto alla fine della Torà {Deut. 34,5). In cam
bio, Giosuè è presentato come il successore e «ministro di Mosè» (Gios.
1,1; cfr. Es. 24,13; 32,11; Num. 11,28; Deut. 34,9). Mosè è definito at
traverso la sua relazione con Jahvé, Giosuè attraverso la sua relazione
con Mosè. Dopo la morte di quest’ultimo, Giosuè non dipenderà più di
rettamente da lui, bensì dalla sua Torà:
5. Cfr, O. Kaiser, Der G oti des Alteri Testamenti Theologie des Alten Testaments, i . Grund-
legung (UTB 1747), Góttingen 1993: § 1 7 «Die Torà als Mitte der Schrift», 32.9-353.
Sii forte e molto coraggioso, per compiere tutta la legge
che ti ha prescritta Mosè.
Non deviare da essa né a destra né a sinistra,
e avrai successo in tutte le tue imprese.
Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa Torà,
mèditalo giorno e notte,
per compiere tutto ciò che vi è scritto;
allora le tue imprese prospereranno e tu avrai successo (Gios. 1,7-8).
«La Torà di Mosè» appare qui come insieme ben definito, come opera
«scritta», come «libro» di riferimento per Giosuè e per quelli che, come
lui, desiderano avere successo in tutto ciò che intraprendono. In questo
modo, tra il libro della Torà e quello di Giosuè si produce una sorta di ce
sura che li mette in contrapposizione Tuno con l’altro.
Anche in Mal. 3,22-24 Mosè è presentato come il «servo di Jahvé», e
la sua Torà come «le leggi e i comandi di Jahvé»:
Ricordate la Torà del mio servo Mosè,
gli statuti e i decreti che gli ordinai sul Horeb
per tutto Israele.
Io vi invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno di Jahvé...
La lettura dei profeti servirà per tenere a mente la Torà. Se il profeta Elia
viene ricordato in modo speciale, è perché nella tradizione diventò una
sorta di «Mosè redivivo». In un momento particolarmente delicato per
la fede d’Israele, Elia tornò sul Horeb (cfr. 1 Re 19), la culla delio jahvi-
smo, rappresentando così in maniera simbolica la rinascita della fede jah-
vista.
La terza parte della Bibbia ebraica, infine, inizia con lo stesso spirito
della seconda. Il Salmo 1 fornisce i modelli; il motivo dominante è anco
ra una volta la Torà:
Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi...
ma si compiace della Torà di Jahvé,
meditandola giorno e notte...
Riusciranno tutte le sue opere {Sai. 1,1-3*).
Gen. 1-3 inaugura non solo il libro della Genesi e il Pentateuco, ma an
che tutta la Bibbia. L’affermazione iniziale: «In principio Dio creò il cie
lo e la terra» (Gen. i ,t ) mostra chiaramente che Dio precede ogni cosa
e ogni cosa ha inizio con lui. Con la sua azione creatrice ha inizio il
progetto di Dio. La creazione è l’evento fondante da cui prende il via la
storia del mondo e dell’umanità. Di essa si parla anche in altre parti del
l’Antico Testamento, specialmente in Isaia e negli scritti sapienziali (Sal
mi, Proverbi, Giobbe, ecc.).8
Nel Deutero-Isaia (40-55) l’azione creatrice di Dio va di pari passo
con la sua opera salvifica.9 La redenzione è un atto creativo di Jahvé (cfr.
Is. 43,1.20-21; 44,1-z.20-21; 45,7, ecc.). Non è un unico atto isolato,
accaduto in un passato remoto, ma anche un atto che si realizza nel pre
sente e ci si aspetta per il futuro. Il Dio creatore che trionfa sul caos è il
Dio che salva nella storia (cfr. Is. 51,9-1 fi).10
Il Trito-Isaia ( 5 6 - 6 6 ) annuncia la creazione di «cieli e terra nuovi», con
un linguaggio e uno spirito assai vicini a quelli della letteratura apocalit
tica (cfr. Is. 65,17-25). Si stabilisce una corrispondenza tra la creazione
fine della terza parte, nell’opera cronistica, abbondano le espressioni relative alla T o rà di
Ja h vé (cfr. i Cron. i 6 ,z o ; 22.,i z ; 2 C ro « . 6 ,16 ; 1 2 , 1 ; 1 7 , 9 ; 3 1 , 3 . 4 ; 34> I 4> 35,2.6 ) o di M o sè
(cfr. 2 Cron. 2 3 , 1 8 ; 3 0 ,1 6 ) . Per m ezzo di M o sè , Ja h vé trasmette la sua T o r à (cfr. 2 Cron.
3 3 , 8 ; 3 4 , 1 3 ; cfr. anche r Cron. 1 6 ,4 0 ; z Cron. 2 5 ,4 ) . La T o rà è fondam entalm ente un «libro»
o uno «scritto» (cfr. 2 Cron. 1 7 , 9 ; 2 5 ,4 ; 3 4 , 1 5 - 3 1 * ; 3 5 , 1 2 ) : cfr. F. G arcfa L o p e z, tóràh, T h W A T
v m (19 9 5 ), 5 9 7 -6 3 7 (6 2 4 -6 31).
7 . « A i tempi di C risto e di P aolo , la T o r à era il sim bolo per eccellenza... del giu daism o», J .A .
Sanders, Torah and Christ, in Id., From Sacred Story to Sacred Text, Philadelphia 1 9 8 7 , 50.
8. T ra tanti altri testi v. Sai. 8; 1 3 6 ; 1 3 9 , 1 3 - 1 5 ; Prov. 8 , 2 2 - 3 1 ; Giob. 3 8 . «L a letteratura sa
pienziale rappresenta l’ am bito ultim o in cui la dottrina sulla creazione ha ricevuto una form u
lazione specifica» (W . Zim m erli, Manual de teologia del A .T., M ad rid 1 9 8 0 , 40 ).
9 . Sulla relazione tra creazione e salvezza in Gen. 1 ed Es. 1 4 , cfr. sopra, cap. iv , ii,$d.
10 . C fr. F. G a r d a Lopez, E l Dios judeo-cristiano ante las utopfas, 3 0 - 3 3 .
Il Pentateuco e la Bibbia 29 r
di epoca primordiale (Gen. 1) e la creazione nuova alla fine dei tempi (cfr.
Apoc. 21,1).
Nel disegno di Dio durante la creazione, l’essere umano occupa una
posizione singolare rispetto a tutte le creature. Stando a quanto afferma
il salmista, egli possiede un rango quasi divino: «lo hai fatto di poco in
feriore a Dio ('èlóhim), di gloria e splendore lo hai incoronato» {Sai.
8,6). La grandezza e la dignità dell’essere umano risiedono nell’essere
stato creato «a immagine e somiglianza» di Dio {Gen. 1,26-27). La Bib
bia ha fatto di questa metafora una categoria fondamentale per definire
gli esseri umani.11 Malgrado questo particolare rapporto con Dio, l’es
sere umano disobbedì alla volontà divina, introducendo il male e la mi
seria nella creazione {Gen. 2,15-17; 3,1-23), che precedentemente era
stata definita «buona» (1,4.10.12.18.21.25) o «molto buona» (1,31).
Nel Nuovo Testamento, la convinzione che ogni cosa che esiste sia
opera di Dio, proviene direttamente dall’Antico. È talmente radicata
che non c’è alcun bisogno di dimostrarla. Prendendo spunto dall’inizio
della Genesi, Giovanni apre così il suo vangelo: «In principio era la pa
rola. La parola era presso Dio e la parola era Dio. Tutto è stato fatto
per mezzo di essa, e senza di essa nulla è stato fatto di quanto è» {Gv.
I, 1.3).11 L’antropologia del Nuovo Testamento poggia anch’essa su quel
la dell’Antico; in essa si attestano tanto la grandezza degli esseri creati a
immagine di Dio (cfr. 1 Cor. 11,7; 2 Cor. 3,18; 4,6) quanto la miseria
provocata dalla realtà innegabile del peccato (cfr. Rom. 1,18-3,20).13
La teologia della creazione delineata in Gen. 1-9 non è semplicemente
un preludio della storia della salvezza, ma sostiene, pervade e abbraccia
l’intera rivelazione biblica. La melodia della teologia della creazione ri
suona, con variazioni sempre nuove, nella sinfonia della Bibbia, dalla pri
ma frase all’ultima. Nelle prime note si sente la musica del Dio creatore
del cielo e della terra {Gen. 1,1-2,4), che non si spegne fino alle ultime
due battute riguardanti i cieli nuovi e la terra nuova {Apoc. 21-22).14
b) Liberazione!salvezza
La liberazione dall’Egitto, grazie all’intervento di Jahvé, è l’esperienza
salvifica fondamentale d’Israele. Essa costituisce il cuore del credo israe-
E l hombre imagen de Dios, en el Antiguo Testamento, in N . Silanes
I I . C fr. F. G a r d a L o p e z,
(ed.), E l hombre, imagen de Dios (S E T 2 3 ) , Salam anca 1 9 8 9 , 1 3 - 3 0 ; A . W énin, Ubom m e bi-
blique. Anthropologie et éthique dans le Premier Testamenti Paris 1 9 9 5 , 2 9 -4 3 .
1 2 . L ’ espressione greca en arche, che inaugura il van gelo di G iovan n i, è la stessa della versione
dei L X X in Gen. 1 , 1 , dove traduce l’ebraico beré'sit.
1 3 . C fr. Pontificia C om m issione B iblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia
cristiana, C ittà del V atican o 2 0 0 1 , n.ri 2 6. 2 9 -3 0 .
1 4 . C fr. K . Lòn in g - E. Z en ger, To Begin with, G od Created. Biblical Theologies o f Creation,
Collegeville 2 0 0 0 , 1 . 4 .
292 II Pentateuco e la Bibbia
lita (cfr. Deut. 26,5b-9) ed è un segno di identità del Dio d’Israele: «Io
sono Jahvé, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dall’Egitto» {Es. 20,2; Deut.
5,6; cfr. Os. 12,10; 13,4). Il nome stesso di «Jahvé» (Es. 3,13-15) rac
chiude l’idea di «salvezza», la quale si manifesta lungo l’Esodo e tutta la
Bibbia.15 La salvezza dell’esodo superò in misura tale tutte le aspettative
umane e sociali, che i testi biblici la considerano un vero e proprio mi
racolo (cfr. Es. 15,21; Deut. 26,8).
L’uscita dall’Egitto, vissuta e sperimentata un’unica volta nella storia,
racchiudeva una salvezza che, in quanto tale, era in grado di esprimere
altri fatti salvifici. Si spiega così come il Deutero-Isaia, divulgatore del
Dio salvatore durante l’esilio a Babilonia, annunci il ritorno d’Israele a
Gerusalemme come un secondo esodo, utilizzando alcune immagini del
primo (cfr. Is. 43,11-12.14-21; 49,7.26). Il Deutero-Isaia non pensa tan
to a una salvezza universale e definitiva, quanto a una salvezza naziona
le e concreta, sebbene aperta ad altre forme di salvezza che possono es
sere definitive e conclusive. Questo stesso atteggiamento di apertura tra
spare dalla preghiera del Salmista, il quale ricorda pieno di speranza la
salvezza operata da Jahvé quando liberò il suo popolo dalla schiavitù
(cfr. Sai 77,12-21).
L ’esperienza del Dio salvatore dell’esodo è il presupposto migliore per
comprendere non soltanto gli avvenimenti legati all’esilio in Babilonia,
ma anche l’atto divino di salvezza in Cristo Gesù, eventi che possono
essere definiti rispettivamente del secondo e del terzo esodo. La libera-
zione/salvezza dell’esodo culmina in Gesù Cristo, che gli apostoli annun
ciano come il Salvatore definitivo (Atti 4,12).
Nel nome di «Gesù», come anche nel nome di «Jahvé», si condensa e
si anticipa l’intera opera salvifica di Dio. Quando gli autori del Nuovo
Testamento e i primi cristiani davano a Cristo il nome di Gesù, annun
ciandolo come il salvatore atteso, si situavano consapevolmente nella li
nea salvifica dell’Antico Testamento. Il nome «Gesù» viene dal greco lè-
sous, che a sua volta deriva dall’ebraico j ehósùàijjèsuà\ che
«Jahvé salva / Jahvé è salvezza»; «Gli metterai nome Gesù, perché sal
verà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt. 1,21). La vita di Gesù si svolse
in ogni momento sotto il sigillo della salvezza, con la firma di Gesù. Tl
titolo di «salvatore» viene attribuito soprattutto a Gesù risorto, poiché
in virtù della risurrezione «Dio lo ha esaltato come capo e salvatore»
(Atti 5,31).16 La risurrezione di Gesù conferisce una dimensione tra
scendente e definitiva all’opera salvatrice di Jahvé.
15. Cfr. cap. sopra, iv, 1,3a.
1 6 . C fr. F. G arcia Lopez, Dios, èQuièti eres? ìC u à l es tu nombre?, in A a .V v ., Amor de Dios,
amor a Dios (T eD 1 7 ) , Salam anca 2 0 0 0 , 1 7 - 3 9 ; I d Jesus de Nazaret, el profeta Ubertador, in
Aa.Vv., Jesucristo, ayer y boy (T eD 1 1 ) , Salam anca 1 9 9 5 , 4 7 - 6 8 . « L a redenzione dell’esodo
Il Pentateuco e la Bibbia 2-93
c) Alleanza
L’ «alleanza» è un concetto chiave nel Pentateuco per esprimere il rap
porto tra Dio e gli uomini e tra questi e Dio. Essa compare in forme e sfu
mature diverse e cambiano anche i suoi referenti principali: Noè {Gen.
9,8-17), Abramo {Gen. 15 e 17), discendenti di Abramo {Es. 6,2-8; Lev.
26,42-45), israeliti {Es. 19,3-8; 24,3-8; 31,12-17; Lev. 26,9-13; Deut. 5,
2-3; 7,9-12; 26,17-19; 28,69-29,27).18 La teologia deuteronomica del
l’alleanza divenne l’espressione normativa della relazione tra Dio e Israe
le, fungendo quindi da categoria teologica fondamentale per «unificare»
il complesso delle Scritture ebraiche.19
Se si eccettua il Pentateuco, il tema dell’alleanza ha un ruolo di primo
piano in altre parti della Bibbia ebraica, specialmente nei profeti (cfr. 1
Re 8,21; 2 Re 23,1-3; Js. 54,7-10; Ger. 14,21; 31,31-34; Ez. 16,59-63)
e nei Salmi {105,6-11; 106,40-46; 111,2-5). I punti di contatto tra que
sti testi e quelli del Pentateuco sono innegabili. In Ger. 31,31-34 viene
annunciata una «nuova alleanza». In realtà non si tratta di una rottura
dell’alleanza del Sinai, quanto piuttosto del suo «rinnovo». L’aspetto ca
ratteristico della «nuova alleanza» è che la Torà non verrà scritta su «ta
vole di pietra», bensì «nel cuore» degli israeliti (cfr. Is. 51,7; Sai. 37,31;
40,9), per cui non potrà mai più essere infranta.10
Gli scritti del Nuovo Testamento si collocano in una prospettiva di
continuità di fondo, ma al tempo stesso di deciso progresso rispetto a
quelli dell’Antico Testamento. La continuità riguarda principalmente la
relazione di alleanza, mentre le fratture toccano le istituzioni, destinate
a stabilire e mantenere tale relazione. La «nuova alleanza» realizzata da
Gesù viene stabilita sul suo sangue, definito «sangue di alleanza» (cfr. Mt.
26,28; Me. 14,24; Le. 22,20; 1 Cor. 11,25). L’espressione «sangue di al
leanza» ricorda Es. 24,8, ma mentre qui si riferisce al sangue di animali
ha i suoi paralleli più stretti nella vittoria annunciata dal D eutero-Isaia e nella croce e risurre
zione di Gesù nel N u o v o Testam ento» (T .E . Fretheim , Exodus, Louisville 1 9 9 1 , zo).
17 . Cfr. B.S. Childs, Teologia biblica, 473-479 (474).
1 8 . Su questi testi cfr. sop ra, capp. in -v n .
1 9 . C fr. B.S. C hilds,Teologia biblica , 4 4 4 - 4 5 2 (4 5 0 ).
z o . C fr. C . Levin , Die Verheissung des neuen Bundes in ibreti theologiegeschichtlichen Zu-
sammenbang ausgelegt ( F R L A N T 1 3 7 ) , G òttingen 1 9 8 5 , spec. 2 5 7 - 2 6 4 .
294 II Pentateuco e la Bibbia
d) Legge
j
to dell’amore per Dio {Deut. 6,5) e per il prossimo {Lev. 19,18) e tutti
gli altri comandamenti, aggiungendo: «Questi due comandamenti rac
chiudono tutta la Legge e i Profeti». L’amore è il valore fondamentale al
quale debbono conformarsi tutte le leggi/5
Per Paolo, la venuta di Cristo porta necessariamente a ridefinire il ruo
lo della legge. Cristo è «il termine della legge» {Rom. 10,4). La legge è
riassunta nel precetto dell’amore per il prossimo {Rom. 13,8-10; Gal. 5,
14). Nella prospettiva dell’autore della lettera agli Ebrei, i cristiani or
mai non sono più sotto il dominio della legge, bensì sotto quello della
fede in Cristo (cfr. 10,22-24). Per Giacomo, infine, i comandamenti mo
rali della legge continuano a servire da guida (2,11), ma interpretati dal
Signore. Egli concorda con Paolo e Matteo nel sottolineare la preminen
za non tanto dei decalogo quanto del comandamento dell’amore per il
prossimo, definito «la regola aurea» {2,8).
In poche parole, il Nuovo Testamento si basa sull’Antico, interpretan
dolo alla luce di Cristo, che conferma il comandamento dell’amore con
ferendogli una dimensione nuova (cfr. Gv. 13,34; 15,12.). I*1 questo mo
do la legge giunge al suo pieno compimento/4
e) Promesse
«Il tema del Pentateuco è il compimento parziale - circostanza che im
plica anche il parziale non compimento - della promessa ai patriarchi, o
della loro benedizione»/5 Le promesse patriarcali si situano in primo luo
go nella prospettiva del patriarca al quale sono dirette, ma spesso pun
tano più lontano, alla storia d’Israele e persino delle altre nazioni. È que
sto il caso della promessa/benedizione di Gen. 12,1-3: «Farò di te una
grande nazione... e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra»
(cfr. Gen. 26,4b; 28,i4b). Lo stesso vale anche per la promessa di una di
scendenza numerosa {Gen. 13,16; 15,5; 17,4-6; 22,17; 2.6,43; 2.8,i4a) o
per la promessa della terra {Gen. 12,7; 26,3; 28,13). Per di più, in Gen.
13,15 la promessa della terra ad Abramo e alla sua discendenza vale «per
sempre»/6
Tali promesse pongono un duplice interrogativo: chi sono i discen
denti di Abramo e qual è la reale portata della promessa della terra? Il
fatto stesso che il Pentateuco si concluda di fronte alla terra promessa,234 56
ma fuori da essa, invita a pensare che per la fede d’Israele ciò che conta
è la promessa, non il possesso della terra/7 Questa considerazione non
toglie valore alla terra, come realtà storico-geografica su cui si concen
trerà l’attenzione di altri libri della Bibbia ebraica (specialmente Giosuè
- z Re), tuttavia lascia la porta aperta ad altre interpretazioni.
Gli autori del Nuovo Testamento non negano la validità delle promes
se patriarcali (cfr. Le. 1,55.73; Atti 11,11-12 ), però le collocano in un
orizzonte nuovo. Il vangelo di Matteo inizia presentando Gesù come fi
glio di Abramo (Mt. 1,1), per sottolineare poi che non è sufficiente né in
dispensabile discendere da Abramo secondo la carne (Mt. 3,9; Le. 3,8).
Per Paolo ciò che conta è la fede in Cristo; attraverso di essa noi diven
tiamo figli di Abramo (Gal. 3,7), poiché Cristo è suo discendente privi
legiato (Gal. 3,16), e apparteniamo a Cristo, diventando «discendenza di
Abramo ed eredi secondo la promessa» (Gal. 3,29; cfr. Rom. 4 ,11.17.
18). Paolo conferma e rafforza così la dimensione universale della bene
dizione di Abramo, collocando sul piano spirituale la vera posterità del
patriarca.
Qualcosa di analogo avviene per la promessa della terra. Quando Mt.
5,5 proclama «beati i miti, perché erediteranno la terra» non ha in men
te una realtà storico-geografica, quanto piuttosto il regno dei cieli (cfr.
Mt. 5,3.10). A sua volta la lettera agli Ebrei interpreta la promessa della
terra - fatta ad Abramo, Isacco e Giacobbe - come una situazione prov
visoria e transitoria, orientata alla patria celeste. Insomma, gli autori dei
Nuovo Testamento approfondiscono l’aspetto spirituale e simbolico re
lativo alle stesse promesse patriarcali.
Ricapitolando, «senza l’Antico Testamento il Nuovo Testamento sa
rebbe un libro indecifrabile, una pianta privata delle sue radici e destina
ta a seccarsi»/8 A sua volta la Torà/Pentateuco è un’opera aperta che,
alla luce delle nuove letture e interpretazioni degli altri libri della Bibbia
ebraica e della Bibbia cristiana, guadagna in profondità e ricchezza.
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2 7 . C fr. sopra, cap. v ili, 2 . 3 . 1 .
2 8 . Pontificia Com m issione B iblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture, nr. 84.
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Indice analitico
Isacco, 20 , 79 , 8 8 -9 1 [Mosè]
Ismaele, 87 s., 93 profeta, 24, 2 5 5 , 26 3, 280, 288
itinerari, 26 -28, 80, 2 2 1 , 2 7 7 scrittore/scriba, 3 1 s. 1 4 7 , 240
«servo di Jahvé», 24, 288
Jahvé storicità, 1 1 7 s.
Dio che benedice, 19 , 61
Dio che elegge, 2 38 , 246 s. narrazioni
Dio che salva, 19 , 12 0 -1 2 2 , 1 2 9 - 1 3 3 , 1 4 2 nella Genesi, 56 -59, 63 s.
s., 1 9 1 -2 9 3 nell’Esodo, 10 8 -1 1 0
Dio creatore, 19 , 22, 6 1, 6 5 - 6 9 ,1 4 2 s., 29 0 nel Levitico, 1 7 6 s., 19 6
291 nei Numeri, 2 0 1 s.
Dio del Pentateuco, 2 1 s., 13 0 , 284 s. nel Deuteronomio, 2 3 4 -2 3 6 , 243 s.
Dio del Sinai, 12 4 s., 14 8 -16 4 , 2 8 1 s. nel Pentateuco, 17 -2 0 , 53 s.
Dio dell’ alleanza, 62, 86-88, 1 5 1 - 1 5 3 , 1 5 4 e leggi, 1 6 s.
s., 2 3 7 s. Noè, 20, 72.-76, 89, 1 3 2
Dio della promessa, 6 1, 8 1 , 86, 87 s., 9 1
Dio dell’esodo, 12 0 -14 3 Origene, 263
Dio guerriero, 1 2 , 1 4 2 , 1 0 3 , 205
Dio legislatore, 22, 1 5 7 - 1 5 9 , 1 6 1 parenesi, 1 7 7 , 19 6 , 2 3 4 , 24 2, 243 s.
Dio sovrano, 67 s., 1 2 2 - 1 2 4 , 2 3 2 , 245 s. pasqua, 1 3 6 - 1 3 8 , 209 s., 2 5 2 s.
nome, 1 2 0 - 1 2 2 Pentateuco
Jehovista, 37 , r68 aspetti letterari, 19 s., 27 s.
e Bibbia, 2 8 7 -2 9 7
ieggenda/Ieggendario, 18, 22, 2 5 , 39 composizione, 266-286
leggi datazione, 3 5 , 53 s.
apodittiche e casuistiche, 16 0 nomi, 1 5 s.
nell’Esodo, 1 0 8 - 1 1 0 suddivisione in libri, 1 5 s., 29, 266 s.
e narrazioni, 16 s. teologia, 19 , 54
nel Nuovo Testamento, 294 s. persiano, documento imperiale, 28 2
origine e significato, 20, 1 5 7 s. piaghe, 1 3 3 - 1 3 6
di purità rituale, 18 9 -19 4 , 2 5 1 «piccolocredo storico», 39 s., 9 9 , 1 0 8 , 1 1 8 s.
sui sacrifici e le offerte, 18 2 -18 8 1 5 8 , 2 9 1 s.
di santità, 20, 46, 1 7 9 - 1 8 1 , 19 5 -1 9 9 poetici, testi, 19 s.
e santuario, 1 7 3 primogeniti, 1 2 1 s., 1 3 6 s., 14 0 , 2 5 1
tavole, 17 0 s., 24 7 s. privilegio, diritto di, 2 0 , 1 5 7 , 1 7 0 , 2 73
lettore promesse, 8 1 s., 280 -282, 295 s.
implicito, 50
reale, 50 Qadesh (Barnea), 14 9 , z ì i , 2 1 3 - 2 1 6 , 1 4 0
Memepta, 1 1 6 ripetizioni, 27
metodi rito di passaggio, 188
storico-critici, 52, 2 25
critica letteraria, 3 3 -3 8 , 2 2 5 -2 2 7 sabato, 66, 1 6 2 s., 1 7 1 s., 19 8
critica della forma, 38-40, 2 2 7 s. Sacerdotale, scritto, 2 7 s., 5 3 , 1 7 2 s., 204
critica della redazione, 228 s. 2 7 6 -2 7 9 ; v. fonti
critica della tradizione, 38-40, 2 2 7 s. santuario, 16 7 -16 9 , 1 7 1 - 1 7 4 , 278 s.
letterari, 52 s., 225 Simlai (rabbi), 19 0
narrativo, 4 9 -5 1 Sinai/Horeb, 1 4 8 -1 5 0 , 1 7 6 , 20 2, 2 0 3 -2 10
retorico, 47-49, 229 s. 273
semiotico, 5 1 s., 229 s. sincronico, studio, 46, 54
mito, 18 , 25 storia/storiografia
Mosè nella Genesi, 59 -6 1
autore della Torà, 3 1 s., 33 s. nell’Esodo, 1 1 2 - 1 1 9 , 16 6 s., 2 7 2 s.
biografìa, 24 s., 1 2 7 s., 263 nei Numeri, 2 0 1 s.
intercessore, 24, 16 8 s., 2 1 3 s., 2 4 7 s. nei Deuteronomio, 2 3 6 s.
mediatore, 24, 1 4 5 -14 8 , 244 s. origini, 60, 62-78, 2 7 0 s.
Indice analitico 301
A N T IC O T E S T A M E N T O
2 Samuele 16 ,5 9 -6 3 : 293 1 1 4 ,5 : 14 2
6,2 1 : 2 38 3 7 ,5 -14 : 1 3 6 1 1 9 : 2 8 7 , 294
7,6 -7: 1 7 3 4 5 ,1 8 - 4 6 ,1 5 : 220 12 4 ,3 -6 : 14 2
7 ,8 -16 : 1 5 2 4 5 ,1 8 -2 5 : 13 8 13 6 : 2 5 8 , 290
2 4 ,1 3 - 1 5 : 260 1 3 9 , 1 3 - 1 5 : 2-90
Osea
1 Re 1 ,9 - 1 5 3 Giobbe
1 ,1 : 92 2,4: 2 5 7 38: 349
2 ,1 - 1 0 : 2 6 2 2 ,1 7 : 2 7 2
5 ,2 7 -3 2 : 1 1 6 2 ,1 6 - 1 7 : 2 7 3 Proverbi
6 ,1: 1 1 7 4,2: 2 5 6 , 294 2 ,16 : 10 2
8 ,2 1: 293 I I ,l: 272 5,3: 10 2
8,43-60: 1 3 6 1 2 ,1 0 : 1 2 4 , 2 7 2 , 2 9 2 5 ,2 0 :1 0 2
9 ,15 -2 6 : 1 1 6 1 2 ,1 4 : 2 7 2 6,24-26: 10 2
12 ,2 6 -3 3 : 16 9 , 254 13 ,4 : 1 2 4 , 2 9 2 8 ,2 2 -3 1: 290
2 Re Amos Sapienza
19 ,1 9 : 1 3 6 2 ,10 : 2 7 3 16 ,5 -7 : 2 1 7
2 1,2 3 -2 4 : 2 3 1 4 ,6 - 1 1 : 260
2 2 -2 3 : 2 3 1 , 2 3 3 7 , i 3 : 2-54 Siracide
22: 3 5 , 225 2 4 ,2 3 -2 9 : 2 8 7
i 3 >i- 3 : 2-93 Abacuc 4 4 ,1 -4 6 ,1 2 : 2 1
23,4-20 : 3 5 , 2 2 5 3: 14 3
2 3 ,2 1 -2 3 : 1 3 8 , 2 5 2 3,3: 15 0 Esdra
3,2: 283
Isaia Malachia 7 ,1-8 : 283
6 :17 9 3,2 2 -2 4 : 28 8 , 289 7 ,12 -2 6 : 2 8 2
6,3: 1 7 3
7 -8 :13 6 Salmi Neemia
4 0 -55: 14 4 1 ,1 - 3 : 289 8 ,1-18 : 283
4 3 , 1 1 - 1 2 : 29 2 8: 290 8 ,1: 1 5
4 3 ,1 4 - 2 1 : 2 9 2 8,6-7: 69, 2 9 1 9: 1 1 9
4 9,7: 29 2 19 :2 9 4
49,26: 292 19 ,2 : 1 7 3 1 Cronache
5 1 , 7 : 2-93 29: 1 5 6 16 ,20 : 290
5 4 ,7 -10 : 293 3 7 ,3 1 : 293 16,40: 290
56-66: 290 40,9: 293 2 2 ,1 2 : 290
66,6: 1 4 2
Geremia 68,9: 1 2 4 , 1 5 0 2 Cronache
2,2-3: 2 7 3 69,2-3: 1 4 2 6 ,i 6: 290
3,8: 2 5 7 6 9 ,15 -16 : 1 4 2 1 2 ,1 : 290
7,9 ■ 2-94 7 4 - 143 17 ,9 : 290
1 4 ,1 2 : 260 7 4 ,1 3 : 1 4 2 1 9 , 1 5 SS.: 2 5 5
1 4 ,2 1 : 293 7 4 >I 5 : 2 3 ,1 8 : 290
2 1,9 : 260 7 7 :1 4 3 25,4: 290
28: 2 3 1 7 7 ,1 2 - 2 1 : 2 9 2 3 0 ,16 : 290
3 1 , 3 1 - 3 4 : 293 7 8 ,4 3 -5 1 : 1 3 4 3 1 ,3 : 290
3 2 ,1 6 - 2 5 : 2 5 8 89: 1 4 3 , 1 5 2 3 1,4 : 290
3 4 ,1 8 : 1 5 5 9 0 ,10 : 25 33 ,8 : 290
36: 2 3 1 1 0 5 ,6 - 1 1 : 293 3 4 ,1 3 : 290
4 4 ,2 9 -3 °: 1 3 6 1 0 5 ,2 7 -3 6 : 1 3 4 3 4 ,1 4 : 1 5 , 290
10 6 ,40 -46 : 293 3 4 ,1 5 - 3 1 : 290
Ezechiele 1 1 1 , 2 - 5 : 293 3 5 ,1 2 : 290
7 ,1 5 : 260 1 1 4 , 3 '- 14 2. 35 ,2 6 : 290
N U O V O TESTA M EN TO
7 Sommario
9 Prefazione
ii Premessa
13 Abbreviazioni e sigle
Capitolo 1
15 Caratteristiche del Pentateuco
15 1. Nomi
16 2. Narrazioni e leggi
17 a) La narrazione biblica
20 b) Le leggi
20 3 . 1 personaggi
21 a) Jahvé
22 b) Abramo
23 c) Giacobbe/Israele
23 d) Mosè
24 4. Tempo e spazio
*5 a) La dimensione temporale
2-5 b) La dimensione spaziale
27 5. Problemi specifici
27 a) Doppioni e ripetizioni
27 b) Linguaggio, stile e teologia
28 c) Tetrateuco, Pentateuco, Esateuco ed Ennateuco
29 Bibliografia
Capitolo 11
3i L’interpretazione del Pentateuco
31 1. Periodo precritico
32 2. Studi storico-critici classici
33 a) Critica letteraria
38 b) Critica della forma e della tradizione:
Hermann Gunkel, Gerhard von Rad e Martin Noth
41 3. Studi storico-critici recenti
42 a) Un nuovo modello di ipotesi dei frammenti?
Rolf Rendtorff ed Erhard Blum
44 b) Un nuovo modello di ipotesi dei complementi?
Hans Heinrich Schmid, Martin Rose e John Van Seters
45 c) Combinazione tra l’ipotesi documentaria
e le ipotesi dei frammenti e dei complementi: Erich Zenger
45 d) Corpi giuridici e strati narrativi: Eckart Otto
312 Indice del volume
46 4. Studi letterari
47 a) Il metodo retorico
49 b) Il metodo narrativo
5i c) Il metodo semiotico
52. 5. Bilancio e intenti
55 Bibliografia
C ap ito lo in
56 Il libro della Genesi
56 I. Introduzione
56 1. Racconti, genealogie e formule tòledòt
59 2. Sfondo storico e sociale
61 3. Teologia
62 4. Struttura e divisioni
62 II. «Storia delle origini» ( 1 ,1 - 1 1 ,2 6 )
63 1. Elementi formali e tematici
64 2. Tóledót dei cieli e della terra (1,1-4 ,2 6 )
64 a) Creazione e peccato originale (1-3)
69 b ) Caino e Abele. Cainiti e setiti (4)
71 3. Tuledót di Adamo (5,1-6,8)
71 a) Dieci generazioni (5)
72 b) Unione tra gli «esseri divini» e gli umani (6,1-8)
72 4. T6ledót di Noè (6,9-9,29)
72 a) Diluvio, benedizione e alleanza (6,9-9,17)
76 b ) Maledizione di Canaan (9,18-29 )
77 5. Tóledòt dei figli di Noè ( 1 0 ,1 - 1 1 ,9 )
77 a) Elenco delle nazioni (ro)
77 b ) La torre di Babele ( 1 1 ,1 - 9 )
78 6. Tóledót di Sem ( 1 1 ,10 -2 6 )
79 in. «Storia dei patriarchi» (11,27-50,26)
79 1. Racconti, itinerari e promesse
82 2. Tóledót di Terah. Storia di Abramo
( 11,2 7 -2 5 ,11)
83 a) Introduzione ( 1 1 ,2 7 - 3 2 )
84 b) Un itinerario singolare ( 1 2 ,1 - 2 2 ,1 9 )
91 c) Conclusione ( 2 2 ,2 0 -2 5 ,11)
92 3. Tóledót di Ismaele ( 2 5 ,12 -18 )
93 4. Tóledót di Isacco. Storia di Giacobbe
(2 5 ,19 -3 5 ,2 9 )
94 a) Giacobbe a Canaan. Fuga a Harran
( 2 5 ,2 1 -3 4 ; 27-28 )
95 b) Giacobbe a Harran. Fuga a Canaan (2 9 ,1-3 2 ,3 )
97 c) Incontro di Giacobbe con Esaù
e permanenza a Canaan (32,4-3 5,29)
99 5. Tòledót di Esaù/Edom ( 3 6 ,1 - 3 7 ,1 )
100 6. Tòledòt di Giacobbe. Storia di Giuseppe (37,2 -50 ,2 6 )
101 a) Storia di Giuseppe (37; 39 -4 5)
104 b) Giacobbe/Israele in Egitto (46-50)
106 Bibliografia
Indice del volume 313
Capitolo IV
io8 Il libro dell’Esodo
108 1. Introduzione
108 1. Tratti letterari
108 a) Racconti e leggi
IIO b) Struttura e divisioni
112 2. Sfondo storico e sociale
114 a) Affidabilità dei dati biblici
II? b) Storicità di Mosè
Il8 c) L’esodo e il Sinai
120 3. Questioni teologiche
120 a) Qual è il suo nome? Jhwh, il Dio che salva
122 b) Chi è Jahvé? Conoscenza e sovranità di Jhwh
124 c) Relazione tra il Dio dell’esodo e il Dio del Sinai
125 11. L’uscita dall’Egitto (1,1-15,21)
I25 1. Progetti del faraone e di Jahvé
di fronte all’oppressione d’Israele (1,1-7,7)
126 a) L’oppressione d’Israele in Egitto (1)
127 b) Nascita e giovinezza di Mosè. Fuga in Madian (2)
129 c) Piano divino di salvezza (3-4)
I3I d) Rifiuto e conferma del piano divino (5,1-7,7)
133 2. Scontro tra Jahvé e il faraone (7,8-11,10)
133 a) Il racconto delle piaghe (7,14-11,10)
135 b) Le «piaghe» nelle tradizioni profetiche
e deuteronomico-deuteronomiste
136 3. Liberazione d’Israele (12,1-15,21)
137 a) La pasqua (12,1-14.21-28.43-50)
139 b) Gli azzimi (12,15-20; 13,3-10)
139 c) I primogeniti (13,1-2.11-16 )
I40 d) Il racconto del mare (14,1-31)
143 é) Il cantico del mare (15,1-21)
144 4. L ’esodo, paradigma permanente
145 in. Dal mare al Sinai (15,22-18,27)
145 1. Elementi e struttura
I46 2. Acqua, manna e quaglie (15,22-17,7)
146 a) Le acque di Mara (15,22-27)
146 b) La manna e le quaglie (16)
147 c) L’acqua dalla roccia (17,1-7)
147 3. Sconfitta di Amalek (17,8-16)
147 4. Incontro di Mosè e Israele con Ietro (18)
148 iv. Sul Sinai (19-40)
148 1 . 1 monti sacri
I 50 2. Alleanza, teofania e legge (19,1-24,11)
151 a) L’alleanza (19,3-8; 2 4 ,1-11)
156 b) La teofania (19,10-25; 20,18-21)
157 c) La legge
167 3. Il santuario, il vitello d’oro e l’alleanza (24,12-40,38)
169 a) Il vitello d’oro e l’alleanza (32-34)
171 b) Il santuario (25-31; 35-40)
174 Bibliografia
3M Indice del volume
Capitolo V
ij6 Il libro del Levitico
1 76 I. Introduzione
176 1. Tratti letterari
176 a) Leggi, racconti, parenesi e formule introduttive
178 b) Struttura
178 2. Prospettiva storico-sociale
1 79 3. Concezione teologica
182, II. Legge sui sacrifici e sulle offerte (1-7)
182 1. Principi di base e strutturazione
183 2. Olocausti, offerte vegetali e sacrifici di comunione (1-3)
184 a) Olocausto (1,2-17)
184 b) Offerta vegetale (2,1-16)
185 c) Sacrificio di comunione (3)
185 3. Sacrifìci di purificazione e di riparazione (4-5)
185 a) Sacrifìci di purificazione (4,1-5,13)
18 6 b) Sacrifici di riparazione (5,14-26)
187 4. Leggi e istruzioni complementari (6-7)
187 hi. Consacrazione sacerdotale. Primi sacrifici e offerte (8-10)
189 iv. Legge di purità rituale (11-15)
189 1. Elementi formali e tematici
190 2. Animali puri e impuri (11)
19 1 3. Persone pure e impure (12-15)
192 a) Impurità e purificazione della puerpera (12)
193 b) Malattie cutanee e infezioni su abiti ed edifìci (13-14)
193 c) Secrezioni corporee (15)
194 v. Il giorno dell’espiazione (16)
195 vi. Legge di santità (17-26)
195 1. Stato della questione
196 2. Elementi e struttura
198 3. Chiave teologica
1 99 Bibliografìa
Capitolo vi
201 Il libro dei Numeri
201 1. Introduzione
201 1 . 1 brani e il loro montaggio letterario
202 2. Sfondo storico
203 3. Tratti teologici
203 11. Nel deserto del Sinai.
Preparativi per la marcia (1,1-10,10)
204 1. Censimento e organizzazione degli israeliti (1-4)
205 a) Censimento delle tribù (1)
205 b) Disposizione dell’accampamento (2)
206 c) Organizzazione e censimento della tribù di Levi (3-4)
207 2. Leggi diverse e benedizione sacerdotale (5-6)
208 3. Offerte dei capi e norme per i leviti (7-8)
209 4. Celebrazione della pasqua
e ultimi preparativi prima della marcia (9,1-10,10)
Indice del volume 315
210 ih . Dal deserto del Sinai alle steppe di Moab (10 ,11-21,35)
210 1. Gli elementi e loro struttura
211 2. Dal Sinai al deserto di Paran (10 ,11-12 ,16 )
2 11 a) Partenza d’ai deserto del Sinai (10,11-36)
212 b) Prime difficoltà (11-12)
213 3. A Qadesh e dintorni (13,1-20,13)
213 a) Gli esploratori della terra (13-14)
214 b) Leggi per vivere nella terra promessa (15)
215 c) Diritti e doveri dei sacerdoti e dei leviti (16-18)
215 d) Impurità e morte: la legge della giovenca rossa (19)
215 e) Morte e acqua (20,1-13)
216 4. Da Qadesh sino alle steppe di Moab (20,14-21,35)
217 iv. Nelle steppe di Moab (22-36)
218 1. Balaam e Baal-Peor (22-25)
218 a) La pericope di Balaam (22-24)
219 b) L’incidente di Baal-Peor (25)
219 2. Disposizioni relative al possesso della terra (26-31)
221 3. Prime occupazioni e ultime disposizioni (32-36)
222 Bibliografia
Capitolo vii
224 Il libro del Deuteronomio
224 1. Storia della ricerca
225 1. Studi storico-critici
225 a) Critica letteraria
227 b) Critica della forma e della tradizione:
Heinrich August Klostermann e Gerhard von Rad
228 c) Critica della redazione:
Martin Noth, Georges Minette de Tillesse e Gottfried Seitz
229 2. Studi letterari:
Norbert Lohfink, Robert M. Polzin e Timothy A. Lenchak
230 3. Origine e autore del Deuteronomio
230 a) Origine settentrionale:
Adam C. Welch, Gerhard von Rad ed Ernest W. Nicholson
231 b) Origine gerosolimitana:
Ronald E. Clements, Moshe Weinfeld e Rainer Albertz
231 4. Il Deuteronomio e i trattati d’alleanza
232 5. Deuteronomio, Esateuco e Pentateuco: Eckart Otto
233 6. Bilancio
234 11. Introduzione
234 1. Tratti letterari
234 a) Forme di base
2 35 b) Struttura e divisioni
236 2. Sfondo storico e sociale
237 3. Teologia
2-39 ni. «Queste sono le parole».
Primo discorso di Mosè (1,1-4,43)
240 1. Introduzione (1,1-5)
240 2. Dal Horeb a Moab. Sguardo retrospettivo (1,6-3,29)
241 3. Sguardo in prospettiva verso la terra promessa (4,1-40)
3i 6 Indice dei volume
Capitolo vili
266 Composizione del Pentateuco
2 66 1. Prospettiva sincronica
270 2. Prospettiva diacronica
270 a) Passi preesilici indipendenti
275 b) Redazioni deuteronomiste
e scritto Sacerdotale
279 c) Composizione del Pentateuco
285 Bibliografia
Capitolo ix
287 Il Pentateuco e la Bibbia
287 1. Presupposti ermeneutici
288 2. La Torà e la Bibbia ebraica
Indice del volume 3 T7
Si 03 / € 25,30
9 788839 «06958
ISBN 88.394.0695.6