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Lingue romanze – lingue derivate dal latino con l’espansione dell’Impero Romano.
L’area in cui vengono parlate si chiama Romània.
Romanzo – avverbio latino romanice, riferito al romanice loqui opposto al latine loqui.
Si distinguono 9 lingue: portoghese, spagnolo, catalano, provenzale, francese, italiano, sardo, ladino,
romeno. La 10 sarebbe il dalmatico, ma l’ultimo parlante è morto nel 1898.
Friedrich Diez inizialmente ne isolava solo 6, escludendo catalano, sardo e ladino per la poca influenza
politica e culturale rispetto alle altre lingue.
Le lingue romanze vengono raggruppate in 5 famiglie:
-balcanoromanzo: romeno e dalmatico;
-italoromanzo: italiano e sardo;
-retoromanzo: friulano, ladino, romancio;
-galloromanzo: francese, francoprovenzale, occitano;
-iberoromanzo: catalano, spagnolo, portoghese.
Molte lingue romanze hanno parlanti anche al di fuori delle frontiere classiche, a causa della colonizzazione
di Vecchio e Nuovo Mondo da parte delle popolazioni della Romània; diffondendosi in altri continenti,
nasce quella che viene chiamata Romània nova distinta da quella antiqua.
In questi casi si parla spesso di lingue creole, le quali nascono in situazioni particolari, come la tratta degli
schiavi. Un pidgin è una lingua senza parlanti nativi, ma impiegata in ambiti professionali, come il
commercio. Quando un pidgin diventa lingua madre in una comunità si parla di processo di creolizzazione,
ovvero la formazione di una lingua creola. In Romània nova vi sono varietà linguistiche che spesso
assumono una struttura morfologica diversa da quella originale.
Esiste anche una Romània submersa, un’area in cui, nonostante facesse parte dell’Impero, il latino è stato
soppiatato da altre lingue, perlopiù germaniche o slave (es. Vallo di Adriano).
Le lingue italiche dovrebbero essere arrivate nella penisola intorno al secondo millennio a.C., contenenti
anche l’osco-umbro, i cui esempi si trovano nei graffiti a Pompei e nelle Tavole Iguvine a Gubbio.
Vi erano anche altre varietà linguistiche, come greco, celtico ed etrusco.
Il latino in origine veniva parlato solo nella zona laziale, si diffuse poi gradualmente in un’area più vasta.
Il confronto fra le lingue romanze trova molte forme derivate da un latino che non coincideva con la lingua
“classica” tipica di Cicerone e Virgilio. La linguistica comparata rivela delle differenze tra il latino
tramandato dalla letteratura e quello basico utilizzato dai parlanti delle lingue romanze.
Si distingue dal latino classico il latino volgare o protoromanzo, considerato in qualche modo scorretto.
Secondo il romanista Roger Wright, per sermo vulgaris ci si riferiva alla varietà parlata da tutti, in quanto è
normale che venisse usato uno stile meno formale nel linguaggio quotidiano; nei testi latini tramandati vi
sono esempi di una lingua che seguiva regole della retorica classica.
Conviene usare il termine latino per indicare in generale la lingua dalla quale derivano le lingue romanze.
Alcuni autori utilizzano tratti linguistici regionali o non standard, come lo stile familiare nelle lettere
Familiares di Cicerone. Alcune forme utilizzate da Plauto, nonostante fosse un autore del periodo arcaico,
sopravvivono nelle lingue romanze nonosante siano state rifutate dalla lingua classica.
Petronio nel Satyricon provò a imitare la lingua degli schiavi liberati nella scena della Cena Trimalchionis.
Per il materiale epigrafico, interessanti sono le iscrizioni “private”, le quali non danno indicazioni sulle
diversità regionali del latino. Il quarto volume raccoglie i graffiti di Pompei, testimonianze databili prima del
79 a.C., anno dell’eruzione del Vesuvio.
Alcuni testi vengono definiti “pratici”, come il trattato di architettura di Vitruvio, contenenti uno stile più
gergale e meno formale, privo di velleità letterarie.
Le prime comunità cristiane erano formate dagli strati più bassi della società, e spesso non erano neanche
di origine romana. Lo stile utilizzato dai testi religiosi era dunque più semplicistico e meno formale, per
veicolare il messaggio. Le prime traduzioni della Bibbia, dette come insieme Vetus Latina, usano una lingua
con diversi scarti dalla norma “classica”. Verso il IV secolo, autori come San Girolamo e Sant’Agostino
useranno in parte una retorica più complessa, perché la lingua del cristianesimo non doveva essere
inferiore. Una testimonianza importante è quella su un viaggio in Terra Santa noto come Itinerarium
Egeriae; l’autrice lascia trapelare la propria cultura dallo stile del racconto, ma la lingua utilizzata usa una
morfologia, lessico e sintassi più vicini al romanzo che al latino classico.
Dopo la caduta dell’Impero d’Occidente viene meno il modello linguistico romano e la lingua scritta si
discosta sempre più dalle norme classiche, in quanto non venivano più insegnate o praticate.
La distinzione di lunghezza era una distinzione fonologica, la vocale lunga e quella breve costituivano due
fonemi diversi. Il fonema è la più piccola unità in cui si può dividere una parola, è privo di significato da
solo, ma la sua sostituzione può cambiare il significato della parola. In latino, la sostituzione di una vocale
breve con una lunga ne cambiava il significato o la funzione grammaticale. La distinzione funzionale nelle
lingue romanze si basa sul grado di apertura delle vocali, di qualità e di timbro. Tale distinzione implica un
cambio nel sistema fonologico. Nel sistema fonologico del latino era importante la struttura della sillaba;
per capirla bisogna far riferimento alle onde sonore che partono dagli organi fonatori, e al concetto di
volume acustico che dipende dalla pressione espiatoria impiegata dall’articolazione del suono.
In latino esisteva una regola secondo la quale nei polisillabi l’accento doveva cadere sulla penultima sillaba
se lunga, e sulla terzultima se la penultima era breve. Nei bisillabi era obbligatorio porre l’accento sulla
penultima sillaba.
ACCENTO. Una trasformazione con ripercussioni sul vocalismo tonico è la modifica del tipo di accento.
Sembra che inizialmente l’accento latino fosse un accento tonico, ovvero un accento melodico che
prevedeva un innalzamento della voce. Con il tempo diventa un accento d’intensità, il che comporta un
allungamento della sillaba tonica, confondendo la distinzione di durata delle vocali toniche.
In latino vi erano delle regole sulla posizione dell’accento in base alla struttura della sillaba e alla lunghzza
della parola. La sillaba che porta l’accento tonico rimane immutata anche quando il numero delle sillabe
cambia. Vi sono alcuni casi in cui l’accento latino si è spostato, come testimoniano le forme romanze.
VOCALISMO TONICO. Vi è una perdita della quantità, con la riduzione delle dieci vocali latine a cinque.
Il sistema base delle principali lingue romanze occidentali viene detto eptavocalico, formato da sette vocali
toniche, in cui vi è una distinzione di qualità per le vocali mediane anteriori e posteriori.
Il sistema occidentale è alla base dell’italiano standard (toscano) e di molti dialetti.
Un quarto sistema vocalico è proprio del siciliano e dei dialetti di Reggio Calabria e del Salento, e prevede la
coincidenza delle tre vocali più alte, anteriori e posteriori, in un’unica vocale /i/ e /u/.
Il sistema siciliano è derivato dal sistema occidentale con una convergenza delle vocali toniche alte che fa
coincidere /i/-/e/ e /u/-/o/, fino a giungere a un sistema a cinque vocali.
CAP V, MORFOLOGIA
La grammatica è la parte della lingua che cambia più lentamente, ma in modo più significativo.
Si divide in morfologia, lo studio delle forme o della struttura delle parole, e sintassi, lo studio dei rapporti
nella frase. La morfologia analizza le parole in morfemi, le unità più piccole di una parola ancora dotate di
significato. Il fonema non è portatore di significato.
La morfologia è anche una delle basi su cui sono state poste le classifiche delle lingue; una classifica di tipo
genetico riguarda i rapporti fra le lingue indoeuropee (non si somigliano come fonologia, grammatica o
ordine delle parole) o fra le lingue romanze.
Secondo von Schegel una classifica tipologica sulla morfologia si ditinguevano tre tipi di lingue:
1) Tipo isolante o analitico: tutte le parole sono invariabili e i rapporti grammaticali sono espressi
mediante l’ordine delle parole (es. cinese e vietnamita).
2) Tipo agglutinante: le parole sono costituite da una serie di unità o morfemi, ognuno dei quali ha un
solo significato grammaticale (es. turco e finlandese).
3) Tipo flessivo o sintetico: i rapporti grammaticali sono espressi con la modifica della struttura della
parola, mediante l’aggiunta di desinenze diverse o cambi della struttura interna
(es. latino, greco, arabo).
L’evoluzione dal latino alle lingue romanze conduce da una lingua sintetica a una lingua analitica; il latino fa
comunque uso di preposizioni, unità isolate, per esprimere alcune funzioni grammaticali.
Le lingue romanze fanno ricorso anche alle desinenze nel sistema verbale, non sono completamente
analitiche. Il latino e le lingue romanze vanno viste come due punti lungo una linea che non tocca mai gli
estremi; alcuni considerano le lingue romanze come flessive.
Un cambio linguistico frequente riguarda il passaggio di una lingua con l’ordine sintattico che prevede il
complemento oggetto prima del verbo (OV) a un ordine con il verbo prima del complemento (VO).
Le lingue con l’ordine VO tendono ad avere caratteristiche comuni, come l’uso di preposizioni.
Il latino era una lingua con l’ordine OV, mentre le lingue romanze VO.
L’evoluzione del sistema flessivo può essere visto nel quadro dell’evoluzione della struttura sintattica.
Una delle forze nel cambio morfologico, o grammaticale, è l’analogia, che evidenzia come una serie di
forme faccia parte di un sistema, tende a eliminare irregolarità. Nell’evoluzione si osserva un antagonismo
tra il cambio fonetico, che altera l’aspetto fonico delle forme, e l’analogia, che tende a ristabilire il rapporto
tra le forme e il sistema a cui appartengono.
Il sistema morfologico del latino si articola in tre sottoinsiemi: nominale, verbale e parole invariabili
(avverbi, preposizioni e congiunzioni). Il sotto-sistema nominale e quello verbale presentano forme flesse o
variabili, dette declinazioni per il primo, coniugazioni per il secondo.
Il sistema verbale latino si conserva più intatto del sistema nominale, non vi è la stessa tendenza a
eliminare le desinenze e a sostituirle con altre particelle.
Un fattore nell’evoluzione del sistema verbale è l’analogia, che tende a rafforzare i rapporti nel sistema
contro l’azione del cambio fonetico che talvolta oscura questi rapporti.
Per analogia sarà possibile:
A) Creare verbi nuovi “regolari”, spesso sulla base del supino;
B) Riformare un tempo per eliminare delle irregolarità, che possono essere intrdotte di nuovo a
causa dell’evoluzione fonetica, e portare a ulteriori modiiche analogiche.
Molti verbi che erano regolari in latino non lo sono nelle lingue romanze, come l’indicativo presente e
perfetto, cui l’accento cade sul tema in alcune voci e sulla desinenza in altre; questo porta a un’evoluzione
diversa della vocale del tema quando è tonica rispetto a quando è atona.
La categoria delle parole indeclinabili include tutte quelle parole che hanno una funzione grammaticale,
ma che non hanno parti flessive come i sostantivi o i verbi, non fanno parte di un sistema.
Ci si riferisce a forme come gli avverbi, le preposizioni e le congiunzioni.
Il latino non possedeva articoli. Il dimostrativo, base dell’articolo, poteva precedere o seguire il sostantivo.
L’articolo, da dimostrativo, assume la funzione di marcatore del sostantivo in lingue che non hanno più le
desinenze di caso e occupa la posizione di un prefisso. Il francese ha allargato la funzione dell’articolo come
marcatore del sostantivo, le differenze di numero e di genere si desumono da esso.
In latino il pronome era usato per richiamare qualcosa di già menzionato, per questo si trovava all’inizio
della frase. Le lingue romanze hanno sviluppato una doppia serie di pronomi, tonici e atoni, detti clitici, e
occupano una posizione vicina al verbo al quale sono associati; i clitici tendono a precedere le forme finite
del verbo (lo vedo e non vedolo, proclitico). Gli enclitici tendono a seguire le forme infinite del verbo e
l’imperativo, mantenendo l’ordine VO (vederlo e non lo vedere). Nelle fasi antiche del romanzo la posizione
dei clitici era determinata da quella del verbo, senza distinguere le forme finite o infinite. Nella situazione
moderna la proclisi è più frequente, contraddicendo l’ordine VO.
L’ordine sintattico di base delle lingue romanze è VO; rimane da stabilire dove collocare il soggetto,
dal quale dipende la sua identificazione rispetto all’oggetto. L’ordine normale nella frase è
soggetto-verbo-oggetto (SVO), rispetto all’ordine comune nel latino SOV.
Nelle lingue romanze era normale l’inversione del verbo e del soggetto nelle interrogazioni.
In latino potevano essere espresse da un morfema interrogativo, come avviene ancora oggi.
In assenza di tale morfema, la lingua parlata ricorre all’intonazione per esprimere l’interrogazione, senza
modificare l’ordine sintattico. Un’altra possibilità, in assenza del morfema specifico, è l’inversione.
Le lingue romanze esprimono la negazione come in latino e con l’impiego dello stesso termine non.
Il nucleo di base del lessico romanzo è quello latino, ereditato da quello indoeuropeo.
Una parte del lessico delle lingue romanze è costituito da parole “volgari”, appartenenti a registri stilistici
diversi, meno formali. Spesso sono parole che hanno subito un cambio semantico, come il termine
parabolare “parlare in modo particolare”, scelto in italiano, catalano e galloromanzo; l’uso di questo
termine in alcune aree conferma la teoria che in linguistica storica viene chiamata teoria delle onde
(Schuchardt e Schmidt), che prende come immagine quella di un sasso lanciato in uno stagno, le quali onde
si diradano più ci si allontana dal centro.
La nascita del cristianesimo ha reso necessaria la creazione di termini specifici.
Una grossa parte del lessico di origine latina nelle lingue romanze è frutto di prestiti avvenuti nella storia.
Tali parole vengono definite colte, perché introdotte nelle varie lingue dal latino, lingua di cultura.
Spesso si trovano doppioni simili tra parle colte e popolari.