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RINASCIMENTALI
gh
LODOVICO DOLCE
DIALOGO
DIALOGO DEL MODO DI ACCRESCERE E CONSERVAR LA MEMORIA
DEL MODO
DI ACCRESCERE
E CONSERVAR
LA MEMORIA
a cura di
ANDREA TORRE
EDIZIONI
DELLA
NORMALE
SCUOLA NORMALE SUPERIORE
PISA 2001
gh
I
VI A. TORRE
TESTI E SAGGI
RINASCIMENTALI
SCUOLA NORMALE SUPERIORE
PISA
I
Collana diretta da
LINA BOLZONI
VI A. TORRE
LODOVICO DOLCE
DIALOGO
DEL MODO
DI ACCRESCERE
E CONSERVAR
LA MEMORIA
a cura di
ANDREA TORRE
ISBN 88-7642-103-3
Pubblicazione realizzata con fondi del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, nell'ambito
del programma Il sogno nella letteratura italiana del Rinascimento: studio delle tipologie e delle funzioni e costruzione di
un archivio informatico di parole e immagini.
DIVENIRE MEMORIA V
PREMESSA
Lina Bolzoni
VI A. TORRE
DIVENIRE MEMORIA VII
a Luigi e Andrea
DIVENIRE MEMORIA IX
DIVENIRE MEMORIA
Egli si vede non rade volte avenire, nobilissimo Messer Giacomo, che per
difetto della natura, liberale a pochissimi delle sue grazie, o di altro impedi-
mento, che sia in noi, molti huomini prudenti e in qualche studio di lettere
esercitati, non possono i loro concetti, sì come essi gli hanno nell’intelletto,
così di fuor con la lingua esprimere perfettamente. La qual cosa, sì come è
compassionevole, così veramente è degna di scusa. Ma coloro i quali da folle
licenza mossi hanno ardimento di mandare a gli inchiostri le loro invenzioni,
senza ordine et ornamento, e senza sapere con qualche piacevolezza dilettare
l’animo di chi legge, sono sempre stati e debbono meritamente esser ripresi.
Il che se è difficile (ché nel vero esser si vede) molto più è da credere, che
difficile cosa sia lo esprimere o con parole, o con inchiostro i concetti d’al-
trui, di maniera che non si offenda né l’intelletto di chi gli legge, né l’orecchie
di chi gli ascolta; percioché fa di mestiero che noi quasi un’altra lingua e quasi
(se far si può) un’altra natura prendiamo. Non è dunque di sì poca importan-
za, come alcuni stimano, l’officio di tradurre un libro d’una lingua in un’altra
in modo che si possa comportevolmente leggere1.
Desidero ringraziare Lina Bolzoni per i preziosi consigli che hanno reso possi-
bile la realizzazione di questo libro e Paola Barocchi per averlo accolto tra le
pubblicazioni della Scuola Normale. Questo lavoro nasce nel dialogo curioso e
complice con Stefano Tomassini.
1
Thyeste. Tragedia di messer Lodovico Dolce tratta da Seneca, Venezia,
Giolito 1547, lettera prefatoria «al Magnifico Messer Giacomo Barbo» [corsivi
miei].
2
La prima e tuttora più completa fonte di notizie biografiche su Lodovico
Dolce è E.A. CICOGNA, Memoria intorno la vita e gli scritti di messer Lodovico Dolce,
in «Memorie dell’I.R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», XI, 1862, 93-200.
Contributi più recenti, e tra loro differenti per tenore critico e finalità d’indagine,
ci sono stati offerti da: C. DI FILIPPO BAREGGI, Il Mestiere di Scrivere. Lavoro
X A. TORRE
Onde il DOLCE merita ogni lode in aver seguito la strada de’ Moderni,
ponendovi per entro alcune coselle di suo, per farla parer più vaga senza
obligarsi alle parole, non avendo in pensiero, come egli stesso afferma nel
principio del Libro, di far una semplice traduzione, essendo malagevol cosa
ridurre una Lingua in un’altra di parola in parola, senza accrescimento, o
diminuzione3.
4
G. RUSCELLI, Tre discorsi a Messer Lodovico Dolce, Venezia, Plinio
Pietrasanta 1553, 47-48; per la questione del commento all’Orlando furioso si
veda D. JAVITCH, Ariosto classico. La canonizzazione dell’Orlando furioso, trad. it.
Milano, Bruno Mondadori 1999, 92.
5
La citazione è tratta dalla voce Dolce, Lodovico, nella Historia delle Vite
de’ Poeti Italiani di Alessandro Zilioli, [Biblioteca Marciana Venezia, Ms. Ital., X,
118]. Sul problema della traduzione nel Cinquecento si vedano: W. ROMANI,
Lodovico Castelvetro e il problema del tradurre, in «Lettere italiane», XVIII, 1966,
152-179; B. GUTHMÜLLER, Fausto da Longiano e il problema del tradurre, in
«Quaderni Veneti», XII, 1990, 9-56.
6
Dolce giustifica così nella dedica «al molto Honorato e Virtuoso Messer
Angelo de’ Motti» l’accostamento delle epistole di Pico della Mirandola, Ermolao
Barbaro, Marsilio Ficino e Angelo Poliziano a quelle di Plinio il Giovane e del
Petrarca nella da lui curata raccolta di Epistole di G. Plinio, di Messer Francesco
Petrarca, del Signor Pico della Mirandola et d’altri eccellentissimi huomini, tradotte
per messer Lodovico Dolce, Venezia, Giolito 1548. Queste parole, che sembrano
evocare l’ormai prossima querelle fra Antichi e Moderni (su cui si veda J.A.
MARAVALL, Antiguos y Modernos. Visión de la historia e idea de progreso hasta el
Renacimiento, Madrid, Alianza Editorial 1986), sono seguite da una delle molte
prese di posizione dolciane a favore della traduzione: «Né penso che alcuno mi
debba recare a biasimo, perché io abbia posto le mani nelle cose del Petrarca,
padre e prencipe della polita Lingua Thoscana; sapendosi che le sue epistole
sono piene di dottrina, e di nobilissimi precetti morali, ma scritte (colpa di
quella rozza età) in così barbara lingua, che da pochissimi sono lette; né possono
elle per la mia traduzione perdere tanto, che non risplenda in esse alcun lume
del Divino ingegno e della mirabile eloquenza di cotale huomo in qualche parte
per aventura più chiaro, che non fa nel Latino».
7
Cfr. Dialogo dell’Oratore di Cicerone, tradotto per Messer Lodovico Dolce,
Venezia, Giolito 1547, cc. iiir-iiiiv: «Dall’altra parte considerando l’utile che
XII A. TORRE
dalla lezione di questo libro può venire a infiniti huomini, a i quali per qual si
voglia difetto è tolto di poter sentir ragionare Cicerone nella sua lingua (…);
dandomi a credere che se la traduzione non sarà di quella perfezione che si
converrebbe a sì degna opera, almeno si debbano trovare in lei due parti neces-
sarie: le quali sono (se non m’inganno) chiarezza ne i sensi e facilità nello stile, cosa
che io veggo fin qui in molte traduzioni desiderarsi. Con tutto ciò non sono io
cotanto arrogante che io presumi di avere non dirò espressa ma neppure in parte
alcuna addombrata la divina immagine di Cicerone (…); et ancho perché i
colori della nostra lingua non sono per aventura bastanti a questo ritratto. (…)
A quegli veramente che, come io odo, prendono disdegno che sì fruttuose vigilie
del Principe de gli oratori Latini siano fatte communi a tutta Italia, affermando
la mia essere fatica inutile e vana, rispondo che, serbandosi nelle traduzioni i
medesimi concetti, ragionevolmente ne segue che ’l medesimo profitto se ne
possa trarre in tutte le lingue, e tanto più nella regolata Thoscana, quando ella
è men corrotta e più ricca delle altre Italiane e Barbare. Là onde se bene alcuni
di questi tali ha doppo lunghi sudori appresa a gran pena qualche poca cogni-
zione d’alcuna parte di questo Dialogo, non però dovrebbe egli portare invidia
al ben commune, cioè che altri con poca fatica (mercè d’un bello intelletto) in
brieve tempo ne potessero intendere altretanto e più di lui» [corsivi miei].
8
Tutte le citazioni sono tratte dalla lettera «Ai Lettori» con cui il Dolce
introduce l’edizione da lui curata de L’Amadigi del signor Bernardo Tasso, Venezia,
Giolito 1560. Particolarmente significativo è un passo della lettera in cui il Dolce,
descrivendo il procedimento compositivo seguito da Bernardo Tasso, sembra
offrirci di riflesso un’immagine di se stesso impegnato nell’«officio di tradurre»:
«È ben vero che avendo il signor Tasso la invenzione col mezo di molte belle favole
trovate dal suo felicissimo ingegno, e con la disposizione, e con l’arte, ristringendo,
allargando, mutando, fatta di comune propria e sua particolare, non s’è obbligato
ad alcune cose che piacquero all’Ariosto, come di serbare la moralità ne’ principii
di ciascun canto, ma quelli è ito variando per maggior vaghezza».
DIVENIRE MEMORIA XIII
9
L. DOLCE, Somma di tutta la natural filosofia di Aristotele, Venezia, Sessa
1565 (anche in questo caso il passo appartiene alla lettera introduttiva del Dolce
«Ai Lettori»).
10
Dalla minuziosa analisi critica, che Claudia Di Filippo Bareggi condu-
ce, dell’universo editoriale veneziano nel Cinquecento emerge con definitiva
chiarezza l’oggettivo primato della produzione dolciana: in 36 anni di lavoro,
al servizio di pressoché tutte le tipografie della Laguna, Dolce diede alla luce ben
358 opere (96 originali, 202 lavori di edizione, 54 traduzioni e 6 traduzioni-
edizioni), fra le quali 263 si possono ascrivere al settore letterario e 29 a quello
storico, 25 sono invece i testi di interesse linguistico, 24 appartengono al ramo
della trattatistica, e infine 11 sono le opere esoteriche, 5 quelle filosofiche e una
sola d’argomento religioso. Differenziata fu chiaramente la distribuzione di
queste opere nel corso complessivo dell’attività del Dolce, così come sensibil-
mente differente per stagione fu la sua collaborazione con gli stampatori vene-
ziani, a testimonianza del fatto che il nostro autore fu attentissimo a cogliere
ogni cambiamento nei gusti del pubblico del tempo e particolarmente avvertito
nel leggere i rapporti di forza caratterizzanti il variabile mercato editoriale della
Repubblica (cfr. C. DI FILIPPO BAREGGI, Il Mestiere di Scrivere. Lavoro intellet-
tuale e mercato librario a Venezia nel Cinquecento, ed. cit., 58-60 e 323-327).
11
Dalla questione della lingua, in cui intervenne teoricamente, con I
quattro libri delle Osservationi Grammaticali, e praticamente, con la summa di
esempi intitolata Modi affigurati e voci scelte et eleganti della volgar lingua, ai
molti dibattiti proprî di una critica letteraria, che in Italia s’inaugurò nel 1535
proprio con La poetica d’Horatio, tradotta per Messer Lodovico Dolce; dalla dia-
lettica concernente la morfologia del genere tragico rinascimentale, a cui prese
parte con traduzioni e opere originali, alla querelle divampata intorno all’Orlan-
do furioso e più in generale intorno al rapporto fra epica classica e romanzo
moderno, querelle a cui prese parte con interventi critici [Orlando furioso di
Messer Ludovico Ariosto (…). Con una breve apologia di Messer Lodovico Dolcio
contra i detrattori dell’autore, Cravoto, Torino 1536; Orlando furioso di Messer
Ludovico Ariosto (…). Con una brieve dimostrazione di molte comparazioni et
XIV A. TORRE
stampa e la nascita dell’età moderna, trad. it. Bologna, il Mulino 1995. Sulla
stampa «come fattore di mutamento» si vedano anche: M. MCLUHAN, La galas-
sia Gutenberg. Nascita dell’uomo tipografico, trad. it. Roma, Armando 1976; W.J.
ONG, Oralità e scrittura, trad. it. Bologna, il Mulino 1986; L. FEBVRE - H.J.
MARTIN, La nascita del libro, trad. it. Bari, Laterza 1988.
15
Questa nuova figura d’intellettuale, immersa in una vasta corrente di
rapporti (con la merce e con le persone), si serve del libro come mezzo di una
personale promozione sociale e culturale, e come strumento privilegiato per
intervenire nelle principali aree del dibattito culturale cinquecentesco. Cfr. A.
QUONDAM, “Mercantia d’onore, mercantia d’utile”, in Libri, editori e pubblico
nell’Europa moderna, a cura di A. Petrucci, Bari, Laterza 1977, 53-105; ID., Nel
giardino del Marcolini. Un editore veneziano tra Aretino e Doni, in «Giornale
storico della letteratura italiana», XCVII, 1980, 75-116; ID., Il letterato in tipo-
grafia, in Letteratura italiana, 2. Produzione e consumo, a cura di A. Asor Rosa,
Torino, Einaudi 1983, 555-686; nel caso specifico del Dolce si veda invece P.
TROVATO, Con ogni diligenza corretto. La stampa e le revisioni editoriali dei testi
letterari italiani (1400-1570), Bologna, il Mulino 1991, 209-240.
16
Memorabile resta, nell’edizione giolitina della Comedia dantesca da
Dolce curata nel 1555 (quella in cui per la prima volta e proprio per iniziativa
del nostro si stampò accanto al titolo l’attributo boccacciano ‘Divina’), l’allet-
tante quanto difficilmente credibile promessa, contenuta nella dedica al vesco-
vo Coriolano Martirano, di una revisione del testo sulla base di «uno esemplare
frascritto dal proprio scritto di mano del figliuolo di Dante, avuto dal dottissimo
giovane Messer Battista Amalteo». Meno eclatante ma ugualmente indicativo
dell’abilità imprenditoriale dolciana, nonché particolarmente suggestivo per la
catena di letture che sembra costruire, è l’invito che in chiusa alla Somma di tutta
la natural filosofia di Aristotele Dolce rivolge ai suoi lettori: «Non è da tacere che
sarà senza utile a chi leggerà questi libri [scil. le Somme di Aristotele] il leggere
altresì il nostro volumetto della memoria, percioché il profitto delle lezioni è il
ricordarsi e la natural memoria ha sempre bisogno di essere aiutata dall’arte che
l’accresce e ce la conserva. Né si può dire che sia nostro altro che quello ch’in essa
memoria conserviamo» (ed. cit., 98); considerando che entrambe le opere sono
state stampate dal Sessa, il Dolce sfrutta la contiguità tematica per proporre un
XVI A. TORRE
quantunque un tal carico sia così grande, e picciolissime le mie forze, potrà a me
per aventura avenir quello, che aviene talvolta a un mediocre Scultore, il quale
togliendo a scolpire in qualche bella pietra di porfido, o di serpentino, o pure
di alcun polito e candido marmo, benché il suo lavoro non sia molto perfetto,
ella è riguardevole per la rarità della materia in cui è intagliata. Così tale da ogni
sua parte è il soggetto di che ho preso a scrivere, che potrà da se medesimo di
gran lunga supplire alla debolezza del mio ingegno et alla bassezza del mio stilo;
né pur solamente supplire ma nobilitar l’uno e l’altro, e parimente destare i Faleti,
i Tassi, i Ruscelli, i Cari, et altri nobil Scrittori dell’età nostra a scriverne degnamen-
te» [corsivi miei].
20
Sull’arte della memoria, oltre ai classici saggi di Frances A. Yates e di
Paolo Rossi e al prezioso repertorio icono-bibliografico La Fabbrica del Pensiero.
Dall’arte della memoria alle neuroscienze, a cura di L. Bolzoni e P. Corsi, Milano,
Electa 1989, si vedano i recenti: Gedächtniskunst. Raum - Bild - Schrift. Studien
zur Mnemotechnik, a cura di A. Haverkamp e R. Lachmann, Frankfurt am
Main, Suhrkamp 1991; Mnemosyne. Formen und Funktionen der kulturellen
Erinnerung, Frankfurt am Main, Fischer 1991; La cultura della memoria, a cura
di L. Bolzoni e P. Corsi, Bologna, il Mulino 1992; Ars memorativa. Zur
kulturgeschichtlichen Bedeutung der Gedächtniskunst 1400-1750, a cura di J.J.
Berns e W. Neuber, Tübingen, Max Niemeyer Verlag 1993; L. BOLZONI, La
XVIII A. TORRE
stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età della stampa, Torino,
Einaudi 1995; Das enzyklopädische Gedächtnis der Frühen Neuzeit. Enzyklopädie-
und Lexikonartikel zur Mnemonik, a cura di J.J. Berns e W. Neuber, Tübingen,
Max Niemeyer Verlag 1998 (il volume è un’interessante antologia che raccoglie
testi di arte della memoria composti tra il XVI e il XVIII secolo); Memoria e
memorie. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Roma, Accademia dei
Lincei 18-19 maggio 1995, a cura di L. Bolzoni, V. Erlindo, M. Morelli, Firenze,
Olschki 1999; Seelenmaschinen. Gattungstraditionen, Funktionen und
Leistungsgrenzen der Mnemotechniken vom späten Mittelalter bis zum Beginn der
Moderne, a cura di J.J. Berns e W. Neuber, Wien, Buhlau 2000; S. HEIMANN-
S EELBACH , Ars und Scientia. Genese, Überlieferung und Funktionen der
mnemotechnischen Traktatliteratur im 15. Jahrhundert, Tübingen, Max Niemeyer
Verlag 2000.
21
Sui principali momenti della vita di Johannes Host si veda N. PAULUS,
Die deutschen Dominikaner im Kampfe gegen Luther (1518-1563), Freiburg,
Herder 1903, 134-153.
22
Ibidem, 139: «Dem Kölner Oberhirten rühmt Host nach, dab er, wie
kaum ein anderer, eifrigst bestrebt sei, seine Diözese von der Pest der Ketzerei rein
zu erhalten» [corsivo mio]. Sull’identificazione tra eresia e pestilenza si veda G.
FRAGNITO, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della
Scrittura (1471-1605), Bologna, il Mulino 1997, 114-115.
23
Host fu autore di opere teologico-catechistiche (Christliche Regell ueber
alle Gottes, Köln, apud Heronem Alopecium 1531; Determinatio miscellanea
Theologica quaestiones, Köln, apud Heronem Alopecium 1532; De idoneo verbi
Dei ministro, Köln, apud Heronem Alopecium 1532; Ratio confitendi omnibus
confessoribus simul ac poenitentibus perutilis ac scitu necessaria, Köln,Ioh. Dorstius
1532) e curò la pubblicazione di polemisti cattolici a lui contemporanei (Malleus
I. Fabri in haeresim Lutheranam, iam vehementiori studio et labore recognitus,
Köln, Quentel 1524; Enchiridion locorum communium adversus Lutheranus Ioanne
Eckio authore, Köln, s.i.t. 1525; Antilogiarum M. Lutheri Babylonia, per I. Fabri,
Köln, Quentel 1530; Farrago miscellaneorum Conradi Wimpinae a Fagis, Köln,
apud Io. Soterem 1531; Dionysii Carthusiani scalae religiosorum pentateuchus,
Köln, s.i.t. 1531; Ioannis Mensingi de Ecclesiae Christi sacerdotio libri duo, Köln,
Quentel 1532; Septem Psalmorum Poenitentialium pia atque non indocta enarratio
per Dionysium Carthus, Köln,s.i.t. 1532) e di testi Scolastici (Alberti Magni
Moralissima in Ethica Aristotelis commentaria, Venezia, Scotto 1520; Questiones
DIVENIRE MEMORIA XIX
Su ciò che io ho sofferto nei 25 anni trascorsi da quando sono stato nomina-
to predicatore per aver sempre riferito la Parola di Dio senza alcuna modifi-
ca, senza timore, forte e chiaro, potrei scrivere una tragedia (...) ci sono alcu-
ni che mi accusano di aver falsato la parola di Dio con le mie prediche; mi
definiscono “nemico della verità”, perché non ho approvato la condanna al
rogo di alcuni sospetti eretici. (...) Mi dovrei meravigliare molto più se non
avessi nemici, visto che combatto il male, non adulo nessuno, critico pubbli-
camente e privatamente i vizî degli uomini (...)25.
27
«Adhortari debeat Lutherus ut Ecclesiae primates a se et ab aliis, si quae
funesta labes fuerit, studiosissime abstergerent, ut avaritiam seponerent,
symoniam, superbiam, ambitionem, hypocrisin, gulam, luxuriam et id genus
pestes clerici vitarent, ut mundanis rebus non deservirent, sed ut haec vitia in
eis reformarentur (...) ut corruptelae et abusus a sanctuario Dei tollerentur (...)
Si haec hisque similia Lutherus docuisset, aestimo totus ei mundus fuisset
assensus. At quis laudare possit quod omnes vituperat, laicos alioqui clericis
infestos ad rapinas et sacrilegia provocat, et omnia pervertit et conturbat? (...)
Hoc tamen bonum ex illa haeresi spero Deus pro sua bonitate et omnipotentia
elicet, ut vita nostra secundum apostolica vestigia et antiquorum patrum
sanctorumque sanctiones reformetur, utque veterum statuta et piae ordinationes
quae pro nostra tepiditate ferme in abusum abierunt, reformentur, nec opus erit
novis, quia vetustae sanctissimae procul dubio existant»; il testo è una lettera
inviata da Host al vescovo di Colonia, in cui lo zelante domenicano rende conto
del proprio operato nella lotta contro i luterani. Cfr. N. PAULUS, Die deutschen
Dominikaner im Kampfe gegen Luther (1518-1563), ed. cit., 139n.
28
Per una più dettagliata trattazione di questo momento cruciale della
storia dell’Ordine domenicano si veda W. HINNEBUSCH, I domenicani, trad. it.
Milano, Ed. Paoline 1992.
29
In nome del potere taumaturgico che gli studî cabbalistici attribuivano
alla lingua ebraica, l’umanista tedesco Johannes Reuchlin (1455-1522) si era
opposto alla messa al bando dei testi talmudici, reclamata dall’ebreo convertito
DIVENIRE MEMORIA XXI
tare una sorta di prova generale per quella parte di ‘avvocato del-
l’ortodossia cattolica’ che il domenicano si trovò a impersonare lungo
tutta la vita, salvo poi esserne enigmaticamente spogliato da mor-
to30. La violenta disputa divampata su suolo tedesco tra l’ambiente
umanistico, solidale con Reuchlin, e i teologi domenicani della
Facoltà di Colonia offrì inoltre ad Host la possibilità di abbando-
nare l’officio di predicatore in patria e di essere collocato in una
sfera d’azione più diretta e avanzata: la ‘prima linea’ dell’azione
antiluterana di Host e della sua opera di riattivazione dell’insegna-
mento tomistico venne così ad essere l’Italia, dove si recò come
procuratore del suo superiore Hoogstraeten, e più specificamente
Venezia, centro culturale europeo distante, e consciamente indi-
pendente, dal mondo, di corte o di curia, italiano31.
36
Il carattere molteplice e multiforme del sapere rinascimentale contri-
buisce a trasformare l’arte della memoria, se non nell’aspetto tecnico almeno per
quanto riguarda il suo ruolo all’interno della cultura: quella che prima era una
struttura formale continuamente modificabile, diviene ora una costruzione
logico-metafisica organizzata su basi cosmologiche, alchemiche o più general-
mente magiche, una sorta di macchina universale che offre la chiave non solo
per comprendere e ricordare il reale ma anche per modificarlo partendo dal
presupposto che nella magia così come nell’ars memoriae è l’immaginazione a
governare i fantasmi (lo spirito pneumatico) che fanno da tramite fra il Soggetto
(soggetto psichico singolare o collettivo) e la Natura (animata e inanimata, il
corpo, la divinità). Sull’argomento si vedano: D.P. WALKER, Spiritual and Demonic
Magic from Ficino to Campanella, London, The Warburg Institute 1958; F.A.
YATES, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, trad. it. Bari, Laterza 1995; W.
WILDGEN, Das kosmische Gedächtnis, Frankfurt am Main, Peter Lang 1998.
37
Delineando un metodo incentrato sulla disposizione sistematica e or-
dinata delle nozioni, che sia in grado di portare alla luce l’unità profonda e le
leggi di connessione che si nascondono dietro la caotica molteplicità delle scien-
ze, Ramo prima, Bacone e Cartesio in seguito, hanno condotto, sia pure a prezzo
di una sostanziale trasfigurazione, nei quadri della logica moderna «l’antico
problema della memoria artificiale che aveva per oltre tre secoli appassionato
medici e filosofi, studiosi di retorica, enciclopedisti e cultori di magia naturale»:
contro una sterile memoria artificiale che si piegava a esibizionistici giochi
intellettuali o si era caricata di riferimenti magici essi proponevano una dottrina
«degli aiuti della memoria» che, solidamente fondata sul primato del principio
ordinatore dei luoghi, sostenesse i movimenti del ragionamento e presiedesse
alla conservazione delle conoscenze certe e dimostrate (cfr. P. ROSSI, Clavis
universalis. Arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Bologna,
il Mulino 19832, 155-197). Sul metodo ramista si vedano W. J. ONG, P. Ramous.
Method and the Decay of Dialogue. From the Art of Discourse to the Art of Reason,
Cambridge (Mass.), Harvard University Press 1958 e C. VASOLI, Dialettica e
retorica dell’Umanesimo. «Invenzione» e «metodo» nella cultura del XV e XVI
secolo, Milano, Feltrinelli 1968.
DIVENIRE MEMORIA XXV
38
I.P. COULIANO, Eros e magia nel Rinascimento, trad. it. Milano, il Saggiatore
1995, 284.
39
Su concetti come la «parola evocatrice» in Lutero o la «parola dipingen-
te» in Calvino si veda J.J. BERNS, Umrüstung der Mnemotechnik im Kontext von
Reformation und Gutenbergs Erfindung, in Ars memorativa. Zur kulturgeschicht-
lichen Bedeutung der Gedächtniskunst 1400-1750, ed. cit., 35-73.
XXVI A. TORRE
40
Per un’analisi del rapporto fra immaginazione e memoria nel pensiero
del fondatore dell’Ordine gesuitico si ricorra a: C. BOLOGNA, Esercizi di memo-
ria. Dal «theatro della sapientia» di Giulio Camillo agli «Esercizi Spirituali» di
Ignazio di Loyola, in La cultura della memoria, ed. cit., 169-222; P.H. KOLVENBACH,
Imàgenes e imaginaciòn en los Ejercicios Espirituales, in «Cis», 18, 1987, 200-
217; P.A. FABRE, Ignace de Loyola. Le lieu de l’image, Paris, Vrin 1992. Sull’ela-
borazione teorica e sull’applicazione pratica delle metodiche mnemotecniche
gesuitiche si vedano anche: J. D. SPENCE, Il Palazzo della memoria di Matteo
Ricci, trad. it. Milano, il Saggiatore 1987 e F.R. DE LA FLOR, Teatro de la memoria:
siete ensayos sobre mnemotecnia española de los siglos XVII y XVIII, Salamanca,
Junta de Castilla y Leon 1988.
41
Cfr. H. JEDIN, Genesi e portata del decreto tridentino sulla venerazione
delle immagini, in Chiesa della Fede, Chiesa della Storia, trad. it. Brescia,
Morcelliana 1972, 378: «Il decreto deve la sua esistenza senz’altro all’energia ed
alla tenacia, con la quale il capo dell’episcopato francese, il cardinale di Guisa,
in tutto il mese di novembre [1563], ma principalmente nella congregazione
decisiva del 28 dello stesso mese, insistette perché il concilio non chiudesse senza
aver emanato un responso definitivo sulla questione delle immagini, utilizzabile
nelle lotte confessionali divampanti in Francia. Esso si rivolge quindi in prima
linea contro il calvinismo colà dominante che aveva portato la questione al
centro dell’interesse, sul piano teoretico, durante il colloquio di religione di St.
Germain, ma soprattutto sul piano pratico a causa degli assalti iconoclastici».
Per i rapporti tra il decreto tridentino e le arti figurative si vedano anche P. PRODI,
Ricerca sulla teorica delle arti figurative nella Riforma cattolica, Bologna, Nuova
Alfa Editoriale 1984; M. BRUSATIN, Storia delle immagini, Torino, Einaudi 1989
e D. FREEDBERG, Il potere delle immagini, trad. it. Torino, Einaudi 1993.
42
M. ALBERTINO - G. DEL BENE, Confirmatione et stabilimento di tutti i
dogmi catholici, Venezia, s.i.t. 1555, c. 273r. Poco prima gli autori (due canonici
di Verona) avevano affermato che «le nostre Imagini devon’esser segni rimemorativi
DIVENIRE MEMORIA XXVII
principalmente della incarnazion del nostro Signor Giesù Christo» (c. 268v)
[corsivi miei].
43
TOMMASO D’AQUINO, Commentarium super libros sententiarum, lib. III,
dist. 9, art. 2, q. 2, (citato in D. FREEDBERG, The hidden god: image and interdiction
in the Netherlands in the sixteenth century, in «Art History», 5, 1982, 149, nota␣ 53).
44
Per una sistematica trattazione di questa corrente di pensiero, che fece
rifiorire il tomismo medioevale e che si svolse parallela a quelle promosse dalla
rinascita del platonismo, dell’aristotelismo (tanto averroistico quanto
alessandristico) e del naturalismo, si ricorra a C. GIACON, La Seconda Scolastica,
Milano, Bocca 1950 e a P. DI VONA, Studi sulla Scolastica della Controriforma,
Firenze, La Nuova Italia 1968.
XXVIII A. TORRE
45
Ricordando che il Congestorium fu scritto nel 1513 (ma ciò non è
determinante, essendo più significativa la data di pubblicazione), resta il fatto
che il primo attacco protestante – per la verità più iconofobico che iconoclastico
– contro le immagini risale al 1522, ad opera del luterano Carlostadio (Von
Abtuhung der Bilder); il testo suscita l’immediata reazione dei domenicani Emser,
Eck e Neudorfer (i primi due, autori di opusculi pubblicati nel 1522; il terzo,
di un testo sulla venerazione delle immagini come culto dei santi, pubblicato nel
1528), mentre è accolto più tiepidamente da Lutero, che non giungerà mai a
predicare la distruzione delle immagini pur vietandone l’adorazione. Meno
indifferente risulterà Zwingli, per il quale è necessaria una totale abolizione del
culto delle immagini così come l’Antico Testamento predicava contro il culto
materialistico-pagano degli idoli. Il più violento e sistematico attacco alle im-
magini sarà però quello di Calvino (Institutio, 1559), materializzatosi poi
nell’inarginabile caccia alle immagini che nei Paesi Bassi (1560-1566) porterà
alla distruzione di un imprecisabile numero di opere d’arte.
46
Sulla vitalità di tale indirizzo si veda L. DOLCE, I quattro libri delle
Osservationi Grammaticali, IV, Venezia, Giolito 1562, 189: «Simile al Poeta è
il Dipintore, percioché l’uno e l’altro è intento alla imitazione, dissimile in
questo: che l’uno imita con le parole e l’altro con i colori; quello per la maggior
parte cose che s’apprestano all’animo, e questo a gli occhi; (…) Nondimeno
perché i versi e le parole sono il pennello et i colori del Poeta, con che egli va
adombrando e dipingendo la tavola della sua invenzione, per fare un ritratto
cotanto maraviglioso della natura che ne stupiscono gli intelletti de gli huomini,
dee porre ogni suo principale studio e diligenza in comporgli tali, e con voci così
DIVENIRE MEMORIA XXIX
costante del suo agire tanto nel macrocosmo degli interventi che lo
videro protagonista nell’ambiente culturale veneziano, quanto nel
microcosmo delle modalità operative che contraddistinsero la sua
produzione letteraria. Di tale virtuosa relazione il Dialogo della me-
moria può essere una fedele cartina di tornasole in quanto, come si
tenterà di mostrare in seguito, proprio in nome dello scarto retori-
co dell’immagine sembrano instaurarsi interessanti riferimenti in-
crociati tra nuclei tematici presenti in più di un’opera dolciana e
suggestioni ispirate dalle caratteristiche e dalla natura della forma
dialogica scelta dall’autore per la sua riscrittura.
Al solido vincolo che fin dal mitico banchetto di Simonide
Melico unisce poesia, pittura e mnemonica in nome dell’intenso
potere della visione, e alla penna di chi come il Dolce stabilisce «a
sort of ideal conversation with the text he is translating»47 ben s’ad-
dice infatti una forma letteraria come il dialogo, inafferrabile nel
suo porsi sulla soglia che separa tra loro i generi come «un labile
confine esposto ad eterogenee frequentazioni, a differenti
attraversamenti»48. La molteplicità delle voci dialoganti riflette così
belle et appartinenti alla materia di che egli tratta, che ne riesca quel fine ricer-
cato e desiderato da chi legge, e senza il quale ogni sua fatica è posta e consumata
indarno».
47
R.H. TERPENING, Lodovico Dolce. Renaissance Man of Letters, ed. cit., 129.
Non una vera e propria monografia ma una raccolta di saggi che, pur soffermandosi
in particolare sulla produzione teatrale del Dolce, mirano a delineare l’esperienza
culturale dell’autore veneziano, il libro di Terpening si propone l’«overriding
goal» – peraltro solo superficialmente raggiunto – «of clarifying Dolce’s role in the
diffusion and expansion of culture in the cinquecento» (8), analizzando temi e
fonti di alcune sue opere, difendendo strenuamente l’autore dalla secolare accusa
di plagiatore di mediocre ingegno («Later critics seem to disparage Dolce, following
the example of Muratori and other earlier critics, often without having read the
works under discussion. It is ironic that so many critics accuse Dolce of plagiarism
when they themselves merely repeat what other have said, often using almost the
exact words and usually without acknowledgement», 174) e soprattutto insisten-
do sulla felicità dello stile e sulla indefessa volontà di giovare ai lettori, che agli
occhi di Terpening ne hanno fatto, più che un «operaio della letteratura», «the
master of those who know naught» (164).
48
N. ORDINE, Il dialogo cinquecentesco italiano tra diegesi e mimesi, in
«Studi e problemi di critica testuale», XXXVII, 1988, 155. A testimonianza del
rinnovato interesse critico su forme e fortuna del genere dialogico nel Cinque-
cento si vedano: J. R. SNYDER, Writing the Scene of Speaking. Theories of Dialogue
in the Late Italian Renaissance, Stanford, Stanford University Press 1989; R.
GIRARDI, La società del dialogo. Retorica e ideologia nella letteratura conviviale del
Cinquecento, Adriatica, Bari 1989; Il dialogo filosofico nel ’500 europeo. Atti del
convegno internazionale di studi, Milano, 28-30 maggio 1987, a cura di D.
XXX A. TORRE
52
Cfr. F. TATEO, Tradizione e realtà nell’Umanesimo italiano, Bari, Dedalo
1967, 236: «Il dialogo ciceroniano è alla base del genere dialogico della prima
fase del ’400, soprattutto per il tono eloquente che lo distingue, e viene seguito
più che nella cornice, più che nei dettagli strutturali, in certo procedimento
logico, più tipico del persuadere retorico, che del dimostrare filosofico».
53
M.S. SAPEGNO, Il trattato politico e utopico, in Letteratura italiana, 3. Le
forme del testo, II. La prosa, ed. cit., 973. Sul dialogo umanistico si veda anche
D. MARSH, The Quattrocento Dialogue. Classical Tradition and Humanistic
Innovation, Cambridge (Mass.), Harvard University Press 1980.
54
N. ORDINE, Il dialogo cinquecentesco italiano tra diegesi e mimesi, ed. cit., 167.
55
P. FLORIANI, Il dialogo e la corte nel primo Cinquecento, in La corte e il
“Cortegiano”, I. La scena del testo, a cura di C. Ossola, Roma, Bulzoni 1980, 95.
56
Cfr. T. TASSO, Dell’arte del dialogo, a cura di G. Baldassarri, in «La
Rassegna della letteratura italiana», serie VII, I-II, 1971, 134: «Abbiam dunque
che ’l dialogo sia imitazione di ragionamento fatto in prosa per giovamento degli
uomini civili e speculativi» (su Tasso teorico del dialogo si vedano F. PIGNATTI,
I «Dialoghi» di Torquato Tasso e la morfologia del dialogo cortigiano rinascimentale,
in «Studi Tassiani», XXXVI, 1988, 7-43 e G. BALDASSARRI, L’arte del dialogo in
Torquato Tasso, in «Studi Tassiani», XX, 1970, 5-46); cfr. anche F. PIGNATTI,
Introduzione a C. SIGONIO, Del dialogo, ed. cit., 43: «nell’imitazione dialogica
l’atto materiale del discorrere riconducubile ancora alla dimensione dramma-
tica dell’agire, svolgerà una funzione per così dire di involucro, all’interno della
quale la centralità sarà conquistata dalla sostanza intellettuale del pensiero e
dalle sue dinamiche ragionative. (...) se per il dialogo si vorrà parlare ancora di
azione, si tratterà ora di un’azione puramente speculativa e il linguaggio sarà,
aristotelicamente, la figura con cui questa si offre alla comunicazione degli
uomini».
XXXII A. TORRE
57
L. CSTELVETRO, Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta, I, 4, a cura di
W. Romani, Bari, Laterza 1978, I, 36.
58
Su questa struttura catechistica, propria soprattutto del dialogo
ciceroniano, si veda il saggio di G. POLARA, Quali itinerarî paralleli seguirono
Bloom e Stephen al ritorno?, in Il dialogo. Scambi e passaggi della parola, a cura di
G. Ferroni, Palermo, Sellerio 1985, 47-62.
59
Spesso le parole di Fabrizio sono la puntuale traduzione dei titoli
intercapitolari del testo latino. In altri casi essi fungono da fulmineo riassunto
DIVENIRE MEMORIA XXXIII
della materia appena esposta da Horazio, istantanee summae che, affidate alla
memoria, trattengono il nucleo della lezione seguita (la res memoranda senza
esemplificazioni e ornamenti) oppure si configurano come elemento attivatore
del processo di reminiscenza che riporterà alla mente del discepolo l’intera
lezione del maestro e anche il luogo, il tempo e l’occasione di quella lezione.
60
S. TOMASSINI, L’abbaino veneziano di un «operaio» senza fucina, in L.
DOLCE, Didone. Tragedia, a cura di S. Tomassini, Parma, Zara 1996, XII. Unica
effettiva assunzione di responsabilità critica, approfondita e senza compromessi,
nei confronti di Lodovico Dolce, questo studio rivela con vibrante lucidità la
predisposizione umana, le modalità operative e i riflessi culturali di una «fuga dal
centro della letteratura» verso l’«orizzonte dell’esperienza soggettiva» finalmente
dispiegata «nei loci interni di un’ordinata e polita pagina stampata» (X-XII).
61
Cfr. G. BENZONI, La forma dialogo: un’apertura con chiusura, in Crisi e
rinnovamenti nell’Autunno del Rinascimento a Venezia, a cura di V. Branca e C.
Ossola, Firenze, Olschki 1991, 23: «E, naturalmente, detto espositore, una
volta giunto al ’500, dovrebbe sostare a lungo per inventariare un’età in cui il
dialogo prolifera incontentabile, dilagante, debordante sino a sovrapporsi alla
trattatistica precedente, ora induttivamente ora deduttivamente, di definizione
in definizione, sino ad accamparsi – al posto di questa che resiste nell’ambito
universitario – quale trattatistica tout court. (…) Non mancano, come si può
constatare, i veneziani e scrittori, anche se non tali di nascita, comunque a
Venezia – ove, pure questo va detto, si stampa il grosso dei dialoghi – operanti,
XXXIV A. TORRE
a Venezia attivi. Ciò in sintonia con una città dalla loquacità intensa e diffusa
e, anche, con le discussioni insite nella dinamica stessa dell’azione governativa
le cui direttive nascono dal dibattito nelle sedi istituzionali. C’è convergenza,
insomma, a Venezia tra “ragionar” e “parlar”».
62
Cfr. L. MULAS, La scrittura del dialogo. Teorie del dialogo tra Cinquecento
e Seicento, in Oralità e scrittura nel sistema letterario, a cura di G. Cerina, C. Lavinio,
L. Mulas, Roma, Bulzoni 1982, 262: «Essendo un genere imitativo il dialogo può
arricchire la messa in scena dei detti con fatti, anche minimi e irrilevanti, che, privi
di per sé di capacità di dilettare, hanno tuttavia la capacità di accrescere il diletto
che viene dalle parti più importanti del discorso (...). Il diletto agisce in questo caso
come attivatore e potenziatore della memoria, poiché quei piccoli e graziosissimi
fatti sono i loci ai quali la memoria collegherà, per ritrovarle più agevolmente, le
parole pronunciate dagli interlocutori» [corsivi miei].
63
Il titolo, distante sia dagli ermetico-platonici «Tempio», «Ars» e «Idea»
sia dagli enciclopedici «Arca» e «Thesaurus» (che rimandano tutti a un’idea della
memoria come contenitore di sapienza), sembra invece sottintendere l’impulso
dinamico a una quotidiana prassi mnemonica. Ugualmente, il più sobrio e
allusivamente scientifico «Trattato delle Gemme» è il titolo che Dolce propone
per il suo volgarizzamento dello Speculum lapidum di Camillo Leonardi, mo-
strando così di voler tralasciare i pur remoti riferimenti a pratiche magico-
enciclopediche.
DIVENIRE MEMORIA XXXV
64
Cfr. R.W. LEE, Ut pictura poesis. La teoria umanistica della pittura, trad.
it. Firenze, Sansoni 1974, 17: «Il Dolce può ancora accettare senza difficoltà il
vecchio concetto dell’imitazione letterale applicato alla natura in generale, ma
per quanto riguarda la figura umana, tema di gran lunga prevalente nella pittura
italiana, di fronte alla quale il resto della natura ha sempre avuto un carattere
sussidiario, il concetto non si può più applicare. Ed è a proposito della figura
umana in azione che il Dolce, seguendo il metodo dei critici letterari del suo
tempo che prescrivevano le regole della poesia rifacendosi ad Aristotele e ad
Orazio, formulò la sua dottrina dell’imitazione ideale»; a riguardo si vedano
anche E. PANOFSKY, Idea. Contributo alla storia dell’estetica, trad. it. Firenze, La
Nuova Italia 1952 e J. GRAHAM, ‘Ut pictura poesis’. A bibliography, in «Bulletin
of Bibliography and Magazine Notes», XXIX, 1972.
65
Cfr. E. BATTISTI, Il concetto d’imitazione nel Cinquecento italiano, in
Rinascimento e Barocco, Torino, Einaudi 1960, 204: «Nei suoi [scil. del Dolce]
scritti c’è indubbiamente il tentativo di trovare un accordo fra esperienza e
creazione, fra natura e stile: di qui il peso enorme che le sue pagine ebbero per
la formazione del Barocco. Specialmente la sua interpretazione critica di Tiziano
restò normativa: per merito di essa il gusto veneziano potè affiancarsi con pari
dignità teorica a quello tosco-romano». Sul Dialogo della pittura si vedano
anche: S. ORTOLANI, Pietro Aretino e Michelangelo, in «L’Arte», 25, 1922, 15-26;
ID., Le origini della critica d’arte a Venezia, in «L’Arte», 26, 1923, 1-17; M. W.
ROSKILL, Dolce’s Aretino and Venetian Art Theory of the Cinquecento, New York,
New York University Press 1968.
XXXVI A. TORRE
66
Cfr. L. DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, in Trattati d’arte
del Cinquecento fra Manierismo e Controriforma, I, a cura di P. Barocchi, Laterza,
Bari 1960, 206: «E di presente io temo che la pittura non torni a smarrirsi
un’altra volta, percioché de’ giovani non si vede risorgere alcuno che dia speran-
za di dover pervenire a qualche onesta eccellenza; e quei che potrebbono divenir
rari, vinti dall’avarizia poco o nulla si affaticano nelle opere loro».
67
Cfr. A. BLUNT, Le teorie artistiche in Italia dal Rinascimento al Manierismo,
trad. it. Torino, Einaudi 1966, 133: «L’attacco in questione fu promosso
dall’Aretino e proseguito a nome suo dall’amico Lodovico Dolce. Fu ispirato da
motivi del tutto personali e non era in alcun modo connesso con le critiche serie
e di carattere religioso fatte al Giudizio Universale, benché successivamente, a
quanto sembra, Gilio da Fabriano abbia attinto argomenti dall’opera del Dolce».
68
M. POZZI, L’«ut pictura poësis» in un dialogo di L. Dolce, in Lingua e
cultura del Cinquecento, Padova, Liviana 1975, 13.
69
M. PIERI, Furore e Maniera. Alle origini della scrittura sull’arte con una
Appendice sull’Idillio, Parma, Zara 1984, 29. Sulla politica culturale dell’Aretino
e sul ruolo determinante che in essa gioca il Dolce si vedano anche G. FALASCHI,
Progetto corporativo e autonomia dell’arte in Pietro Aretino, Messina-Firenze,
D’Anna 1977, e CH. CAIRNS, Pietro Aretino and the Republic of Venice. Researches
on Aretino and his circle in Venice 1527-1556, Firenze, Olschki 1985.
70
Cfr. L. DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, ed. cit., 145:
«Tiziano, il quale diede alle sue figure una eroica maestà e trovò una maniera di
colorito morbidissima, e nelle tinte cotanto simile al vero, che si può ben dire
con verità ch’ella va di pari passo con la natura»; e anche 202: «E certo in questa
tavola [l’Assunzione della Vergine di Tiziano] si contiene la grandezza e terribilità
DIVENIRE MEMORIA XXXVII
oppure una forma che può presentare contorni più ermetici, come
le imprese di famose case tipografiche veneziane75 spiegate dall’au-
tore nella seconda parte del dialogo, dove, sempre nella forma di
catalogo, il Dolce dà vita a un vero e proprio dizionario del figurabile,
utile per la composizione e la lettura di emblemi e imprese76: ogni
giudicio di quello che egli vede ogni giorno, cioè della bellezza e della bruttezza
di qualunque uomo; (...) Onde, avendo l’uomo, come ha, questa cognizione
intorno alla forma vera, che è questo individuo, cioè l’uomo vivo; perché non
la dee aver molto più intorno alla finta, che è la morta pittura?».
74
L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità e proprietà
dei colori, ed. cit., c. 9v.
75
Troviamo: l’«Ancora col Delfino avoltovi a torno» (c. 54r) che fregia i
libri di Aldo Manuzio e dinota la fermezza; la «Fenice, che arde nelle fiamme,
risguardando incontra il Sole» (c. 57v), simbolo dell’immortalità e degno em-
blema quindi della tipografia giolitina «perché gl’impressori con l’imprimer de’
libri tengono vivi i nomi de gli Scrittori, e gli rendono immortali»; e infine,
esemplificativo dell’accortezza diplomatica del Dolce, «la Gatta, la quale tiene
un Topo in bocca» (c. 56v) scelta come insegna da messer Marchiò Sessa, in cui
l’autore riconosce tanto l’utilità («La Gatta mangia i Topi, i quali sono di gran
danno a una casa, percioché rodono cose di valore, come ornamenti di casa, libri
e cose simili»[corsivo mio]) quanto «che non vi può essere amicizia e concordia
che duri se non tra pari» (per la quotidiana battaglia tra gatti e cani). Quest’ul-
tima impresa ritorna anche nel Trattato delle gemme, Venezia, Sessa 1565, c. 88v:
«GATTA, figura di una gatta col topo stretto in bocca; trovandosi scolpita in un
Diaspro, fa chi la porta legata in uno anello d’oro, abondevole de’ beni di
fortuna, e massimamente della mercanzia de’ libri». Nel Dialogo della memoria
invece, stampato anch’esso per i tipi del Sessa, compare lo stesso capostipite di
questa importante impresa editoriale veneziana come personaggio di una rap-
presentazione mentale vòlta a memorizzare gli estremi di una trattativa com-
merciale (cfr. il testo a p. 188); sui Sessa si vedano S. CURI NICOLARDI, Una
società tipografico-editoriale a Venezia nel secolo XVI, Firenze, Olschki 1984, e N.
VIANELLO, Per gli «Annali» dei Sessa tipografi ed editori in Venezia nei secoli XV-
XVII, in «Accademie e biblioteche d’Italia», XXXVIII, 4-5, 1970, 262-285.
76
Sui rapporti fra impresistica e arte della memoria resta fondamentale
(anche per ricchezza di immagini) lo studio di L. VOLKMANN, Ars memorativa,
in «Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien», 3, 1929, 111-203.
Si vedano anche: L. VOLKMANN, Bilderschriften der Renaissance. Hieroglyphik und
Emblematik in ihren Beziehungen und Fortwirkungen, Leipzig, K. W. Hiersemann
DIVENIRE MEMORIA XXXIX
1923; M. PRAZ, Studi sul concettismo, Firenze, Sansoni 1946; R.J. CLEMENTS,
Picta poësis. Literary and Humanistic Theory in Renaissance Emblem Books, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura 1960; R. KLEIN, La forma e l’intelligibile. Studi
sul Rinascimento e l’arte moderna, trad. it. Torino, Einaudi 1975; G. INNOCENTI,
L’immagine significante. Studio sull’emblematica cinquecentesca, Padova, Liviana
1981; W. NEUBER, Locus, Lemma, Motto. Entwurf zu einer mnemonischen
Emblematiktheorie, in Ars memorativa. Zur kulturgeschichtlichen Bedeutung der
Gedächtniskunst 1400-1750, ed. cit., 351-372. Nella stessa produzione dolciana
è presente una raccolta di imprese: Imprese Nobili et ingeniose di diversi Prencipi
et d’altri personaggi illustri nell’arme et nelle lettere. Le quali, col disegno loro
estrinseco, dimostrano l’animo et la buona o mala fortuna de gli Autori loro. Con le
dichiarationi in versi di messer Lodovico Dolce et d’altri, Venezia, G. Porro 1578.
77
L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità e proprietà
dei colori, ed. cit., c. 6r: «Mentre io vo riguardando questa gran Machina del
Mondo, ve n’è una non picciola, anzi forse non minore di qualunque altra: il
vedere ogni cosa distinta col suo proprio colore, dalla cui varietà prendono gli
occhi infinita contentezza e diletto. Percioché il cielo, la terra, le piante, l’herbe,
i fiori, gli animali brutti e l’huomo, tutti sono diversi non solo di specie e di
forma, ma di colori».
78
Cfr. il testo a p. 128: «Ora alle volte aviene che non troviamo agevol-
mente l’imagine della cosa di cui vogliamo ricordarci, né per intendimento di
essa, né per suono di voce, né per capi di parola. In questo caso è mio consiglio
che la imagine, da noi formata con le lettere o sillabe sovra dette, al suo luogo
tenga l’iscrizione da esso luogo di contrario colore».
79
L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità e proprietà
dei colori, ed. cit., c. 12r.
XL A. TORRE
84
Ibid., 186.
85
L. BOLZONI, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici
nell’età della stampa, ed. cit., XX. Vera e propria denuncia di questa ‘poetica
dell’intersezione’ è un passo del Dialogo della memoria: «Overo ce li imagineremo
per le figure come che gli dipingono i Pittori. Dell’arte de’ quali se avremo
qualche famigliarità o contezza, ci sarà più agevole il formarle. Come chi volesse
raccordarsi della favola di Europa, potrebbe valersi dell’esempio della pittura di
Tiziano; et altretanto di Adone e di qual si voglia altra favola, o historia profana
o sacra, eleggendo specialmente quelle figure che dilettano e quindi sogliono la
memoria eccitare» (cfr. il testo a p. 146).
XLII A. TORRE
V. Promemoria veneziano
86
Su Venezia come imago memoriae dei valori del Rinascimento nell’età
della Controriforma si veda W.J. BOUWSMA, Venezia e la difesa della libertà
repubblicana, trad. it. Bologna, il Mulino 1977.
87
R. PIERANTONI, I giocattoli della memoria, ne «La Stampa» del 14 ottobre
1995.
88
Cfr. L. DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, ed. cit., 155: «E
dico che nell’uomo nasce generalmente il giudicio dalla pratica e dalla esperien-
za delle cose».
89
Cfr. la lettera del Dolce a «Messer Federigo Badoaro», conservata nella
Nuova scielta di lettere di diversi nobilissimi huomini, Venezia, Muschio 1574,␣ 112.
DIVENIRE MEMORIA XLIII
90
La citazione è tratta da una lettera di Dolce «Al Signor suo Compare
Messer Pietro Aretino Divinissimo», raccolta poi in Lettere scritte all’Aretino,
Marcolini, Venezia 1552, 378. Un’ulteriore, evidente e al contempo ambigua
per il carattere burlesco dell’opera, testimonianza della presunta omosessualità
dolciana – segno dell’integrazione dell’erotismo, dell’amore e della sensualità
nella cultura e nel vissuto quotidiano di Venezia in un momento di forte
ridefinizione del senso della vita – è costituita dal Capitolo d’un Ragazzo, in cui
il Dolce chiede insistentemente a messer Anselmi di permettere il ritorno a quel
ragazzo che fino a pochi giorni prima «era la mia vita, e ’l mio diletto» e che ora,
scappato, era andato a prestar servizio proprio presso di lui: bello («Egli ha un
viso da far arder Giove») e cólto («Avea il Petrarca e gli Asolani a mente»),
rappresentava l’unico sollievo («Egli la cura avea della mia stanza, / Trarmi le
calze quando andava a letto, / E di menarmi, s’io volea, la manza») e l’unico
sostegno («Meco non è Amarilli o Galatea, (…) Ma una vecchia che pare una
strega; / Che s’io voglio un servigio, e’ mi bisogna / Pregarla, e spesse volte ella
me l’ niega») per il Dolce che amaramente ne piange la fuga («E starci senza io
non ne posso un’ora») e ne sogna il ritorno («Dormirà nel mio letto a suo
bell’agio / Così ne’ fatti per modo di dire, / Egli farà la donna di palagio»).
Indicativo del carattere non del tutto faceto della composizione è il finale, dove
Dolce non nasconde qualche preoccupazione sul fatto che il Capitolo venisse
letto pubblicamente da personaggi influenti: «Mandatemi il ragazzo, e se vi pare
/ Di bruciar questa scritta, non sia rio, / Anzi sarà una cosa da lodare. / Che in
man del vostro Cardinale e mio / Potrebbe capitar per isciagura: / E mi fareste
rinnegar Iddio. / Non già ch’abbia pensiero, né paura, / Ché di me sospettasse
oncia di tristo: / Sa ben sua Signoria la mia natura. / Ma voi potrebbe cogliere
sprovisto» (Il primo libro dell’Opere Burlesche di Messer Francesco Berni, di Messer
Giovanni Della Casa, del Varchi, del Mauro, di Messer Bino, del Molza, del Dolce
e del Fiorenzuola. Ricorretto, e con diligenza ristampato, Usecht al Reno, appresso
Jacopo Broedelet 1726, 341-346).
XLIV A. TORRE
stico emerge anche dal Dialogo della memoria: un testo, che cammin
facendo non esiterà a risultare qua e là oscuramente astratto, nasce
invece da un bisogno pratico, dalla semplice e comprensibile ri-
chiesta di chi, «non per difetto d’ingegno ma per mancamento di
memoria» (p. 7), fatica a trarre il massimo profitto dai lunghi studî;
non beneficiato dal dono naturale di una memoria pari a quella
degli illustri mnemonisti che il compagno Hortensio, subito cala-
tosi nei panni del magister, gli elenca un po’ scortesemente, Fabri-
zio si affida all’aiuto dell’amico, conscio della sua esperienza in
materia («io so che molto in così fatto esercizio ti sei affaticato»,
p.␣ 9). Da un incontro che l’inizio ex abrupto del dialogo contribu-
isce a rivestire di casualità e quotidianità nasce dunque una lunga
lezione, in cui le voci dei maestri antichi e moderni dell’ars
reminiscendi si accavallano sovrastandosi l’un l’altra, vanamente
controllate da un ordine ormai spoglio della propria sistematicità,
ma attentamente ed elegantemente filtrate dalla filigrana della tra-
duzione dolciana, «perché la viva voce suole apportar sempre non
so che di più» (p. 9): la traduzione in forma di dialogo che Dolce fa
del trattato latino offre a quest’ultimo un’occasione di vita in più,
che è tanto una possibilità in più di essere ricordato, poiché di fatto
diviene una res memoranda calata e riposta in un edificio dramma-
tico immaginificamente produttivo, quanto un’opportunità in più
di vivere come scrittura, poiché il testo decomposto ancora traluce
fra le maglie della riscrittura, seppur con un riflesso deformato,
parziale, franto.
Dopo le proemiali definizioni di memoria naturale, memoria
artificiale e reminiscenza, Dolce entra nel vivo della trattazione
focalizzando lo sguardo sulle norme riguardanti i luoghi, le imma-
gini e l’ordine, elementi costitutivi di ogni mnemotecnica, il cui
«bello artificio (…) non tanto si approva per l’autorità de gli anti-
chi, quanto per la lunga pratica che si suol far di giorno in giorno»
(p. 32); e dominio del quotidiano, tanto che di essi possiamo forni-
re cataloghi alfabetici e schematiche illustrazioni, sono ad esempio
i tanti mestieri ai cui nomi e attributi possiamo agganciare ogni
nostro ricordo, ma anche il paesaggio del mondo reale che attraver-
so i canali della percezione dialoga con i loci immaginarî della no-
stra mente: da una parte infatti l’introiezione della topografia e del-
l’architettura del mondo esterno nei dominî dell’interiorità sugge-
risce un sempre più razionalizzato spazio mentale e un’immagine
della memoria come luogo ordinato e misurato, mentre dall’altra le
leggi che all’atto della conservazione mnemonica presiedono alla
formazione di un intimo paesaggio mentale, fatto di necessarie uni-
DIVENIRE MEMORIA XLV
91
Cfr. G. SACCARO DEL BUFFA, Dalla narrazione alla scena pittorica me-
diante le tecniche della memoria, in «Arte Lombarda», XXXVIII, 3-4,
1993-1994, 79.
92
L. DOLCE, Dialogo della istitution delle donne, secondo li tre stati che
cadono nella vita humana, Venezia, Giolito 1547, c. 9r.
XLVI A. TORRE
93
Cfr. il testo a p. 52: «Tu puoi vedere che io t’ho fatto un picciolo schizzo
di questa bassa parte della terra per dimostrarti che non solo il sapere le cose della
Cosmografia aiuta la memoria, ma né anco senza questa cognizione si può
intender pienamente né le Historie, né le sacre lettere».
DIVENIRE MEMORIA XLVII
94
F. A. YATES, L’arte della memoria, trad. it. Torino, Einaudi 1972, 88.
95
L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità e proprietà
dei colori, ed. cit., c. 72v-73r. In questa seconda parte dell’opera, sfruttando il
XLVIII A. TORRE
da una meza ruota e cosa tale, e nella manca con le forbici divida un compas-
so. Nel secondo luogo un altro tenga inanzi al petto il libro della Fisica aper-
to, in una carta del quale sia dipinta la spera celeste, in un’altra sia notato per
via di iscrizione predicamentale, o alcun predicatore si sforzi di levare a colui
il libro. Così nel terzo luogo pongasi uno che ascendendo una scala, mostri
di adorare un Crocefisso, che sia appeso al sommo della scala, con qual si
voglia colore scrivendo queste parole: OPUS MANUUM TUARUM SUM
DOMINE. Et un altro gli leghi i piedi alla scala con penne di struzzo, et egli
tenga sopra la testa una sporta piena di fave, nel destro homero legami, nel
sinistro un’aquila, la quale col rostro laceri un bianchissimo porcello. Nel
quarto luogo finalmente porrai un segnalato predicatore, il quale con la de-
stra porga alla bocca un’ossa, e con la manca cacci le mosche. Ecco che io ti
pongo inanzi gli esempi, accioché più agevolmente tu mi possa intendere: tu
ancora farai il simile. Tutte queste cose con una sola imagine et in uno stesso
luogo non è malagevole a porre (p. 167).
97
C. OSSOLA, Rassegna di testi e studi tra Manierismo e Barocco, in «Lettere
Italiane», XXVII, 1975, 4, 450.
DIVENIRE MEMORIA LI
Percioché le voci sono segni delle cose, onde se abbiamo le immagini delle
cose è mistiero che quelle siano le voci, altrimenti non potressimo isprimer la
cosa conceputa, né la imagine allogata nella sua sede (p. 141, corsivo mio).
98
Si confronti il testo a p. 149: «Ciascun buon Poeta e Pittore con più
agevolezza si potrà servir dell’ufficio di quest’arte per la prontezza ch’egli avrà
di formar così fatte imagini per cagione di memoria».
99
Ibid., p. 97: «Le imagini delle cose facciamo in tal guisa che vi adom-
briamo la somiglianza delle nostre faccende, per la quale esse faccende somma-
riamente ci si rappresentino» (corsivo mio).
100
Si cita dalla lettera in cui il Dolce descrive ad Alessandro Contarini il
dipinto, o meglio «la poesia di Adone poco tempo adietro fatta e mandata dal
divin Tiziano al Re d’Inghilterra»; cfr. Nuova scielta di lettere di diversi nobilissimi
huomini, et eccellentissimi ingegni, ed. cit., 512.
101
Ibid., 509: «Pure quel tanto, che io ne saprò ombreggiare con questa
penna, basterà, se io non m’inganno, a crear nel vostro bell’animo una maraviglia
tale, quale alquanto a dietro produsse la mia lingua in quello del Magnifico
Messer Pietro Gradenico, in guisa che, sognandosi egli la notte una eccellenza
LII A. TORRE
incomparabile, il giorno che seguì, volendone certificar gli occhi suoi, andato
a vederlo, trovò che l’effetto di gran lunga avanzava la sua imaginazione, et il mio
abbozzamento».
102
Cfr. G. DELEUZE, Critica e clinica, trad. it. Milano, Raffaello Cortina
Editore 1996, 13: «La scrittura è inseparabile dal divenire: scrivendo si diventa-
donna, si diventa-animale o vegetale, si diventa-molecola fino a diventare-
impercettibile». In una prospettiva di piena compenetrazione tra il fare e l’es-
sere, l’esperienza dolciana si colloca nella dimensione del divenire, abita quel
centro astorico e intempestivo che vive della comunicazione con altri tempi e
altri spazî.
103
L. DOLCE, I quattro libri delle Osservationi Grammaticali, I, ed. cit., 22.
Proprio in limine quest’ultima citazione dolciana vale essa stessa da luogo di
memoria, di una memoria letteraria che si fa traccia di poetica e sfacciata affer-
mazione di sé: l’espressione sintetizza infatti i ritratti di Quintiliano (cfr. PETRARCA,
Familiares, XXIV, 7: «Equidem quantum tuo magnifico opere collato cum eo
libro quem de causis edidisti (…), satis intelligentibus patet multo te melius
cotis officio functum esse quam gladii et oratorem formare potentius quam
prestare»), Virgilio (cfr. DANTE, Purgatorio, XXII, 67-69: «Facesti come quei che
va di notte, Che porta il lume dietro e sé non giova, Ma dopo di sé fa le persone
dotte») e Cicerone (ancora PETRARCA, Familiares, XXIV, 3: «Heu et fraterni
consilii immemor et tuorum tot salubrium preceptorum, ceu nocturnus viator
lumen in tenebris gestans, ostendisti secuturis callem, in quo ipse satis miserabiliter
lapsus es»).
DIVENIRE MEMORIA LIII
NOTA AL TESTO
Criterî di edizione
Si è distinta u da v.
Si è sempre conservata la h etimologica e pseudoetimologica
(huomo, honori, herbe, historie), tranne che nelle forme del verbo
avere; nei casi di alternanza (hora / ora, anchora / ancora) il testo si
è mantenuto tale. Si sono conservati i digrammi etimologici ch e th
(christiani, thesoro, theatri, Athene, Thebe).
Si è sempre scritto -ii per -ij (vitij, principij), ma si è mante-
nuta l’alternanza fra -ii e -i.
I nessi ti e tti seguiti da vocale (proportione, lettioni, spatio)
sono sempre stati scritti zi, (tranne che per natia). Per spetie si è
chiaramente distinto fra specie e spezie; il termine Datia si è reso
con Dacia; -antia, -entia (costantia, impatientia) sono state scritte
-anzia, -enzia; è presente l’oscillazione con le forme -enza, -anza
(reminiscenzia / diligenza).
Si è rispettata la grafia ci in giudicio, preciose e ociose.
Si è mantenuta l’oscillazione tra c e g in luogo.
LIV A. TORRE
Correzioni al testo
Al Magnifico et Eccellentissimo
Signor Filippo Terzo
1
Cfr. F. SANSOVINO, Venetia città nobilissima et singolare discritta in XIIII
libri, Venezia, Steffano Curti 1663, 607: «Filippo Terzo. Dottore, Filosofo et
Oratore illustre, dottissimo nelle lingue Greca et Latina, compose una Rhetorica
latina, con più Orazioni e Versi latini, grechi e volgari». Un esauriente, quanto
entusiastico, ritratto del dedicatario del Dialogo ce lo offre anche Andrea
Menechini nell’orazione Delle lodi della poesia d’Omero, et di Virgilio, Venezia,
Giolito 1572, s.i.p.: «(...) dottissimo et eccellentissimo gran Filippo Terzo; ché
so ben io che il Mondo l’averebbe a sommo grado, essendo il detto gentilhuomo
un de’ primi Teologi, Giureconsulti, Filosofi et Oratori, che siano stati giamai,
Thesoro di tutte le Scienze e di tutte le Discipline; il qual, avendo con incom-
parabile integrità congiunta l’Eloquenza con la Sapienza, salendo ne gli Arringhi,
fa stupir gli ascoltanti con tanta gioia e con tanto trastullo che laudando l’ono-
rano, e onorandolo l’essaltano, et essaltandolo l’ammirano; onde egli con (...)
la prontissima vivacità della profondissima memoria, con la vivacissima profon-
dità de’ maravigliosi concetti, e con tutti quei lumi e quegl’instrumenti, desi-
derati in un Oratore da Aristotele e da Marco Tullio per la suprema Monarchia
dell’Eloquenza; tutto ardore, spingendo, movendo, tirando e infiammando gli
animi de gli Auditori, quasi folgor gli conduce ove più gli è a grado; (...). Ma
perché per la bassezza mia non posso recar altro onore e altra altezza di gloria
a questo divino Spirito (...) dirò per bocca dell’istesso DOLCE: Levi l’antica Roma
al Ciel sovente / E gli Antonii, e gli Ortensii, e i Ciceroni. / Cerca tu l’Orator che
a noi proponi, / Tullio, e formò l’Idea de la tua mente. / Ecco VINEZIA nostra vede,
e sente / Tra i leggiadri del TERZO alti sermoni / De la sua lingua uscir folgori, e tuoni,
/ Che feriscono i cor’; ma dolcemente. / Voi TERZO, Voi de’ cor’ tenete impero, / Onde
in Voi, come in casa al Mondo rada, / Tanti occhi, e tante orecchie intenti stanno;
/ I saggi dunque, e i buon’ certezza avranno, / Che saldo in piedi si rimanga il vero,
/ E vinta a terra la menzogna cada».
4 LODOVICO DOLCE
2
In veste di traduttore o curatore, il Dolce si occupò di altre due opere
ciceroniane: Dialogo dell’Oratore di Marco Tullio Cicerone, tradotto da Messer
Lodovico Dolce, Venezia, Giolito 1547; Le Orationi di Marco Tullio Cicerone,
tradotte da Messer Lodovico Dolce. Con la vita dell’Autore e con un breve discorso
in materia di Rhetorica. E con le Tavole, 3 voll., Venezia, Giolito 1562.
3
o...mai: ‘forse in nessun caso’. Cfr. BOCCACCIO, Decameron, II, 5, 18 (si
è ricorsi all’edizione a cura di V. Branca, Torino, Einaudi 1992): «Andreuccio,
io sono molto certa che tu ti maravigli e delle carezze le quali io ti fo e delle mie
lagrime, sì come colui che non mi conosci e per avventura mai ricordar non
m’udisti»; L. DOLCE, I quattro libri delle Osservationi Grammaticali, I, ed. cit.,
106: «Qui è da avertire che mai, o giamai, quando privazion di tempo significa,
non si pon senza la negativa».
4
A questi due «chiarissimi Oratori» contemporanei il Dolce dedicò le
prime due parti della sua traduzione de Le Orationi di Marco Tullio Cicerone,
mentre la terza venne da lui indirizzata, con lettera del 15 gennaio 1561 (le
precedenti erano rispettivamente dell’8 e del 10 gennaio), a Vincenzo Pellegrini,
anch’egli «oratore chiarissimo». Poche notizie si hanno di Camillo Trevisan, ad
eccezione della sua certificata associazione all’Accademia della Fama fondata da
Federico Badoer; così lo presenta il Dolce: «(...) Dovendo adunque queste
Orazioni in man de gli huomini uscire, ho giudicato bellissimo e grandissimo
ornamento alla mia fatica se la prima parte uscisse sotto il nome di Vostra
Signoria la quale è uno de’ maggiori e più chiari Oratori non solo di questa città,
ma della nostra età parimente. (...) Onde col petto pieno di sapere, con la lingua
facondissima, con la pronunzia dolcissima, e con l’aspetto amabile e a tutti
DIALOGO DELLA MEMORIA 5
grato, quante volte è salita ne gli arringhi, ha fatto stupire i circostanti. (...) Le
sue facultà, come quella che è del tutto nimica dell’avarizia, dispensa qual si
conviene a pio et honoratissimo gentil’huomo. (...) Di che ne fa fede il bellis-
simo et amplissimo palazzo di Murano, da lei fatto fabricare con sì bello ordine
di Architettura, et adornato di tante egregie statue e pitture di mano di maestri
eccellentissimi, che può contender con l’antiche fabriche de’ Romani» (L. DOLCE,
Le Orationi di Marco Tullio Cicerone, I, ed. cit., cc. iir-iiv). Di Francesco Assonica
sappiamo invece che fu avvocato di gran fama a Venezia intorno al 1540 e
personalità di spicco della vita politica della Repubblica (fu anche Fiscale della
Serenissima Signoria); membro anche lui, come il Trevisan e il Terzo, dell’Ac-
cademia della Fama (di cui fu legista civile) e amico di Tiziano, così viene
descritto dal Dolce: «(...) E chi non dubita che ella (e sia lontana ogni adulazio-
ne) non si lasci a dietro i Crassi e gli Antonii? È adorna di perfette dottrine,
dotata di tenace memoria, fortissima nel disputare, facilissima nel narrare,
vehementissima nel movere, et efficacissima nel persuadere (...) Dilettasi di
diverse virtù e tra queste della Pittura: onde fra gli altri ornamenti della sua
Magnifica casa vi ha aggiunto quelli che posson venir dal pennello del divin
Tiziano. La sua famiglia è nobilissima e fregiata anco de gli honori di Santa
Chiesa» (ibid., II, ed. cit., c. iiir). Sull’Assonica si veda E.A. CICOGNA, Delle
inscrizioni veneziane, III, Venezia, Picotti 1830, 152.
5
quando le cure forensi: ‘nel caso in cui [con valore condizionale] gli affari
del foro’. È giustificazione topica; cfr. CICERONE, De Oratore, I, 1, 1: «Ac fuit
cum mihi quoque initium requiescendi atque animum ad utriusque nostrum
praeclara studia referendi fore iustum et prope ab omnibus concessum arbitrarer,
si infinitus forensium rerum labor et ambitionis occupatio decursu honorum,
etiam aetatis flexu constitisset».
6
secondi honori: cfr. PETRARCA, Triumphus Fame, III, 24 (si è utilizzata
l’edizione a cura di V. Pacca, Milano, Mondadori 1996): «Dopo venia Demostene,
che fori È di speranza omai del primo loco, Non ben contento de’ secondi
honori».
7
temeva non: ‘temevo che’. Cfr. DANTE, Inferno, XVII, 76 ( si è utilizzata
l’edizione a cura di G. Petrocchi, Milano, Mondadori 1966-1967): «E io, te-
mendo no ’l più star crucciasse».
6 LODOVICO DOLCE
HORTENSIO, FABRIZIO
13
Il nome di uno dei protagonisti del dialogo richiama, probabilmente
non a caso, quello di un illustre oratore latino, Quinto Ortensio Ortalo, ricor-
dato più volte da Cicerone e Quintiliano per la prodigiosa memoria (De Oratore,
III, 61, 230; Tusculanae disputationes, I, 24, 59; Institutio Oratoria, XI, 2, 24)
e onorato dal primo con la dedica dell’omonimo dialogo retorico Hortensius.
Così ne parla Cicerone nel Brutus: «Hortensius igitur cum admodum adulescens
orsus esset in foro dicere, celeriter ad maiores causas adhiberi coeptus est (...).
Primum memoria tanta quantam in nullo cognovisse me arbitror, ut quae
secum commentatus esset, ea sine scripto verbis eisdem redderet quibus
cogitavisset. Hoc adiumento ille tanto sic utebatur ut sua et commentata et
scripta et nullo referente omnia omnium adversariorum dicta meminisset»
(CICERONE, Brutus, 88, 301).
14
Cfr. F. RIGOTTI, Il velo e il fiume. Riflessioni sulle metafore dell’oblio, in
«Iride», VIII, 14 (aprile 1995), 140: «Tutta la mitologia greca e romana è lì
schierata a dimostrare questa che è quasi un’ovvietà: nell’Ade vi sono due fonti,
quella del Lete, a sinistra (per il pensiero greco direzione del tramonto e del buio
ovvero nefasta) e quella della memoria, Mnemosyne, a destra (direzione del sole
e della luce=direzione fausta)». Sulla fortuna delle metafore dell’oblio nella
cultura occidentale si veda ora H. WEINRICH, Lete. Arte e critica dell’oblio, trad.
it. Bologna, il Mulino 1999.
15
Cfr. CICERONE, De senectute, IV, 12: «Multae etiam ut in homine Romano
litterae; omnia memoria tenebat, non domestica solum, sed etiam externa bella».
8 LODOVICO DOLCE
16
Cfr. CICERONE, Pro Ligario, 12, 35: «Sed parum est me hoc meminisse,
spero etiam te, qui oblivisci nihil soles nisi iniurias - quam hoc est animi, quam
etiam ingeni tui! - te aliquid de huius illo quaestorio officio, etiam de aliis
quibusdam quaestoribus reminescentem, recordari»; ma il passaggio immedia-
to si ha con G.M.A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap. I,
a cura di G. Giraldi, Novara, Ist. Geog. De Agostini 1967, 110: «Que precipue
cum obbrobrio et erubescentia discuntur, fixiora sunt eamque ob causam mens
tenacissima est iniuriarum. Mira igitur laus fuit Cesaris, qui nullarum rerum
nisi iniuriam immemor fuit».
17
La fonte classica di questa carrellata di uomini illustri dall’eccellente
memoria è PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia, VII, 24, 88: «Memoria
necessarium maxime vitae bonum cui praecipua fuerit, haut facile dictu est, tam
multis eius gloriam adeptis. Cyrus rex omnibus in exercitu suo militibus nomi-
na reddidit, L. Scipio populo Romano, Cineas Pyrrhi regis legatus senatui et
equestri ordini Romae postero die quam advenerat. Mithridates, duarum et
viginti gentium rex, totidem linguis iura dixit, pro contione singulas sine inter-
prete adfatus». Riferimenti sparsi a questi esempi di buona memoria si trovano
anche in Valerio Massimo (Factorum et dictorum memorabilium libri IX, VII, 7,
16), Quintiliano (Institutio Oratoria, XI, 3, 50), Aulo Gellio (Noctes Atticae,
XVII, 17, 2) e Cicerone (Tusculanae disputationes, I, 24, 59). Il testo da cui però
ha attinto Host, e di riflesso anche il Dolce, è il Rerum Memorandarum di
Petrarca, che infatti presenta tutti gli illustri mnemonisti citati, e nel medesimo
ordine; Petrarca ricorda inoltre le prodigiose memorie di Lucullo, Ortensio e
Temistocle, presenti anche in Plinio e nel Congestorium, ma omesse dal Dolce.
Cfr. PETRARCA, Rerum Memorandarum Libri, l. II, capp. 1-14 (De Memoria),
ed. critica a cura di G. Billanovich, Firenze, Sansoni 1945, 41-50.
18
Tanto il Dialogo del Dolce quanto il testo latino di Host riportano
l’errata lezione «Carneade» con ogni probabilità tratti in inganno dal Carrara
(De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap. I, ed. cit., 107: «aut quis non
admiretur Carneadem grecum, bibliotece qui volumina memoriter legentis
more representavit?»). Si è corretto il testo sulla scorta di PLINIO IL VECCHIO,
Naturalis Historia, VII, 24, 89: «Charmadas quidem in Graecia quae quis exegerat
volumina in bibliothecis legentis modo repraesentavit».
DIALOGO DELLA MEMORIA 9
che egli apparava, mai non gli uscivano di mente19. Ma questi sono
pochi a rispetto de i molti, che ve n’ebbero disagio. Percioché la
memoria è fragile, e soggetta a molti accidenti. Là onde si legge in
Plinio20 che uno, cadendo da un alto luogo, si scordò del proprio
nome21. Di qui aviene che se ella non è aiutata dall’arte, per ogni
picciola cosa languisce e muore. Onde molti, col trovamento di
diversi luoghi et imagini, si sono sforzati di sovvenire a sì fatto
difetto, e di accrescerla e conservarla22. Sì che io non prendo
maraviglia che in te abbia luogo quel mancamento, che suole esse-
re in molti, i quali hanno gentile e pellegrino ingegno.
FAB‹R›. Io ti sarei di molto tenuto se tu, il quale io so che molto in
così fatto esercizio ti sei affaticato, mi porgessi alcun aiuto, in guisa
che de’ miei studi io potessi ritrar quel frutto, che si conviene alle
molte fatiche che io ci ho fatto.
HOR. Io ti potrei rimetter a quello che intorno alla memoria hanno
scritto alcuni. Ma perché la viva voce suole apportar sempre non so
che di più23, et appresso tengo in animo di aggiungerci alcune mie
fantasie, ne ragionerò alquanto teco, ma però così pienamente ch’io
spero di poter giovarti.
19
Cfr. SENECA IL VECCHIO, Controversiarum libri, I, prefazione, 17-18:
«Memoria ei [Porzio Latrone] natura quidem felix, plurimum tamen arte adiuta.
Numquam ille quae dicturus erat ediscendi causa relegebat: edidicerat illa, cum
scripserat. (...) In illo non tantum naturalis memoriae felicitas erat, sed ars
summa et ad comprehendenda quae tenere debebat et ad custodienda, adeo ut
omnes declamationes suas, quascumque dixerat, teneret etiam. Itaque
supervacuos sibi fecerat codices, aiebat se in animo scribere».
20
Cfr. PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia, VII, 24, 90: «Nec aliud est
aeque fragile in homine: morborum et casus iniurias atque etiam metus sentit,
alias particulatim, alias universa. Ictus lapide oblitus est litteras tantum; ex
praealto tecto lapsus matris et adfinium propinquorumque cepit oblivionem,
alius aegrotus servorum, etiam sui vero nominis Messala Corvinus orator».
21
L’esempio tratto da Plinio non è presente nel Congestorium artificiosae
memoriae di Host, dove invece (a c. 1r) si afferma che: «undique defectibilis
hominum generi innascitur memoria».
22
Host ricorda i molti maestri dell’ars in un lungo elenco non tradotto
dal Dolce. Cfr. J. HOST, Congestorium artificiosae memoriae, ed. cit., c. 1v: «Inter
quos Seneca, Tullius, Quintilianus, Stephanus de Lauro, Franciscus Petrarca,
Mateolus Veronensis, Iacobus Publicius, insuper Petrus Ravennas legum doctor,
Ioannes Surgant, Ioannes Reuchlin, Georgius Resch, Georgius Sibuti praecipui
sunt quos viderim et quos plures aliorum libros de hac arte impressos legerim».
23
Cfr. L. DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, ed. cit., 154:
«(…) ricercando che prima non vi sia grave di spendere alquante parole intorno
alla dignità della pittura. Ché, se bene io ne ho letto altre volte, non l’ho per ciò
a memoria; senzaché, la viva voce apporta sempre con esso lei non so che di più».
10 LODOVICO DOLCE
24
Cfr. la pseudociceroniana Rhetorica ad C. Herennium, III, 16, 28:
«Memoria utrum habeat quiddam artificiosi, an omnis ab natura proficiscatur,
aliud dicendi tempus idoneum dabitur. Nunc proinde atque constet in hac re
multum valere artem et praeceptionem, ita de ea re loquemur». Il concetto è
ribadito in modo più articolato ed elegante nel dialogo De Oratore, II, 87, 356:
«Qua re confiteor equidem huius boni naturam esse principem, sicut earum
rerum, de quibus ante locutus sum, omnium; sed haec ars tota dicendi, sive artis
imago quaedam et similitudo est, habet hanc vim, non ut totum aliquid, cuius
in ingeniis nostris pars nulla sit, pariat et procreet, verum ut ea, quae sunt orta
iam in nobis et procreata, educet atque confirmet»; così appare il passo nella
traduzione dolciana del dialogo ciceroniano: «Qui potrebbe dire alcuno: adunque
la memoria si può insegnare? Io rispondo che, così in questa come nelle altre cose
da me dette, la Natura è Maestra, percioché l’arte della eloquenza (overo che la
tenga certa conformità di arte) non ci dà l’ingegno, ma ce lo polisce et accresce»
(ed. cit., 258); così invece nei Sermoni, altrimente satire e le morali epistole di
Horatio ridotte da Messer Lodovico Dolce, satira IV del libro II, Giolito, Venezia
1559, 124: «Che s’hora t’uscirà fuor de la mente Alcuna cosa, in breve spazio
puoi Ripigliarla di nuovo: o che sia questo Don di natura, o sia ministra l’arte
È l’uno e l’altro in te maraviglioso». Sulla Rhetorica ad C. Herennium e sul suo
ruolo di testo-guida della tradizione mnemotecnica classica si veda H. CAPLAN,
Of Eloquence. Studies in Ancient and Mediaeval Rhetoric, Ithaca-London, Cornell
University Press 1970 (in particolare, sulla memoria, il cap. IX, Memoria: Treasure-
House of Eloquence, 196-246).
25
di tanto momento: ‘importanza, rilievo’.
26
Cfr. CICERONE, De Oratore, I, 5, 18: «Quid dicam de thesauro rerum
omnium, memoria? Quae nisi custos inventis cogitatisque rebus et verbis
adhibeatur, intellegimus omnia, etiam si praeclarissima fuerint in oratore,
peritura» e QUINTILIANO, Institutio Oratoria, XI, 2, 1: «Nam et omnis disciplina
memoria constat frustraque docemur, si quidquid audimus praeterfluat, et
exemplorum, legum, responsorum, dictorum denique factorumque velut
quasdam copias, quibus abundare quasque in promptu semper habere debet
orator, eadem illa vis praesentat neque immerito thesaurus hic eloquentiae
dicitur».
27
contempia: Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti della
volgar lingua, ed. cit., c. 183r: «Tempio, templo, contemplare, contemplo, contempio.
‘Contempio’ usò il Bembo: Scusimi quel, ch’in voi scorgo e contempio. Ove è da
avertire che non si direbbe ‘contempiare’ ma ‘contemplare’».
DIALOGO DELLA MEMORIA 11
28
Cfr. BONCOMPAGNO DA SIGNA, Rhetorica Novissima, a cura di A. Gaudenzi,
in «Bibl. Jur. Medii Aevi», II, Bologna 1891, 255: «Che cosa è memoria. Memoria
è un glorioso e ammirevole dono di natura, per mezzo del quale rievochiamo le
cose passate, abbracciamo le presenti e contempliamo le future, grazie alla loro
somiglianza con le passate». Come fedele rappresentazione delle parole di
Boncompagno ed elegante antiporta del trattato che si va spiegando potrebbe
porsi l’Allegoria della Prudenza di Tiziano. Quest’opera, composta probabil-
mente fra il 1560 e il 1570 (quindi non molto distante dal Dialogo), «è la sola
tra le sue opere che possa essere detta emblematica anziché semplicemente alle-
gorica: cioè una massima filosofica illustrata mediante un’immagine visiva an-
ziché un’immagine visiva investita di connotazioni filosofiche». Il quadro rap-
presenta tre volti umani (le tre età della vita umana) posti sopra tre volti animali
(cane, leone, lupo, circondati da un serpente: iconografia egizia della Prudenza):
‘l’allegoria emblematica’ induce lo spettatore a mettere in relazione tre modi e
forme del tempo «con l’idea della prudenza o, più in particolare, con le tre
facoltà psicologiche nel cui combinato esercizio consiste questa virtù: la memo-
ria, che ricorda il passato e da esso impara; l’intelligenza, che giudica del presente
e agisce in esso; la previsione, che anticipa il futuro e provvede per o contro di
esso» (cfr. E. PANOFSKY, Il significato delle arti visive, trad. it. Torino, Einaudi
1962, 147-168, citazioni alle pagine 150 e 152).
29
Cfr. L. DOLCE, Somma di tutta la natural filosofia di Aristotele, ed. cit.,
82: «Quanto alla memoria intellettiva è da sapere l’huomo aver la memoria
comune con le bestie, la quale si chiama sensitiva, ritenente le fantasme sensibili
e parimente organica la nominiamo. Ma la memoria intellettiva è sola propria
dell’huomo, custoditrice e conservatrice de i concetti e delle imagini, overo delle
cose le cui specie sono dall’intelletto apprese. (…) Di questa memoria sono
soggetto le cose passate, cioè la specie intelligibile già buona pezza pensatovi fitta
nell’animo»; UGO DI SAN VITTORE, Didascalicon, I, III, trad. a cura di V. Liccaro,
Milano, Rusconi 1987, 71: «Gli animali che dispongono dei sensi non solo
accolgono in se stessi le forme delle cose che si presentano alle loro percezioni,
ma quando cessa l’atto della sensazione e viene meno la fonte sensibile di essa,
sono in grado di conservare le immagini delle forme conosciute attraverso le
sensazioni, realizzando così la loro capacità di ricordare».
30
Cfr. L’Ulisse di Messer Lodovico Dolce da lui tratto dall’Odissea d’Homero
et ridotto in ottava rima nel quale si raccontano tutti gli errori, e le fatiche d’Ulisse
dalla partita sua di Troia, fino al ritorno alla patria per lo spatio di vent’anni. Con
Argomenti et Allegorie a ciascun canto, così delle Historie, come delle favole, et con
due Tavole: una delle sententie et l’altra delle cose più notabili, canto XV, ottave 50-
3, Venezia,Giolito 1573, 133.
12 LODOVICO DOLCE
31
Cfr. QUINTILIANO, Institutio Oratoria, XI, 2, 6: «eo magis, quod illa
quoque animalia, quae carere intellectu videntur, meminerunt et agnoscunt et
quamlibet longo itinere deducta ad adsuetas sibi sedes revertuntur» e ALBERTO
MAGNO, Metaphysica, I, tract. I, cap. 8, in Opera Omnia, t. XVI, pars I, Münster,
in aedibus Aschendorff 1951-, 12: «Sed non habentia rationes veram memoria
[animales] utuntur loco rationis et ordinat aliquo modo suae vitae commodum
per quandam civilitatis et felicitatis similitudinem, sicut est videre in apibus et
gruibus et multis huiusmodi animalibus; sed tam apes quam grues vigent solum
memoria. Cuius signum est, quod a longinquis locis, ad quae transferuntur,
revertuntur ad proprias habitationes et casas».
32
Cfr. QUINTILIANO, Institutio Oratoria, I, 3, 1: «Ingenii signum in parvis
praecipium memoria est: eius duplex virtus, facile percipere et fideliter continere».
Cfr. anche SENECA IL VECCHIO, Controversiarum libri, I, prefazione, 3: «nunc
quia iubetis, quid possit experiar et illam omni cura scrutabor. Ex parte enim
bene spero. Nam quaecumque apud illam aut puer aut iuvenis deposui, quasi
recentia aut modo audita sine cunctatione profert; at si qua illi intra proximos
annos commisi, sic perdidit et amisit, ut, etiamsi saepius ingerantur, totiens
tamen tamquam nova audiam»; TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II, II,
quaestio 49 (De singulis prudentiae partibus quasi integralibus), articulus unicus
(si è utilizzato il testo delle edizioni Paoline, Roma 1962): «ex quo fit quod
eorum quae in pueritia vidimus magis memoremur»; e MATTEO DA PERUGIA,
Tractatus de memoria augenda per regulas et medicinas, [la copia utilizzata non
riporta indicazioni riguardanti tipografo, luogo e data dell’edizione], c. iir:
«Attentio autem magis et maxime profunda dictum est ad memoriam valet.
Valet igitur et admirari et delectari in his quae attentionem et profunditatem
inducunt. Huius autem signum maxime habemus in pueris qui quia multum
delectantur in formis et in signis rerum propter hoc quae eis nove et insuete sunt
earum bene memorant. Unde dicit Averrois hoc memorant multotiens quod
fecit in puericia bona ramemoratione quod homo in puericia multum amat
formas et figuras et multum in eis delectat et admirat».
33
alle molte autorità: ‘dalle molte autorevoli testimonianze’. Ricorrente
nel testo è l’uso arcaico della proposizione ‘a’ con valore di ‘da’ come introdu-
zione a un complemento d’agente; cfr. BOCCACCIO, Decameron, X, 8, 13: «che
dunque ami? dove ti lasci trasportare allo ’ngannevole amore? dove alla lusingevole
speranza?».
34
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II, II, q. 49, a. unic.: «Ideo
autem necessaria est huiusmodi similitudinum vel imaginum adinventio, quia
intentiones simplices et spirituales facilius ex anima elabuntur nisi quibusdam
similitudinibus corporalibus quasi alligentur».
DIALOGO DELLA MEMORIA 13
35
La vicenda di Simonide di Ceo, uno dei più ammirati lirici greci dell’età
presocratica (556-468 a. C. circa), fa un po’ da incipit canonico ai trattati mo-
derni sull’arte della memoria e, con la Yates (L’arte della memoria, ed. cit., 27),
«si può forse congetturare che [essa] formasse l’introduzione usuale alla parte
dedicata alla memoria artificiale nei manuali di retorica» greci. L’intervento del
poeta greco al banchetto di Scopa ha il merito di sottolineare l’importante ruolo
che per una corretta e duratura memorizzazione giocano l’ordine e il senso della
vista: il primato di questo senso sugli altri emerge poi anche da un’altra afferma-
zione attribuita a Simonide, quella della sostanziale uguaglianza tra poesia e
pittura poi confluita nell’oraziana formula dell’ut pictura poësis (si vedano L.
DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, ed. cit., 152: «avendo alcuni
valenti uomini chiamato il pittore poeta mutolo, et il poeta pittore che parla» e
ID., I quattro libri delle Osservationi Grammaticali, IV, ed. cit., 189: «né manca-
rono di quegli che il Poeta parlante Dipintore, et all’incontro il Dipintore mutolo
Poeta addimandarono»). Cfr. ancora F.A. YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 28:
«La teoria dell’equazione poesia-pittura poggia anch’essa sulla supremazia del
senso della vista: il poeta e il pittore pensano entrambi per immagini, che l’uno
esprime poetando, l’altro dipingendo. Le sottili e sfuggenti relazioni con le altre
arti che percorrono tutta la storia dell’arte della memoria sono così già presenti
nella fonte leggendaria, nei racconti attorno a Simonide, che vide poesia, pittura
e mnemonica in termini di intensa visualizzazione». Per una più diffusa tratta-
zione del racconto di Simonide (oltre alla breve nota di V. D’AGOSTINO, Simonide
inventore della mnemotecnica in Cicerone e Quintiliano, in «Rivista di studi clas-
sici», fasc. 1, 1952, 125-127) si vedano H. BLUM, Die antike Mnemotechnik,
Hildesheim-New York, Georg Olms Verlag 1969, 41-45 e L. MARIN, Le trou de
mémoire de Simonide, in «Traverses», 40, aprile 1987, 29-37.
14 LODOVICO DOLCE
36
In effetti il brano è fedele traduzione di un passo quintilianeo: Institutio
Oratoria, XI, 2, 11-14. Come possiamo vedere il Dolce non riutilizza la propria
traduzione della versione ciceroniana del racconto (CICERONE, De Oratore, II,
86, 352-4; ricordiamo che il volgarizzamento dolciano è del 1547), allontanan-
dosi così pure dal testo di Host, che rievoca la mitica origine dell’ars memorandi
attraverso le parole di «Marco Tullio» (cfr. J. HOST, Congestorium artificiosae
memoriae, tract. IV, conclusio operis, ed. cit., c. 74r-v).
37
Cfr. PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia, VII, 24, 89: «Ars postremo
eius rei facta et inventa est a Simonide melico, consummata a Metrodoro Scepsio,
ut nihil non isdem verbis redderetur auditum». Metrodoro di Scepsi, «persona
di gradevole parola e di grande cultura, salito a un tale vertice d’amicizia con
Mitridate da essere chiamato padre del re» (PLUTARCO, Le vite di Cimone e di
Lucullo, trad. a cura di C. Carena, M. Manfredini e L. Piccirilli, Milano, Fon-
dazione Lorenzo Valla-Mondadori 1990, 125) ed esponente di spicco della
tarda retorica greca, è ricordato da Cicerone (De Oratore, II, 88, 360) e da
Quintiliano (Institutio Oratoria, XI, 2, 22) per il suo avvalersi dei segni dello
zodiaco come di immagini di memoria, adeguatamente impressionevoli (e quindi
utilizzabili come imagines mobiles) e corredate di un ordine predefinito (che alla
bisogna ne fa imagines fixae, luoghi di memoria già pronti all’uso): la divisione
in dieci gradi di ogni decano (tre per ogni segno zodiacale) si presume che gli
consentisse la formazione di trecentosessanta loci ben indicati per la realizzazio-
ne di sorprendenti imprese mnemoniche (cfr. L.A. POST, Ancient Memory Systems,
in «Classical Weekly», XV, 1932, 109: «With a little calculation he [Metrodoro]
could find any background by its number, and he was insured against missing
a background, since all were arranged in numerical order. His system was therefore
well designed for the performance of striking feats of memory» e H. BLUM, Die
antike Mnemotechnik, ed. cit. 121: «[Metrodoros] arbeitete auch eine eigene
Variante des System aus, indem er bei den zwölf Tierkreiszeichen 4320
mnemonische Stellen unterbrachte»). Il sistema mnemonico di Metrodoro ri-
tornerà costantemente in chi si richiamerà, con accenti più o meno mistico-
magici, ai segni zodiacali come notae di memoria. Una visualizzazione, tutt’altro
che mistica o alchemica, di trecentosessanta luoghi di memoria ce la offre il
Dolce, forse memore del retore di Scepsi, nel suo Giornale delle historie del
mondo, delle cose degne di memoria di giorno in giorno occorse dal principio del
Mondo fino a’ suoi tempi, riveduto, corretto et ampliato da Guglielmo Rinaldi
(Venezia, al Segno della Salamandra 1572), dove per ogni giorno dell’anno
DIALOGO DELLA MEMORIA 15
sta parte alla debolezza humana, scrissero libri di cotale arte; di cui,
come piace a Cicerone, fa mestiero38 in qualunque dottrina.
Percioché, qual profitto potrebbe alcuno cavare di aver con somma
diligenza letto e riletto alcun libro, overo di studiare qual si voglia
arte, se, quando fa bisogno, non l’avesse in pronto et alle mani39; o
riporta una o più notizie degne di memoria; così il curatore Guglielmo Rinaldi
introduce l’opera nella dedica «al Clarissimo Signor Luigi Michele»: «Se, quanto
è il piacere e beneficio che si ha nel leggere et acquistare la cognizione dell’Historia,
tanto fosse sicura la memoria de gli Huomini in ritenerla, ardirei di dire, Clarissimo
Signor mio, che non fosse parte alcuna nel Tesoro delle Lettere, intorno la quale
più si dovesse l’huomo affaticare. (…) Ma qual Themistocle, o Mithridate,
Lucullo, o Hortensio, può vantarsi di poter con la memoria ciò che legge rite-
nere, in tanta varietà e copia di scrittori? È opera veramente più tosto divina, che
mortale. Non doverà esser stimata inutile fatica quella, che sie impiegata a
sollevar la memoria dal soverchio peso, e sovvenirle in così fatto modo, ch’ella
non perda punto delle sue forze, in conservarsi con molta minor fatica tutto
quello, che dalla lezione le viene presentato. Sì come già pensò di fare il genti-
lissimo, e non mai stanco di giovare, Messer LODOVICO DOLCE, riducendo
con breve esposizione gli illustri fatti così de gli antichi, come de’ moderni, sotto
certo ordine di giorni. Sì che non vi ha mese, anzi quasi giorno nell’anno, che
passi vuoto d’Historia. Ordine, che non pur giova a presto ritrovare e leggere le
cose memorabili, ma anco ad applicarle così ne’ parlamenti, come ne’ scritti a
quello che s’intende trattare sotto il medesimo giorno. E spero, doverà esser
aggradito per loro uso così da giudiciosi Poeti, come Oratori».
38
fa mestiero: ‘è necessario, opportuno’. Cfr. BOCCACCIO, Decameron, II,
3, 39: «E così disposta venendo, Iddio, il quale solo ottimamente conosce ciò
che fa mestiere a ciascuno...»; L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti
della volgar lingua, ed. cit., c. 6r: «è della prosa, e famigliarissimo presso il
Boccaccio. Dicesi anco è mistieri o fa mistieri: di che non adduco esempi».
39
in pronto et alle mani: ‘immediatamente disponibile’. Quasi a ricordare
il carattere pratico e l’utilità reale di questa disciplina, la formula ricorre frequen-
temente nei trattati di arte della memoria ma non solo, come si può vedere in
PETRARCA, Secretum, I, 54 (si è utilizzata l’edizione a cura di E. Fenzi, Milano,
Mursia 1992): «Non tamen vel sillaba hec [le sillabe della parola ‘morte’] summis
auribus excepta vel rei ipsius recordatio compendiosa sufficiet; immorari diutius
oportet atque acerrima meditatione singula morientium membra percurrere; et
extremis quidem iam algentibus media torreri et importuno sudore diffluere,
ilia pulsari, vitalem spiritum mortis vicinitate lentescere. Ad hec defossos
natantesque oculos, obtuitum lacrimosum, contractam frontem liventemque,
labantes genas, luridos dentes, rigentes atque acutas nares, spumantia labia,
torpentem squamosamque linguam, aridum palatum, fatigatum caput, hanelum
pectus, raucum murmur et mesta suspiria, odorem totius corporis molestum,
precipueque alienati vultus horrorem. Que omnia facilius ac velut in promptu
et ad manum collocata succurrent, si cui familiariter obversari ceperit memoran-
dum aliquod conspecte mortis exemplum; tenacior enim esse solet visorum
quam auditorum recordatio»; se «in pronto» è un latinismo (in promptu) ricor-
rente nella prosa volgare, più rara e sicuramente più suggestiva (almeno nell’am-
bito di un lessico dell’ars memorandi) è la formula «alle mani», alla quale si può
16 LODOVICO DOLCE
non potesse ricordarsene per insegnare altrui quello che egli sapes-
se, o valersene per lui alle occasioni? Né è per certo da dubitare che
ciò che è necessario, non sia parimente utile. E qual cosa è più
necessaria della memoria?
FAB‹R›. Ciò è cosa certissima.
HOR. Lo aver memoria nel vero conviene a ogni sesso, et a ogni
stato e condizione: sì come a’ religiosi, a’ secolari, e ciascun artefice,
a’ leggisti, theologi, predicatori, et oratori40. Essendo che a ciascun
di costoro è mistiero che si ricordi di quello che gli appartiene, che
è convenevole al suo ufficio, et utile alla sua professione. È vero che
questa arte alcuni riprendono, come non aiut‹at›rice41 ma distrug-
gitrice della memoria. Come che si debba biasimare Aristotele, Ci-
cerone, Seneca, e Quintiliano, et altri antichi, che lei sommamente
lodano. Ma questi, che così stimano, sono sciocchi, percioché dan-
nano in altrui quello che essi non isperano di potere ottenere. Ma,
forse accostare «di mano in mano», anch’essa espressione molto frequente nel
testo: le mani ritornano spesso nei precetti mnemonici come lettere di alfabeti
figurati, come note memorative a margine di un processo di reminiscenza, come
luoghi di memoria o immagini efficaci (la mano d’oro), e talvolta abitano le
rappresentazioni reali delle immagini di memoria, ovvero le illustrazioni che
accompagnano i trattati. Nel frontespizio dell’Ars memorativa di Anton Sorg
(Augsburg 1490) viene ad esempio rappresentato un maestro di mnemotecnica
che sta compiendo il gesto di contare e tale iconografia ritorna, secondo Ludwig
Volkmann, in una fortunata traduzione tedesca del De remediis utriusque fortunae
di Petrarca (Von der Arzney bayder Glück, des guten und widerwertigen, Augsburg,
Steyner 1523) dove nella silografia che fa da frontespizio all’ottavo capitolo dal
primo libro (quello dedicato alla memoria) si ha l’immagine di un dotto che
sembra compiere il gesto di contare con le dita, circondato da una serie di scudi
riportanti dei disegni e affiancato da una figura allegorica di donna con un libro
in testa e uno sotto il braccio: Volkmann, evidenziando i rapporti tra questa e
altre silografie che corredano l’opera petrarchesca e alcune immagini di memo-
ria proposte in trattati di mnemotecnica quattro-cinquecenteschi, giunse a
suggerire una possibile lettura mnemonica del De remediis nell’ambito della
cultura germanica del Cinquecento, lettura che potrebbe in parte giustificare la
fama che proprio in Germania e proprio nel Cinquecento Petrarca ebbe come
maestro di arte della memoria (cfr. L. VOLKMANN, Ars memorativa, ed. cit., 160
e 164-166).
40
Si ricordi qui per esteso il titolo del trattato di Host: Congestorium
artificiosae memoriae Joannis Romberch de Kryspe, omnium de memoria praeceptione
aggregatim complectens. Opus omnibus Theologis, praedicatoribus, professoribus,
iuristis, iudicibus, procuratoribus, advocatis, notariis, medicis, philosophis, artium
liberalium professoribus, insuper mercatoribus, nunciis, et tabelariis pernecessarium.
41
Cfr. BOCCACCIO, Decameron, VI, 4, 3: «la fortuna ancora, alcuna volta
aiutatrice de’ paurosi».
DIALOGO DELLA MEMORIA 17
42
Con questa breve battuta Dolce sintetizza ben due capitoli del
Congestorium, dedicati rispettivamente alla confutazione dei detrattori dell’ars
e alle sue occasioni d’utilizzo (cfr. J. HOST, Congestorium artificiosae memoriae,
I, I-II, ed. cit., cc. 6-7).
43
Cfr. CICERONE, De Officiis, I, 2, 7: «omnis enim, quae a ratione suscipitur
de aliqua re institutio, debet a definitione proficisci, ut intellegatur quid sit id
de quo disputetur» e UGO DI SAN VITTORE, Didascalicon, VI, III, ed. cit., 191:
«Mi ricordo che, quando ero ancora allievo delle prime scuole, mi impegnavo
intensamente ad imparare tutti i vocaboli corrispondenti agli oggetti che vedevo
ovvero che adoperavo, ritenendo francamente che non possa iniziare lo studio
della natura delle cose colui che ignora ancora i loro nomi»; il passo ciceroniano
(presente anche nel Congestorium) funge da preambolo anche per un altro
trattato di ars memorandi, l’anonimo manoscritto tardoquattrocentesco Tractatus
solemnis artis memorativae, conservato nel Cod. lat. ambrosiano T. 78 sup. e
trascritto da Paolo Rossi in appendice a Clavis universalis. Arti della memoria e
logica combinatoria da Lullo e Leibniz, ed. cit., 292: «Tractatus solemnis artis
memorativae incipit. Artificiosae memoriae egregia quaedam atque preclarissima
praecepta in lucem allaturi, non invanum esse duximus quod ipsa sit primum
effingere cum iuxta Ciceronis sententia in primo De officiis, omnis de quacumque
re sumitur disputatio a diffinitione proficisci debeat ut sciri possit quid sit id de
quo disputatur». Questa formula funge da incipit della trattazione anche nel
Dialogo dei colori: «percioché malagevolmente si può intender la qualità e con-
dizione d’una cosa, se prima non si sa ciò che ella è» (L. DOLCE, Dialogo nel quale
si ragiona della qualità, diversità e proprietà dei colori, ed. cit., c. 7r).
44
La dialettica natura/artificio su cui poggia l’intera tradizione retorica
dell’arte della memoria è ben rappresentata nel dialogo Della eloquenza (1557)
di Daniel Barbaro, in cui così si fronteggiano Arte e Natura: «ARTE: O quanto
ti son tenuta in nome suo! Che mi gioverebbe avvertire un affetto di Natura se
altra fiata in quello abbattendomi la memoria presta non mi dicesse: “Eccoti,
o Arte, quello che ancora vedesti”? Che esperienza si truova in me senza di essa?
Chi s’accorgerebbe che in alcuna di voi, o Anime, io mi ritrovassi, se non fusse
la memoria come guardiana e tesoriera di tutte le parti dello ingegno? Onde con
verità si dice che “tanto sa l’uomo, quanto si ricorda”. Nasce la memoria dal bene
18 LODOVICO DOLCE
rie diremo trovarsi naturali: l’una è quella, che è riposta negli ani-
mi nostri, o nasce parimente col pensamento 45. E come scrive
Diomede, è un veloce e saldo comprendimento dell’animo; il qua-
le prende aita dall’esercizio del leggere, dallo intendimento dello
esporre o spiegare ciò che si è letto, dalla cura dello scrivere, da un
sollecito discorso, e diligente ragione46. Alberto Magno dice ritro-
varsi nell’uomo tre sorti di memoria. Delle quali la prima chiama
conservativa delle proprietà sensibili, le quali sono apprese dalla
stimativa; e questa è secondo la parte sensibile, e segue pure la
stimativa. La seconda è da lui detta conservativa delle specie
intellegibili: e questa è seguace della ragione, et è nell’ultima parte
del cervello; e pare che Damasceno queste due tocchi, quando e’
dice che: «la memoria è fantasia abandonata da alcuna cosa, e
conservazion del senso e dell’intelligenza»47. Ma io tuttavia mi dò a
ordinare, l’ordine dallo intendere e dal pensamento. Però posso io con le imagini
in alcuni luoghi riposte artificiosamente indurre la memoria delle cose.
NATURA: A lungo andare tu le sei più tosto di danno che di pro alcuno; però non
mi piace altro che uno essercizio di essa memoria che si fa mandando molte cose
a mente» (D. BARBARO, Della eloquenza, in Trattati di poetica e retorica del
Cinquecento, a cura di B. Weinberg, Bari, Laterza 1974, II, 350). Sull’apporto
del patriarca di Aquilegia alla fortunata stagione veneziana di fertile intersezione
tra retorica, arti figurative e mnemotecniche, e soprattutto sul suo ruolo non
secondario per la decrittazione del ‘misterioso’ Theatro di Giulio Camillo, si
veda G. BARBIERI, La natura discendente: Daniele Barbaro, Andrea Palladio e
l’arte della memoria, in Palladio e Venezia, a cura di L. Puppi, Firenze, Sansoni
1982, 29-54.
45
Cfr. B. GIAMBONI, Fiore di rettorica, 82 (Come il dicitore si dee recare
a memoria la sua diceria), ed. critica a cura di G. Speroni, Pavia, Università degli
Studi di Pavia 1994, 101: «Dei saper che sono due le memorie, cioè naturale e
artificiale. La naturale è quella che coll’animo è congiunta, e insieme col pensier
nata». Sull’importanza della sezione sulla memoria di questo volgarizzamento
duecentesco dell’Ad Herennium e sui suoi rapporti con la coeva e successiva
tradizione mnemotecnica si veda F. A. YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 81-
83.
46
Mai citato fra i maestri dell’ars memorandi o fra i suoi mirabili interpreti,
questo Diomede è il famoso grammatico latino del IV sec. d. C. autore di una
Ars grammatica in tre libri. Per il passo citato si veda DIOMEDIS, Artis grammaticae
libri III, I, in Grammatici latini, a cura di H. Keil, Hildesheim, G. Olms Verlag
1961, I, 419: «Memoria est velox animi et firma perceptio, cuius facultatem
fovet exercitatio lectionis enarrationisque intentio, stili cura, redditio sollicita
et diligens et iteratio atque repetitio frequens».
47
SANCTI PATRIS JOANNIS DAMASCENI, Orthodoxe fidei accurata editio, in-
terprete Jacobo Fabro, liber II, cap. XX (De memorandi facultate), Venezia, s.i.t.
1515, c. 14r: «Memoria est imaginatio relicta ab aliquo sensu aut confirmatio
sensus et intelligentiae».
DIALOGO DELLA MEMORIA 19
48
Cfr. ALBERTO MAGNO, Metaphysica, I, tract. I, cap. 7, ed. cit., 10: «Et
cum memoria non tantum sit thesaurus et coacervatio formarum sensibilium
prius acceptarum, sed etiam intentionum convenientis et inconvenientis, boni
et mali, amici et inimici et huiusmodi cum sensibilibus ab aestimativa
acceptorum».
49
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, In Aristotelis libros De Sensu et Sensato, De
Memoria et Reminiscentia Commentarium, Liber Unicus, lectio II, n. 320 (si è
utilizzata l’edizione Marietti, Torino 1949): «Unde concludit quod memoria sit
intellectivae partis animae, sed per accidens; per se autem primi sensitivi, scilicet
sensus communis». Il commento si riferisce ad ARISTOTELE, Della memoria e della
reminiscenza, 1, 450a.
50
Le ultime due battute di Hortensio offrono una decisa sintesi del passo
del Congestorium artificiosae memoriae (tract. I, cap. IV, c. 7v). Cfr. ALBERTO
MAGNO, De anima, II, tract. 4, cap. 7, in Opera Omnia, ed. cit., 158: «Thesaurum
autem eius reservantem intentiones, qui memoria vocatur, in posteriori parte
cerebri posuerunt, qui locus est siccus propter nervos motivos,qui oriuntur ab
ipso. Cuius signum est, quia laesa illa parte perditur vel laeditur memoria in
omnibus animalibus. Phantasiam autem, quae convertit se tam super intentiones
quam super formas, posuerunt in medio mediae cellae tamquam centrum inter
imaginativam et memoriam» ma anche L. DOLCE, Somma di tutta la natural
filosofia di Aristotele, ed. cit., 71: «Memoria è potenza sensitiva interiore, la quale
le specie delle cose sensibili da gli altri sensi interiori riceve e conserva. Il cui
oggetto è il sensibile per sé sensato, come conservabile. Percioché conserva ella
le specie, che concepisce la virtù imaginativa, cioè la fantasia. L’organo della
memoria è l’ultimo ventricolo del cervello». Nella copia del Congestorium da me
consultata manca la figura che segue (diversamente da quanto indicato dalla
YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 238), figura invece presente nella Somma
aristotelica approntata dal Dolce.
20 LODOVICO DOLCE
51
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, In Aristotelis libros De Sensu et Sensato, De
Memoria et Reminiscentia Commentarium, l. II, n. 321: «Cum enim potentiae
sensitivae sint actus corporalium organorum, necesse est ad diversas potentias
pertinere receptiones formarum sensibilium quae pertinet ad sensum, et
conservationem earum, quae pertinet ad phantasiam sive imaginationem; sicut
in corporalibus videmus quod ad aliud principium pertinet receptio et
conservatio: humida enim sunt bene receptiva, sicca autem et dura bene
conservativa» [il passo commenta ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscen-
za, I, 450b]. Sulla medicina per la memoria confronta il più recente e interes-
sante contributo sulla storia medievale dell’ars reminiscendi, M. CARRUTHERS,
The Book of Memory. A Study in Medieval Culture, ed. cit., 46-79.
DIALOGO DELLA MEMORIA 21
52
Deve trattarsi di un’errata lettura di Rhetorica ad C. Herennium, I, 2, 3:
«Memoria est firma animi rerum et verborum et dispositionis perceptio». Host
l’ha probabilmente tratta dall’anonimo Tractatus solemnis artis memorativae, ed.
cit., 292: «Est igitur artificialis memoria dispositio quaedam imaginaria vel
localis vel idealis mente rerum sensibilium super quas naturalis memoria reflexa
per ea summovetur atque adiuvatur ut prius memoratorum facilius, distinctius
atque divitius denuo valeat reminisci». Nel testo non compare però alcun rife-
rimento a «Marco Tullio». Si veda anche la definizione che Jacopo Ragone ne
dà nelle sue Artificialis memoriae regulae (1434), importante perché una delle
poche che afferma esplicitamente la sostanziale identità di luoghi e immagini
in nome della comune matrice immaginaria: l’arte della memoria consta infatti
di luoghi e immagini o, più correttamente, di imagines fixae funzionalmente
strutturate, minuziosamente ornate e logicamente ordinate, entro le quali ven-
gono collocate imagines mobiles che grazie a una veste esteriore impressionabil-
mente efficace attivano il processo associazionistico del ricordo o addirittura
veicolano esse stesse i contenuti affidati alla memoria (cfr. JACOPO RAGONE,
Artificialis memoriae regulae, in G. ZAPPACOSTA, Studi e ricerche sull’Umanesimo
italiano, Bergamo, Minerva Italica 1972, 36: «Differunt vero loci ab imaginibus
nisi in hoc, quod loci sunt non anguli ut exstimant aliqui sed imagines fixe supra
quibus sicut supra carta alie pinguntur imagines delebiles sicut litterae; unde
loci sunt sicuti materia. Imagines vero sicuti forma. Differunt ergo sicut fixum
et non fixum»). Il trattato del Ragone, uno dei più diffusi del primo Quattro-
cento, è importante perché, come anche quello di Pietro da Ravenna, sembra
allontanarsi dall’impostazione etico-retorica propria della tradizione domenicana
di testi mnemotecnici per rivolgersi con maggior sensibilità agli orientamenti
della sua età: la massiccia presenza di esemplificazioni (e la loro funzionalità
pedagogica), il tentativo di adattare la mnemotecnica alle più varie attività (dalle
carte da gioco alla diplomazia) e il progressivo svincolamento della memoria
dall’ambito religioso della Prudenza fanno intravvedere le nuove modalità con
cui la cultura della memoria si presenterà alla società dell’Umanesimo. Sulle
regulae del Ragone si veda M.P. SHERIDAN, Jacopo Ragone and his Rules of Artificial
Memory, in «Manuscripta», IV, 3, 131-148.
22 LODOVICO DOLCE
re. E questa il Petrarca nel Libro della contraria fortuna dice ricevere
aiuto con queste parole: «Se avrai la memoria caduca e debole,
fermala coi sostegni della diligenza e dell’arte. Percioché la indu-
stria si contrappone a tutti i difetti della memoria e dell’ingegno;
ella sovviene, né lascia perire e menomar veruna parte. Questa può
conservar con verdissimo ingegno e stilo i vecchi Filosofi e Poeti.
Questa i decrepiti Oratori con salda voce, con forti fianchi, e con
tenace memoria parimente. Onde, se tu ti conosci la memoria in-
fedele, non voler confidartene53: ponle spesso ripari, e quello che le
credi54, tosto da lei riscuoti»55.
FAB‹R›. Sono molto ingegnose queste parole del Petrarca.
HOR. Fra la memoria e la reminiscenza v’entra questa differenza.
Che la memoria separatamente e distintamente torna alle cose, for-
mando con imagini gli intendimenti distinti. Ma la reminiscenza,
o diciamo ricordazione, è co‹me un› movimento intrapreso e rin-
tuzzato dalla oblivione, e serve a tempo e a luogo con raccoglimen-
to dell’ordine e della dipendenza delle cose (per così dire) reminisci-
bili (cioè che entrano nella rimembranza)56; ‹così com›e quando da
53
confidartene: ‘porre fiducia in essa’. Cfr. BOCCACCIO, Decameron, V, 7,
5: «e credendo che turchio fosse, il fé battezzare e chiamar Pietro e sopra i suoi
fatti il fece il maggiore, molto di lui confidandosi».
54
credi: latinismo, ‘affidi’. Cfr. PETRARCA, Rerum Familiarium Libri, XVII,
5, ed. critica a cura di V. Rossi e U. Bosco, Firenze, Sansoni 1923-24, III, 251:
«Quid ergo? Scito me nusquam amena loca conspicere quin subito redeam in
memoriam ruris mei eorumque simul quibuscum libenter valde, si datum esset,
illic precipue vite brevis fragmenta consumerem. Te igitur et rus illud, dum tibi
ista dictarem memorie credidi; necque enim scribendi instrumenta aderant; illa
autem, ubi domum est reditum, depositum bona fide restituit».
55
PETRARCA, De Remediis utriusque Fortunae, liber II, dialogus CI (De
inopi et infirma memoria), in F. PETRARCHAE, Opera quae extant omnia, Basilea
1554 [rist. anast. Ridgewood (New Jersey), The Gregg Press Incorporated 1965],
219: «DOLOR: Memoria labascit. RATIO: Adesto ne corruat, et labentem iugi
exercitatione sustenta. Fac quod muro ruinam minanti fieri solet, adhibe repagula
opportunis locis, et fragilem crebris ac validis adminiculis circumvalla. DOLOR:
Memoria fluxa est. RATIO: Diligentia et artificio illam stringe, cunctis ingenii
memoriaeque; defectibus occurrit industria. Nil patitur industria perire, nil
minui. Haec est quae philosophos et poetas senes virentissimo ingenio ac stilo,
hac est quae decrepitos oratores voce solida validisque lateribus ac tenaci memo-
ria servare potest. (...) DOLOR: Infida memoria est. RATIO: Noli ergo illi fidere,
saepe calculum secum pone, quicquid credideris confestim exige, et quod cras
facturus fueras nunc facito».
56
Cfr. ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscenza, 2, 451b (per tutte
le traduzioni si è ricorsi all’edizione delle Opere, a cura di G. Giannantoni, Bari,
Laterza 1973): «Inoltre è ben chiaro che uno può ricordare una cosa non perché
DIALOGO DELLA MEMORIA 23
58
Cfr. DIOGENE LAERZIO, Vite dei Filosofi, I, 1, 37, trad. a cura di M.
Gigante, Bari, Laterza 1962, 18: «Chi è più felice? Chi è sano di corpo, ricco di
risorse spirituali, bene educato di natura. Dice [Talete] che bisogna ricordarsi
degli amici presenti ed assenti, non acconciarsi la faccia ma esser bello nella
pratica della vita».
59
Indarno (...) acconcio: ‘inutilmente si cerca d’insegnare a chi non è in
grado di imparare’. Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte et eleganti della
volgar lingua, ed. cit., c. 215v: «Acconcio per atto, commodo e polito. È molto
in uso de’ Prosatori: e sempre invece di atto usato dal Bembo».
60
L’elenco delle persone poco atte al ben ricordare suggerisce la tradizio-
nale ripartizione dei peccati capitali, evidenziando così in nome della facoltà
memorativa una linea di continuità fra integrità spirituale e salute corporea e
prefigurando l’elezione, che fra breve Dolce presenterà, dei luoghi dell’oltremondo
dantesco a luoghi strutturalmente ed emozionalmente adatti alla ritenzione di
ricordi; cfr. F. A. YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 87: «Ora possiamo guar-
dare, con gli occhi della memoria, al trecentesco dipinto dell’Inferno nella
chiesa domenicana di Santa Maria Novella. L’Inferno vi è diviso in luoghi
corredati di iscrizioni (proprio come raccomanda Romberch), che indicano i
peccati puniti in ognuno di essi, e contengono le immagini che è naturale
attendersi in tali luoghi. Proiettando questo dipinto nella nostra memoria,
come un prudenziale memento, praticheremo forse ciò che il Medioevo avrebbe
chiamato memoria artificiale? Credo di sì».
DIALOGO DELLA MEMORIA 25
61
disposizion (...) habito: latinismi, ‘stato, condizione’. ‘Abito’ va inteso nel
senso etimologico di id quod habetur, ‘la cosa che è presentata’.
62
Come si vedrà fra poco, Petrarca offre nel De remediis utriusque fortunae
validi consigli per una vita sana e, di conseguenza, per una non difficoltosa
azione rammemorativa.
63
Cfr. ARISTOTELE, Metafisica, I, 1, 980a: «Tutti gli uomini sono protesi
per natura alla conoscenza: ne è un segno evidente la gioia che essi provano per
le sensazioni, giacché queste, anche se si metta da parte l’utilità che ne deriva,
sono amate di per sé, e più di tutte le altre è amata quella che si esercita mediante
gli occhi».
64
Di Cleobulo, filosofo greco anteriore a Talete e iscritto alla cerchia dei
cosiddetti sette sapienti, ci tramandano alcune sentenze Demetrio Falareo (Sen-
tenze dei sette sapienti, in I Presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di H.
Diels, trad. it. Bari, Laterza 1990, 73: «Cleobulo lindio, figlio di Evagoro disse:
1. Ottima è la misura. (...) 3. Star bene nel corpo e nell’anima. 4. Essere avido
di ascoltare e non cianciare. 5. Sapere molto piuttosto che essere ignorante») e
Diogene Laerzio, (Vite dei Filosofi, I, VII, 91, ed. cit., 42: «Delle sue canzoni che
erano cantate nei conviti ebbe speciale rinomanza questa: Dominano tra gli
uomini rozza ignoranza e ciarloneria, ma l’opportunità ti preserverà. Sii sollecito
del bene. La gratitudine non sia vana»).
65
Cfr. PSEUDO-BOÈCE, De disciplina scolarium, 5, 4, a cura di O. Weijers,
Leiden-Köln, E. J. Brill 1976, 121: «Quippe miserrimi est ingenii semper inventis
uti et numquam inveniendis. Stulciusque est magistratus oracionibus omnino
confidere, sed primo est credendum donec videatur quid senciat, postea
fingendum est eundem in docendo errasse, ut si forte reperire queat quid
commisse obiciat sedulitati».
26 LODOVICO DOLCE
66
San Girolamo nella lettera 52, inviata al sacerdote Nepoziano, espone
una serie di precetti per chi ha abbracciato lo stato clericale, predicando tra
l’altro la moderazione negli alcolici: «Numquam vinum redoleas, ne audias illud
philosophi: ‘hoc non est osculum porrigere, sed propinare!’ Vinolentos sacerdotes
et apostolos damnat et vetus lex prohibet. Qui altari serviunt vinum et siceram
non bibant. (…) Quidquid inebriant et statum mentis evertit fuge similiter ut
vinum. (…) sed modum et aetatis et valitudinis et corporum qualitates exigimus
in potando» (SAINT JÉRÔME, Lettres, LII, 11, a cura di J. Lebourt, Paris, Les belles
lettres 1951, II, 187). Della necessità di sobri comportamenti per una buona
riuscita negli studi parla anche Alcuino da York nel suo dialogo Sulla Retorica
e le Virtù, in cui, sulla scorta del De Inventione ciceroniano, l’autore descrive le
cinque parti della retorica all’imperatore Carlo Magno. Cfr. W.S. HOWELL, The
Rhetoric of Charlemagne and Alcuin, Princeton, Princeton University Press 1941,
136: «KARLUS: Suntne aliqua eius praecepta, quomodo vel illa optinenda sit vel
augenda? A LCUINUS : Non habemus eius alia praecepta nisi ediscendi
exercitationem et scribendi usum et cogitandi studium et ebrietate cavenda,
quae omnibus bonis studiis maxime nocet, quae non solum corpori aufert
sanitatem, sed etiam menti adimit integritatem».
67
PETRARCA, De Remediis utriusque Fortunae, l. II, dialogus X (De tenui
victu), ed. cit., 137: «DOLOR: Tenuis me victus extenuat. RATIO: Mallesne igitur
tumefieri? Haec tenuitas podagram tuis pellet e finibus, dolorem capitis auferet,
DIALOGO DELLA MEMORIA 27
70
Cfr. G. M. A. CARRARA, De omnibus ingeniis augendae memoriae, cap.
I, ed. cit., 120: «Verum, si superflua frigiditas immoderate iungatur siccitati,
consurgere oportet pessimam memoriam, et in capiendo indispositam, et in
recogitando hebetem. Si autem coniungatur caliditas siccitati, velox quidem
erit spirituum motus, sed difficilis fiet inscriptio. Erit igitur captio difficilis, sed
rememoratio sat facilis».
71
Cfr. ALBERTO MAGNO, Quaestiones super naturam animalium, IX, qq. 8-
10, in Opera Omnia, ed. cit., 207: «Ad tertium dicendum, quod talis emissio
memoriam enervat propter tres rationes. Quia inordinata desideria obnubilant
sensum per Aristotelem in Ethicis; sed cum frequenter emittuntur sperma et
menstruum, nimis faciunt desideria hominem exardescere et per consequens
offuscant sensus et ita memoriam. Praeterea, memoria viget in parte posteriore
cerebri, et ista pars cerebri per emissionem maxime extenuatur, et per consequens
memoria debilitatur». Sui rapporti tra memoria ed eros nell’ottica di una visione
pneumatica dell’organismo-uomo si vedano I. P. COULIANO, Eros e magia nel
Rinascimento, ed. cit., (in particolar modo le pagine141-265) e M. CIAVOLELLA,
Eros e memoria nella cultura del Rinascimento, in La cultura della memoria, ed. cit.,
319-334.
DIALOGO DELLA MEMORIA 29
72
Cfr. ARISTOTELE, Dell’anima, III, 8, 431b-432a: «La facoltà sensitiva e
quella conoscitiva dell’anima sono in potenza quasi oggetti, e cioè da una parte
l’intelligibile, dall’altra il sensibile. Ma è necessario che siano o le cose o le forme:
ma non sono le cose, perché non c’è la pietra nell’anima, bensì la forma della
pietra». Cfr. anche AGOSTINO, Confessiones, X, VIII: «Haec omnia recipit recolenda,
cum opus est, et retractanda grandis memoriae recessus et nescio qui secreti
atque ineffabiles sinus eius: quae omnia suis quaeque foribus intrant ad eam et
reponuntur in ea. Nec ipsa tamen intrant, sed rerum sensarum imagines illic
praesto sunt cogitationi reminiscenti eas».
73
diterminata mesura per numero: ‘esatta proporzione’.
74
continovo: arc. per ‘continuo’. Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte
et eleganti della volgar lingua, ed. cit., c. 109r: «Del continovo è della prosa. E
servando questa maniera del continuovo, di continovo usarono alcuni moderni».
75
Cfr. CICERONE, De Oratore, II, 86, 354: «Itaque eis, qui hanc partem
ingeni exercent, locos esse capiendos et ea, quae memoria tenere vellent effigenda
animo atque in eis locis conlocanda; sic fore, ut ordinem rerum locorum ordo
conservaret, res autem ipsas rerum effigies notaret atque ut locis pro cera,
simulacris pro litteris uteremur» e ID., Partitiones Oratoriae, 7, 26: «Nihil sane
praeter memoriam, quae est gemina litteraturae quadam modo et in dissimili
genere persimilis. Nam ut illa constat ex notis litterarum et ex eo in quo
imprimuntur ipsae notae, sic confectio memoriae tamquam cera locis utitur et
in his imagines ut litteras conlocat»; ma la similitudine ritorna anche in
Quintiliano (Institutio Oratoria, XI, 2, 21) e in ANONIMO, Tractatus solemnis
artis memorativae, ed. cit., 292: «Nam cum ars imitetur naturam in quantum
potest, volenti autem scribere primum carta et cera preparanda est, quibus loci
simillimi sunt. Imagines autem litteris, dispositio autem et collocatio imaginum
scripturae, pronuntiatio autem lectioni comparantur».
30 LODOVICO DOLCE
76
allogate: ‘collocate nei luoghi’. Cfr. L. DOLCE, Modi affigurati e voci scelte
et eleganti della volgar lingua, ed. cit., c. 88r: «Locare, allogare. Ambi d’un me-
desimo significato: che è collocare, e dar luogo. (...) Allogare è usato da’ Prosatori».
77
insieme: ‘nel medesimo istante’. Cfr. DANTE, Inferno, XIII, 43-44: «sì de
la scheggia rotta usciva insieme Parole e sangue; ond’io lasciai la cima».
78
JOHANNES DE SANCTO GEMINIANO, Summa de exemplis ac similitudinibus
rerum, liber sextus, cap. XLII, s.i.t., Venezia 1499, 245: «Sic memoria tunc est
bene disposita cum est rotunda et larga per capacitatem, et longa per
diuturnitatem, et diversis panniculis et diversis adminiculis fulta per
studiositatem». La Summa di fra Giovanni è tra i primi esempi dell’applicazione
della memoria artificiale, così come era stata teorizzata da Tommaso e Alberto,
alla predicazione riformata dai domenicani, espressione medievale dell’oratoria
classica; gli esempi e le «insolite similitudini» (si pensi alla materializzazione
della mente umana attraverso l’immagine del ventre femminile) costituiscono
infatti la rappresentazione fisica delle intenzioni semplici e spirituali citate di
Tommaso; «tuttavia [come sottolinea F.A. YATES, L’arte della memoria, ed. cit.,
79] la similitudine usata nel sermone non è, rigorosamente parlando, la
similitudine usata nella memoria artificiale: infatti l’immagine di memoria è
invisibile, e resta celata entro la memoria di chi ne fa uso, dove, peraltro, può
diventare la matrice nascosta di una serie di immagini esteriorizzate». Sull’au-
tore si veda A. DONDAINE, La vie et les œvres de Jean de S. Gimignano, in «Archivium
Fratrum Praedicatorum», II, 1939.
79
Cfr. ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscenza, 2, 452a: «in effetti,
come i fatti sono correlati tra loro secondo un certo ordine di successione, così
lo sono pure i movimenti mnemonici. Si richiamano facilmente alla memoria
quei fatti che hanno un certo ordine, come le dimostrazioni geometriche, dif-
ficilmente quelli che sono confusi». Cfr. anche TOMMASO D’AQUINO, Summa
Theologiae, II II, q. 49, a. unic.
80
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II II, q. 49, a. unic.: «Et
sunt quattuor per quae homo proficit in bene memorando. Quorum primum
est ut eorum quae vult memorari quasdam similitudines assumat convenientes,
nec tamen omnino consuetas».
DIALOGO DELLA MEMORIA 31
81
Cfr. ARISTOTELE, Della memoria e della reminiscenza, 2, 452a: «Perciò
rammemoriamo subito le cose a cui pensiamo spesso: e infatti, come in natura
questo tien dietro invariabilmente a quest’altro, così ugualmente nell’agire umano
la ripetizione genera la natura».
82
Il che si espone: ‘ciò significa che...’
83
Cfr. CICERONE, De Oratore, II, 88, 359: «Rerum memoria propria est
oratoris; eam singulis personis bene positis notare possumus, ut sententias
imaginibus, ordinem locis comprehendamus»; ma il riferimento testuale esatto
è quello dello pseudo-Cicerone della Rhetorica ad C. Herennium, III, 16, 29:
«Constat igitur artificiosa memoria ex locis et imaginibus».
84
JOHANNES DE SANCTO GEMINIANO, Summa de exemplis ac similitudinibus
rerum, l. sextus, cap. XLII, ed. cit., 245: «Memoria assimilatur ventri. (...) Nam
venter mulieris vocatur uterus eo quod feto impleatur: sed sicut ex utero concipitur
fetus carnis ita ex memoria idest ex specie in memoria servata concipitur verbum
mentis quae est quasi quedam proles ipsius partus. Ex utero ante luciferum
genui te». Una differente sfumatura ha invece la metafora in Agostino dove col
ventre s’intende non il grembo ma lo stomaco, un ricettacolo delle immagini del
ricordo che riesce a trattenere i ricordi perché li ingerisce e li assimila, posseden-
doli integralmente: cfr. AGOSTINO, Confessiones, X, XIV: «Nimirum ergo memo-
ria quasi venter est animi, laetitia vero atque tristitia quasi cibus dulcis et amarus:
cum memoriae conmendantur, quasi traiecta in ventrem recondi illic possunt,
sapere non possunt» e SAN GIROLAMO, Commentarium in Ezechielem, I, 3, in
Patrologia cursus completus, series Latina, a cura di J.-P. Migne, Paris 1857-1866,
XXV, 35: «Quando vero assidua meditatione in memoriae thesauro librum
Domini considerimus, impletur spiritualiter venter noster, et saturantur viscera».
Sul significato della memoria all’interno della riflessione filosofica di Agostino
e sull’incontro nella sua ars memoriae di oratoria classica e pensiero cristiano si
vedano: W. SCHMIDT-DENGLER, Die «aula memoriae» in den Konfessionen des
heiligen Augustin, in «Revue des études Augustiniennes», XIV, 1968, 69-89; A.
SOLIGNAC, Il «memoria» dans la tradition augustiniennes, in Dictionnaire de
spiritualité, ascétique et mystique, doctrine et histoire, ff. LXVI-LXVII, 994-1002; W.
32 LODOVICO DOLCE
la qual cosa chi vuol esser (per così dire) memorevole, bisogna che
tenga queste quattro chiavi d’aprir e serrar la memoria: cioè, che di
dentro sia netto delle cure che tirano a sé l’animo; ‹che sia› sobrio e
benigno; che disponga per ordine e numero le imagini; e quello
che apprende la mente, sia intento a discorrer e considerar molto
spesso85. Percioché, quando alla memoria artificiale si daranno questi
sovvenimenti, averrà (come dice lo scrittore ad Herennio86) che ciò
che l’huomo avrà appreso, reciterà in guisa come egli alhora lo
leggesse87.
FABR. Hora seguite de’ luoghi, delle imagini, e dell’ordine, che dite
esser così utili per fare acquisto della memoria.
HOR. Il bello artificio di questi luoghi, di queste imagini, e di que-
sto ordine, non tanto si approva per l’autorità de gli antichi, quan-
to per la lunga pratica che si suol far di giorno in giorno. Quando
88
egli: forma arcaica con valore neutro pleonastico. Cfr. PETRARCA, Can-
zoniere, CCCLVIII, 8-9: «Dunque vien’, Morte: il tuo venir m’è caro. Et non
tardar, ch’egli è ben tempo omai».
89
quanto...ordine: tutto ciò che esigono la successione delle imagines
memoriae e la concatenazione delle res memorandae.
90
Cfr. ARISTOTELE, Fisica, IV, 212a: «Se, dunque il luogo non è nessuna di
queste tre cose, ossia né forma, né materia, né intervallo che sia sempre qualcosa
di diverso da quello della cosa che viene spostata, necessariamente il luogo è
l’ultima delle quattro cose, il limite, cioè, del corpo contenente (in quanto esso
è contiguo al contenuto). E chiamo ‘contenuto’ un corpo che possa esser mosso
mediante spostamento. Sembra, tuttavia, cosa ben importante e difficile la com-
prensione del concetto di luogo, per il fatto che esso ha tutta la parvenza della
materia e della forma ed anche per il fatto che il cambiamento locale dell’oggetto
spostato avviene in un contenente che è in quiete. (...) Dunque, il luogo è il primo
immobile limite del contenente. (...) E per questa ragione pare che il luogo sia una
superficie, e una sorta di vaso o un involucro. Oltre a ciò il luogo è insieme con
la cosa, perché il limite è insieme col limitato».
91
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, In octo libros physicorum Aristotelis expositio,
libro IV, lectio IV, 439, a cura di P. M. Maggiolo, Roma, Marietti 1965, 216:
«Si autem accipiatur vinum et amphora seorsum ab invicem, non sunt partes:
unde neutri competit esse in seipso. Sed cum sunt simul, utpote cum amphora
est plena vino, propter hoc quod et amphora et vinum sunt partes, idem erit in
seipso, ut expositum est, non primo, sed per partes: sicut album non primo est
in homine, sed per corpus, et in corpore per superficiem. In superficie autem
non est per aliquid aliud: unde primo dicitur esse in superficie».
34 LODOVICO DOLCE
92
Cfr. Rhetorica ad C. Herennium, III, 16, 29: «Locos appellamus eos, qui
breviter, perfecte, insignite aut natura aut manu sunt absoluti, ut eos facile
naturali memoria comprehendere et amplecti queamus».
93
rimanendo: ‘anche se i luoghi si conservano, rimangono’.
94
La definizione aristotelica di luogo ritorna con minime differenze ma
altra applicazione in L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diversità
e proprietà dei colori, ed. cit., c. 7r: «Egli è vero che Aristotele, tenendo una strada
di mezo, stimò che ’l colore fosse termino di corpo, non di quella parte da cui
è contenuto esso corpo, che questo sarebbe superficie (come vogliono i
DIALOGO DELLA MEMORIA 35
Pithagorici) ma della lucidezza, né però non terminata, che ciò sarebbe lume
(come piacque a Platone). Colore è adunque termino et estremità di lucido e
terminato corpo».
95
Cfr. Rhetorica ad C. Herennium, III, 16, 29: «ut aedes, intercolumnium,
angolum, fornicem et alia, quae his similia sunt».
36 LODOVICO DOLCE
96
Sono il Pison, il Ghicon, il Tigri e l’Eufrate, secondo a quanto viene
affermato in Genesi, 2,10-14.
97
Cfr. BONCOMPAGNO DA SIGNA, Rhetorica Novissima, ed. cit., 278: «Ma
noi, senza dubitare, crediamo nella fede cattolica, e dobbiamo senza posa ricor-
dare le invisibili gioie del Paradiso e gli eterni tormenti dell’Inferno». I consigli
mnemonici contenuti nell’opera di Boncompagno (Bologna, 1235), valido
esempio delle tendenze mistiche dell’ars dictaminis bolognese, prefigurano la
connotazione scolastica dell’ars memoriae come pratica devozionale e attività
virtuosa (a testimonianza degli avvenuti contatti, in terra bolognese, tra la
scuola di dictamen e la Casa domenicana).
98
Il riferimento all’oltremondo dantesco come inventario di loci immagi-
nari è una novità dolciana che va ad integrare l’inferno virgiliano già ricordato
da Host; «l’ingegnosa inventiva» di Dante, essenzialmente basata sulla legge,
mnemonica, del contrappasso (legge di associazione che collega colpe terrene e
pene infernali attraverso princìpi di somiglianza o contrarietà), è ricuperata dal
Dolce come exemplum classico per la costruzione di un sistema di luoghi di
memoria. L’accostamento dell’Inferno dantesco a quello di Virgilio ritorna come
integrazione anche in un’altra riscrittura dolciana, il Dialogo dei colori: nel Libellus
de coloribus (Venezia, Bernardino Vitali 1528) di Antonio Telesio, una delle due
fonti del Dolce insieme al Del significato de’ colori e de’ mazzoli (Venezia 1535)
di Fulvio Pellegrino Morato, l’esempio scelto per visualizzare il color cesio sono
gli occhi dell’infernale Caronte così come li aveva descritti Virgilio nel viaggio
oltremondano di Enea; così glossa invece Dolce in uno dei pochissimi momenti
che lo vedono prendere le distanze dall’originale latino: «E da questo fatto horrore
stimo, che prendesse il nome Cariddi, e Caronte. Di cui dicendo Virgilio, che
egli aveva occhi di fiamma, volle dinotar che quel vecchio, i cui occhi erano di
color Cesio, era horribile e crudele. Il che imitando Dante disse: Caron dimonio
con occhi di bragia / Loro accennando tutti li raccoglie, / Batte col remo qualunque
s’adagia. Il che espresse mirabilmente anco Michel’Agnolo nel Caronte, ch’egli
dipinse nel giudicio» (L. DOLCE, Dialogo nel quale si ragiona della qualità, diver-
sità e proprietà dei colori, ed. cit., c. 11r). Oltre che per l’aggiornamento testuale,
effettuato col richiamo alla descrizione di Dante, il passo dolciano è interessante
DIALOGO DELLA MEMORIA 37
102
ricevi: ‘accolga’. Anomala uscita della terza persona singolare del con-
giuntivo presente ricordata anche dal Bembo con il ricorso a esempi illustri
(Petrarca, Canzoniere, CXXV, 80; Boccaccio, Decameron, II, 10, 24). Cfr. P.
BEMBO, Prose della volgar lingua, III, XLV, ed. cit., 256-257.
DIALOGO DELLA MEMORIA 39
103
La matrice retorica dell’ars è qui evidente; cfr. Rhetorica ad C. Herennium,
II, 30, 47: «Enumeratio est per quam colligimus et commonemus quibus de
rebus verba fecerimus, breviter, ut renovetur, non redintegretur oratio; et ordine
ut quicquid erit dictum referemus, ut auditor, si memoriae mandaverit, ad idem
quod ipse meminerit reducatur».
104
LODOVICO DA PIRANO, Regule memorie artificialis, in B. ZILIOTTO, Frate
Lodovico da Pirano e le sue «regulae memoriae artificialis», in «Atti e memorie della
società istriana di archeologia e storia patria», XLIX, 1937, 217: «Nunc autem
de locis incipiemus tractare et primo de prima regula, videlicet Locorum
multitudine. Per hanc regulam multitudinis locorum habemus notare quod, si
volumus recordari multarum rerum, oportet multa loca preparare, ut exempli
gratia qui scribere volunt magna volumina et varia ac diversa, multum de carta
preparant; similiter fiat de locis». Come rileva lo Ziliotto nell’introduzione, le
Regule non sembrano costituire un un vero e proprio trattato quanto piuttosto
una serie ordinata di appunti sviluppabile per l’insegnamento orale e forse real-
mente sviluppata dal religioso durante il suo magistero filosofico-teologico svol-
to presso l’Università di Padova nel periodo 1422-1426 o nel successivo 1432-1433.
40 LODOVICO DOLCE
105
Cfr. SENECA IL VECCHIO, Controversiarum libri, I, prefazione, 2: «Hanc
[memoriam] aliquando adeo in me floruisse, ut non tantum ad usum sufficeret
sed in miraculum usque procederet, non nego; nam et duo milia nominum
recitata quo erant ordine dicta reddebam et ab his, qui ad audiendum
praeceptorem mecum convenerant, singulos versus a singulis datos, cum plures
quam ducenti efficerentur, ab ultimo incipiens usque ad primum recitabam.
Nec ad complectenda tantum quae vellem velox mihi erat memoria, sed etiam
ad continenda quae acceperat solebat bonae fidei esse. Nunc et aetate quassata
et longa desidia, quae iuvenilem quoque animum dissolvit, eo perducta est, ut,
etiamsi potest aliquid praestare, non possit promittere: diu ab illa nihil repetivi».
106
Nell’articolo della Summa dedicato alla memoria come parte della
prudenza non vi è un reale invito all’uso di molti luoghi. L’unico accenno ai loci
memoriae è un richiamo all’Aristotele del Della memoria e della reminiscenza [2,
452a]: «Secundo, oportet ut homo ea quae memoriter vult tenere sua
consideratione ordinate disponat, ut ex memorato facile ad aliud procedatur.
Unde Philosophus dicit...» (Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II II,
q. 49, a. unic.).
107
Oltre alla suggestiva struttura dei Rerum memorandarum libri (cfr. F.A.
YATES, L’arte della memoria, ed. cit., 95: «Suppongo che questi riferimenti alla
memoria artificiale, in un opera in cui le parti della prudenza e altre virtù sono
le “cose da ricordare”, sarebbero sufficienti a classificare Petrarca come apparte-
nente alla tradizione sulla memoria, e a classificare i Rerum memorandarum libri
come un trattato etico destinato per la memorizzazione, non meno degli
Ammaestramenti degli antichi») e ai già citati precetti mnemonici del De remediis
utriusque fortunae, è un passo del Secretum a confermare la non estraneità del
poeta alle pratiche della memoria artificiale, e a creare un singolare e momenta-
neo legame tra le confessioni petrarchesche e il Dialogo del Dolce: «F. Imo vero
inter legendo plurimum; libro autem e manibus elapso assensio simul omnis
intercidit. (...) A. Quotiens legenti salutares se se offerunt sententiae, quibus vel
excitari sentis animum vel frenari, noli viribus ingenii fidere, sed illas in memorie
penetralibus absconde multoque studio tibi familiares effice» e poco dopo Agostino
ribadisce: «quod cum intenta tibi ex lectione contigerit, imprime sententiis utilibus
(ut incipiens dixerim) certas notas, quibus velut uncis memoria volentes abire
contineas» (PETRARCA, Secretum, II, 122 e 126, corsivi miei). I brevi brani citati
non sono però gli unici riscontri testuali che danno fondamento alla lunga e
duratura fama di assiduo frequentatore e indiscutibile auctoritas delle pratiche
mnemoniche che Petrarca godette soprattutto nel Cinquecento (Host, Friesen,
Garzoni, Gesualdo…) e che lasciò traccia addirittura nella Encyclopédie di Di-
derot (cfr. P. ROSSI, Clavis universalis, ed. cit., 307-309); altri passi, che popolano
in numero consistente gli scritti petrarcheschi, presentano infatti legami tanto
con la mnemotecnica quanto con una, più ampia, cultura della memoria; talora
si sono rilevate esemplari applicazioni dei meccanismi mnemonici (come la
costruzione di imagines agentes, singole o strutturate in percorsi narrativi) e tracce
non trascurabili della persistenza nel linguaggio petrarchesco di un vero e pro-
prio lessico tecnico della memoria.
DIALOGO DELLA MEMORIA 41
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Cfr. PIETRO TOMAI DA RAVENNA, Phoenix seu Artificiosa Memoria,
Bernardinus de Choris de Cremona impressor, Venezia 1491, c. 6r: «et siquis
locorum copiam habere cupiat (...) Ego autem omnes homines Italiae copia
rerum absque chartarum revolutione superare volui in sacris scripturis iure
canonico civilique; et aliis multarum rerum auctoritatibus dum essem adolescens
mihi centummilia locorum paravi et nunc ipsis decemmilia addidi in quibus per
me dicenda posui ut in promptu sint quando memoriae vires experiri cupio».
Il trattato di Pietro da Ravenna è stato uno dei più letti (tradotto in inglese e
ristampato nelle principali città tedesche) e citati fra quelli quattrocenteschi
della memoria. In esso l’autore, aggirando la funzionalità pedagogico-devozionale
della medievale fabbrica delle imagini, ricupera la lezione retorica ciceroniana
e quintilianea per realizzare un’arte della memoria laica, una mnemotecnica
volta eminentemente a scopi pratici e utilizzabile per chiunque; la memoria
tomistica, con la sua attenzione per le imagines agentes come strumento per
giungere agli invisibilia, fa ancora sentire i suoi influssi, seppur liberi dal manto
spirituale: Pietro si concentra sull’efficacia delle immagini nel catturare l’atten-
zione (anche attraverso un’eccitazione dei sensi) e nell’assicurare la conservazio-
ne del loro contenuto. Notizie sulla vita di questo maestro dell’ars reminiscendi
ci vengono offerte dal Ti