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L. Povero, M Vallerani
ALESSANDRO LATROFA
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Indice
L’impero cristiano ..................................................................................................................................................... 4
Il sistema imperiale tardoromano: potere e prelievi .......................................................................................... 4
L’esercito, il Limes, i barbari ................................................................................................................................. 5
La cristianizzazione dell’impero........................................................................................................................... 6
Vescovi e monaci .................................................................................................................................................. 7
Barbari e regni........................................................................................................................................................... 9
Mobilità degli eserciti ........................................................................................................................................... 9
I nuovi regni .......................................................................................................................................................... 9
L’Italia ostrogota ................................................................................................................................................. 10
Anglosassoni, Vandali e Visigoti ...........................................................................................................................11
La simbiosi franca .................................................................................................................................................... 13
Clodoveo .............................................................................................................................................................. 13
Le chiese franche e la diffusione del monachesimo in Occidente .................................................................... 13
I regni e l’aristocrazia .......................................................................................................................................... 14
La rottura del Mediterraneo romano ..................................................................................................................... 16
Produzione e scambi in Occidente ..................................................................................................................... 16
Le ambizioni universali dell’impero di Giustiniano............................................................................................. 18
Dibattiti teologici e identità locali....................................................................................................................... 19
Nobili, chiese e re: ricchezze e poteri ..................................................................................................................... 21
Nobili e re ............................................................................................................................................................. 21
Terre e uomini...................................................................................................................................................... 22
Reti di scambio ....................................................................................................................................................23
Nuovi quadri politici: il regno longobardo..............................................................................................................25
I Longobardi in Italia ............................................................................................................................................25
Longobardi e Romani ......................................................................................................................................... 26
Crescita e fine del regno......................................................................................................................................27
Impero carolingio, ecclesia carolingia .................................................................................................................... 29
Dal regno all’Impero ........................................................................................................................................... 29
Conti, Vassalli e liberi .......................................................................................................................................... 30
Le chiese carolingie ............................................................................................................................................. 31
Dall’Impero ai regni .............................................................................................................................................32
Il mediterraneo bizantino ed islamico ................................................................................................................... 34
Le origini dell’Islam............................................................................................................................................. 34
Bisanzio: crisi e riorganizzazione di un Impero ................................................................................................. 35
Le articolazioni del mondo islamico e bizantino ............................................................................................... 36
Società e poteri nel X secolo .................................................................................................................................. 38
STORIA MEDIEVALE INDICE
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STORIA MEDIEVALE
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Il momento di svolta ad Occidente invece si può trovare nel V secolo, periodo in cui il Limes renano perse
efficacia e permise l’ingresso nei territori imperiali a gruppi armati molto numerosi che portarono al sacco di
Roma del 410.
Tra i barbari che è bene ricordare, troviamo:
Arbogaste
Un franco che alla fine del IV secolo divenne Comandante Supremo dell’esercito romano occidentale. Nel
392 si ribellò all’imperatore Valentiniano II uccidendolo. Morirà nel 394 per mano di Teodosio.
Stilicone
Un Vandalo che prese il posto di Arbogaste al comando dell’esercito subito dopo la sua sconfitta. Servì
Onorio, figlio di Teodosio, e riuscì a respingere i Visigoti, lasciando però campo libero ad altri popoli che
riuscirono ad oltrepassare il Limes renano. Per questo motivo fu accusato di tradimento e condannato a
morte a Ravenna nel 408
Alarico
Re dei Visigoti e comandante dell’esercito romano nei territori Illirici. Nel 396 si ribellò all’impero e la
violenta reazione di Costantinopoli lo portò a spostarsi verso l’Italia dove fu sconfitto da Stilicone. Nel 409
assediò Roma e riuscì a saccheggiarla. Quest’importante re riuscì, dopo la morte, a smuovere un’iniziativa
identitaria nel suo popolo che alla fine riuscì a creare un vero e proprio regno Visigoto autonomo
La cristianizzazione dell’impero
Il processo di cristianizzazione imperiale riesce a compiersi
soprattutto grazie al concetto di Pluralità:
Paganesimi Cristianesimi
→ Pluralità dei Paganesimi: la religione romana, nei secoli, si era
arricchita dei culti delle popolazioni sottomesse.
→ Pluralità dei riti salvifici: Il cristianesimo non fu l’unica Pluralità
religione a credere nella salvezza dopo la morte.
→ Pluralità dei cristianesimi: Le Sacre Scritture hanno lasciato Organizzazione
ecclesiastica Culti salvifici
libertà interpretativa a diverse correnti dello stesso pensiero,
che divennero anche oggetto di scontri molto duri.
→ Pluralità dell’organizzazione ecclesiastica: prima della
centralità papale la struttura organizzativa della Chiesa era quelle delle singole sedi vescovili.
Con cristianizzazione dell’impero non va inteso il processo di diffusione della nuova religione, quanto una vera
e propria trasformazione di tutta l’organizzazione imperiale in senso cristiano che comincia nel momento in
cui il cristianesimo è solo una delle tante religioni minoritarie esistenti.
Punto di partenza, quindi, sono le persecuzioni attuate nei confronti dei credenti a partire dal III secolo con
l’imperatore Decio, che rompe con la tradizionale tolleranza dei suoi predecessori in funzione di un nuovo vero
e proprio culto della personalità dell’imperatore, dovuta in parte al tentativo di consolidare tutti i territori
annessi all’impero e, soprattutto, in chiave economica dato che i beni dei cristiani perseguiti venivano
confiscati.
Già dal IV secolo
però si attua un 313 - Editto di 325 - Concilio di 380 - Editto di
cambiamento Milano Nicea Tessalonica
radicale dato che
già dal 313 ai cristiani viene concessa la libertà di culto, fino al 380 quando il Cristianesimo diventa l’unica
religione ufficiale attraverso tre tappe fondamentali:
→ Editto di Milano (313) – Costantino conferma quanto disposto da Galerio nel 311, ponendo
ufficialmente fine alle persecuzioni e liberando i cristiani. La sua scelta non creò però un impero
omogeneo dato che non furono vietati i culti pagani, tanto che l’aristocrazia tarderà ad aderire a
questa nuova religione.
L’imperatore però comprende che il cristianesimo ha in sé quelle caratteristiche che porteranno
coesione in futuro e quindi legittimità al potere dell’imperatore.
→ Concilio di Nicea (325) – Prima dell’impero era però necessario unire tutte le diverse correnti interne
al cristianesimo. Per questo motivo fu Costantino stesso a convocare un concilio che desse alla nuova
religione delle regole precise e condivise da tutti. In questa sede si prese una posizione netta nei
confronti dei movimenti eretici, in particolare contro l’Arianesimo. Questo concilio quindi ebbe la
funzione di affermare universalmente la competenza dei soli vescovi in materia teologica,
sottolineando però il fondamentale ruolo dell’impero come garante dei conflitti interni della Chiesa.
→ Editto di Tessalonica (380) – l’imperatore Teodosio ordina a tutti i suoi sudditi di adottare il
Cristianesimo come unica religione, aprendo così alla repressione di tutti i culti giudicati eretici.
Vescovi e monaci
Alla fine del IV secolo la struttura portante del Cristianesimo è ancora la singola diocesi, ossia la comunità di
una singola città e tutti i territori circostanti, facendo eco quindi all’organizzazione stessa dell’impero, basata
su distretti cittadini: il Vescovo cittadino è quindi l’importante figura di riferimento per la Salvezza.
Con la graduale adesione delle importanti famiglie aristocratiche al nuovo culto, il ruolo di Vescovo diventava
sempre più frequentemente esclusivo appannaggio delle grandi famiglie, conferendo così un doppio prestigio
sia per il ruolo religioso che per l’importanza della famiglia di appartenenza: questa convergenza di ruoli fece
sì che nei Vescovi si accentrasse il ruolo da mediatore delle antiche tradizioni
romane presso i nuovi popoli germanici.
Città Patriarcali
La Chiesa non conosceva ancora una struttura rigidamente organizzata,
quindi a capo dei vescovi non esisteva una gerarchia unitaria; solo intorno al Roma
V secolo alcune città si definirono patriarcali, assumendo così un ruolo più Antiochia
prestigioso rispetto a tutte le altre: queste sedi divennero presto punti di Alessandria
riferimento per tutte le dispute teologiche che contrapponevano tesi Gerusalemme
differenti. Costantinopoli
Subito dopo l’editto di Tessalonica, fu da queste diverse Chiese che partì un
processo di evangelizzazione delle campagne, seguito poco dopo da un secondo processo che si concentrò di
più sulla lotta alle eresie.
Va sottolineato che il processo di evangelizzazione prese strade, con risultati diversi, nelle diverse regioni
dell’Impero: in Inghilterra, per esempio, il dominio imperiale cessò alla fine del IV secolo; per questo motivo
l’affermazione del Cristianesimo al suo interno ebbe effetti molto limitati. Il primo radicamento del nuovo culto
avvenne pochi anni prima della caduta dell’impero e si sviluppò principalmente nel VI secolo grazie all’opera
dei missionari irlandesi.
L’esperienza irlandese fu ancora più particolare dato che quest’isola non cadde mai sotto il dominio imperiale
e soprattutto a causa della totale mancanza di centri cittadini: importantissima fu quindi l’influenza dei
monasteri.
Per tutto il IV secolo, quindi, il Cristianesimo subisce un’importante evoluzione dato che rende molto più
attenuata la visione escatologica e soprattutto passa da una posizione di clandestinità a quella di religione
dominante che ormai rappresentava la struttura stessa del potere imperiale: il monachesimo diventa quindi
una vera e propria forma di protesta silenziosa nei confronti di questa visione distorta del Credo, cerca quindi
di riproporre un modello di vita coerente ed estremo grazie al proprio ascetismo che non fa altro che cercare
di riavvicinare l’uomo a Dio.
Per tutto l’alto medioevo, l’organizzazione dei monasteri europei si basa sulla Regola benedettina salvo poi
orientarsi, nel periodo tardoantico, a diverse forme e tradizioni che restano accomunate da pochi elementi
generici come il perfezionamento spirituale del singolo, raggiungibile solo tramite l’allontanamento dal
mondo, la rinuncia alle ricchezze, uno studio pressoché costante delle Sacre Scritture. Queste caratteristiche
sono però talmente generiche che racchiudono in sé due differenti tipologie di vita monastica:
→ Gli eremiti: comuni tra Siria ed Egitto, sono individui che vivono isolati in
preghiera, creando presto attorno a sé un alone di santità che permise loro
di sopravvivere grazie alle numerose elemosine ricevute da fedeli, è ad
esempio il caso degli Stiliti, eremiti che vivevano sulla cima di colonne di
edifici diroccati.
→ I cenobiti: gruppo di monaci che ricerca l’ascesi in modo più riservato,
organizzando quindi comunità che metteva in comune ogni ricchezza,
conducendo una vita in comune fu presto necessario definire una regola
che sancisse i doveri del singolo e che definisse una vera e propria
gerarchia.
Barbari e regni
Mobilità degli eserciti
Per inquadrare la mobilità militare è necessario iniziare ad analizzare gli eventi dalla caduta del Limes renano
avvenuta nel 406. Questo evento non va considerato casuale, ma si tratta di una vera e propria espressione di
un dissesto strutturale dovuta all’estrema difficoltà per l’impero di tenere sotto controllo i vari eserciti: il
sistema fiscale non era in grado di sostenere tutte le spese necessarie a sostenere l’esercito che cercava così
altre entrate con iniziative non controllate, generando così enormi e confusi spostamenti di gruppi con
un’identità ben definita, che alla lunga portarono al crollo dell’impero.
→ Visigoti: Il re Alarico portò più volte il suo popolo alla rivolta contro l’Impero, nel 410 arrivarono a
saccheggiare Roma e ripararono in Calabria. Da qui, dopo la morte del re, si spostarono nel sud Francia
dove fondarono un regno tra il 414 e il 418.
→ Vandali: Nello stesso periodo i Vandali oltrepassarono il Limes renano per stanziarsi
temporaneamente nella penisola iberica fiano al 429 quando, re Genserico proseguì verso la Byzacena 1
fondando un regno che durò più di un secolo.
I Vandali sono stati il primo popolo germanico in grado di trasformare il potere militare in potere
politico.
→ Unni: Si trattava di un gruppo di nomadi dall’incredibile forza militare che trovarono unità solo con
l’avvento del re Attila che, nel 445, intraprese una serie di scorrerie ai danni dell’impero che proseguì
fino alla sconfitta subita per mano di Ezio nel 451.
Alla morte di Attila il gruppo si sciolse.
Per tutto il V secolo, quindi, l’impero occidentale è vivo e attivo ma era evidente come la capacità d’azione
degli imperatori fosse molto limitata. Questo declino si evidenziò ulteriormente nei decenni centrali del secolo,
quando si avvicendarono sul trono veri e propri imperatori fantoccio controllati dai più influenti generali: nel
476 il generale Odoacre arrivò a deporre l’imperatore in carica, Romolo Augustolo, senza insediare un
sostituto, evidenziando come un imperatore occidentale fosse assolutamente inutile dato che tutto il potere
si andava catalizzando attorno all’imperatore orientale.
Odoacre quindi propose un’importante autonomia militare riconosciuta dall’Impero orientale, ma il suo
imperatore, Zenone, non ritenendolo affidabile fece in modo di consegnare l’Italia nelle mani dell’Ostrogoto
Teodorico.
La geografia europea quindi si delineava in questo modo:
→ Italia: Odoacre sostituito dagli Ostrogoti.
→ Gallia: Franchi a nord, Visigoti e Burgundi a sud.
→ Penisola Iberica: Svevi a nord, Visigoti.
→ Tunisia: Vandali.
→ Britannia: Angli e Sassoni.
I nuovi regni
L’Europa del V e VI secolo dimostra una paradossale
differenza tra l’arretramento culturale, evidenziato dai
reperti archeologici, a fronte di una forte continuità con l’Impero Romano da un punto di vista istituzionale e
politico.
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Tra la Tunisia e l’Algeria
STORIA MEDIEVALE BARBARI E REGNI
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La realtà dei fatti dimostra invece come un crollo della struttura esercito mise il potere nelle mani di una
minoranza armata di origine germanica che invertì i ruoli: da esercito controllato dall’élite politica divenne la
nuova classe dirigente. Questa nuova guida mantenne intatte tutte le forme di organizzazione sociale e
amministrativa, semplificando oltremodo i complicati passaggi burocratici caratteristici dell’Impero: in questo
modo nacque un nuovo sistema politico comune a tutti i nuovi regni, anche se non privo di differenze anche
significative.
Uno dei punti fondamentali fu il prelievo e la ridistribuzione delle ricchezze: se in età imperiale le tasse
servivano per sostenere la capitale, stipendiare gli eserciti e mantenere l’apparato burocratico, nei nuovi regni
queste necessità sono notevolmente ridimensionate dato che nessuno di questi ha una capitale da mantenere,
la burocrazia era decisamente più leggera di quella romana e l’esercito era costituito dal popolo che veniva
compensato dal re con la concessione di terre. Conseguenza di questi cambiamenti fu che quasi tutti smisero,
presto o tardi, di riscuotere tasse, fermando così il principale motore della circolazione economica.
Le conseguenze di questi cambiamenti furono enormi: in primo luogo si bloccarono praticamente tutti gli
scambi commerciali e quindi venne meno l’interdipendenza caratteristica del periodo imperiale. Tutti i nuovi
regni erano quindi molto più poveri di quanto non fosse stato l’impero; re più poveri che conservarono
comunque la loro importanza rispetto all’aristocrazia dato che lo squilibrio economico, più moderato, restava
sempre comunque in loro favore. Questo fu il motivo principale per cui la figura del re restò sempre al centro
delle dinamiche politiche, polarizzando attorno a sé tutta l’aristocrazia.
L’Italia ostrogota
Destituito Romolo Augustolo, Odoacre si impegnò subito ad instaurare un nuovo governo equilibrato, basato
in primo luogo su una stretta collaborazione con l’aristocrazia senatoria, fondamentale perché tra il 476 e il
489 l’Italia continuava ad essere amministrata da un’organizzazione di chiaro stampo romano.
Dopo 13 anni di dominio equilibrato, l’Italia fu invasa dagli Ostrogoti su invito dell’imperatore Zenone che non
gradì la presa di potere di Odoacre. Figura principale di questa invasione fu Teoderico, leader adatto al compito
per via della sua innata capacità di colloquiare con l’aristocrazia romana.
Nel 489 Teoderico scese in Italia avviando un processo di conquista abbastanza semplice dato che, dopo le
prime sconfitte, l’aristocrazia romana abbandonò Odoacre che si rifugiò a Ravenna che fu messa sotto assedio
fino al 493, anno in cui finalmente gli ostrogoti riuscirono a riunificare tutta la penisola.
Il governo di Teoderico era basato sull’integrazione tra l’esercito germanico e l’amministrazione di stampo
romano: questo era possibile solo grazie all’introduzione della personalità del diritto, ossia dalla possibilità di
ogni cittadino di seguire le proprie leggi e, in caso di problemi, essere giudicato da uno iudex nel caso in cui
fosse romano, o da un Comes se fosse stato goto. Non ci fu quindi nessuna trasformazione per nessun cittadino
romano, ma profondi cambiamenti per la popolazione barbara che aveva sempre vissuto ai margini
dell’impero, intrattenendo col vicino imperiale pochi rapporti, per lo più conflittuali: ora si trovava invece al
centro di comando.
In termini di integrazione è fondamentale anche il ruolo del consistorium, ossia un consiglio ristretto formato
da rappresentanti goti e romani che rappresentava per il re il vero strumento di governo. Nonostante ciò però,
le due popolazioni, si mantennero sempre su un livello complementare e mai simbiotico, tanto che l’unico
punto di incontro tra le due popolazioni fu proprio il consistorium che, quando entrò in crisi, finì col mettere in
crisi il regno intero.
Come la maggior parte delle popolazioni germaniche, anche Teoderico e gli ostrogoti erano di religione ariana,
e si trovarono a vivere in una regione in cui non solo la popolazione era interamente cattolica, ma anche nel
periodo in cui la Chiesa iniziava a guadagnare potere ed importanza politica: scelta obbligata e coerente fu
quella di mantenere il proprio credo, pur permettendo e anzi difendendo tutte le altre religioni presenti: questa
posizione fu fondamentale nel momento in cui si trovò a dover assumere una posizione nel 498, in pieno
scisma laurenziano, quando alla morte di Anastasio II il clero si spaccò talmente a fondo che vennero eletti due
STORIA MEDIEVALE BARBARI E REGNI
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nuovi papi (Simmaco e Lorenzo). La posizione di Teodorico fu al solito neutrale e alla fine decise di rimandare
ogni decisione ad un Concilio.
Il regno di Teoderico si caratterizza quindi per un’eccezionale stabilità che gli permise di espandere i propri
possessi anche alla Dalmazia, a Pannonico e in Pannonia; una serie di accordi, matrimoni combinati e altri
escamotage burocratici, Teoderico riuscì a trovare alleanze anche nel resto d’Europa.
Come visto però, l’estrema debolezza del regno si trovava nella mancata integrazione tra i romani e i Goti, nel
518, infatti, questa difficile alleanza iniziò a vacillare a causa di alcune persecuzioni volute dall’imperatore
Giustino nei confronti degli Ariani, cui Teodorico rispose con persecuzioni ai danni dei cattolici.
Alla sua morte, nel 526, Teodorico lasciò il potere in mano alla figlia Amalasunta, che, alla morte del tutore
Atalirco, sposò il cugino Teodato nella speranza di rafforzare un regno ormai estremamente debole: questo
tentativo fallì miseramente dato che Amalasunta cercò la via del dialogo con i romani, chiedendo la protezione
dell’imperatore Giustiniano; Teodato invece scelse la via delle armi, nel 535 quindi depose e uccise la moglie,
dando così a Giustiniano un valido motivo per dichiarare guerra agli ostrogoti e quindi riconquistare l’Italia
dopo una guerra durata oltre vent’anni.
Anglosassoni
L’abbandono delle isole britanniche da parte dei romani lasciò campo
libero ai Sassoni che dalla Germania iniziarono con piccoli saccheggi che
diventarono ben presto veri e propri insediamenti stabili.
Le numerose piccole occupazioni territoriali definirono una realtà politica
estremamente frammentaria che si distinse per l’altissimo tasso di
conflittualità e soprattutto per la netta distinzione tra l’aristocrazia,
molto più povera che nel resto d’Europa, e il resto del popolo. È curioso
notare come l’espansione degli anglosassoni in Britannia limitò
fortemente quella del cristianesimo che, in queste terre, perse quasi
completamente ogni forma di potere politico, fino a rendere trascurabile
anche l’influenza religiosa.
Molto diverso, invece, è la realtà irlandese perché non essendo mai stata
sotto il dominio imperiale sviluppò fin da subito una cultura differente
non basata sul concetto di città. Anche qui durante il VI secolo la frammentazione politica era importante, ma
ogni re aveva potere politico e militare senza quello legislativo: ogni singolo regno era sottoposto a leggi
comuni che i singoli regnanti non avevano il potere di modificare. Questa frammentazione rallentò di molto
anche l’espansione del cristianesimo perché non c’era nessun re in grado di unire tutti i sudditi sotto il mantello
della nuova fede. Non essendoci quindi sedi vescovili né città in grado di unire i fedeli, questi si videro costretti
ad organizzarsi in grandi monasteri che divennero così veri e propri vescovadi.
Vandali
Le province della Proconsularis e della Byzacena (attuali Algeria e Tunisia)
erano province estremamente ricche relativamente sicure, tanto che
l’impero non aveva stanziato qui un contingente militare eccessivo. Per
questo motivo nel 429 i Vandali di Genserico decisero di oltrepassare lo
stretto di Gibilterra e abbandonare la penisola iberica in favore di una facile
conquista di queste ricche terre, fondando così il primo regno
completamente autonomo all’interno dei territori imperiali.
Il piano religioso fu quello maggiormente colpito dato che i Vandali erano
ariani e quindi espressero forme di dura intolleranza nei confronti dei popoli sottomessi di fede cristiana; le
numerose chiese, inoltre, erano depositi di notevoli ricchezze, quindi facile preda di numerosi saccheggi.
Notevole invece fu la stabilità economica e politica. A fronte di spese notevolmente inferiori (la capitale era
molto modesta, la burocrazia quasi inesistente e l’esercito non era stipendiato ma ripagato in terreni) il
modello fiscale adottato restò quello romano, permettendo quindi alla corona di accumulare ricchezze enormi.
La perdita di queste province segnò invece una catastrofe finanziaria per l’impero dato che non era più
possibile contare su queste entrate.
Visigoti
La stabilizzazione dei Visigoti si articolò in tre tappe principali:
→ V Secolo: sud della Gallia e penisola iberica.
→ 1 metà VI secolo: perdono i terreni a nord dei Pirenei.
→ 2 metà VI secolo: consolidano i domini nella penisola iberica.
Intorno al 418 presero possesso di tutta la zona nei pressi di Tolosa
mantenendo e migliorando tutti i modelli politici romani, ma nel 507 il re
franco Clodoveo riuscì a spingerli a sud dei Pirenei dopo aver ucciso il re
Alarico II nella battaglia di Vouillè.
Nella seconda metà del VI secolo, durante il regno di Leovigildo, cominciò
una fase di trasformazione che portò ad una stabilizzazione dei confini
territoriali, legato ad una serie di vittorie che mise sotto il regno visigoto anche i territori Svevi e buona parte
della costa bizantina.
Importante fu anche la stabilizzazione religiosa: il figlio di Leovigildo, Reccaredo, comprese l’importanza di
avere un’unica fede e promosse quindi una conversione degli ariani verso il cristianesimo: il processo fu
talmente veloce che già nel VII secolo non sembrano esserci tracce di Ariani. Toledo divenne così la capitale
del nuovo regno e sede di importanti concili che divennero sede legislativa in materia politica e religiosa.
La simbiosi franca
Il popolo franco necessita di approfondimenti particolari perché:
→ Svilupparono al massimo l’integrazione con la popolazione romana residente nei loro territori.
→ In soli due secoli si affermarono come regno più importante d’Europa, gettando le basi per
l’espansione dell’età carolingia.
Clodoveo
Nel tardo impero, la Gallia rappresentò il primo punto di incontro tra i Romani e i Celti. Questo rapporto si
caratterizzò intorno al VI secolo per un crescente interesse da parte delle famiglie senatorie alle cariche
ecclesiastiche, in particolare per la cattedra vescovile. Le motivazioni non erano prettamente religiose, ma
legate a doppio nodo con la sete di cultura, ricchezza e prestigio tipiche di questi ruoli. Conseguenza di questo
interesse fu una crescente importanza sia per le cariche vescovili, ormai ricoperte quasi esclusivamente da
importanti famiglie aristocratiche, sia per queste ultime che grazie alle cattedre riuscirono ad aumentare la
propria influenza e la propria ricchezza.
In questo contesto, nel corso del V secolo, riuscì ad emergere il popolo dei Franchi che in un primo momento
era composto da una confederazione di tribù molto divisa, anche da un punto di vista religioso dato che erano
presenti sia il cattolicesimo che il paganesimo fortemente influenzato dalla corrente ariana. Molto lentamente,
però, il popolo franco andò incontro ad un processo di romanizzazione molto profondo, iniziato col loro
ingresso tra le fila del dell’esercito romano e distinguendosi in momenti chiave come il crollo del limes renano,
nelle battaglie contro gli Avari e i Vandali e nella vittoria contro gli Unni.
Questi successi portarono i Franchi ad affermarsi all’interno dell’impero non solo come componente militare,
ma soprattutto come attori politici della Gallia, tanto che due figure fondamentali, Childerico e soprattutto
suo figlio Clodoveo, riuscirono ad imporsi come Re, unendo con le loro gesta tutte le tribù divise.
Childerico combatté contro i Visigoti e in questa guerra riuscì a consolidare il suo potere politico grazie al senso
religioso che riuscì ad attribuirgli: spronò il proprio popolo a scontrarsi contro gli infedeli ariani attirando a sé
l’ammirazione dei vescovi cattolici.
Questo processo di consolidamento fu poi ultimato e perfezionato dal figlio Clodoveo che successe al padre
nel 481. L’eccessiva lontananza dell’imperatore orientale aveva lasciato campo aperto ai Burgundi e ai Visigoti
che furono definitivamente allontanati dalla regione nel 507 permettendo così ai Merovingi di ampliare i propri
domini. A questo successo seguì immediatamente la conversione al cattolicesimo del re Clodoveo, iniziativa
religiosa ma dagli importanti risvolti politici dato che i vescovi finirono col sovrapporre la figura di Clodoveo a
quella di Costantino, primo imperatore cristiano che rappresentava un vero e proprio modello: la piena
convergenza dei vescovi diede a Clodoveo un’importantissima legittimazione.
L’unione delle famiglie aristocratiche romane e di quelle franche riuscì a fondere usi e costumi dei due popoli,
tanto da creare una nuova classe dominante molto coesa, attenta ad accumulare terre e ricchezze, ben
radicata nelle città ma comunque sempre molto vicina al Re e al Vescovo.
Accanto a quest’importantissima figura, poi, durante il VI secolo si va ad affiancare la figura del monastero che
si afferma lentamente dapprima in modalità eremitica, ma via via sempre più riunita in comunità cenobitiche.
L’importanza delle gesta di grandi monaci, come ad esempio Martino di Tours, trasformò i grandi monasteri
divennero così un vero e proprio bacino di reclutamento per i futuri vescovi, dato che la loro identificazione
come centri di spiritualità e cultura superiore li fece diventare meta privilegiata per gli aristocratici che
decidevano di abbracciare la vita religiosa.
Le prime esperienza monastiche italiane presero spunto dagli insegnamenti di San Gerolamo, operante alla
fine del IV secolo, e si distinsero in numerose esperienze differenti per tutto il V e VI secolo. In questa varietà
si distinse in modo particolare la Regola di San Benedetto da Norcia che in breve tempo divenne lo standard
occidentale.
La Regola si basa su semplici principi basati sulla conoscenza della natura umana Principi della
affiancata da un’ascesi moderata che mette al centro la preghiera bandendo Regola
quasi completamente il lavoro. Da un punto di vista organizzativo, la comunità
era molto semplice e basata sulla solidarietà orizzontale tra i monaci che Moderazione
monaci spiritualmente più illuminati possono accedere alla via dell’eremita che
Capacità di accogliere
promette un livello di perfezione superiore. diverse forme di ascesi
I regni e l’aristocrazia
La causa principale dell’efficienza del regno franco va senza dubbio individuata nella capacità di Re Clodoveo
di integrare il suo popolo con l’aristocrazia romana. Massima espressione di questa integrazione fu la scelta di
redigere una versione scritta delle leggi franche, creando così la Lex Salica.
Nella società franca non c’era un Re vero e proprio quindi il protagonista assoluto dell’impianto legislativo è il
popolo che, per trovare pace e giustizia, fa affidamento a 4 uomini; al centro del sistema politico è invece
presente l’assemblea degli uomini liberi.
Il potere regio non viene mai citato nell’impianto legislativo perché in realtà è frutto di una prassi politica
derivante da un sapiente uso del coordinamento dell’aristocrazia: i franchi
organizzarono un controllo del territorio attraverso una fitta rete di Comes (conti)
Compiti dei Comes responsabili per il proprio distretto di giustizia, esercito e prelievo delle tasse. Non
va dimenticato però che, pur essendo uno strumento fondamentale, i Comes non
Amministrare la
giustizia furono altro che una delle espressioni di un profondo legame tra la corona e
l’aristocrazia: la corona resta sempre al centro dell’attenzione per via della sua
Gestire l'esercito
estrema ricchezza e soprattutto grazie alla capacità redistributiva propria del re: i
Organizzare il prelievo
soldati non sono più stipendiati dallo stato, ma sono ricompensati con concessioni
fiscale di terra. Questo rende superflua la complessa operazione di prelievo delle imposte,
e in per questo motivo i Merovingi furono dei monarchi decisamente più poveri dei
re precedenti. I Franchi restavano però la popolazione più ricca tra i loro contemporanei dato che sia le famiglie
aristocratiche che le chiese erano in grado di accumulare grandi patrimoni fondiari; in questo contesto i
Merovingi erano comunque la famiglia più ricca, in grado quindi di canalizzare attorno ad essi il favore di tutte
le altre.
Più complesso da comprendere è il legame esistente tra la corona ed il popolo: come vuole la tradizione
germanica, il potere era infatti saldamente in mano all’assemblea dell’esercito. L’affermarsi di un carattere
STORIA MEDIEVALE LA SIMBIOSI FRANCA
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dinastico della monarchia e, soprattutto, grazie alla forza della mediazione aristocratica, questa tradizione
andava attenuandosi riducendo il ruolo dell’assemblea ad un semplice compito di ratifica delle leggi.
Le assemblee furono quindi ridefinite, restavano il luogo
deputato alle grandi decisioni e punto di partenza delle grandi
spedizioni militari, ma perdendo la possibilità di eleggere il nuovo
re persero anche la capacità di frammentare il regno in piccole
realtà regionali: questo rimase peculiarità delle regole di
successione al trono che in pochi anni formarono alcune regioni
principali:
→ Austrasia – Nord est germanico.
→ Neustria – Nord ovest.
→ Burgundia – Sud est.
→ Aquitania – Sud Ovest.
Fine
Trasformazione Fine del dominio Interruzione dei
dell'interscambio
politica e militare occidentale meccanismi fiscali
interregionale
Città
Le città furono i primi centri colpiti dalla crisi dato che persero il loro ruolo di centro del potere e, soprattutto,
di centro fiscale dell’impero.
Con la caduta del sistema imperiale le élite si resero conto che per mantenere i propri privilegi dovevano
valorizzare le proprie ricchezze, la terra, quindi iniziarono ad abbandonare le città causandone importanti crolli
demografici.
La trasformazione più radicale fu senza dubbio quella subita da Roma che, una volta venute meno le risorse
provenienti dal resto dell’impero, fu costretta a contare solo sui fondi provenienti dal Lazio e dalle terre del
Papa, motivo per cui subì un’importantissima riduzione della popolazione che scese da un milione di abitanti a
20.000 circa.
Contrariamente a quanto possa sembrare, questa crisi non provocò la fine dell’urbanizzazione perché le città
rimasero comunque dei centri fondamentali, soprattutto perché sedi vescovili; cambiarono certamente faccia,
diventando in questi secoli profondamente diverse rispetto a prima. Poche città conservarono una natura
prettamente commerciale, come ad esempio grandi porti del calibro di Marsiglia, ovunque però fu evidente
una profonda fase di impoverimento.
Reti di scambio
In età antica tutte le reti di scambio erano incentrate sulle esigenze imperiali e sulla sua necessità di trasferire
beni da una regione all’altra: la fine dell’unità imperiale ebbe quindi un impatto notevole sul piano economico.
La prima di queste rotture fu causata dall’invasione vandala della Tunisia nel 439: interrompendo il flusso
commerciale tra Cartagine e Roma, questo evento ebbe profonde ripercussioni su tre livelli:
1. La rete di scambio cambiò natura, il grano continuò ad arrivare a Roma, ma ora sotto forma di scambio
commerciale, generando un costo che non era più sostenibile e che quindi dovette ridursi
drasticamente.
2. Roma dovette adeguarsi a questo calo, riducendo drasticamente il numero dei suoi abitanti.
3. Le produzioni nordafricane furono costrette a ridimensionarsi dato che la richiesta non era più quella
di un tempo.
Produzione
Sebbene il quadro produttivo del mediterraneo è caratterizzato da una miriade di
varietà, ci sono alcuni punti che risultano essere comuni a tutto il bacino: i prodotti Prodotti comuni a
principali erano gli stessi in tutto il bacino e tutti i nuovi sovrani erano decisamente tutto il mediterraneo
più poveri rispetto all’Impero. Ne consegue che ovunque la produzione subì una
Olio
forte decrescita dato che la nuova realtà non aveva il potere economico necessario
a sostenere i vecchi ritmi di produzione. Grano
Le differenze principali tra le diverse aree mediterranee dipendono in gran misura
da pochi fattori: Vino
→ La specializzazione delle produzioni era adatta all’utilizzo che ne faceva
l’impero, dato che con gli scambi interregionali tutte le aree potevano accedere a qualsiasi tipo di
risorsa; in un contesto ridotto questa peculiarità divenne un grosso svantaggio.
→ Le ricchezze dei nuovi regni erano profondamente diverse tra loro, condizionando pesantemente la
domanda di beni e la relativa produzione.
→ L’impatto della guerra fu diverso nelle varie regioni, di conseguenza anche i danni da questa portati.
→ Alcuni nuovi regni conservarono molto più a lungo la tradizione e l’impostazione fiscale romana, per
questo motivo in alcune regioni la pressione fiscale fu molto più pesante che in altre.
Proprio l’Africa settentrionale offre un importante caso di studio dato che, dopo la rottura del 439, subì un
drastico calo nella produzione. Nel 534 l’Impero d’Oriente riconquistò i fertili terreni tunisini e riattivò subito il
vecchio sistema, senza però riuscire a fermare il declino avanzato dato che la richiesta europea era calata
drasticamente a causa del generale impoverimento dei nuovi regni.
In Italia, invece, fu caratterizzata fin da subito da un livello di frammentazione economica molto elevato, la
situazione già tragica fu poi alimentata lungo il VI secolo con la lunga guerra di riconquista ai danni degli
Ostrogoti prima, e con la discesa dei Longobardi poi.
Il regno franco fu invece caratterizzato da un progressivo abbandono del sistema di prelievo fiscale al contrario
della Britannia dove, già nel V secolo, si assiste ad una completa rottura di tutte le rotte commerciali causata
da una struttura sociale debolmente gerarchizzata.
Riassumendo, si può affermare che la rottura tra oriente e occidente ha un chiaro segno economico oltre che
politico dato che nel Mediterraneo orientale lo stampo romano fu conservato a lungo, questo permise una
buona prosperità sia alla Capitale che agli eserciti a difesa del Limes. In Occidente, al contrario, la rete
commerciale si ridusse ad un livello regionale diventando causa e conseguenza di un generale processo di
impoverimento.
Contadini
I contadini rappresentavano il 90% circa della popolazione, ed è molto difficile avere informazioni certe su di
essi a causa della mancanza di informazioni scritte; un dato certo è però quello relativo al passaggio dall’età
imperiale a quella medievale, che fu caratterizzato da un ripopolamento delle campagne a discapito delle città.
Il motivo per cui Giustiniano lasciò il segno fu comunque il suo tentativo militare di riconquistare l’Occidente
per riunificare l’Impero. Queste campagne furono possibili per tre motivazioni principali:
1. La relativa tranquillità del Limes persiano permise di distrarre un esercito numeroso.
2. La riflessione giuridica permise un rafforzamento ideologico che rimise al centro il ruolo universale
dell’Impero.
3. La politica fiscale permise una stabilità tale da garantire una prosperità duratura.
Questo processo di riconquista partì con l’idea di rimettere in sicurezza gli scambi commerciali del
Mediterraneo; dopo aver rimesso in piedi la flotta imperiale fu quindi possibile partire verso le coste occidentali
dell’impero nordafricano dei Vandali che rappresentavano la peggior minaccia piratesca.
Le truppe imperiali, guidate dal generale Belisario, conquistarono il regno vandalo con estrema facilità tra il
533 ed il 534, mettendo così in evidenza tutti i limiti del decadente regno vandalo che non aveva attuato
nessuna politica di integrazione tra gli invasori e l’aristocrazia romana.
Le altre campagne militari furono molto più
faticose: l’espansione nei territori spagnoli dei
Visigoti non riuscì mai ad estendersi oltre la
fascia costiera compresa tra Valencia e Cadice e
soprattutto l’Italia ostrogota fu oggetto di una
campagna militare estenuante e
incredibilmente lunga.
Partendo dalla Sicilia e risalendo verso nord, le
truppe di Belisario riuscirono ad espugnare
Ravenna solo nel 540: questo portò ad un
accordo che divise in due l’Italia, lasciando agli
Ostrogoti la regione posta a nord del fiume Po.
Questo debole accordo ebbe durata brevissima, l’anno successivo infatti salì sul trono ostrogoto il re Totila
che riprese gli scontri e riuscì a rientrare in possesso di alcune regioni imperiali: la reazione di Giustiniano fu
immediata, sostituì Belisario con Narsete e, passando dalla Dalmazia, riconquistò tutta l’Italia solo nel 553 dopo
una guerra molto lunga e difficile.
Subito dopo la riconquista Giustiniano emise la Prammatica Sanzione che restituiva all’aristocrazia senatoriale
tutti i diritti acquisiti prima del regno di Totila e restituì dignità imperiale a Ravenna organizzando attorno al
suo esarca tutto il quadro di governo italiano.
Tutta la fragilità di questa regione venne alla luce pochi anni dopo, nel 568 infatti i Longobardi valicarono le
Alpi e iniziarono una nuova guerra di conquista lunga ed estenuante: si impadronirono molto velocemente del
Friuli per poi espandersi nella pianura padana verso la Tuscia e i ducati di Spoleto e Benevento. All’Impero
restarono solo il Lazio, l’area di Ravenna e il controllo quasi completo delle coste. I territori di entrambi i fronti
erano discontinui con molti punti di frizione.
L’eredità territoriale di Giustiniano fu quindi molto fragile, anche l’Africa restò sotto il controllo imperiale per
appena un secolo prima di cadere in mani arabe e l’Italia, che aveva un importante valore simbolico, cadde in
mani longobarde con molta facilità.
pienamente Dio per garantire l’efficacia della sua missione di salvezza, ma al contempo dev’essere
pienamente uomo affinché la sua sofferenza abbia un senso. Come possono coesistere queste due nature?
Molto importante era anche il ruolo di Maria, posto al centro del dibattito da Nestorio, Vescovo di
Costantinopoli nel 428: sostenendo questi la presenza in Cristo di due persone distinte (umana e divina),
rifiutava il titolo mariano di Madre di Dio e lo sostituì con Madre di Cristo. Questa tesi fu condannata come
eretica dal Concilio di Efeso del 431 su iniziativa dell’imperatore Teodosio II.
Principale debolezza del Nestorianesimo era il modo insufficiente in cui fondava le due nature di Cristo: non
era ben chiaro il coinvolgimento della figura del Figlio (natura divina) nella sofferenza della morte. Se le nature
fossero distinte la morte dell’uomo non poteva coinvolgere la figura del Figlio, vanificando l’azione salvifica
divina.
In senso opposto si muoveva la tesi elaborata dai teologi di Alessandria, detta Monofisismo: umanità e divinità
si fondono dando vita ad una sola natura in grado di soffrire come un uomo ma di salvare per effetto
dell’influenza divina. Questa posizione fu condannata dal Concilio di Calcedonia del 451, voluto dall’imperatore
Marciano, dato che la fusione delle due nature ne cancellava ogni specificità.
In occasione di questo concilio fu trovato un compromesso, detto Diofisismo, che identificava in Cristo la
coesistenza di due nature nettamente separate tra loro ma unite in modo
indissolubile.
Oltre che teologico, il dibattito assunse presto anche una connotazione
Alessandria
Costantinopoli politica: la posizione diofisita fu accolta da Roma, Antiochia, Costantinopoli ma
rifiutata da Alessandria. Le sedi patriarcali erano nuovamente divise, ma
stavolta il la centralità di Costantinopoli fece la differenza, tanto che il Concilio
Antiochia Roma
ne stabilì la supremazia rispetto a tutte le altre completando così in via
definitiva il processo di trasformazione in unica capitale dell’impero.
1 - Posizione Diofisita Questa decisione creò però una forte spaccatura perché le decisioni del
Concilio furono ritenute inaccettabili da Alessandria; le tesi Monofisite infatti
iniziarono a circolare e a diffondersi in tutta l’area del Mediterraneo meridionale.
Il potere teologico era una pedina fondamentale del disegno universalista di Giustiniano dato che in questo
periodo Stato e Chiesa sono due entità strettamente legate tra loro: compito dell’imperatore era quello di
difendere la Chiesa quindi i suoi precetti dovevano necessariamente essere condivisi ed accettati da tutti i suoi
sudditi. Giustiniano si mosse proprio in questo senso con la dura condanna ai Tre Capitoli, ossia testi diofisiti
che richiamavano molto le tesi nestoriane, mirata a riavvicinare i monofisisti egiziani; questa mossa fu
fallimentare perché tutte le chiese occidentali rigettarono le motivazioni imperiali con una contestazione che
sfociò in un vero e proprio scisma che si sanificò solo nel secolo successivo.
Visigoti
Nei primi anni del 600 il regno visigoto è in fase di consolidamento: nel 625 cadono gli ultimi territori ancora in
mano ai bizantini, in questo modo si conclude la conquista della penisola iberica e, in termini religiosi, il
processo di conversione al Cristianesimo ha ormai cancellato quasi ogni forma di Arianesimo. Queste premesse
spiegano come il potere potesse cominciare a centralizzarsi attorno alla figura del re: è in questo periodo,
infatti, che Recesvinto inizia la prima redazione di leggi scritte (654) e si conferma Toledo come capitale del
regno.
Un potere centralizzato non è però sinonimo di controllo completo da parte dell’aristocrazia, sono infatti
numerosissimi i colpi di stato e le deposizioni dei sovrani; questi eventi però non fanno altro che confermare
questa impostazione dato che i continui tentativi da parte dell’aristocrazia di appropriarsi della corona è indice
di quanto questa fosse molto più importante del singolo potere locale. Nonostante il regno visigoto fosse
senza dubbio la realtà politica più coesa di tutto l’Occidente, l’impegno regale non fu sufficiente a controllare
a dovere tutto il reparto militare: se per tutto il VII secolo i Visigoti non furono coinvolti in particolari conflitti,
l’arrivo delle truppe islamiche all’inizio dell’VIII mise in seria difficoltà il regno che cadde con relativa facilità.
Isole Britanniche
Al centro della società irlandese c’erano i monasteri, ma l’organizzazione politica era e rimase molto
frammentata.
Stesso livello di frammentazione è presente anche in Britannia, ma qui il processo di gerarchizzazione riuscì ad
essere più efficace anche se il livello di urbanizzazione non riuscì a crescere: solo le città portuali conobbero
un discreto sviluppo.
Ci sono poche informazioni riguardo i rapporti interni tra i singoli regni della Britannia, ma si può affermare
che:
→ Abbiamo notizia di alcuni regni organizzati decisamente meglio di altri
→ Tra il VII e l’VIII secolo sembrò emergere il regno di Mercia che si consolidò sotto il re Offa
Franchi
Tra il VII e l’VIII secolo si va definendo il ruolo dei Carolingi. Durante il VII secolo, inoltre, la ragguardevole
estensione raggiunta da questo impero tende a ridursi, arrivando a delinearsi in più o meno tutta la Francia e
la parte occidentale dell’attuale Germania. Non esistendo una capitale vera e propria, i Merovingi tendevano a
spostarsi continuamente da una città all’altra seguendo le necessità, per lo più militari, del momento.
Come negli altri regni, anche in questo caso alla base del potere c’era il rapporto del re con l’aristocrazia:
questo legame era molto solido, tanto che qui si vede uno dei primi esempi di successione dinastica dato che i
nobili non erano assolutamente disposti ad accettare un nuovo re che non discendesse dalla famiglia
Merovingia. Questa peculiarità si può spiegare in parte con le disponibilità della famiglia, i Merovingi erano
molto più ricchi di tutti gli altri nobili, in parte col legame che questi seppero intessere con gli altri regni per
mezzo di matrimoni strategici.
Dall’aristocrazia franca emerse poi la famiglia dei Pipinidi: nei primi anni del VII secolo Arnolfo di Metz e Pipino
di Landen (leader dei clan più importanti dell’Austrasia) si allearono per favorire l’ascesa al trono del
merovingio Clotario II: furono da questo ricompensati rispettivamente con la carica di Vescovo di Metz e con
la carica di Maestro di palazzo del regno di Austrasia.
Dal matrimonio combinato tra i figli di questi due leader nacque una dinastia potentissima, che si mostrò nella
sua interezza con la figura di Carlo Martello che riuscì a diventare Maestro di Palazzo di moltissime regioni
franche, garantendo l’unità del regno nei diversi ambiti politici in cui era diviso.
Per comprendere pienamente l’importanza dei Pipinidi è necessario analizzare i loro rapporti con l’aristocrazia,
in particolare quella Austrasiana, che permise loro di costituire un’importantissima forza militare che garantiva
loro l’autonomia necessaria ad intervenire non necessariamente al servizio del Re. Questo dettaglio è
particolarmente evidente nella Battaglia di Poitiers del 732, in cui Carlo Martello fermò l’avanzata islamica
salvando i territori cattolici, guadagnando così il favore della Chiesa.
Carlo non riuscì a diventare Re, ma suo figlio, Pipino il Breve, ottenne la corona nel 751 deponendo così la
dinastia Merovingia.
Terre e uomini
La scala sociale medievale si basava interamente sulla ricchezza delle singole famiglie: essere ricchi significava
avere molte terre.
Il territorio europeo era composto da boschi sterminati al cui interno si aprivano radure in cui si svilupparono
dei villaggi: agglomerati urbani composti da case contadine circondate da cerchi concentrici che ospitavano le
principali risorse agrarie. Vicino le case si trovavano gli orti e tutte quelle colture che necessitavano di
particolari cure, mentre più in periferia si trovavano i pascoli e le coltivazioni di cereali. Non bisogna immaginare
però queste due realtà come due mondi completamente separati, era molto più comune invece trovare
un’alternanza d’uso tra campi e pascoli secondo un principio di rotazione biennale, necessaria per rassodare i
terreni e garantirne così fertilità. Questo faceva sì che le terre dei singoli contadini non fossero concentrate in
un unico punto, ma piuttosto frammentate in diversi punti, permettendo così alla famiglia di avere tutto ciò di
cui avesse bisogno.
La parte più esterna del villaggio era generalmente delimitata dalla presenza di un bosco incolto di
fondamentale importanza per la civiltà contadina dato che era fonte di legna, frutta e allevamenti.
Le proprietà dislocate in tutta Europa avevano dimensione ed importanza anche molto differenti tra loro:
nell’area parigina, ad esempio, la Chiesa e gli aristocratici potevano contare su proprietà molto compatte ed
estese, a differenza dei longobardi, i cui nobili erano molto più poveri. Queste differenze sociali avevano un
impatto molto importante sulla vita sociale dei singoli regni, dove infatti la ricchezza era maggiore, era
maggiore anche il potere dei nobili che potevano così condizionare maggiormente le terre circostanti
costringendo i contadini a lavorare nei propri poderi. Per questo motivo, sempre tra il VII e l’VIII secolo, si andò
formando una nuova forma di gestione delle proprietà detta Curtis che resterà il modello agrario adottato fino
all’anno 1000.
Reti di scambio
Anche se apparentemente la Curtis può sembrare un ecosistema chiuso e autosufficiente, col tempo si è
dovuto cambiare questo modo di intendere l’organizzazione, soprattutto alla luce del Capitulare de villis, ossia
quell’insieme di leggi voluto da Carlo Magno che elencava minuziosamente quali dovessero essere le
caratteristiche delle Curtis, a partire dall’elenco degli attrezzi che dovevano esserci, fino ad arrivare ad un
minuzioso censimento di ogni singolo prodotto da coltivare.
Con queste leggi però il fine di Carlo non era quello di regolamentare tutte le Curtis, ma solo quelle del re. La
situazione descritta dal trattato non era infatti una fotografia reale dato che molte fonti attestano la presenza
di mercati settimanali e una piccolissima disponibilità economica in mano agli uomini liberi.
Le Curtis erano quindi lo strumento in mano ai nobili per gestire la propria ricchezza, permetteva infatti di
organizzare la gestione di ogni campo in modo da ottenere il massimo guadagno possibile in un contesto in
cui la circolazione monetaria era molto scarsa.
Nelle città si formò quindi una vera e propria rete commerciale in cui si ritrovava la massima percentuale
possibile di popolazione non contadina alla ricerca dei prodotti in vendita. I grandi proprietari erano quindi
molto attivi sul mercato dato che cercavano di guadagnare dal surplus delle loro produzione: questo faceva
preferire ovviamente il pagamento dei mansi in Corvée piuttosto che in denaro, dato che una manodopera
gratuita permetteva al padrone di diventare un’importante forza commerciale, in grado di condizionare i
mercati locali.
La coniazione di moneta andò riducendosi notevolmente rispetto all’epoca romana, in questo modo la
produzione centrale lasciò spazio a diverse piccole zecche locali che predilessero l’uso dell’argento. Il primo
sistema accettato a livello europeo fu proposto dai Carolingi all’inizio del loro regno, e prevedeva:
→ La Libra: 400 grammi circa di argento
→ I Solidi: 20 solidi = 1 Libra
→ I Denarii: 12 denarii = 1 Solido
La moneta non era però destinata all’uso corrente, veniva infatti per lo più spesa nelle contrattazioni terriere
e nel commercio, tuttavia il loro utilizzo riaprì le reti commerciali del nord Europa che non potevano produrre
Grano, olio e vino.
La nuova forma di commercio diede vita agli Emporia, ossia centri abitati nati esclusivamente con finalità
commerciali, generalmente vicino ai porti, e caratterizzati da un aumento demografico improvviso. Si assiste
quindi alla rinascita di molte città come Londra e York.
Longobardi e Romani
Né Agilulfo né Teodolinda furono dei longobardi purosangue, il primo era infatti e la seconda bavara. Di
conseguenza neppure i loro discendenti, quasi tutti futuri sovrani del regno, poterono definirsi tali. Questa
riflessione è importante per introdurre un’analisi sull’etnia longobarda che, a differenza di tutti gli altri regni
medievali, non ha mai raggiunto un livello stabile dato che è sempre stato sotto un costante processo di
costruzione. Questo fattore viene evidenziato in modo particolare nel la redazione dell’Origo gentis
Langobarda in cui vengono raccontate tutte le vicende Longobarde dalle origini fino alla costituzione del regno
italiano: punto di attenzione particolare di tutta l’opera sono i momenti in cui un determinato gruppo di
persone decise di unirsi ed assumere un’identità collettiva. Dallo stanziamento in Italia in poi, la corte è sempre
stata impegnata a cercare di fondere etnicamente i Longobardi con i Romani.
Qualsiasi altra fonte scritta è molto vaga, e si limita a definire Longobardi tutti quegli uomini sottomessi al
potere del re longobardo (così come sono definiti Romani tutti gli uomini rimasti in zone dell’Italia ancora
controllate dall’Impero). Questo rende estremamente difficile marcare una linea definita relativa
all’etnogenesi e ai rapporti tra le due popolazioni. Nell’incertezza, però, appare chiaro come durante
l’invasione molti aristocratici romani persero i loro privilegi e le loro terre; spinti così ad abbandonare le loro
regioni trovando riparo in quelle ancora imperiali riducendo il tutto ad una grossa macroarea regionale, dato
che per lo più si diressero vero Roma o Ravenna. Se quindi durante i primi secoli la maggior parte degli abitanti
italiani era composta da chi era sceso dalla Sassonia al seguito di Alboino, in breve tempo questa netta
distinzione divenne più sfocata a causa di numerosi matrimoni misti, fusione delle tradizioni, limando molto le
differenze etniche, lasciando però le evidenti differenze politiche. Unico vero baluardo etnico per i longobardi
fu la loro fede ariana: al fianco di vescovi cattolici, in molte città era presente anche un vescovo ariano, per
sottolineare la distinzione tra le due religioni. Questo elemento emerge con prepotenza durante il regno di
Teodolinda, dato che oltre a non essere longobarda, la regina non era neppure ariana. Il re Agilulfo non si
convertì mai alla religione della moglie, ma acconsentì a battezzare suo figlio Adaloaldo con rito cattolico e
appoggiò la costruzione del monastero di Bobbio da parte di Colombano; pur non inaugurando una stagione
di conversione per i re longobardi, questo fu l’inizio di un periodo di tolleranza e pacifica convivenza religiosa
in tutto il regno, caratterizzato da una leggera tendenza verso il cattolicesimo.
La coesistenza di una doppia fede all’interno del regno cominciava da un lato a togliere all’Arianesimo il
primato di elemento di coesione etnica longobarda, dall’altro impedì ai vescovi di realizzare quel processo di
simbiosi col potere caratteristico invece di altre regni, quindi non riuscirono a diventare elemento di coesione
tra i sudditi e il re, né furono in grado di trasmettere ai re una cultura di governo di tradizione romana.
Conseguenza più grave di questa situazione fu però una crescente forma di ostilità da parte del Papa ne
confronti dei Longobardi, soprattutto per motivazioni politico – territoriali: la frammentazione di tutto il
territorio italiano generò numerosi punti di tensione, in particolar modo in un contesto n cui l’assenza
dell’impero iniziava a lasciare spazio al potere papale e alla sua sete di autonomia.
Esempio concreto in questo senso fu l’operato di Papa Gregorio Magno, discendente diretto di un’importante
famiglia senatoriale romana, e quindi massima espressione di questo tipo di cultura.
Dopo aver realizzato l’inutilità della conservazione di molte tradizioni e simbologie legate al vecchio fasto
imperiale, Gregorio fu uno degli ultimi Prefectus Urbis, dopodiché, giunto sul soglio papale, iniziò un processo
di rifondazione che verrà portato avanti da tutti i suoi successori, modificando così enormemente il ruolo
politico del Papa a Roma. La debolezza dell’Impero in Italia era un dato di fatto che costituiva
un’importantissima risorsa per la Chiesa perché lasciava grande spazio di manovra ai vescovi che di fatto
gestivano il potere politico oltre che quello spirituale: le Chiese possedevano enormi ricchezze e i Vescovi erano
sempre rappresentanti di grand famiglie aristocratiche. Fu quindi Gregorio a utilizzare parte di questo
patrimonio acquistare il grano necessario a soddisfare le necessità di tutta la città e soprattutto, muovere passi
politici in autonomia, contrattando personalmente con i Longobardi un piano di equilibrio che permettesse
una pacifica convivenza tra due popolazioni così strettamente legate su un piano territoriale.
Il momento di rottura si può individuare nel corso del VII secolo quando, pressato dalla crescente minaccia
Araba, Bulgara ed Avara, la Chiesa non ritenne più sufficiente la difesa garantita dall’Impero, vedendo invece
nei Franchi un alleato decisamente più potente.
Altro asse fondamentale della politica di Rotari fu l’espansione territoriale che, assieme alla promulgazione
delle leggi viste, aveva chiaramente l’intento di rafforzare il potere del re sull’aristocrazia. Il processo di
espansione avviato da Rotari fu continuato alacremente da Grimoaldo, il quale ampliò il regno includendo
anche il Veneto e parte della Puglia; proseguì anche sul versante legislativo dimostrando così che questa nuova
consuetudine non era stata una semplice presa di posizione di Rotari, ma un nuovo modo di intendere il potere
nel regno.
Nonostante ciò, il potere regio dovette continuare a scontrarsi con quello dell’aristocrazia, e in particolar modo
con quello dei duchi: per tutto il VII secolo all’elezione del re da parte dell’aristocrazia si affiancò un principio
di successione dinastica che però non attecchì mai completamente, limitandosi così a condizionare le scelte
dei duchi che, di fatto, nominavano il re.
Il potere regio conobbe poi il massimo splendore con Liutprando, con regno particolarmente lungo ebbe
modo di essere incisivo sotto tre punti di vista differenti:
1. Militare: agì su tutta la penisola sottomettendo i ducati di Spoleto e di Benevento, e riuscendo a
mettere le mani anche su Ravenna per un breve periodo, fermandosi solo sotto le mura di Roma.
2. Legislativo: intervenne con più di 150 nuovi articoli che danno una linea cattolica al regno grazie
all’impegno profuso contro il paganesimo e alla protezione delle chiese.
3. Politico: istituì i gastaldi, funzionari privi di compiti giurisdizionali che costituivano una vera e propria
rete capillare che bilanciava l’eccessivo potere dei duchi, fornendo un canale di comunicazione diretto
tra il re e i sudditi.
Intorno alla metà dell’VIII secolo quindi il potere regio longobardo si era stabilizzato anche se il potere ducale
era ancora molto influente; contemporaneamente si andava definendo anche quel processo di fusione etnica
tra longobardi e romani che trova massima evidenza nelle leggi promulgate da Astolfo nel 750, il cui obbligo
al servizio militare non pone più nessun tipo di differenza tra le due popolazioni.
È in questo periodo, infine, che si rompe definitivamente il precario equilibrio politico esistente tra papato,
regno longobardo e regno franco: grazie all’aiuto dei Pipinidi – carolingi, la chiesa sostituì definitivamente
l’impero nella contrapposizione con i longobardi sul dominio dell’Italia centrale: nel 754 Pipino il Breve
sconfisse re Astolfo togliendo ai Longobardi il controllo su Ravenna consegnandolo al Papa, gettando così le
basi per l’incoronazione di Carlo Magno a nuovo imperatore.
fine di annettere i territori ed assimilarne completamente la popolazione: oltre all’azione militare è importante
anche la connotazione religiosa della cosa, dato che i Sassoni erano principalmente pagani.
L’enorme influenza dei Franchi, a questo punto, non si limitava entro i suoi confini: sia in Spagna che in Austria
le Marche costituivano dei cuscinetti di protezione che, ad esempio nella valle del Danubio, costrinsero le
popolazioni ad una sorta di assoggettamento grazie all’enorme stanziamento militare messo in atto.
L’espansione territoriale corrispose anche ad una ripresa delle reti commerciali col Nord Europa: importanti
furono gli scambi con l’anglosassone re Offa che, adottando anche politiche evidentemente ispirate dai
franchi, dimostrò che i rapporti non erano solo di natura economica.
La novità più importante, però, fu l’incoronazione ad Imperatore.
Il giorno di Natale dell’anno 800, Papa Leone III fu ricondotto a Roma (da cui era dovuto fuggire per scappare
dai suoi oppositori) da Carlo Magno e, riottenuti pieni poteri, lo incoronò Imperatore, sottolineando così il suo
peso nettamente superiore a quello di qualsiasi altro re Occidentale. Questa incoronazione fu fondamentale
anche per le esigenze papali dato che sottolineava nuovamente l’impegno di Carlo nel ruolo di Protettore della
Chiesa: dal punto di vista papale, infatti, il significato del titolo era quello di un’associazione di Carlo alla figura
di Costantino, la cui funzione principale era proprio quella di difesa della Chiesa di Roma.
L’incoronazione però creò ovvie tensioni ideologiche con Bisanzio, capitale dell’altro Impero, perché era un
chiaro atto di ostilità nei confronti di un Impero sempre più debole con a capo una debole reggente (Irene), e
in preda a dure guerre di religione (movimento iconoclasta); l’incoronazione fu però solo un ulteriore
aggravarsi di una situazione che era già tesa quando dalla nuova Capitale, Aquisgrana, Carlo iniziò a sostenere
le azioni missionarie dirette ad est e a convocare concili ecclesiastici, influenzando così anche la politica
religiosa della Chiesa.
Questa forma di fedeltà assunse una forma più definita intorno all’VIII secolo sotto Pipino III (Il Breve) in quello
che viene comunemente definito Vassallaggio: era un Vassallo colui il quale giurava fedeltà militare ad un
potente impegnandosi così a combattere per lui in cambio di terre e protezione. Esempio di questo rapporto
è dato dal duca di Baviera Tassilone il quale, dopo anni di conflitti, si presentò alla corte di Pipino e si offrì a lui
come vassallo, giurandogli fedeltà e supporto militare.
Questa struttura vassallatica era diffusa in tutto il territorio franco, in questo modo l’Imperatore era riuscito a
creare una vera e propria rete il cui controllo costituiva la sua vera forza nel momento in cui veniva tradotta in
forza militare.
Questo equilibrio tra ricchezza dell’Imperatore e potenza derivata dal controllo dell’Aristocrazia si ruppe nella
seconda metà del IX secolo, quando si ridusse la capacità del Re di redistribuire la ricchezza tra i nobili e quindi
si ridusse il livello di fedeltà di questi nei confronti dei successori di Carlo. Era molto importante quindi la
capacità di saltare l’intermediazione aristocratica conservando sempre un rapporto diretto con gli uomini
liberi, i Pauperes, dato che non era affatto raro vedere gruppi numerosi di contadini che chiedevano di essere
difesi da un potente che tentava di sottometterli e controllarli. Raramente questi ottennero giustizia, un po’
perché la solidarietà tra la Corona e l’Aristocrazia era molto forte, quindi difficilmente la prima avrebbe deciso
a sfavore della seconda, è importante però vedere come queste cause fossero abbastanza comuni, a
dimostrazione del fatto che chiunque avesse accesso alla giustizia del Re.
Le chiese carolingie
Subito dopo l’incoronazione di Carlo Magno, quindi, si delineò un nuovo tipo di rapporto tra il papato e
l’Impero.
La Chiesa non assunse mai una posizione di vassallaggio perché i Chierici non potevano giurare, portare armi
né tantomeno combattere; allo stesso modo nessun Vescovo divenne mai conte perché questa carica fu
sempre affidata a dei laici. I resoconti giunti a noi, però, raccontano spesso di vescovi che hanno ottenuto la
carica di Missi Regis considerandosi in tutto e per tutto collaboratori del Re dato che entrambi avevano lo
stesso fine: la giustizia in terra e la salvezza in cielo.
Gli strumenti utilizzati dai vescovi erano ovviamente quelli caratteristici della Chiesa:
→ Orientare i fedeli verso obbedienza e fedeltà al Re
→ Capacità culturali, necessarie per elaborare i testi necessari al governo
→ Ricchezze e clientelarismi della Chiesa
In base a questa organizzazione, il Re dava ordini a Vassalli, Conti, Marchesi, ma anche a Vescovi e Abati giacché
erano considerati in tutto e per tutto parte integrante delle milizie imperiali.
Il discorso relativo agli Abati è ancora differente dato che nei monasteri non c’erano compiti di tipo pastorale:
loro amministravano la Sanità ed erano centri di ascesi la cui spiritualità era in forte contrasto con la violenza
del mondo circostante.
Per tutelare i monasteri, l’Impero impose la Regola di San Benedetto come unico testo normativo da prendere
in riferimento: la Regola non fu mai adottata alla lettera, ma fu un’importante dimostrazione di quanto
l’Impero ritenesse necessario il dover intervenire direttamente nelle questioni interne della Chiesa, e di come
questa fosse considerata poco più di un’articolazione esterna del regno.
Le ampie concessioni, economiche e sociali, che l’Impero elargiva nei confronti della Chiesa vanno viste come
un vero e proprio trasferimento di risorse dal fisco al clero, arrivando addirittura alla più importante
concessione, ossia l’immunità. Qualunque funzionario laico regale non poteva riscuotere tasse dalla chiesa, o
amministrare giustizia nei loro territori: di fatto le chiese diventano spazi inviolabili. Riguardo la giustizia, era
prassi che fosse il clero a consegnare ai conti le persone da giudicare, fiscalmente non era altro che una grossa
esenzione.
Dall’Impero ai regni
l’Impero di Carlo Magno si caratterizza per un
altissimo livello di equilibrio tra la potenza
dell’aristocrazia e il coordinamento
dell’Imperatore.
Dal 751 all’840 le circostanze fecero in modo
che l’Impero restasse sempre unito dato che
c’era un solo uomo al comando:
→ Pipino III
→ Carlo Magno
→ Ludovico il Pio
Nonostante ciò, però, già sotto il regno di
Carlo iniziarono a nascere i primi contrasti tra
l’unità dell’Impero e i diversi ambiziosi
membri della famiglia.
Dopo la morte di Carlo, infatti, l’impero
sarebbe si sarebbe dovuto dividere fra i tre
figli:
→ Carlo: cui andò la parte centrale del
regno
→ Ludovico: parte sud – occidentale
della Francia
→ Pipino: l’Italia
Fu solo la precoce morte di Carlo e Pipino a
riunire tutto il territorio sotto il dominio di
Ludovico, ma nonostante ciò anche lui fu
costretto a dover fronteggiare la minaccia
interna rappresentata da Bernardo, figlio del
fratello Pipino. Affrontò la questione
promulgando la Ordinatio Imperii con cui rompeva con la tradizione franca in favore dell’unità imperiale,
nominando quindi contestualmente il suo primogenito Lotario come erede alla corona ed unico successore.
Questa impostazione scatenò ben presto le ire del nipote Bernardo, la cui ribellione fu presto sedata con la sua
incarcerazione e accecamento.
Ulteriori squilibri si presentarono alla nascita di Carlo il Calvo, la cui madre (Judith) si prodigò molto nel
tentativo di ripristinare la vecchia legge franca, fino ad arrivare, nell’833, alla battaglia di Colmar in cui Ludovico
fu sconfitto dai figli e destituito, lasciando il trono a Lotario.
Le continue discordie tra i tre permisero a Ludovico di riacquisire il trono nell’834 e di conservarlo fino all’840,
anno della sua morte e aprendo ad una guerra tra fratelli, caratterizzata da tre momenti molto significativi:
→ Battaglia di Fontenoy (841) – Lotario viene sconfitto dai fratelli alleati contro di lui
→ Giuramenti di Strasburgo (842) – Carlo e Ludovico II
ufficializzano l’alleanza contro il fratello
→ Pace di Verdun (843) – Fine del conflitto, i tre fratelli si
spartirono l’Impero assegnando:
o Carlo il regno dei Franchi occidentali
o Lotario la parte centrale, che comprendeva
anche l’Italia e lo Stato della Chiesa, e quindi il
titolo di Imperatore
o Ludovico II il regno dei Franchi orientale
Dall'840 all'888
dall'888 al 987
Dall'Inizio VII secolo fino al
2
Da declamazione (Qara’a) deriva Corano (Al Qur’an)
STORIA MEDIEVALE IL MEDITERRANEO BIZANTINO ED ISLAMICO
35
Altro punto di rottura bizantino rispetto all’età classica imperiale fu quella religiosa, dovuta all’affermazione
del movimento Iconoclasta.
L’iconoclasmo fu una corrente religiosa che ambiva ad un culto più puro, e cercava di raggiungere questa
dimensione attraverso la distruzione di tutte le immagini sacre, viste come potenziale fonte di idolatria e
politeismo. Il dibattito fu ampliamente teologico, e mise al centro la figura di Gesù Cristo: ritrarlo metteva
ancora una volta in risalto la sua natura umana, a discapito di quella divina, separandole nuovamente come
prima del concilio di Caledonia con i dibattiti sulle posizioni diofisite e monofisiste. A tal proposito, gli iconoduli,
principali sostenitori delle immagini sacre, risposero proprio citando il suddetto concilio che aveva affermato
l’unione delle due nature in Cristo, permettendo in questo modo implicitamente la rappresentazione di quella
umana.
Il dibattito teologico si spostò su quello politico già nel
730 quando l’imperatore Leone III vietò la Interna: Impero
venerazione delle immagini, creando così gravi contro
conflitti sia all’interno che all’esterno dell’Impero: da Divisioni Interne Monasteri
un punto di vista interno, questa decisione mise in
ed Esterne
contrasto Imperatore e monasteri, per i monaci infatti Esterna:Bisanzio
il culto delle immagini ricopriva un ruolo molto contro la Chiesa
importante. Da un punto di vista esterno, invece,
Romana
questa posizione metteva l’Impero in netto contrasto
con le posizioni della Chiesa di Roma e quindi con tutta la cristianità occidentale.
Imperatori come Leone III e Costantino V abbracciarono l’iconoclasmo per motivazioni di natura politica dato
che la loro esigenza era quella di rimettere la figura dell’Imperatore al centro della società bizantina e il
diffusissimo culto dei Santi ne offuscava il ruolo di mediatori tra il popolo e Dio.
Questa guerra alle immagini sacre raggiunse il suo apice nel 754 in occasione del concilio di Hierea in cui
Costantino V riuscì a vietare il culto delle immagini, mettendosi ufficialmente contro le chiese occidentali che
a questo Concilio non furono neppure convocate: questa condanna fu quindi opera della sola Chiesa Bizantina.
Solo con Leone IV dal 775, e con la sua vedova che ne prese il posto nel 780, questa tendenza conobbe delle
attenuazioni, per venire definitivamente annullata nel 787 con concilio di Nicea che ripristinò il culto delle
immagini.
Il movimento iconoclasta fu determinante anche nei rapporti tra l’Impero bizantino e la Chiesa occidentale che
non prese mai una posizione ufficiale in merito, anche per posizioni politiche: fine del Papa era infatti quello di
marginalizzare l’importanza dell’Impero bizantino rispetto al territorio italiano: questo aspetto divenne palese
quando, alla caduta di Ravenna per mano longobarda, i bizantini non ebbero modo di intervenire costringendo
il Papa a rivolgersi ai Pipinidi.
3
Delegati del Califfo chiamati a governare determinati territori
STORIA MEDIEVALE IL MEDITERRANEO BIZANTINO ED ISLAMICO
37
dall’aristocrazia araba, truppe berbere, la popolazione locale convertita all’Islam e quella locale che invece non
aveva rinnegato la propria fede. Qui tutto il dominio islamico retò molto unito per tutto il X secolo, fino a
quando questo iniziò a spacchettarsi in piccole dominazioni autonome, dette tayfas, che dall’XI secolo in poi
furono sopraffatte dal movimento della Reconquista.
Anche l’Impero bizantino del IX e X va visto per la sua complessità territoriale: nell’867 salì al trono Basilio I la
cui dinastia regnò fino al 1025, caratterizzando questo periodo per un forte rafforzamento dovuto ad
un’importante espansione territoriale e la costruzione di importanti legami politici e spirituali con le
popolazioni confinanti. Caratteristica importante di questo periodo fu la netta divisione tra la Chiesa di Roma
e quella di Costantinopoli, sia da un punto di vista teologico che da quello più ecclesiastico: se per quest’ultimo
punto si raggiunse un accordo alla fine del IX secolo col riconoscimento di una superiorità, solo formale, nella
Chiesa di Roma, teologicamente non si riuscì mai a raggiungere un punto di accordo.
L’opposizione delle Chiese fu comunque solo una proiezione dei complicati rapporti degli ambiti potere che
facevano capo ai due diversi imperi; questo trova esplicita evidenza nell’Europa orientale dove entrambi
avevano interessi nei territori degli Slavi, in particolare i Bulgari e la Grande Moravia.
Saraceni
Tradizionalmente sono sempre stati indicati come pirati provenienti dai territori sotto il dominio islamico, ma
in realtà si tratta di gruppi di etnia mista, attivi a partire dagli anni ’60 del IX secolo, fu solo verso la fine dell’800
che questi diversi gruppi si organizzarono in basi più o meno stabili, la cui più celebre è senza dubbio
Fraxinetum nella baia di Saint – Tropez da cui partirono numerose incursioni che terminarono solo nel 972,
dopo che il conte di Arles ed il marchese di Torino si allearono e la distrussero.
L’attività dei Saraceni non è mai stata finalizzata all’espansione territoriale, ma si limitarono ad atti di pirateria
continui che lasciarono ben poche tracce scritte, rendendo così molto difficile il tentativo di definire la portata
delle loro razzie
Ungari
Come per i Saraceni, anche per gli Ungari non sono disponibili molte fonti scritte dato che le loro incursioni
sono sempre state facilitate dallo stato di estrema debolezza dei Re, infatti tra il IX e X secolo si ha notizia di
una trentina di incursioni ungare ai danni di Italia e Germania.
Abili cavallerizzi, riuscivano a muoversi agilmente tra le Alpi penetrando così a fondo nell’Impero, si ha infatti
notizia di incursioni a Pavia e per tutta la Lorena.
Oltre che saccheggiatori, gli Ungari si rivelarono anche preziosi alleati dato che registri militari ci dicono che
spesso sono stati arruolati tra le file degli eserciti imperiali.
Dopo aver semplificato la loro azione, l’evoluzione dell’Impero segna anche la loro fine dato che attorno alla
metà del X secolo Ottone I guidò l’aristocrazia tedesca nella battaglia di Lechfeld che vide la disfatta finale di
questa popolazione
Normanni
Nello stesso periodo, ma in luoghi completamente diversi, iniziarono a muoversi anche i Normanni, mossi
dall’importante sviluppo delle rotte commerciali nel mare del Nord.
Quasi tutti i commercianti erano costretti a navigare armati
per difendersi dalle frequenti incursioni piratesche, Nomi attribuiti ai Normanni
trasformandosi così spesso in pirati a loro volta ogni volta Vareghi - Territori ad Est
che le occasioni lo permettevano. Questa realtà è molto
frequente nei mari tra la Russia e l’Inghilterra: le zone di Vichinghi - Isole Britanniche
influenza dei Normanni sono talmente estese che questa Normanni - Nord della Francia
popolazione prende un nome diverso a seconda della
regione in cui ha operato.
Il traffico commerciale ad est permetteva, grazie all’utilizzo di imbarcazioni a fondo piatto, di risalire i grandi
fiumi. Questa opportunità portò i Vareghi a stanziarsi in insediamenti che presero il nome di Emporia che
divennero in breve importantissimi centri di scambio commerciale: alcuni di questi crebbero tanto da diventare
importanti centri, come Kiev o Novgorod.
In Occidente l’azione militare dei Normanni si può scandire in tre periodi ben distinti:
1. Piccole incursioni sulle coste francesi e inglesi nello stretto della Manica attorno all’inizio del IX secolo
2. Col crescere delle difficoltà imperiali, crebbero anche le incursioni. Attorno alla metà del IX secolo
grosse flotte risalirono i fiumi spingendosi fino a Parigi e Londra
3. Alla fine del IX secolo le incursioni si trasformarono in veri e propri insediamenti stabili: nel 911 questi
furono riconosciuti da Carlo il Semplice che diede vita al Ducato di Normandia.
La nascita del ducato di Normandia non può essere paragonato alla vicenda degli Ungari perché Carlo il
Semplice era molto più debole di Ottone I, quindi non potendo permettersi uno scontro armato fu costretto a
STORIA MEDIEVALE SOCIETÀ E POTERI NEL X SECOLO
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trovare una pacificazione solo cedendo parte del territorio regio, dando il via ad un processo di assimilazione
molto rapido dato che i normanni si convertirono subito al cristianesimo e trasformarono molto velocemente
il loro territorio in un grande principato del tutto simile agli altri che caratterizzavano la zona.
Il potere dei Re
Nonostante l’evoluzione dei poteri regi seguisse linee molto diverse, si possono individuare alcune linee
comuni a tutti.
Ovunque, infatti, tar il X e XI secolo scomparve completamente l’attività legislativa dato che tutti i re
intervenivano sulla vita politica del regno quasi esclusivamente tramite la concessione di diplomi4, finendo così
col limitarsi a constatare l’esistenza di nuovi poteri signorili locali e pienamente autonomi.
È importante sottolineare che tutti i nuovi diplomi prodotti in questo periodo non favorivano lo sviluppo di
nuovi poteri autonomi, ma si limitavano a favorire quei poteri già esistenti che comunque avevano un forte
rapporto di fedeltà col re.
La crisi dell’Impero quindi non corrisponde ad una perdita di potere da parte della corona, ma piuttosto ad una
profonda ridefinizione del suo ruolo sulla base di caratteri comuni in tutte le sue regioni:
→ Ridotta capacità di condizionare aristocrazia e chiese
→ Modalità d’azione non sulla base di leggi generali, ma su interventi specifici su singole realtà
L’Impero finì quindi col dividersi in 4 regni principali:
1. Italia
2. Germania
3. Francia
4. Borgogna
La Borgogna fu la dimensione che ebbe vita più breve: si affermò alla fine del IX secolo come territorio
autonomo in un dominio compreso tra le Alpi e il Rodano, controllato dai Rodolfingi.
Nel 933 questo dominio si allargò anche alla Provenza, ma con la morte di Rodolfo II si andò incontro ad una
profonda crisi dinastica che si concluse solo nel 1034, quando il regno passò nelle mani del re di Germania
Corrado II.
Italia
Data chiave della storia italiana è l’888, anno della morte di Carlo il Grosso, ultimo carolingio ad aver unito
l’intero impero.
Tra l’888 e il 961 l’Italia fu terreno di scontro di diversi potenti che si contendevano il trono, in particolar modo
i marchesi del Friuli e quelli di Spoleto.
Berengario del Friuli fu incoronato re nell’888 ma già l’anno successivo fu sconfitto e deposto da Guido di
Spoleto che ottenne il titolo imperiale nell’891. Dal Nord – Est, zona ancora controllata da Berengario, il
marchesato del Friuli si riprese alla morte di Guido (894) e regnò fino al 924, anno della sua morte.
La storia di questi anni si può riassumere con l’opposizione delle due famiglie più influenti dell’aristocrazia
italiana:
→ Berengario del Friuli
→ Guido di Spoleto
→ Gli Anscarici di Ivrea
→ Gli Adalbertini della Tuscia
→ Rodolfo di Borgogna
4
Concessioni accordate a singoli destinatari, quasi sempre chiese o collettività
STORIA MEDIEVALE SOCIETÀ E POTERI NEL X SECOLO
41
Tutta la politica italiana restò quindi ancorata allo scambio di corone avvenute tra queste famiglie, dal 924
Rodolfo di Borgogna subì gli scontri con Ugo di Provenza che riuscì ad insediarsi in Italia dal 926 al 946, anno
in cui abdicò in favore del figlio Lotario. Alla morte di questo, nel 950, la corona tornò nelle mani del
marchesato del Friuli con Berengario II, fino alla discesa in Italia del re di Germania Ottone I.
Germania
La morte di Ludovico il fanciullo nel 911 pose fine all’egemonia carolingia sul territorio dei franchi orientali,
lasciando così spazio a nuovi pretendenti che daranno origine al nuovo Regno tedesco.
In questo quadro si andò delineando una linea di politica elettiva del nuovo re, scelto dall’insieme dei duchi che
dovettero fare i conti con la volontà di ogni singola famiglia aristocratica di riuscire a mantenere la corona
quanto più a lungo possibile, introducendo quindi nei fatti un’importante tendenza dinastica: tutta la storia
teutonica dal X secolo in avanti è infatti correlata da una continua lotta tra il principio elettivo ed il principio
dinastico.
Nel 911 salì al trono Corrado di Franconia, il cui regno fu costantemente
minacciato dalla grande aristocrazia, guidata da Enrico di Sassonia, che non Dinastia duchi di
vedeva in lui un degno sovrano: alla morte di Corrado fu proprio Enrico a salire al Sassonia
trono e, per oltre un secolo, la corona fu saldamente nelle mani della sua famiglia. Enrico I
Il dominio sassone ampliò notevolmente i confini del regno Tedesco: nel 925 Ottone I
Enrico conquistò la Lotaringia e suo figlio, Ottone I, iniziò la discesa in Italia a Ottone II
partire dal 951. Ottone III
Enrico II
Al suo arrivo in Italia, Ottone trovò uno scenario in cui da un lato c’era in atto uno
scontro tra le famiglie aristocratiche di Berengario e della potente regina
Adelaide, vedova di Lotario, dall’altro la posizione stessa di Berengario che precedentemente si era messo
sotto la protezione del re tedesco.
Va sottolineato anche che lo stesso Ottone era coinvolto in conflitti interni col suo primogenito, Liutdolfo, che
voleva affermare il suo dominio sula penisola.
Dopo aver sposato la vedova Adelaide, l’intervento di Ottone
diventa espressione della sua volontà di proteggerla
sottolineando in questo modo la sua supremazia su Berengario
II; al contempo, però, lo scontro col figlio si trasformò in un
conflitto vero e proprio, quindi Ottone fu costretto a
riconoscere Berengario come sovrano fino al 954, anno in cui
riuscì a sottomettere Liutdolfo.
Dopo aver sottomesso anche gli ungari nel 955, nel 961 Ottone
poté riprendere la sua marcia di conquista in Italia che si
concluse nel 962 con la sua incoronazione ad Imperatore.
Alla morte di Ottone I, nel 973, l’impero era quindi composto dall’unione del regno di Germania e il Regno
d’Italia. Si stabilizzarono le procedure di ascesa al trono: il re veniva eletto dai duchi, doveva scendere in Italia
per prendere formalmente possesso di questi territori e, infine, doveva recarsi dal Papa per ricevere
l’incoronazione imperiale. Nonostante fosse una carica elettiva, non stupisce il fatto che da Ottone I in poi si
stabilizzò una vera e propria dinastia regale ed è facile capirne i motivi se si analizza la struttura dell’aristocrazia
ducale, composta in gran parte da parenti di Ottone: sia Ottone I che il figlio Ottone II fecero in modo di
occupare quanti più ducati possibile con membri della propria famiglia, questa tendenza andò avanti fino al
regno di Enrico II che promosse l’ascesa alla nobiltà di altre famiglie.
La continuità politica che caratterizzò il dominio degli Ottoni subì un cambio di rotta con la figura di Ottone III
che mise al centro della sua opera il Renovatio Imperii Romanorum: fine era quello di rinnovare lo spirito
dell’antico Impero Romano, quindi sia il linguaggio ufficiale che i vari cerimoniali si arricchirono di elementi
STORIA MEDIEVALE SOCIETÀ E POTERI NEL X SECOLO
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bizantini. Questa impostazione non era solo spinta dalla volontà di ripristinare i fasti del passato, ma nasceva
da una precisa impostazione politica: alla morte del Papa Giovanni XV, Ottone impose la figura di Bruno di
Worms che divenne Papa col nome di Gregorio V, primo proveniente dall’aristocrazia tedesca, seguito alla sua
morte da Silvestro II. La nomina di questi due pontefici sottolinea come Ottone ritenesse Roma centrale
rispetto agli equilibri politici imperiali.
Alla morte di Ottone III, nel 1002, salì al trono il cugino Enrico II che si mosse in direzione completamente
opposta rispetto ai suoi predecessori lasciando spazio a nuove famiglie aristocratiche tedesche. In Italia la
successione scatenò la pretesa dell’aristocrazia locale di imporre un proprio regnante, così a Pavia fu
incoronato Re d’Italia Arduino, marchese di Ivrea. Enrico intervenne subito riprendendo il controllo della
penisola già nel 1004; in seguito ad una seconda ribellione Arduino fu definitivamente sconfitto, e confinato in
un monastero, solo nel 1014. Nonostante l’esperienza italiana fu molto breve, questa fu un chiaro segnale di
crescenti tensioni legate alla volontà italiana di imporre un proprio nominativo nell’elezione del re.
Francia
Come in Italia, anche qui punto di svolta fu la morte di Carlo il Grosso nell’888, episodio che aprì la strada a
nuove famiglie aristocratiche: prese infatti la corona il conte Oddone di Parigi.
Particolarità francese rispetto agli altri regni fu la sopravvivenza dei carolingi: alla morte di Oddone, infatti,
nell’898 riprese il trono il debole Carlo il Semplice che fu però rimosso dalla carica nel 922 in quanto incapace
di regnare.
Il cambiamento principale rispetto all’età carolingia si può individuare nella diversificazione del territorio che
andò a suddividersi in principati regionali ampliamente autonomi e delle stesse dimensioni del dominio regio.
Dopo la debole esperienza carolingia, i nuovi re furono scelti sempre dalla famiglia degli Oddoni, Roberto di
Neustria (fratello di Oddone) prima, e Rodolfo di Borgogna (Genero di Roberto) poi: è importante sottolineare
come la corona fu sempre negata al figlio di Oddone, Ugo il Grande, proprio per evitare la costituzione di una
vera e propria dinastia regale e quindi un forte contrasto all’interno dell’aristocrazia.
Proprio per evitare questo scenario, alla morte di Rodolfo nel 936, Ugo non reclamò per sé l trono ma preferì
richiamare dall’esilio il carolingio Ludovico IV, figlio di Carlo il Semplice, che regnò fino al 987.
La debolezza dei carolingi del X secolo permise alla famiglia dei Robertini di acquisire potere, tanto che il nipote
di Ugo, Ugo Capeto, prese il trono nel 987 inaugurando la dinastia Capetingia che conserverà la corona fino al
1328. L’ascesa capetingia è un evento di portata talmente elevata che tradizionalmente il 987 è considerato
l’anno in cui viene fondata la monarchia francese.
ma la sua opera ha garantito l’unificazione dei regni inglesi e ha inaugurato un periodo di profonda
integrazione tra tutte le nazioni del mare del Nord.
Giuridicamente non si era ancora sviluppato un processo di legittimazione relativo alla successione al trono
inglese, e alla morte di Edoardo, figlio di Alfredo il Grande, questo fu rivendicato da:
→ Harold Godwinson: duca del Wessex
→ Harald: Re di Norvegia
→ Guglielmo: Duca di Normandia
Fu il primo ad essere incoronato re, ma venne spodestato immediatamente dagli altri due: riuscì a contenere il
tentativo di espansione di Harald, ma fu ucciso da Guglielmo nella battaglia di Hastings del 14 ottobre 1066.
L’aristocrazia normanna riuscì a salire sul trono inglese caratterizzando i decenni successivi con una
ridefinizione dei rapporti di potere che sottolineavano la centralità del potere regio.
Spagna
La conquista araba dell’VIII secolo non era riuscita a sottomettere l’intera penisola
iberica, ma aveva dissolto il regno visigoto: nella parte meridionale si era costituito
l’emirato di al – Andalus mentre a nord si formarono i regni cristiani delle Asturie e di
Pamplona.
Questo periodo fu quindi caratterizzato da continue interferenze tra le diverse
dominazioni portate avanti dai re cristiani che cercavano di destabilizzare l’emirato in
modo da poter approfittare della sua instabilità politica: importante fu, in questo senso, l’operato del regno
delle Asturie, che però non riuscì mai a sopraffare la potenza militare di al – Andalus.
Già alla fine del IX secolo, tuttavia, sono presenti quei sentimenti tradizionali che furono alla base della
Reconquista che però ancora non emersero in modo definitivo: per tutto il X secolo i regni cristiani e l’emirato
vissero come differenti realtà regionali poste su differenti livelli di potenza, generando così un precario
equilibrio dinamico e conflittuale che però non sfociò mai in una guerra definita, non influenzando quindi in
nessun modo la stabilità territoriale. Solo alla fine dell’XI secolo l’ideale della crociata prese definitivamente
piede, permettendo così al movimento di Reconquista di assumere un’identità ben definita, sostenuta dal
Papa, che porterà nel XIII secolo all’espansione dei regni cristiani su tutta la penisola iberica.
lavoratori, tutti chiusi in un sistema simbiotico in cui ognuno svolgeva il proprio compito per il bene di tutti gli
altri.
Questo modello si sviluppò ad opera di Adalbedone di Laon e Gerardo di Cambrai, due vescovi attivi nel Nord
della Francia nei primi anni della dinastia Capetingia, in un momento in cui il potere regio era assolutamente
incerto, sia da un punto di vista dinastico che da quello del controllo effettivo dei territori.
Un altro modello, apparentemente opposto a questo, lo si trova nelle Paci di Dio che rappresenta un vero e
proprio cerimoniale elaborato da alcuni vescovi del Sud della Francia: radunate un certo numero di reliquie,
chiunque doveva giurare su queste il rispetto di determinate norme. La novità non è tanto nelle norme
descritte, dato che sono quelle comuni del periodo, quanto nel fatto che nessun re le ha imposte, ma nascono
dalla spinta del popolo stesso ispirato dalla chiesa: la pace di Dio non è altro che la pace del Re senza il Re.
I due modelli politici descritti posso sembrare diametralmente opposti dato che il primo è espresso da testi di
alto livello intellettuale e che quindi ebbe usa diffusione molto ridotta, il secondo invece nasce da un sistema
di cerimoniali che ebbero un enorme impatto sulla società. Soprattutto però la tripartizione si basa sulla
separazione di ruoli e competenze con al centro la figura del Vescovo, garante della salvezza eterna, le Paci di
Dio invece, anche se sempre guidate da un Vescovo prevedevano che tutti facessero insieme lo stesso rito.
Punto molto importante in comune tra i due modelli è la trasformazione del rapporto tra i vertici della Chiesa
e i fedeli. La Chiesa è l’intera società, quindi l’appartenenza alla società passa inevitabilmente dalla totale
sottomissione alla Fede: essere fedeli significa essere sudditi in un complesso di dominazione guidato dalla
Fede.
Ovviamente in questo contesto cambia radicalmente anche la figura del Vescovo che perde la funzione di
elemento strutturale del potere regio in favore di un pieno controllo politico e sociale sulle città, basato su
esplicite concessioni della corona. Già Ottone si rese artefice di concessioni molto importanti che assegnavano
pieni poteri ai Vescovi che di fatto sostituivano i Conti in tutto e per tutto. Questa importantissima tendenza
dipendeva principalmente dal fatto che, ormai, la successione dinastica dei conti era completamente al di fuori
del controllo della corona: in caso di conflitti con una contea, l’Imperatore non poteva certo destituire
l’aristocratico, rischiando di scatenare una rivolta, ma aveva il potere di ridurne i privilegi in favore del vescovo
cittadino. Nel caso in cui il Vescovo fosse avverso alla corona, inoltre, il fatto che questo non potesse avere figli
impediva categoricamente la possibilità che si formasse una dinastia e quindi il Re poteva indicare il successore
a lui più gradito.
I Vescovi erano uno strumento di potere estremamente efficace grazie alle strette relazioni che questi avevano
con i laici della città: non è infatti raro trovare casi in cui la Chiesa sia riuscita a creare lo stesso identico livello
di autonomia e potere, senza però avere nessun tipo di concessione imperiale.
Per una riforma della Chiesa: vescovi, imperatori e papi nella prima metà
dell’XI secolo
Una spinta importante a dare il via alla spinta riformatrice arrivò principalmente dai Vescovi impegnati a
riorganizzare le proprie diocesi al fine di difendere i beni ecclesiastici. Con Beni ecclesiastici non si intendono
solo le ricchezze, ma anche un piano ideologico secondo il quale la funzione ecclesiastica era da considerarsi
sacra.
Accanto ai Vescovi, anche la curia imperiale si impegnò molto in quest’impresa, soprattutto sotto Enrico III che
si pose come garante di questo processo riformatore, allargando il suo controllo anche alla sede romana. Nel
1046 Enrico scese per la prima volta in Italia per accogliere la richiesta d’aiuto della Chiesa in conflitto riguardo
l’ascesa al soglio petrino. In competizione c’erano 3 pretendenti e l’intervento del sovrano fu accolto molto
positivamente dai riformatori.
La contesa fu immediatamente risolta da Enrico
Pontefici nominati da Erico III
semplicemente con l’eliminazione dei tre
pretendenti e procedendo con la nomina diretta • Clemente II (1046 - 1047)
di un quarto nome, Clemente II. In seguito questa
• Damaso II (1048)
divenne una consuetudine per l’elezione dei papi
• Leone IX (1049 - 1054)
successivi.
• Vittore II (1055 - 1057)
La sacralità del compito ecclesiastico era
talmente importante che la compravendita delle
cariche fu accostata al peccato di Simonia, ossia la volontà di comprare o vendere cose sacre con beni materiali
che andava duramente condannata perché cercava di parametrare con cose umane dei valori divini. Oltre che
puramente ideologica, questa questione aveva anche risvolti politici molti importanti dato che la vendita delle
cariche era una pratica molto comune: i Vescovi provenivano tutti dall’alta aristocrazia e condividevano
responsabilità di governo con i pubblici ufficiali, avendo quindi così incarichi pubblici. Per questo motivo si
conformarono ad un sistema di scambi clientelari. In questo modo l’acquisto di una carica diventava un
STORIA MEDIEVALE LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO
DELLE POPOLAZIONI FRA XI E XIII SECOLO
47
ringraziamento nei confronti di chi assegnava, un investimento per chi veniva eletto. Tutta la Chiesa si fondava
su questo sistema clientelare, quindi fu molto difficile per i vescovi accettare questi cambiamenti, e fu
altrettanto difficile per i riformatori trasformare queste pratiche ormai di uso comune in un’eresia.
Altrettanto complessa fu la questione del celibato del clero. Per un certo periodo i matrimoni dei sacerdoti
sono stati tollerati nel momento in cui lo stesso fosse stato celebrato prima di aver preso gli ordini; oltre ai
matrimoni, era molto diffusa la pratica del concubinato, ossia la semplice convivenza che spesso generava figli
che riuscivano ad ottenere cariche ecclesiastiche molto facilmente.
Contro queste pratiche, ed in particolar modo contro la simonia, la reazione imperiale fu molto dura con una
ferma condanna nel concilio di Pavia del 1046 e soprattutto nel concilio di Reims del 1049 in cui i toni si
scaldarono molto fino ad arrivare alla deposizione di molti vescovi corrotti.
Anche i laici furono coinvolti in questi scontri; in particolare Milano fu teatro di un duro scontro tra i riformatori,
detti patarini, e il clero locale: la contestazione partì ad opera di Arialdo, chierico del clero minore, che riuscì a
sollevare il popolo contro i preti sposati o simoniaci, chiedendo l’annullamento dei sacramenti da questi
imposti controllando così la chiesa milanese per decenni. L’eccessivo radicalismo dei riformatori, però finì col
far perdere l’appoggio della Chiesa di Roma la quale non riteneva possibile che un valore importante come il
sacramento potesse essere macchiato dalla cattiva condotta di un uomo, quindi il patarismo fu semplicemente
condannato come eresia.
Questo episodio generò un grave precedente che la Chiesa non poteva tollerare: l’iniziativa dei fedeli, anche
se mossa da ottime intenzioni condivisibili, limitava l’autonomia del papato che invece doveva essere superiore
ed indipendente da qualsiasi cosa: questo rafforzamento creò molte tensioni sia all’esterno, con il grande
scisma dalla chiesa orientale, e all’interno con la spinosa questione delle elezioni per la successione papale.
Il Grande Scisma della chiesa risale al 1053 in occasione di una diatriba legata all’utilizzo del pane azzimo
durante l’eucarestia. Questo pretesto scatenò una reazione molto dura da parte del pontefice Leone IX che
inviò due cardinali in ambasciata a Costantinopoli per sottolineare l’infallibilità della Chiesa di Roma: tutte le
altre chiese erano considerate semplici serve del pontefice romano, mentre Costantinopoli si considerava
assoggettata solo a Cristo, non a Pietro di cui il papa era il naturale successore. L’ambasciata si concluse con la
scomunica del patriarca di Costantinopoli, che a sua volta scomunicò il papa, causando così la grande scissione
che perdura ancora oggi.
Pochi anni dopo il grande scisma, si aprì la questione relativa all’elezione di un nuovo pontefice: i papi tedeschi
erano protetti dalla forza di Enrico III, ma la Chiesa nella sua interezza era ancora molto instabile a causa della
mancanza di regole certe e definite. Spicca in questa situazione la figura di Ildebrando di Soana, arcidiacono
sostenitore del rinnovamento della Chiesa che aveva raggiunto un tale livello di prestigio da potersi permettere
di imporre la figura di Niccolò II come nuovo pontefice. Fu proprio Niccolò nel 1059 a presentarsi al concilio di
Roma per presentare un nuovo sistema elettivo che limitava il diritto di voto ai soli cardinali – vescovi, togliendo
di fatto all’Imperatore ogni forma di potere decisionale. Alla sua morte il nuovo pontefice fu proprio
Ildebrando, col nome di Gregorio VII
5
Mancato rispetto del celibato da parte dei sacerdoti
STORIA MEDIEVALE LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO
DELLE POPOLAZIONI FRA XI E XIII SECOLO
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furono veramente molte, in particolare in Germania dove l’arcivescovo di Brema impedì addirittura la
convocazione di un Concilio.
Durante il concilio di Erfurt, del 1074, il clero tedesco non solo non accolse l’indirizzo del papa riformatore, ma
lo accusò di eresia: oggetto implicito della contesa era ovviamente l’ampiezza del potere che il papa aveva
rivendicato dato che il matrimonio dei sacerdoti era da sempre tollerato, e aderire alle riforme del pontefice
significava sottomettere l’autonomia delle chiese episcopali al nuovo modello gerarchico imposto da Roma.
La reazione di Gregorio VII colpì direttamente il clero ribelle colpendolo dov’era più debole, ossia
nell’investitura laica dei vescovi, tutte quelle nomine che provenivano dal laico re piuttosto che da un uomo
consacrato: era infatti consuetudine, sotto Enrico III, che fosse l’Imperatore a consegnare l’anello ed il
pastorale al vescovo eletto che a sua volta gli giurava fedeltà. Gregorio si scagliò ferocemente contro questa
usanza, attaccandola come aveva fatto contro la simonia dando quindi un nuovo significato all’investitura
stessa: trattandosi di una questione sacra, i laici non potevano prendere alcun tipo di decisione in merito quindi
l’investitura dei vescovi tedeschi doveva essere considerata un atto contrario allo statuto dei santi padri che
metteva in serio pericolo l’esistenza stessa della Santa Sede. Sia nel concilio di Roma del 1075 che nei successivi
fu quindi sancito che “nessun prete o chierico riceveva in alcun modo una chiesa dalle mani dell’Imperatore o
di un laico, gratuitamente o in cambio di denaro”. Questa iniziativa metteva nella meni della Chiesa un potere
senza precedenti, cui fa eco il documento Dictatus papae: 27 tesi che elencavano i poteri riservati solo al papa.
Dictatus papae
Di tutte le 27 tesi, una in particolare sembra essere stata voluta proprio da Gregorio, ossia la XII la quale afferma
che solo al papa è riservato il diritto di deporre gli Imperatori, provvedimento che di fatto slega i laici dagli
obblighi di fedeltà nei confronti del sovrano.
Questa presa di posizione preoccupò molto Enrico che, per correre ai ripari, si schierò immediatamente dalla
parte dei Vescovi tedeschi che erano stati umiliati dalla politica romana; nel corso di una Dieta tenutasi a
Worms nel 1076 si coalizzarono col fine di destituire il Papa. La risposta di Gregorio fu rapida ed incredibilmente
dura: pochi giorni dopo arrivò la scomunica per il Re e per tutti i Vescovi suoi alleati, liberando in questo modo
tutti i sudditi dall’obbligo di fedeltà. Vedendo il proprio trono in pericolo, Enrico decise di andare incontro al
Papa che nel frattempo si era messo in viaggio verso la Germania: nel 1077 si incontrarono a Canossa dove,
dopo giorni di trattative, il Papa decise di assolvere il Re.
Questo episodio è molto importante perché segna la prova dell’avvenuto sconvolgimento dei pesi politici: il
figlio dell’Imperatore che nominava i Papi si trovava ora a dover attendere, come un penitente, l’udienza di un
Papa di fronte ad una porta sbarrata di un proprio castello.
Questo accordo durò comunque molto poco e, in brevissimo tempo il Papa emise una nuova scomunica per il
re e i Vescovi che a loro volta elessero l’Antipapa Clemente III nel 1080. Il successore del politicamente battuto
Gregorio, Urbano II (1088 – 1099) riprese le trattative col Re, favorì il monachesimo benedettino e soprattutto
convocò la Prima Crociata in Terra Santa.
Per arrivare ad un compromesso definitivo bisognerà attendere il 1122, durante il Concordato di Worms tenuto
tra il re Enrico V ed il Papa Callisto II; per effetto di questo accordo il sovrano rinuncia alla simbolica investitura
ecclesiastica, ma il Vescovo, di contro, è tenuto a prestare giuramento di fedeltà prima di poter ottenere
privilegi e proprietà. Questo accordo verrà ulteriormente sottoscritto e ratificato nel 1123 durante il Concilio
Laterano I.
Per arrivare ad un compromesso definitivo bisognerà attendere il 1122, durante il Concordato di Worms tenuto
tra il re Enrico V ed il Papa Callisto II; per effetto di questo accordo il sovrano rinuncia alla simbolica investitura
ecclesiastica, ma il Vescovo, di contro, è tenuto a prestare giuramento di fedeltà prima di poter ottenere
privilegi e proprietà. Questo accordo verrà ulteriormente sottoscritto e ratificato nel 1123 durante il Concilio
Laterano I.
Da sempre, infatti, i papi si sono arrogati il diritto di decidere nelle questioni più ostiche, quindi tutte le
questioni furono ridistribuite all’interno della gerarchia ecclesiastica sulla base del livello di complessità: le
materie di base erano di competenza del clero parrocchiale, altre erano attribuite al vescovo, mentre solo il
papa poteva decidere quando l’imputato era lo stesso vescovo.
Alla fine del XII secolo si affermò anche una nuova procedura rivolta alla risoluzione delle questioni legate al
clero: l’inchiesta d’ufficio, Inquisitio: l’inchiesta partiva dalla Fama, ossia una voce collettiva riguardante un
fatto causato dal comportamento errato di un uomo di chiesa. Dato che questi casi rischiavano di allontanare
i fedeli dalla Chiesa, gli ecclesiastici venivano prontamente giudicati ed eventualmente puniti: la novità assoluta
sta nel fatto che è proprio la Fama il motore dell’inchiesta, infatti il punto non era più l’accusare e perseguire
una determinata persona, ma valutare se e quanto il suo comportamento potesse danneggiare l’istituzione
Chiesa. Questo nuovo sistema permise un controllo capillare che raggiunse il suo apice sotto Innocenzo III il
quale fece rimuovere un numero impressionante di Vescovi e sacerdoti.
Questa nuova impostazione finì col cambiare anche il titolo del papa che, da Vicario di Pietro, divenne presto
Vicario di Cristo in modo da sottolineare più marcatamente la sacralità del suo operato; per questo motivo
accanto a lui si sviluppò un sacro collegio formato da cardinali, affiancato dalla curia che gestiva gli affari di
governo e la Camera Apostolica che invece gestiva le ricche finanze della Chiesa, frutto delle decime versate
da tutte le diocesi.
Nelle grandi città episcopali si cercò di definire le regole disciplinari del clero secondo le regole già stabilite in
epoca carolingia: tornarono quindi all’opera i canonici, ossia tutti quei chierici che prestavano servizio presso
la cattedrale: si iniziarono a diffondere così le prime canoniche, ossia quegli edifici in cui i chierici potevano
vivere una vita in comune, caratterizzata da penitenza, rinunce e povertà nell’adempimento dei loro doveri
che generalmente non andavano oltre i classici compiti pastorali: celebrare messe, predicare e intessere la rete
di relazioni con la popolazione urbana.
Questo risveglio della religione coinvolse anche i monasteri che nell’XI e XII secolo si rinnovarono con la nascita
di nuovi ordini molto importanti: i cistercensi e i certosini.
I cistercensi presero il nome dal luogo in cui fu fondato
il loro primo monastero, Citeaux; il loro abate, Roberto,
predicava un ascetismo basato sul ritorno alle origini,
cioè da preghiere e duro lavoro come penitenza e
disciplina dell’anima. L’esperimento fu appoggiato dal
vescovo di Lione, Ugo di Die¸ e addirittura papa
Pasquale II guardò con attenzione questa nuova realtà,
mettendola sotto la sua ala protettrice.
Il 1108 fu un anno cruciale con la nomina ad abate di
Stefano Harding che diede molta stabilità con la
stesura della Carta di carità, una nuova regola dell’ordine che fu approvata da papa Callisto II.
La fama e l’importanza dei cistercensi fu tale che nel 1150 si decise che una volta all’anno a Citeaux si dovesse
tenere un capitolo generale che prendesse decisioni relative agli affari monastici valide per tutti i monasteri
che nel 1153 erano già 343; questa esperienza fu determinante anche in campo politico dato che alcuni abati
divennero figure di riferimento per tutto il mondo cristiano: è il caso di Bernardo di Chiaravalle che fu molto
attivo in tutti i campi, dalla polemica con Cluny e i vecchi ordini monastici fino alla promozione di ordini militari
cavallereschi come i Templari. L’attività politica di Bernardo tendeva ad affermare una chiesa combattente che
difendesse una fede senza compromessi.
Nel 1084 si sviluppò anche un’altra corrente monastica, detta dei Certosini, che cercavano un isolamento dal
mondo: al suo interno il monastero era formato da molte celle isolate che affacciavano su un giardino chiuso
molto piccolo. Caratteristica dei certosini fu quella di assumere una posizione che fondesse l’eremitismo dei
STORIA MEDIEVALE LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO
DELLE POPOLAZIONI FRA XI E XIII SECOLO
51
padri del V secolo e il cenobitismo comune: per la maggior parte del tempo il monaco era chiuso nella sua cella
dove pregava e consumava i suoi pasti in solitudine; non erano previste attività manuali né contatti con
l’esterno, comprese le preghiere a favore dei laici che non erano permesse perché il monaco doveva pensare
solo ad elevare la propria anima. Lo stesso distacco era previsto anche relativamente alla cose materiali: tutto
doveva essere limitato nel numero, a partire dal numero stesso dei monaci, non più di 12, quello degli animali
presenti nel monastero e il numero di oggetti posseduti da ogni singolo abate.
Anche per i certosini si pose il problema di regolare il loro stile di vita: nel 1127 Guigo I mise insieme una serie di
regolamenti di vecchi ordini monastici riadattati alle nuove esigenze dando alla raccolta il nome di
Consuetudini: anche i certosini si affidarono al capitolo generale per definire le regole di vita da seguire.
L’inserimento di questo nuovo ordine non fu facile e caratterizzato da numerosi scontri violenti a causa della
loro esigenza di zone desertiche e la loro particolare interpretazione di questo concetto: con Deserto i certosini
indicavano uno spazio ideale delimitato da confini concreti entro i quali capitavano spesso proprietà di altri;
nessuno poteva più accedere oltre questi limiti dato che i monaci pretendevano l’isolamento, sostenuti nelle
loro pretese assurde dai vescovi di riferimento.
Sacramenti
È Laico chiunque non sia stato consacrato a Dio, quindi tutti quei fedeli non insigniti del sacerdozio; dovevano
ascoltare la parola di Dio tramite i chierici, ma non potevano cercare da soli le risposte che, non essendo
illuminati, non potevano trovare in nessun modo. Questa separazione tra due mondi così lontani è ben
descritta nel Decreto di Graziano: viene qui ribadita la differenza tra la natura regale dei chierici, liberi dai legami
mondani, e quella popolare dei laici; nessun chierico poteva quindi essere accusato di alcunché da un laico dato
che solo un altro chierico, di rango uguale o superiore, poteva testimoniare contro di loro.
La rivalutazione del ruolo sacerdotale, inevitabilmente, finì col rivalutare anche
l’importanza dei sacramenti, giacché solo questi potevano impartirli dato che Sacramenti
erano l’unico modo per inquadrare la vita del laico in un’aurea di sacralità. Battesimo
Il Battesimo è il rito di entrata del fedele nella vita cristiana, mentre l’Eucarestia Eucarestia
divenne presto il nucleo centrale della messa: solo attraverso il miracolo Confessione
eucaristico il pane ed il vino si trasformavano nel vero corpo e sangue di Cristo, Matrimonio
e solo questo miracolo ha il potere di rinnovare la grazia nel fedele, Estrema unzione
permettendogli così di continuare il suo personale percorso nella Fede.
Verso la metà del XII secolo divenne molto importante anche la Confessione, necessaria perché per
intraprendere un percorso di penitenza era necessario che il fedele riconoscesse il peccato e fosse disposto a
confessarlo al prete, dimostrando così reale rammarico.
Il Matrimonio permise al clero di stringere ulteriormente il controllo sulla vita sociale e privata dei fedeli, i loro
rapporti sessuali che comunque continuarono ad essere considerato un peccato se non finalizzati alla
procreazione e soprattutto le strategie di alleanza tra i signori, che comunque non potevano in nessun modo
contrastare il libero consenso degli sposi.
L’ultimo Sacramento, l’Estrema unzione, garantiva l’ingresso nel mondo ultraterreno, rivelandosi in realtà una
potentissima arma di controllo e tenuta della società perché, aprendo un canale di comunicazione tra vivi e
morti, portò all’invenzione del Purgatorio con le relative offerte fatte al clero affinché pregassero per i defunti
in modo da velocizzarne l’ingresso in Paradiso.
Eresie
Ovviamente questa pretesa di supremazia doveva fare i conti con le numerose varianti religiose esistenti:
nacque così il concetto di Eresia, che convogliava in sé tutte quelle teorie che negavano la funzione storica,
quella istituzionale e i poteri della Chiesa: era quindi considerata Eretica qualsiasi
Funzioni
della
teoria negasse la missione divina della Chiesa.
Chiesa Storica - Guida per
la salvezza dei
fedeli
Dagli atti processuali, è evidente che ogni teoria eretica non nasceva mai dalle reali
parole pronunciate dai condannati, quanto dagli schemi culturali di chi indagava a
Istituzionale -
Apostolica
centrata sul
riguardo. Gli eretici erano raggruppati in diversi movimenti che assumevano nomi
primato romano
diversi, a seconda di cosa contestavano: i pauperisti, gli evangelici, i manichei o i
Poteri - I negatori di Cristo; a giudizio degli inquisitori, tutti avevano in comune la follia e la
Sacramenti
concessi da Dio perversione sessuale.
Verso la metà dell’XI secolo si diffusero molte teorie di origine pauperista che
contestavano tutte le strutture ecclesiastiche in favore di un ritorno al cristianesimo delle origini, molti
negavano il battesimo e la Dottrina della Chiesa, mentre Agostino d’Ippona si schierò in prima persona contro
le dottrine dei Manichei 6.
Tutte queste diverse eresie dimostrano come nel periodo della riforma la religione cristiana fosse
accompagnata, in tutta Europa, da uno spirito di ispirazione monastica che esaltava la povertà, la castità e il
ritorno ad un modello di vita evangelico, sottolineando nel contempo la pericolosità di queste ricerche fatte in
autonomia: tutti questi movimenti, quindi, attaccavano la Chiesa e la sua funzione salvatrice, non la dottrina in
sé. Tutte le eresie del XII secolo concordano su questo, lo schierarsi come veri cristiani rispetto alla Chiesa
romana, ormai troppo potente e completamente corrotta.
In particolar modo, fu considerato eretico chiunque si rifiutasse di obbedire ai dettami del clero, facendo scelte
di vita religiosa considerate vietate. In tal senso è particolare l’esperienza di Valdo, mercante al servizio del
vescovo di Lione che aveva fondato una propria comunità di chiara ispirazione pauperista in cui predicava il
Vangelo: ne ottenne il riconoscimento da papa Alessandro III nel 1179, ma col divieto assoluto di predicare. Già
nel 1184, avendo ripetutamente disobbedito a questo precetto, fu scomunicato e bollato come eretico.
Molto diversa è invece l’esperienza della setta dei catari, di natura anticristiana, che riconosceva in qualsiasi
cosa il dualismo tra bene e male in eterno conflitto: la vita terrena diventava quindi una continua purificazione
del corpo, fino al momento del suicidio assistito. La natura di Antichiesa propria dei Catari era evidente proprio
per via della sua organizzazione, si trovavano infatti sacerdoti, vescovi catari e addirittura un loro papa. Il loro
messaggio ebbe particolare successo nei grandi centri urbani dove i lavoratori contestavano i dettami della
Chiesa più facilmente.
La repressione delle eresie fu molto violenta e diffusa, tanto che colpì qualche migliaio di persone;
gradualmente questa forma di persecuzione andò anche ad inasprirsi: in un primo momento tutte le eresie
erano equiparate e punite nello stesso modo giacché il vero reato eretico era la disobbedienza, ossia il voler
continuare a predicare nonostante i divieti.
Il processo all’eresia non aveva mai bisogno di prove dato che era sufficiente il semplice sospetto,
generalmente era il vescovo a trovare e accusare chi si macchiava di non conformismo religioso, lasciando così
un margine incredibilmente ampio in cui far ricadere qualsiasi comportamento non rispecchiasse la
consuetudine; erano però le autorità laiche a doversi occupare delle condanne.
Nel 1199 l’eresia viene paragonata al reato di lesa maestà dal pontefice, che nel diritto romano era punito con
la morte: l’eretico doveva essere spogliato di ogni bene, isolato e scomunicato, andando così incontro ad una
morte civile che non faceva altro che rendere appetibile la morte fisica.
6
Opinioni religiose che prevedono l’esistenza di un qualsiasi dualismo
STORIA MEDIEVALE LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO
DELLE POPOLAZIONI FRA XI E XIII SECOLO
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Le spedizioni in Terrasanta
Il modello di ricompensa spirituale adottato per la liberazione della Spagna fu ripreso nel 1095 da Urbano II per
la difesa dei pellegrini che partivano per la Terrasanta: il pellegrinaggio intrapreso come forma di penitenza,
strumento di salvezza, ebbe uno straordinario successo. Accanto ai pellegrinaggi, era presente un floridissimo
commercio di reliquie e oggetti sacri destinati ad arricchire le chiese e le cattedrali europee, la difesa questo
mercato fu un importante pretesto per legittimare l’azione aristocratica, in continua ricerca di preminenze
locali.
Polo di attrazione religiosa indiscusso fu Gerusalemme, questa destinazione interessava tanto all’aristocrazia
quanto ai fedeli: principi e duchi si recavano in Terrasanta in pellegrinaggio ponendosi a difesa di colori i quali
intraprendevano il cammino che era molto pericoloso perché il tragitto era ricco di musulmani ostili.
L’appello lanciato da Urbano II durante il Concilio di Clermont offriva l’indulgenza plenaria a chiunque fosse
partito, dando così origine alla Prima Crociata.
La risposta all’appello del papa fu unanime, quindi numerose spedizioni si prepararono subito per la partenza:
una prima spedizione, composta da violenti laici volontari e disorganizzati, si disperse praticamente subito
dopo aver colpito solo piccole tribù ebree; fu seguita subito da una seconda, militarmente molto più
organizzata, guidata da soldati normanni e francesi che riuscì facilmente ad arrivare fino a Gerusalemme.
Questa seconda spedizione era composta da 4 armate differenti che si mossero in totale autonomia:
→ Lorenesi: guidati da Goffredo da Buglione
→ Francia meridionale: guidati dal Conte di Tolosa
→ Fedeli del duca Roberto di Normandia
→ Puglia: Contingenti dei Normanni d’Italia del Sud
guidati da Boemondo da Taranto
Loro compito primario era la liberazione dell’accesso alle
vie di pellegrinaggio, solo in seguito la presa di
Gerusalemme.
I 4 eserciti si incontrarono a Costantinopoli, e da lì, spinti dall’Imperatore di Bisanzio, si unirono per proseguire
verso Gerusalemme riuscendo nel tragitto a prendere molto facilmente Nicea (1097) ed Antiochia (1098); dato
che non tutti erano intenzionati ad arrivare fino alla capitale della Palestina, qui gli eserciti si divisero e alcuni
Lorenesi seguirono Baldovino, fratello di Goffredo, liberarono Edessa dove organizzarono una dominazione
stabile.
Giunti alle porte di Gerusalemme, gli eserciti rimasti organizzarono un assedio durato 5 settimane, e il 15 luglio
1099 riuscirono ad entrare in città: il 25 dicembre dello stesso anno Baldovino si fece incoronare Re e tutte le
città liberate si organizzarono in principati autonomi, completamente slegati dai regni europei, che richiesero
una presenza stabile degli eserciti cristiani che durò almeno due secoli.
Il declino delle conquiste iniziò in realtà pochi decenni dopo la presa di Gerusalemme, tanto che nel 1144 Edessa
cadde e re Luigi VII di Francia organizzò una Seconda Crociata col concorso dell’Imperatore Corrado III che
però non aveva uno scopo ben definito, e quindi finì con una veloce disfatta europea.
La disfatta totale, però, ci fu in occasione della Terza Crociata con la sconfitta
subita dagli europei ad Hattin nel 1187 per mano del feroce Saladino, visir
sunnita che dominava un vasto territorio tra Siria ed Egitto, che in seguito a
questa vittoria poté riprendere Gerusalemme e tutti gli stati cristiani nati sulle
coste palestinesi. La sconfitta portò ad una nuova spedizione che però ebbe
esiti disastrosi, costando anche la vita all’Imperatore Federico I Barbarossa che
annegò nel tentativo di guadare un fiume.
L’apertura alla guerra santa da parte della chiesa permise la costituzione di
nuovi ordini monastici, di natura prettamente militare, il cui scopo era quello di
difendere i pellegrini in viaggio verso Gerusalemme: i primi furono i Cavalieri
dell’ordine Ospedaliero di San Giovanni che furono riconosciuti dal papa nel
1112, seguirono presto i Cavalieri Templari che nacquero direttamente in
Terrasanta nel 1119. La natura dei templari era decisamente più militare, ed inizialmente solo 8 cavalieri
giurarono di fronte al patriarca di Gerusalemme di difendere i pellegrini, rispettare i voti di povertà, castità ed
obbedienza pur continuando l’arte della guerra: l’ordine ebbe subito uno straordinario successo, tanto che in
pochi anni crebbero centinaia di case dei templari in tutte le città europee che fecero di quest’ordine consiglieri
e banchieri privati di molti re europei. Proprio questa fama e ricchezza fu la causa della loro caduta, causata
dal re di Francia Filippo il bello.
La forza militare ora era a tutti gli effetti diventata un elemento di stabilizzazione e di difesa della fede: la
Chiesa diede all’attività bellica la dignità di forma di penitenza e salvezza per i laici, sacralizzando una guerra
condotta sotto il segno della Croce.
andava ad arricchire le fila militare del principe, il quale sfruttava l’evento per mostrare a tutti la propria forza
e presentare il nuovo alleato.
L’addobbamento era solo il primo passo, cui seguiva la dimostrazione del valore e della forza personale nei
numerosi tornei.
Per quanto si cercasse di moralizzare l’attività bellica, le guerre medievali in realtà non avevano assolutamente
nulla di eroico dato che generalmente si basavano su assedi più o meno lunghi dei castelli e attività di
saccheggio di tutte le zone ad esso circostanti, in pratica l’esatto contrario rispetto alla definizione di difesa dei
deboli. Le grandi battaglie erano estremamente pericolose, ma era sempre più frequente l’usanza di
risparmiare quel nemico che si era dimostrato valoroso sul campo, generalmente per chiedere un riscatto in
seguito. Gli scontri aperti erano comunque molto limitati, e sempre sottoposti a regole condivise dalle parti,
per questo motivo finirono col limitarsi sempre più ad una semplice rappresentazione da effettuare in
occasioni pubbliche: i tornei che si diffusero molto velocemente ed ebbero un successo straordinario perché
si prestava perfettamente a diverse funzioni:
→ Simbolico: permetteva ai cavalieri di mostrare il proprio valore personale
→ Sociale: unico vero punto d’incontro tra cavalieri di rango differente
→ Politico: l’organizzatore aveva modo di mostrare a tutti le proprie capacità di coordinare le forze
militari sul proprio territorio
Secondo molti, quindi, l’affermazione della cavalleria rappresenta l’affermazione di un nuovo ceto sociale
composto da guerrieri, per lo più di umili origini, che sono riusciti ad
affermarsi anche se al suo interno racchiudeva gruppi sociali molto
Grandi
variegati tra loro. Questo nuovo ceto era comunque senza dubbio
aristocratici
molto numeroso e, dato che era composto da gente che comunque
Vassalli minori,
apparteneva alla stessa professione, poteva permettere a chiunque
scudieri
di accedere almeno alla bassa aristocrazia, senza però mai
cancellare le differenze di ricchezza o di prestigio sociale, anche se
è da escludere nel modo più assoluto che l’addobbamento garantisse l’ingresso automatico nella nobiltà.
Il dominio signorile
Un potere senza delega: terre, castelli, clientele
Protagonisti di questo cambiamento furono le dinastie e la Chiesa, anche se ogni signoria ha avuto una storia
indipendente, è evidente come tutte abbiamo in comune gli stessi elementi:
→ Terre
→ Castelli
→ Rapporti clientelari
Terre
Essere ricchi significava possedere molte terre.
Questo dato lo possiamo ricostruire sulla base di tutta la documentazione trovata che, nella maggior parte dei
casi, riguarda transazioni latifondistiche i cui documenti erano conservati con cura particolare per evitare di
mettere in pericolo i vari patrimoni.
L’importanza dei terreni era evidente già in epoca carolingia dato che fin da allora il potere regio attuò una
vera e propria polarizzazione attorno ai grandi latifondisti; nel momento in cui il potere regio venne a mancare,
la terra assunse un valore ancora maggiore dato che la Chiesa e le varie dinastie poterono trasformare la loro
ricchezza in potere signorile: in una società in cui la giustizia del re non era più disponibile tutti i contadini
cercarono protezione presso l’autorità più alta a loro disposizione, ossia il proprietario terriero.
Questo rapporto sostanzialmente economico divenne presto una completa sottomissione che si accentuò in
modo particolare nel momento in cui i signori iniziarono a costruire castelli riempiendoli di clientele armate.
Castelli
A differenza di quanto si possa pensare, la causa che portò alla costruzione di castelli non furono le frequenti
incursioni ungare o saracene; è piuttosto conveniente approfondire la logica politica locale in modo da vedere
in un castello quel passaggio obbligato che portò la potenza economica del signore a trasformarsi in un vero
e proprio dominio sulla società circostante.
Sono stati rinvenuti numerosissimi diplomi regi, risalenti al X secolo, che autorizzano la costruzione di chiese o
castelli, ritenuti necessari per proteggere gli abitanti dagli attacchi pagani: questo dato è importantissimo
perché dimostra che il re ammetteva di non essere in grado di proteggere tutto il suo territorio, confermando
nel contempo una notevole presenza di violenza diffusa non derivante solo da incursioni esterne, ma anche da
i cattivi cristiani.
Dato che il regno non era in grado di proteggere i propri sudditi, questi erano costretti a cercare protezione
altrove: se nelle città generalmente ci si stringeva attorno al vescovo, nelle campagne i possidenti avevano
tutto l’interesse a costituire un piccolo esercito ed un sistema di fortificazioni che rispondesse a queste
esigenze. In questo modo, nell’XI secolo, attorno ai castelli si sviluppò un vero e proprio fenomeno di
sottomissione della popolazione circostante necessario per accedere alla protezione che questi garantivano
ai:
→ Signori
→ Familia (parenti e servitori)
→ Vassalli che affiancavano il signore nelle sue spedizioni militari
→ Contadini che gestivano i terreni del signore
→ Tutti i vicini che offrivano Corvée in cambio di protezione
Clientele armate
La forza dei castelli era la capacità di offrire protezione, e questa era ovviamente direttamente proporzionale
allo spiegamento di forze che il signore era in grado di schierare in campo. Diventa quindi centrale la figura del
cavaliere che doveva esercitare la propria forza in due ambiti diversi tra loro:
→ Combattere i vicini che minacciavano i beni del signore
→ Minacciare i sudditi del signore per garantire lavoro e il pagamento di quanto dovuto
Canale preferenziale per ottenere
questo risultato era ovviamente il Coesione
circuito del vassallaggio, un
ulteriore conseguenza •Il legame vassallatico andava al di là della semplice
funzionaità militare: vincolava il vassallo nei confronti del
dell’indebolimento del potere regio signore, il signore nei confronti del vassallo e tutti i vassalli
è stato infatti il potenziamento dei del signore tra di loro
legami vassallatici che rappresenta
ora la principale forma di coesione Gerarchizzata
gerarchizzata all’interno
•Il signore era sempre superiore: il vassallaggio non perse mai
dell’aristocrazia militare. il suo senso più profondo, ossia che il vassallo ammetteva la
Inquadrato in questo senso, il sua inferiorità rispetto al suo signore
sistema vassallatico perde la sua
classica impostazione a forma piramidale, col signore al vertice e tutti i vassalli a seguire, in ordine di
importanza. Si fa piuttosto strada l’idea di una rete molto confusa in cui non sono mai messi in discussione i
caratteri gerarchizzanti del rapporto, ma in cui è evidente la marginalità della figura del re affiancata
all’importanza della coesione, sia verticale che orizzontale, di tutti i vassalli.
interessi in ogni villaggio: queste due forme diverse di potere coesistevano tranquillamente, portando a forme
di convivenza che non potevano seguire una regola predefinita dato che erano influenzate dalle realtà
mutevoli dei singoli villaggi. In questo contesto, quindi, le tasse erano distribuite tra i signori in modo
proporzionale. Tutti questi poteri, poi, erano parte integrante dei singoli patrimoni signorili, e come tali erano
inquadrati nell’asse ereditario: nasce così una vera e propria compravendita di diritti giurisdizionali come
l’accesso ad una determinata imposta, facendo così in modo che ogni contadino era costretto a pagare diverse
imposte a diversi signori.
Documenti scritti che testimoniano questa svolta sono le Franchigie, ossia atti in cui entrambe le parti (signori
e contadini) mettevano per iscritto i relativi diritti e doveri: un esempio poteva essere un atto in cui un signore
alleggeriva il carico fiscale sui contadini in cambio del loro impegno nella ricostruzione del castello.
Questi contratti erano vincolati a garanzie e penali¸ da attuare nel caso in cui una delle due parte fosse venuta
meno ai propri doveri, anche se ovviamente sono direttamente proporzionali all’importanza dei soggetti, ad
esempio la penale a favore di un contadino poteva arrivare a poche lire, che superavano il centinaio nel caso
in cui si parlasse di un signore. Questa disparità è comunque sempre convissuta con la reciprocità degli impegni
presi: ogni atto partiva dalla reciprocità del bisogno concordato, come ad esempio la protezione, il castello era
infatti un bisogno assoluto del signore, ma era anche ciò che i contadini volevano da lui. Molto importanti
erano anche le clausole iniziali, ossia tutte le garanzie relative alla giustizia e al possesso delle terre: per i
contadini era di vitale importanza avere la certezza di avere sempre a che fare con un potere signorile che
fosse regolato e limitato. Per concludere è importante citare anche le concessioni dei beni comuni, anche se si
tratta di un campo che ha conservato ad oggi pochissima documentazione scritta.
Fattori politici: l’impulso dei signori alla promozione dei centri urbani
In quelle realtà in cui questo riconoscimento fu ottenuto con semplicità, ad esempio nei territori controllati dai
Conti di Fiandra o in quelli dei Conti di Alsazia, gli abitanti ottennero quasi subito la proprietà del suolo su cui
sorgevano le loro abitazioni: ottenuta la proprietà divennero veri e propri cittadini indipendenti dalle tasse
signorili sul suolo e, soprattutto, potevano lasciare le abitazioni in eredità, in modo da mantenere questo status
anche nelle generazioni successive.
Un approccio simile lo si trova anche in Germania, nelle città sul Reno o sulla Mosa; qui le popolazioni vennero
stabilizzate su iniziativa dei conti che assegnarono ai cittadini porzioni dei loro territori per permettere loro di
costruire nuove abitazioni in cambio di un censo annuale pari alla simbolica cifra di un soldo.
Anche il duca di Sassonia, Enrico il Leone¸ promosse la fondazione di città importantissime quali Monaco,
Hannover e soprattutto Lubecca che si distinse per le sue particolari libertà, necessarie a favorire l’incredibile
sviluppo commerciale che portò ingenti ricchezze agli abitanti e al duca stesso.
Tutte queste concessioni erano parte integrante di un processo di rafforzamento del potere pubblico locale:
l’urbanizzazione portava al popolamento di aree prima desolate, i principi che la favorirono, infatti, furono i
primi a realizzare uno Stato accentrato con una serie di ufficiali minori nelle varie città con la presenza di corti
finanziarie e giudiziarie.
In molti altri casi, però, questo sviluppo fu molto più difficile: in molte aree della Francia la nascita di questi
Comuni fu ostacolata dal signore in tutti i modi possibili, spesso anche con l’uso della violenza, come nel caso
di Le Mans dove la prima rivolta degli abitanti del 1070 fu sedata con l’esercito dal Vescovo, o a Cambrai dove
gli abitanti cacciarono la nobiltà nel 1076 per poi perderla dopo un assedio nel 1111.
Sia in caso di collaborazione da parte del signore che in caso di conflitti, comunque, le città ottennero una vera
e propria forma istituzionale solo dopo la concessione di un riconoscimento da parte del signore del luogo,
infatti sia i giuramenti che certificavano la nascita di un comune, sia la concessione di franchigie da parte del
signore passavano da questo protocollo.
Nella Francia meridionale l’autonomia raggiunta dai comuni era generalmente maggiore, in quasi tutte le città
della costa mediterranea si elessero magistrati, detti consoli, con funzioni molto simili a quelle dei corrispettivi
italiani del II secolo; si occupavano infatti di giustizia civile e penale, senza però poter interferire in nessun
modo sui domini e sui diritti del signore. Al contrario, invece, nelle città del nord continuano ad essere rette da
un rappresentante del signore affiancato da un consiglio cittadino che poteva contare anche un centinaio di
membri: in entrambi i casi, comunque, le cariche erano tendenzialmente riservati all’aristocrazia militare,
estromettendo di fatto i borghesi dall’attività politica.
È evidente che questo sistema portava le città ad avere una doppia natura, tanto che anche gli apparati
istituzionali erano quasi sempre due: da un lato gli ufficiali signorili che gestivano il controllo militare e gli
interessi del signore, dall’altro i consoli che invece rappresentavano quella fascia di popolazione ammessa alla
vita politica della città. Si formò quindi un vero e proprio sistema misto in cui i cittadini chiedevano maggiore
autonomia e maggior difesa, offrendo in cambio fedeltà assoluta al signore e la garanzia di non interferire mai
nei suoi domini; di contro il signore doveva garantire queste autonomie e questi diritti, facendo attenzione a
limitare le pretese fiscali del popolo e premiando la loro fedeltà con privilegi che garantivano la libertà da loro
richiesta.
Dove questo compromesso riuscì a funzionare, lo sviluppo aumentò in modo esponenziale.
Proprio questo sviluppo, però, porta con sé un inevitabile processo di differenziazione sociale; la popolazione
urbana del XII e XIII secolo va incontro così ad una stratificazione che crea diversi gruppi di diverso tipo,
troviamo così piccola nobiltà, mercanti, nuovi ricchi che ambiscono ad entrare nella cerchia del governo
cittadino, artigiani e capi bottega e, infine, salariati che sottostanno alle pressioni dei padroni.
Queste divisioni erano poi presenti anche all’interno dei ceti che guidavano il comune dato che l’alta
aristocrazia gradualmente fu costretta ad ammettere nuove famiglie borghesi nelle posizioni di comando, in
particolare quelle che erano riuscite ad aumentare i profitti delle proprie attività commerciali, e cioè che
potevano garantire i migliori rapporti commerciali: non era importante la ricchezza, ma la capacità di
moltiplicare i profitti. Le improvvise ricchezze modificarono velocemente le antiche gerarchie consolidate,
furono quindi necessari nuovi strumenti di governo perché la semplice capacità di dialogare col signore no
nera decisamente più sufficiente.
Fu la nuova élite borghese quindi a farsi strada per tutto il XIII secolo, appropriandosi dei posti di comando e
del controllo economico delle città: per anni gli unici edifici pubblici laici furono le Halles7, molto prima della
creazione dei comuni. Il sistema cittadino non si poteva comunque definire rappresentativo perché c’era un
vero e proprio ceto artigianale non riconosciuto che ne restava esclusa: il prestigio sociale poteva essere
raggiunto solo dai maestri, possessori degli strumenti più evoluti e costosi; chiunque usasse le mani per
lavorare, maneggiando così cose sporche (sangue o pelle), macchiava la persona e veniva considerato un
infame, ossia una persona senza diritti e senza rappresentanza.
7
Sale di rappresentanza dei mercanti
STORIA MEDIEVALE LE CITTÀ NELL’EUROPA MEDIEVALE
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8
Vassallo del vassallo
STORIA MEDIEVALE I REGNI E I SISTEMI POLITICI EUROPEI TRA XI E XIII SECOLO
66
tutti i regni europei, quello inglese riuscì a sviluppare prima, e meglio, tutti gli strumenti necessari a garantire
una solida esistenza al suo dominio.
Essendo ancora il vassallo di Normandia, la prima decisione presa fu quella di nominare un suo rappresentate,
detto giustiziere, che lo sostituisse nei frequenti periodi in cui il trono era vacante: fu una novità fondamentale
perché permise al re di garantire sempre un’idea di regno unito, che fosse indipendente dalla sua. Assieme al
giustiziere, poi, introdusse anche la figura degli sceriffi che sostituirono i conti europei. Questi funzionari erano
incaricati di amministrare la giustizia e le finanze. La principale conseguenza di questa nuova spinta unitaria fu
che tutti gli abitanti inglesi divennero sudditi, anche i baroni non facevano eccezioni, e le terre loro concesse
erano vincolate ad obblighi di fedeltà militare.
Uomini
Re Baroni Arcivescovi Vescovi Abati Nobili
liberi
È in questo periodo che nasce il feudalesimo inglese, basato su una rigida gerarchia formulata in proporzione
alle terre possedute da ogni gruppo, che però non poteva avere lo stesso significato attribuito sull’Europa
continentale dato che qui era veramente difficile fare una distinzione tra le terre ottenute dal re e quelle di
proprietà dei singoli.
Per risolvere le problematiche burocratiche alimentate da questa situazione, si ricorse al Domesday book, un
vero e proprio censimento di tutti gli uomini e le terre inglesi: organizzato partendo dalle contee fino ad
arrivare ad un livello di dettaglio molto elevato come i manor, ossia l’unità base dei possedimenti contadini.
Per ognuno di questi possedimenti doveva essere indicato l’elenco completo dei beni ad esso ricollegabili
accompagnati da una stima del loro valore preso in tre momenti diversi:
1. Ai tempi di Edoardo
2. Quando fu confermato da Guglielmo
3. Ora
Il secondo successore di Guglielmo, il figlio Enrico I, cercò con insistenza di ricostruire un solido rapporto con
la popolazione contro l’arroganza dei baroni; per questo motivo promulgò una Carta delle libertà che
prometteva un ritorno alle vecchie usanze inglesi a discapito delle ingiuste imposte dai baroni: con questo
provvedimento Enrico si innalzò a difensore del Regno oppresso limitando il potere dei Baroni attraverso il
controllo delle loro successioni ereditarie.
Questo equilibrio, incredibilmente precario, era il quadro ereditato da suo nipote Stefano di Blois che dovette
anche affrontare una guerra di successione con sua madre, Matilde, figlia di Enrico.
Il regno di Enrico II fu incentrata sul tentativo di risolvere questo stato di violenza bloccando le guerre civili che
logoravano il potere regio: iniziò così il periodo più importante dell’Inghilterra dell’XII secolo per due
motivazioni principali:
→ Presero forma le istituzioni monarchiche inglesi
→ Il matrimonio con Eleonora di Aquitania unì l’Inghilterra, la Normandia e l’Aquitania in un unico
regno
Con Enrico la corte diventa il centro di controllo di tutti gli affari locali e quindi centro di raccordo tra la corona
e la comunità attraverso due sistemi principali:
→ Fisso: incentrato sulla figura del Giustiziere che diventa un vero e proprio primo ministro, delegato dal
re a rappresentarlo in sua assenza affiancato dalla curia del re, laici ed ecclesiastici che dovevano
approvare formalmente le decisioni del re. Non meno importante era la figura dello Scacchiere,
responsabile delle finanze con potere di controllo su tutti i funzionari, sceriffi compresi
→ Mobile: costituito da un collegio di giudici itineranti che amministravano la giustizia per conto del re
nelle singole contee, divise per l’occasione in sei circuiti chiusi che andavano percorsi almeno due volte
all’anno. Nel mentre le cause più semplici erano gestite da una giuria composta da dodici uomini saggi,
liberi cittadini che avevano il potere di giudicare i colpevoli e mantenerli in custodia fino all’arrivo dei
giudici reali.
Questo doppio controllo era molto importante perché contribuiva a ridimensionare i soprusi dei
baroni.
Altra riforma importante fu la stabilizzazione dell’esercito nazionale, posto a difesa del regno: a tutti i sudditi
fu ordinato di partecipare con un armamento proporzionale ai propri possedimenti, sottomettendo così
chiunque sotto un unico re. Come Guglielmo, anche Enrico II pose molta attenzione al controllo dei beni dei
suoi sudditi in modo da avere sempre un quadro molto preciso dei loro doveri militari.
La crisi del regno arrivò alla sua morte a causa della lotta dinastica occorsa tra i sue due figli, Riccardo cuor di
Leone e Giovanni Senzaterra: entrambi molto lontani, furono sostituiti quasi continuamente dal Giustiziere,
durante il loro regno, oltretutto, la perdita della Normandia acuì la crisi fiscale.
Durante il regno di Giovanni i rapporti con la chiesa e con i baroni precipitarono velocemente dato che questi
non volevano prestare il servizio militare fuori dal regno: la dura reazione della corona ruppe definitivamente
questo rapporto, causando così una dura sconfitta nel 1214 a Bouvines contro l’esercito francese di Filippo
Augusto.
Giovanni fu così duramente
contestato dai grandi del regno che si
unirono per limitare la sua influenza e
lo costrinsero a firmare la Magna Fiscale Feudale
Carta, documento che riprendeva
tutte le libertà concesse da Enrico I Il re non poteva emettere Ridotte le pesanti tasse di
configurando un nuovo equilibrio tra nuove tasse senza il successione
re e baroni. consenso dei baroni
Eliminate in caso di erede
La Magna Carta era di fatto un grande minorenne
patto di limitazione delle prerogative Doveva convocare
pubblicamente le assemblee
regie in materia fiscale e feudale, in mediante l'invio di lettere
Gli ufficiali non ptevano
sequestrare i beni personali
particolar modo in questioni scritte in caso di debiti
successorie
Si definì quindi il concetto secondo cui la libertà politica era la libertà di possedere dei beni senza le
interferenze dei pubblici ufficiali.
Sul fronte interno la politica di Luigi ebbe molto successo in particolar modo grazia alla presenza del prezioso
consigliere, l’abate di Saint Denis Sugerio, da molti considerato l’inventore della monarchia francese.
Luigi si lanciò in numerosissime battaglie contro i castellani ribelli forte dell’inquadramento ideologico fornito
da Sugerio che sosteneva che ogni feudo era generato da un altro feudo: solo il re non aveva superiori, quindi
tutti i principi erano dipendenti da questo. Data questa premessa, anche il duca di Normandia era considerato
un vassallo del re, esattamente come tutti gli altri, anche se si trattava del re d’Inghilterra, Enrico aveva ricevuto
la Normandia dalle mani del re: chiamato in aiuto dal vescovo di Clermont per un oltraggio subito dai conti di
Alvernia, Luigi si recò col suo esercito nella regione dove ottenne immediatamente un atto di sottomissione
da parte del signore dei conti, Duca di Aquitania, spaventato dalle armate reali. In questo modo si ricostruì la
corretta catena di dipendenze:
Duca di Duca di
Re di Francia
Aquitania Alvernia
L’intervento del re era sempre legato ad una richiesta di aiuto da parte della Chiesa: ogni volta che un
castellano commetteva dei soprusi sulle chiese, minacciando la pace regionale, la spedizione veniva
autorizzata da un concilio di vescovi che nominava il re Difensore della Chiesa.
Sugerio venne poi nominato reggente durante gli anni di assenza del nuovo re, figlio di Luigi VI Luigi VII.
Durante questo periodo l’abate riuscì a ridisegnare completamente l’istituzione monarchica grazie a diversi
interventi effettuati per il bene del regno, dimostrando così che il potere della corona era presente anche in
assenza del re.
Per consolidare l’immagine laica da paciere, durante il concilio di Soissons del 1155 prima e in quello di Reims
del 1157 poi, Luigi proclamò la pace per tutto il regno, atto che sancì definitivamente l’intervento reale
sovraregionale. Da questo momento in poi, l’unico episodio che mise in pericolo i confini del regno fu il
matrimonio tra l’erede del duca di Aquitania e il re inglese: Luigi sposò Eleonora d’Aquitania, ma da questa
divorziò subito dopo il ritorno dalla crociata; Eleonora andò quindi in sposa pochi mesi dopo al futuro Enrico
II, portando con sé in dote l’Aquitania. L’attritò che ne derivò fu enorme: Enrico era sì un vassallo di Luigi in
quanto duca di Normandia, ma in quanto re di Inghilterra si considerava un suo pari. Iniziò così la Prima Guerra
dei cent’anni fra inglesi e francesi che proseguì fino alla morte di Luigi VII senza però nessuna modifica rilevante
ai confini di entrambi i regni.
Nel 1180 il trono passò al figlio Filippo Augusto, il cui regno è considerato da molti come quello della svolta
della monarchia francese, sia per durata (40 anni) che per le trasformazioni volute nei metodi di governo.
Le guerre contro gli stati vicini presero immediatamente una svolta favorevole: sfruttando le divisioni degli
eredi di Enrico II riuscì a imporre vittorie decisive, mentre dal Duca di Alsazia ricevette il Verdamos e l’Artois
grazie alla dote della moglie. Governando territori molto diversi tra loro e applicando riordinamenti molto
incisivi, riuscì in breve a comporre un conglomerato molto vasto. In Normandia, per esempio, tutte le finanze
erano gestite da un unico magistrato, detto Scacchiere, mentre una rete di funzionari inamovibile e scelti
direttamente dal duca, detti balivi, controllavano i luoghi strategici.
La crisi di successione dei plantageneti portò Riccardo, figlio di Enrico II, a dichiararsi vassallo di Filippo in modo
da potersi mettere contro il padre ed il fratello Giovanni; alla sua morte, Giovanni prese il suo posto sul trono
d’Inghilterra senza avere però il sostegno né dei vassalli inglesi né di quelli normanni: questo facilitò
enormemente la conquista francese della Normandia nel 1204. Garantendo enormi autonomie ai vassalli
normanni, Filippo riuscì ad ottenere il loro favore: questo fu determinante per la battaglia di Bouvines,
combattuta e vinta da Filippo nel 1214 contro tutte le forze a lui ostili, Giovanni dall’Inghilterra, l’Imperatore
tedesco Ottone IV, il Conte di Fiandra e il Duca di Brabante. Questa vittoria consentì al re francese di espandersi
Gnella zona delle Fiandra, ma soprattutto gli permise di smettere di difendersi dai vicini dandogli così la libertà
di attuare una politica più aggressiva che lo portò più volte a tentare di invadere, senza successo, l’Inghilterra.
Approfittando poi della crociata albigese, invocata dal papa nel 1209 contro il Conte di Tolosa, Filippo poté
aprirsi una strada verso sud. Le truppe francesi, guidate da Simone di Montfort, riuscirono a sostituire il Conte
e Filippo tentò di prendere la città sia nel 1219 che nel 1221, sempre senza successo.
Sostenere tutte queste guerre, anche se vittoriose, richiedeva la capacità di tenere insieme tutti i vassalli,
spesso riottosi, e quindi la concessione di numerose agevolazioni clientelari: in sostanza Filippo doveva
necessariamente essere in grado di accumulare e mobilitare moltissime risorse economiche.
Le spese del regno erano occupate per l’80% dall’esercito, quindi Filippo dovette lavorare molto per aumentare
le sue entrate che erano composte per il 20% da tasse sulla città che ormai iniziavano a diventare un capitolo
molto importante. Come aiuto in questo compito venne istituita la figura del Balivo, un funzionario che aveva
l’incarico di rappresentare il governo, la giustizia e il fisco in un’area limitata del territorio. Grazie alla continua
rendicontazione del suo operato di appositi libri di entrate e uscite, e grazie alla sua area di intervento molto
limitata, il re poteva contare ora su un flusso certo e costante di denaro.
La vera novità è comunque nelle entrate straordinarie, ossia le tasse feudali che vennero istituite da Filippo:
partendo dall’idea di Sugerio secondo cui il re non doveva rendere omaggio a nessun vassallo, convertì questo
concetto in termini economici, e impose una vera e propria tassa di successione da pagare per la
riassegnazione dei feudi dopo la morte del signore.
I regni spagnoli
La Spagna dell’XI secolo era divisa in molte contee poste quasi esclusivamente nella parte settentrionale della
penisola iberica, dato che il grosso di questo territorio era occupato dal dominio musulmano.
In questo periodo, quindi, il regno spagnolo di fatto è composto da diverse
Contee spagnole contee di dimensione regionale la cui storia è spesso molto intrecciata dato che
XI secolo si assorbiranno a vicenda e separeranno più volte per via dinastica o
matrimoniale.
Barcellona
La Castiglia, ad esempio, assorbì il León; Navarra ed Aragona furono unite fino
Navarra al 1134 per poi avere due sovrani diversi; Barcellona annesse al suo regno
Aragona l’Aragona quando il duca Raimondo Berengario IV sposò la figlia di Ramiro II
d’Aragona.
León
Il mondo cristiano e quello musulmano non erano poi così nettamente separati
Castiglia come ci si aspetterebbe: erano molto frequenti scambi commerciali e
soprattutto culturali, protezioni reciproche e alleanze, in particolar modo tra i
regni di Castiglia, di Aragona e le città di frontiera; tuttavia la guerra all’infedele iniziava a diventare un motivo
ricorrente nell’agenda politica dei re spagnoli, in particolar modo dopo che questi ricevettero l’appoggio del
papa nel 1063 e nel 1085, vere e proprie pre – crociate che coinvolsero in particolar modo il re di Castiglia e
quello di Aragona – Navarra.
La guerra contro l’emirato degli Almoravidi la cominciò Alfonso VI di Castiglia che, dopo aver facilmente
liberato Toledo nel 1085, riuscì a conquistare le Baleari e di Saragozza nel 1118, ma queste vittorie furono
effimere perché gli Almoravidi ripresero subito le posizioni perdute; solo nei decenni successivi si mosse
qualcosa di più concreto, anche se si può parlare più di semplici razzie che di spedizioni vere e proprie, come
nel caso della cavalcata verso Cadice di Alfonso VII del 1133.
Una grossa opportunità per i cristiani fu portata dalla crisi interna dell’emirato Almoravide, la loro rigidità sia
religiosa che fiscale rese il governo nemico della popolazione, portando così ad una rivoluzione, guidata dagli
Almohadi, che nacque in Marocco e in pochi decenni arrivò ad espandersi in tutta l’Andalusia: nel 1147 ormai
La Germania e l’Impero
Apparentemente la Germania dell’XI secolo ha un quadro politico molto più stabile di tutti gli altri regni
europei: era divisa in quattro ducati tradizionali ben stretti nelle mani delle
Ducati della Germania grandi famiglie aristocratiche. Esistevano anche delle importanti Marche
nelle zone di Frontiera (Austria e Brandeburgo per citarne un paio), ma i
processi di espansione più importanti furono sempre guidate da questi
Franconia quattro ducati.
Sassonia I dati demografici mostrano un’impressionante crescita del numero degli
Baviera abitanti che alimentò una massiccia fase di migrazione verso Est,
nonostante l’istituzione imperiale non
Svevia fosse sempre presente. Enrico IV
1084 - 1105
Tradizionalmente l’Imperatore veniva
eletto dai reggenti dei ducati più importanti e trovava la base del proprio Enrico V
1111 - 1125
potere nel ducato di Franconia, che, per quanto importante, non era certo
sufficiente a sbaragliare la concorrenza degli altri ducati. Da questa premessa
Lotario III
nasce il maggior problema imperiale dell’XI secolo: la resistenza verso gli 1133 - 1137
attacchi dei vassalli germanici ed italiani.
Corrado III
Corrado II cercò di accentrare il potere nelle mani dell’Impero, riservando
1138 - 1152
all’Imperatore l’ultimo giudizio nel caso di conflitti. Sotto Enrico IV il duro
scontro col papato di Gregorio VII mise a dura prova la tenuta imperiale e Federico I
soprattutto divenne chiaro a tutti i grandi ducati che il principio dinastico 1155 - 1190
poteva essere messo in discussione: infatti i successori di Enrico V, Lotario III
Enrico VI
e Corrado III appartenevano a due famiglie differenti.
1191 - 1197
Come in tutti gli altri casi, l’enorme potere dei grandi ducati proveniva interamente dal valore e dall’estensione
dei territori di loro proprietà: rispetto al vassallaggio, questo particolare li rendeva indipendenti
dall’Imperatore e questo particolare, unito alla successione dinastica del possesso, portò ben presto ad una
frammentazione tale che permetteva ai potenti locali di evitare di rispondere al re in caso di conflitto.
In questo contesto iniziò il dominio di Federico I Barbarossa che, come il re francese Luigi VII prima di lui, fece
propria la figura di pacificatore del regno
imponendo una pace generale in tutto il
regno nel 1158.
Forte del diritto feudale, Federico confiscò
tutti i territori assegnati ai principi ribelli:
era il periodo delle lotte interne tra i
Welfen ed i Weiblingen9 che provocò uno
stato di guerra generale all’interno
dell’Impero che favorì il passaggio dei
ducati da una famiglia all’altra. Per
riportare l’ordine, Federico divise in più
parti ogni ducato che riusciva a
conquistare, frammentandone così la
forza: accadde in Baviera tolta a Enrico il
Leone nel 1180 e alla Sassonia che fu divisa
in due ducati più piccoli: alla fine del suo
regno i principi laici erano orami più di 20 e
se ne contavano altrettanti ecclesiastici.
Da un punto di vista legislativo, convocò la
Dieta di Roncaglia nel 1158 in cui stabilì che
ogni potere pubblico poteva esistere solo
se concesso dal re attraverso
un’investitura formale: questo consentiva
all’Imperatore di pretendere la
restituzione di tutti i poteri detenuti da
mani private che sarebbero poi stati
redistribuiti solo dietro esplicito
riconoscimento di un’entità pubblica, non
privata. Contestualmente, poi, vietò
espressamente la possibilità di vendere i feudi, dividerli e di giurare fedeltà a più signori contemporaneamente,
inasprendo sensibilmente le pene nei confronti dei vassalli infedeli.
Questi provvedimenti in realtà erano diretti in particolar modo ai possedimenti italiani dove l’opposizione di
alcune città lombarde aveva provocato un duro scontro con l’Impero. Le guerre italiane che ne derivarono
durarono oltre 30 anni, e misero a dura prova la tenuta imperiale dato che Federico era costretto a chiedere
l’aiuto delle grandi famiglie tedesche per sostenere le spedizioni. Tuttavia, la struttura resse e i principi tedeschi
confermarono la fedeltà al re nonostante la non – vittoria sancita dalla pace di Costanza del 1183, anche se si
trattava più di una fedeltà riconosciuta alla persona, non alla corona.
Infatti, i primi dissidi tornarono prepotentemente sotto il regno del figlio di Federico, Enrico VI, che cercò di
imporre nuovamente un diritto di successione dinastica. Nonostante il rifiuto dei principi tedeschi, la posizione
di Enrico si rafforzò quando prese in moglie, nel 1186, l’ultima erede dei re Normanni Costanza di Altavilla da
cui ebbe l’erede Federico II di Svevia: nonostante l’elezione di Tancredi di Lecce nel 1190 a re di Sicilia, Enrico
9
Corrispettivo tedesco dei Guelfi e Ghibellini italiani
STORIA MEDIEVALE I REGNI E I SISTEMI POLITICI EUROPEI TRA XI E XIII SECOLO
72
riuscì ad entrare a Palermo nel 1194 e farsi incoronare nuovo re, garantendo così al figlio sia la corona imperiale
che quella del regno di Sicilia.
Il regno di Sicilia
Per garantire una stabilità economica in un quadro militare così instabile, Ruggero II fu costretto a guardare
alle concessioni demaniali, vero cardine dell’apparato economico normanno in cui fu possibile sperimentare
nuove forme di controllo dello sfruttamento del lavoro contadino, mentre da un punto di vista legislativo
Ruggero promulgò a Melfi, nel 1129, la pace del regno e l’obbligo di fedeltà dei baroni nel 1132.
Per garantire questa fedeltà gli strumenti a disposizione del re erano una miscela di diritto feudale e
concessioni amministrative: si cercò quindi di limare le prerogative giurisdizionali dei singoli baroni e si
controllarono attentamente i matrimoni, facendo così in modo da evitare l’eccessivo accumulo di risorse nelle
mani di un singolo.
popolo stesso. Fra cittadini ed istituzioni esisteva quindi un legame diretto rafforzato da un giuramento
reciproco fatto tra i consoli e i cittadini: le nuove istituzioni comunali iniziarono ad agire subito nell’interesse
della collettività prendendo decisioni che valevano per tutti. Questo portò ad una maturazione in tutti i settori
possibili, compreso quello lessicale che portò, alla fine del XII secolo, alla coniazione del nuovo termine
Comune, che da aggettivo diventerà ora un sostantivo volto ad indicare ciò che è comune.
I domini sui contadi erano quasi sempre virtuali, non esistevano confini veri e propri e quindi questi centri erano
oggetto di contesa tra le città: ad esempio tutto il lato occidentale della campagna senese era contesa da
Arezzo.
L’Italia era quindi composto da un mosaico di città profondamente diverse tra loro.
Repubbliche marinare
Erano città molto importanti situate sul mare, inizialmente solo tre, Genova, Pisa e Venezia cui poi si aggiunse
anche Amalfi.
Genova e Pisa erano già orientate verso un modello consolare, mentre Venezia era fortemente ancorata a
quello regale con un Doge al comando.
Il dominio sul Mediterraneo occidentale era fortemente conteso tra Genova e Pisa che crearono velocemente
colonie sulle coste nordafricane e nella Sicilia liberata da poco dal dominio arabo; il controllo di Corsica e
Sardegna costò loro anni di lotte.
Venezia era la più ricca delle tre e riuscì a costruire un vasto dominio su tutte le coste del Mediterraneo
orientale, spingendosi fino a Creta e Cipro.
Lombardia
Milano era già la città più potente di tutta l’Italia settentrionale e molto presto si lanciò alla conquista dei piccoli
centri vicini. In questo modo divenne presto il centro nevralgico del settentrione, incrocio di traffici
commerciali tra l’Italia e l’Impero.
Le città più a sud crescevano velocemente attorno la via Emilia, in particolar modo Bologna, sede della prima
università italiana.
Toscana
Le città del territorio toscano erano in perenne lotta tra loro per il controllo delle campagne vicine:
→ Pisa
→ Firenze
→ Siena
→ Arezzo
→ Lucca
Umbria e Marche
Le città di questa zona erano decisamente più piccole e dipendevano da un’economia agraria
Milano, a sua volta, cercò di acquistare con denaro contante il permesso imperiale di preservare il dominio su
Lodi e Cremona, offendendo ancora di più l’Imperatore che a questo punto scatenò la guerra.
Nel 1155, quindi, Federico scese in Italia dove conquistò velocemente Asti e distrusse Tortona, assediò Brescia
nel 1158 e arrivò a Milano lo stesso anno, preparando così una guerra molto sanguinosa che durò oltre
trent’anni. Partendo dai princìpi definiti nella dieta di Roncaglia, ossia che ogni concessione poteva provenire
solo ed esclusivamente dalle mani dell’Imperatore, Federico pretese la restituzione di tutto ciò che i comuni
italiani avevano sottratto alla corona:
→ Le tasse regie
→ Il potere di elezione dei consoli
→ I palazzi pubblici
→ Le imposte sui beni demaniali
Subito dopo aver distrutto Milano, Federico impose a tutte le città una sorta di Podestà imperiale, un vero e
proprio controllore nominato dall’Imperatore che nella maggior parte dei casi era violento e dispotico che
portò subito problematiche di tipo fiscale: raccoglievano tasse per finanziare la guerra, impoverendo di fatto
tutti gli abitanti dato che questi fondi non restavano in città, ma erano destinati all’alimentazione del controllo
imperiale sui comuni. Il pagamento delle imposte tornò quindi ad essere un simbolo di sottomissione e i
cittadini tornarono ad essere veri e propri sudditi senza diritti politici.
Con l’aiuto degli alleati lodigiani, l’Imperatore tornò ad assediare e distruggere Milano nel 1162, allertando però
stavolta tutte le altre città che vedevano nell’Impero un pericolo per le proprie autonomie: nel 1168 si strinsero
quindi in una Lega, chiamata Lega lombarda, che riuniva al suo interno anche città che storicamente erano in
conflitto tra di loro ma che misero temporaneamente da parte vecchi dissapori per confrontarsi insieme contro
un nemico comune. Questa lega era governata dai Rettori, un singolo rappresentante di ogni città eletto; aveva
inoltre un tribunale interno istituito appositamente per risolvere tutte le controversie che potevano sollevarsi
tra i singoli membri e coordinava le azioni militari di ogni singola città, spostando gli eserciti cittadini e fornendo
il sostegno di un loro podestà che doveva essere una controparte di quello imperiale.
Il riconoscimento di uno statuto uguale per tutte le città facenti parte della Lega permise a questa di ottenere
anche l’appoggio di Roma: l’alleanza con papa Alessandro III servì a rafforzare l’immagine simbolica della Lega,
vista come l’estrema difesa alla libertà italiana contro il tiranno Federico.
Nel 1176, a Legnano, ci fu lo scontro decisivo in cui le forze della Lega riuscirono a sopraffare l’Imperatore: da
un punto di vista militare il successo fu veramente trascurabile, ma sul morale e la propaganda politica fu
enorme, tanto che nel 1177 il papa riuscì ad ottenere una tregua di 5 anni allo scadere della quale si raggiunse
una pace definitiva, a Costanza, tra l’Italia e Federico.
La Pace di Costanza rappresenta un documento importantissimo che cambia radicalmente di significato, a
seconda del punto di vista da cui viene letto: per l’Imperatore si trattava di una grazia imperiale con cui
permetteva ai cittadini di continuare a godere dei privilegi contestati, mentre per le città divenne una vera e
propria costituzione scritta in cui veniva riconosciuto il loro governo autonomo.
Dopo questi scontri, l’Imperatore decise di impegnarsi in faccende più serie e quindi si armò per la Crociata
volta a liberare Gerusalemme dal Saladino: partì nel 1188 ma trovò la morte poco dopo, annegando nel fiume
Salef nel tentativo di guadarlo.
Nonostante la vittoria, la situazione italiana non era idilliaca perché la guerra contro l’Impero era costata
tantissimo, sia in termini economici che per l’impegno sociale di ognuno: l’esercito dei cittadini era composto
da soldati a piedi, ossia normali contadini che lasciavano le proprie attività per abbracciare le armi. Finite le
ostilità quindi, le stesse persone volevano ora partecipare al governo delle città che avevano difeso, aprendo
quindi ad un conflitto interno che sottolineò l’inadeguatezza del sistema consolare.
erano eletti nei piccoli consigli societari, e da qui, a loro volta, eleggevano i Priori o gli Anziani. Grazie a questo
sistema i governi popolari erano più legali e più partecipati, ma non per questo più duraturi.
Le lotte di fazione si erano diffuse durante la guerra con Federico I e, soprattutto, contro Federico II, proprio
in questo periodo, infatti, le città si divisero in gruppi di Guelfi, alleati del papa, e Ghibellini che invece
sostenevano l’Imperatore, ovviamente sempre per un tornaconto personale e, quasi, mai per reale senso di
appartenenza alla Chiesa o all’Impero. In molte città queste fazioni divennero vere e proprie istituzioni che
esprimevano propri consigli comunali e, soprattutto, propri podestà, aumentando così esponenzialmente i
conflitti aggiungendo anche questioni di fazione alle normali tensioni di classe. Proprio per questo motivo le
corporazioni, anche se esplicitamente appartenenti ad una delle due parti, si schierò sempre contro l’eccesso
di violenza idealizzando la pace come tema politico della città. Non era un segno di debolezza, semmai un
tentativo di sostenere un fragile equilibrio continuando sempre ad esprimere un governo di parte.
In questo contesto di divisione, si affermò il concetto di bene comune come fine ultimo della politica che
prendeva spunto dalla Politica di Aristotele: “…Sono giusti e legittimi solo i governi che perseguono il bene di
tutti…”. Ovviamente solo la corporazione riuscì a presentarsi come forza politica in grado di garantire questo
risultato perché era l’unica a proporre un sistema consiliare aperto che inseguiva giustizia, equità e soprattutto
la pace.
Purtroppo però la realtà dei fatti era diversa dall’idealismo e il bene comune poteva essere raggiunto solo
attraverso mezzi coercitivi o repressivi nei confronti degli avversari: in moltissime città l’esperienza corporativa
fallì miseramente, i conflitti aumentarono e fecero saltare le istituzioni, il potere passò quindi nelle mani di un
solo signore proveniente da famiglie nobiliari, detto Dominus, che si impose sulle città.
Vediamo così a Milano imporsi la famiglia dei della Torre, a Cremona i Pallavicino, in Emilia Carlo d’Angiò.
10
Prove del fuoco o dell’acqua, utilizzate per verificare che le affermazioni dell’imputato fossero vere
STORIA MEDIEVALE IL PAPATO, GLI ORDINI MENDICANTI E LA CRISI DELLA CHIESA
82
L’accentramento della figura papale richiese uno sforzo enorme per la riorganizzazione di tutta la Chiesa e per
il coordinamento tra quella centrale e le parrocchie locali. La Curia dovette organizzare le funzioni di un
governo che ormai aveva un’area di influenza europea soprattutto da un punto di vista fiscale, a Roma
arrivavano le decime di tutte le chiese europee, e giudiziario per via delle numerose cause che arrivavano
direttamente all’attenzione del pontefice: dopo che Alessandro III stabilì il diritto di appello, infatti, si formò
una vera e propria giurisdizione piramidale che aveva al suo culmine il papa. Roma quindi era piena di giudici
ed avvocati, accompagnati da questuanti che chiedevano udienza; nasce così la figura dell’auditore, magistrati
che si dividevano le cause con i cardinali, trasformando così la sede papale nella più grande sede giuridica
d’occidente, l’unica veramente internazionale.
Province assegnate agli Province assegnate agli Nel 1254, Innocenzo IV assegnò i frati
inquisitori francescani inquisitori Domenicani minori e i predicatori all’ufficio
Marca di Treviso Emilia dell’Inquisizione i quali accettarono per
dovere di servizio, anche di fronte il duro
Marca di Ancona Lombardia
inasprimento delle metodologie utilizzate
Romagna Piemonte dalla Chiesa nella lotta all’eresia.
Toscana Liguria L’inquisitio ex officio era diventata infatti
una pratica molto diversa da quella
originaria, le garanzie processuali erano pressoché nulle, e nella stragrande maggioranza dei casi non era
neanche chiaro il motivo dell’imputazione: non era accusato tanto il credo di
qualche eterodossia, quanto la semplice frequentazione di gruppi Classificazione degli eretici
considerati eretici che erano classificati secondo una scala ben precisa in
ordine di gravità delle proprie colpe: Ribelli
In una società in cui tutti erano potenzialmente colpevoli, gli interrogatori erano strutturati in modo da capire
con quali persone l’imputato avesse avuto rapporti, quindi accusare qualcuno era il metodo più semplice e
veloce per sottrarsi a processi anche lunghissimi. Il primo e più famoso inquisitore del tempo, il domenicano
Bernardo Gui, scrisse addirittura un manuale che aiutava i colleghi inquisitori ad organizzare al meglio gli
interrogatori, suggerendo più volte di premiare i delatori con una grazia completa.
Nacque così una procedura standard: quando gli inquisitori arrivavano in un villaggio nuovo definivano un
periodo di grazia di 15/30 giorni durante il quale ascoltavano tutti i rei confessi, scaduto il quale si iniziava con
gli interrogatori di tutti i sospettati. Non era raro che interi villaggi fossero messi sotto accusa dato che
l’inquisizione venne usata da molti come strumento di vendetta e risoluzione per conflitti interni alle comunità.
ogni sospetto eretico veniva prelevato ed interrogato singolarmente per semplificare l’operazione dato che
in questo modo le difese dell’interrogato erano più basse, e l’inquisitore poteva tranquillamente utilizzare la
tortura nei casi più difficili.
Fine dell’inquisizione, ad ogni modo, non era lo sterminio dell’eretico, ma il suo recupero tramite abiura e
conversione dato che, per fini propagandistici, il miracolo della conversione era sicuramente più efficace di una
condanna: accogliendo le leggi volute da Federico II, Innocenzo IV promulgò nel 1252 l’enciclica Ad extirpanda
in cui condannava con la morte tutti gli eretici impenitenti che venivano quindi consegnati alle autorità laiche
per essere messe al rogo.
La difesa della Fede aveva così creato un nuovo ambito di potere: la difesa dell’ordine sociale voluto da Dio.
Questo inevitabilmente portò ad un feroce scontro con tutte le autorità civili.
Filippo II, infatti, li aveva infranti entrambi prima tassando il clero francese, poi processando un vescovo in un
tribunale laico. Ovviamente la reazione di Bonifacio fu molto dura e in entrambe le occasioni minacciò il re di
scomunica, riaffermando nuovamente la supremazia della chiesa su qualsiasi carica laica.
Lo scontro, evidentemente, non era solo religioso, ma investiva il ben più ampio campo della possibilità di
esercitare il potere su un determinato territorio.
Bonifacio era un papa potente che salì al potere dopo le misteriose dimissioni del suo predecessore Celestino
V, tra i suoi nemici principali c’era l’aristocratica famiglia romana dei Colonna e numerosissimi cardinali
oppositori sparsi per mezza Europa. Lo scontro servì a Filippo non per dimostrare l’indipendenza della corona
francese da qualsiasi potere superiore, ma addirittura per proporsi come difensore della Chiesa dato che stava
accusando il pontefice di aver usurpato la cattedra di Pietro con mezzi illeciti: per questo motivo inviò una sua
delegazione guidata dal cancelliere Guglielmo di Nogaret che arrestò Bonifacio ad Anagni nel 1303.
La prematura morte del papa, appena un mese dopo il suo arresto, causò la più grande crisi del pontificato
dell’età medievale dato che Filippo IV aprì un processo postumo che si interromperà e riaprirà più volte, nel
1303. 1308 e 1311. Al papa venivano rivolte accuse di ogni tipo, dalle perversioni sessuali alla demonologia, che
contribuirono a diffondere l’immagine di un papa eretico che rappresentava una grave minaccia per la Chiesa
e tutta la cristianità.
Questo processo andava poi a braccetto con un’altra tematica portata avanti con vigore dal re francese: il
processo contro i cavalieri Templari.
L’ostilità del re nei confronti di questo ordine cavalleresco inizia nei primi anni del ‘300 per motivazioni per lo
più economiche: il re aveva bisogno di soldi, e i Templari erano veri e propri banchieri che gli negarono un
finanziamento. Non si sa se a causa di questo rifiuto, o più semplicemente per la volontà di appropriarsi dei
loro possedimenti, ma la mattina del 7 ottobre Filippo fece arrestare tutti i cavalieri presenti sul regno: ancora
una volta i capi d’accusa giravano attorno al concetto di eresia, quindi il re doveva necessariamente intervenire
in quanto protettore della Fede e a causa di un papa dormiente che non era in grado di difendere la Chiesa. In
pochi anni quindi, all’accusa di eresia si accostano le perversioni sessuali e la stregoneria che configurano
sempre il ben più grave reato di lesa maestà.
Allo stesso modo, anche papa Giovanni XXII accusò di eresia i suoi principali nemici, vescovi che si opponevano
all’inquisizione, i principali principi ghibellini del centro Italia, Matteo Visconti e Federico da Montefeltro, due
pericolosissimi ribelli dello Stato pontificio. Tutti questi processi, lanciati tra il 1315 ed il 1320, erano segno di
un’evidente debolezza della Chiesa ormai confinata ad Avignone da un decennio sotto il diretto controllo del
re di Francia. Questo settantennio di cattività avignonese, però, rappresentò un periodo di sviluppo
amministrativo in cui i registri pontifici acquisirono una forma più matura e il controllo dei legati pontifici
divenne molto più attento: istituzionalmente questo periodo di cattività non fu uno sfacelo, ma da un punto
di vista politico il potere regio aveva dimostrato di essere molto più forte e resistente di quello ecclesiastico.
Nel 1378 Urbano VI fu il primo papa che riuscì a tornare nella sede romana, ma la sua elezione fu duramente
contestata dai vescovi francesi che elessero un nuovo antipapa, Clemente VII che si insediò ad Avignone: la
divisione fu tale che per anni la Chiesa stessa fu spaccata in due, mettendo ancora più in evidenza la propria
debolezza, tanto da mettere in discussione la stessa funzione ecclesiastica. Si sviluppò quindi un importante
movimento riformatore che metteva al centro la conciliarità della Chiesa e la sua natura collettiva: il potere
sovrano doveva essere affidato all’assemblea dei vescovi, e questo principio fu confermato nel Concilio di
Basilea che identificò il concilio dei vescovi come la Chiesa stessa. Questa radicalità portò presto all’abbandono
del partito riformatore da parte dei poteri laici, facendo sì che il movimento perse potere fino all’arrivo di papa
Martino V che restaurò la supremazia papale, lasciando ai concili il solo potere di deporre un papa considerato
eretico.
Francia
Riguardo la costruzione di un regno nazionale, la Francia aveva il vantaggio di aver avuto due importanti
sovrani che avevano ben tracciato la giusta direzione per tutto il basso medioevo: Luigi IX e Filippo IV.
Durante il regno di Luigi IX i territori francesi si erano espansi fino alle regioni meridionali della Linguadoca e
aumentarono notevolmente le prerogative del sovrano, in particolar modo da un punto di vista legislativo.
Sotto Filippo il Bello si assestarono le finanze francesi a discapito del carico fiscale sui sudditi, la giustizia rimase
stretta nelle mani del re che estese la sua influenza anche sulle persone e sui beni della Chiesa: messo sotto
controllo il papa, l’azione del re sembrava non avere più nessun tipo di limite.
Questi limiti invece c’erano, e divennero evidenti col successore di Filippo, Luigi X. Già nel 1315 fu costretto a
cedere enormi privilegi ai baroni che si rivoltarono: fu un episodio importantissimo perché le carte di libertà
presentate dai principati mettevano sotto accusa la base stessa del potere regale, ossia la giustizia e la fiscalità.
Episodio che mise in crisi il regno francese fu, nel 1328, l’esaurimento della dinastia capetingia ed il relativo
passaggio alla linea dei Valois che riaprì bruscamente tutti i contenziosi con l’Inghilterra che rivendicava
pretese dinastiche per via delle antiche parentele tra la famiglia senza eredi e il re Edoardo III: ne scaturì una
guerra estenuante per entrambi i fronti, sia per la durata (la guerra dei cent’anni) sia per le conseguenze
politiche, dato che mise in luce tutte le debolezze del sistema politico francese:
→ Esercito lento e pesante, ancora basato sulla cavalleria
→ Scarsa capacità di mobilitazione dei cittadini
→ Sistema fiscale imperfetto ed incapace di finanziare una guerra così lunga
→ Fortissima frammentazione territoriale
La prima fase della guerra mise subito in evidenza la fragilità
dell’esercito francese che venne battuto più volte dagli
inglesi, a Crécy nel 1346, a Poitiers nel 1356 e infine la caduta
disastrosa di Azincourt nel 1415, dove l’esercito francese fu
completamente annientato.
Ad aggravare la situazione, per tutta la seconda fase della
guerra si aggiunsero gravi spaccature all’interno
dell’aristocrazia francese: nel 1392 scoppiò una guerra civile
scatenata dal conflitto tra due famiglie molto importanti
che cercarono di influenzare la politica di Carlo VI:
→ Giovanni senza Paura, Duca di Borgogna
→ Luigi duca d’Orleans, fratello del re
Lo scontro aperto scoppiò quando Luigi impose una nuova tassa subito respinta da tutti gli altri principi: questo
episodio portò alla formazione di due partiti principali, gli Armagnacchi, fedeli a Luigi, e i Borgognoni, seguaci
del duca di Borgogna che riuscirono facilmente a prendere il controllo di Parigi e quindi di tutta la Francia
settentrionale nel 1418. Gli Armagnacchi, come tutta risposta, si organizzarono in uno stato itinerante nelle
zone della Francia centrale, facendo si che per molti anni non si seppe mai chiaramente chi fosse realmente il
Re di Francia.
Il conflitto sulla tassazione pubblica divenne quindi il pretesto per aprire un conflitto sulla monarchia: i
sostenitori del re volevano un apparato pubblico centrale e potente con un pesante apparato fiscale che
potesse sostenerne i costi, gli avversari cercavano un assetto politico più decentralizzato basato su una relativa
autonomia di ogni singolo territorio.
L’apice dello scontro si ebbe col trattato di pace di Troyes in cui si trovò un accordo con gli inglesi: il re
d’Inghilterra Enrico V sposò
Caterina, la figlia del re di Francia
• Fedeli a Luigi d'Orleans
Carlo VI, estromettendo di fatto
• Sostengono la successione
Armagnacchi di Carlo VII
dalla successione il delfino Carlo
VII in favore del re Inglese.
Alla morte di Carlo VI ed Enrico V,
l’erede legittimo inglese, Enrico VI,
avanzò pretese sul trono di Francia
• Fedeli al Duce di Borgogna
ma la possibilità di essere
• Sostengono la successione
Borgognoni di Enrico VI
governati da un re inglese scatenò
i sostenitori dell’erede francese
Carlo VII.
Proprio in questi anni, tra il 1428 ed
il 1431, si compie la parabola di Giovanna d’Arco, una contadina cui apparve Dio per indicarle Carlo VII come
unico vero re francese: autorizzata a portare le armi, Giovanna fu protagonista di importantissime vittorie
militari, tanto da diventare un vero e proprio simbolo della propaganda armagnacca.
Nel 1431 la sua fortuna terminò a causa dell’intervento, molto più umano che divino, del vescovo di Rouen, al
servizio dei Borgognoni, che la fece mettere al rogo con accuse di eresia e stregoneria.
L’ultimo ventennio di guerra fu scandito da importanti successi francesi, una serie di campagne vittoriose
ottenute tra il 1449 ed il 1453 permisero a Carlo di riconquistare alcuni territori caduti in mano inglese che
portarono alla fine della guerra, soprattutto a causa di gravi scissioni all’interno del regno d’Inghilterra.
Il regno del nuovo re di Francia, Luigi XI, mise in evidenza tutte le importanti contradizioni della monarchia
francese: cercò di riaffermare la sovranità regale
su tutti i principati, ma gli si contrappose un Cronologia degli eventi
fronte composto dal fratello Carlo, alleato col •1315: Rivolta delle regioni: Carte di Libertà
duca di Borgogna. Luigi li affrontò su un piano •1328: Dinastia Valois
•1337: Inizio Guerra dei Cent'anni
giudiziario, accusandoli di lesa maestà, in modo •1356: Sconfitta di Poitiers
da poterli trattare come sudditi infedeli e non •1392: Armagnacchi e Borgognoni
come vassalli, trasformando così completamente •1407: Guerra civile
•1420: Pace di Troyes - Enrico VI erede al trono di Francia
i rapporti tra la corona e la nobiltà regionale. •1422: Enrico VI e Carlo VII competono per il trono francese
Questo episodio accrebbe il monopolio del re •1429: Carlo VII incoronato re
•1453: Fine Guerra dei Cent'anni
sulla nobiltà, rafforzando di molto lo Stato,
•1461: Luigi XI
tuttavia dimostrava come la società francese si •1498: Ultima annessione: la Bretagna
poggiasse ancora su alleanze dinastiche, tanto
che solo grazie a matrimoni e successioni si
riuscirono ad annettere al regno le regioni più distanti della Francia tra il 1460 ed il 1490.
STORIA MEDIEVALE LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO POLITICO DEI REGNI EUROPEI
89
Inghilterra
Dopo il lungo regno di Edoardo I, i suoi successori misero immediatamente in mostra la debolezza strutturale
della monarchia inglese:
→ Incapacità di finanziarsi
→ Eccessiva importanza dei baroni
→ Eccessiva importanza del Parlamento
Nel corso del XIV secolo la monarchia inglese vide una successione molto veloce di diversi sovrani che vennero
uccisi o deposti:
→ Edoardo II – imprigionato e deposto nel 1327
→ Edoardo III – Impiegato nella guerra con la Francia
→ Riccardo III – costretto ad abdicare nel 1399
A questo poi, si devono aggiungere quei periodi, anche molto lunghi, in cui non c’era un vero e proprio re alla
guida della nazione, ad esempio tra il 1420 ed il 1440 quando un reggente prese il posto di Enrico VI in quanto
ancora bambino: il riempimento di questo vuoto fu l’oggetto di contesa di due poteri molto forti, il Parlamento
e la nobiltà militare rappresentata dai Grandi.
Per tutto il Trecento il Parlamento assunse il ruolo di vera e propria guida del potere regio, cercando soluzioni
ai problemi finanziari del regno proponendo nuove tassazioni e quindi nuovi gettiti fiscali o intervenendo sui
tetti salariali; si occupò anche di giustizia, ad esempio quando nel 1353 si oppose alle giurisdizioni dei tribunali
ecclesiastici. Fu un periodo glorioso per il parlamento, ma insufficiente a garantire stabilità dato che i baroni
agivano su due fronti, sia al suo interno che come signori locali con al seguito eserciti di cavalieri assoggettati
ad un contratto di tipo semifeudale. Effetto di questa situazione fu un frazionamento del regno in tanti ducati
semi – indipendenti in lotta tra loro per la conquista della corona.
Nel 1453 questo scontro si focalizzò tra due nobili famiglie molto importanti, i Lancaster e gli York, che sfociò
nella Guerra delle Due Rose (entrambe le famiglie avevano una Rosa nel loro simbolo) che si concluse solo nel
1485 con l’ascesa al trono della dinastia Tudor con Enrico VII, parente di entrambe le famiglie quindi soluzione
di compromesso.
l’unità dell’Inghilterra era ormai seriamente compromessa perché a nord le guerre con la Scozia si erano
rivelate un buco nell’acqua dato che non risolsero le questioni in modo definitivo, mentre a sud tutti i territori
francesi erano andati perduti con la Guerra dei cent’anni.
STORIA MEDIEVALE LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO POLITICO DEI REGNI EUROPEI
90
Spagna
Come nel resto d’Europa, anche in Spagna la lotta per il possesso della corona portò al cambiamento di alcune
linee dinastiche, in particolar modo in Castiglia dove ogni successione rappresentò un problema dato che sia
quella di Alfonso X che quella di Alfonso XI furono contestate.
Un discendente dell’importante casata di Trastàmara, Ferdinando I d’Aragona, riuscì a salire sul trono
d’Aragona, lasciando al figlio Alfonso V d’Aragona il Regno di Napoli che ora comprendeva anche la Sardegna,
sottratta ai francesi.
La struttura dei singoli regni era molto differente e molto lontana da una vera e propria unificazione politica;
in tutti i regni le corone si dovettero scontrare con importanti assemblee rappresentative, dette Cortes, che
però cambiavano molto nei vari regni:
→ Castiglia: qui le Cortes non comprendevano i nobili ma solo rappresentanti della varie città, i letrados,
che avevano trovato una strada per accrescere la propria posizione sociale nel rapporto col re,
diventandone così i principali sostenitori
→ Catalogna ed Aragona: le Cortes rappresentavano i 3 poteri del regno: Chiesa, Nobiltà e Città, quindi
avevano un’influenza molto rilevante su governo e finanza, quindi i re dovevano rivolgersi a loro
praticamente per qualsiasi cosa.
In più, le Cortes crearono delle istituzioni permanenti, dette Deputazioni, che controllavano e talvolta
amministravano direttamente tutta la politica del regno.
Le corone di Castiglia ed Aragona, alla fine, si unirono per via matrimoniale nel 1469 quando Isabella di Castiglia
sposa Ferdinando d’Aragona, erede al trono.
Nonostante ciò, la famiglia Asburgo riuscì ad accedere alla corona imperiale nel 1438
con Alberto d’Asburgo: capostipite della dinastia imperiale, lasciò il trono nel 1452
al cugino Federico III, e questi al figlio Massimiliano I, considerato il fondatore
dell’Impero asburgico, nel 1493.
In queste circostanze era particolarmente difficile che un Imperatore riuscisse a
riformare i ducati dando loro una metodologia di governo uniforme ed uguale per
tutti, già nel 1495 la Dieta di Worms cercò di fondare un tribunale imperiale che fosse
superiore ai singoli diritti locali, ma date le numerose lamentele questo non prese
mai di fatto servizio: l’Impero era ancora diviso tra corona e principi, come dimostra
il simbolo dell’aquila a due teste.
Europa dell’Est
Il Regno di Boemia era strettamente legato all’Impero dato che il suo re era un principe elettore.
Il Regno di Ungheria è generalmente fatto iniziare in occasione della conversione di re Stefano, costantemente
conteso da dinastie locali, si univa a momenti alterni con Boemia e Polonia.
La Polonia si unì con il ducato di Lituania sotto la dinastia degli Jagelloni.
Anche se apparentemente questi tre regni percorrevano strade differenti, storicamente sono molto unite tra
loro dato che le complesse trame dinastiche le legarono prima con i principi europei, tedeschi e francesi in
primis, poi tra di loro con interessanti sperimentazioni di governo: Ungheria e Boemia si unirono prima grazie
ai figli di Carlo IV di Lussemburgo, poi grazie il re ungherese Mattia Corvino; si unirono sotto un’unica corona
tutte e tre sotto la dinastia polacca degli Jagelloni.
Tutte queste unioni furono possibili solo perché i loro re accettarono la possibilità di cedere parte del proprio
potere regale ad una persona estranea al regno. In tutti e tre i casi la nobiltà era divisa in due grossi strati:
→ Un livello molto alto, composto da magnati economici, cavalieri e latifondisti
→ Un livello inferiore, fornito da piccola e media nobiltà
Il sovrano aveva quindi solo una piccola funzione sovralocale, ben lontano dall’utopia di uno stato
centralizzato.
La predicazione del sacerdote riformatore boemo Jan Hus divise il regno in due: da una parte c’erano la Dieta
e la città di Praga che difendevano le teorie del hussite, e la Moravia, guidata da Sigismondo, che le
condannava. Questa spaccatura portò a 17 anni di guerre civili che terminarono solo nel 1436 quando
Sigismondo riconobbe la Chiesa Hussita.
La costituzione di un nuovo regno, la cui estensione andava dai confini imperiali alle regioni balcaniche,
influenzò di molto i limiti territoriali dell’Europa orientale, dando vita a quello che diventerà il potente regno
Ottomano. Nato da uno dei numerosi emirati presenti nella penisola anatolica, era composta da un’élite
nomade e militare che si fece strada ad occidente con finalità commerciali, staccandosi dal dominio islamico
pur mantenendo la sua fede musulmana. La sua espansione fu inarrestabile, tanto che nel 1453 prese Bisanzio,
sotto Maometto II, facendone la sua capitale; presto oltrepassarono i Dardanelli, conquistando tutta la
Macedonia, la Bulgaria e parte del regno di Ungheria.
Il caso italiano: gli Stati regionali dal XIV alla fine del XV secolo
Formazioni regionali
Grandi Stati regionali Regioni meridionali,
sotto regimi
principeschi inserite in altri regni
repubblicani
• Ducato di Savoia, tra • Repubblica di Venezia • Sicilia, sotto gli
Piemonte e la Savoia (Veneto e Friuli) Aragonesi
• Stato dei Visconti, tra • Repubblica di Firenze, • Regno di Napoli, Sotto
Lombardia, Piemonte comprendente quasi gli Angioini fino al
ed Emilia tutta la Toscana 1442, poi sotto gli
• Stato estense, con • Repubblica di Genova Aragonesi
Ferrara come capitale, (Liguria)
si estendeva tra Emilia
e Romagna
• Stato della Chiesa, tra
Lazio, Marche, Umbria
e Romagna
Tutte le regioni italiane, durante il XIII secolo, andarono incontro ad un processo di definizione fatto di
ricomposizioni e nuove divisioni: se da un lato molte città si unirono tra loro, dall’altro questa pluralità di regioni
non aveva nessun tipo di guida sovranazionale dato che né il papa, né l’Impero riuscirono ad unificare un centro
di comando.
La situazione italiana era quindi profondamente diversa dal resto d’Europa dato che qui non era pensabile
riunire tutti sotto un unico regno, ma c’erano tanti piccoli Stati autonomi che univano delle città in formazioni
nuove.
La prima generazione di signorie erano semplici dominazioni personali che necessitavano di forte consenso
dal basso per sopravvivere, denotando così un atto di forza accompagnato da un’implicita debolezza:
→ Aperta deformazione del quadro istituzionale comunale
→ Necessità di ricorrere a qualsiasi forma di legittimazione esterna al proprio potere
questa contraddizione è comune in particolar modo nelle prime signorie settentrionali: un esempio concreto
ci viene fornito dall’esperienza estense a Ferrara, la cui autorità era superiore a quella dei consigli cittadini, il
che permetteva loro di modificare gli statuti in qualsiasi momento secondo la propria discrezione. Questo
potere, però, era conferito da una legittimazione la cui provenienza era ininfluente, poteva infatti trattarsi di
un’acclamazione della nobiltà o, più frequentemente, della votazione di un’assemblea plenaria dei cittadini.
Neanche i Visconti, probabilmente i signori più importanti e potenti del XIV secolo, fecero eccezione. Nel
tempo, con la forza o con patti concordati, sottomisero tutte le città lombarde più importanti e i principali
centri urbani piemontesi presentandosi come restauratori dell’ordine contro gli strappi delle guerre civili. Le
promesse viscontee andavano oltre la retorica, tanto che lo statuto di Bergamo, preparato per un’alleanza col
re di Boemia, fu prontamente aggiornato per riadattarlo ai Visconti che ormai apparivano come “coloro i quali
interrompono le guerre”: il fine della politica cambia, non è più il bene comune, ma il concetto di Buono Stato
di Giovanni e Luchino Visconti, che ora si arrogavano il diritto di governare, giudicare e legiferare.
Questo diritto, tuttavia, non aveva alcun fondamento giuridico dato che i signori non erano assolutamente dei
re, infatti qualsiasi giurista dell’epoca considerò quantomeno forzata la teoria secondo cui il loro potere
derivasse direttamente da un mandato popolare. Questa esagerazione sottolinea quanto fosse importante
una forma di legittimazione.
STORIA MEDIEVALE LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO POLITICO DEI REGNI EUROPEI
93
Dato che, nella maggior parte dei casi, questo risultato si riusciva ad ottenere solo con mezzi coercitivi, quasi
tutti i signori sono in realtà veri e propri tiranni.
Da un punto di vista più politico, la costruzione degli Stati regionali andò ovunque per gradi; un tratto comune
fu l’acquisizione di nuovi territori per blocchi separati provenienti da contrattazioni tra signori per entrare a far
parte di un dominio
Savoia
Fu probabilmente il principato che conservò più a lungo la sua
forma originaria, comprendente il Piemonte e la Savoia. Solo
nel 1418 fu possibile annettere il Principato di Acaia che
comprendeva Torino e il Piemonte al ducato di Savoia posto al
di là delle Alpi.
Venezia
La formazione del ducato veneto si estendeva la dominazione sulla terraferma in un’area che comprendeva
città molto importanti come Verona, Vicenza, Padova e Treviso. Lo statuto cittadino fu rispettato e lasciato
inalterato dalla nuova repubblica, in questo modo si creò un governo condiviso in cui l’ordine locale era affidato
alle oligarchie cittadine poste sotto il controllo di un rettorato veneziano che risiedeva in città senza interferire
mai nelle decisioni.
Firenze
Dopo lunghe guerre, lo Stato fiorentino arrivò ad inglobare i territori di Pistoia, Pisa e Arezzo che persero il
controllo dei loro contadi in favore di governatori nominati da Firenze: la carica di podestà in questi territori
era generalmente vista come il primo passo nella carriera politica dei giovani provenienti dalle famiglie
oligarchiche fiorentine.
In tutti gli Stati, l’impianto burocratico centrale crebbe enormemente dando vita a nuovi organismi come la
cancelleria principesca, i segretari, camere dei conti che gestivano le finanze di ogni singolo stato. La presenza
di personale tecnico borghese riuscì a creare nuove pratiche di governo che razionalizzavano le varie
amministrazioni. I progressi ci furono, ma il processo fu veramente molto lungo: solo nel 1355 le decisioni dei
Visconti divennero legge per tutto il loro dominio, e addirittura solo nel 1395 venne riconosciuto il titolo di
principe a Gian Galeazzo e allo Stato visconteo la dignità del ducato.
Il punto vitale di tutti gli stati signorili era sempre lo stesso: la capacità del signore di garantire un rapporto
diretto ed immediato tra il centro decisionale e tutte le comunità, rurali o urbane, presenti nel dominio. Questo
era possibile solo tramite un sapiente utilizzo di esenzioni, privilegi e patti che univano i diversi soggetti
nell’intricato sistema statale. Il livello di autonomia delle città fu quindi ovunque molto elevato dato che il
governo centrale si assicurava il controllo su qualsiasi decisione politica tramite l’invio di suoi rappresentanti
da affiancare ai governi cittadini che comunque mantenevano le prerogative decisionali.
Questo rapporto non era sempre idilliaco, a spesso sfociò in conflitti tra le città e i territori circostanti che si
manifestavano tramite lamentele al signore da parte del contado per le oppressioni subite dalle città, richieste
di esenzioni o suppliche varie. Alcuni centri molto piccoli chiesero addirittura una vera e propria sovranità,
dimostrando in questo modo quanto fosse imperfetta la sottomissione del contado e quanto invece
contassero ancora i vecchi privilegi individuali: tutte le signorie locali rivendicarono una piena autonomia sui
territori di loro pertinenza.
I Visconti, i Savoia e la Chiesa furono molto generosi in questo senso, concedendo molti diritti feudali alla nuova
generazione di principi, lasciando tuttavia intatto tutto il loro prestigio; questi atti avevano infatti una duplice
funzione:
1. Riconoscere poteri signorili sul territorio che non potevano contrastare
2. Far riconoscere ai nuovi principi la supremazia politica del loro signore
Il sistema funzionava perché comprendeva tutte le realtà dello Stato con cui poteva relazionarsi in modi
differenti a seconda delle pretese, della forza e soprattutto dell’utilità di ognuna di esse. L’anello debole era il
potere centrale che aveva comunque bisogno di legittimità e soprattutto di continuità politica, elemento non
sempre raggiungibile a causa delle successioni non sempre ben definite.
Questo problema in teoria non avrebbe dovuto riguardare i territori dell’Italia meridionale: Regno di Napoli e
Sicilia. Le strade dei due territori si separarono quando, dopo i Vespri siciliani del 1282, la Sicilia passò sotto la
corona aragonese che cominciò subito una politica di profonda valorizzazione del territorio investendo i baroni
di privilegi, esenzioni e soprattutto compiti di autogoverno. Le frequenti crisi dovute all’instabilità dinastica dei
baroni portarono velocemente al potere 4 vicari che si spartirono l’isola.
Un problema molto simile si verificò anche nel regno di Napoli posto sotto la dominazione angioina quando,
dopo la morte della regina Giovanna, la successione fu contesa dagli Angiò di Provenza e gli Angiò – Durazzo.
La lunga guerra che ne derivò si spostò nel 1442 in Aragona dove il re Alfonso il Magnanimo sconfisse gli
Angioini e unì il regno alla corona Aragonese, unificando così tutto il Mediterraneo occidentale sotto il suo
dominio. I baroni italiani godevano già di ampi privilegi, che furono riconfermati ed aumentati nel 1443 da
Alfonso che concesse anche diritti feudali che li trasformarono in veri Stati regionali. Fu in questo contesto che
emerse la figura di Orsini, principe di Taranto, che riuscì a costruire un enorme dominio che comprendeva gran
parte della Puglia e della Basilicata. Il suo vero obiettivo era quello di ottenere una totale indipendenza dal
regno, riuscendoci solo in parte quando ottenne, nel 1462, il diritto di non prestare omaggio al re Ferrante
d’Aragona, ma alla sua morte, l’anno seguente, lo stesso re si riprese tutto il principato.
Anche gli stati repubblicani conobbero periodi di forte instabilità, a Firenze, ad esempio, dopo aver
formalizzato il dominio sui territori e sulle città soggette, l’oligarchia che controllava le Arti cerco di riformare
completamente la Repubblica. Nonostante le dure resistenze, nel XV secolo le cose iniziarono a cambiare
quando la nuova classe politica cominciò a dare molto più peso alla tenuta dello stato che non a quella della
repubblica: un’élite rivendicava l’autonomia politica, formando così un vertice ristretto che prendeva le
decisioni affermando una vera e propria oligarchia. Riuscirono in quest’impresa soprattutto grazie
all’istituzione del Monte delle prestanze, un istituto che stabilizzava il debito pubblico dello stato comprandolo
e ricevendone gli interessi.
Questo stesso sistema era in uso anche a Genova e Venezia che potevano contare su uno sviluppo economico
incredibile dovuto all’estensione dei loro domini coloniali, volti al commercio con l’Africa e le isole dell’Egeo.
Proprio a Venezia le istituzioni si resero conto che era necessario stabilizzare il governo, optarono così per un
capo supremo con una carica vitalizia, il Doge, il cui potere era bilanciato da numerosi consigli ristretti.
L’attenzione a questi equilibri fece del modello veneziano un sistema perfetto dato che nessuna istituzione
aveva un controllo sulla vita pubblica superiore rispetto agli altri; dal 1297 in poi, vennero individuate le famiglie
più prestigiose i cui nomi furono inseriti in un elenco fisso da cui dovevano uscire i consiglieri: solo i discendenti
di queste famiglie potevano accedervi.
innato doveva generare nel sovrano un amore profondo per il proprio popolo, che avrebbe ricambiato con lo
stesso amore, generato dalla correttezza del re verso di loro.
Tutte queste virtù religiose collegate al re si tradussero ben presto in veri e propri poteri.
Protezione dei
Fondamenti
poveri e dei Misericordia Amore verso il re
celesti del regno
deboli
Rafforzava l'immagine
Rafforzamento della Celebrazione della sua
Potere di Grazia della monarchia come
giustizia pubblica superiorità
guida della nazione
il re poteva modificare
le pene imposte dai
giudici ed ascoltare le
suppliche
Queste figure erano fondamentali anche perché non si limitavano ad un aspetto puramente formale, ma
diventavano veri e propri sostenitori della monarchia, difendendone le prerogative e imponendo la giustizia
del re, nel caso anche con metodi violenti.
In questo modo, l’apparato burocratico divenne il metodo principale di ascesa sociale, i nuovi bisogni
moltiplicarono i posti disponibili che divennero così aperti a chiunque avesse l’alfabetizzazione di base
necessaria per svolgere le mansioni. Fece da acceleratore in questo senso la rapida diffusione di scuole ed
università che permisero a Francia, Inghilterra e Spagna di formare internamente tutti i burocrati di cui avevano
bisogno e che diventarono anche merce di scambio, dato che i re rendevano disponibili queste figure ai signori
con cui avevano contratto debiti.
I debiti della corona, infatti, aumentavano vistosamente dato che i sovrani avevano continuamente bisogno di
enormi quantitativi di denaro, e non sempre i prelievi nei feudi erano sufficienti ad alimentare questa necessità.
Non esistendo un vero e proprio sistema di prelievo, nel Trecento i costi delle guerre costrinsero i sovrani a
riformare tutta la politica fiscale, che divenne così il punto cardine di ogni trasformazione all’interno dei vari
regni.
La fiscalità si basava su due tipi di imposte:
→ Indiretta
→ Diretta
Quella Indiretta era composta da imposte applicate a beni messi prodotti o di consumo che ricadevano
direttamente sui consumatori in modo indistinto, colpendo così in particolare i redditi più bassi; quelle Dirette,
invece, erano tasse straordinarie che si applicavano direttamente sui beni dei singoli individui in qualità di
contributo individuale al principe: una volta definita la somma necessaria, i consigli cittadini la ripartivano tra i
vari abitanti seguendo un principio proporzionale basato sulla ricchezza dei singoli individui, censita in catasti
appositamente compilati. In teoria questa tassazione avrebbe dovuto colpire solo i ceti più ricchi, in realtà le
divisioni erano sempre fatte in modo molto approssimativo, scatenando così molto spesso delle rivolte o
numerosi tentativi di occultamento dei beni.
L’imposizione finanziaria, comunque, aveva anche importanti finalità politiche perché aprì la strada a due
diverse riflessioni:
1. In base a quale potere il re poteva imporre delle tasse?
2. Quando il consenso dei sudditi era necessario, e quando invece no?
Entrambe le domande affrontavano la questione della natura del potere regio.
La libertà di imporre tasse rendeva il potere del re assoluto perché poteva decidere indiscriminatamente del
bene dei propri sudditi; chiedere loro il consenso, invece, significava ammettere che il potere del sovrano era
in qualche modo limitato da quello dei cittadini.
Nella corte francese le teorie assolutiste erano molto ben radicate e quindi giustificarono immediatamente gli
abusi regali; al contrario, in Inghilterra ogni singola richiesta veniva esaminata con attenzione. Come
conseguenza di queste numerosissime richieste, in Francia si sviluppò un’importante filone letterario
riguardante il concetto di libertà naturale del popolo, risalendo addirittura all’etimologia stessa del loro nome:
Franco significa Libero dal tributo, e viene fatto risalire al periodo in cui i troiani fondarono la Gallia per alienarsi
dai tributi romani. Rimedio proposto da Mézières, intellettuale di corte, fu quello di convocare gli Stati Generali
per rimettere in discussione tutti i diritti e doveri del popolo: solo col dialogo, infatti, era possibile ricostituire
un regno libero che generasse amore nei confronti del sovrano, la salvezza del regno, dipendeva dal consenso
del popolo.
Presto, quindi, si presentarono contratti d’affitto nuovi e sperimentali che divennero molto più brevi causando
reazioni traumatiche. Grazie a termini più brevi, infatti, era ora possibile ridiscutere il canone d’affitto molto
più frequentemente e, soprattutto, era molto più facile riappropriarsi delle proprie terre; questo permise una
maggiore mobilità dei contadini, ma il lavoro diventava molto più precario.
Per quanto riguarda l’esperienza italiana, le novità principali si ebbero in quelle zone più densamente popolate
da cittadini dove si sperimentarono le prime forme di Mezzadria, un affitto a breve termine che prevedeva
come pagamento la divisione dei prodotti della terra in parti uguali tra contadino e proprietario.
Questo sistema finì col ridisegnare completamente il rapporto sociale dato che condizionava pesantemente la
dimensione della famiglia (più era grande, più braccia potevano lavorare) e gli insediamenti popolari (ogni
podere aveva ormai almeno una casa). Nel corso del Duecento, poi, aumentarono molto gli obblighi del
conduttore nei confronti del padrone:
→ Doveva partecipare all’acquisizione di sementi col padrone
→ Doveva calendarizzare la produzione
→ Assicurare il mantenimento ed il miglioramento della produzione
La Mezzadria arrivò ad assumere caratteri decisamente stabili che conservò per tutta l’epoca moderna e buona
parte di quella contemporanea (in Italia fu abolita solo poco più di 50 anni fa). Per moltissimo tempo, tutta la
letteratura disegnò un rapporto meraviglioso tra i proprietari ed i mezzadri, ma si trattava sempre di scritti
riportanti il punto di vista del padrone dato che i vantaggi morali ed economici erano vere e proprie eccezioni:
i padroni erano eccessivamente presenti nella vita dei contadini e non si è mai tenuto conto del processo di
indebitamento dei contadini poveri che, non potendo permettersi le spese iniziali per recuperare sementi ed
animali, erano costretti a chiedere finanziamenti al padrone.
Anche in Europa ci furono molti cambiamenti in questo senso: in Europa occidentale iniziava a scomparire la
figura del servo, in particolar modo in Inghilterra ed in Spagna i re resero illegale quest’usanza in favore di
contratti d’affitto, anche perché i proprietari non avevano più il tempo di gestire i propri possedimenti, quindi
ora vivevano dei proventi delle loro terre e si limitavano a controllare la corretta spartizione dei prodotti.
Tutte queste riforme portarono ad importanti fenomeni di mobilità contadina dato che le nuove culture
specializzate richiedevano molta manodopera, specialmente nelle zone ad alta produttività come la Pianura
Padana.
non difendere il paese. In campagna distrussero abitazioni e castelli, mentre in città Marcel pensò di poter
approfittare anche di questa rivolta ma, senza il sostegno della borghesia, fu sopraffatto dalla rivolta e morì
negli scontri.
In Inghilterra, invece, una rivolta simile si scatenò nel 1381: partì dalla campagna contro una tassa detta Polltax,
e al suo arrivo a Londra fu accolta ed amplificata da clero e cittadini che riuscirono facilmente a prendere i
palazzi della nobiltà e mettendo il re nella condizione di dover trattare necessariamente l’abolizione della
servitù.
È molto difficile riuscire a determinare il livello medio di vita dei salariati perché un aumento dello stipendio
non corrispondeva necessariamente ad un reddito più alto, dato che questo dipendeva principalmente dal
potere d’acquisto della singola persona: all’aumento dei salari, corrispose un graduale aumento dei prezzi dei
beni di prima necessità, Abiti, Cibo, Abitazioni.
In tutto il medioevo non è ai esistita una netta distinzione tra poveri e non poveri dato che le condizioni di vita
si modificavano, anche notevolmente, nelle diverse generazioni: lo stesso salario che aveva fatto la fortuna del
padre poteva, infatti, non essere sufficiente al figlio per mantenere la sua famiglia. Assieme a queste
differenze, poi, bisogna necessariamente considerare variabili imprevisti che cambiavano completamente le
carte in tavola: negli anni buoni era possibile acquistare qualche vestito e variare la dieta più spesso, magari
acquistando della carne, tutte spese inutili che venivano eliminate immediatamente alla prima variazione delle
condizioni economiche della famiglia.
La carità divenne un vero e proprio dovere civico che doveva essere diretto dalle varie opere pie riconosciute
dalla Chiesa: tutte le donazioni dovevano infatti arrivare qui, in modo che queste opere potessero redistribuirle
solo tra i degni, ossia coloro i quali potevano rappresentare una risorsa per la città compensando quanto
ricevuto col lavoro, gli oziosi non meritavano aiuto.
Per gli esponenti laici, poi, aiutare i poveri aveva anche la funzione civica di evitare che orde di mendicanti
circolassero liberamente in città; per questo motivo Filippo VI ordinò che chiunque fosse rimasto in città senza
fare niente per più di tre giorni doveva necessariamente essere allontanato.
Si evidenzia qui un ulteriore carattere della Chiesa già accennato più volte: la ricchezza non era considerata
immorale, a condizione però che fosse usata bene. L’accumulo di beni era indice di avidità, il peccato
antieconomico per antonomasia giacché impediva la circolazione del denaro e delle risorse immobilizzando
capitali che così non potevano fruttare nulla. Questi quindi andavano rimessi in circolazione tramite donazioni
ai più poveri, e gli arbitri in questo senso non potevano che essere gli uomini ecclesiastici.