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03/10/2022

Introduzione: che cos’è la filologia germanica?


La filologia germanica va dalla fine del VII secolo, con le prime attestazioni scritte delle
lingue, e termina circa nel 1500.
La filologia germanica è l’evoluzione nei vari ambiti della storia delle lingue germaniche,
della loro cultura e la loro linguistica, dal germanico comune fino alla fase antica delle lingue
germaniche.
La critica testuale ci riporta al problema di come si fa l’edizione di un testo che non è stato
fatto per la stampa, ma ha una trasmissione manoscritta spesso anonima e lacunosa.
La filologia germanica è una disciplina esclusiva nel sistema italiano: in un paese anglofono
la parte antica della lingua è studiata dagli anglisti; i germanisti si occupano del tedesco
antico.
L’unica intersezione si trova nei paesi anglosassoni e riguarda l’inglese antico e nordico,
qualcuno si occupa di entrambi.
La prospettiva comparativa della filologia germanica per cui prende in considerazione tutte le
lingue germaniche, anche quelle morte (gotico), è un’esclusiva del sistema italiano.

Le lingue germaniche
Il walser è parlato in Valle d’Aosta, nella zona di Gressoney: sono dialetti che si sono
cristallizzati nel tempo grazie alla collocazione molto isolata di questi paesi, erano luoghi
dove non si arrivava facilmente e che derivano dalla migrazione di popolazioni di origine
alemanna che hanno attraversato i monti e si sono fermati lì (parlano italiano, francese e
valdostano).
Esiste un caso analogo con dialetti di origine bavarese, più vicino ai dialetti della Baviera e
dell’Austria, che riguarda la zona di Asiago, e sono i dialetti cimbri.
Nella storia dei goti è presente la figura di Teodorico, re germanico, anche protagonista di
una tradizione letteraria; ci sono una serie di testi ispirati alla storia di Teodorico in Italia (a
partire dal 1300), che lo hanno come protagonista.
Teodorico è venuto in Italia a conquistare qualcosa, mandato dall’imperatore Zenone, anche
se viene presentato come un re esule, che cerca di riconquistare il territorio (questo è un
modo per giustificare la presenza gotica in Italia).
La filologia germanica “anglosassone” si usa per riferirsi alla cultura anglosassone: la
scrittura runica è la prima forma di scrittura dei Germani: abbiamo testimonianza del fatto
che le rune fossero scritte su legno, il bastoncino di faggio dà il nome in tedesco alle lettere
dell’alfabeto.
La legge salica è la prima legislazione scritta germanica e viene citata per la successione,
dava priorità ai figli maschi: è il primo testo giuridico, dalla prospettiva del filologo.
La filologia romanza ha a monte il latino, una lingua attestata, quella germanica ha una
lingua ricostruita, ci si “accontenta” anche di singole parole (ad esempio, la legge salica è
scritta in latino ma contiene parole germaniche).
Le lingue germaniche indoeuropee sono divise in tre rami:

 il germanico orientale, il cui maggior rappresentante è il gotico, che ha una


trasmissione scritta di tutto rispetto paragonata ad altre lingue come il vandalico, che
trasmesse solo in singole parole nei testi latini; per il gotico abbiamo una traduzione
della Bibbia e altri testi più piccoli, quasi tutti di carattere religioso.
 il germanico settentrionale, che corrisponde alle lingue dell’attuale Scandinavia
germanica, quindi lo svedese, il danese e il norvegese con le sue due varianti,
Bokmål (che significa “lingua del libro”) e Nynorsk.
La motivazione storica dietro questo nome risale al basso medioevo, dopo un periodo in cui i
tre grandi regni nordici erano stati uniti sotto un unico sovrano, Margherita I di Danimarca: la
Svezia andò per la sua strada e la Norvegia rimase sottomessa alla Danimarca che otterrà
la sua vera indipendenza nel 1915.
In Norvegia quindi si parla norvegese, ma anche danese, tutte le autorità sono di lingua
danese: la riforma protestante, che ha portato alla traduzione della Bibbia in tutte le case,
ma solo in danese. Nel 1914 ci troviamo in quello che per la Scandinavia è il momento
romantico; ci sono due posizioni contrastanti su cosa fare con la lingua: quella realista che
dice che bisogna tenere il danese, pronunciandolo alla norvegese, ma senza cancellare la
storia (questo ha portato alla variante Bokmål) mentre la posizione più estremista voleva
tornare a come sarebbe stato il norvegese se non ci fossero stati quei secoli di dominio
danese (attraversavano i villaggi più sperduti, dove era più facile che la lingua fosse rimasta
uguale per un norvegese ideale); il Nynorsk non pretendeva uno standard parlato, era
previsto che ognuno abbia la pronuncia del suo dialetto.
Dal 1914 ad oggi queste non sono mai state unificate e tuttora esistono due diverse varianti
del norvegese.
Nel germanico settentrionale c'è anche l’islandese, che è come fosse il “latino” delle lingue
germaniche, perché l’islandese contemporaneo è ancora molto simile a quello del medioevo,
è una lingua che si è evoluta poco dal punto della morfologia e della sintassi; mantiene una
flessione piuttosto complicata, sia per quanto riguarda i verbi che i sostantivi.
Wessén ha scritto la storia della lingua svedese, e ha detto che chi è in grado di leggere il
giornale oggi è in grado di leggere le saghe: questo non è del tutto vero, perché a prima
vista possono essere testi simili ma non prende in considerazione l’aspetto fonetico, anche
se per l’islandese antico si usa la pronuncia moderna per convenzione.
Abbiamo sicuramente un momento in cui si può parlare di islandese antico e moderno, ha
senso parlare anche di un “periodo medio”, ma è qualcosa che la loro ricerca linguistica
nega.
L’altro gruppo di isole sono le Fær Øer, un gruppo di 18 isole nell’Atlantico settentrionale,
appartenenti alla Danimarca: hanno però una lingua propria, il faroese, che ha dal 1848 uno
status di parità linguistica con il danese.
È una lingua che si sviluppa nell’800, con le colonie dalla Norvegia: sono isole molto lontane
dall’Europa, hanno avuto una storia che ha visto il medioevo arrivare fino al 1300, la svolta
per loro è stata nel 1940, quando sono state occupate dalle truppe inglesi; c’erano tutte le
circostanze favorevoli affinché la lingua si estinguesse ma in realtà grazie a una tradizione
orale la lingua è sopravvissuta; nei primi anni del 1900 si è cominciato a usare il faroese a
scuola, prima era vietato.
 il germanico occidentale conta lingue come l’inglese, il tedesco e il nederlandese,
parlato in Olanda e nel Belgio; il frisone, che non esiste come lingua ufficiale (ma
esiste un’accademia del frisone), è parlato nella zona dell’estremo ovest della
Germania.
Presenta delle varianti rispetto al nederlandese: l’afrikaans è la variante parlata in Sud Africa
oltre all’inglese, è una variante coloniale con degli arcaismi, che la accomuna al
Pennsylvania Dutch; è la lingua parlata in alcune comunità religiose protestanti, come gli
amish, che hanno colonizzato alcune regioni.
Esistono studi su queste varianti americane del tedesco, così come esiste una variante più
piccola coloniale del tedesco parlata in California.

La nascita della filologia germanica


La filologia germanica riguarda la “filologia”, termine che viene dal greco: l’amore per il
discorso, per la parola; riguarda l’interpretazione dei testi nelle lingue germaniche dalle
prime attestazioni fino al medioevo ma per fare questo bisogna avere le competenze per
interpretarli correttamente.
Il momento che segna la nascita di discipline come questa è sostanzialmente il periodo
successivo all’epoca romana; prima di tutto ciò ci sono personaggi che possiamo
considerare antesignani: tra questi possiamo citare Tacito che, alla fine del I sec d.C., ha
dedicato un intero trattato dedicato alle popolazioni germaniche “Sull’origine e
collocazione delle popolazioni germaniche”.
Partendo dalle popolazioni note ai romani lui parla dei germani occidentali e ci fornisce una
fonte importante; molto dopo c’è un certo interesse per le antichità germaniche che
ritroviamo in Carlo Magno.
Carlo Magno si dice fosse analfabeta, però aveva un grosso interesse per la tradizione del
suo popolo: il suo biografo Eginardo ci dice che avrebbe fatto mettere per iscritto alcuni testi
poetici pagani molto antichi e che avrebbe fatto iniziare i lavori per la stesura di una
grammatica della sua lingua, il franco.
Non possiamo tuttavia chiamare germanici due personaggi come Saxo Grammaticus e
Snorri Sturluson: Saxo scrive in lingua latina la storia dei danesi, vive attorno al 1200 e nello
scrivere questa storia dei danesi attinge a una serie di fonti di carattere epico, eroico e
antiche tradizioni germaniche; snorri invece è un autore islandese, poeta, compositore di
opere in prosa, uomo politico più o meno contemporaneo di Saxo, che ci ha lasciato due
testi importanti scritti in norreno.
07/10/2022

Autori importanti nella filologia germanica


Per avere una filologia germanica come quella attuale ci vogliono due cose:

 Il metodo linguistico storico-comparativo, l’idea che si possa ricostruire la lingua


negli stadi precedenti sulla base del confronto delle fasi attuali;
 Un metodo di critica testuale che ci consenta di arrivare ad avere edizioni dei testi
in forma manoscritta.
Avremo entrambe le cose nel XIX secolo, a partire dal movimento romantico: fino ad allora
non si può parlare di filologia germanica, anche se c’era stato interesse per queste cose.
Carlo Magno, secondo il suo biografo Eginardo, aveva un interesse per la raccolta di
composizioni poetiche nella sua lingua originaria: questo ha dato impulso alla scrittura di una
prima grammatica del francone.
Due personaggi legati al nord sono Saxo Grammaticus e Snorri Sturluson (XII secolo):
Saxo scrisse la “Storia dei Danesi”, un’opera in nove libri dove la prima parte è improntata
a raccogliere storie delle popolazioni germaniche.
Snorri è una delle personalità più importanti nell’ambito scandinavo, è autore di due opere,
che sono

 “Edda” -> è un manuale di poesia scaldica, di letteratura antico nordica: il termine


“scaldico” deriva dalla parola antico nordica “skàld”, che vuol dire “poeta” e a
differenza dell’altro genere poetico e letterario nordico, completamente anonimi, la
poesia scaldica è d’autore.
Si sviluppa principalmente in Norvegia dal IX secolo, presso le corti dei re e dei personaggi
importanti dove i poeti celebrano il signore che li ospita: ci sono descrizioni di armi, di scene
della mitologia, raccontate in poesia con questo modello della descrizione dello scudo.
Snorri nel XII secolo sente la necessità di scrivere un manuale di poesia scaldica: la figura
retorica più tipica della poesia scaldica si chiama “kenning(ar)”, che è una perifrasi poetica:
le cose, gli oggetti, le persone non vengono mai chiamate col loro nome ma sono identificate
con una perifrasi complicata, con riferimenti a testi precedenti.
Scrive un manuale in tre parti, riflettendo sulla metrica e sulla lingua nordica: nella prima
parte del manuale, quella più discorsiva, per spiegare le kenningar ci racconta ampie
porzioni di mito riferite a questi testi.

 “Heimskringla” (“orbe terrestre”) -> è in prosa e raccoglie saghe dedicate ai re di


Norvegia, a partire dalle origini; Snorri si è occupato molto delle prime fasi di alcune
popolazioni germaniche, soprattutto quelle nordiche.
Intorno alla metà del XV secolo, venne riscoperto il testo latino della Germania (“De origine
et situ Germanorum”) di Tacito: era un testo caduto nel dimenticatoio che, una volta
scoperto riportò ad opera degli umanisti tedeschi, il racconto delle proprie origini fatto da una
fonte latina.
Il momento chiave per un’evoluzione verso una disciplina scientifica è rappresentato dal
romanticismo (‘800): in quest’epoca, a partire dal romanticismo, si lavora sui fronti della
critica testuale.
Il problema dietro a questo è che i testi medievali non ci sono giunti, come i testi moderni, in
una forma unica e ufficiale, ma a volte in forma frammentaria e in condizioni critiche e
questo pone il problema della veridicità del testo.
Lachmann sviluppò un metodo:

 parte dal presupposto che si debba avere davanti a sé tutti i testimoni e sapere quali
sono i testimoni del testo,
 dividendo il testo in “lezioni” (porzioni piccole) bisogna confrontarlo, vedere com’è la
stessa lezione nei vari manoscritti;
 sulla base del giudizio dell’editore si decide quale lezione inserire per quel passaggio
nel testo principale.
Oggi il metodo Lachmann è ancora un punto di riferimento per quanto riguarda la parte di raccolta
ma il centro di questo metodo è diventato il confronto.

All’inizio dell’800 è Friedrich von Schlegel a parlare per la prima volta di grammatica comparativa
e a ipotizzare che ci sia una lingua madre alla base delle lingue europee: identifica questa lingua
madre nel sanscrito (che in realtà nasce dall’indoeuropeo).

Ci si inizia a occupare di confrontare sistematicamente i vari aspetti linguistici e si trovano i punti di


contatto: attraverso questo si è giunti alla ricostruzione dell’indoeuropeo e del germanico comune.

Il germanico comune è la lingua alla base delle varie lingue germaniche nella loro fase antica: in
quest’epoca, questa idea della ricostruzione e comparazione delle varie lingue porta a quello che
viene rappresentato graficamente a partire dall’opera di August Schleicher “Stammbaumstheorie”
(“teoria dell’albero genealogico” -> è l’idea che l’indoeuropeo rappresentasse il tronco da cui si
sono diramate le famiglie linguistiche). Viene spesso detto sui manuali che ci sono tratti comuni tra
gotico e nordico ma c’è un altro aspetto che il modello ad albero non considera, i flussi reciproci delle
lingue: se prendiamo in considerazione alcuni aspetti come il lessico, vediamo che il lessico delle
lingue scandinave nel basso medioevo è influenzato dal tedesco.

Ci sono altri fattori che rappresentano le affinità tra lingue anche di rami diversi: Rasmus Rask e
Franz Bopp, un danese e un tedesco, in epoca parallela entrambi svilupparono un modello
che si occupava della grammatica comparativa delle lingue indoeuropee, anche se nessuno
dei due utilizza il termine “indoeuropeo”, perché Rask parla della lingua nordica islandese e
Bopp parla del sistema di coniugazione del sanscrito comparato con latino, greco, persiano
e lingue germaniche.
Rask non pubblica quest’opera subito (“Ricerche sull’origine della lingua nordica antica
o islandese”), la presenta nel 1814 all’Accademia Reale di Copenhagen ma viene
pubblicata solo nel 1818, ed è quindi successiva a quella di Bopp del 1816.
Nell’opera di Bopp compare per la prima volta il riferimento al consonantismo germanico;
Rask scriveva in danese, quindi era meno popolare di Bopp che scriveva in tedesco.
Un altro nome importante è quello di Jacob Grimm, che è autore della “Deutsche
Grammatik”, che non è una grammatica del tedesco, ma una trattazione scientifica dei
fenomeni linguistici che accomunano le lingue germaniche.
Prende in considerazione fonetica, fonologia e sintassi delle lingue germaniche ed elabora la
legge di Grimm, di cui tuttora si parla; Grimm non fece solo linguistica, ma scrisse anche
un’opera sulla mitologia germanica: con suo fratello Wilhelm nel 1854 inizia a lavorare a
quest’opera monumentale, che è un dizionario storico del tedesco e delle altre lingue
germaniche racchiuso in 16 volumi.
Dopo Grimm, Bopp e Rask comincia, nella seconda metà dell’800, un lavoro di studio
linguistico ad opera di studiosi detti neogrammatici: questi studiosi avevano una
concezione naturalistica della lingua, che secondo loro si evolve come un essere vivente.
Avendo questa idea della lingua regolata da principi sempre chiari ed enunciabili, hanno
elencato tutti i casi particolari ed eccezioni, per cui guardando in questi testi si trova sempre
una risposta.
Sono nate in quest’epoca alcune delle grandi collane, che tuttora sono in uso: la Germania è
il centro da cui si diffonde lo studio di queste cose.
Di questi studiosi fu soprattutto Hermann Paul ad influenzare la filologia germanica con la
sua opera “Compendio della filologia germanica”.
Ci fu uno studio parallelo in Inghilterra ad Oxford, dove venne fondata la “Early English
Text Society” (EETS) perché in Inghilterra si guardava solo all’inglese antico, mentre in
Germania a tutte le lingue germaniche.
Soprattutto nella filologia germanica italiana, che ha una grande apertura all’aspetto
comparativo, è praticamente impossibile che tutti i filologi germanici si occupino di tutte le
lingue; la filologia germanica in ambito universitario è recente, è entrata negli anni ‘30 del
‘900 ed i primi che si sono occupati di testi antichi delle lingue germaniche erano glottologi
con una preferenza per le lingue germaniche.
Piergiuseppe Scardigli per vicende di carriera accademica ha girato diverse sedi e nelle
sedi dove è stato ha fondato una scuola; molti dei filologi germanici attivi oggi sono suoi
allievi.
È autore di studi sulla lingua gotica e longobarda, sul germanesimo in Italia.

10/10/2022

La storia delle popolazioni germaniche


Le prime notizie dei Germani vengono necessariamente da altre popolazioni: ci troviamo un
periodo in cui non siamo nella preistoria, ma i Germani non scrivono ancora; quindi,
dobbiamo affidarci ad altre fonti (si parla di protostoria, in cui abbiamo testi di altre lingue).
Le prime notizie che abbiamo sui Germani si trovano dalle fonti classiche, dal I sec. a.C.: si
parla di popolazioni del nord, che non sempre vengono distinte, a volte vengono
sovrapposte ai Galli, e insieme ai Galli fanno parte dello stereotipo del barbaro dell’Europa
settentrionale, che è caratterizzato come generalmente biondo, fisicamente forte e feroce.
In concomitanza in quel periodo nel corso di un loro spostamento verso sud ovest i Germani
si fanno vedere nei territori abitati dai Celti, lungo il Reno, e i Galli chiedono aiuto a Roma
per combatterli: l’opera di Cesare “De bello gallico” rappresenta una dei primi tentativi di
resoconto dove si parla anche delle popolazioni Germaniche.
L’opera racconta di 3 delle sue spedizioni a nord delle Alpi, però come era tradizione di quel
tipo di trattati etnografici, parla non solo di come sono andate le battaglie, ma anche di chi
sono queste persone (primo tentativo di distinguere i Galli e i Germani).
Non sempre colloca la popolazione correttamente, però da quel momento in poi, da dopo le
opere di Cesare, nell’immaginario del mondo romano comincia a inserirsi l’idea che ci fosse
una popolazione chiamata “Germani”, che si trovava a nord del mondo romano.
Loro pensavano che sotto ci fosse Roma, sopra a occidente i Celti e a oriente gli sciiti;
adesso, in mezzo a questi, i Romani iniziano a immaginare la presenza dei Germani, in
un’area compresa tra la sponda destra del Reno e la sponda settentrionale del Danubio.
In questo territorio tra Reno e Danubio si collocano i Germani (non erano una popolazione
unica o un’entità politica unica); sarà il doversi confrontare col mondo romano (soprattutto in
termini militari) che li spingerà a unirsi, mettere insieme tribù diverse per fronteggiare il
nemico comune.
L’evento in cui vediamo rappresentata questa volontà da parte dei Germani di unirsi per
fronteggiare Roma è la battaglia di Teutoburgo del 9 d.C.: questo è un caso in cui, nella
politica di espansione di Augusto, i Romani provano a estendersi verso oriente, verso l’Elba.
Nel 9 d.C. nel bosco di Teutoburgo, nella Germania settentrionale, le popolazioni
Germaniche (un gruppo), che comprendono diverse popolazioni di cui si hanno poche
notizie, combattono e ottengono una delle più grandi vittorie Germaniche, ma è anche una
terribile disfatta per l’esercito romano: il comandante romano era Publio Quintilio Varo,
mentre dalla parte Germanica c’era Arminio, che ha poi avuto una descrizione leggendaria
(Roma lascerà perdere l’espansione in quella direzione).

Da dove viene il termine “Germani”?


Gli studi più recenti hanno evidenziato come quella più plausibile sia quella di una
eteronominazione, ovvero un nome dato da terzi; è una denominazione originariamente
applicata a una singola tribù, poi si deve essere allargata a molte tribù che condividevano
una lingua simile e che erano in una zona vicina.
Successivamente il termine “Germani” viene usato anche dai Germani stessi, e questo solo
a partire dall’epoca in cui (200 anni dopo) le truppe ausiliarie romane, spesso costituite da
persone di provenienza Germanica, mercenari al soldo di Roma, si trovano stanziate lungo il
Reno.
Un altro aspetto non del tutto scontato è quello della definizione della Germania (territorio
abitato dai Germani): la sconfitta nel 9 d.C. segna la fine da parte di Roma di una politica
espansionistica e di voler portare Roma al di là dell’Elba.
Con Domiziano (80 anni dopo, nel 90 d.C.) questo confine viene allargato: c’è un piccolo
allargamento, vengono annessi territori nella zona del Reno, nella zona di Francoforte;
sempre a quest'epoca risale l’inizio della costruzione del limes ovvero del “confine” tra
Romani e Germani.
Questo è un confine che rappresenta una zona non solo di carattere politico, ma soprattutto
è una zona di mediazione: intorno alla zona del confine (tutto meno che invalicabile)
abbiamo grossi momenti di scambio tra le popolazioni Germaniche e il mondo romano.
La provincia della Germania denominata “Germania superior” è quella a sud, mentre a
nord si trovava la “Germania inferior” (questa denominazione è la base ancora oggi della
distribuzione tra “basso tedesco” e “alto tedesco” dove “basso” va inteso come “piatto, non
montuoso” mentre l’”alto tedesco” è invece quello della zona superiore, elevato sul livello del
mare).
Questo primo confine della zona germanico-retica è leggero, ci sono torri di guardia unite da
palizzate, e poi valli e fossati, In alcuni casi ci sono muri, però è un confine che si estende
per oltre 500 km; non è solo una demarcazione militare, avrebbe potuto essere sfondata
senza difficoltà, ma è un confine di natura politico-economica dell’area non romana rispetto
a Roma.
Roma non cerca più quindi di conquistare militarmente il territorio oltre, ma cerca di farli
amici e dipendenti da sé, per questo decise di estendere la sua influenza oltre il limes e
ottenne forza lavoro per scopi militari con le truppe mercenarie per guardare questi confini.
Queste sono tutte testimoniate dal punto di vista delle parole che sono prestiti dal latino,
entrati quando ancora le popolazioni Germaniche si trovavano nelle vicinanze del limes (per
esempio parole come “street”, “strada”, sono derivate dal latino); un’altra abitudine è quella
di bere vino, che non esisteva nella zona dei Germani.
Sempre in quest’ottica, nella politica di Domiziano, si istituiscono le province della Germania
superior a sinistra del Reno nella parte montuosa, e della Germania inferior a sinistra del
Reno, più a nord: il fatto che nel nome della provincia ci fosse la parola Germania non ci
deve far pensare che fosse abitata solo da Germani, nella Germania superior c’era una forte
presenza celtica.
Al di fuori dell’Impero c’è quella che viene chiamata “Germania magna” o “grande
Germania”, la terra abitata da popolazioni germaniche che è al di fuori dei confini dell’Impero
Romano; queste informazioni ci vengono quasi tutte da fonti latine, in particolare Tacito, nel
“De origine et situ germanorum”, risalente al 98 d.C.
Tacito probabilmente non aveva esperienza diretta, è probabile che basi il suo trattato su
un’opera precedente di Plinio il Vecchio, “De bella Germaniae”, che era uno degli ufficiali
dell’esercito stanziato nella parte settentrionale.

Tacito fa una distinzione delle popolazioni germaniche in tre gruppi:

 Ingevoni
 Istevoni
 Erminoni
Questi nomi vengono dal fatto che Tacito parla di un antico progenitore dei Germani,
chiamato Mannus, che avrebbe avuto tre figli: Ingwi, Istwi e Irmin, da cui sarebbero venute
queste popolazioni.
Questi tre gruppi hanno una loro collocazione geografica: gli Ingevoni sono Germani del
Mare del Nord, gli Istevoni sono Germani del Reno-Weser e gli Erminoni Germani dell’Elba.
Queste popolazioni si sarebbero poi spostate in momenti diversi dalla loro sede originaria: la
sede originaria dei Germani è rappresentata dal territorio che conosciamo, nella parte del
sud della Scandinavia.
Da questo territorio si sarebbero progressivamente spostati in diversi momenti e la prima
popolazione, il primo gruppo di Germani che si sposta da questa zona, è rappresentato dai
Germani orientali, quelli che per primi si spostano verso oriente.
A questo gruppo appartengono una serie di popolazioni: la più famosa sono i Goti, poi
abbiamo anche i Burgundi, i Vandali, i Gepidi, ma anche altre popolazioni come i Rugi, i
Cimbri e i Teutoni, di cui sappiamo dalla storia romana.
I Goti hanno questo nome che compare in forme latinizzate, esiste una attestazione in
gotico, che però si trova in un solo caso e sembra voler dire “uomini”: la fonte storiografica
principale che abbiamo per la storia dei Goti è Giordane, “De origine actibusque Getarum”
(“Sull’origine e vicende dei Goti”).
Giordane è di provenienza gotica e racconta di come i Goti avrebbero lasciato la
Scandinavia intorno alla metà del II sec. a.C. e si sarebbero posizionati nella parte più a
nord del corso della Vistola, dove si erano messi anche i Vandali, che quindi vengono
scacciati e si spostano.
Il nome “Goti” ha fatto pensare a similitudini che troviamo nella geografia che potrebbe
essere indicativa della loro provenienza, tra cui l’isola di Gotland, così come la regione in
Svezia Goetaland (una regione svedese, suddivisa in due zone: orientale e occidentale).
Alla fine del II sec. d.C. si spostano andando verso sud est, attraversano le pianure
dell’Europa orientale e alla fine del terzo secolo li troviamo sulle coste del Mar Nero: qui
entrano in contatto con l’Impero Romano d’Oriente.
In questa fase di spostamento dei Goti abbiamo una divisione in due gruppi distinti, che
sono i Tervingi Vesi (gruppo più occidentale) e i Greutungi Ostrogoti (gruppo più
orientale) che a partire dal ‘400 compariranno con i nomi di Vesi e Ostrogoti.
Con l’opera di Cassiodoro (a cavallo tra la fine del V e l’inizio del VI sec.) compare non più
solo il nome Vesi, ma il nome Visigoti, per analogia a Ostrogoti: “Ostrogoti” è il nome di
maggior trasparenza, sono “i Goti orientali”; questo nome è riconducibile alla parola
Germanica “*austro”, che vuol dire “oriente”; meno semplice è l’interpretazione del nome
“Visigoti”, per contrasto l’altro è il gruppo occidentale.
Una prima spiegazione del nome “Visigoti” è stata data dicendo che “visi” deriva da un
aggettivo Germanico di probabile origine indoeuropea, “visia”, che vorrebbe dire
“occidentale”: l’unica possibile somiglianza sul piano dell’indoeuropeo è rappresentato da
“vesper”, “sera” perché il sole tramonta a occidente la sera, ma è una ricostruzione
complicata.
Un’altra opzione è che sia riconducibile a una radice indoeuropea “vesu”, che vuol dire
“buono, nobile”.
L’ipotesi maggiormente considerata valida è un’altra, quella fatta da Carlo Alberto
Mastrelli, uno dei personaggi italiani che all’inizio della filologia Germanica era tra i primi
studiosi: secondo lui il nome “Visigoti” riprenderebbe un calco slavo di una ipotetica
denominazione presente in gotico, “*alagutos”, che sarebbe stato un posto “ala” (tutto) e
“gutos”, il nome dei Goti.
Sarebbe stato usato per indicare una federazione di tribù diverse appartenenti ai Goti che si
erano unite: questo troverebbe anche corrispondenza con quello che avviene nel caso di
un’altra popolazione Germanica, gli Alamanni, che designava più popolazioni diverse.
Si arriva a “Visigoti” attraverso lo slavo, che avrebbe fatto un calco strutturale (uno dei
processi che si possono effettuare quando ci si rapporta a un’altra lingua): in un calco
strutturale si “smonta” la parola e si traducono i vari elementi; la parola “alagutos” sarebbe
stata tradotta dagli slavi, perché la parola “tutto” in slavo si dice “visu”, e quindi questo
avrebbe portato a “visigoti”.
I Goti (Ostrogoti e Visigoti) sono entrambi nella loro storia divisi in due parti.
Per i Visigoti abbiamo un gruppo che è quello meno significativo dal punto di vista numerico,
ma più importante culturalmente e linguisticamente, che sono i Gothi minores (Goti di
Vulfila): sono quelli che si convertono al cristianesimo, che ci hanno lasciato la traduzione
della Bibbia, quindi il grosso della trasmissione scritta in lingua gotica; grazie a questa loro
scelta religiosa, la conversione al cristianesimo, godranno di uno status particolare, un
rapporto privilegiato con l’Impero Romano d’Oriente.
Loro vengono a un certo punto perseguitati da altri Goti pagani e Costanzo II concederà loro
di stanziarsi nella Mesia inferiore, che corrisponde circa all’attuale Bulgaria.
Per quanto riguarda la maggior parte dei Visigoti, sappiamo che nel 378 sono protagonisti
della battaglia di Adrianopoli contro le truppe dell’Impero Romano d’Oriente, vincendo.
Dopo la battaglia di Adrianopoli si torna alla politica precedente come con Teutoburgo;
quindi, nel 382 si ha un patto di federazione tra bizantini e Visigoti.
Ancora nel IV sec. i Visigoti mostrano segni di agitazione, non sono contenti di stare in quel
territorio e si spostano verso occidente, verso l’Italia, dove giungono nel V sec., sono guidati
dal re Alarico, che li conduce da nord verso sud lungo la penisola.
Qui il 24 agosto del 410 sono protagonisti di un sacco di Roma e poi proseguono verso
sud: l’idea è di percorrere la penisola, passare dalla Sicilia all’Africa, ma quando sono in
Calabria re Alarico muore; dopo averlo sepolto, tornano indietro e risalgono verso Nord.
Passano poi per la Gallia, in Francia, e nel 412 fondano un regno con capitale Tolosa, nel
sud dell’odierna Francia, questo regno durerà circa 100 anni ma nel 507 verrà distrutto dai
Franchi.
Nello stesso secolo un altro gruppo di questi si sposta ulteriormente e fonderà nell’attuale
Spagna un regno con capitale Toledo, che sarà distrutto con l’arrivo degli arabi nel 711.
Per quanto riguarda gli Ostrogoti, li troviamo nel IV sec. sottomessi a un re che è
Ermanarico, nella pianura ucraina e lungo le coste del Mar Nero, che morirà nel 475.
La sua morte è un tema molto elaborato a livello di leggende e tradizioni: tipicamente viene
rappresentato come nemico dei suoi parenti, si dice che sia stato vittima di qualcuno da lui
maltrattato.
La sua morte può essere messa in correlazione con la pressione che veniva fatta sul regno
degli Ostrogoti da parte degli Unni, che spingono gli Ostrogoti verso sud, portandoli a
premere sui confini dell’Impero Romano d’Oriente.
Quando si spostano verso altri territori c’è una minoranza che rimane sulle rive del Mar
Nero: questi sono i responsabili dell’ultima testimonianza scritta del gotico, il gotico di
Crimea.
A mano a mano tutte le popolazioni Germaniche si convertono al cristianesimo cattolico:
quando anche i Visigoti di Spagna si convertono al cattolicesimo si romanizzano; quindi, la
Bibbia di Wulfila non viene più capita e non ha ragione teologica di esistere.
Abbiamo un documento di Ogier Ghislain di Busbecq, che si trovava per motivi lavorativi in
Crimea: mentre è lì sente alcune persone parlare e riconosce parole familiari: il gotico era
una lingua Germanica e lui era di lingua Germanica.
Scrive quindi una lista di queste parole con il loro corrispondente, e questa è l’ultima
testimonianza della lingua gotica: questo ci testimonia che in quella zona, in condizioni di
particolare isolamento, si era mantenuta la lingua gotica; invece il grosso degli Ostrogoti,
dopo la morte di Ermanarico, entra in qualche modo a far parte degli Unni, partecipando alla
guida di Attila alla spedizione degli Unni in Gallia e, quando crollerà il regno degli Unni (456-
7), gli Ostrogoti verranno accolti nell’Impero Romano come federati e fonderanno un regno
loro nella provincia romana della Pannonia, dove si convertiranno al cristianesimo ariano.
L’arianesimo è una forma variante del cristianesimo, che è stata in due momenti diversi
considerata eretica dalla Chiesa, che nasce dal prete Ario in contesto non Germanico e sul
problema della trinità. Attecchisce sulle popolazioni Germaniche perché, secondo questa
variante, il dio importante era solo il Padre: la figura di Cristo era stata creata dal Padre
perché voleva creare l’umanità, Cristo era un intermediario tra la sua divinità e l’umanità,
nega quindi la doppia natura di Cristo.
Questo è più semplice da capire per le popolazioni Germaniche, non abituate alla riflessione
teologica, e che nella trinità rischiavano di vedere un mini politeismo, loro venivano da una
religione con tante divinità, il rischio era che riducessero semplicemente il numero delle
divinità.
Il problema della religione cristiana cattolica contro la ariana si farà evidente nella storia di
uno dei re più famosi dei Visigoti, Teodorico il Grande, il più famoso regnante degli
Ostrogoti: nasce nel 451, fin da bambino è protagonista delle vicende politiche del suo
popolo, quando ha 8 anni, nel 459, il padre Thiudimir stringe un patto di federazione con
l’Impero Romano d’Oriente e Teodorico bambino viene mandato a Costantinopoli come
ostaggio garante, vive e gode della corte di Costantinopoli, la sua presenza serve a
garantire che gli Ostrogoti non si ribellino all’Impero.
Vive alla corte di Leone I e in questo periodo si prepara a diventare re degli Ostrogoti, cosa
che avviene nel 474, alla morte del padre; nel frattempo, a Costantinopoli l'imperatore è
diventato Zenone, che nel 488 si ricorda di Teodorico per risolvere una situazione
problematica in Italia.
Nel frattempo, nel 476 il principe degli Sciri Odoacre ha deposto Romolo Augustolo, ultimo
imperatore romano d’occidente; la volontà di Zenone è quella di porre fine a questa
anomalia per cui non c’è più l’Impero Romano d’Occidente.
Nel 488 Zenone chiama Teodorico, gli dà un incarico militare e lo invia in Italia, con il
compito di eliminare Odoacre e prendere la reggenza in Italia finché non arrivi l’imperatore:
Teodorico parte per l’Italia, incontra Odoacre lungo l’Isonzo e poi a Ravenna.
A Ravenna la città viene cinta d'assedio per quasi tre anni: alla fine viene promesso a
Odoacre che avrà salva la vita, ma viene ucciso nel 493; Teodorico a questo punto smette di
seguire le istruzioni, perché crea un regno ostrogoto in Italia (è una dominazione ostrogota
che non avrà una vita molto lunga, durerà solo 27 anni dopo la morte di Teodorico, a seguito
della guerra gotico-bizantina).
La questione dell’arianesimo avrà una vicenda importante nella fase finale del regno
ostrogoto in Italia, in particolare nella fase finale del regno di Teodorico: questo perché nel
momento in cui due concili sanciranno l’arianesimo come eresia, e comincerà da parte
dell’imperatore Giustiniano una politica di persecuzione degli ariani nel suo regno,
Teodorico reagirà perseguitando i cattolici in Italia.
Tra queste persecuzioni verranno condannati a morte importanti rappresentanti del senato
romano, e soprattutto ci sarà l’incarcerazione di Papa Giovanni I, che morirà in prigione di
fame; da parte della Chiesa cattolica, a partire da Papa Gregorio Magno, ci sarà una
propaganda anti Teodorico, che verrà rappresentato nei modi peggiori come l’anticristo; il
peccato minore che gli attribuiscono è quello di essere un figlio illegittimo.
Anche in area Germanica i testi che parlano di Teodorico hanno spesso riferimenti poco
comprensibili a quello che è una sua caratteristica: viene descritto come qualcuno che
quando si arrabbia emette fumo dalle narici o sputa fuoco, perché è una lontana eredità
dell’essere figlio del diavolo.
L’altra caratteristica è che spesso la morte di Teodorico viene rappresentata come violenta e
destinata alla dannazione, ci sono due modelli: uno è quello in cui viene buttato nel monte
Vulcano; l’altro è quello in cui viene portato via da un cavallo nero (il diavolo) mentre cerca di
cacciare un cervo (questo è come è rappresentato sul portale del duomo di San Zeno a
Verona).
Un’altra popolazione di cui sappiamo qualcosa, sempre appartenente ai Germani orientali,
sono i Burgundi: si ipotizza, una provenienza dall’isola di Bornholm nel Mar Baltico, il cui
nome potrebbe essere una forma contratta di un’espressione norrena che troviamo come
“isola dei Burgundi”.
Dei Burgundi sappiamo che si stabiliscono nel II sec. d.C. nel territorio tra l’Oder e la Vistola
(attuale Polonia) e agli inizi del IV sec. si spostano verso sud ovest; nel 407 fondano un
regno sul Reno, nella zona dove si trova oggi la città di Worms.
Quando cercano di estendersi e di arrivare nel territorio della Gallia romana, cercando di
espandersi verso ovest, vengono in conflitto con i Romani; questi, in una spedizione militare
guidata da Ezio, li sconfiggono (435).
I Burgundi superstiti vengono insediati da Ezio sulle rive del lago di Ginevra, qui creeranno
un nuovo regno lungo il Rodano di nome Burgundia, da cui viene il nome del territorio della
Borgogna; questo regno avrà un periodo di splendore a cavallo tra la fine del V e l’inizio del
VI sec. con re Gundobaldo, poi verranno definitivamente sconfitti nel 534, quando il loro
regno verrà annesso dai Franchi.
Questa vicenda del primo regno dei Burgundi, quello di Worms, è una vicenda storica che è
stata trasposta nella vicenda nibelungica con la distruzione del regno dei Nibelunghi.

14/10/2022

L’anno successivo questa sconfitta dei Burgundi viene ribadita da truppe ausiliarie composte
da soldati di origine unna: questo è il nucleo storico da cui si sviluppa la tradizione
nibelungica, incentrata sulla distruzione del regno burgundo; in questa tradizione la
distruzione viene collegata a questa vendetta nell’ambito della storia di Sigfrido e Crimilde
da una parte e dei sovrani burgundi dall’altra.
Il re burgundo sconfitto dai romani si chiama Gundahari, e nella tradizione nibelungica
abbiamo uno dei fratelli burgundi che si chiama Gunther; l’opera in cui viene raccontata la
vicenda nibelungica nella tradizione tedesca è il “Cantare dei Nibelunghi”
(“Nibelungenlied”).
I Burgundi sono legati all'isola di Bornholm in Scandinavia, appartengono anche loro ai
Germani orientali, ne sappiamo molto meno rispetto ai Goti, soprattutto dal punto di vista
linguistico, perché dalla lingua dei Burgundi ci sono giunte brevi incisioni e qualche parola da
testi latini.
La tradizione Nibelungica
La situazione di partenza è quella che vede l’esistenza di un regno burgundo presso Worms,
lungo il Reno, dove ci sono tre re, che sono tre fratelli che hanno una sorella bellissima,
Crimilde.
In questo regno a un certo punto arrivò un personaggio che aveva già una carriera da
guerriero notevole, era Sigfrido (è stato anche protagonista di un'avventura in cui ha
sconfitto un drago uccidendolo e questo fatto fece sì che lui si bagnasse nel sangue del
drago e risultasse invulnerabile, anche se, come Achille, che era vulnerabile al tallone,
Sigfrido era vulnerabile in un punto della spalla; la storia racconta che gli sia caduta una
foglia sulla spalla, coprendo quel punto e rendendolo vulnerabile).
Sigfrido arrivò alla corte di Worms e intanto stabilì un rapporto con i tre re, ma soprattutto si
invaghì della sorella femmina, chiese di poterla spostare e dinnanzi a questa richiesta uno
dei fratelli, Gunther (nella tradizione nordica si chiama Gunnar), impose una condizione:
avrebbe sposato sua sorella solo se lo avesse aiutato a superare le dure prove di Brunilde,
valchiria islandese, di cui si era innamorato e Sigfrido accettò perché tra le cose che aveva a
disposizione oltre all’invulnerabilità e alla forza, possedeva il mantello dell’invisibilità.
Gunther pensò quindi di portarsi Sigfrido al seguito, che nel momento giusto avrebbe
indossato il mantello e avrebbe vinto svolgendo la prova al posto suo.
Andarono in Islanda e Sigfrido si presentò come vassallo di Gunther: fecero una serie di
prove sempre con questo stratagemma, le superarono e Brunilde lo dovette sposare anche
se non era totalmente convinta; infatti, la notte prima delle nozze Brunilde prese Gunther e
lo legò (l’idea era che il matrimonio, anche se veniva celebrato, non sarebbe mai stato
consumato) ma anche in questo caso Sigfrido aiutò Gunther che riuscì a sopraffare la forza
di Brunilde, data dalla sua cintura, che lui spezzò (si prese anche l’anello di Brunilde).
Passò del tempo, si celebrarono i due matrimoni: da una parte Sigfrido e Crimilde, dall’altra
Gunther e Brunilde: ognuno stava a casa propria finché, in occasione di una festa, si
riunirono le coppie a Worms; le due donne, Crimilde e Brunilde, litigarono su chi dovesse
entrare per primo in chiesa. Brunilde si ricordò che quando sono andati in Islanda Sigfrido
era stato presentato come vassallo di Gunther, dunque in quanto moglie del re lei sarebbe
dovuta entrare per prima.
Questo a Crimilde non piacque, e quindi rivelò che la prima notte di nozze l’aveva passata in
realtà con suo marito, facendole vedere l’anello e la cintura (ingenuamente, Sigfrido aveva
dato a Crimilde l’anello di Brunilde); questa fu una grande offesa per Brunilde, che se ne
lamentò con Gunther.
I due vennero consigliati da un personaggio, un deus ex machina di tutta la vicenda, di nome
Hagen. Hagen era un guerriero assolutamente astuto e capace, ma molto avido (pensava di
impadronirsi del tesoro, di quello che aveva Sigfrido); infatti, convinse Gunther e Brunilde a
partecipare a questa vendetta che prevedeva l'uccisione di Sigfrido.
Hagen si fece indicare da Crimilde il punto vulnerabile del marito e lei, pensando fosse una
richiesta per proteggerlo, glielo dice facendo addirittura un ricamo sulla scapola; ci fu una
battuta di caccia, Sigfrido si chinò per bere e fu colpito proprio in quel punto.
Brunilde si disperò così tanto da gettarsi sulla pira funebre di Sigfrido (era molto legata a lui),
mentre il tesoro dei nibelunghi venne rubato (quello che Sigfrido aveva acquisito uccidendo il
drago) e gettato nel Reno.
Sarebbe dovuto andare a Crimilde, ma affinché lei non lo potesse usare per peggiorare la
situazione venne sprofondato nel fiume.
La seconda parte della vicenda è incentrata sulla vendetta di Crimilde, che vuole vendicare
la morte del primo marito, si sposò di nuovo, con personaggio storico, Attila, che nella
tradizione tedesca si chiamava Etzel.
Dopo circa tredici anni, quando si trovava alla corte di re Attila, Crimilde organizzò una festa
e invitò insieme al marito i re burgundi a casa sua; ci furono vari tentativi di dissuadere
Gunther dall’andare, ma alla fine questo destino si doveva compiere.
Questo banchetto però finì in un massacro: vennero uccisi i re burgundi, Crimilde uccise
Attila (non prima di avergli dato da mangiare i cuori dei suoi figli) e sopravvissero in
pochissimi, uno di quelli che sopravvisse fu Teodorico, trasposizione letteraria di Teodorico
dei Goti.
Nella vicenda nibelungica sono coinvolti gli unni, anche loro erano coinvolti storicamente
nella distruzione del regno dei Burgundi: è stata sicuramente una sconfitta cruenta quella
che ha portato alla fine del regno burgundo, ma non morirono tutti i burgundi.
Qualche tempo dopo sarà Ezio stesso a prendere i superstiti burgundi e a collocarli sulle rive
del lago di Ginevra: poi, per circa 30-40 anni, i Burgundi fonderanno un regno nell’attuale
Francia tra il Rodano e la Saone, a cui diedero il nome di “Burgundia”; questo regno nel
534 verrà però sconfitto e annesso al regno dei Franchi.
I Vandali non sono particolarmente distruttori, erano come le altre popolazioni: quando i Goti
si collocarono nel territorio lungo la foce della Vistola c’erano i Vandali, e li avevano
scacciati.
Nel III sec. d.C. finirono nella provincia romana della Pannonia, attuale Romania, dove
rimasero finché non verranno scacciati dagli Unni: quando arrivarono, i Vandali furono
costretti a fuggire ulteriormente, verso ovest e andarono in Gallia, attraversarono piuttosto
velocemente la zona dell'attuale Francia e nel 409 arrivarono nell'attuale Spagna (Andalusia,
da loro chiamata “Vandalicia”).
Tra il 429 e il 430, guidati dal loro re Genserico attraversarono lo stretto di Gibilterra e
passarono in Africa; si stabilirono e conquistarono la città di Cartagine creando un vero e
proprio impero, che si estendeva sulle due sponde del Mediterraneo.
Da questa posizione si allargarono e decisero di compiere, nel 455, un altro sacco di Roma
(dopo quello dei Visigoti nel 410).
Nel 477 morì Genserico, che era la figura principale di tutta questa estensione dei Vandali, e
comincerà una lunga guerra di riconquista da parte delle truppe bizantine; il colpo di grazia
al regno dei Vandali verrà dato dalle truppe bizantine guidate da Belisario, che era stato
mandato dall’imperatore Giustiniano, imperatore dell'Impero Romano d'Oriente.
I Gepidi erano collocati nella zona della foce della Vistola nel II sec d.C.; li ritroviamo nel V
sec. sul confine danubiano, nella zona della riva sinistra del Danubio, e poi si stanziarono in
Pannonia, dove rimasero sostanzialmente stabili finché, attorno al 570, vennero sconfitti da
un'altra popolazione germanica, gli Avari.
La trasmissione scritta in gotico
Della lingua degli Ostrogoti, a parte il gotico di Crimea, ci sono giunte cose minime: alcuni
nomi propri, alcune glosse (annotazioni, traduzioni) in testi latini.
L’abitudine di glossare testi in altra lingua, tipicamente latini, è all’origine della trasmissione
scritta nelle lingue germaniche: si cominciarono a copiare i testi in latino, ci sono parole
difficili, non di immediata comprensione; quindi, si inserì una spiegazione in latino o in lingua
germanica.
La nostra documentazione è basata sulla lingua di Wulfila, è impossibile quindi trovare
differenze dialettali dal punto di vista di quello che abbiamo; questa documentazione, per
quanto riguarda la lingua degli Ostrogoti, proviene da un periodo in cui gli Ostrogoti in Italia
dominavano con Teodorico; oltre a questo abbiamo qualche piccola traccia rappresentata da
prestiti di origine gotica, presi dalle lingue romanze e dall'italiano.
La situazione, per quanto riguarda la lingua dei Visigoti, è molto diversa: dal punto di vista
culturale sono testi particolarmente interessanti perché sono già, nonostante siano l'inizio
della tradizione scritta in quella lingua, piuttosto maturi dal punto di vista della
interpretazione del testo biblico e dell’attenzione e cura nei confronti del testo.

La lingua di Wulfila
Wulfila è prodotto di una famiglia multilingue che si pensa discenda da alcuni prigionieri
cappadoci, catturati dai Goti durante una loro incursione in Asia minore; abbiamo
testimonianza di un'incursione di questo tipo nel 257 d.C.: tra questi prigionieri cappadoci ci
sono anche sacerdoti cristiani, che fecero proselitismo e cercarono di convertire i loro
carcerieri (ontribuirono a diffondere il cristianesimo tra i Goti).
Wulfila ha un nome germanico, vuol dire “piccolo lupo”, dalla la radice “wulf” con un
suffisso diminutivo; il fatto che questo nome sia germanico ci fa pensare che all'interno di
questa famiglia multiculturale, lui fosse figlio di madre cappadoce e padre goto; si pensò
quindi che il padre fosse goto, avendo messo un nome goto.
Nacque all’inizio del IV sec. (si pensa nel 311), quando i Visigoti si trovavano nella zona a
nord del Danubio, qui crebbe non solo in una famiglia ma, anche in un ambiente plurilingue,
conosceva il gotico ed il greco, lingua da cui traduce prioritariamente la Bibbia.
Wulfila traduce dal greco, perché in quella zona, nella parte orientale dell’Europa, vicino ai
confini dell’Impero Romano d'Oriente, si parlava greco, però, sulla base dell’analisi di come
è stata fatta la traduzione, abbiamo la certezza che avesse di fronte a sé non solo il testo in
greco, ma anche una Bibbia latina.
Fino ai trent’anni circa, ricoprì l'incarico ecclesiastico di lettore, questo lo ha sensibilizzato su
quanto fosse importante che all'interno di una comunità religiosa il messaggio biblico fosse
capito e forse, dopo anni che si trovava a leggere davanti a un pubblico il testo in greco,
capendo che non riuscivano a comprendere, pensò che fosse necessaria una traduzione
delle Scritture in gotico.
Da lettore ecclesiastico fece carriera, venne consacrato, attorno al 340, vescovo missionario
tra i Goti da parte del patriarca di Costantinopoli e quando i Goti minores, quelli di Wulfila,
vennero perseguitati in quanto cristiani da altri Goti che erano ancora pagani, lui era
presente tra la sua popolazione; con loro attraversò il Danubio ed ebbe la possibilità (data
dall’imperatore Costanzo II) di stanziarsi nella Mesia inferiore, che corrispondeva all’attuale
Bulgaria settentrionale.
Il gotico era solo una lingua orale, quindi si doveva inventare un modo per scriverla, si
inventò un alfabeto perché i Germani avevano una forma di scrittura, le rune che però
avevano un problema di fondo: erano fortemente legate al paganesimo, a un contesto di
magia, di mitologia, che non si prestava bene per qualcuno che voleva scrivere un testo
cristiano.
Quindi, utilizzò parte dall'alfabeto greco, molti simboli erano tratti o assomigliavano al greco
ed altri vennero presi dal latino; la sua base di traduzione era la Bibbia greca anche se non
sappiamo quale versione (certamente era una versione autorevole greca che circolava a
Costantinopoli, ritenuta “standard”).
Il suo metodo di traduzione era tradurre parola per parola, era una traduzione letterale che
aveva un fondamento religioso, questo però creò problemi, perché c’erano molti concetti
astratti che il gotico non conosceva, che Wulfila si trovò a dover risolvere di volta in volta.

17/10/2022

Wulfila e le bibbie gotiche


Il primo problema era trovare una convenzione di scrittura: venne creato quindi un alfabeto
esclusivo del gotico, che non è inventato dal nulla, ma basato sull’alfabeto greco.
L’alfabeto gotico è formato da 27 segni: 25 di questi segni rappresentano sia un suono che
un numero (due rappresentano 90 e 900, che esistono solo come numerali).
Alcuni grafemi potrebbero derivare dall’alfabeto latino, probabilmente per la mancanza in
greco di suoni corrispondenti a quelli del gotico: ci sono due segni di origine runica, che
probabilmente sono stati pensati per evitare la confusione con grafemi simili.
Wulfila proveniva da una famiglia bilingue, è stato consacrato vescovo tra i Goti e ha avuto
la funzione di capo spirituale e politico per i Goti minores.
Nonostante la storia sia unanime nell’attribuire la Bibbia a Wulfila e tutte le tradizioni storiche
dicono che sia stato lui a tradurla, nessuno dei manoscritti indica il nome di Wulfila come
autore della traduzione (questo potrebbe farci dubitare della veridicità delle attribuzioni
storiche, ma se si pensa al contesto religioso, Wulfila non era concepito come importante,
l'importante era il testo divino, non si firmavano le traduzioni).
L’altra considerazione riguarda la geografia: la Bibbia gotica è nata nel IV sec, nel territorio
del basso Danubio, dove si trovavano i Visigoti e i Goti minores.
Osservando quindi i manoscritti che ci sono giunti, nessuno di essi proviene dalla terra dei
Visigoti e dal IV sec. Perché sono tutti della prima metà del VI sec. e per la maggior parte è
possibile collocare la produzione di questi manoscritti gotici nel regno degli Ostrogoti d’Italia.
L’arianesimo dopo i concili e i manoscritti palinsesti
Il superamento dell’arianesimo è dovuto a quello che è stato il giudizio di eresia, dato dal
concilio di Nicea e di Costantinopoli.
Tra i Germani non sono i concili che lo sradicano, ma il regno degli Ostrogoti in Italia
sopravvive per poco alla morte di Teodorico (nel 526); inoltre, anche i Visigoti di Francia
prima, inglobati nel regno dei Franchi, e soprattutto quelli spagnoli poi, alla fine del VI sec,
vengono convertiti al cattolicesimo.
Non essendoci più l’arianesimo, il gotico iniziò a sparire, assimilandosi all’italiano, lingua
romanza: sia dal punto di vista teologico che da quello linguistico l’esistenza e la necessità
di avere una Bibbia gotica che circolasse venne a perdersi totalmente.
Per questo la maggior parte dei manoscritti che contengono la Bibbia gotica sono i
“manoscritti palinsensti”, ovvero quelli in cui la pergamena è stata cancellata e riscritta; difatti
i manoscritti che trasmettono la Bibbia sono tutti frammentari, non abbiamo una Bibbia
completa.

Codex Argenteus
Il manoscritto più importante è il Codex Argenteus: è un manoscritto conservato nella
biblioteca Carolina Rediviva (Uppsala), la pergamena non è bianca od ocra, ma ha un color
porpora.
Il nome “argenteus” è dato dall’inchiostro con cui è stato scritto su questa pergamena
porpora, che è di color argenteo; in corrispondenza di altri manoscritti scritti in nero che
hanno alcune parole evidenziate in rosso, (rubriche) qui le parole sono evidenziate in color
oro.
È stato scritto da due mani diverse: sono 187 fogli più uno separato, ritrovato nel duomo di
Speyer (Spira), in Germania, all'interno di una tomba; si pensa che sia stato redatto nella
prima parte del VI sec. e che fosse originariamente molto più grande, perché si pensa
fossero 336 fogli.
Conteneva i quattro vangeli nell'ordine di successione tipico della tradizione biblica
occidentale: Matteo, Giovanni, Luca e Marco; il formato utilizzato è il cosiddetto “folio” dove
la pelle dell’animale, la pergamena, veniva piegata a metà una sola volta.
Non è stata mai risolta la questione su quale tipo di pergamena fosse ma farebbe supporre
che fosse una pergamena ovina: mentre la pergamena ovina era molto diffusa in
Scandinavia, nell’Italia settentrionale si trovava solo pergamena bovina (la spiegazione che
viene data è che la pergamena dei fogli del Codex provenga in realtà da vitelli non nati).
Nell’Italia settentrionale del regno Ostrogoto non c’erano tante persone che potessero
permettersi questo tipo di manoscritto fatto con vitelli non nati: probabilmente poteva essere
una Bibbia pensata come dono a una persona importante o fatta produrre da un
personaggio importante per far vedere la propria ricchezza (il personaggio in questione
potrebbe essere Teodorico stesso).
La pergamena vergine, ad esempio, è una pergamena presa da un animale che non ha
raggiunto la maturità sessuale e questo forse poteva essere un modo per dare un livello di
purezza e prestigio maggiore a questo testo.
Codex Brixianus
Il Codex Brixianus è un manoscritto latino conservato oggi nella biblioteca di Brescia,
prodotto nel VI sec. in uno scriptorium dell’Italia settentrionale e che contiene i vangeli in
latino. Il fatto che questo manoscritto sia stato realizzato con la porpora e l’inchiostro argento
fa pensare che fosse una copia della parte mancante di quello che era l’intero Codex
Argenteus (quindi un evangeliario bilingue, da una parte gotico dall’altra latino).
È probabile che quando questo è stato copiato il gotico avesse meno peso, e che quindi il
Brixianus sia la sola copia della parte latina perduta che avrebbe contenuto il vangelo in
gotico e latino.
Fino all'ultima parte del regno di Teodorico le due fedi convivevano e questo potrebbe
essere il contesto in cui è nato un evangeliario bilingue.

Codex Giessensis
Il secondo testimone della Bibbia è il Codex Giessensis, che prende il nome dalla città
tedesca di Giessen, dove era conservato nella biblioteca universitaria; si tratta di un
frammento, perché parte di un bifolio, ovvero l’unione di due folii.
È un manoscritto del VI sec, che è stato ritrovato in Egitto nel 1907 che andò completamente
distrutto in un’alluvione nel 1945.
I Goti però non sono mai stati in Egitto, anche se un’altra popolazione dei Germani orientali
è andata in nord Africa e sono i Vandali.
È un frammento di un evangeliario che contiene un testo a fronte gotico-latino, sono circa
trenta parole per lingua e corrispondono a due versetti (23-24) del vangelo di Luca dove il
gotico si trovava sulla parte sinistra e sulla parte destra vi era il latino.
A sinistra solitamente si trova il testo principale che si pensa che molti non possano leggere,
questo significa che qui il gotico ha un “posto d’onore”, ma si è ribaltata la relazione tra
gotico e latino perché la variante gotica, ritenuta prestigiosa, non è del tutto chiara; quindi, ci
si è aiutati con la traduzione latina.
Questo potrebbe voler dire che per queste popolazioni germaniche, che avevano
l’arianesimo, avere la Bibbia in gotico era una sorta di elemento identitario anche se non era
la loro lingua, perché parlavano il Vandalico.

Codex Carolinus
Un altro manoscritto è il Codex Carolinus, conservato in Germania nella biblioteca di
Wolfenbüttel. Anche questo è un manoscritto palinsesto, del VI sec, anche se ci sono
datazioni di alcuni studiosi che lo collocano addirittura nel V sec (se fosse vero sarebbe il
manoscritto più antico in assoluto della Bibbia).
Sono 4 fogli che trasmettono una quarantina di versetti della lettera di S. Paolo ai Romani.
Il cristianesimo è basato sul nuovo testamento, per questo, le lettere paoline si trovano
anche nei 4 frammenti ambrosiani.
Codices Ambrosiani
I Codices Ambrosiani prendono il nome dalla biblioteca di Milano, dove sono conservati,
sono del VI sec, sono palinsesti e vengono identificati con le lettere dell’alfabeto: i codici A e
B contengono i primi due frammenti delle lettere di S. Paolo, il C contiene un frammento del
vangelo di Matteo e il D un frammento del libro di Neemia.

Codex Taurinensis
Legato a uno di questi frammenti (A) è anche l’ultimo manoscritto gotico, il Codex
Taurinensis (conservato nella biblioteca di Torino): sono quattro fogli molto danneggiati che
contengono frammenti delle lettere di S. Paolo ai Galati e ai Colossesi ed è il
complementare del frammento ambrosiano A.
Fino a qualche tempo fa quel che si pensava è che ci fossero i 4 vangeli, le lettere di S.
Paolo (con l'eccezione di quella agli ebrei, perché dal punto di vista teologico agli ariani non
piaceva), e non si sapeva nulla della dimensione dell’eventuale traduzione dell’antico
testamento (al di là del frammento nell’ambrosiano D non c’era altro).

Testi minori
Il primo testo religioso non biblico è la Skeireins, conservato in forma frammentaria, il titolo
viene dalle prime parole che si trovano sul manoscritto, che sono spiegazione del vangelo
secondo Giovanni (vorrebbe dire “spiegazione, commento”).
Il manoscritto, del V sec, proviene dal monastero di Bobbio; oggi le due parti sono
conservate all'ambrosiana a Milano e nella biblioteca vaticana.
È un commento evangelico ma è una tipologia diversa rispetto alla Bibbia: le uniche
differenze individuate sono spiegabili con il fatto che sono due generi diversi: uno è il testo
principale, l’altro è un testo che commenta.
Presenta la sintassi tipica del commento, la parafrasi, per cui alterna la citazione al
passaggio in cui spiega il significato di quello detto precedentemente.
Con il nome “Gotica Veronensia” sono conosciuti una serie di annotazioni anche note come
Note alle Omelie di Massimino; il manoscritto che le conserva si trova nella biblioteca
capitolare di Verona.
È un manoscritto in pergamena del V o VI sec che, insieme ad altri testi, contiene 24 omelie
latine del teologo ariano Massimino dove si possono trovare anche annotazioni in lingua e
grafia gotica.
Se queste omelie fossero state tenute in gotico sarebbero state scritte in gotico, invece
erano pensate per essere fatte in latino, però la citazione è della Bibbia di Wulfila.
Importante è anche il frammento di un calendario gotico, che rientra nel genere del
martirologio: sono calendari presenti nella Chiesa che, per ogni giorno, riportano il santo in
questione e una serie di annotazioni che possono servire come base per un’omelia (un
frammento di questo tipo è conservato nell’ultima pagina del frammento ambrosiano A).
Le annotazioni del giorno 23 e 29 ottobre sono importanti perché contengono in gotico la
menzione del nome “Goti”, contengono l’espressione “Gutthiuda” (þ segno runico che indica
“th”).
In queste annotazioni compare questa forma all’interno di una costruzione con la
preposizione “ana”, che vuol dire “nella terra dei Goti”.
Il calendario è stato scritto sicuramente nell'Italia settentrionale, nel regno Ostrogoto di
Teodorico, ma non è a livello di contenuto ben integrato nella tradizione ecclesiastica di
questa zona, fa riferimento a una tradizione più tracio-greca della fase della storia
ecclesiastica dei Goti.
Infine, una tavoletta, la “Tabella Hungarica”, una tavoletta di piombo ritrovata tra il 1954 e il
1958 in un cimitero in Ungheria; era piegata a metà ed era stata messa in mano al defunto
(oggi i pezzi di questo reperto, conservati nell’Istituto Archeologico dell’accademia
ungherese delle scienze).
Il frammento conteneva un’iscrizione, una citazione del versetto di Giovanni 17, 11-12,
quello in cui si dice “io non sono più nel mondo…”: è stato messo nelle mani del morto come
una sorta di amuleto per non finire nella perdizione.
La lingua gotica e la traduzione della Bibbia di Wulfila si era diffusa anche al di là dei territori
dove erano fisicamente presenti i Goti.
La datazione della tavoletta è dell’ultimo terzo del V sec, precedente a buona parte della
tradizione biblica manoscritta.

Codex Bonomiensis
Il Codex Bonomiensis è il manoscritto che ha rivoluzionato quello che si pensava
sull'effettiva dimensione della Bibbia di Wulfila, è stato ritrovato a Bologna ed è un testo
anonimo, probabilmente un’omelia, scritta in grafia e lingua gotica, ritrovato nel 2010.
Costituiva la copertina di un libro contabile appartenuto a una famiglia bolognese, e che
dalla metà del 1700 era conservato presso l'archivio della fabbriceria della basilica di S.
Petronio.
Il testo che stava sopra era una versione del “Civitate” dei di Sant'Agostino ed è così che è
stata scoperta: alcuni latinisti hanno scoperto questo frammento, si sono recati lì, l’hanno
studiato e hanno visto che c'era qualcosa sotto, di difficilmente leggibile.
Il manoscritto finì nelle mani di una delle persone che lavorano molto sul gotico, che con
l’aiuto dell'Università di Vienna hanno fatto foto particolari, e si è riuscito a decifrarne il 98%:
la parte gotica, è della prima metà del VI sec, probabilmente viene dall’Italia settentrionale,
forse da Verona, ed è stato sovrascritto nel VII sec.
È fittissimo di citazioni bibliche, contiene alcuni concetti religiosi molto semplici e citazioni a
margine con frammenti della Genesi, dell’Esodo, dei Salmi e del libro di Daniele.
Gotica Parisina
Il Gotica Parisina (conservati a Parigi) è un manoscritto latino che contiene sette nomi
biblici in gotico, che però non sono scritti in caratteri gotici, ma sono stati traslitterati in
caratteri latini (i nomi che appartengono alla genealogia di Gesù (III capitolo di Luca).

Gotica Vindobonensia
La Gotica Vindobonensia contiene alcune parole gotiche appartenenti al vangelo di Luca
ed il suo titolo.
È evidente dal tipo di inchiostro e grafia che l’inserimento del testo gotico è circa coevo alla
produzione del manoscritto: ad un certo punto la lingua gotica non la sapeva leggere quasi
più nessuno, alcuni di questi manoscritti erano già stati riscritti, però c’era qualche scriba che
aveva trovato da qualche parte tracce in gotico e le aveva volute conservare.
Prima di queste citazioni tratte dal vangelo di Luca ci sono una serie runica anglosassone e
tre versioni dell’alfabeto gotico.
È presente anche una citazione gotica in un poema latino, “De conviviis barbaris”, un
componimento inserito in un’antologia di testi poetici latini, che vuol dire “A proposito dei
convivi dei barbari”.
L’intero testo è in esametri latini, ma contiene un'espressione gotica che sembra essere
stata trascritta da qualcuno che non la conosceva.
L’interpretazione gotica non è l’unica, ci sono state viste anche altre possibili provenienze di
altre tradizioni germaniche a seconda degli studi: uno studioso l’ha resa come un lamento
rispetto alla decadenza dei costumi dovuta alla presenza di queste persone barbare.

Papiri di Ravenna
L’ultimo testo non religioso sono i Papiri di Ravenna che contengono degli atti di vendita,
sono atti notarili: il primo è del 551 ed oggi si trova a Napoli, mentre il secondo papiro è stato
a lungo conservato nell'archivio del duomo di Arezzo, ma è andato perduto 200 anni fa.
Gli atti notarili che si trovano nei papiri sono in lingua latina e usano una grafia corsiva anche
se le firme dei testimoni sono in lingua e grafia gotica.
Sostanzialmente viene dimostrata una certa persistenza del gotico “classico” (quello della
Bibbia) anche in un contesto assolutamente diverso: ostrogoto e visigoto probabilmente
avevano qualcosa di diverso, ma quando si parla di gotico non si è in grado di stabilire a
cosa appartenga.
Probabilmente nella sopravvivenza del gotico biblico così a lungo, anche lontano dalla zona
dove è stato prodotto, ci ha giocato molto il grosso prestigio che questa lingua aveva.
I Germani occidentali
Sono abbastanza variegati e sono quelli che ci hanno portato, insieme ai Germani
settentrionali, a lingue ancora oggi parlate; vengono divisi in tre gruppi da Tacito: Istevoni,
Ingevoni (“Germani del Mare del Nord”) ed Erminoni (“Germani dell’Elba”).
Gli Istevoni sono detti anche “Germani del Reno-Weser”, e sono l’unico caso in cui vi è una
popolazione sola, i Franchi.

I Franchi
I Franchi compaiono nelle fonti tra la fine del III e l’inizio del IV sec.: probabilmente hanno
origine da un’unione di tribù più piccole di cui non si conoscono i nomi che risiedevano lungo
il corso del Reno nella parte più settentrionale, verso la foce.
Il loro nome è stato, sulla base della corrispondenza con una base antico nordica che è
“frakkr”, interpretato come “gli audaci”.
All’inizio della loro storia ci sono almeno due gruppi di Franchi: i Franchi Salii, da cui deriva
la legge salica, che si trovavano nella parte più settentrionale, verso il mare del Reno e i
Franchi Ripuari, che si trovavano invece più a sud, nella parte centrale del corso del Reno.
Nel IV sec. attraversarono il Reno e nella zona dell'attuale Belgio crearono un primo regno
sotto re Childerico: quando nel 476 cadde l’Impero Romano d'Occidente, avevano già
conquistato un pezzo di terreno, si erano estesi fino alla Mosa eavevano occupato città
romane importanti nella zona renana (questo ha portato a uno spostamento del confine
linguistico, perché la zona che era prima latino-romanza divenne germanica).
Dopo l'unione dei due gruppi, la storia dei Franchi è legata a due dinastie, Merovingi e
Carolingi. Apparteneva alla dinastia Merovingia Clodoveo (tra la fine del V e l’inizio del VI
sec.).
Il grande merito politico di Clodoveo è quello di essersi convertito, insieme al suo popolo, al
cristianesimo: per la prima volta non parliamo di cristianesimo ariano (come per i Goti), ma
di cattolicesimo; questo gli darà un grosso vantaggio politico nel periodo successivo,
perché i Franchi saranno sempre considerati gli interlocutori privilegiati della Chiesa, come
nel caso dei Longobardi in Italia.
I Longobardi sono in quell’epoca in parte convertiti al cattolicesimo e in parte ariani, a un
certo punto sembra che gli ariani possano prevalere, a eleggere loro il re; il Papa pensa di
chiamare i Franchi, che si atteggiano come difensori della fede.
Questo sarà il caso drammatico per la conversione dei Sassoni, una delle più cruente in
assoluto nel panorama germanico: a questi venne distrutto ogni simbolo identitario, per poi
porre la scelta tra la morte e la conversione, anche se inizialmente la scelta viene fatta per
salvarsi.
Nel 732 la battaglia di Poitiers, Carlo Martello combatterà contro gli arabi infedeli, e sarà
uno di questi eventi che contribuirà al mito della difesa della fede (Carlo Martello non è re dei
Franchi, perché i re della dinastia Merovingia avevano la tradizione di avere dei
maggiordomi, figure importanti che spesso esercitavano il potere al loro piacimento senza
coinvolgere il sovrano).
Dopo la battaglia di Poitiers Carlo Martello governerà da solo, senza interpellare nessuno e
prima di morire dividerà il regno come se fosse lui il re: la legge ereditaria dei Franchi
prevede che il territorio si divida tra i figli maschi; quindi, divide il reno tra i suoi due figli, che
sono Carlomanno e Pipino.
Pipino, dopo che Carlomanno si ritirerà in convento, sarà l’unico sovrano dei Franchi e verrà
nel 751 formalmente incoronato re; egli dividerà a sua volta il regno tra i due figli,
Carlomanno (che non regna, perché muore) e Carlo (che diventerà Carlo Magno).
Carlo regna da solo dal 771 e a lui si deve la trasformazione del regno franco nel Sacro
Romano Impero, si fa ungere dal Papa e suggella la sua posizione di sovrano cattolico; ha
inoltre favorito la diffusione della riforma benedettina nei monasteri dell'Impero.

21/10/2022

La spartizione del regno franco


Carlo Martello non è il sovrano, è il maggiordomo: nella dominazione dei sovrani merovingi, i
maggiordomi di palazzo avranno un potere come o più del sovrano, che a tratti si
disinteressava delle vicende politiche.
Nel 732 Carlo Martello si impose sugli arabi e fermò un’incursione pericolosa per l’Europa
cristiana (ancora una volta i Franchi hanno questo ruolo di difensori della fede e della
cristianità).
A partire da dopo la battaglia di Poitiers non ci sarà un sovrano merovingio, ma Carlo
Martello governerà da solo e prima di morire nel 741, decide di dividere il regno tra i suoi
due figli, Carlomanno e Pipino.
Carlomanno sarà poco coinvolto in questa vicenda, perché deciderà di entrare in monastero
e scomparirà dalla scena politica franca; dopo la deposizione dell’ultimo sovrano merovingio,
Pipino rimase da solo a governare il regno dei Franchi.
Quando Pipino muore nel 768, continua questa abitudine di spartire il regno tra i figli: ogni
successione comportava una divisione del regno e insoddisfazioni da parte di tutti; nel caso
di Pipino i figli sono Carlo (Magno) e Carlomanno, poco influente nell’eredità perché muore.
Morendo aveva anche lasciato degli eredi, il cui diritto viene negato e usurpato da Carlo che,
a partire dal 771, regna da solo sui Franchi.

Carlo Magno
Nel periodo di regno di Carlo Magno, il regno effettivamente si ampliò in modo notevole e
diventò poi anche formalmente l’Impero Carolingio, il Sacro Romano Impero.
Dal punto di vista territoriale Carlo condusse una serie di battaglie contro i Sassoni ei Frisoni
e questo portò il regno franco a estendersi al territorio dell’attuale Germania settentrionale,
arrivando al mare del nord.
Con la spinta di questo loro rapporto privilegiato con Chiesa e Papato, nel 774 la
popolazione dei Franchi si sostituì ai Longobardi in Italia (la motivazione era la non
decisione su quale versione del cristianesimo era predominante tra i Longobardi perché
c’era una componente cattolica e una ariana).
I Longobardi eleggevano ogni volta il sovrano tra le varie parti, ed era possibile che venisse
eletto un sovrano ariano, questo preoccupava il Papa, che chiese aiuto a qualcuno con un
esercito, un difensore della chiesa: i Franchi che decisero di stringere un'alleanza con loro,
sancita da un doppio matrimonio dinastico.
Da una parte c’erano Carlo Magno e Carlomanno; dall’altra due figlie del re longobardo
Desiderio; nel momento in cui Carlomanno morirà, la cognata e nipoti di Carlo Magno non
vedranno rispettati i loro diritti, e si arriverà alla guerra contro i Longobardi e si verificherà
questa sostituzione dei Longobardi con funzionari del regno franco, senza una presenza
fisica dei Franchi in Italia.
Con tutta questa operazione Carlo Magno annesse anche i territori che erano dei
Longobardi in Italia come la Baviera, e riportò una vittoria anche contro gli Avari nell'attuale
Ungheria.
Dopo aver conquistato i territori italiani ebbe l’occasione, nella notte di Natale dell’800, di
farsi incoronare imperatore, trasformando formalmente il regno dei Franchi nel Sacro
Romano Impero (“sacro” ricordava l’elemento cristiano e religioso mentre “romano” si
ricollegava direttamente alla tradizione dell’Impero Romano).
Al di là di essere potente in Europa, tutti i piccoli regni germanici vengono sottomessi e
inglobati nell’Impero.
Il suo, è stato un periodo con un forte impulso dato dalla politica del sovrano alla cultura, alla
scolarizzazione e contribuì anche alla diffusione della riforma benedettina nei monasteri del
regno.

La riforma benedettina
Benedetto da Norcia fu protagonista di una grande innovazione all’interno del
monachesimo nell'Europa occidentale, perché fino ad allora i monaci pregavano e basta.
La riforma benedettina si riassumeva nelle tre parole “ora et labora” (prega e lavora),
proiettava i monaci in una dimensione pratica della vita perché oltre alla preghiera c’era il
lavoro fisico o intellettuale.
Iniziarono ad esserci orti nei monasteri, oltre che scriptoria dove venivano scritti e copiati i
manoscritti: la regola prevedeva che ciascuno, con le proprie capacità, contribuisse con una
attività pratica.
All'interno della regola di S. Benedetto vennero stabilite anche le condizioni per entrare in
monastero, oltre che per la vita del monastero: una delle regole prevedeva che tutti i monaci
dovevano imparare a memoria o a leggere la regola di S. Benedetto (questo aiutò la
scolarizzazione nei monasteri).
La successione del regno dopo Ludovico il Pio
Carlo Magno è stato un sovrano longevo, che ha garantito un periodo di stabilità al regno: il
passaggio da Carlo Magno a Ludovico il Pio, suo figlio, fu piuttosto tranquillo, mentre sarà
la successione di Ludovico il Pio ad essere drammatica perché i suoi tre figli non erano
molto d'accordo su come era stato spartito il regno; quindi, ci sarà un periodo di lotte di
potere.
I tre figli di Ludovico il Pio erano Carlo il Calvo, Ludovico il Germanico e Lotario, che era il
primogenito, a cui come tale spettava il titolo imperiale ma questo suscitò la rabbia e l’invidia
anche degli altri due fratelli, che decideranno di allearsi contro di lui.

I Giuramenti di Strasburgo
Questa alleanza tra Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico fu sancita nell’842 da un
documento, i Giuramenti di Strasburgo, una delle prime attestazioni del dialetto tedesco
antico ma anche dell’antico francese.
Ci sono giunti in un testo latino, che è conservato in un manoscritto della Biblioteca
Nazionale di Parigi, che è stato redatto da Nithart (Nitardo), nipote di Carlo Magno, un uomo
di stato al servizio del re nella parte occidentale del regno.
Il testo del giuramento è fatto in forma bilingue, questo perché ormai la dimensione e
l’estensione del regno franco era tale che non era più un regno mono lingua, o meglio, è la
loro lingue di origine, il francone, lingua dei Franchi ma che non era unica.
Vista la situazione e visto che i due fratelli volevano fare questo giuramento, si portarono
dietro gli eserciti per averli come testimoni e volevano che si capissero: per questo
organizzarono questo scambio linguistico per cui ognuno dei fratelli giura nella lingua
dell’altro (Carlo il Calvo giura in francone renano, e invece Ludovico il Germanico giura in
antico francese).
Il testo latino che accompagnò i Giuramenti di Strasburgo contiene in latino l'espressione
“teudisca lingua” per indicare qui il francone (lingua germanica) parlata dall’esercito di
Ludovico il Germanico ed è la prima attestazione dell'antenato della parola “deutsch”,
“tedesco” (latinizzazione di una forma germanica “diutisk”).

Le Conversazioni (glosse) di Kassel e di Parigi


Le Conversazioni (glosse) di Kassel e le Conversazioni di Parigi, che sono forse la cosa
che si avvicina di più ai glossari, sono raccolte bilingui di parole latino volgare, quindi latino
tedesco.
Al loro interno contengono frasi che sembrano guide di conversazione, con delle
domande/risposte che fanno riferimento a situazioni quotidiane nel mondo dell'alto
medioevo, dove lo scopo sembra quello di imparare la lingua germanica da parte di
qualcuno che conosce il latino e che vuole sopravvivere in diversi contesti nella parte
probabilmente orientale del regno, dove si parlava una lingua germanica.
Si pensa che siano entrambe nate nel contesto della formazione di persone, forse nobili, che
appartenevano alla parte occidentale e che dovevano andare nella parte orientale.

Il regno franco dopo la spartizione e il confine linguistico


Il regno venne spartito in tre parti e Lotario rimase imperatore, anche se era un titolo più
debole.
Ludovico il Germanico ottenne la parte orientale (attuale Germania), Carlo il Calvo ottenne la
parte occidentale (l’attuale Francia) e Lotario ottenne quel territorio che storicamente verrà
identificato come “Lotaringia”, compreso tra la regione del Reno, la Mosa e il Rodano, che
corrisponde oggi alla Lorraine.
Il risultato di tutto questo e la conclusione che si trae da questa vicenda riguardante i
Giuramenti di Strasburgo è che il confine linguistico che si era spostato diventando
germanico nel territorio a ovest del Reno si spostò nuovamente, questo perché, nel territorio
di quella che era stata la Gallia romana, il dialetto germanico di questa popolazione, dei
Franchi, lasciò delle tracce.
Si possono trovare elementi nei nomi dei luoghi di origine germanica anche in terra
francese; per esempio, il Marbais, il cui secondo elemento deriva da una parola germanica,
“baki”, che è il predecessore della parola moderna tedesca “bach”, che vuol dire “ruscello”.

Tradizione letteraria dei dialetti dell’alto tedesco antico


Per quanto riguarda gli esempi di letteratura alto tedesca antica, si possono trovare una
serie di dialetti accomunati dall’avere la seconda mutazione consonantica, ma che hanno a
livello di vocalismo differenze significative.
Le iscrizioni runiche sono la prima forma di scrittura nelle popolazioni germaniche, spesso
sono identificate con la Scandinavia ma si trovano anche nell’area alto tedesca, in
particolare dalla regione alemanna (risalgono tra il V e il VII sec.).

24/10/2022

I dialetti dell’alto tedesco antico


Iscrizioni runiche
Le prime attestazioni sono costituite da alcune iscrizioni runiche provenienti dall’area
germanica meridionale da un periodo tra il V e il VII sec, e se analizzate dal punto di vista
linguistico possono essere considerate appartenenti ai dialetti dell’alto tedesco antico.
Sono iscrizioni per la maggior parte su oggetti mobili, non pietre; dal punto di vista del
contenuto linguistico non vengono fornite molte informazioni, questo perché sugli oggetti si
scriveva o il nome del proprietario, o il nome di chi lo aveva realizzato oppure una dedica.
Alcune di queste hanno un contenuto più interessante, perché mostravano tracce di un
linguaggio poetico che utilizzava alcuni strumenti tipici della poesia (tra cui l’allitterazione):
uno di questi esempi lo troviamo nella figura della Fibula I di Nordendorf, che si trovava
nella zona di Augusta in Baviera e risaleva agli inizi del VII sec. (sul retro si trovavano tre
parole scritte su tre righe diverse: Logaþore, Wodan, Wigiþonar; il primo e il secondo sono
nomi propri, dove il secondo è quello di Odino, mentre il terzo è un composto che
comprende un nome proprio che prende da “þonar” (divinità del tuono), mentre invece “wigi”
è un aggettivo, e viene reso come “sacro þonar”).
Sul lato anteriore ci sono i nomi di tre personaggi che si pensa siano i donatori della fibbia e
sono scritti in un’unica parola “awaleubwini”, da interpretarsi come “Awa” e “Leubwini”.
Questi nomi, della persona a cui è stata donata la fibbia e delle divinità, oltre che dei
donatori, sono stati messi in modo da rappresentare questa doppia cornice con i suoni
allitterati.
In un’altra fibbia, la Fibbia di Osthofen, è presente forse una traccia della cristianizzazione:
“Go[d] fura d[i]h d[e]ofile”; “Dio, davanti a te il diavolo”; la parola che ci fa immaginare il
contesto cristiano è l’ultima, che vuol dire “diavolo”.
La parola “god” avrebbe potuto essere stata utilizzata anche per una divinità pagana.
Questa fibula appartiene al francone mentre quella precedente, nonostante sia stata trovata
nell’attuale Baviera, è considerata di lingua alemanna.
Collegata all’iscrizione runica si trovano in area tedesca alcuni versi che sembrano finalizzati
alla memorizzazione, all’imparare qualcosa, che sono conosciuti con il nome di
“Abecedarium Nordmannicum”: sono solo 11 versi allitteranti, che sono stati inseriti in una
sorta di codice che contiene appunti e informazioni varie, appartenuto a Walafrido Strabone,
Abate di Reichenau.
Questo abate era della prima metà del IX sec. e trascrisse questi versi assieme ad altre
curiosità, tra cui degli alfabeti: trascrisse questo poemetto molto particolare che dal punto di
vista linguistico è un rompicapo e ha elementi dell’alto tedesco antico, ma ha anche elementi
di antico nordico e antico sassone.
La scrittura runica parte con 24 segni uguali per tutta l’area germanica, poi si ha
un’evoluzione: in area anglosassone si ha un aumento del numero dei segni; in Scandinavia
invece c’è una riduzione, e si arriva a questa serie a 16 segni.
Accanto ai segni vengono messi in poesia con versi allitteranti, con lo stesso principio di
quelle rime utili a ricordare qualcosa, i simboli delle rune col loro significato

Incantesimi e formule di benedizione


Nel medioevo c’era continuità tra l’elemento pagano e quello cristiano: quando questi testi
vennero messi per iscritto il paganesimo era finito, si conservarono per volontà di
conservare qualcosa del passato.
Ci sono due esempi di formule magiche che possono essere ricondotte al paganesimo
germanico: queste due formule magiche sono gli incantesimi, o formule magiche, di
Merseburgo e si tratta di due formule che sono state aggiunte sul foglio di guardia di un
messale (un foglio bianco che sta tra la copertina e l’inizio del testo vero e proprio).
In questo caso il messale latino, che probabilmente viene da Fulda (importante centro
scrittorio dell’area linguistica tedesca), aveva questi spazi bianchi e qualcuno ci ha trascritto,
probabilmente nella prima parte del X sec, queste due formule (probabilmente sono testi
molto più antichi).

Le formule magiche
Sono sostanzialmente dei rimedi verbali e hanno una struttura non molto diversa da quelle
che sono le ricette (sia di cucina che mediche); di solito questi incantesimi sono divisi in due
parti.
La prima ha un carattere narrativo: racconta una storiella che, non a caso, come termine
tecnico è chiamata “historiola” e racconta una situazione in qualche modo analoga a quella
per cui si chiede aiuto.
Le parole, che sono le parole che nei manoscritti non sono virgolettate, sono quello che
bisogna dire per avere un risultato e si chiama “incantatio”.
Le due parti non sono necessariamente presenti perché quella fondamentale è l’incantatio.
Un terzo elemento che può essere presente sono le istruzioni, le indicazioni relative al rituale
che si deve fare insieme ad avere pronunciato la formula.
Ci possono quindi essere varie indicazioni, come ripetere la formula un certo numero di
volte, tipicamente tre oppure possono essere indicazioni rispetto a certe gestualità (fare il
segno della croce) o la recita di preghiere.

Gli incantesimi di Merseburgo


Nel caso delle due formule di Merseburgo lo scopo delle formule era quello di ottenere la
liberazione di un prigioniero anche se in realtà questo tema della liberazione del prigioniero
è stato messo in discussione.
Per esempio, si pensa che la “liberazione” in questione non sia del prigioniero, ma del
bambino quando viene partorito, e che sia quindi una formula per aiutare il parto.
La seconda formula di Merseburgo (la più famosa) mirava a ottenere la guarigione di un
cavallo che si era slogato la zampa.
Un’immagine di paganesimo si può vedere anche nella prima ma in modo meno marcato,
perché non ci sono nomi specifici di divinità, ma ci si limita a nominare tre gruppi di figure
femminili che vengono chiamate col nome di “idisi”; sicuramente hanno dei poteri, delle
forze, delle capacità, ma non si sa se siano divinità, valchirie o altro.
“Idisi” è un hapax (hapax legomenon), non abbiamo altri testi in cui compare il termine: nella
prima formula c’è un gruppo che intreccia lacci, che possiamo immaginare che siano fatti per
legare il nemico; un gruppo che blocca eserciti (nemici); e le altre sciolgono catene (catene
che tengono legato il prigioniero).
La formula che costituisce la parte finale dell’incantesimo viene pronunciata nella cornice
narrativa da uno di questi gruppi di donne ed è anche quello che si deve dire per liberare
qualcuno che ne abbia bisogno in una circostanza analoga.
Nella seconda formula, finalizzata alla guarigione della slogatura del cavallo, l’elemento
narrativo racconta di un gruppo di dei che vanno a cavallo nel bosco, il cavallo di uno di loro,
Baldr, si fa male slogandosi la zampa.
Le varie divinità cercano di curare il cavallo pronunciando formule, il primo che prova è Baldr
stesso, poi intervengono altre divinità, tra cui Freya, ma non riescono a ottenere nulla finché
non ci provò Odino che ci riuscì, ed è l’unico di cui sono state riportate le parole.

Le formule cristiane
Questa continuità tra l’elemento pagano e cristiano è testimoniata da un'altra versione di
questa formula, trasmessa in un manoscritto del X sec. conservato a Treviri (“Incantesimo
di Treviri”).
Questo manoscritto ha carattere assolutamente cristiano e lo scopo della formula è sempre
quello di guarire un cavallo dalla slogatura, c’è sempre un elemento narrativo che racconta
di personaggi nel bosco a cavallo; i personaggi sono S. Stefano, proprietario del cavallo, la
Madonna e Gesù Cristo.
L’ultimo a provare a pronunciare la formula è Cristo, ed è colui che ottiene la guarigione e
alla fine si trova l’indicazione di recitare un padre nostro.
Questa somiglianza tra la formula di Merseburgo numero 2 e l’incantesimo di Treviri per i
cavalli ha fatto pensare che si tratti in realtà di una formula cristiana in origine, che nel caso
di Merseburgo sia stata antichizzata sostituendo ai nomi dei personaggi della cristianità nomi
delle divinità (è un’ipotesi, è più probabile che invece la formula nascesse così e che ne
siano state fatte, dopo la conversione al cristianesimo, delle versioni epurate con figure
accettate dal punto di vista cristiano).
Con l’eccezione delle formule di Merseburgo, esistono anche una serie di testi di questo
tipo, rimedi verbali che fanno riferimento a situazioni della vita quotidiana, formule di
guarigione innanzitutto, formule finalizzate a risolvere problemi quotidiani nella vita del
tempo: contro il furto, per le api (un problema era se scappava lo sciame), per i cani (erano
una risorsa sia nell’allevamento che nella protezione del territorio, come nel caso
dell’”Incantesimo di Vienna”).
Poi si trovano anche incantesimi più lunghi, per il viaggio, dove si ottiene una protezione
nelle varie situazioni pericolose che uno può incontrare in viaggio (briganti, mal tempo,
cattura, morte senza possibilità di ricevere i sacramenti).
Nella parte narrativa si incontrano spesso riferimenti a episodi più o meno biblici, anche se a
volte ci sono confusioni tra passaggi biblici simili che vengono sovrapposti; uno dei modelli
ricorrenti è quello incentrato sulla figura di Longino, che è una figura non biblica ma è però
ispirata a una figura del vangelo di Giovanni che, nel momento successivo alla crocifissione,
è un soldato che tira la lancia contro Cristo crocifisso, ferendolo nel costato.
Nella tradizione tardo antica e medievale si diffonde, a partire da un vangelo apocrifo che
sono gli “Atti di Pilato”, la tradizione secondo cui questo soldato si sarebbe chiamato
Longino; col tempo su questa figura si sono aggiunti altri strati leggendari, per cui ha iniziato
ad essere ebreo (era in realtà un soldato romano) ed è diventato cieco anche se
difficilmente i Romani avrebbero avuto nel loro esercito un ebreo cieco.
La stessa immagine di Longino è stata usata anche negli incantesimi per la guarigione delle
ferite: l’elemento della cecità è funzionale a usare la formula di Longino nelle formule per gli
occhi.
Nel caso degli incantesimi per le emorragie un altro tema è quello del Giordano dove
l’elemento più popolare è la divisione del Mar Rosso: nell’antico testamento gli israeliti
dovevano passare il Giordano, e ad un certo punto il fiume si era fermato.
Il Giordano fermo viene sovrapposto a un altro momento: il battesimo di Cristo (il Giordano si
è fermato perché Giovanni potesse battezzare Cristo).
In alcune formule si trova un imperativo e questo è quello che avviene in due incantesimi
contro i vermi, uno di tradizione antico sassone, della zona settentrionale, e un altro analogo
di zona alto tedesca (“Contra vermes”).
In questo caso questo verme viene chiamato “Nesso” e viene invitato a uscire dalla zampa
di un cavallo, dove sta, deve passare all’esterno fino ad andarsene (c’è di nuovo il tema di
attraversare i vari tessuti corporei).
Col tempo, nel XV sec. aumentò la produzione manoscritta di queste formule ma
aumentarono anche quelle che sono state censurate, cancellate od occultate nei manoscritti
a causa dell’Inquisizione.

Il canto eroico
Per vedere un panorama della tradizione alto tedesca antica bisogna parlare del Canto
eroico, un genere che nella tradizione germanica (non solo tedesca) ha trovato la strada
verso la forma scritta solo in casi molto rari.
Di epoca antica ci sono giunti sostanzialmente poemi di area anglosassone dove il più
famoso è Beowulf mentre sul continente, in area tedesca, ci è giunto solo il Canto di
Ildebrando (“Hildebrandslied”).
Poi la materia eroica, ad esempio in area tedesca, troverà il suo apice nella tradizione
nibelungica, trasmessa nella fase successiva; parlando dei Goti, la loro fonte storiografica
principale è rappresentata da Giordane, che accenna al fatto che i Goti avessero canti eroici
e che esistessero testi comprendenti lamenti funebri per figure importanti come Attila e
Teodorico; altre fonti, tra cui Cassiodoro, raccontano che i Goti avevano testi celebrativi per i
loro re.

Canto di Ildebrando
Il “Canto di Ildebrando” venne trasmesso in forma frammentaria, incompleto ma non si
conosce la fine: c’è un manoscritto latino di carattere teologico, appartenente all’abbazia di
Fulda, dove sul primo e ultimo foglio sono stati copiati questi 68 versi lunghi allitteranti;
questi 68 versi sono stati scritti attorno all’830, prima parte del IX sec, da due mani diverse.
La lingua ricorda un alto tedesco che presenta elementi evidenti dell’antico sassone,
probabilmente c’era un originale, una versione “antigrafo” (copia da cui si è copiato) in lingua
sassone, e poi è stato trasposto in alto tedesco antico.
Dal punto di vista della forma, il fatto che sia così allitterante, ma anche nel lessico, è un
testo che rimanda a uno strato antico della lingua; a tutto questo corrisponde anche il tema,
che è quello del conflitto tra padre e figlio, che in questo caso sono Ildebrando e
Adubrando, che si trovano, in parte inconsapevoli, a doversi scontrare in battaglia e tutto
questo accade sullo sfondo della vicenda teodoriciana (nella vicenda di Teodorico il
Grande).
Soprattutto nella letteratura teodoriciana, Teodorico veniva presentato come qualcuno che
aveva legittimamente ereditato un regno nell'Italia settentrionale, e da cui era stato scacciato
andando in esilio (in realtà Teodorico non c’era mai stato, ce lo manda l’imperatore Zenone).
Un altro cambiamento riguardava l’avversario storico di Teodorico, Odoacre, spesso non
compariva come Odoacre, ma con il nome di “Ermanarico”, e diventa suo zio; lo zio che gli
ha usurpato il regno e lo ha scacciato dall’Italia settentrionale mandandolo in esilio.
Nel Canto di Ildebrando presenta Ildebrando che combatte per Teodorico, che sta cercando
di riprendersi il suo regno, da cui è stato cacciato, cerca di ritornare dall’esilio però il nemico
di Teodorico, e quindi anche di Ildebrando, non è ancora Ermanarico, ma contiene il nome
del suo nemico storico: Odoacre.
Nel Canto di Ildebrando compare Odoacre ma si dice che Teodorico sia dovuto fuggire:
all’interno di questo si trovano i due protagonisti che, come era abitudine, devono sfidarsi a
duello in mezzo agli eserciti; succedeva spesso che le battaglie non venissero combattute
tutti contro tutti, ma che venissero scelti due campioni che si sfidassero per gli eserciti.
In questo caso si incontrarono Ildebrando e suo figlio Adubrando, e si prepararono a
combattere: Ildebrando, prima di iniziare a combattere, chiese al suo avversario chi fosse e
Adubrando rispose dicendo il suo nome e quello di suo padre, aggiungendo che suo padre
era fuggito insieme a Teodorico per sfuggire all’odio di Odoacre.
Aggiunge anche altre cose, tra cui disse che era rimasto da solo con la madre, senza mezzi
ed eredità, e dunque Ildebrando capì di avere davanti suo figlio e si trovò in una situazione
senza soluzione.
Fece un tentativo di riconciliazione senza dirgli di essere suo padre, gli disse di essere un
parente stretto e gli offrì un’armilla d’oro come gesto di riconciliazione; Adubrando però
rifiutò perché pensò che fosse un tranello perché pensava che suo padre fosse morto, non
sapeva che fosse lui.
Ildebrando allora si rivolse a Dio, ma dovrà per forza combattere: sarà ucciso lui, facendo
perdere la sua parte, o dovrà uccidere suo figlio; ogni altra soluzione sarebbe vile, non può
sottrarsi alla battaglia.
Iniziarono il combattimento che però si interruppe senza saperne la fine, anche se si hanno
indizi su quale possa essere l’esito del canto in questa versione.
Da fonti nordiche, nella “saga di Asmund uccisore dei guerrieri” non è presente il conflitto
padre-figlio ma quello tra due fratelli, Asmund e Ildebrando, che si ritrovarono a combattere
senza riconoscersi e Asmund perse la vita.
Esiste tuttavia una strofa di un poeta molto più tardo, dell’epoca del tedesco medio, nel XIII
sec, che si chiama Marner: in questa strofa parla genericamente dei carmi di età eroica, e
tra i vari argomenti elenca anche “della morte del giovane Adubrando”; sembra quindi che la
fine tragica sia che Ildebrando uccida il figlio.
Di questo testo si trova anche una versione più recente, nota come “Canto di Ildebrando
più recente”, è un testo in forma di ballata dove è cambiato il gusto, lo spirito e anche il
quadro di riferimento dal punto di vista dei valori e della morale.

A quell’epoca sarebbe stato assurdo proporre una situazione così senza fine e, in effetti, in
questa ballata con lo stesso tema, c’è un lieto fine con una riconciliazione: Ildebrando si
riconciliò col figlio perché dopo un po’ Adubrando gli credette, andarono a chiamare la
madre e finì con una riunione familiare.

Canto di Ludovico
Il “Canto di Ludovico” è un testo celebrativo che celebra la vittoria di Ludovico III, re dei
Franchi occidentali, riportata nell’881 nella battaglia di Saucourt; è un testo scritto in lingua
tedesca, nonostante ci si trova nella parte occidentale del regno dei Franchi e si dovrebbe
parlare francese.
Dal punto di vista del luogo d’origine e dell’argomento è legato alla parte occidentale del
regno: il Ludovico del titolo (Ludwigslied) è Ludovico III, che nel momento in cui è stato
scritto il testo è ancora in vita.
È stato scritto dopo la vittoria, tra il 1 agosto 881 e il giorno della morte di Ludovico III, 5
agosto 882, l’autore, anonimo, è probabilmente un religioso che lavorava a stretto contatto
col sovrano, quindi un funzionario di corte, il fatto che il dialetto tedesco che utilizza sia un
dialetto francone renano fa pensare o che lui fosse originario di quella zona dove si parlava,
o che non fosse maderlingua, ma che avesse imparato il tedesco nella zona della Franconia
Renana.
Il manoscritto è del IX sec. e contiene questo testo, che è a versi lunghi con rima interna,
divisi in due parti, le cui due parti rimano tra loro, suddivisi in strofe di 2-3 versi (poteva
essere stato pensato anche per il canto, che prevedesse un accompagnamento musicale
perché ha un tono simile a quello delle lodi di ringraziamento, come le litanie cristiane, ma
anche alle lodi regie che venivano recitate o cantate quando arrivava il sovrano in un
determinato luogo e se ne celebravano le imprese).
È un testo che stilisticamente ha una struttura semplice, con poche subordinate, le uniche
tracce di complessità sono riportate dal discorso diretto messo in bocca a Ludovico stesso: è
un discorso rivolto da Ludovico ai Franchi, che è un ammonimento, perché questo arrivo dei
Normanni, che avevano tentato di invadere il regno, viene visto come una messa alla prova
da parte di Dio per riportarli sulla retta via.
Per come vengono raccontati i fatti si pensa che fosse destinato a un pubblico che sapeva
come erano andate le cose, e che aveva anche partecipato alla battaglia, per questa
ragione il poeta non dà indicazioni sulla battaglia e gli eventi vengono condensati nei tratti
significativi, il resto serve a elogiare il sovrano, che è presentato come principale artefice
della vittoria.
Tra i temi e le possibili interpretazioni della scelta della lingua tedesca per questo testo, si è
pensato che sia stato concepito in lingua tedesca per fare un’opera di propaganda per
Ludovico III nella parte orientale del regno, non sottomessa a lui, e per presentare alla
nobiltà franca dell’area orientale le doti di questo sovrano.
La nobiltà, anche nella parte occidentale (di lingua romanza) traeva le sue origini da quella
orientale; è un testo con un tono positivo e ottimistico, che celebra il sovrano, il suo rapporto
con Dio.
La figura di Ludovico III rappresentava una sorta di modello di sovrano ideale
indipendentemente dall’area di riferimento; si voleva probabilmente aprire una speranza
positiva sul futuro, presentare una voce di speranza in questa situazione in cui i Franchi
erano stati minacciati da questi invasori, contenendoli.
Sarebbero importanti non solo i fatti che vengono narrati, ma anche il tono di fiducia,
ottimismo e speranza che vuole suscitare nel pubblico un aspetto solidale, al di là della
divisione in due del regno.

Regola benedettina
L’ultimo esempio di testo in tradizione tedesca è rappresentato dalla tradizione della regola
benedettina (“Regula Benedictii”), che è una versione interlineare della regola latina; si
trova in un manoscritto conservato a San Gallo, in Svizzera, e deve essere stata compilata
poco dopo l’802, anno in cui Carlo Magno, con il sinodo di Aquisgrana, diede disposizioni
per una sempre più fedele osservanza della regola.
In seguito a questa necessità sempre più evidente di conoscere la regola benedettina, nello
stesso monastero di San Gallo, si iniziò a fare questa traduzione interlineare della regola.

28/10/2022

La regola di San Benedetto


La regola di S. Benedetto nacque all’inizio del VI sec. a Montecassino, in latino: Carlo
Magno aveva mandato degli scribi a copiare la regola in modo che potesse circolare nel
regno franco.
In una fase successiva, con il sinodo di Aquisgrana nell’802, venne imposta come norma
in tutte le comunità monastiche (a “tutti i monaci che ne siano capaci”).
La questione della lingua latina nel sinodo di Aquisgrana non è messa in discussione:
bisogna impararla in latino.
Nell’816 ci fu un nuovo aggiustamento, che prevede che i monaci più esperti nello scrivere e
comprendere il latino dovessero tradurre la regola per quelli che non erano in grado di
capirla autonomamente, senza passare per la lingua madre.
È questo il contesto in cui nacque, nel monastero di S. Gallo, la versione interlineare,
databile all'inizio del IX sec. in dialetto alemanno.
La regola di S. Benedetto è uno dei testi più importanti a livello di diffusione e influenza
nell’alto medioevo; al di là di “ora et labora”, parla inoltre di tutto quello che sono i requisiti
per una persona che voglia entrare in monastero, come si svolge la vita in monastero, la
scansione delle attività durante il giorno, ma anche gli aspetti della gerarchia nel monastero.
Nella versione interlineare, la regola è giunta in questo manoscritto in cui il testo latino è
integrato con la traduzione tedesca, che non è stata fatta sull’originale latino: la versione
tedesca inizia al principio, con il prologo, e per i primi 14 capitoli è una traduzione completa,
a partire dal quindicesimo capitolo, con qualche eccezione con i capitoli che presentavano
problemi terminologici, la traduzione diventa sempre più rarefatta e alla fine, negli ultimi
capitoli, sono tradotte solo singole parole ed espressioni.
Lo spirito non è quello di fare una versione tedesca perché il testo importante è quello latino.

Le prime traduzioni
I primissimi testi di traduzione sono quelli che nacquero nell’ambito della cristianizzazione e
sono testi dove la traduzione è funzionale alla comprensione del contenuto: formule base
come il Credo, come le formule del battesimo vengono tradotte in lingua volgare perché
bisogna capire quello che si dice (era difficile cristianizzare qualcuno in una lingua
totalmente straniera).
Ci sono testi più letterari, come il testo eroico, il testo con finalità politiche e il testo d’uso
(come i testi giuridici).
Uno dei primi testi è la versione interlineare della legge salica.

Germani Ingevoni
Ai Germani occidentali, gli Ingevoni, i “Germani del mare del nord” appartenevano diverse
popolazioni, la principale era quella dei Cauci; ci sono poi altre popolazioni, gi Angli, i
Sassoni, gli Juti, i Frisoni che sono tutti stati coinvolti nella colonizzazione dell’isola
britannica.
Il nome dei Cauci non è confrontabile con la radice germanica che sta alla base di aggettivi
come “high” o “hoch”, “alto”; forse il loro nome sarebbe riconducibile all’epiteto “gli alti”.
Si stanziarono tra l’Ems e l’Elba (fiumi) mentre gli Angli si erano insediati nella parte sud, lo
Jutland. I I Sassoni vengono citati nel II sec. d.C. da Tolomeo: il fatto che compaiano così
tardi come nome significa che questo nome è entrato tardi nell'uso, perché la popolazione
non è nata dal nulla, ma era una federazione di tribù già esistenti che non aveva quella
denominazione.

Le popolazioni germaniche sull’isola britannica


I Germani Ingevoni, verso la metà del V sec. (intorno al 450, appena prima della storica data
che ricorda la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il 476), Angli, Sassoni, Juti e alcuni
gruppi di Frisoni iniziarono a spostarsi andando via mare verso l'isola britannica.
L’isola britannica era stata occupata dai Romani ma quando Roma iniziò ad avere problemi
vicino alla capitale, la protezione militare venne tolta alle regioni periferiche perché le truppe
vennero richiamate per proteggere Roma.
L’isola era rimasta quindi sguarnita della protezione di Roma e venne lentamente
colonizzata da queste popolazioni: gli Juti provenivano dalla provincia dello Jutland, nella
parte più stretta, gli Angli si trovavano a sud degli Juti, tra lo Jutland e il continente; i
Sassoni si trovavano nell’attuale Germania settentrionale affacciata sul mare del nord; a
occidente dei Sassoni si trovano i Frisi o Frisoni.

Quando si allentò la protezione romana in questi territori si aprì la via all'invasione vera e
propria che ci viene raccontata in una fonte latina che è “La storia della Chiesa
d’Inghilterra” (Beda, “Historia ecclesiastica gentis anglorum”), scritta in latino, ne esiste una
versione anglosassone.
Secondo questo racconto l'invasione da parte di queste popolazioni germaniche sarebbe da
collegare al 449, quando sarebbero arrivati questi colonizzatori guidati da due fratelli,
Hengist e Horsa.
Questa indicazione non bisogna prenderla come reale, è un mito di fondazione, lo stesso
Beda li fa discendere da Odino, è un modo per dare una storia importante alla popolazione
anglosassone.
Tra l’altro, proprio come Romolo e Remo, non tutti e due sopravvissero perché uno dei due,
Horsa, sarebbe caduto in battaglia combattendo contro la popolazione locale che Beda
identificò come Britoni (una popolazione di origine celtica già presente sull’isola britannica,
poi sottomessa ai Romani).
La colonizzazione non comprese l’intera isola, si concentrarono sulla parte a loro più vicina,
la parte sudorientale; si spinsero poi anche verso nord ma non arrivarono mai a superare il
Vallo Adriano.
Nel fare questo la popolazione preesistente venne sottomessa, uccisa e confinata in alcuni
territori marginali dalla prospettiva di chi veniva da sud est; si concentrano nella Cornovaglia,
nel Galles e in Scozia (non a caso in queste zone ancora oggi è conservata la lingua
celtica).
Le popolazioni germaniche si distribuirono in zone di competenza in base alla provenienza:
gli Juti occuparono la zona sudorientale, quella del Kent e dell’isola di Wight; i Sassoni si
stanziarono prevalentemente nella regione del Tamigi e gli Angli nella parte più
settentrionale di questo territorio.
Dal punto di vista linguistico cominciò a prevalere la lingua germanica e anche qui come per
l’alto tedesco antico ci sono diverse tradizioni legate alle aree dialettali: nel caso dell’inglese
antico la situazione è più semplice, la maggior parte della tradizione scritta è quasi tutta
proveniente dall’area sassone occidentale.
Una volta arrivati e organizzati sull'isola, Angli e Sassoni si organizzarono dal punto di vista
politico e crearono diversi regni: si parla di “eptarchia anglosassone”, perché vennero
fondati sette regni.
Gli Juti possedevano il regno del Kent, gli Angli crearono tre regni: East Anglia (con capitale
Cambridge, Midlands), Mercia (con capitale Oxford) e Northumbria (si estendeva a nord del
fiume Humber; nacque dalla fusione di due regni preesistenti e si estendeva dal fiume
Humber fino al Vallo Adriano) e i Sassoni possedevano tre regni: Essex, Wessex e Sussex.
In questa divisione del territorio in questi sette regni rimasero zone di area celtica in cui i
Germani non andarono che sono la punta della Cornovaglia, la Scozia e il Galles.
In queste vicende storiche, in cui c’è un momento di fortuna che si alterna alla sottomissione
a un’altra forza, il regno che ebbe un predominio sull'isola più importante e significativo fu il
Wessex, grazie al re, Alfredo il Grande, che sarà uno dei protagonisti di una fase che non
solo è di successo politico ma anche di fioritura culturale.
Si occupò di politica culturale e favorì la diffusione della riforma benedettina nei monasteri;
egli fu autore di traduzioni a livello importante dal latino in antico inglese, nella letteratura
antica inglese ci sono testi classificati come testi alfrediani, che sono stati tradotti da lui o da
studiosi che lavoravano con lui.
Di fatto questo periodo dell’eptarchia anglosassone durerà sull'isola britannica dalla fine del
VI sec. fino all'inizio del IX sec., quando sull’isola inizieranno a farsi vedere i Vichinghi che,
nel 793, distruggeranno il monastero di Lindisfarne.
Da questo punto di vista il Wessex sarà il regno che resisterà più a lungo alla pressione
vichinga anche se lo stesso re Alfredo dovrà abbandonare il suo regno e andare in esilio,
perché sarà temporaneamente soppiantato dai Vichinghi, però dall’esilio riuscirà a
riorganizzarsi, formare una resistenza, organizzare una flotta, e riuscirà a deviare le loro
attenzioni verso regni che non siano il Wessex.
Nel X - XI sec. gli invasori Vichinghi dalla Danimarca vissero un periodo di alternanza di
maggiore potere ma anche periodi di arretramento; ci sarà anche un momento in cui il regno
d’Inghilterra, sarà sottomesso alla corona danese.
Quando l’Inghilterra diventò un regno unico venne proclamata come capitale prima
Winchester e poi Londra.
L'atto finale di questo contrasto tra le popolazioni germaniche arrivate nel V sec., gli
Anglosassoni e i Vichinghi, è rappresentato dall'anno 1066 in cui si verificò l'ultimo vero
attacco vichingo perpetrato da Vichinghi norvegesi.
L’attacco venne respinto ma pochi giorni dopo questa battaglia contro i norvegesi arrivò un
nuovo pericolo nei confronti dell’Inghilterra, rappresentato dai Normanni di Guglielmo il
Conquistatore.
Quando arrivarono in Inghilterra si erano linguisticamente romanizzati, si erano convertiti al
cristianesimo, e quindi la battaglia di Hastings del 1066 segnò la fine delle dinastie
anglosassoni sul trono d'Inghilterra e Guglielmo, duca di Normandia, diventò il nuovo re
d’Inghilterra.
Dal punto di vista linguistico il 1066 è il confine tra l’antico inglese e l’inizio dell’inglese
medio: in questo momento, con la corte di Guglielmo il Conquistatore che parlava francese,
tutta la nobiltà si adattò al francese e scomparì nella tradizione scritta la lingua inglese.
Quando venne ripresa la trasmissione scritta in inglese, questo inglese era così cambiato da
essere una lingua diversa, fortemente influenzata dall’elemento romanzo e dal numero di
prestiti provenienti dal francese.
04/11/2022

Beowulf
Beowulf è il rappresentante più famoso della letteratura di argomento profano di area
anglosassone, apparteneva alla tradizione della letteratura eroica, che in ambito germanico
era una delle prime opere di letteratura delle popolazioni germaniche.
Nel caso della letteratura inglese Beowulf è un poema di una certa dimensione perché ha
oltre tremila versi allitteranti, è un testo di argomento pagano che parlava di un eroe
germanico, non anglosassone, perché l'ambientazione non era inglese, ma si collocava in
Scandinavia si trovava sullo sfondo delle vicende di tre popolazioni, che sono i Geati, a cui
appartevano Beowulf, i Danesi e gli Svedesi.

Datazione
Sulla datazione, nella critica degli ultimi duecento anni si trova una gamma di date dalla fine
del VII sec. fino all’epoca del ritrovamento del manoscritto, nel XI sec.
C’erano due posizioni diverse: una che lo collocava nel periodo di attività di Beda, quindi
circa a cavallo tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII sec. e geograficamente lo collocava in
Northumbria; l’altra lo collocava al tempo di un re, Re Offa, un importante re della Mercia
che si è distinto soprattutto per aver combattuto battaglie contro la popolazione di origine
celtica che si trovava nel territorio del Galles, e aver consolidato il confine occidentale.

Lingua e sostrato
Mercia e Northumbria sono due regni appartenenti agli Angli: c’è, a livello dialettale nel
manoscritto di Beowulf, una commistione di elementi anglici e sassoni (occidentali).
Può essere che avesse avuto quella lingua e che nel momento della copiatura si è tentato di
fare una trasposizione in un altro dialetto, ma qualcosa è sfuggito e ha continuato a
riemergere.
Oppure si può pensare che la causa sia il copista: erano due copie, quella di partenza nello
stesso dialetto di quella da realizzare, ma mentre realizzava la seconda il copista ha
aggiunto delle interferenze col suo dialetto di origine.
Dunque, Beowulf è un testo scritto in partenza in uno dei due dialetti, che sono comunque
vicini, e un tentativo di trasposizione in sassone occidentale che non è stato completo, ma
ha lasciato alcuni elementi com’erano.

Il codice
Per la sua dimensione Beowulf è uno dei testi in lingua inglese di quell’epoca più ampi che
siano stati mai realizzati, probabilmente erano testi pensati non per la letteratura individuale,
ma per una recitazione a voce alta davanti a un pubblico, probabilmente presso le corti dove
c’era una figura di corte incaricata di intrattenere il pubblico celebrando vicende eroiche.
Il titolo di Beowulf è stato dato in epoca moderna da una delle prime editrici di questo testo
nel 1805, Sharon Turner, riferendosi al nome del protagonista al testo.
Il manoscritto che contiene Beowulf è oggi conservato alla British Library, ma proviene dalla
collezione privata di Sir Robert Cotton, un collezionista importante di testi in inglese antico
(la British Library decise di mantenere anche l’indicazione “Vitellius A. XV”, che era
esattamente la collocazione che aveva il testo all’interno della biblioteca di Cotton).
Il manoscritto è composto da due parti: la prima parte è composta da 90 fogli e risale alla
metà del XII sec., mentre la seconda è stata scritta attorno all’anno 1000.
La prima parte contiene testi in prosa, nella seconda ci sono testi in prosa che sono però
traduzioni di modelli latini, Beowulf e un frammento di un testo poetico sulla storia biblica di
Giuditta.
Dal punto di vista della lingua si pensa che ci debba essere stata una versione precedente
scritta di Beowulf prima di questo manoscritto, che possiamo collocare intorno alla metà
dell’VIII sec.
E’ possibile che sia una versione scritta nel dialetto della Northumbria e che si sia fatta la
trasposizione in sassone occidentale, o che sia stato il copista a lasciare tracce in dialetto
anglico; lo sfondo della vicenda riguarda la Scandinavia, in un’epoca tra la metà del V sec. e
la prima metà del VI.

Il nome di Beowulf
Su Beowulf è stato scritto molto, nessuna ricerca nelle altre fonti ha individuato questo
nome; questo nome è il nome proprio del protagonista, però come capita spesso nella
tradizione germanica i nomi sono “parlanti”, hanno un significato.
Del nome “Beowulf” aveva già iniziato a occuparsi Jacob Grimm,il quale lo considerava un
composto formato da due sostantivi, che sarebbero “Beo-Wulf” → “Ape-Lupo”.
Tuttavia, esiste una seconda ipotesi che legge questo composto come un composto
esocentrico, ovvero formato da un verbo e un sostantivo, che di solito è il complemento del
verbo; quindi la divisione rimane la stessa, ma invece di interpretare “Beo” come “ape” la
interpretiamo come connessa a una radice verbale germanica che è “beug”, la stessa radice
del tedesco moderno “biegen”, “piegare” (qui avrebbe il senso di “sottomettere”).
Questo composto sarebbe quindi un nome riferito a una persona che “sottomette i lupi” e il
lupo non va letto come il canide, ma come denominazione metaforica ampiamente attestata
in area anglosassone e scandinava, dove “wulf” è utilizzato per indicare il “bandito”.
“Beowulf” sarebbe quindi “colui che sottomette i fuorilegge".
La trama
Il poema presenta una struttura ciclica: vengono raccontati tre episodi nel poema in cui si
parte da una situazione di tranquillità, si risolve la crisi e si ritorna alla tranquillità.
Beowulf apparteneva a una famiglia geata che, nella figura del padre, ebbe una serie di
difficoltà per cui ad un certo periodo della sua vita fu privato del suo regno e fu mandato in
esilio chiedendo aiuto ai Danesi, a re Hrothgar che, nel momento in cui ricevette questa
richiesta di aiuto decise di aiutarlo a risolvere la questione per cui era stato esiliato e a
riacquistare il proprio status.
Beowulf da bambino venne mandato a casa del nonno materno, come si usava nelle
famiglie germaniche, perché venisse formato: il momento che lo consacrò come molto abile
fu una gara di nuoto che fece contro un ragazzo più grande, Breca, più grande e più forte
dove Beowulf riuscì a vincere e a liberarlo perché era stato catturato dai serpenti marini.
Quando era ormai un giovane capace di combattere, giunse nella terra dei Gaeti la notizia
che re Hrothgar aveva fatto costruire una reggia, “Heorot”, (“il cervo”) dove tutte le notti
arrivava un mostro e uccideva dei guerrieri.
Sentendo questo racconto Beowulf si ricordò del debito di onore che la sua famiglia aveva
con Re Hrothgar e decise di partire per la Danimarca, organizzando una nave con 14
compagni.
Venne fermato da una sorta di "guardia costiera” germanica e quando arrivò alla reggia,
lasciò subito le armi e andò dal re che decise di organizzare un banchetto per celebrare
Beowulf e i suoi.
Dopo il banchetto tutti andarono a dormire tranne Beowulf e i suoi perché, con l’arrivo
dell’oscurità, si presentò Grendel, che attaccò e uccise uno dei suoi compagni; Beowulf
riuscì ad afferrare un braccio di Grendel e glielo strappò; a questo punto Grendel fuggì
lasciando una scia di sangue, andando a morire in una palude.
A questo punto tutti celebrarono la vittoria pensando che il pericolo fosse stato sconfitto
anche se, successivamente, quando tutti si ritirarono per andare a dormire, si presentò un
altro pericolo, la madre di Grendel, che viveva in una palude fredda.
Uccise uno dei Danesi e portò via il braccio del figlio che era stato appeso come trofeo;
Beowulf si organizzò, si mise l’armatura, prese la spada e decise di vendicare questo
danese ucciso; durante la sua ricerca, sarà in realtà lei a trovarlo e a trascinarlo sul fondo.
Quando si ritrovò sul fondo della caverna trovò un’altra spada e con questa riuscirà ad avere
la meglio sulla madre di Grendel che verrà decapitata e verrà portata via la sua testa come
trofeo.
La celebrazione di questa ennesima vittoria segna la fine della prima parte del poema.
Ci sono poi dei versi che sono una parte di raccordo, sono circa 200, dove vengono
raccontati brevemente alcuni eventi del modo in cui Beowulf, ancora giovane, sia diventato
re.
Nella seconda parte ormai è un uomo maturo quasi anziano, è re da molto tempo e deve
affrontare nuovamente un problema nella sua terra dove da 300 anni viveva un drago che
era custode di un tesoro che era stato abbandonato dall’ultimo discendente di una stirpe di
guerrieri.
Uno degli abitanti aveva rubato una coppa dal tesoro e questo aveva scatenato l’ira del
drago, che aveva iniziato a bruciare tutto nella terra dei Geati.
Beowulf decise di intervenire e portò con sé 12 compagni; mentre si sta armando e sta
facendo la ricognizione c’è un momento intimo in cui ha un presagio di morte, ha un
flashback sulla sua vita dove ricorda la sua infanzia, il periodo presso la casa del nonno.
Quando trovò finalmente il drago, questo iniziò a sputare fuoco e tutti i suoi compagni
arretrarono andando a nascondersi nel bosco tranne uno, Wiglaf, un ragazzino che
apparteneva alla famiglia di Beowulf; per fortuna in due riuscirono ad avere la meglio sul
drago.
Wiglaf lo ferirà con un colpo che lo rallenterà e Beowulf lo finirà anche se era stato
azzannato alla gola (presagio di morte); chiese a Wiglaf di portargli una parte di tesoro per
poterlo vedere, poi diede disposizioni per il suo funerale e infine cedette il titolo reale a
Wiglaf, che regnerà al suo posto.
Nell’ultima parte, 300 versi, viene raccontato dettagliatamente il funerale: venne fatta una
pira sul mare e venne raccontato come tutti i guerrieri celebrarono la figura di Beowulf
cavalcando intorno al tumulo innalzando delle lodi.

La figura di Grendel e le sue interpretazioni


Uno dei temi che sono stati oggetto di discussione su Beowulf è quello di come interpretare
la figura di Grendel e sua madre.
Ci sono due possibili letture: una più "soprannaturale", che vede in Grendel una figura
mostruosa, demoniaca, che commette le proprie malefatte senza una vera motivazione
mentre l’altra è invece riconducibile alla lettura giuridica del poema, che vede il mostro come
il frutto di stratificazioni successive sul nucleo di partenza, costituito da una persona umana.
La questione della figura di Grendel non solo è uno dei temi più discussi e controversi, ma in
tutte le versioni e rivisitazioni che continuano a essere fatte ci sono chiavi di lettura diverse:
una di queste è quella del romanzo di Gardner che si chiama “Grendel”, che è una
narrazione della vicenda di Beowulf dal punto di vista di Grendel che viene presentato come
qualcuno di cui non si dice molto dell’aspetto è possibile leggere quello che pensa.
Pensa come un umano, vive in solitudine e cerca il contatto con i Danesi che a causa del
suo aspetto e del suo modo di espressione, lo rifiutano e quindi lui li aveva attaccati.
Una trasposizione più moderna e ancora in corso è quella a fumetti all’interno della serie
“Kid Beowulf”, di un fumettista americano che ha un progetto di nove albi, che dovrebbero
comprendere vari poemi epici.
Negli albi dedicati a Beowulf lui e Grendel sono fratelli gemelli diversi: Beowulf ha l’aspetto
umano mentre Grendel è verde e ha le corna; questo perché sono nati dalla madre di
Grendel, che viveva col drago e aveva un forte desiderio di essere accettata dagli umani ed
era riuscita, attraverso una pozione magica, a ottenere un aspetto umano, anche se
temporaneo.
Era riuscita a conquistare un uomo, ma nel momento in cui era rimasta incinta e aveva
partorito, era nato un bambino umano e uno mostruoso: i due bambini erano stati separati,
uno era cresciuto con la madre mentre l’altro era cresciuto a corte e successivamente si
incontreranno e faranno insieme un viaggio.
07/11/2022

I Germani Ingevoni continentali


Quando la maggior parte dei Germani Ingevoni abbandonò le coste del nord per andare
sull’isola britannica, rimasero sul continente; degli Angli non si ebbero più notizie, sembra
che migrarono tutti sull’isola britannica mentre quelli rimasti si sono assimilati ad altre
popolazioni.
Gli Juti sono stati assorbiti dai Danesi mentre i Sassoni continuarono a cercare di
espandersi verso sud-ovest e in questo loro movimento invasero anche i territori abitati da
altre popolazioni, tra cui i Brutteri e i Turingi.

I Sassoni
I Sassoni avevano questo nome perché era collegato alla radice germanica “sahsa” che
indicava un’arma bianca, una spada corta o un coltello lungo, che era però anche collegato
con la parola latina “saxum” (pietra).
Si pensava che questo termine indicasse inizialmente la pietra e che poi probabilmente,
attraverso il fatto che le pietre si usavano per forgiare le armi, fosse passato a indicare le
armi.
Visto che questa parola veniva utilizzata per indicare questo tipo di arma, si può pensare
che i Sassoni fossero identificati dall’abitudine di usare questo tipo di pugnale.
La maggior parte dei Sassoni nel V sec. partecipò all’invasione dell’isola britannica, ma la
parte che rimase sul continente venne identificata come “Sassoni continentali” o “Sassoni
antichi”, coloro che rimasero sulle coste del Mare del Nord cercando di espandersi verso
sud-ovest e che ebbero come nemici Carlo Magno e i Franchi.
Nel periodo che va dal 772 all’804 vennero intraprese le guerre sassoni da parte dei Franchi
contro i Sassoni: nel fare questo i Franchi avevano anche pronta una motivazione di
facciata, quella della religione cristiana, quella di voler convertire i Sassoni pagani al
cristianesimo.
Questo si vedrà in un gesto che avrà forte valore simbolico, la distruzione dell’Irminsul, un
albero sacro che rappresentava un simbolo identitario per i Sassoni, era un culto solo loro.
La distruzione da parte dei Franchi di Carlo Magno di questo luogo sacro avrà come
conseguenza un indebolimento dei Sassoni sul campo, che li porterà alla sconfitta.
Ai Sassoni verrà imposto di convertirsi al cristianesimo oppure la morte immediata ma
questo vuol dire che la prima conversione dei Sassoni non è stata molto sentita, ma chi non
era caduto in battaglia decise di accettarla per sopravvivere.
L’opera di cristianizzazione dei Sassoni da parte dei Franchi
I Franchi stessi erano ben consci che bisognava fare altro per convertire veramente i
Sassoni: ci sarà quindi un’opera di cristianizzazione successiva alle guerre in cui verrà
attuata un’operazione capillare, portata avanti con vescovati costituiti nel nord della
Germania (Brema ecc.).
Queste sedi vescovili erano sottomesse a vescovati più importanti e antichi, istituiti da Carlo
Magno nel territorio franco (Magonza).
Vennero fondati dei monasteri nella Germania settentrionale, il più importante fu quello di
Corvey sul Weser, fondato nell’822 come succursale di un monastero che si trovava
nell’attuale Francia settentrionale e che aveva un nome molto simile, il monastero di
Corbie.
Legato a questo tentativo di approfondire la cristianizzazione dei Sassoni fu la nascita di due
testi che sono oggi quasi la totalità della tradizione scritta che ci è giunta in antico sassone,
che sono “Heliand” e la versione in antico sassone della Genesi.
Heliand è questo poema dedicato alla vita di Cristo, in versi allitteranti, composto in antico
sassone: è nella lingua dell’area della Germania settentrionale, che si differenziava dall’alto
tedesco antico per l’assenza della mutazione consonantica per diffondere il messaggio
cristiano anche a chi non poteva leggere il latino.

Lex Saxonum e territori sassoni nel regno franco


L’ingresso dei Sassoni nel regno franco è segnato anche dall’emanazione di un codice di
leggi per i Sassoni, la “Lex Saxonum”, un codice che ricalcava per buona parte la legge dei
Franchi Ripuari.
Nel medioevo vigeva la personalità del diritto, ognuno veniva giudicato e doveva seguire le
leggi del suo popolo di appartenenza, indipendente da dove si trovava, per questo ai Franchi
non bastava estendere la loro legge ai Sassoni, perché in alcuni tratti la legge dei Sassoni
teneva conto di consuetudini proprie che non appartenevano ai Franchi.
A partire dalla fine delle guerre dei Sassoni nell’804, i Sassoni entrano nel regno dei Franchi
e si parlerà di “Sassonia” come ducato del regno e ancora oggi il termine “Saxen” appare
nella geografia tedesca nel nome di tre lander della Repubblica Federale Tedesca
(Sachsen, territorio che ha come centro Dresda; Niedersachsen, territorio che ha come
capitale Hannover; Sachsen-Anhalt, zona di Magdeburg).

I Frisoni
L’altra popolazione che rimase sul continente e apparteneva ai Germani Ingevoni erano i
Frisoni che, quando gli altri iniziarono a invadere l’isola britannica, parteciparono in misura
molto limitata, tanto che nell’eptarchia anglosassone non c’era traccia di un regno dei Frisoni
perché erano accorpati ad altre popolazioni.
Rimasero per la maggior parte sul continente in un territorio che corrisponde ai Paesi Bassi
attuali, la parte sul mare, e arrivarono a comprendere le isole che si trovavano davanti e
raggiunsero la base della penisola dello Jutland.
Il nome dei Frisoni comparve già in Plinio, in epoca antica; ebbero contatti con i Sassoni,
con i Danesi con i Franchi; arrivarono a controllare le vie commerciali che interessavano il
Reno, di cui controllavano la foce.
Potevano sbarrare i passaggi commerciali, il Mare del Nord, la Scandinavia e, dopo
l’invasione dell’isola britannica, intrapresero rapporti con l’Inghilterra; questa situazione di
splendore del ruolo di commercianti dei Frisoni va dalla fine del V sec. al VII sec.
A partire dal VII sec. iniziò un periodo di decadenza dovuto a motivi diversi: i Danesi
diventarono sempre più aggressivi verso il loro territorio mentre a sud i Franchi premevano
sui Frisoni.
Tra il VII e l’VIII sec. il territorio dei Frisoni perse parti occidentali inglobate nel regno dei
Franchi e la scomparsa del loro regno si avrà nel IX sec., quando entreranno definitivamente
nel regno franco.
La conversione al cristianesimo dei Frisoni non avvenne solo da parte di missionari del
regno franco, ma avvenne anche via mare dall'Inghilterra anglosassone, che era già
cristianizzata.
La lingua frisone è una lingua minoritaria all’interno dei Paesi Bassi, dove c’è una zona
orientale che parla questa lingua.

Heliand
Heliand rientra nella tipologia delle armonie evangeliche (“harmonia evangeliorum”): sono
testi non esclusivamente di area germanica, si trovano anche in area greca; prendevano il
materiale dai quattro Vangeli canonici e lo mettevano in ordine cronologico.
Nei Vangeli, non tutti e quattro i testi raccontavano gli stessi episodi, ma in particolare i primi
tre avevano forti punti di contatto.
Il testo ha questo nome, che non è contenuto nel manoscritto: nessuno dei manoscritti di
Heliand riporta questo titolo, che è stato dato dal primo editore, Andreas Schmeller, nel
1830; decise di dargli questo titolo, che significa “il Salvatore”, perché parlava della vita di
Cristo.
È un testo di una dimensione importante, sono circa seimila versi allitteranti e non è del tutto
completo, ma è molto più di un frammento; è giunto in forma anonima, come è tradizione nel
medioevo.
Il “Catalogus testium veritatis Matthias Illyricus” è un catalogo di testi religiosi di un
teologo luterano, Matthias Illyricus, il cui titolo latino vuol dire “catalogo dei testi della
verità”, a cui ha inserito una prefazione latina, che viene definita “Prefazione ad un libro
antico in lingua sassone”.
Questa è divisa in due parti, c’è una parte in prosa e ci sono dei versi poetici che l’autore
aveva copiato dall’inizio di un manoscritto miscellaneo in antico sassone, andato perduto.
Nella prefazione si fa riferimento al nome del committente di Heliand, quello che diede al
poeta l’incarico di comporre questo testo dedicato alla vita di Cristo; questo personaggio
viene identificato come “Ludovicus Piissimus Augustus”, dicendo che era stato lui ad aver
dato il compito a un poeta noto all’epoca nella terra dei Sassoni di comporre un testo in
lingua antico sassone dedicato alla vita di Cristo.
Questo committente poteva essere Ludovico il Pio; in questo caso il poema dovrebbe essere
stato composto prima dell’840, data di morte di Ludovico il Pio.
L’822 è l’anno di datazione di un’opera datata, un commento al Vangelo di Matteo ad opera
di Rabano Mauro che era abate nel monastero di Fulda, nonché teologo; c’entra con
Heliand perché in Heliand ci sono passaggi che possono essere spiegati solo col fatto che
l’autore di Heliand abbia letto quel commento.
C’è un altro Ludovico in gioco, Ludovico il Germanico, re della parte orientale del regno; in
questo caso la composizione del testo dovrebbe slittare in avanti e sarebbe dopo l’843, anno
in cui, dopo il trattato di Verdun, è consolidato il fatto che fosse Ludovico il Germanico il re
della parte orientale del regno.
Qualcuno è arrivato a ipotizzare che questo testo latino sia stato composto dallo stesso
Rabano Mauro, e che sia Fulda il luogo di origine, che era uno dei più stretti collaboratori di
Ludovico il Germanico.
La nascita del poema Heliand viene collocata in una storia leggendaria che trovava
similitudini con quello che è la leggenda del poeta Cædmon, poeta anglosassone.
Beda, nella “Historia ecclesiastica gentis Anglorum”, raccontava di come Cædmon fosse
diventato poeta: c’è questo idillio campestre in cui un contadino illetterato sente la chiamata
divina una notte, e gli viene chiesto da Dio di mettere nella sua lingua le leggi e gli
insegnamenti divini, adattandole alla struttura della poesia nativa di quella popolazione e
come per miracolo questo contadino diventò un grande poeta e raccontò quindi le varie fasi
dell’età del mondo, la storia del Redentore.
Heliand è giunto in due manoscritti quasi completi e due frammenti; il manoscritto migliore,
più completo, è quello che viene chiamato “Cottonianus” perché anche lui, come il
manoscritto di Beowulf, era nella collezione di Sir Robert Bruce Cotton ed è conservato alla
British Library.
Il testo è sicuramente al di là di quello che racconta la premessa in versi, è sicuramente il
prodotto di un autore molto colto che si basava su delle fonti identificabili, in particolare sulla
versione latina della “Harmonia Evangeliorum” di Taziano, una armonia evangelica come
Heliand che metteva in ordine cronologico i Vangeli.
Nasceva in area greca, venne tradotta in latino e circolava in Europa; nel monastero di Fulda
era conservata una copia latina dell’Armonia Evangelica di Taziano, già dall’inizio del IX sec.
Il fulcro dell’opera è rappresentato dal racconto biblico, inteso come biografia di Cristo,
invece i passaggi di interpretazione, allegoria, sono molto più rari di altre armonie
evangeliche: in particolare ce n’è una in area alto tedesca, quella di “Otfrid von
Weißenburg”, che presenta dei capitoli che si ripetono periodicamente, che si chiamano
misticae, dove fa sue interpretazioni allegoriche.
Dal punto di vista della lingua, l’opera è scritta in antico sassone, in particolare la parte
sudoccidentale della zona antico sassone.
Il testo è diviso in “vittea” o “lezioni”, sono capitoli più o meno tutti della stessa lunghezza, il
che fa pensare che il testo fosse pensato per la recitazione a voce alta.
Dal punto di vista della forma il testo si inserisce nella tradizione della poesia germanica,
mentre il modello era sostanzialmente una traduzione del latino, senza l’aspirazione di
creare qualcosa di bello (si cercava di riprodurre il testo latino, con un tentativo di
riproduzione della sintassi del latino).
Lo stile risente molto dello stile epico germanico, con linguaggio elevato, l’uso del
parallelismo e uno stesso concetto viene ripetuto in modo diverso; lo stile è caratterizzato
dal largo uso dell’enjambement, il discorso si estende su più versi, il tutto collegato a una
sintassi complicata.
Quello che caratterizza lo stile di Heliand è un abbondante ricorso al discorso diretto, che
rende il racconto immediato perché lo scopo del discorso diretto era anche quello di avere
l’attenzione di chi ascoltava il testo.
L’elemento che colpisce di più di Heliand, è che i personaggi sono presentati in modo molto
germanico: nel rappresentare la figura di Cristo, la sua presenza e il suo comportamento è
molto simile a quella degli eroi germanici protagonisti dei poemi pagani.
Allo stesso modo il rapporto tra Cristo e i discepoli ricorda molto un istituto sociale, una
forma di aggregazione sociale che è quello che Tacito chiama “comitatus”, dove degli uomini
in armi decidevano volontariamente di unirsi a un capo e di servirlo, ricevendo in cambio dei
doni.
Pur non snaturando il messaggio cristiano si cerca di presentarlo nel modo più congeniale
possibile a una popolazione come quella dei Sassoni, che veniva dagli ideali eroici del
mondo germanico ed era stata “invitata” a convertirsi al cristianesimo: presentargli una figura
vincente, con la statura morale di un eroe, forse era il modo per avvicinarli a questo.
I destinatari di questa trasposizione della vicenda cristiana in lingua e poesia germanica
erano probabilmente la nobiltà sassone, una nobiltà secolare, non i religiosi, che
conoscevano il latino.
Il testo poteva essere utilizzato per la lettura nei monasteri durante l’ora del pasto: era
consuetudine per i monaci che ci fosse un lettore a turno mentre gli altri mangiavano in
silenzio.
All’interno del monastero non c’era bisogno del testo in lingua volgare, erano abituati a
leggere in latino; a volte però avevano ospiti laici, che non erano familiari col latino, e questo
poteva essere uno dei contesti in cui veniva letto Heliand.
L’opera non era solo centrata sul contenuto, ma dava anche importanza alla forma poetica:
non solo è una testimonianza del tentativo di diffondere il cristianesimo in area tedesca, ma
ha anche valore artistico.

La Genesi
La Genesi è meno fortunata di Heliand dal punto di vista della tradizione, non c’è un testo
completo ma solo frammenti, per un totale di 337 versi.
Questi frammenti della versione originale, la versione in antico sassone, sono stati scoperti
alla fine dell’800 in un manoscritto della biblioteca vaticana, che è anche uno dei manoscritti
frammentari che contengono Heliand.
È interessante guardare il contenuto di questi versi perché contengono l’episodio del
pentimento di Adamo ed Eva, l’uccisione di Abele da parte di Caino, l’elenco dei discendenti
di Caino fino a Enoch, la distruzione di Sodoma e si interrompono con la trasformazione
della moglie di Lot in pietra.
Il testo della Genesi nasce in area antico sassone, arrivò sull’isola e lì venne rielaborato e
adattato linguisticamente, è più ampio dell'originale, il che ci dà un’idea dell’ampiezza
originale.
Gli argomenti sono Adamo ed Eva, la caduta degli angeli ribelli, il peccato originale: sono
tutti temi collegati al tema della disobbedienza.

Il punto di vista dell’origine del testo risiede sempre nella volontà di un regnante franco di
fare comporre qualcosa di argomento biblico; forse questi frammenti vaticani e il frammento
anglosassone sono da interpretare come un messaggio politico: un messaggio che sfrutta il
tema da una parte della superbia; dall’altra parte della disobbedienza a Dio, sempre punita.
Dopo le guerre sassoni c’erano stati diversi tentativi di ribellione, l’ultimo rappresentato dalla
rivolta di Stellinga nell’842: i Sassoni, ormai passati trent’anni da quando erano stati
assoggettati ai Franchi, ma riprovarono a ribellarsi; la rivolta venne sedata, ma con questi
frammenti di Genesi si volle mandare un messaggio.
Probabilmente era un messaggio finalizzato a convincere di terminare i tentativi di ribellione.
Dal punto di vista cronologico lo si considera successivo a Heliand, e per questo il
frammento della Genesi in antico sassone è ritenuto essere il momento finale in area
tedesca della poesia allitterante.
A parte alcuni piccoli altri testi, Genesi e Heliand costituiscono la quasi totalità della
tradizione scritta in area alto tedesca.

I Germani dell’Elba
I Germani dell’Elba, gli Erminoni, corrispondevano a varie popolazioni che comprendevano
Svevi, Alamanni, Baiuvari, Longobardi, Marcomanni.

Gli Svevi e gli Alamanni


Gli Svevi erano, almeno in origine, la tribù più importante tra i Germani dell’Elba: una
minoranza di loro si spostò verso ovest, attraversò il Reno e arrivò nel 411 nella penisola
iberica, dove fondò un regno svevo, che non avrà una vita lunga, nel territorio del Portogallo
settentrionale e della Galizia perché verrà assorbito più tardi da quello dei Visigoti.
La maggior parte degli Svevi, durante il III sec. d.C., si spostò insieme agli Alamanni verso
sud, e a partire dall'inizio del V sec. si stanziarono nella Germania sudoccidentale.
Il nome degli Svevi era presente anche nella geografia tedesca nella forma “schwaben”, che
si riferiva alla Svevia mentre quello degli Alamanni era un calco strutturale dallo slavo di
“alagutos”, difatti il loro nome significa in effetti “tutti gli uomini” e identificava un’unione di
diverse tribù che comparve nelle fonti dal III sec. d.C., quando si spostarono insieme agli
Svevi verso sud.
Nel 313 si scontrarono con i Romani sul Meno con l’imperatore Caracalla e da questo
momento gli scontri tra Svevi e Alamanni da una parte e Romani dall’altra saranno sempre
più frequenti.
Nel V-VI sec. conquistarono una zona piuttosto ampia lungo il Reno, che corrisponde al
territorio dell’attuale Alsazia e alla Svizzera tedesca (ancora oggi in questi territori si parla un
dialetto “alemanno”).
In questa loro espansione andranno a scontrarsi con i Franchi ma alla fine gli Alemanni
dovranno riconoscere la supremazia franca; ci sarà poi un periodo in cui, in concomitanza
con la decadenza della dinastia merovingia da parte dei Franchi, riusciranno a riguadagnare
autonomia, ma saranno sottomessi da Carlo Martello.
Durante la storia dell’Impero Carolingio si costituirà un ducato che viene chiamato “Svevia”,
dal nome degli antichi svevi, da cui emergerà Federico Barbarossa e la casata degli
Hohenstaufen, a cui appartenevano diversi imperatori al Sacro Romano Impero.

I Baiuvari
I Baiuvari venivano chiamati anche Bavari o Bavaresi: partendo dall’Elba si spostarono
verso sud, attraversarono il Danubio e si stanziarono nella zona che oggi è la Baviera,
all’interno della Germania attuale e nel territorio dell’Austria.
Dal punto di vista dialettale il tedesco parlato in Baviera è il bavarese, ma lo sono anche tutti
i dialetti parlati in Austria, con l’unica eccezione di una piccola isola linguistica alemanna, il
Vorarlberg, la zona sul lago di Costanza da parte austriaca.
In un primo momento i Baiuvari si mantennero indipendenti dai Franchi, ma sarà Carlo
Magno a inglobare il territorio bavarese nel suo regno, facendolo diventare il ducato di
Baviera.
La storia del ducato bavarese vide nel 788 la deposizione del duca di Baviera Tassilo,
l’ultimo duca di Baviera ad avere ereditato il titolo; da quel momento vennero soppressi i titoli
ereditari.

I Marcomanni
I Marcomanni venivano anche soprannominati “gli uomini di frontiera”: già nel I sec. a.C,. si
erano stanziati tra l’Elba e l’Oder, combatterono contro i Romani ma vennero sconfitti e si
stanziarono nel territorio della Boemia dove venne costituito un re, anche se tra il V e il VI
sec. il nome dei Marcomanni scomparve completamente dalle fonti storiografiche.
Secondo alcuni questa scomparsa coinciderebbe col fatto che si erano trasferiti nel territorio
dei Baiuvari, e alcuni videro nel nome “Baviera” un collegamento con la “Boemia”, territorio
da cui venivano i Marcomanni.

I Longobardi
Più importanti erano i Longobardi, che hanno questo nome che li identifica come quelli che
portavano la barba lunga.
All’epoca di Tacito erano stanziati lungo il corso dell’Elba, dove nel V a.C. erano stati
sconfitti da Tiberio: la fonte per la storia dei Longobardi è rappresentata da Paolo Diacono,
che scrisse “Historia Longobardorum”; lui stesso apparteneva alla popolazione longobarda
(scriveva in latino).
Racconta che, come i Goti, avrebbero avuto origine in Scandinavia: prima di arrivare
sull’Elba si sarebbero fermati sulle coste del Mar Baltico, dove erano conosciuti col nome di
“Winniles” (“guerrieri”).
Nel II sec. d.C. cominciarono a spostarsi verso est e risalirono l’Elba, nel 488 invasero il
territorio dei Rugi, si spostarono in Boemia e agli inizi del VI sec. finirono in quella che era
stata la provincia romana della Pannonia dove vennero minacciati dagli Avari, che si
affacciarono sui loro territori, e sotto questa spinta nel 568 arrivarono in Italia dal confine est,
guidati da re Alboino.
Una volta entrati nel territorio italiano si estesero nella pianura padana, si diressero poi verso
sud in Italia centrale e meridionale; Pavia diventò la capitale del regno, mentre i singoli capi
territoriali costituirono dei ducati che avevano spesso largo margine di autonomia.
Dal 568 in meno di 100 anni si concluse la conquista dell’Italia: rimasero bizantine alcune
zone che sono l’esarcato di Ravenna, l’Istria, il ducato di Roma, Napoli e l’estremo sud (la
punta della Calabria e la Sicilia).
I centri più importanti del regno longobardo erano Pavia, Cividale del Friuli, Brescia, Milano,
Lucca.
Dopo la morte di Alboino, assassinato nel 572, gli succedette Clefi, che rimase in carica per
soli tre anni; dopo la sua morte, per un decennio i duchi rimasero senza un sovrano: la
spinta a riavere un sovrano arriverà dalla minaccia bizantina, che minacciava di
riconquistare il territorio.
Venne eletto re Autari e a lui succedette Agilulfo, che fece pace con i Franchi e riuscì a
concordare una tregua con i bizantini: i due re avevano in comune la stessa moglie,
Teodolinda, figlia del duca di Baviera, era cattolica e contribuì a promuovere la conversione
dei Longobardi, che erano ariani, alla religione cattolica.
Un altro re sarà Rotari e con lui per la prima volta i Longobardi avranno un codice giuridico,
l’”Editto di Rotari”, promulgato nel 643 e scritto in latino: comprendeva il divieto della faida,
la vendetta di sangue.
La legislazione consuetudinaria germanica prevedeva che quando il membro di una famiglia
veniva ucciso i suoi parenti avessero il diritto di uccidere l’uccisore o un membro della sua
famiglia; questo nasceva in un contesto originariamente agricolo in cui la perdita di forza
lavoro andava compensata, e anche in ambito militare.
Nell’editto di Rotari venne vietata la faida e venne introdotto un compenso in denaro per chi
subiva il danno (lo stesso valeva per le ferite ecc.; per questo compenso in denaro, il
guidrigildo, c’erano delle tabelle nei testi giuridici che riportavano il valore delle cose (una
donna valeva la metà di un uomo, l’unica eccezione era la donna incinta perché non si
sapeva se portasse in grembo un maschio).
11/11/2022

L’editto di Rotari e le leggi scritte nelle popolazioni germaniche


Nell’Editto di Rotari venne istituito un compenso in denaro alla famiglia di chi veniva ucciso
o ferito, per terminare le faide; è scritto in latino ed è la traduzione della prima legislazione
delle popolazioni germaniche, anche se la tradizione giuridica germanica prevedeva un
diritto orale.
C’erano persone deputate a mandare a memoria le consuetudini giuridiche di una certa
popolazione e, quando si riuniva l’assemblea che fungeva da tribunale, la persona diceva
cosa fare in quella circostanza.
Quando le popolazioni germaniche vennero a contatto col mondo romano, il corpus di leggi
scritte tramandate dai Romani deve aver suscitato un senso di inferiorità, per cui si scatenò
in quasi tutte le popolazioni il desiderio di avere un codice giuridico scritto e passare quindi
da un diritto orale a uno scritto.
Il modello romano sul continente però era così forte che indubbiamente venne scelto il latino
per scrivere queste leggi.
“Faida” e “guidrigildo” sono prestiti dalla lingua germanica, che sono ancora in uso in italiano
attraverso questi testi giuridici.
Ci sono due eccezioni a questa regola per cui la legge è stata scritta in latino: una è
l’Inghilterra anglosassone, l’altra è la Scandinavia.
L’Inghilterra anglosassone metteva per iscritto in antico inglese le leggi in un’epoca coeva a
quella continentale e anche i nordici le scrivevano in lingua nordica, ma in epoca successiva.

Lo scontro tra Franchi e Longobardi


Nella seconda metà del VII sec. il contrasto tra cattolici e ariani riemerse e portò a un
indebolimento del potere reale: ci fu un periodo quasi di anarchia, che si concluse solo nel
712 quando venne eletto re Liutprando, che durante il suo regno riuscirà a riavere il
controllo della situazione dei duchi longobardi.
Alla sua morte però, nel 744, sembrava che la componente ariana fosse destinata a
prevalere; di conseguenza l’elemento importante presente in Italia, il potere religioso, la
Chiesa, intervenne nella situazione italiana e chiese aiuto ai Franchi, che fin da Clodoveo
vantavano il ruolo di difensori della fede.
Quando i Franchi intervennero in Italia (con Pipino il Breve), non lo fecero militarmente, non
era un attacco ai Longobardi, cercarono una via diplomatica stringendo un patto di alleanza
con il regno Longobardo, in particolare col re Desiderio.
Strinsero un’alleanza tra le popolazioni facendo sposare le due figlie femmine di re Desiderio
con i figli maschi di Pipino, Carlo e Carlomanno, anche se, alla morte di Carlomanno, Carlo
decise di regnare da solo, togliendo questa possibilità a cognata e nipoti, ponendo fine
all’alleanza coi Longobardi e ripudiando sua moglie.
Ci fu un tentativo da parte dei Longobardi di opporsi al potere franco con l’assedio di Pavia
nel 744, anche se Desiderio venne sconfitto e catturato e con lui venne preso anche il figlio
Adelchi; con questa sconfitta finì definitivamente la dominazione longobarda in Italia.
Non ci fu una nuova invasione dei Franchi, semplicemente dove prima comandavano i
Longobardi, iniziarono a comandare i Franchi (nell’Italia settentrionale).

I Longobardi nel resto d’Italia


I Longobardi non erano presenti solo nei centri della Lombardia, ma c’erano anche i ducati di
Benevento e della Puglia: formalmente non c'erano più ducati longobardi, ma la geografia e
il centro del regno carolingio e dell’impero, collocato più a nord in Francia, quei territori
dell’estremo sud italiano li vedeva come lontani e poco raggiungibili.
Ci furono degli effetti linguistici di quel territorio chiamato “Longobardia Minor”, cioè il
territorio occupato dai Longobardi a sud.
A proposito di questo discorso sulla sostituzione del potere longobardo con i funzionari
franchi, importante è l’opera di Eyvind Johnson, “Il tempo di sua grazia” dove sua grazia
era Carlo Magno: c’è un personaggio, il narratore, che è un longobardo a servizio di
un’autorità politica longobarda e che col cambiare delle cose si adatta ai nuovi signori, e
parla di come in questi castelli cambia solo il capo, ma la situazione è la stessa.
Dal punto di vista linguistico la presenza dei Longobardi in Italia ha lasciato qualcosa nei
toponimi (“Lombardia” e cognomi di origine longobarda); ci sono poi alcuni suffissi, come
quelli in “-engo” nei luoghi di origine longobarda.
In italiano le parole di origine franca sono tre: “bosco”, “guanto”, “grigio” ma non vi è
certezza che siano arrivate dal francone all’italiano, forse sono state prima travasate
nell’antico francese.

I Germani settentrionali
I Germani settentrionali si spostarono per ultimi dalla loro zona originaria: essi avevano
origine nella zona della cerchia nordica: nord dell’attuale Germania e dei Paesi Bassi, la
penisola dello Jutland, le isole danesi, il sud di Svezia e Norvegia.

I Danesi
I Germani settentrionali erano i Danesi, che erano stanziati nella Svezia meridionale e sulle
isole che oggi appartengono alla Danimarca.
La gran parte del territorio danese costituito dalla penisola dello Jutland originariamente non
era abitato dai danesi, verrà abitato in un piccolo spostamento solo tra V e VI sec.
I Geati e gli Svíar
Nella Svezia meridionale nel VI secolo si trovavano i Geati (Götar), che sparirono dalle fonti
perché vennero assimilati da una popolazione adiacente, gli Svíar, confluiti nella
popolazione degli Svedesi.
Dal punto di vista geografico i Geati si trovavano nella parte più occidentale della Svezia
meridionale, mentre gli Svíar risiedevano nella parte più orientale.

I Norvegesi
I Norvegesi abitavano nella zona dei fiordi e nella zona più meridionale della Norvegia per
questioni climatiche, cercarono di allargarsi più che potevano rimanendo in quel territorio
andando verso l’interno, anche se era un territorio montuoso e freddo.
I Vichinghi norvegesi si spostarono per conquistare terreni, avendo bisogno di terre da
coltivare per sostentare la popolazione.
L’età vichinga si identifica nei secoli IX-XI sec.: il nome “Vichinghi” veniva da una parola
antico nordica, che è ancora oggi presente in islandese con lo stesso significato, “vik”, che
significa “baia” (questa parola si ritrova in molti toponimi, tra cui Reykjavik (“baia del fumo”);
a questo sostantivo è stato aggiunto il suffisso “-inga”, che indica appartenenza.
I Vichinghi avevano un nome abbastanza neutro, “coloro che abitano nelle baie”, senza
alcuna connotazione né positiva né negativa, in un’altra lingua germanica antica, l’inglese
antico, c’è l’equivalente di “viking”, che è “wicing”, che è un termine che significa “pirata” ed
è significativo del rapporto dell’Inghilterra anglosassone con i Vichinghi perché per tutta l’età
vichinga hanno avuto a che fare con popolazioni che facevano saccheggi.

I Vichinghi
I Vichinghi norvegesi avevano bisogno di terre da coltivare, non erano particolarmente
aggressivi, si accontentavano di andare verso ovest alla ricerca di territori disabitati e
fondare colonie.
I Vichinghi danesi corrispondevano più di tutti ai conquistatori: si dirigevano verso sud-
ovest, concentrandosi sulle coste del Mare del Nord dell’Impero Carolingio e sull’Inghilterra
anglosassone per fare bottino e conquiste.
I Vichinghi svedesi, chiamati anche “Variaghi” o “Vareghi”, erano prevalentemente
commercianti e il loro scopo era aprire nuove vie commerciali, ovviamente partendo dalla
Svezia e andando verso est.
I Vichinghi non erano una popolazione, bensì venivano percepiti come qualcosa da temere
ed erano spesso accomunati da questo impulso a spostarsi, che era dovuto a un insieme di
fattori, tra cui l'espansione demografica, un cambiamento nella concezione del ruolo
individuale, una maggiore aspirazione nei singoli, una volontà di affermazione da parte
dell’individuo.
Giocava un ruolo importante la volontà dei figli minori, cadetti, che per tradizione non
avrebbero ereditato il terreno: se i figli minori fossero voluti arrivare a un miglioramento
sociale avrebbero dovuto inventarsi qualcosa; si dovevano quindi unire agli altri nella stessa
posizione e dovevano seguire un leader, con cui ricreare legami simili a quelli di sangue
originari.
L’età vichinga viene fatta iniziare nel 793, con la distruzione del monastero di Lindisfarne
da parte dei Vichinghi norvegesi, che si affacciarono sulle coste dell'Inghilterra: da questo
momento l’Inghilterra anglosassone si trovò in difficoltà perché avevano da sempre creduto
che il mare intorno li avrebbe protetti.
L’altra direttrice dei Vichinghi, percorsa alla fine dell’VIII sec., era colpire le coste frisoni e
sassoni: Carlo Magno creerà una sorta di guardia costiera per prevenire questi attacchi ma i
Vichinghi si organizzarono e iniziarono a compiere razzie partendo dalla Danimarca durante
la bella stagione, per tornare poi indietro nella stagione invernale.
A partire dall’840, con la morte di Ludovico il Pio, si organizzarono in eserciti più grandi,
evitavano di tornare indietro e passavano invece l’inverno accampati alle foci dei fiumi,
quando veniva la bella stagione erano già pronti a partire senza dover arrivare dalla
Danimarca.
I Vichinghi norvegesi si spostarono verso ovest e la prima cosa che incontrarono partendo
dalla Norvegia furono le isole scozzesi, Orcadi e Shetland: nel medioevo si parlava una
lingua che era presente in queste colonie, era il norn, una lingua poco attestata, che si è
estinta nel momento in cui si è rotto il rapporto tra queste colonie norvegesi e la Norvegia,
sostituito da un rapporto univoco con la Scozia e l’Inghilterra.
E’ stata fatta un’opera di censimento a livello di termini dialettali, esiste un dizionario in due
volumi di termini del norn che sono quasi tutti riferiti ad attività del territorio.
Dopo queste isole i Vichinghi norvegesi si spostarono ancora verso ovest e si stanziarono
nelle Fær Øer, toccando anche le Ebridi e l’Irlanda; andando verso ovest incontrarono anche
l’Islanda, scoperta dai Vichinghi nell’860: la natura in Islanda è quanto mai “strana” per
qualcuno che non è abituato perché è un territorio ricoperto da distese di ghiaccio, vulcani e
fenomeni geotermici; non c’erano alberi, l’erba faticava a crescere, pertanto vennero costruiti
dei muretti bassi che servivano soprattutto a proteggere l’erba dal vento.
Nell’872 in Norvegia Harald I Bellachioma divenne re, passando alla storia per aver
unificato la Norvegia sotto un’unica corona; aveva un’idea molto forte del potere monarchico:
al re era riconosciuta la capacità di portare salute e prosperità alla popolazione, ma poteva
essere messo in discussione in ogni momento.
Harald si ispirò alla monarchia meridionale in cui il re comanda davvero, limitando
l’aristocrazia terriera, per questo motivo alcuni membri di questa aristocrazia, piuttosto di
sottostare a questo re, preferirono andare in Islanda e a partire dall’874 venne iniziata la
colonizzazione dell’isola con la “Landnáma” (“presa della terra”).
Presero il territorio in Islanda e decisero che non avrebbero mai avuto un re, pertanto
fondarono la prima repubblica d’Europa, che era governata dall’assemblea degli uomini
adulti, che si riuniva con cadenza annuale e decideva quello che si doveva fare.
La decisione più famosa dell’assemblea islandese risale all’anno 1000, quando venne
deciso se rimanere pagani o convertirsi al cristianesimo (optando per il cristianesimo).
14/11/2022

Vichinghi norvegesi
100 anni dopo la conquista vichinga dell’Islanda, alcuni gruppi di islandesi partirono
dall’Islanda per allargarsi ancora verso ovest.
Nel 982 Erik il Rosso scoprì per caso la Groenlandia e sempre per caso il figlio, Leif
Erikson, attorno all’anno 1000 tentò di ritornarci ma andò fuori rotta e finì sulle coste
dell’America settentrionale, in particolare nella zona dell’Isola di Terranova e della penisola
del Labrador.
Due testi, la “Saga dei Groenlandesi” e la “Saga di Erik il Rosso” raccontano queste
vicende: nella prima viene raccontato com’era questo territorio scoperto, lo chiamavano
“Vinland” (“Terra del Vino”).
Ci sono altri due territori caratterizzati dalla presenza di determinate bacche o boschi: erano
interessanti per gli islandesi dal punto di vista dell’ottenimento di materie prime, soprattutto il
legno anche se però erano troppo lontane e pericolose da raggiungere.
Attorno all’anno 1000 però arrivarono nel continente americano.

Vichinghi danesi
I Vichinghi danesi venivano anche chiamati “il grande esercito” e si diressero verso
l’Inghilterra da una parte e verso le coste sul Mare del Nord del regno franco dall’altra, anche
se si espansero anche nella penisola iberica, nelle Asturie e in Portogallo; entrarono nel Mar
Mediterraneo passando da Gibilterra, arrivando alle Baleari e attorno all’860 raggiunsero
anche le coste della Toscana.
Dopo essere entrati nel Mediterraneo si stanziarono e invasero l’attuale Provenza, in Francia
meridionale che divenne la loro base da dove ogni anno partivano per andare a
saccheggiare monasteri e città del regno Franco.
Per questo motivo Carlo il Calvo reagirà facendo istituire una marca militare che aveva il
compito di proteggere la zona più importante per la parte occidentale del regno: il bacino
della Senna e questo ducato verrà affidato a Roberto il Forte.
A partire dall’865 il principale obiettivo dei Vichinghi danesi fu l’Inghilterra: le regioni della
Northumbria, della Mercia e la zona dello Yorkshire rimasero particolarmente coinvolte dalle
incursioni vichinghe.
Nell’869 re Edmund della East Anglia morì durante un combattimento cercando di opporre
resistenza ai Vichinghi.
Dall’870 si rivolsero anche al regno del Wessex; infatti, nell’868 re Alfredo fu costretto a
fuggire perché venne sconfitto dai Vichinghi, ma poco dopo ebbe lui la meglio, riuscendo a
cacciarli dal Wessex grazie ad una nuova politica di costruzione di fortezze e all’istituzione di
una flotta.
Nel momento in cui il Wessex non era più attaccabile per loro, i Vichinghi si concentrarono
su altre zone dell’Inghilterra, soprattutto l’Anglia e la Northumbria, crearono un territorio
chiamato in inglese moderno “Danelaw”, che derivava da una parola nordica, “danelagu”, il
territorio sottomesso alla giurisdizione dei danesi.
Verso la fine del IX sec. il territorio inglese venne spartito: i danesi presero tutta la parte
orientale dell’Inghilterra, che avevano occupato, e il resto venne lasciato agli anglosassoni;
nel X sec. questo territorio danese divenne un vero e proprio regno con capitale York.
Nell’XI sec. re Canuto il Grande sconfisse la dinastia anglosassone e portò la Danimarca
ad essere sovrana in Inghilterra, che venne annessa al Regno di Danimarca.
Alla fine del IX sec., nell’896, i Vichinghi danesi si stanziarono alla foce della Senna, una
posizione molto scomoda dal punto di vista del regno franco, perché loro controllavano tutto
quello che avveniva nel passaggio dalla Senna al mare e viceversa.
Si resero quindi conto di dover scendere a patti con i Vichinghi danesi e nel 911 ci fu un
accordo, il trattato di Saint-Clair-sur-Epte, stretto dai Vichinghi, guidati dal loro capo
Rollone, e dal re Carlo il Semplice.
Venne creato un feudo, la Normandia, e venne dato in mano ai Vichinghi, a patto che si
convertissero al cristianesimo: a questo punto Rollone diventò duca di Normandia e questo
feudo sarà quello da cui i Normanni partiranno per andare sull’isola britannica nel 1066 con
a capo Guglielmo il Conquistatore che sarà colui che sconfiggerà definitivamente il re
inglese.
Nel momento in cui i Vichinghi danesi si stabilirono in Normandia subirono l'influenza
linguistica e culturale del territorio in cui si trovavano, per questo, quando arrivarono in
Inghilterra non parlavano danese ma francese.
Dalla Normandia partirono anche altri Vichinghi che si diressero nel Mediterraneo, in Sicilia.

Vichinghi svedesi
I Vichinghi svedesi venivano chiamati anche “Variaghi” o “Vareghi”: attraversarono il Mar
Baltico e si spostarono risalendo i fiumi delle pianure russe, dove fondarono una serie di
città (che inizialmente nascevano come punti di commercio) e, una volta arrivati nel Mar
Nero, intrattennero rapporti commerciali con arabi e bizantini.
Furono anche protagonisti di un racconto di un viaggiatore arabo che li ha incontrati e
questa situazione di commercio e dominio sulle vie commerciali che passavano dall’Europa
e arrivavano nel Mediterraneo si prolungò fino all’XI sec. (nonostante in seguito persero la
loro influenze su queste rotte commerciali, secondo alcune testimonianze, erano riusciti ad
arrivare anche a Costantinopoli, grazie alla presenza di nomi chiaramente nordici registrati
all’interno delle guardie imperiali dell’Imperatore d’Oriente).
La statua del Leone del Pireo, che oggi si trova fuori dall’Arsenale di Venezia, era una
statua che i veneziani che veniva dal porto del Pire, sui fianchi del leone ci sono iscrizioni in
rune che sono graffiti di membri dell’esercito bizantino, mandati in Grecia a sedare una
rivolta; queste iscrizioni testimoniano la presenza di Vichinghi che sono arrivati in quel
territorio.
Con questo secolo si concluse l’epoca dell’espansione vichinga, non ci furono più
spostamenti significativi; nel frattempo in Scandinavia si erano consolidati tre regni:
Norvegia, Danimarca e Svezia; l’Islanda rimase una repubblica indipendente fino al 1262.
Da questo momento in avanti terminarono anche i grandi spostamenti delle popolazioni
germaniche.

Letteratura medievale scandinava


Nella letteratura medievale di area scandinava si svilupparono tre grandi generi: due tipi di
testi poetici, la poesia eddica e la poesia scaldica e le saghe, in prosa, il genere più
famoso del medioevo nordico.

Poesia eddica
La poesia eddica prese il suo nome da “Edda”, una raccolta di poemi di argomento
mitologico ed eroico, che è stata ritrovata nel 1600 in un’unica copia manoscritta, il Codex
Regius, trovato in Islanda e donato al re, rimasto per diverso tempo a Copenaghen.
È un manoscritto annerito dal tempo e di dimensioni ridotte, ma è l’unico testimone o quasi
di questo tipo di poesia.
La parola “Edda” vuol dire “l’antenata”, ed è stata attribuita a questi componimenti perché
quando il vescovo islandese aveva trovato per primo questo manoscritto, aveva iniziato a
leggerlo e aveva trovato delle somiglianze con un’altra opera, l’Edda di Snorri Sturluson,
detta anche “Edda in prosa”, anche se comprendeva sezioni poetiche.
In realtà l’Edda di Snorri era legata al secondo genere di poesia, la poesia scaldica dove
l’aggettivo italiano “scaldico” derivava dalla parola antico nordica “skauld”, che voleva dire
“poesia poetica”: la poesia scaldica, a differenza dell’eddica, non era anonima ed era molto
complicata a livello di lingua e metrica perché faceva abbondante uso di figure retoriche, tra
cui molte perifrasi poetiche che attingevano alla tradizione pagana e mitologica.
Il testo è diviso in tre parti: la prima è una parte più narrativa, in cui ci racconta lo sfondo
mitologico dietro a certe perifrasi poetiche mentre nelle altre parti venne illustrata la struttura
di questa poesia e l'uso di certe forme metriche.

Poesia scaldica
Rispetto alla poesia eddica, che era anonima, della poesia scaldica si conoscono gli autori.
Nacque con ogni probabilità in Norvegia, essendo il prodotto delle corti ed era una poesia
prevalentemente di elogio del signore.
Lo “scaldo” era un poeta di corte che viveva in questo ambiente.
La poesia scaldica entrerà fortemente in crisi quando si arriverà alla cristianizzazione
perché, essendo fortemente legata alla mitologia, quando non venne più citato Odino e gli
altri dei, non ci fu più di che fare poesia.
Forse era la scelta giusta perché il proprio signore era cristiano, ma l’essere poeta li portò in
un’altra direzione.
Una forma molto frequente era il carme genealogico.
Le saghe
L’altra grande fonte per la poesia scaldica sono le saghe.
La parola “saga” è un prestito dalla lingua islandese, ed è un astratto verbale del verbo
“segja”, letteralmente è “ciò che si è detto”, quindi la storia, con questa voluta ambiguità tra
la storia in senso scolastico e la storia narrativa.
Fin dall’800, quando si è iniziato a occuparsi di questo genere letterario, si è cercato di
trovare un modello di suddivisione per fare ordine: quello più classico è rappresentato da
una classificazione che si occupa di mettere in luce il tema principale di questi gruppi di
saghe.
Il primo gruppo sono le “Saghe degli Islandesi” (“Íslendingasögur”), sono in assoluto le
saghe più famose, sono un gruppo di testi (30-35), più o meno lunghi, che hanno come
protagonisti personaggi islandesi, e che sono ambientate nel periodo tra la colonizzazione
dell’isola e i primi anni dopo l’introduzione del cristianesimo (periodo tra l’870 e il 1050).
Sono testi che raccontano la storia dell’isola e che raccontano le vicende degli antenati dei
loro autori, dei loro lettori e del pubblico in generale; non potevano inventare troppo, perché
ci sarebbe stato qualcuno a contraddirli, conoscendo i protagonisti.
Questo non vuol dire che siano testi storiografici, perché le saghe hanno sempre la pretesa
di essere oggettive, però non lo sono perché in realtà è quello che l’autore della saga voleva
farci vedere.
Un sottogenere, quello degli “Íslendingaþættir”, “parte, capitolo” racchiude racconti più
brevi rispetto alle saghe.
Nell’opera vengono presentati testi molto lunghi che si chiamano “þáttur” e testi molto più
brevi che si chiamano “saga” ma la distinzione non è chiara: sono in origine testi più brevi,
che possono apparire isolati o in combinazione con altri, che hanno spesso la funzione di
raccordare i personaggi presenti in più saghe; a volte i personaggi che compaiono in altre
saghe compaiono anche in uno di questi þættir, e sono utilizzati con una funzione specifica
in un racconto circoscritto.
Più chiaro è il genere della categoria successiva, le “Saghe dei Re” (“Konungasögur”) che
raccontano le storie dei re di Norvegia, Danimarca, Svezia e rientrano in questa categoria
anche le storie riferite ad alcuni personaggi che non avevano titolo reale, ma che erano
particolarmente influenti nelle colonie (come nelle Orcadi o nelle Fær Øer).
Buona parte di queste saghe dei re appartengono a un’opera più grande, la “Heimskringla”,
un testo di Snorri Sturluson ed è una raccolta di saghe dedicate ai re di Norvegia, dalle
origini fino a un’epoca contemporanea a Snorri (XIII sec.).
Ci sono poi le “Saghe dei Vescovi”, “Biskupasögur” che comprendono delle saghe
dedicate allo sviluppo della Chiesa islandese e all’attività religiosa (che spesso era anche un
po’ politica) dei vescovi, all'interno di questa categoria sono stati raccolti anche testi
agiografici (che parlano di santi che possono essere locali (come Re Olaf) o santi della
tradizione cristiana in generale, che niente avevano a che fare con l’Islanda).
Ci sono poi testi molto vicini l’uno all’altro, si parla di “Sturlunga saga” che fa riferimento a
questa famiglia, che veniva chiamata “famiglia degli Sturlunghi”, la famiglia di maggior
potere nella terra islandese; prende il nome da Sturla Þórðarson, il capostipite di questa
famiglia, il padre di Snorri.
Sturla aveva un ruolo politico importante, così come lo avrà suo figlio, che sarà molto legato
a personaggi politici dell’epoca come lo jarl (duca) delle Orcadi e il re di Norvegia con cui si
troverà in conflitto e verrà ucciso per motivi politici.
Queste saghe sono state composte in un’epoca che risale al 1300, molto vicina agli
avvenimenti che vengono raccontati, e racconta le vicende in cui questa famiglia molto
potente era coinvolta.
Molto più lontane nel tempo sono le cosiddette “Saghe dei Tempi Antichi”,
“Fornaldarsögur”: sono tempi antichi perché gli eventi di questi testi risalgono a un’epoca
molto lontana nel passato o quasi nemmeno identificabile, un’epoca astorica; sono eventi
sicuramente precedenti all’”anno zero” degli Islandesi ma anche molto prima.
La “Saga di Asmund Uccisore dei Guerrieri”, racconta la storia in cui Ildebrando uccide il
suo parente, probabilmente c’era questa storia in più tradizioni.
Rientrano nelle saghe anche alcuni testi che sono di traduzione; testi ispirati, tradotti, da
tradizioni altri. questo è il caso soprattutto delle “Saghe dei Cavalieri”, “Riddarasögur”, che
sono per la maggior parte non islandesi ma norvegesi; sono delle traduzioni, dei grandi
romanzi cavallereschi che arrivavano soprattutto dall’area francese, in modo diretto o
mediato.
La “Saga di Tristano”, la “Saga di Ivano” raccontano la storia di grandi personaggi della
letteratura medievale che arrivarono anche in Islanda e, visto che vennero messi per iscritto
in prosa, rientrarono nella categoria delle saghe; di testi influenzati da tradizioni straniere c’è
anche traccia nell’ultimo gruppo, le “Saghe Menzognere”.
Negli anni ‘50 del ‘900 uno studioso islandese, Sigurður Nordal, ha proposto una
classificazione più semplice, dove distingue solo tre gruppi, basato sul rapporto tra l’epoca di
composizione e l’epoca in cui si svolgono gli eventi raccontati.
Individua quindi le “Saghe Coeve”, che sono quelle in cui gli autori sono o contemporanei
dei personaggi e degli eventi, oppure hanno avuto la possibilità di usare fonti scritte
contemporanee.
Il termine di partenza delle Saghe Coeve è il 1100 e rientrano in questo gruppo anche le
“Saghe degli Sturlunghi”, le “Saghe dei Vescovi” (per lo meno quelle che riguardano la
Chiesa d’Islanda e i vescovi locali) e alcune delle “Saghe dei Re”.
Ci sono anche le “Saghe del Passato”, che raccontano eventi compresi tra l’800 e il 1100 e
rientrerebbero in questa categoria anche le “Saghe degli Islandesi” e la maggior parte delle
“Saghe dei Re”.
L’ultimo gruppo secondo Nordal sono le “Saghe dei Tempi Molto Remoti”, che raccontano
tutto ciò che è avvenuto prima della colonizzazione dell’Islanda dove rientrano anche le
“Saghe dei Tempi Antichi”, le “Saghe dei Cavalieri” e le “Saghe Menzognere”.
Nelle saghe è tutto molto ordinato: gli eventi sono presentati in modo cronologico, c’è
qualche ricorso al flashback ma è sempre motivato da necessità narrative; i testi per la
maggior parte iniziano con la genealogia dei protagonisti.
Questa finzione di assoluta oggettività delle saghe è ottenuta in diversi modi:

 rappresentazione del tempo in modo lineare;


 inserire dettagli, come la genealogia dei personaggi; da una parte aveva un senso
in una società in cui tutti si conoscevano, ed era anche un modo per provare di non
essersi inventati nulla;
 presenza minima della voce narrante: non c’è un narratore onnisciente, ma ci sono
i fatti presentati in modo assolutamente oggettivo; sono invece frequenti i riferimenti
al fatto che gli eventi raccontati si sono svolti nel passato.
Ad esempio, in una saga in cui si parla dell’abitudine di fare sacrifici umani in Islanda,
l’autore mette un riferimento a un luogo concreto, spiegando che in un certo posto è ancora
possibile vedere il cerchio di pietra dove venivano svolti.
In un’altra saga il protagonista si trova in Inghilterra, e l’autore si pone il problema che
qualcuno possa non credere al fatto che questo personaggio islandese poteva non avere
problemi di comprensione: spiega quindi che a quell’epoca le lingue erano molto vicine e
che veniva parlata anche la lingua nordica lì, per cui non aveva problemi.
C’è l’inserimento di testi poetici all’interno di alcune saghe, soprattutto testi scaldici, perché
anche la poesia è considerata uno strumento per attestare la veridicità del racconto.
In Islanda hanno continuato a scrivere a mano per secoli, anche dopo l’introduzione della
stampa che è arrivata con calma, ma quando è arrivata era ad uso delle diocesi, solo ad uso
religioso; la trasmissione dei testi ha continuato ad essere manoscritta anche in epoca molto
post medievale.
C’è un caso estremo di una saga in cui uno dei testimoni manoscritti è una busta affrancata
proveniente dagli Stati Uniti; quindi, a fine ‘800 c’era ancora l’abitudine di copiare a mano, su
qualunque pezzo di carta si trovasse, questi testi.

18/11/2022

Mitologia del mondo germanico, la venerazione dei fenomeni naturali


Dato che i Germani iniziarono a scrivere in alfabeto latino quando si convertirono al
cristianesimo, non giunsero fonti di origine germanica contemporanee al paganesimo.
Le primissime fonti che parlano dei Germani e delle loro abitudini di culto sono fonti
classiche: Pitea di Massilia e Cesare, oltre a Tacito; tra queste due opere intercorrono circa
due secoli.
Per quanto riguarda la religione queste opere ci danno immagini diverse dei Germani: Pitea
e Cesare hanno la stessa rappresentazione della religiosità dei Germani, e ci parlano
dell’abitudine di queste popolazioni di venerare fenomeni naturali; è una religione
naturalistica dove si venera il Sole, inteso come forza vitale, che dà vita e calore alla Terra e
all’universo; è vista come divinità femminile.
Da questo, deriva l’idea del Sole come portatore di vita, e la Luna, suo complementare, è
vista come maschile: sono presentati come fratello e sorella; oltre ad essi si venerano corsi
d’acqua, fonti, ma anche luoghi naturali come boschi, radure, pietre, che avevano qualcosa
di particolare.
In Islanda il folklore popolare rispetta le cose naturali, specialmente le pietre; ci sono una
serie di storie, aneddoti reali, che raccontano di percorsi di strade che sono state deviate
dove queste pietre sono considerate troll che col sole si pietrificano e che col buio si
spostano.

Il politeismo germanico
Tacito presentava un politeismo in cui vi erano diverse figure divine, che corrispondevano
alla tradizione indoeuropea; erano divinità assolutamente antropomorfe con non solo
l’aspetto degli uomini, ma anche le caratteristiche comportamentali.
Ci sono storie in cui le divinità litigano, si fanno dispetti, si tradiscono; non a caso, conscio di
questa somiglianza tra il mondo romano e quello germanico, Tacito fece questa operazione
di equivalenza tra le divinità germaniche e quelle romane (interpretatio romana).
Oltre a queste fonti classiche, esterne, esistono anche altre fonti per la mitologia germanica
che non fanno più riferimento al punto naturalistico, ma sono tutte fotografie del politeismo.
Di Snorri, la “Ynglinga saga” è la saga iniziale che si trova nella raccolta delle saghe
dedicate ai re norvegesi, la Heimskringla; sono fonti di provenienza germanica, in lingua
germanica, essendo in norreno.
Nell’Edda di Snorri spiega il mito perché serve a capire una poesia, nella Ynglinga saga
vuole tracciare l’evoluzione della dinastia norvegese, ricollegandola a un passato molto
lontano che li collega alle divinità, nobilitandola; di fatto non hanno un atteggiamento
negativo nei confronti del paganesimo.
Un atteggiamento negativo lo si trova in un’altra opera dell’XI sec., Gesta
Hammaburgensis ecclesiae pontificum, “La storia della Chiesa nei vescovi di Amburgo”,
ad opera di Adamo da Brema; la diocesi di Amburgo-Brema era la diocesi che è stata
incaricata di svolgere attività missionarie in Scandinavia.
La prospettiva di Adamo da Brema è quella di un missionario che raccoglieva informazioni
sul paganesimo perché doveva conoscere il nemico che doveva sconfiggere.
L’ultima fonte che si può considerare in merito alla religione pagana germanica è un’altra
opera latina: i “Gesta Danorum” di Saxo; in quest’opera, oltre ad attingere a fonti
storiografiche latine, attinge anche molto dalle tradizioni leggendarie, con riferimenti alla
mitologia.
Quello che era comune a tutte le popolazioni germaniche era l’abitudine di credere in divinità
antropomorfe con varie caratteristiche; probabilmente, all’interno di questo insieme di
divinità, non tutte avevano lo stesso successo presso tutte le popolazioni.
Evidentemente ogni popolazione aveva riti particolari e preferenze per una certa divinità.
Gli Asi e i Vani
All’interno di questo politeismo germanico c’erano due famiglie di dèi, che avevano
caratteristiche diverse e che rispondevano a necessità di gruppi sociali diversi: gli Asi e i
Vani: Snorri racconta di questo mito secondo cui i Vani sarebbero stati la popolazione divina
originaria.
A un certo punto ci fu l’arrivo di un’altra popolazione, più bellicosa e complessa come
interessi e abitudini, gli Asi, che invasero il loro territorio: scoppiò una guerra tra queste due
stirpi divine, risoltsa attraverso una pace che sancita dal matrimonio (esempio di matrimonio
dinastico).
I due rappresentanti delle due stirpi divine furono Odino per gli Asi e Frigg per i Vani: da
questo matrimonio le divinità delle due provenienze iniziarono a convivere perché erano la
risposta all’esigenza e necessità di popolazioni che avevano abitudini diverse.
I Vani sarebbero l’espressione religiosa di una popolazione di agricoltori e allevatori a cui
richiedevano bel tempo, alternanza regolare delle stagioni, pace e fecondità del terreno e
degli animali, per garantire la sopravvivenza e il mantenimento di uno stato di salute
(nutrimento) per la popolazione.
A questa famiglia dei Vani appartenevano varie divinità, tra cui Njörðr, dio del mare, inteso
come protettore della pesca, sposato con la dea dei monti, Skaði, dall’unione dei due si ha
la copertura della parte terrestre e marina.
I loro due figli, Freyr e Freya, sono la versione maschile e femminile della divinità della
fecondità e il matrimonio dinastico che unisce Asi e Vani è tra Odino e Frigg.
La questione molto discussa è se Freya sia da identificarsi con Frigg o no: ci sono testi in cui
la moglie di Odino è presentata come Freya; entrambe hanno caratteristiche simili, sono
divinità dell’amore.
Potrebbero essere fin da subito la stessa divinità, con due nomi diversi (popolazioni o zone
diverse), oppure, in origine potevano essere due divinità con prerogative simili che a un
certo punto si sono fuse/confuse.
Questo elemento iniziale “fr” è riconducibile anche a una radice indoeuropea “pri”, che è
collegata alla sfera semantica dell’amore.
La nuova stirpe di dèi, rappresentata dagli Asi, è sicuramente esponente di una società e
mentalità appartenenti a popolazioni più evolute, non avevano solo interessi molto basici,
come il sostentamento, ma erano interessati anche a elementi come la conoscenza e il
sapere e avevano una maggior tensione verso una dimensione spirituale.
25/11/2022

Freya e Frigg
Freyr e Freya sono la versione femminile e maschile l'una dell’altra: avevano come
caratteristica quella di essere portatori di pace, fecondità e di essere divinità legate alla sfera
del piacere; la figura di Freya aveva somiglianza con Frigg, divinità appartenente ai Vani,
moglie di Odino.
Frigg ha un nome ricollegabile alla radice indoeuropea *pr-, che ha come significato l’amore,
è stata quindi interpretata come “l’amata” anche se queste figure erano simili, quasi
sovrapponibili.

Odino
La stirpe degli Asi possedeva una religiosità più profonda, prodotto di una società dove era
anche importante il benessere individuale (aveva quindi elementi più “intellettuali”).
Spesso, nella sezione mitologica, ci sono duelli di conoscenza: sono situazioni in cui,
attraverso il dialogo, un personaggio (spesso Odino sotto mentite spoglie) si mette alla prova
con determinati personaggi ritenuti particolarmente sapienti.
Odino, secondo il giudizio di alcune fonti poetiche e di Snorri, era ritenuto la divinità
suprema; il suo nome, che in italiano risale alla versione del suo nome in antico nordico
(Óðinn), corrisponde in area antico inglese o sassone a Wodan; ha nomi diversi a seconda
delle lingue in cui viene chiamato.
Era il padre della magia, conoscitore delle rune, aveva particolare interesse per il sapere, la
conoscenza; il mito dice che si sia auto sacrificato appendendosi all’albero cosmico, lo
Yggdrasill, la base di tutta la cosmologia di tutto il mondo come lo concepivano le
popolazioni germaniche.
Era un enorme frassino cosmico e Odino si era appeso ai rami di questo albero per nove
giorni e nove notti per ottenere la conoscenza; egli aveva anche una connotazione bellica,
era definito “dio degli eserciti”.
Nei combattimenti Odino era colui che sceglieva i caduti in battaglia e li conduceva nel
Valhalla, la versione del paganesimo germanico dell’aldilà; era riservato soltanto a degli
eletti, guerrieri coraggiosi morti in battaglia e che Odino aveva premiato.
In questo luogo i prescelti saranno protagonisti della battaglia finale, che seguirà la fine di
questo mondo e la nascita di un mondo nuovo, con nuove divinità, il “Ragnarok”, quello che
Wagner aveva tradotto come “crepuscolo degli dei”.
Il nome di Odino è imparentato con la radice indoeuropea *-wat, che vuol dire “furia poetica”,
corradicale della parola moderna tedesco per “rabbia, furore”; nell’Interpretatio Romana di
Tacito, egli si concentra sull’elemento di traghettatore delle anime dei morti in battaglia e lo
paragona a Mercurio, che nella mitologia romana era il messaggero degli dei.
Le divinità e i giorni della settimana
I nomi dei giorni della settimana nelle lingue germaniche nascevano da calchi strutturali: si
parte da un termine alloglotto (di altra lingua), si guarda la sua struttura e la si ricrea nella
lingua di arrivo.
“Mercoledì” era il giorno dedicato a Mercurio, quindi “mercurii dies”: questa espressione era
composta dal genitivo del nome della divinità e dalla parola “giorno”.
Partendo dall’antico inglese, il nome di Odino è Wodan, il suo genitivo è Wodnes; a questo
si aggiunge la parola “giorno”, “dæg”; da qui l’inglese moderno “Wednesday”; con lo stesso
ragionamento in antico nordico si ottiene Oðins (genitivo del nome Odino) con la parola per
giorno, dagr, quindi Oðinsdagr, da cui si arriva allo svedese moderno “onsdag”.
Nel passaggio alla lingua tedesca, si è affermato un nome alternativo del giorno mercoledì
che parte da un’altra espressione latina più tarda, “Media hebdomas” (“metà settimana”); on
la riproposizione della struttura dal latino al tedesco viene tradotta come “mitta” (“metà”) e
“wecha” (“settimana”), da cui “Mittwoch” in tedesco moderno.
In area islandese era particolarmente venerato Thor, in area antico inglese si chiamava
þunar, in area alto tedesco antico si chiamava Donar, era il dio del tuono ed era associato a
tutti i fenomeni atmosferici.
All’interno degli Asi era quella che maggiormente si avvicinava alle necessità della società
agricola: influenzava i venti, le piogge e il bel tempo, di conseguenza anche i raccolti.
A causa di questo fatto, di avere l’elemento del tuono nel suo nome, era paragonato dai
Romani al Giove latino.
Per il “giovedì” venne usato il nome di Thor: dall’espressione latina “Jovis dies” (“giorno di
Giove”); in antico nordico þórs (genitivo di þor) e dagr (parola per “giorno”), da cui torsdag in
svedese moderno; in antico inglese abbiamo þunder dæg, da cui “Thursday”; in alto tedesco
antico donares tag, da cui si arriva a “Donnerstag”.
Un’altra divinità significativa negli Asi era Tyr (o Tiw o Tig); il nome di questa divinità
etimologicamente vuol dire “divino”, questa è la stessa radice indoeuropea *deiwos, che vuol
dire “divino” ed è la stessa che troviamo nella parola latina “divus”.
Era considerato la divinità più audace, invocata dai guerrieri perché concedeva la vittoria in
battaglia.
Nel nome germanico del “martedì”, si partire dall’espressione “martis dies”; in antico inglese
Tiwes dæg (“tuesday”); in antico nordico Tyrs dagr, da cui tisdag in svedese; in alto tedesco
antico esisteva una forma chiaramente derivata da ziu, “ziestag”.
Quello che è il nome di oggi per il martedì, dienstag, risale alla forma di un altro dialetto,
proviene dalla zona del basso Reno (nord).
Uno degli attributi di Tyr era quello di essere protettore dell’assemblea, dove l’elemento
“dinges” sarebbe da ricondurre alla parola þing, “assemblea”.
C’era anche una donna nei giorni della settimana, “venerdì”, dedicato a Venere, paragonata
a Freya, con l’ambiguità tra Freya e Frigg.
L’islandese, con l’eccezione di lunedì e domenica, non ha mantenuto alcuna traccia della
terminologia che comprendeva le divinità pagane (il mercoledì si chiama “giorno di metà
settimana”, il martedì è “il terzo giorno”, mentre il giovedì “il quinto giorno”, venerdì diventa “il
giorno del digiuno”).

Baldr
Baldr era una divinità positiva, quello a cui nella Formula di Merseburgo si era infortunato il
cavallo, era il più bello degli dei.
Nel mito è protagonista di un episodio che riguarda la sua morte, di cui è responsabile
un’altra figura, Loki, una figura il cui culto è così poco diffuso che probabilmente poteva
essere una creazione a livello erudito per creare una controparte ad altre divinità.
Era una figura molto controversa: da una parte era imbarazzante, volgare, colui che
nessuno vuole invitare alle feste, però era estremamente scaltro, risolveva situazioni
irrisolvibili vedendo una via d’uscita.
La morte di Baldr avvenne in un contesto in cui Loki era stato escluso: una delle attività degli
idei era quella di celebrare dei banchetti e, ad uno di questi, Loki non era stato invitato.
Nei testi della sezione mitologica, nei carmi degli dei nell’Edda poetica, si trova un’opera,
“Gli insulti di Loki”: durante una festa degli dei in cui Loki si era comportato molto male, era
stato cacciato e proprio in quel momento aveva incominciato a pronunciare improperi nei
confronti dei presenti.
Nel caso della vicenda di Baldr c’è questo banchetto da cui Loki era stato escluso, ma era
comunque riuscito a intrufolarsi: quando gli altri iniziarono a giocare ad una sorta di tiro a
segno usando come freccia un rametto di vischio, lui si avvicinò a un personaggio di cui si
parlava solo in questo contesto, Höðr, un personaggio estremamente forte ma cieco, mezzo
gigante fratellastro di Baldr.
Loki gli disse che lo avrebbe aiutato a giocare: sarà questo rametto di vischio lanciato dal
cieco a colpire Baldr e ucciderlo.
Il mito racconta, nella fase precedente, che alla nascita di Baldr tutte le creature avevano
giurato di non fargli del male ma l’unica che non aveva partecipato al giuramento era stato il
vischio; quando ci sarà il Ragnarok - la battaglia finale per cui le divinità si sono preparate
durante il periodo trascorso nel Valhalla - finirà questa generazione di dei.
La figura di Baldr è stata affiancata alla figura di Cristo: figura positiva, che muore innocente
per un’ingiustizia e ritornerà.

L’albero cosmico
L’albero cosmico, Yggdrasill, era un frassino enorme che affondava le sue radici ed
estendeva le sue chiome verso l’alto: comprendeva i nove mondi che costituivano l’idea di
universo della mitologia germanica.
In questi nove mondi c’era il Miðgarðr, “la Terra di Mezzo”, il mondo degli uomini, ma c’era
anche il mondo degli inferi e il mondo degli Asi, la zona dove stavano gli dei: c’era un trono
su cui sta seduto Odino per la maggior parte del tempo, era spesso rappresentato con un
corvo per spalla, Huginn e Muninn (“huga” in antico nordico significa “pensare”, mentre
“muninn” è legato al tema della memoria).
L’albero cosmico era abitato da varie creature: c’erano animali che rodevano le sue radici,
che venivano poi ricostruite: l’albero doveva rimanere intatto fino al Ragnarok, quando i
mondi sarebbero stati stravolti.

28/11/2022

L’accento

Il germanico era un'evoluzione dell’indoeuropeo, che rispetto ad esso era caratterizzato da


un cambio di accento: in indoeuropeo l’accento era libero e musicale, quindi la posizione
dell’accento poteva avere una funzione distintiva sia dal punto di vista morfologico sia dal
punto di vista semantico.
Dal punto di vista morfologico, per esempio, “padre” in greco, "patér", è nominativo; nello
stesso paradigma “pàter” è vocativo: a seconda di come cade l’accento, ci sono due diversi
significati della parola.
Un altro esempio è la parola sanscrita “árdha”, che con l’accento iniziale vuol dire “lato”; con
l’accento finale “ardhá” vuol dire “metà”; anche in italiano c’è una distinzione semantica in
base all’accento (àncora, ancòra) anche se in italiano l’accento non è fisso.
In indoeuropeo l’accento poteva cadere in varie parti della parola e poteva avere funzione
distintiva, quando si passava al germanico, l’accento si fissava sulla sillaba radicale
(tendenzialmente verso l’inizio della parola) e diventava un accento che non era più
musicale, ma di intensità, dinamico.
Se l’accento è fisso in un posto non ci saranno coppie minime date dall’accento: la nuova
funzione dell’accento era indicare l’inizio e la fine della parola; ci sono esempi di lingue
germaniche moderne con accento distintivo, come in inglese o in tedesco.
Nel germanico antico c’era una regolarità quasi perfetta dell’accento fisso sulla sillaba
radicale: a partire dal 1066 era arrivata sull’isola una lingua con l’accento in fondo, il
francese; la lingua che maggiormente aveva questo principio di accento iniziale era
l’islandese, perché era la lingua rimasta più germanica di tutte che aveva limitato l’influsso
straniero.

L’accento libero e musicale diventò di intensità sulla sillaba radicale, perse la distinzione
morfologica e semantica che aveva in indoeuropeo e precisava dove iniziava e finiva la
parola.
Questo ebbe una serie di conseguenze importanti perché la sillaba radicale era
tendenzialmente all’inizio della parola, mentre alla fine della parola c’erano sillabe accentate
che contenevano informazioni di carattere morfologico.
Nel momento in cui l’accento intensivo si concentrava sulla radicale, le sillabe non accentate
venivano pronunciate con meno intensità; in inglese ci sono due sistemi vocalici: uno per la
posizione tonica e uno più ristretto per le vocali atone; in inglese quindi la sillaba accentata
si pronuncia forte, mentre il resto si pronuncia velocemente, ci si sofferma sulla sillaba
tonica, a danno delle sillabe atone.
Le sillabe atone, se avevano un vocalismo pieno, tendono ad andare verso qualcosa di
indistinto; visto che in quelle sillabe atone c’erano informazioni morfologiche, questo iniziò a
mettere in crisi il sistema flessivo.
Oggi l’inglese non ha più distinzione della persona (a parte la “-s” della terza persona
singolare) e obbliga a esprimere il soggetto.
Avevamo, in indoeuropeo, sostantivi maschili, femminili o neutri, con un genere
grammaticale; in tedesco moderno, per il genere grammaticale, l’unica indicazione ci viene
data con certezza dall’articolo; prima c’era il tema dei sostantivi, che era un tema vocalico
che indicava che un sostantivo che si fletteva.
L’inglese ha perso la categoria del genere, l’unico genere che ha è quello delle persone,
altre categorie sono singolare/plurale; molte di queste categorie erano espresse con
desinenze.
Per esempio, i plurali irregolari dell’inglese hanno origine nella metafonia, un fenomeno
fonetico che comporta una parziale assimilazione della vocale radicale a qualcosa che viene
dopo (“feet”, che oggi appare come alternanza vocalica, era dato dal fatto che la parola
“fotis” al plurale aveva la desinenza “i” al plurale; questa “i” è rimasta, cambiando la vocale).
La sillaba su cui si fissa l’accento solitamente è all’inizio della parola, l’eccezione a questo è
quando la radice è preceduta da un prefisso, per esempio; prefissi e suffissi creano nuove
parole, nelle lingue germaniche ce ne sono molte.
Nei verbi l’accento primario, forte, cade sempre sulla sillaba radicale, anche se c’è un
prefisso che avrà un accento secondario, più debole.
Nei sostantivi l’accento primario va a finire sulla prima sillaba e l’accento secondario sulla
sillaba radicale.
I verbi danno priorità alla radice, i sostantivi danno priorità all’inizio della parola, quindi il
prefisso riceve l’accento primario.

I composti sono un’altra forma di creazione delle parole: in questo caso la regola generale
vede l’accento primario sulla sillaba radicale, sul primo membro del composto, e la sillaba
radicale del secondo membro riceve un accento secondario.

La conversione delle popolazioni germaniche


La svolta rappresentata dalla conversione al Cristianesimo cambiò la cultura delle
popolazioni germaniche che entrarono in un’epoca di uso della scrittura, intesa come
scrittura in alfabeto latino. Avevano già le rune, ma era una scrittura dall’uso molto limitato; i
documenti giunti in scrittura runica sono di lunghezza molto breve.
La scrittura giunse nelle popolazioni germaniche con la conversione al cristianesimo,
avvenuta sempre attraverso la mediazione di un’altra lingua: questa lingua è mediamente il
latino, ma c’è una grande eccezione a questa regola, rappresentata dai Goti.
La conversione dei Goti
I Goti appartenevano ai Germani orientali che furono i primi a venire in contatto col mondo
latino e greco; nel momento in cui avvenne la conversione al cristianesimo si trovavano a
margine dell’Impero Romano d’Oriente, dove si parlava greco.
Nel caso dei Goti di Wulfila, la lingua che fungeva da tramite per il cristianesimo era il greco,
e non il latino; nel caso dei Visigoti, i Goti di Wulfila, ci fu questo momento di apice della
cultura cristiana, rappresentata dal IV sec. e dalla traduzione della Bibbia ad opera di
Wulfila.
Alcuni storici affermavano che i Goti avevano conosciuto il cristianesimo dai prigionieri che
avevano portato nella loro terra dopo un’incursione in Cappadocia, avvenuta intorno alla
metà del III sec., anche se già prima i Goti di Wulfila avevano conosciuto alcuni cristiani
quando si erano stabiliti in quella zona chiamata Tracia.
Il IV sec. rappresentò l’apice della conversione con la traduzione della Bibbia di Wulfila: il
cristianesimo dei Goti era quello del prete Ario, che elaborò questa sua versione del
cristianesimo ad Alessandria d’Egitto.
Il tema problematico per l’arianesimo, così come per tutte le altre forme e varianti del
cristianesimo, che saranno bollate come eretiche, era il tema della trinità; l’arianesimo,
presso le popolazioni greco-bizantine, non ebbe successo, ma attecchì bene presso i
Germani.
Questo perché da una parte la propensione e mentalità delle popolazioni germaniche,
venivano dal politeismo e c’era anche il pericolo con la trinità di avere un “mini politeismo”,
non capendo l’unità e la trinità.
D’altra parte, questo affetto e attaccamento dei Germani per questa versione del
cristianesimo era anche per una volontà di avere una specificità: finché erano pagani erano
particolari, quando si convertirono, si assimilarono a tutte le popolazioni che li circondavano.

Il Concilio di Nicea
L’arianesimo è stato due volte dichiarato eretico nel Concilio di Nicea (325); questa
decisione sull’arianesimo era stata in parte revocata da Costantino II, imperatore
dell’Imperatore Romano d’Oriente, che aveva una posizione filoariana.
Aveva annullato le decisioni del Concilio di Nicea, dove era stata elaborata la versione lunga
del credo con tutti quei passi sulla figura di Cristo, dove si sottolineava che Gesù non era
una creazione divina.
Era l’unico credo recitato in Italia, oggi si recita sempre tranne nel tempo di Pasqua, quando
si usa l’apostolico, senza queste “esagerazioni” di specificità teologica, nate dall’opposizione
agli ariani.
Qualche tempo dopo venne attuato il Concilio di Costantinopoli (381), quello che ribadì
definitivamente la condanna dell’arianesimo; nonostante la doppia condanna, presso i
Germani l’arianesimo sopravvisse anche perché c’era una Bibbia in lingua germanica, la
bibbia di Wulfila, nata in contesto ariano.
Il frammento di Giessen, che veniva dal nord Africa, si pensava che fosse in uso nella
chiesa vandala.
Nello stesso tempo, quando queste popolazioni si convertirono al cristianesimo cattolico, di
fatto la Bibbia di Wulfila perse valore e significato, non essendoci un pubblico capace di
apprezzarla linguisticamente (il gotico si era perso) e dal punto di vista teologico (era una
Bibbia nata in contesto eretico).

La conversione dei Franchi


La svolta all’interno delle popolazioni germaniche è rappresentata dalla conversione dei
Franchi, che si convertirono da subito alla forma cattolica romana del cristianesimo.
Da quando Clodoveo si fece battezzare con la sua gente, aveva in mano questo ruolo di
“difensore della fede”; nel caso dei Longobardi, Carlo Magno e Pipino (sovrani dei Franchi)
vennero in origine chiamati dal Papa, che temeva una recrudescenza della parte ariana tra i
Longobardi.
Dal punto di vista più generale, il fatto che i Franchi si fossero convertiti al cattolicesimo
portò a cadere la barriera tra la popolazione germanica e la popolazione di origine latina:
almeno in una parte del regno franco non si parlava più una lingua germanica, ma una
lingua romanza.
Questa volontà di assimilarsi alla tradizione precedente è evidente se si fa riferimento al
nome dell’impero di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero: il primo elemento è il
fondamento nel cristianesimo, cita l’Impero Romano, mettendosi in una tradizione molto
importante.
Tra le altre popolazioni germaniche i Franchi cercheranno di diffondere il cristianesimo; oltre
a loro, un contributo importante alla diffusione del cristianesimo tra le popolazioni
germaniche verrà da Papa Gregorio Magno.

Papa Gregorio Magno


È stato papa tra il 540 e il 604; Papa Gregorio Magno è stato una figura importante; era
una persona molto colta, in grado di instaurare buoni rapporti con i sovrani di origine
germanica.
Questo lo aveva aiutato in un'operazione di ampliamento dei territori di religione cattolica e
di riunificazione della Chiesa, superando alcune eresie, tra cui l’arianesimo.
Il superamento dell’arianesimo lo ottenne presso i Visigoti in Spagna, che durante il suo
papato si convertirono al cattolicesimo.
Nel caso dei Longobardi però non riuscirà del tutto a vedere i risultati di questa operazione,
perché l’elemento ariano tra i Longobardi non sarà mai totalmente eliminato; ci sarà la
situazione che porterà il Papa a chiamare i Franchi per essere protetto.
La conversione nelle isole britanniche
Papa Gregorio Magno mandò dei missionari nei territori dove c’erano popolazioni
germaniche ancora pagane, tipicamente le isole britanniche.
Nel 596 mandò in Inghilterra un gruppo di missionari guidati da Agostino, passato alla storia
come Sant’Agostino di Canterbury; era una figura importante della cristianità inglese, non
a caso Canterbury è la sede del capo della chiesa anglicana, dopo il re.
I missionari di Agostino andarono in Inghilterra e vennero accolti subito bene dal Ken:
Aeþelræd, re del Kent, consentì loro di stanziarsi nel suo regno e costituire un monastero a
Canterbury, che diventerà la base della cristianizzazione degli anglosassoni (questa
accoglienza positiva da parte del Kent verrà suggellata dalla conversione del re stesso e di
diecimila suoi sudditi).
La conversione viene collocata nel giorno di Pentecoste del 597: è una data significativa,
perché rappresenta la discesa visibile dello Spirito Santo.
Oltre che da Roma, da questi missionari mandati dal Papa in Inghilterra, lo stimolo della
conversione all'Inghilterra avvenne dall’Irlanda, che si era già convertita al cristianesimo: nel
432 era stata iniziata la conversione in Irlanda ad opera di San Patrizio, ancora oggi
campione del cattolicesimo irlandese.
Dall’Inghilterra la conversione avvenne da Roma e dal mare d’Irlanda; soprattutto in Irlanda
iniziarono a nascere monasteri che diventarono fin da subito centri non solo religiosi, ma
anche culturali, molto importanti.
Questi poi si allargheranno e arriveranno a collegare in una rete di monasteri affiliati l’uno
all'altro, con fondazioni successive in tutta l’Europa occidentale: uno dei monasteri fondati è
l’Abbazia di Iona, fondata sull’isola di Iona da San Colombano nel 563 che aveva come
scopo quello di costituire una base per l’evangelizzazione della Scozia, estendendo la
diffusione del cristianesimo anche nei territori che gli anglosassoni non avevano colonizzato.

San Colombano
San Colombano è molto importante, alcuni l’hanno visto come precursore dell'unificazione
europea.
Nacque in Irlanda, poi si spostò sul continente, arrivò nel territorio dell’attuale Francia,
quando era già sottomessa ai Franchi, e fondò una serie di abbazie; dalla Francia arrivò in
Italia e, nel 614, fondò il monastero di Bobbio.
Per l’Europa e l’Italia alto medievale questo aveva rappresentato una delle più grandi
biblioteche e un centro di produzione dei manoscritti assolutamente fondamentale; il periodo
di maggior splendore fu tra il VII e il IX sec., quando era di fatto sul territorio italiano il più
importante centro di produzione di manoscritti, non solo di carattere religioso, ma anche di
contenuto profano.
San Gallo
Discepolo di San Colombano è San Gallo, anche lui di provenienza irlandese, nacque alla
metà del VI sec. in Irlanda e fu il fondatore del monastero di San Gallo, nella Svizzera di
lingua tedesca, un fondamentale centro culturale per l’area di lingua tedesca, soprattutto tra
VIII e XI sec.; esiste ancora una fondazione nel monastero, c’è ancora la biblioteca e si ha
un’idea ancora più reale di come poteva essere allora.
I manoscritti sono spesso conservati lì ed è collegato uno dei primissimi glossari tedesco-
latino, che si chiama Vocabularius Sancti Galli, che contiene tre diversi glossari; si pensa
che sia la copia di un manoscritto precedente dove c’erano annotazioni, anche casuali, da
parte di un missionario anglosassone che cercava di imparare un po’ di tedesco antico.

San Bonifazio
Un’altra figura importante per l’area linguistica tedesca è San Bonifazio, che proveniva
dall’Inghilterra anglosassone, e si dedicò a evangelizzare le popolazioni sul continente.
Arrivò nella zona della Fisia, lungo le coste del Mare del Nord dell’attuale Germania e dei
Paesi Bassi, poi si spostò più a sud, arrivò in Assia, nella zona della Germania centrale,
dove si distinse per aver abbattuto una quercia sacra a Thor.
Dopodiché si spostò in Turingia e andò a finire in Baviera, dove fondò un altro monastero
importante per l’area linguistica bavarese, il Monastero di Freising (Frisinga).
Se oggi Freising è una cittadina, il nome di Monaco di Baviera deriva da “presso i monaci”, e
i monaci in questione sono quelli di Freising.
Ha avuto un ruolo importante anche l’Abbazia di Fulda, che è stata fondata nel 774 da San
Sturmio, un discepolo di San Bonifacio.

L’Abbazia di Fulda e l’opera dei monaci


Durante il periodo carolingio e in epoca successiva è stato un centro scrittorio e una scuola
monastica, legata a Carlo Magno e agli Ottoni; produssero manoscritti miniati e fu anche un
centro di oreficeria molto importante.
Legato al monastero di Fulda è uno dei primi esempi di prosa giuridica in lingua tedesca, la
“Descrizione dei Confini” di Hammelburg; questo documento faceva riferimento al 777,
anno in cui Sturmio diventò abate di Fulda e in quella occasione Carlo Magno aveva fatto
una donazione di terreni al monastero.
Anche in italiano esiste un documento simile che citava la situazione territoriale dell’Abbazia
di Montecassino.
Queste figure, spesso provenienti da Inghilterra o Irlanda, contribuirono alla diffusione del
cristianesimo anche sul continente.
C’erano monaci che circolavano e copiavano testi da una sede all’altra e questo spiegava
tutti quei casi in cui c’erano due dialetti che concorrevano in due testi.

La conversione di Norvegia, Svezia e Danimarca


L’Inghilterra anglosassone ebbe un ruolo nella conversione del continente, così come nella
conversione della Norvegia che iniziò alla fine del X sec., in un’epoca in cui sia in
Inghilterra che sul continente la religione cristiana era consolidata.
La conversione della Norvegia ebbe un canale particolare legato all’Inghilterra e alla figura di
due re norvegesi, Olaf Tryggvason e Olaf Helgason: il primo iniziò questa opera di
conversione al cristianesimo convertendosi in un soggiorno in Inghilterra prima di diventare
re; quando venne eletto sfruttò la sua posizione per convertire il suo popolo.
La conversione della Norvegia verrà completata da un suo successore, Olaf Helgason (Olaf
il Santo).
Stiklestaðir era il luogo dove morì in battaglia contro i pagani e il luogo della sua morte
venne considerato miracoloso: i norvegesi ancora oggi venerano la fonte che è sgorgata
dove è caduto Olaf.
Diversa fu la sorte di Svezia e Danimarca perché per loro arrivò lo stimolo direttamente da
Roma: si parlava di ius missionis, il diritto di fare opera missionaria; era la Chiesa tedesca
che aveva il compito di evangelizzare Danimarca e Svezia.
Il personaggio incaricato di questo fu un monaco benedettino, Ansgario, l’apostolo del nord:
in Germania e Scandinavia molte chiese sono dedicate a lui anche se non ebbe subito
fortuna, ci vorrà del tempo perché la religione cristiana si diffonda davvero in modo capillare
in questi territori.

La conversione dell’Islanda
L’ultimo episodio che pone fine alla cristianizzazione è il caso dell’Islanda: già durante il
regno di Olaf Tryggvason vennero mandati missionari in Islanda, il primo missionario fu
þangbrandr, e non ebbe vita facile; arrivò dopo essere quasi naufragato, sbattendo contro
gli scogli con la nave, si guadagnò lo scherno di varie figure islandesi, tra cui una poetessa
che componeva versi scaldici, la quale gli disse che se si fosse affidato a Thor sarebbe stato
protetto.
Successivamente stette a casa di un islandese che aveva conosciuto, e quindi la prima
accusa che gli venne mossa fu quella di essere omosessuale; tornò quindi a casa ma il
seme del cristianesimo era stato piantato, e quello che preoccupava gli islandesi è che si
potesse arrivare ad avere una guerra di religione.
Il pericolo che videro gli islandesi nel cristianesimo era che alcuni diventassero cristiani e
volessero convertire gli altri; infatti, ci fu una sorta di guerra civile.
Nell’anno 1000 l’Assemblea islandese, l’Alþing (che governava l’isola), venne convocata
appositamente per discutere la questione religiosa e la decisione sarà unanime a favore del
cristianesimo,
Gizur, dopo questa decisione, fu il primo capo della Chiesa islandese.
Il figlio di Gizur, Isleif, lasciò l’Islanda e andò in Germania a studiare e fu il primo vescovo
ordinato d’Islanda; morì nel 1080, le fonti che parlavano di lui ci dissero che quando morì era
turbato dal fatto di non essere riuscito a fare bene il capo della Chiesa, non era quindi
cambiato molto.
Fu poi suo figlio, Gizur (chiamato come il nonno), il vescovo della Chiesa islandese a
consolidare il cristianesimo in Islanda e fu un periodo tranquillo per la chiesa islandese.
Skáholt e Hólar furono le due diocesi viste come importanti centri culturali: nel caso
dell’Islanda la tradizione manoscritta non era così legata ai monasteri come lo era in
Inghilterra e sul continente.
Molti dei manoscritti islandesi venneromolto letti, usati, anneriti perché tenuti nella stanza
della casa con il fuoco; con l’anno 1000 le popolazioni germaniche vennero, completamente
assimilate alla religione cristiana.
Questo significava che cominciarono a scrivere in alfabeto latino, iniziarono a trascrivere e
copiare testi in latino e, nell’ambito della diffusione della religione cristiana, nacquero le
prime opere in volgare.
Uno degli stimoli che potevano esserci per i missionari a imparare la lingua volgare era il
contatto con la popolazione; tra i primi testi di traduzione vennero trovate le formule base
della religione cristiana: il padre nostro, le formule confessionali e battesimali.
Prevedendo il rito del battesimo un’interazione, si necessitava una versione in volgare,
altrimenti chi non sapeva il latino non poteva capire e partecipare; il cristianesimo fu una
forte spinta alla diffusione e nascita di testi in volgare.

02/12/2022

La società germanica
La società germanica è qualcosa di cui si hanno informazioni da due canali diversi:

 Fonti classiche -> Cesare e Tacito;


 Testi giuridici -> sono importanti non solo dal punto di vista culturale, ma sono
molto studiati perché contengono le prime attestazioni linguistiche delle varie lingue.
All’epoca rispecchiata da Cesare la società era molto semplice e primitiva a livello di
struttura economica e stratificazione sociale, dove le popolazioni germaniche stavano nel
loro ambiente e non avevano rapporti con altre popolazioni.
Nell’epoca che intercorre tra Cesare e Tacito, tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., la
situazione era cambiata completamente: erano aumentati i contatti, non solo a livello di
scontro, ma anche occasioni di rapporto commerciale con il meridione.
Ci furono poi battaglie, occasioni di scontrarsi con i Romani, ma anche stanziamenti militari
a ridosso del Limes ecc. dove spesso le truppe ausiliarie che proteggevano questo confine
erano costituite da popolazioni di origine germanica: questi erano dei Germani che vivevano
insieme a persone che venivano da Roma, avevano quindi occasione di conoscere quello
che avveniva più a sud.
Le popolazioni germaniche appresero alcuni comportamenti, abitudini e valori che loro non
avevano: ad esempio non veniva dato peso alla ricchezza e al possesso di beni di lusso;
invece, sul modello di quello che avveniva a Roma, cominciarono a ritrovarsi anche degli
oggetti di un qualche pregio e aspetto estetico interessante.
Qualche anno fa, quando è stata fatta la mostra sui Longobardi a Pavia, una delle parti più
interessanti era l’esposizione dei gioielli, erano oggetti belli; questa era una tradizione che i
Germani non avevano e avevano imparato dai Romani: prima, nella concezione più
semplice, al massimo si aveva un po’ più di bestiame se si era in una posizione più ricca.
La società primitiva era una società agraria basata sulla famiglia che era intesa non tanto
come famiglia in senso ristretto, ma soprattutto come “sippe”, ovvero una famiglia che
discendeva da un antenato comune e che comprendeva parenti di vario grado.
Al suo interno vigeva il diritto e il dovere della faida: la vendetta di sangue; questo nasceva
dalla necessità di mantenere un equilibrio; in una società agricola, se a una famiglia
avessero ucciso una persona nel pieno dell’attività, avrebbero avuto meno forza lavoro per
l’agricoltura, punendo l’altro si poteva fare in modo che non se ne avvantaggiasse il vicino.
Lo stesso valeva in un contesto militare: in una battaglia, se fosse stato ucciso uno dell’altro
schieramento, si sarebbero potute riequilibrare le cose; questo principio era piuttosto arcaico
(l’Editto di Rotari aveva cercato di cancellarlo) ed era uno dei principi cardine dell’idea di
giustizia delle popolazioni germaniche.
Nelle lingue germaniche antiche, ad esempio in antico inglese, c’erano delle denominazioni
diverse per gli zii materni e gli zii paterni: lo zio paterno si chiamava “federa” e lo zio
materno si chiamava “eam” (“tante” e “oncle” sono prestiti dal francese).
In un’epoca successiva in Scandinavia, i nonni e gli zii paterni e materni erano ancora
distinti, notabile soprattutto nei testi giuridici.

La famiglia germanica, la tutela e il matrimonio


La famiglia era patriarcale: nella società germanica la donna aveva un ruolo che era
circoscritto alla vita di casa e alla vita familiare, era sempre sottoposta all’istituto della
tutela; nel mondo germanico c’era il concetto di “mujnt” (tutela), un qualcosa che nasceva
per proteggere le donne, vista la discrepanza di capacità fisiche.
Diventare adulti nel mondo germanico coincideva con l’assumere le armi, la donna, non
assumendo mai le armi, non era mai adulta e quindi come i minori venivano sottoposti a
tutela, anche le donne lo erano, per tutta la vita.
La tutela veniva esercitata dal padre e passava spesso, nella maggior parte dei casi, al
marito nel momento del matrimonio; c’erano diverse forme di matrimonio: quella più comune
riprendeva la parola “mujnt”.
Si parlava di questa forma di matrimonio che era la “Muntehe”, la forma più classica, che
aveva al centro un contratto che riguardava il passaggio di tutela, era un accordo tra le due
famiglie: non veniva comprata e venduta la sposa, bensì il diritto di esercitare la tutela sulla
sposa.
Le famiglie si vedevano e decidevano cosa veniva dato in cambio: c’era un passaggio di
denaro, che si chiamava “Muntschatz”(dal tedesco “Munt” -> “tutela” e -> “schatz” →
“tesoro”): era il compenso, una parola che veniva anche resa in latino come “dote”, nel
senso di una cifra di denaro o proprietà che venivano date dallo sposo, e dalla famiglia dello
sposo, alla famiglia della sposa.
Avere il diritto di tutela sulla donna non era solo una carica onorifica, ma aveva anche
benefici concreti: le donne ereditavano delle proprietà (a seconda dello status sociale in
alcuni casi il ruolo poteva essere importante economicamente).
Il problema era che se le donne ereditavano, non erano in grado di farne quello che
volevano loro, perché le loro azioni giuridiche dovevano sempre essere validate dal tutore,
che poteva agire in loro vece (questa era la prima fase, la contrattazione).
Il matrimonio si svolgeva con una cerimonia pubblica, dove lo sposo conduceva a casa sua
lo sposa e, davanti a testimoni, l’unione veniva consumata (era il sigillo giuridico); dalla
mattina successiva la donna riceveva in dono delle proprietà, dei beni, del denaro, che
erano il “dono del mattino”, una piccola assicurazione/cifra che rimaneva alla donna,
qualsiasi cosa fosse successa.
L’unica situazione per cui era previsto che questa cifra venisse restituita era quella in cui la
donna si fosse macchiata di adulterio; spesso le donne rimanevano vedove e avevano
problemi di sussistenza. Esistevano altre due forme di matrimonio: una era quella che
sempre in tedesco si chiamava “Kebsehe”, il matrimonio con la concubina, che in realtà era
una convivenza: erano due persone che liberamente decidevano di vivere insieme senza
legittimare giuridicamente la loro convivenza.
Non c’era rapporto tra le famiglie e passaggio di tutela e nemmeno la consumazione
pubblica: la donna rimaneva parte della sua famiglia di origine e la tutela rimaneva nelle
mani di chi ce l’aveva prima.
La terza variante, la “Friedelehe”, il “matrimonio con l’amata” veniva celebrato in pubblico
con valore giuridico, ma era basato sulla libera volontà degli sposi: erano due persone che,
senza che le famiglie venissero implicate, decidevano di sposarsi.
Questa pratica matrimoniale era molto più frequente in epoca più tarda, soprattutto quando
c’erano disparità notevoli dal punto di vista della condizione economica delle famiglie: se la
donna avesse avuto una posizione migliore, avrebbe continuato ad appartenere alla sua
famiglia ma era sposata, senza doversi “abbassare” socialmente.

Le donne
La posizione della donna era marginale dal punto di vista della vita pubblica: la figura
femminile era la “signora della casa”, cioè colei che gestiva la servitù e la sfera domestica.
Nella società prima della conversione al cristianesimo era previsto che una donna potesse
avere un ruolo pubblico, come una sacerdotessa ma con la conversione al cristianesimo
questo scomparve.
Per quanto riguardava i matrimoni la Chiesa sottolineava sempre la necessità del consenso:
entrambi gli sposi dovevano essere consenzienti, anche la donna e, almeno in linea teorica,
aveva la possibilità di rifiutarsi.
Nella legislazione più arcaica, in alcuni testi giuridici, essendo le donne sottoposte a tutela,
se avessero commesso qualche reato non sarebbero state responsabili ma, nel momento in
cui arrivò la Chiesa, la donna veniva quindi anche punita, mentre prima doveva rispondere il
tutore.
La situazione più favorevole per le donne era quella delle vedove, complice il fatto che l’età
avanzata le rendeva meno “pericolose” o meno in pericolo; spesso erano madri quindi, in
tutti i testi giuridici germanici, il ruolo di madre era una cosa naturale, ma dall’altra parte gli
concedeva un miglioramento a livello di possibilità sociali.
Erano sottomesse alla volontà del tutore, che di solito era il marito e, se una donna aveva
dei figli, e quindi poteva dimostrare di dover vendere delle proprietà per mandare avanti la
famiglia o nutrire i figli, questo era un accordo giuridico che aveva valore anche se lei non lo
faceva ratificare da nessuno.
Se una vedova raggiungeva questa posizione nell’età in cui fosse considerata non più
appetibile, poteva scampare al destino normale di una vedova, cioè andare in convento o
sposare qualcun altro.

I comitatus e i legami liberi


L’evoluzione della società germanica era già presente in Tacito, che parlava di un’altra
forma di aggregazione sociale, rispetto alla sola famiglia, il comitatus (la parola che
usavano i tedeschi era “Gefolschaft”, che derivava dal verbo “folgen” -> “seguire”).
Era una forma di aggregazione sociale basata sulla volontarietà: era la libera volontà di un
uomo/di un guerriero di unirsi ad un capo e di combattere per lui, di seguirlo in una serie di
imprese che, nel caso fossero andate a buon fine, avrebbero portato ad una ricompensa.
Inizialmente la società era basata sulla famiglia e l’agricoltura; in questo caso invece,
c’erano persone che nascevano in una situazione non particolarmente favorevole e che
cercavano di migliorare la loro posizione sociale attraverso questa nuova forma di
aggregazione, basata sulla libertà di scelta.
Il guerriero doveva scegliere il proprio capo, ma il signore doveva volerlo quel guerriero; un
ruolo non indifferente in questo lo giocavano i figli cadetti: nella tradizione del mondo
contadino le terre spesso passavano, per non essere frammentate, al figlio più grande.
I figli piccoli dovevano cercarsi qualcosa di nuovo, quindi questo insieme di persone, che
potevano solo migliorare la loro condizione sociale, decidevano di attingere al comitatus.
I Vichinghi, soprattutto i danesi, che avevano come obiettivo quello di conquistare ricchezze,
erano legati da questo vincolo che all’inizio era basato solo sulla volontarietà ma che poi
venne rafforzato: ad esempio, si tagliavano i polsi e se li mettevano a contatto, facevano riti
per creare un nuovo legame di sangue.
Il comitatus era anche quello presente in testi come Beowulf: Hrothgar era il signore a cui
faceva riferimento Beowulf e lui stesso usava spesso l’espressione “donatore degli anelli”
per sottolineare il ruolo del signore che, quando conquistava territori, regalava e condivideva
la sua ricchezza con le persone che lo avevano aiutato nella conquista.
All’interno del comitatus c’erano diversi livelli di gerarchia: ci poteva essere un signore con
diversi seguaci che potevano a loro volta avere dei seguaci (questo sistema porterà al
feudalesimo).
La gestione dello stato
Tacito analizzò anche il rapporto del singolo con lo stato: in un capitolo della Germania
descrisse la cerimonia di ingresso di un giovane nella vita pubblica che divenne adulto
quando vestì le armi.
Tacito commentò questo episodio dicendo che da quel momento il ragazzo non apparteneva
più alla famiglia ma allo stato, anche se era ancora embrionale, rappresentato
dall’Assemblea, presieduta dai sacerdoti.
All’assemblea partecipavano tutti gli uomini adulti, e decidevano delle varie questioni; una
delle funzioni principali era esercitare la giustizia.
Anche la figura dell’istituto della monarchia cambiò molto: originariamente le popolazioni
germaniche avevano delle figure monarchiche che erano elette dall’assemblea, non era
qualcosa che si tramandava in modo ereditario.
Come erano state elette potevano essere deposte da un momento all’altro; se le cose non
fossero andate bene sarebbero stati i primi responsabili, e venivano deposti. A volte
pagavano con la vita se le cose fossero andate male, sarebbe stata una cosa sacra, una
sorta di “amuleto” per la popolazione.
Anche la ricchezza corrispondeva all’essere re: egli era il più ricco di tutti, mentre prima
erano figure confrontabili con le altre.

Le classi sociali
La presenza di classi sociali vere e proprie era testimoniata solo per poche popolazioni
germaniche e in epoca tarda e furono gli Ingevoni, quindi Germani del Mare del Nord, che
avevano avuto contatti con il mondo celtico.
I Celti avevano un sistema di caste chiuse, e questo influenzava le popolazioni con cui
avevano avuto a che fare; esistevano gli schiavi nel mondo germanico, ma non era una
società schiavista, che delegava tutto il lavoro pesante agli schiavi.
Gli schiavi erano di una categoria sola, erano prigionieri di guerra e avevano un ruolo
confrontabile a quello di un oggetto, non avevano voce in capitolo su niente perché decideva
il padrone: li poteva vendere, uccidere ed era responsabile delle loro azioni; se qualcuno
faceva un danno al suo schiavo lui aveva diritto ad un compenso di denaro, perché era
come una proprietà.
Per alcune popolazioni Ingevoni si trovava una divisione in tre classi e le fonti provenivano
dall’area sassone, anglosassone e frisone: nel caso dei Sassoni si trovano nomi in latino con
fonti in latino mentre nel caso degli anglosassoni e dei frisoni le caste hanno nomi in volgare
perché le fonti erano in volgare.
C’erano tre classi:
1. Nobili
2. Uomini liberi
3. Liberti, gli schiavi che erano stati liberati.
All’interno di questo sistema vigeva il divieto praticamente assoluto di sposarsi tra classi
diverse: si nasceva in una classe e vi si rimaneva.
Nel caso dei Sassoni c’era il discorso sui nobiles, i liberi e i liberti in termini latini; in
anglosassone si parlava di “Eorl” (nobili) “Ceorl” (liberi) “Bet” (liberti); i liberi in frisone erano
“quelli col collo libero”.

05/12/2022

Sia l’indoeuropeo che il germanico sono un prodotto di ricostruzione linguistica:


l’indoeuropeo prendeva in considerazione non solo le lingue germaniche, ma anche le lingue
classiche: latino, greco, sanscrito mentre per le lingue germaniche ci si basava solo sulle
lingue germaniche attestate e conservate.

Il sistema vocalico ricostruito per l’indoeuropeo è un sistema tripartito: presenta delle


vocali brevi, delle vocali lunghe e dei dittonghi ma non è un sistema simmetrico (quando
vi sono tante vocali brevi quante sono quelle lunghe).
In questo caso vi sono sei vocali brevi, con una schwa che non ha variante lunga, cinque
vocali lunghe e sei dittonghi: ei, ai, oi, eu, au ou.
Vi è poi anche la categoria delle nasali e liquide sonanti, sono consonanti che nel sistema
indoeuropeo avevano la caratteristica di essere sillabiche (l’altro termine utilizzato per
descrivere le sonanti è “sillabico” perché da sole avevano la capacità di formare una sillaba).
A partire da qui in germanico ci furono una serie di cambiamenti, inseriti in due grandi
categorie: i mutamenti spontanei e i mutamenti combinatori.
Mutamenti spontanei

“Spontaneo” era un termine che i linguisti usavano quando vi era un mutamento regolare,
che avveniva sempre, in qualunque circostanza, indipendentemente dal contesto; se un
mutamento è indipendente dal contesto non si è in grado di spiegarlo.
Questi sono la confluenza della a, della o e della schwa brevi indoeuropee nella a breve
del germanico, dall’indoeuropeo al germanico scompaiono due vocali, la o breve e la
schwa.
Parallelamente a questo si verificò la confluenza della a lunga indoeuropea e della o lunga
indoeuropea, due suoni originariamente distinti che in germanico si uniscono in o lunga;
mentre la a lunga scomparve dal sistema. Fino ad ora abbiamo la riduzione di elementi
vocalici.
Avvenne poi la nascita di una nuova e lunga, esclusivamente germanica che non
corrisponde alla e lunga del sistema vocalico indoeuropeo: si chiama e lunga 2; viene
distinta così da quella di origine indoeuropea, la e lunga 1.
Inoltre, si distinguono anche a livello di pronuncia fonetica perché la e 2 germanica è una e
lunga chiusa, mentre la e 1 di origine indoeuropea è una e più aperta.
Nei dittonghi, ai e oi indoeuropei in germanico passarono ad ai mentre au e ou indoeuropei
in germanico diventarono au.
Un altro cambiamento che riguardava i dittonghi era il dittongo indoeuropeo ei, che passò in
germanico a i lunga; in questo caso questo non comportava un’innovazione nel sistema,
perché la i lunga esisteva già in indoeuropeo, semplicemente delle parole che in
indoeuropeo avevano il dittongo adesso avranno la i lunga e confluiranno con quelle che
avevano storicamente al loro interno la i lunga.
Infine, la categoria delle nasali e liquide sonanti scomparve nel germanico, sia in quello
ricostruito sia nelle lingue moderne; si trasformarono in gruppi bifonematici: rimase
l’elemento consonantico nasale o liquido e sviluppò prima una cosiddetta “vocale
d’appoggio” (questo sviluppo è presente anche nelle lingue slave).
Quindi, quella che era nasale o liquida sonante in indoeuropeo, diventava nasale o liquida
+ u che la precede: um, un, ul, ur.

Nelle vocali brevi, a causa del mutamento 1 (quello della confluenza schwa, della a e della o
in a breve) si verificò la perdita di due elementi: in germanico, rispetto all’indoeuropeo,
c’erano solo quattro vocali brevi, alla luce dei mutamenti spontanei.
Nel caso delle vocali lunghe il pareggio rimane perché viene persa la a lunga a seguito del
mutamento 2 (confluenza della a lunga e o lunga indoeuropee nella o lunga germanica); si
ebbe però un’innovazione, quella di e lunga 2, pronunciata più stretta rispetto alla e lunga di
origine indoeuropea.
Nei dittonghi si verificò la perdita della ei, che era confluita con la i lunga mentre i dittonghi
oi e ou erano confluiti con ai e au (vengono dimezzati i dittonghi esistenti in germanico
rispetto all’indoeuropeo).
Scomparve completamente la categoria delle sonanti: nasali e liquide non avevano più la
possibilità di formare da sole una sillaba, ma dovettero sviluppare come vocale di appoggio
la u, che era già presente in indoeuropeo e che rimase in germanico.

Mutamenti combinatori
Avvengono solo in determinati contesti e in qualche modo sono stati provocati da quel
contesto.
Il primo mutamento combinatorio è il mutamento qualitativo: cambia la qualità della vocale
e questo ha comportato il restringimento della e indoeuropea alla i in germanico e avviene
quando nella sillaba seguente c’è una i o una semivocale j, quando nella sillaba seguente
c’è una u oppure davanti a nasale + consonante e in qualche caso si è verificato questo
restringimento anche davanti ad altri gruppi consonantici, o talvolta davanti a consonante
semplice.
In gotico il restringimento da e a i è praticamente spontaneo, avviene in modo generalizzato:
in antico inglese e antico tedesco questo mutamento è combinatorio in questi contesti:
davanti a una i o j, davanti a una u o davanti alla combinazione nasale + consonante.
Si ha poi anche un mutamento combinatorio quantitativo, l’allungamento di compenso che
porta all’allungamento di un elemento vocalico per compensare qualcosa che si è perso,
ridotto (riguarda le radici dove c’era una vocale breve seguita da una nasale + la spirante
velare sorda h).
La nasale davanti a spirante velare sorda tende a cadere e cadendo provoca, per
compensare la perdita di un fono, l’allungamento della vocale precedente; nel caso della a
questo è particolarmente importante, perché non si ha più la a lunga.
L’allungamento di compenso avviene solo in quei casi, numericamente sono poche le
situazioni in cui la a breve comparirà nel sistema, ricompare perché è prodotto di
allungamento di compenso di questi nessi dove c’era a + nasale + spirante velare sorda.
Il sistema vocalico germanico, attraverso questo mutamento specifico quantitativo,
l’allungamento di compenso, torna ad avere una a e lo stesso vale anche con o + nasale +
spirante velare sorda, in questo caso però il risultato sarà o lunga + spirante velare.
Lo stesso avviene anche con i + nasale + spirante velare sorda; anche in questo caso non
cambia a livello di sistema.
L’ultimo mutamento combinatorio è la riduzione delle vocali lunghe in sillaba tonica
chiusa (che termina con un elemento consonantico), questo avviene quando l’elemento
consonantico finale, successivo alla vocale lunga che si riduce, era una liquida +
consonante, o nasale + consonante.
I testi giuridici germanici
La tradizione dell’amministrazione della giustizia era una tradizione esclusivamente orale
dove le questioni giuridiche venivano domandate all’assemblea, il þing.
La parola “allþing” vuol dire “assemblea generale”, assemblea di tutti; “þing” è una parola
che deriva dalla radice germanica “*þengaz” che originariamente indicava un tempo stabilito
(deadline), come il tempo di una scadenza, un contratto.
Nelle lingue moderne la parola “þing” e “ting” in tedesco hanno il significato di “cosa”; quindi,
hanno un significato indebolito dal punto di vista semantico, mentre nelle lingue scandinave
ancora oggi indica il parlamento.
All’interno dell’assemblea c’era una persona addetta a ricordare il diritto, questa persona si
chiamava lögsögumaðr (maðr vuol dire “uomo”, “sögu” è la stessa forma che troviamo nel
plurale di “saga”, che è un derivato dal verbo “dire”, quindi lögsögumaðr vuol dire “l’uomo
che dice la legge”).
Questa persona era un uomo dotato di grande memoria, che veniva chiamato davanti
all’assemblea e di fronte ad una questione giuridica da discutere e gli veniva chiesto cosa si
era fatto in precedenza per una situazione di quel tipo.
Il diritto germanico è basato sulla consuetudine e questa è una caratteristica presente
ancora oggi nel diritto del mondo anglosassone; nella consuetudine germanica quello che
era stato deciso in altri casi, normalmente diventava legge, qualcosa su cui ci si basava per
il caso presente e per le situazioni future.
Nel momento in cui le popolazioni germaniche vennero in contatto con il mondo romano,
dove c’era questa fioritura di testi giuridici scritti, si sentirono inferiori: questo perché loro non
avevano una biblioteca di testi giuridici; questo confronto li portò a volersi organizzare nel
mettere per iscritto i loro testi.

La Lex Salica
La legge salica è la prima testimonianza scritta di diritto presso le popolazioni germaniche; i
Romani invece avevano una lunga tradizione di testi scritti in latino che descrivevano la loro
consuetudine giuridica (poi ulteriormente in epoca tardo antica hanno fatto una
rielaborazione.
Quando i Franchi Salii decisero di mettere per iscritto le loro leggi non erano in grado di farlo
perché non avevano la terminologia che gli consentiva di farlo in volgare; d’altra parte, il loro
modello rispecchiava la tradizione latina; quindi la lingua che scelsero da mettere per iscritto
nei loro testi fu proprio il latino.
La Legge Salica viene collocata tra il 507 e il 511, all’inizio del VI sec., quando i Franchi
erano ancora divisi in due gruppi: Franchi Salii e Franchi Ripuari e oltre ad essere la legge
più antica, la legge salica è importante anche perché è stata usata come modello per altre
collezioni giuridiche di altri popoli.
Vi è un manoscritto della Legge Salica che comprendeva anche delle glosse in volgare, le
“Glosse Malbergiche”: le glosse erano delle spiegazioni aggiunte ad un testo a margine
(glosse marginali), interlineari (sopra la parola corrispondente) o quando questi testi
venivano copiati il copista non scriveva più su due righe, ma andava a prendere la
spiegazione corrispondente e la inseriva dopo la parola che spiegava (glosse contestuali).
Le Glosse Malbergiche sono derivate dall’espressione “in mallobergo”, che è un hapax
legomenon, quindi è una parola che, all’interno del corpus di una lingua, compare un’unica
volta.
Visto che l’espressione veniva usata dopo il termine da spiegare e prima della sua
traduzione, è stata interpretata come qualcosa che fa riferimento a un’indicazione linguistica,
come dire “in latino così, in mallobergo cosà”, quindi probabilmente faceva riferimento a una
lingua (sarebbe qualcosa come “theudisca lingua”).
“In mallobergo” quindi si riferiva al volgare e non sembrava avere alcun elemento di
nazionalità, per cui è stato proposto come significato quello che si riferiva ad una lingua
specifica/specialistica come la lingua del diritto.
Sostanzialmente le Glosse Malbergiche traducevano alcuni concetti giuridici dal latino ad un
dialetto dell’alto tedesco antico, in particolare il francone orientale.
Il periodo dall’inizio del VI sec. (quando sono stati messi per iscritti questi testi in latino)
all’inizio del IX sec. (quando abbiamo questo frammento di traduzione), testimonia che era
quindi un testo di uso che importante perché diceva molto della consuetudine giuridica delle
popolazioni germaniche.
Ha influenzato altre raccolte di leggi, tra cui la Lex Alamannorum e la Lex Baiuaiorum che
sono raccolte di leggi che sono state compilate in epoca successiva, databili alla prima metà
dell’VIII secolo, ha influenzato anche la Lex Ripuaria, databile nel VII sec., che era la legge
dei Franchi Ripuari.
Nel medioevo vigeva il principio della personalità o particolarità del diritto; quindi, per essere
giudicato contava dove una persona era nata, a quale popolazione o etnia apparteneva e
non dove si trovava (ci sono raccolte di leggi che hanno in latino la parola “lex” e poi il
genitivo del nome della popolazione).
Nel caso della “Ewa Chamauorum” (IX Sec.) le leggi dei Camavi, che è una popolazione
germanica irrilevante, ma in questo caso compare l’elemento “Ewa”, che non è “lex”: questo
termine “Ewa” attestava l’uso giuridico di un termine di origine germanica (hanno messo nel
titolo una parola di origine germanica).
Questo ricorda in tedesco moderno le parole “Ewig” (eterno) ed “Ehe” (matrimonio duraturo);
infatti “ewa” originariamente indicava il “tempo” o l’“eternità”; era una parola di origine
indoeuropea ed era confrontabile con la parola latina “aevum”.
Da questo significato originario ha assunto una connotazione diversa: ci sono delle cose
come il tempo e l’eternità che sono destinate a durare e queste sono le “consuetudini”, i
“costumi”, e quindi il diritto.
I Franchi, quando annettevano il territorio dei Sassoni al loro regno e lo trasformavano in un
ducato all’interno del regno franco, gli davano delle leggi: esistono 3 testi giuridici
riconducibili a questa situazione, infatti sono leggi dei Sassoni, collegate alla loro vicenda coi
Franchi:
1) “Capitulatio de partibus Saxoniae”, del 782: era il documento che conteneva le
condizioni di pace dopo la sconfitta sul campo ad opera di Carlo Magno per arrivare a una
tregua (era una capitolazione dei Sassoni nei confronti dei Franchi).
2) “Capitulare Saxonicum”, del 797: erano nuovamente condizioni di guerra, un
aggiustamento alle condizioni di pace imposte dai Franchi.
3) “Lex Saxonum”, dell’802: era un testo che, almeno nel titolo, richiamava una situazione
di normalità, quindi anche i Sassoni avevano una loro legge col loro nome, essendo
importante la provenienza delle persone.

Leggi in Inghilterra anglosassone


La particolarità dell’Inghilterra anglosassone era quella di avere fin da subito leggi scritte in
volgare (antico inglese); la parola chiave nell’antico inglese riferita alle leggi era la parola
“dom”, una parola di origine germanica attestata ovunque, e che aveva portato nell’inglese
moderno a “doom” (giudizio, sentenza), ma anche al suffisso “-dom”, che è quello che
troviamo in “kingdom”.
Dall’Inghilterra anglosassone sono giunti due grossi gruppi di leggi: “Le Leggi del Kent” e
“Le Leggi del Wessex” e a loro volta queste leggi sono divise in testi; quindi, c’erano tre
testi giuridici provenienti dal Kent e due testi giuridici provenienti dal Wessex, di momenti
successivi e legati a sovrani diversi.
Le leggi del Kent si dividevano in:
1) “Le Leggi di Æþelberht” -> Æþelberht è stato re del Kent e aveva promulgato
queste leggi nei primissimi anni del VII sec.; sono 90 sentenze, 90 “domas” che
riguardavano soprattutto il diritto penale e l’aspetto ereditario-parentale.
In questo testo il sistema giuridico descritto era quello di una società organizzata in
classi sociali che erano delle caste chiuse.
Sono testi interessanti perché l’Inghilterra aveva il primato di mantenere l’elemento
germanico rispetto a quello che faceva il continente.
2) “Il codice di Hloþhere e Eadric”, risalente alla fine del VII sec., sono 16 decreti
riguardanti il diritto penale e la struttura del processo penale.
3) “Le Leggi di Wihtred”, databili forse al 695, alla fine del VII sec., avevano una
struttura più articolata e comprendevano aspetti di tipo ereditario.
Nel Wessex c’erano due gruppi di leggi:
1) “Le Leggi di Ine” ->Ine ha regnato tra il 688 e il 725 e si pensava che queste leggi
fossero state promulgate da lui nei primissimi anni del suo regno; contenevano
disposizioni che erano chiaramente mirate a dare una posizione di privilegio e
prestigio alla Chiesa nel regno del Wessex.
Era ricorrente il tema della Chiesa e di cosa bisognava darle; veniva inoltre
specificato quali fossero i doveri del cittadino/cristiano e le richieste che una
comunità poteva fare alla Chiesa.
C’erano poi leggi mirate a proteggere la vita e le proprietà dei nativi e privilegiarle
rispetto agli stranieri (questi sono elementi più arcaici, che vengono da un’epoca più
antica, precedente alla cristianizzazione).
Alla fine del IX sec, re Alfredo codificò le sue leggi e reintegrò le leggi di Ine nel suo
nuovo corpus.
2) “Le Leggi di Alfredo” -> queste leggi completavano la legislazione precedente data
da Ine e nel caso delle leggi di Alfredo c’era anche un ampliamento del territorio
sottoposto a queste leggi, che si estendevano anche al Kent e alla Mercia.
Le leggi nuove di Alfredo erano permeate da ideali cristiani, perdendo le
caratteristiche tipiche germaniche, erano diventate le leggi di un regno cristiano.
Un altro ambito in cui vediamo che la tradizione anglosassone è pronta ad usare il
volgare è l’ambiente storiografico.

Leggi dei Longobardi


L’Editto di Rotari del 643, famoso per aver vietato la faida, cioè l’antica consuetudine
germanica della vendetta di sangue, l’aveva sostituita con un compenso in denaro, il
guidrigildo, parola che derivava dalla forma “*wergeld” (geld = somma/denaro e wer =
radice che vuol dire uomo, quindi un compenso per la vita dell’uomo).
C’erano questi cataloghi in cui vi era scritto quale somma doveva essere pagata in base alla
condizione sociale, età, sesso nel caso di uccisione o ferimento di una persona.
L’Editto di Rotari era considerato un testo fedele alla tradizione giuridica germanica perché
risultava quasi totalmente esente da influenze romane o cristiane: è infatti importante come
fonte linguistica perché conteneva parole che erano state inserite in longobardo nel testo,
perché la tradizione latina non aveva un termine corrispondente.

Testi giuridici dei Germani orientali


Per i Burgundi era importante la Lex Gundobada (che prendeva il nome da un re) che era
stata redatta verso la fine del V sec e la Lex Romana Burgundiorum.
Poteva capitare che all’interno del regno dei Burgundi ci fossero persone di provenienza
burgunda (Lex Gundobada) ma che ci fossero dei Romani che allora venivano trattati in
modo diverso perché erano di provenienza romana; venne quindi fatta questa doppia
legislazione per evitare di mescolare troppe norme provenienti dal diritto romando con
norme provenienti dalla tradizione germanica.

Testi giuridici dei Visigoti


Per i Visigoti, re Alarico II aveva promulgato la Lex Romana Visigotorum (una legge
romana dei Visigoti), che regolava esclusivamente i rapporti giuridici dei romani nel suo
territorio, mentre i germani continuavano ad esercitare il loro diritto già codificato in altra
forma.
I Visigoti avevano un regno in Spagna abbastanza duraturo che verrà distrutto solo nel 711
dagli arabi, e la presenza visigota in Spagna aveva lasciato delle tracce, una di queste
venne ritrovata in alcune raccolte di leggi, proprie di singole regioni della Penisola Iberica in
lingua spagnola, databili tra XI e XII sec., i “Fueros”.
Fueros è la fusione di un’espressione latina, “forum iudiciorum” (foro dei giudizi): erano
raccolte territoriali in lingua spagnola di epoca medievale; quindi, ben oltre la fine della
dominazione visigota in Spagna; evidentemente la popolazione dei Visigoti e le loro
tradizioni avevano lasciato delle tracce nella Spagna medievale.
Nella tradizione germanica quando si andava da qualcuno c’era la consuetudine di non
portare le armi, o di prestare un giuramento in cui si giurava di non essere interessati a
combattere contro le persone dove si andava e questa era un’abitudine regolamentata
anche giuridicamente da parte dei germani che noi in epoca successiva venne ritrovata nel
“Fuero General de Navarra”.
Il “Fuero de Escalona” conteneva un riferimento evidente alla faida, il diritto e dovere di
vendicare col sangue un’offesa alla propria famiglia.
Un altro caso era il “Fuero de Leon”, dove c’era un riferimento all’ordalia, il giudizio divino, a
questa situazione per cui quando c’erano incertezze su come fossero andate le cose di
fronte ad un tribunale, veniva fatto o un duello giudiziario oppure un accusato veniva
sottoposto ad una prova (da camminare sui carboni ardenti a pescare un oggetto in un
pentolone di acqua bollente) e se questo riusciva a superare la prova si riteneva che Dio
fosse dalla sua parte e lui era ritenuto innocente.
Nell’”Edda Poetica” vi erano la sezione degli dei e la sezione degli eroi: nella sezione eroica
vi erano due cicli, uno tipicamente scandinavo e uno legato alla tradizione nibelungica; in
uno dei carmi della tradizione nibelungica vi era questo esempio di prova per accertare la
colpevolezza di qualcuno.
In particolare, la situazione era quella di Gudrun che era la versione nordica di Crimilde, la
vedova di Sigfrido, che si trovava alla corte del secondo marito Attila, addolorata per la
perdita del marito.
Alla corte di Attila si trovava anche Teodorico, che nella leggenda era stato presentato come
colui che era stato scacciato dal suo regno in esilio.
In questo carme si raccontava di una serva che aveva visto Teodorico e Gudrun sotto
un’unica coperta mentre loro piangevano, lei per la perdita del marito e lui per la perdita del
proprio regno; questa serva lo aveva ad Attila e Attila aveva sottoposto Teodorico a
un’ordalia, un giudizio divino.
Da questo giudizio la serva ne uscì perdente perché non superò la prova e quindi si era
accertato che era una sua male interpretazione e non c’era stato nessun tradimento, si
stavano solo consolando a vicenda.

Testi giuridici in Scandinavia


In Scandinavia per avere testi scritti bisognava aspettare la conversione al cristianesimo;
quindi, necessariamente anche la produzione di testi giuridici in area nordica fu più tarda
rispetto a quello che avvenne in altre zone.
La prima legge venne scritta in Islanda però non è giunta, ne parla uno storico islandese,
Ari, vissuto a cavallo tra l’XI e il XII sec; quindi, se lui ne parlava come di una cosa che
conosceva, si può pensare che nell’XI sec. sia stata messa per iscritto questa legge che
riguardava le decime imposte dagli ecclesiastici.
Nel caso dell’Islanda giunse in epoca più tarda un testo giuridico, il “Grágás” (oca grigiae ed
era una raccolta di leggi e consuetudini dell’Islanda, giunta in due raccolte diverse, messe
per iscritto tra il 1240 e il 1260.
In Svezia la prima legge, “Äldre Västgötalag” scritta in lingua svedese, era la legge della
zona sudoccidentale della Svezia, messa per iscritto attorno alla metà del XIII secolo; la
redazione successiva invece, si chiamava “Üngre Västgötalag”.
Il principio con cui vennero messe per iscritto queste leggi era quello di essere nate
spontaneamente all’interno delle varie circoscrizioni giudiziarie in cui erano divisi questi
paesi e vennero messe per iscritto così, senza avere un sigillo reale; successivamente ci
sarà una zona (di solito quella con la capitale) che avrà un ruolo di preminenza e saranno
leggi che verranno approvate anche dai sovrani.
Nel caso della Svezia c’era una legge dei Geati occidentali e una dei Geati orientali, la
“Östgotalag” e la “Legge Upplandslag”, che divenne poi la legge ufficiale perché nella
regione dello Uppland si trovava la capitale.
L’Isola di Gotland aveva una sua legge perché aveva una sua circoscrizione giudiziaria
indipendente, si parla della “Gutalag”.
In Danimarca c’erano le “Leggi della Scania”, la “Skaanske Lov”; un caso interessante è un
manoscritto delle Leggi della Scania, scritto in rune, che si chiama “Codex runicus”; il
copista che aveva realizzato questo manoscritto aveva copiato interamente le Leggi della
Scania in alfabeto runico, probabilmente si trattava di un gioco intellettuale.
La Norvegia aveva quattro province con assemblee giuridiche indipendenti che arrivarono
ad avere ciascuna una propria raccolta di leggi: erano testi molto simili gli uni agli altri, erano
divisi in capitoli tematici, c’era un capitolo dedicato alla chiesa, uno al diritto ereditario, uno
sull’omicidio, uno sul furto ecc.

09/12/2022

Consonantismo
Il passaggio che caratterizza il consonantismo dall’indoeuropeo al germanico è uno degli
elementi più caratteristici delle lingue germaniche; vennero prese in considerazione non tutte
le consonanti, ma le occlusive indoeuropee; esistono quattro gruppi a seconda del luogo di
articolazione:
Luogo: labiali, velari, dentali, labiodentali
Modo di articolazione:
Sorde: p, k, t, kw.
Mutamenti: p → f; k → χ; t → þ; kw → χw Grimm 1
Sonore: b, g, d, gw
Mutamenti: b → p; g → k; d → t; gw → kw Grimm 3
Sonore aspirate: bh, gh, dh, ghw
Mutamenti: b̷h, g̷h, d̷h, g̷hw Grimm 2

Sulla base della fonetica articolatoria, la labiale sorda /p/, la labiale sonora /b/, la sonora
aspirata /bh/ rappresentano il sistema delle occlusive in indoeuropeo.
A partire da questo sistema delle occlusive indoeuropee in germanico intervennero
cambiamenti che portarono a questa evoluzione del consonantismo caratteristico delle
lingue germaniche.
Nel passaggio dall’indoeuropeo al germanico le occlusive indoeuropee cambiano
radicalmente il modo di articolazione: le dentali rimangono tali, ma cambia il modo di
articolazione, questa è la legge di Grimm.
Grimm è stato uno dei primi ad avere descritto i cambiamenti che interessano il
cambiamento del consonantismo dall’indoeuropeo al germanico.
La legge di Grimm individua tre mutamenti diversi, che fanno parte della stessa legge:
1. le occlusive sorde indoeuropee in germanico passano a spiranti (fricative) sorde.
2. le sonore aspirate diventano spiranti (fricative) sonore.
3. da occlusive sonore indoeuropee a occlusive sorde germaniche: si parla di rotazione
consonantica perché c’è uno spostamento; quelle che in indoeuropeo erano sorde non
sono più occlusive, ma fricative sorde; quelle che in indoeuropeo erano sonore sono
diventate occlusive sorde.
Ci sono però alcune eccezioni, ad esempio per quanto riguarda alcuni nessi consonantici
dove c’è solo un elemento che subisce la mutazione; la grossa correzione alla Legge di
Grimm è quella che viene fatta da Karl Verner, ed è quella che si chiama legge di Verner.

Verner si rese conto che, in alcuni casi, per quanto riguardava il primo passaggio di Grimm;
quindi, occlusiva sorda indoeuropea che passava a spirante sorda in germanico, c’erano dei
casi dove, dove per Grimm ci sarebbe dovuta essere una spirante sorda ma invece c’era
una spirante sonora. i chiede come mai sia avvenuto questo.
Indoeuropeo *ph₂tḗr → Germanico *fadēr
L’occlusiva è in contesto intervocalico e in indoeuropeo l’accento seguiva l’occlusiva.
La legge di Verner dice che le occlusive sorde indoeuropee e la spirante sorda /s/, in
germanico passano a spiranti sonore e alla sibilante sonora quando si trovano in contesto
sonoro (tra vocali); questo quando l’accento originario non cadeva sulla sillaba
immediatamente precedente.
È quindi possibile dire che la legge di Grimm vale sempre per il secondo e il terzo
mutamento, invece per il primo a seconda del contesto; in contesto sonoro, e se c’è un
accento che non è sulla sillaba immediatamente precedente, è presente il caso di Verner.
L’unione delle due cose dà origine alla prima mutazione consonantica, l’evoluzione che
consente di passare dall’indoeuropeo al germanico a livello di consonantismo.
In Grimm 3 non si hanno più delle occlusive sonore, ma occlusive sorde e in Grimm 2 non
si hanno più le sonore aspirate ma delle spiranti sonore.
12/12/2022
Ci sono teorie che ricostruiscono un sistema diverso per l’indoeuropeo, con teorie diverse
anche sul germanico: il sistema delle occlusive, che sono quelle che in germanico
cambiano, è costruito da quattro categorie di occlusive in base al luogo di articolazione
(labiali, dentali, velari e labiovelari) e a loro volta si distinguono per il tratto di sonorità e per
la presenza o meno dell’aspirazione (sorde, sonore e sonore aspirate).

Legge di Grimm
A partire da questo Grimm postula la sua legge: secondo lui, nel passaggio al germanico, le
occlusive indoeuropee cambiano il loro modo di articolazione anche in modo significativo,
e mantengono inalterato il loro luogo di articolazione (il modo di articolazione delle sorde
sonore o sonore aspirate cambia, il fatto che siano labiali, dentali, velari o labiovelari no).
La Legge di Grimm è articolata in tre fasi, tre mutamenti, che riguardano i tre modi di
articolazione dell’indoeuropeo:
 le occlusive sorde indoeuropee in germanico diventano spiranti o fricative sorde;
 il terzo gruppo, quello delle sonore aspirate, in germanico passa a spiranti sonore;
 le occlusive sonore in germanico passano a occlusive sorde.
Si parla di “rotazione” perché quelle che rimangono occlusive si spostano a una cosa che
c’era prima.

Legge di Verner
Poco dopo, Verner si accorse che non era sempre tutto come aveva descritto Grimm: il
primo mutamento, che riguardava le occlusive sorde indoeuropee, non sempre dava l’esito
di spirante sorda come per Grimm, ma in qualche caso aveva una spirante sonora.
La versione “aggiustata” della Legge di Verner prevedeva che le occlusive sorde
indoeuropee in germanico passavano a spiranti sonore.
Questa eccezione si verificava quando si trovavano in contesto sonoro, intervocalico, e
quando l’accento originario non era sulla sillaba immediatamente precedente.
La Legge di Grimm e la “correzione” di Verner costituiscono la prima mutazione
consonantica.

Morfologia
La morfologia dei verbi si è ridotta nel passaggio alle lingue moderne, ma rimangono ancora
delle tracce: i verbi irregolari e regolari si basano su una distinzione dal sistema verbale
germanico; il tedesco, che mantiene i casi, non flette i sostantivi ma solo alcuni casi di
sostantivi deboli.
Il sistema verbale germanico è un sistema per cui, in una forma coniugata in germanico,
siamo in grado di distinguere cinque categorie:
 la persona -> può essere prima, seconda o terza persona, come nei verbi attuali;
 il numero -> ci sono singolare e plurale nelle lingue germaniche settentrionali e
occidentali, mentre nel gotico rimangono delle forme di duale, una forma particolare
che si rivolge a due persone.
Esistono forme pronominali che vogliono dire “noi due” come wit, che si oppone a ik,
“io”, e weis, “noi, più di due”; a livello di pronomi, ad esempio nelle lingue
scandinave, si mantiene la forma duale e passa a indicare il plurale.
 nelle lingue germaniche abbiamo tre modi finiti del verbo -> indicativo, modo di
realtà; ottativo che deriva dall’indoeuropeo ed esprimeva un desiderio; nel
germanico ha anche funzione di congiuntivo; imperativo.
 il tempo -> all’inizio le lingue germaniche avevano solo due tempi: presente e
preterito, un passato remoto che è la forma in inglese del simple past, il passato
monoverbo, senza ausiliari.
Mancano i tempi che si usavano per definire le gradazioni del passato: perfetto e
piuccheperfetto dove il perfetto indica qualcosa del passato ma che ha influenza sul
presente e il piuccheperfetto esprime anteriorità al preterito.
Manca completamente la categoria del futuro.

Tempi sintetici e tempi perifrastici


Quando si parla dei tempi verbali si parla di tempi sintetici, con una forma che grazie alle
desinenze è solo quella; e di tempi perifrastici, che ricorrono a un ausiliare (tempi
composti).
Per quanto riguarda il futuro, l’italiano ha una forma sintetica perché ha desinenze che
indicano la forma del futuro ma in realtà il futuro dell’italiano e del francese sono forme
perifrastiche, perché derivano dal verbo avere.
Nell’epoca delle lingue germaniche antiche si cominciò a formare un sistema verbale più
complicato: con l’aggiunta dell’uso di ausiliari, la formazione del perfetto, del
piuccheperfetto e del futuro e per quanto riguarda quest’ultimo, in inglese antico, in
tedesco antico e in antico nordico venivano utilizzati degli ausiliari che sono i cosiddetti verbi
“preterito-presenti”.
Sono verbi che, nella loro evoluzione storica, hanno avuto un percorso particolare: erano
verbi che esistevano con un presente e un preterito e ad un certo punto il loro preterito si è
staccato ed è sempre stato usato maggiormente come presente.
In inglese i verbi modali sono quelli la cui flessione non prevede la “-s” alla terza persona e il
motivo storico risiede nel fatto che la “-s” è una marca del presente e quindi sono in realtà
preteriti (in inglese antico esistevano i verbi sculan, sceolan, magan, willan e queste forme
potevano essere usate per esprimere il futuro, aggiungendo l’infinito del verbo).
Sculan o sceolan danno l’idea di “dovere”, magan dà l’idea di “essere in grado, potere fare”
mentre willan dà l’idea di volontà.
In tedesco antico abbiamo sculan allo stesso modo, e wellen e l’uso del verbo diventare,
werdan, che oggi è la forma standard per esprimere il futuro mentre nelle lingue scandinave
c’è ancora oggi in svedese moderno la forma ska(ll) + infinito, che ha connotazione di
“dovere”.
Per quanto riguarda perfetto e piuccheperfetto esiste, fin dalle lingue antiche, una
concorrenza dei verbi ausiliari essere e avere: per il perfetto essere o avere al presente,
per il piuccheperfetto essere o avere al preterito, combinati con il participio preterito del
verbo principale.

Diatesi
L’ultima caratteristica che distingue una forma flessa verbale è la diatesi, il fatto di essere
attivo o passivo: rispetto all’indoeuropeo, le lingue germaniche hanno solo la diatesi attiva.
La tendenza delle singole lingue germaniche è di formare il passivo attraverso forme
perifrastiche o analitiche, ad esempio utilizzando un ausiliare, in antico inglese l’ausiliare è
beon, “essere”, oppure il verbo weorðan, diventare e a questo si aggiunge il participio
preterito del verbo principale.
Nella fase successiva, in inglese medio, la struttura col verbo “diventare” diventa sempre più
rara e, da un certo punto sparisce e infine, nell’inglese moderno, l’unico ausiliare per il
passivo rimane il verbo essere.
In alto tedesco antico si utilizza il verbo essere, wesan/sin, un po’ complicato nelle lingue
germaniche perché costruito su tre radici diverse e il verbo werdan, “diventare”, abbinato al
participio preterito del verbo principale.
Nelle lingue scandinave, in svedese, c’è una forma di passivo che è quella che corrisponde
al werden + participio passato tedesco, dovuta all’influsso del tedesco: questa forma è bli,
“diventare” + participio passato.
Il medio-passivo in “-s” o “-st”: in svedese, danese e norvegese abbiamo la forma -s, in
islandese e faroese abbiamo la forma -st; in realtà questa forma ha avuto luogo nella fase
antica delle lingue scandinave; quindi, l’antico nordico e si pensa sia nata dalla
cliticizzazione (un pronome riflessivo sik, che compariva spesso posposto rispetto al verbo,
a un certo punto si è attaccato e trasformato in un senso verso -s e nell’altro verso -st).
In svedese c’è il verbo “sperare”, che non dovrebbe essere passivo, che ha la forma hoppas
ed è quindi deponente ma al di là di qualche caso, normalmente nelle lingue scandinave
l’uso del passivo sintetico è molto ridotto.
Al di là di questo caso particolare delle lingue scandinave, la forma del passivo che si forma
dalle lingue antiche è una forma perifrastica con ausiliari a seconda dei casi.

Verbi forti e verbi deboli


Per quanto riguarda la formazione dei tempi del preterito, esistono due coniugazioni di verbi,
che sono i verbi forti e i verbi deboli e che si distinguono perché utilizzano due sistemi
diversi per formare il passato ma anche perché hanno origine diversa.
I verbi forti sono detti “primari”; sono verbi che non derivano da altre parole mentre i verbi
deboli sono “secondari”, derivati da altre parole e a seconda di quale parola derivano si
distinguono in due categorie: deverbativi e denominativi.
I deverbativi derivano da un altro verbo, un verbo forte mentre i denominativi derivano dai
nomi, inteso non solo come sostantivo, ma come parte nominale della frase, possono
derivare anche da aggettivi.
Nei verbi forti troviamo verbi che esprimono le azioni più comuni della vita umana: mangiare,
bere, dormire, camminare; storicamente non sono irregolari, hanno una loro regolarità,
diversa da quella dei verbi deboli, che nel tempo sono diventati sempre più numerosi.
La categoria dei verbi forti non è più produttiva, se nasce un nuovo verbo non diventa forte,
ma debole perché quella dei verbi forti è una classe chiusa e nel corso del tempo ci sono
stati molti passaggi di categoria.
I verbi forti esprimono il loro preterito attraverso alternanza vocalica, ovvero l’“apofonia” e
aggiungono un suffisso nasale: basti pensare a “sing”, verbo “cantare”, e “song”, sostantivo
“canzone” mentre i verbi deboli formano il preterito aggiungendo un suffisso dentale.

16/12/2022

Critica testuale
Manoscritto
La parte iniziale del testo si occupa del testo manoscritto, delle differenze fisiche rispetto a
come concepiamo noi un libro oggi: il materiale scrittorio, la pergamena e la sua lavorazione.
Normalmente vi è il numero del foglio e l’indicazione “r” o “v”, (recto-verso) e se è un
manoscritto di pergamena si riesce a vedere qual è il lato dove è stato tolto il pelo della pelle
dell’animale.
Spesso, nelle introduzioni di alcune edizioni c’è indicata l’epoca, quando e dove è stato
scritto, come è stato conservato e c’è l'indicazione dei testi conservati.
Nella maggior parte dei casi sono manoscritti più ampi che o sono miscellanee oppure nei
primissimi casi spesso sono piccoli testi in volgare in manoscritti di area latina.
Oltre a questa descrizione contenutistica del manoscritto, spesso c’è anche una descrizione
fisica, si vanno a contare quanti sono i fascicoli e come sono strutturati per capire se un
manoscritto è completo o manca qualcosa.
Può capitare che si trascriva da un manoscritto e, cambiando pagina, c’è qualcosa che non
torna, può essere un errore, ma può essere dovuto anche alla mancanza di un foglio, se
fisicamente dal fascicolo non manca niente si può pensare che sia una mancanza
precedente: il copista avrà avuto un modello che aveva una lacuna.
La pergamena ha originariamente la dimensione dell’animale che l’ha prodotta: quella
bovina è più grande, quella ovina più piccola e può essere piegata a metà, in due, in quel
caso sono manoscritti in formato folio; la pergamena può essere piegata in quattro, allora
si parla di manoscritto in quarto, piegato un’ulteriore volta si ha un ottavo e infine il più
piccolo è il dodicesimo.
I formati più comuni nella tradizione germanica sono quarto e ottavo; quelli di
rappresentanza sono molto grandi e usati in contesti ufficiali.
Alcuni manoscritti conservati mantengono la loro struttura originale, con i fascicoli cuciti, e
hanno la copertina di legno; alcune hanno ulteriormente una copertura in pelle, ma ci sono
anche manoscritti più semplici, che hanno due tavolette a coprirli.
Per quanto riguarda il testo sul manoscritto si trova all’inizio soprattutto una scrittura su tutto
lo specchio della pagina e a partire dal XIII sec. in poi, per l’area tedesca, ma anche per le
altre aree, ci fu l’abitudine di dividere i manoscritti in colonne.
Caratteristica dei manoscritti è che il testo è scritto spesso in modo continuo, anche se è un
testo poetico, e spesso non c’è quasi punteggiatura o ci sono solo alcune indicazioni, non ci
sono maiuscole se non in alcune posizioni, vengono messe all’inizio di un capitolo o di una
sezione più importante.
Il problema dell’edizione è quello della traduzione: rimanere fedeli al testo o produrre
qualcosa di bello e leggibile nel testo di arrivo?
Quella della punteggiatura è una delle scelte più difficili che fa l’editore perché un punto
messo in una posizione o in un'altra cambia il senso di una frase.

Edizione
Spesso non si conosceva l’autore, non esisteva il concetto della proprietà intellettuale e non
era un problema attingere ad altre fonti senza citarle perché ciò che veniva scritto era il
prodotto di una lettura di testi altrui.
Il testo che giungeva in forma scritta era proprietà comune, lo si poteva copiare o si poteva
intervenire e questo ha portato a una situazione per i testi medievali e per la tradizione
manoscritta per cui, nel caso in cui un testo sia in più copie, quasi mai si hanno copie uguali,
ma molte piccole varianti.
Da qui nacque l’importanza dell’edizione: nel tempo si sono sviluppate tecniche e metodi,
anche se non esiste l’edizione perfetta e di uno stesso testo idealmente dovrebbero esserci
edizioni diverse a seconda di chi lo usa.
Non si fanno edizioni multiple in base ai destinatari, si trova un compromesso: si ha da una
parte la massima fedeltà alla fonte manoscritta; dall’altra la leggibilità, il cui massimo è il
facsimile, ovvero una riproduzione fotografica (oggi fare un facsimile è molto costoso, a
causa del materiale e della riproduzione ed è venuto meno perché si possono avere con la
digitalizzazione).
La digitalizzazione dipende anche dalle condizioni del manoscritto perché il facsimile crea
problemi di comprensione, per esempio la grafia: leggere la grafia di un manoscritto
medievale richiede pratica.
L’edizione diplomatica si chiama così perché prende il nome dalla diplomatica, la scienza
che si occupa dei documenti: lavora su un manoscritto solo o perché è l’unico manoscritto, o
perché sia interessante per qualche motivo lavorarci sopra.
Per esempio, nel caso di Heliand e del commento al Vangelo di Matteo di Rabano Mauro,
magari andare a vedere il manoscritto che si trovava a Fulda in quel periodo poteva essere
utile per vedere se c’erano caratteristiche utili per Heliand.
Nell’edizione diplomatica si toglie la difficoltà di leggere la grafia, ma non si lavora sul
confronto dell’edizione critica: se ci sono parole illeggibili o cancellate si salta e si prosegue.
Anche all’interno dell’edizione diplomatica questa divisione non è così netta, esistono
edizioni "semi diplomatiche", con qualche concessione e ci sono anche edizioni che si
definiscono diplomatiche che hanno fatto qualche scelta sulla punteggiatura o che hanno
sciolto qualche abbreviazione.
Le abbreviazioni sono un problema nei testi medievali perché gli amanuensi, scrivendo a
mano, tendevano ad abbreviare e nel Medioevo c’era anche il problema del costo della
pergamena: si cercava quindi di occupare meno spazio possibile.
Esiste un dizionario delle abbreviature latine, un’edizione degli anni ‘20 che è ancora in
uso oggi dove sono stati riprodotti i pezzi di manoscritto con ogni abbreviatura e le possibilità
di trascrizione.
Quelle che invece si trovano nei testi volgari a volte partono da quelle abbreviature e poi
cambiano significato: un caso famoso è un simbolo che somiglia a un “7”, che nei testi latini
compare come abbreviazione per “et” e si trova soprattutto in area anglosassone con il
significato di “and”; è un caso in cui il significato di “congiunzione” è stato mantenuto ma
cambia la versione.
I copisti non sempre sono coerenti e per questo una buona edizione, in questi casi,
dovrebbe sempre far vedere gli interventi dell’editore; quello che non si fa in un’edizione
diplomatica (e nemmeno critica) è quello di confrontarsi con l’ortografia perché nello stesso
testo la stessa parola può essere scritta in modi diversi.
Oltre all’edizione diplomatica c’è l’edizione critica, il caso “standard” per tutti i testi: se si
hanno sette manoscritti per un testo, vengono confrontati e ne viene scelto uno da proporre
al pubblico.
Lachmann viene dall’ambito della sua lingua, sulla poesia in tedesco antico e ha questa
concezione molto ideale dell’opera letteraria, come una cosa che nasce perfetta, prodotto di
un autore particolarmente ispirato, del genio romantico; l’autore creava, secondo lui, una
cosa unica in un momento di particolare ispirazione.
In tutti questi passaggi di trascrizione l’opera andava a corrompersi, perché i copisti non
erano altrettanto ispirati e geniali: la sua idea è che più una lezione (porzione di testo) per lui
è difficile (non solo come difficoltà di comprensione) più questa è parte integrante
dell’originale, perché l’autore è geniale, invece quello che è più semplice e meno riuscito è
secondo lui il prodotto di un copista non molto bravo e che lo ha semplificato, peggiorandolo
(principio della lectio difficilior, “lezione più difficile”).
Lachmann voleva tornare il più possibile alla perfezione del testo originale, com’era nato,
cancellando la corruzione e i peggioramenti che ciascun copista aveva inserito: egli aveva
una posizione molto interventista nei testi da editare e questo è il punto che gli venne
criticato.
Oggi vengono tenute per buone le prime fasi del metodo Lachmann e il peso dato al lavoro
di confronto, che è essenziale mentre sull’ultima fase, su cosa mettere nel testo principale, è
stata cambiata idea.
Lachmann non ha mai scritto un libro in cui spiegava il suo metodo, ciò che si sa su di esso
è il prodotto dell’analisi delle sue dizioni e degli scritti che le hanno accompagnate.
Se si guarda la versione ottocentesca rispetto a quella contemporanea si ha la sensazione
di guardare due testi totalmente diversi: questo perché si uniforma tutto, si modificano le
rime, perché Lachmann credeva nella perfezione del testo originale.
Metodo Lachmann
Il metodo Lachmann è basato sul confronto linguistico e sulla ricostruzione.
La prima fase del metodo Lachmann è quella che lui chiama recensio, la ricerca
sistematica di tutti i manoscritti che contengono il testo interessato; oltre a questo si vede la
bibliografia: chi se n’è occupato ecc.
Ci sono situazioni molto confuse per quanto riguarda l’est della Germania e l’est Europa: con
la Seconda guerra mondiale alcuni dei manoscritti che si trovavano in Germania (soprattutto
a est) sono stati portati in Polonia o in Russia e lì i cataloghi non sono aggiornati, o sono in
una lingua non comprensibile da chi è interessato.
Per quanto riguarda la tipologia, la banca dati è affidabile per i testi poetici e del primo
medioevo: per esempio, per i glossari tardo medievali c’è una totale inadeguatezza di questo
strumento, perché cita pochissimi manoscritti nonostante ce ne siano molti.
La recensio consiste quindi nel cercare i testimoni: all’epoca era più difficile trovarli; quindi,
ci sono edizioni dell’800 con meno testimoni utilizzati rispetto a quelli attuali; una volta che si
hanno tutti i manoscritti (o i facsimili) comincia questo lavoro di confronto, che in un primo
momento ci porta a elaborare lo stemma: capire come si relazionano questi manoscritti tra
loro ed è una rappresentazione grafica simile a un albero genealogico (in cima c’è l’originale,
quando non lo si ha in cima si mette l’archetipo, la forma più vicina possibile all’originale).
“Archetipo” significa letteralmente “forma originale”, ma non è il testo originale; nello
stemma si possono avere più stadi che sono asteriscati, che corrispondono a qualcosa
andato perduto.
Spesso, sulla base dei manoscritti che ci sono giunti, si può dire che qualcosa appartiene a
uno stesso ramo, ma a un modello che non si ha: si fa quindi un asterisco e si ipotizza che ci
fosse un modello comune, l’antigrafo, l’esemplare da cui viene copiato.
Il ramo terminale delle varie tradizioni è un manoscritto esistente.
Per fare questo confronto si vanno a guardare gli errori: “errore” fa pensare a qualcosa di
sbagliato, e può esserlo; si ha il caso della “dittografia”, la doppia scrittura di qualcosa;
l’aplografia è l’errore nato dal saltare qualcosa che si fa normalmente quando c’è un testo
che riporta due parole uguali che hanno in mezzo del materiale.
Ci sono poi errori diversi, dovuti al fatto che il copista non abbia capito bene cosa c’era
scritto sull’antigrafo: non ha letto bene o non ha sciolto bene un’abbreviazione; può capitare
che una parola cambi con un sinonimo, che cambi l’ordine delle parole o che cambi una rima
(queste sono divergenze che ci dicono come il testo è stato copiato).
C’entra anche la datazione: se sono due manoscritti coevi difficilmente uno è la copia
dell’altro, è più probabile che siano due copie di un unico manoscritto, portato da un
monastero all’altro; se invece c’è una differenza cronologica probabilmente uno è stato
copiato dall’altro.
Il caso opposto è dove abbiamo una forma in un manoscritto che lo separa da tutti gli altri: è
un altro ramo della tradizione, e quindi è un errore disgiuntivo.
Non sempre lo stemma è possibile: ci sono casi come per alcune saghe norrene con molti
testimoni manoscritti e varianti diverse, lontane nel tempo tra loro, di cui è praticamente
impossibile produrre uno stemma.
A volte gli antigrafi erano due: il copista si comportava come l’editore e questo sballava
molto la situazione della fattibilità dello stemma; fatto questo si passa a un confronto molto
più puntuale, che si chiama “collatio” o “collazione” ovvero si divide il testo in singole frasi e
si fa il confronto sistematico di come compaiono nei manoscritti le singole parti di testo.
Normalmente l’editore sceglie cosa mettere nel testo principale, ma poi riporta da qualche
parte le varianti nei vari manoscritti e sulla base di questa collazione Lachmann componeva
la sua edizione: prendeva ciò che era migliore da tutti i manoscritti.
La fase della emendatio è quella in cui l’editore interviene in base al proprio giudizio e alla
propria idea: questa fase viene ritenuta troppo invasiva perché il rischio è che, prendendo il
meglio e non avendo certezze, si produca qualcosa di artificiale; per evitarlo, l’idea è di
privilegiare la storicità.
Tra tutti i manoscritti se ne sceglie uno, che dovrebbe avere due caratteristiche (che sono
anche in conflitto tra loro): deve essere il più antico e il più completo; spesso quello che è
antico è anche frammentario, e quello più completo è una copia più tarda.
Mediando queste due cose si trova il manoscritto che è quello che Schweikle chiama
"manoscritto guida”, che l’editore segue principalmente: si sceglie quindi il miglior
testimone.
Nel testo principale si cerca di rimanere fedeli a un manoscritto in particolare, se mancasse
qualcosa, si prenderebbe quella parte da un altro manoscritto e lo si indicherebbe.

Walberan (Laurin)
L’edizione di Walberan sul modello di Lachmann usa la versione sonora, mentre l’edizione
moderna usa la sorda, tipica del dialetto bavarese.
Ci sono parti che erano state separate e che sono state condensate nell’edizione nuova:
l’uso della maiuscola è più frequente nell’edizione nuova, mentre nell’edizione ottocentesca
le maiuscole si usavano solo per i nomi propri.
Questo manoscritto ha parole che hanno probabilmente un influsso veneto, essendo stato
prodotto in zona sudtirolese.

Verbi germanici
I verbi preterito-presenti sono originariamente verbi forti, che hanno avuto una strana
evoluzione semantica: in inglese e tedesco sono ancora visibili le diverse radici degli stessi
verbi essere.

Verbi forti
I verbi forti sono semanticamente primari, sono verbi che identificano azioni base della vita
umana, hanno la formazione del participio preterito sfruttando l’apofonia, l’alternanza della
vocale radicali, nel participio i verbi forti aggiungono anche un suffisso nasale e sono divisi
in sette classi.

Verbi deboli
Invece i verbi deboli sono secondari, perché sono derivati da altri verbi (verbi deverbativi) o
da forme nominali, aggettivi o sostantivi (verbi denominativi), formano il preterito con un
suffisso dentale, ancora visibile in tutte le lingue germaniche in qualche forma (l’unico caso
in cui è praticamente scomparso è il danese) e sono suddivisi in quattro classi che si
distinguono sulla base del suffisso all’infinito.
Si è notata la corrispondenza della presenza di un elemento dentale nel verbo “fare”, che in
indoeuropeo ha la forma *de o *do: si pensa che questo verbo “fare” utilizzato in forma
perifrastica abbia perso il suo valore semantico e che sia diventato prima un puro ausiliare,
poi una marca del preterito e che sia questa l’origine del prefisso dentale che troviamo per i
verbi deboli e da qui poi si sarebbe progressivamente indebolito fino a rimanere un suffisso
per i verbi deboli.

Classi dei verbi deboli

*-jan e *-on sono riconosciuti e attestati in tutte le lingue germaniche antiche -> l’elemento
palatale nel suffisso provocherà il cambiamento della vocale precedente e sarà alla base dei
cosiddetti verbi con rückumlaut (con suffisso dentale).
Questi verbi vengono normalmente definiti “misti” perché né forti né deboli anche se in realtà
sono i verbi deboli che hanno subito questo cambiamento.
*-en si trova soltanto in alto tedesco antico, in antico nordico e in forma residuale in antico
inglese.
*-nan compare invece solo in gotico e i verbi erano spesso derivati da un aggettivo, ed
esprimevano il risultato di “trasformarsi”.

Classi dei verbi forti


Esistono sette classi, di cui le prime cinque sono la naturale continuazione di alternanze che
esistevano in indoeuropeo mentre la sesta e la settima sono solo germaniche.
Le prime cinque alternavano tra la /e/ e la /o/ indoeuropee in determinati contesti: la /e/ non
crea problemi, mentre la /o/ se era una /o/ breve in indoeuropeo, in germanico diventava
una /a/ breve.
La sesta classe è solo germanica ed è basata su una nuova alternanza che si crea in
germanico tra la /a/ breve e la /o/ lunga.
Nei verbi forti normalmente abbiamo un paradigma formato da cinque forme: infinito e
presente, che a volte vengono considerate separatamente, preterito singolare, preterito
plurale, che hanno solitamente una vocale diversa e participio preterito.
Caratteristica della sesta classe, così come della settima, è quella di avere un preterito unico
dove la vocale è la stessa, sia per il preterito singolare che per il preterito plurale.
Invece, la settima classe in gotico è una classe di verbi che formavano il preterito attraverso
il raddoppiamento della sillaba radicale che, per formare il passato, si ritrova anche in
latino.
Nelle altre lingue invece nella settima classe vengono inseriti verbi che hanno delle
alternanze apofoniche diverse, che sono di origine non indoeuropea, ma sono nate in
germanico; nel caso della sesta, hanno un’unica forma tra il preterito singolare e il preterito
plurale.
Spesso nelle alternanze della settima classe troviamo anche la presenza della /e/ lunga,
l’alternanza tra /e/1 indoeuropea ed /e/2 di origine germanica, con i loro esiti nelle varie
lingue.

Prima classe

La prima classe era formata dall’alternanza indoeuropea /e/ e /o/, più la /i/.
In indoeuropeo il grado /ei/ all’infinito e al presente, il grado /oi/ al preterito singolare;
preterito plurale e participio preterito non avevano vocale, avevano il cosiddetto “grado
ridotto”, avevano una sola /i/, solo l’elemento che accompagnava /e/ e /o/.
In germanico l’indoeuropeo /ei/ dell’infinito rimane invariato, mentre il preterito singolare che
aveva /oi/ in indoeuropeo subisce la mutazione spontanea dei dittonghi e diventa /ai/ e la /i/
rimane uguale.
In gotico c’è la forma “beitan”, che suona in realtà come una /i/ lunga, in antico inglese
abbiamo la /i/ lunga; a eccezione del gotico, che ha questa forma del participio preterito che
finisce in “-ans”, gli altri tendono, nella fase antica, a mettere insieme all’elemento nasale in
fondo al participio preterito anche il prefisso “ge” o “ye” a seconda dei casi.
“bit” è diretto erede “biton”, in tedesco abbiamo “bissen” con la /i/ lunga e questo esito della
seconda mutazione consonantica, il dittongo germanico /ai/ non ha dato origine a una vocale
lunga in tedesco, ma a un dittongo che è /ei/.

19/12/2022

Seconda classe

La /u/, così come il dittongo /eu/ dell’infinito, non pongono problemi, il problema è il preterito
singolare, dove /ou/ diventa /au/.

Terza classe
La terza classe era caratterizzata dall’alternanza indoeuropea nasale o liquida mentre in
germanico si ha l’esito della sonante perché nasali o liquide possono apparire entrambe in
forma sonante.

Quarta classe

In indoeuropeo all’infinito c’era il grado /e/, ma al preterito plurale aveva una /e/ lunga,
presente in germanico come /e/1.
In germanico la /e/ rimane uguale, la /o/ breve per mutamento spontaneo diventa /a/ e la /e/
lunga diventa /e/1, al preterito plurale, la /e/1 con la pronuncia più aperta tende già in antico
inglese ad aprirsi, mentre in antico tedesco abbiamo una /a/ lunga.

Quinta classe

Caratterizzata dall’alternanza “e/o”, l’unico cambiamento significativo è il fatto che la /o/


breve diventa /a/, e che la /e/ lunga la consideriamo /e/1.
Sesta classe

Questa è una nuova alternanza di origine germanica, basata sull’alternanza /a/ breve che si
trova all’infinito e al participio preterito, vi è poi il preterito singolare e plurale con /o/ lunga.

Settima classe

Si verifica il raddoppiamento in alcuni verbi con la ripetizione della sillaba radicale e anche in
questo caso originariamente non c’è differenza tra forma del singolare e plurale.
Ci sono diverse alternanze, questa è basata sull’alternanza tra la /e/1 lunga di origine
indoeuropea (all’infinito e al participio preterito) e la /e/2 lunga nuova (al preterito).
Alternanza grammaticale

È un fenomeno legato a un periodo protogermanico in cui già sta avvenendo la prima


mutazione consonantica, ma la situazione accentuativa mobile: ci sono verbi il cui tema
finisce con le occlusive sorde indoeuropee e con la sibilante sorda che, a seconda di dove
cade l’accento, sappiamo che possono dare esito di Grimm o esito di Verner.
I verbi con alternanza grammaticale sono questi verbi, che possono avere all’interno dello
stesso paradigma forme che alternano non solo le vocali per apofonia, ma anche le
consonanti, avendo i due esiti.
Tradizionalmente nelle forme del presente e del singolare preterito si ha l’esito di Grimm,
perché l’accento al presente e preterito singolare si trovava prima; invece, nel preterito
plurale, nell’ottativo preterito e nel participio abbiamo l’accento che cade dopo, e quindi
da l’esito di Verner, spirante sonora invece che sorda.
Questo è alla base dell’alternanza che abbiamo ancora oggi in inglese tra was e were.

La scrittura runica
La scrittura runica prende questo nome dalla parola “rune”, che è un prestito dall’antico
nordico rúnar, che indicava i segni caratteristici di questa forma di scrittura, che è la prima
usata dalle popolazioni germaniche.
La scrittura runica aveva un uso essenzialmente epigrafico: è una scrittura nata per essere
scritta su materiali rigidi, ci sono poche curve ed elementi retti perché più semplici da
incidere.
Si diceva che Odino fosse conoscitore delle rune e per avere questa conoscenza aveva
pagato con un occhio, appendendosi all’Albero Cosmico per nove giorni e nove notti.
Il significato originario della parola “runa” indicava anche un segno segreto, usato in una
comunicazione non per tutti (in tedesco moderno c’è un verbo con la parola “runa”, il verbo
“raunen”, che vuol dire “sussurrare, mormorare”).
La scrittura runica era basata sul principio dell’acrofonia, cioè ciascuno dei segni che
caratterizzava la serie runica aveva un valore in origine che rappresentava un concetto.
La prima runa si chiamava “*fehu” in germanico, in antico nordico è “fé”, in antico inglese
c’era la forma “feoh” che voleva dire “bestiame”, e corrispondeva al primo segno della serie
runica.
È passato poi a indicare una cifra di denaro, adesso il significato è limitato a qualcosa che si
paga per avere un servizio: l’evoluzione da “bestiame” a “ricchezza” è l’evoluzione di una
società, che parte essendo prevalentemente legata alla pastorizia, dove avere tanti animali
voleva dire avere tanta ricchezza, poi la società si evolse e la parola passò ad indicare altro.
La serie runica più antica era formata da 24 segni ed erano concetti anche molto legati a un
certo ambito: c’erano termini comuni (“animali”, “uomo”, “giorno”), c’erano anche nomi di
divinità e riferimenti magici.
Da un certo momento questi segni vennero messi in ordine, si pensa attorno al III sec. d.C. e
iniziarono a tenere questo ordine, che venne chiamato “fuþark”, e questi segni acquisirono
valore fonetico.

Se qualcuno avesse dovuto usare una di quelle parole, per abbreviare si sarebbe utilizzato
la sola runa con il suo valore “ideografico”.
Il nome della runa che veniva fornito poteva essere variabile: la thorn venne chiamata col
significato di “gigante”.
La scrittura runica è stata utilizzata in tutta l’area germanica a partire dall’inizio del III sec.
d.C. o poco prima, e raggiunse la massima diffusione tra il V e l’XI sec. d.C.
Le lingue successivamente si separarono, e anche la scrittura runica si dovette adattare: ci
fu l’evoluzione che portò al fuþark più recente in Scandinavia, che arrivò alla sua massima
sinteticità, da 24 segni a 16.
In area anglosassone si arrivò a un ampliamento fino a 28 segni e in epoca più tarda,
intorno all’800, nella regione della Northumbria si arrivò a 33 segni.
Il fuþark in scandinavo antico si chiamava “fuþark” con la “a”, mentre nella tradizione
anglosassone si chiama “fuþorc”: la “a” germanica davanti a nasale in anglosassone
divenne “o”, prima lunga per allungamento di compenso e poi breve.

La fine della scrittura runica venne determinata dalla diffusione del cristianesimo e dalla
diffusione della grafia in alfabeto latino; soprattutto in alcuni ambienti, tra cui quello nordico,
ci fu la testimonianza ancora nel 1800 di alcuni villaggi in cui, a scopo decorativo e
folkloristico, continuava a scrivere in rune.
L’origine delle rune
L’origine delle rune va cercata nella tradizione degli alfabeti prelatini dell’Italia settentrionale:
erano alfabeti di tipo etruscoide che avevano queste caratteristiche; dall’Italia settentrionale
arrivarono al territorio delle popolazioni germaniche probabilmente per un contatto avvenuto
lungo le vie commerciali.
C’era un collegamento commerciale tra Italia settentrionale e Danimarca, che era il centro
della scrittura runica e a parziale conferma di questo normalmente si cita l’elmo di Negau.

Elmo di Negau
Ha questo nome perché è stato ritrovato sul confine tra Austria e Slovenia, in questa località
che così si chiama.
Sull’elmo c’è un’iscrizione che è probabilmente precedente alla scrittura runica, databile al II
sec. a.C., l’iscrizione è in alfabeto venetico, che è uno degli alfabeti del tipo etrusco
settentrionale e a cosa interessante è che questa iscrizione ha caratteri in alfabeto venetico,
ma il contenuto linguistico è di lingua germanica.
Non sono rune, ma ci assomigliano. una caratteristica delle rune è quella di essere
orientabili in diversi modi, mantenendo lo stesso significato.
“Harigasti teiwa”: il primo elemento è un composto, è un nome proprio che si può
interpretare scindendo le due parti che lo compongono; è derivato dalla parola *harja, da cui
deriva la parola tedesca moderna per “esercito”; e la parola “gast”, che vuol dire “ospite”;
quindi “ospite dell’esercito”.
Il secondo elemento è probabilmente riconducibile alla parola germanica “teiwa”, che vuol
dire “dio, divinità”, e ha la stessa radice che si trova nel nome del dio Týr, quello che Tacito
paragona a Marte.
Quindi: una dedica al dio “ospite dell’esercito”.

Le iscrizioni runiche
Le iscrizioni runiche sono sostanzialmente iscrizioni su materiali rigidi: pietra, oggetti: le
pietre runiche erano facili da gestire perché avevano un’indicazione chiara sulla loro
provenienza (spesso celebravano un evento o qualcuno); non erano però pietre tombali.
I testi che vennero ritrovati erano piuttosto brevi e pieni di nomi propri: in una pietra in
Danimarca venne ritrovata per la prima volta attestazione dei nomi “Danimarca” e
“Norvegia”; vennero ritrovati anche oggetti metallici, spade, oggetti di osso, di corno.
Vennero ritrovate delle iscrizioni che provenivano dalla parte del centro storico di Bergen,
che in un incendio andò distrutta anche se negli scavi sono state trovate tavolette di legno, e
lì ci sono due piccole testimonianze sul fatto che venissero utilizzate anche per
comunicazioni quotidiane.
Una caratteristica della scrittura runica era che essendo arcaica, rifletteva uno stadio della
lingua più antico dell’evoluzione linguistica in quella fase; normalmente, come esempio di
quanto sia arcaica la scrittura runica, si cita l’iscrizione del corno d’oro di Gallehus.

Corno d’oro di Gallehus


Era un corno per bere dove, sulla parte superiore, si trovava questa iscrizione: “ek
hlewagastir holtijar horna tawido” che significava “io, Hlewagastir, figlio di Holt, il corno
feci”; le lingue germaniche, in origine, avevano una struttura soggetto-oggetto-verbo.
Normalmente si diceva che questa iscrizione fosse rappresentativa di questo essere una
lingua arcaica perché, in “hlewagastir”, vengono ancora espressi i tre elementi costituitivi dei
sostantivi germanici (la radice, “gast”, dava il valore semantico, la “i” dopo, era il tema e la “r”
era la desinenza che caratterizzava il nominativo singolare dei maschili).
L’antico nordico era abbastanza conservativo, ma non aveva più il tema e nel corno d’oro di
Gallehus è possibile notare che la “r” è maiuscola perché è l’effetto di rotacismo della
sibilante sonora.
Nel germanico settentrionale e occidentale quella sibilante sonora subì rotacismo e divenne
“r”: Gallehus è un posto nello Schleswig, zona storicamente contesa, il cui confine si era
spostato tra Germania e Danimarca.
L’interpretazione di una runa in particolare, traslitterata da alcuni studiosi tedeschi come “z”
e da autori nordici come una “r”, è oggetto di disputa: se gli studiosi tedeschi sottolineano
che è una “z”, è per sottolineare il fatto che è qualcosa di comune al germanico comune, e
quindi patrimonio culturale di tutti, non solo della Scandinavia; mentre gli studiosi di
provenienza scandinava, visto che in antico nordico quella “r” c’era, fanno in modo di
metterci qualcosa che marchi che è nordico.
Un altro caso dove è possibile vedere bene la struttura della parola è “horna”, un sostantivo
neutro, la cui radice è “horn” e di lì a poco quella “a” scomparirà e avremo la forma “horn”,
che è sopravvissuta.

Conservazione della scrittura runica


Si pensa che chi metteva per iscritto qualcosa in rune cercasse di tenere fede alla lingua
com’era rispetto ai cambiamenti e per quanto riguardava la distribuzione delle iscrizioni
runiche, erano presenti in tutta l’area germanica, ad eccezione dell’Islanda.
Visto com’erano andati gli eventi della conversione degli islandesi, se c’erano iscrizioni
runiche che ricordavano il paganesimo sono state eliminate.
Un grosso centro era la Danimarca, oltre alla Scandinavia meridionale, alla Svezia e alla
Norvegia, altre provenivano dall’isola britannica e difatti l’esempio più famoso di iscrizione
runica dall’Inghilterra è il cofanetto Franks.
Cofanetto Franks
È una scatoletta piuttosto piccola, che veniva usata come scatola per il cucito in una famiglia
francese, dove è stata trovata da Sir Franks, che nel 1870 l’ha presentata al British Museum.
Si trovava in Francia nel 1800, ma la sua provenienza è anglosassone perché sono rune
della Northumbria ed è databile all’VIII sec, caratteristico perché ha le iscrizioni runiche che
formano la cornice dei vari pannelli.
Il pannello frontale è diviso in due parti: è presente un’adorazione dei magi e si può leggere
“maghi” in rune, c’è una madonna col bambino con tre persone inginocchiate, è una scena
cristiana mentre dall’altra parte c’è una scena che è presa da una tradizione germanica, che
è la leggenda di Weland il fabbro che nella tradizione nordica si chiamava Völundr, e a lui è
dedicato uno dei carmi dell’Edda poetica.
Völundr era umano, non era una divinità: la scena rappresentata mostra il fabbro, Weland,
che si era vendicato del re che lo teneva prigioniero perché era considerato molto bravo, tutti
lo volevano, e questo re svedese aveva deciso di farlo prigioniero sull’isola.
Per fare in modo che non scappasse gli fece tagliare i tendini: rimase storpio e non poté far
altro che forgiare armi per questo re, mentre era lì meditò la sua vendetta e la sua fuga che
è consistita nell’uccidere entrambi i figli di questo re.
Nella scena, infatti è rappresentato mentre da una parte dà da bere qualcosa, e dall’altra
tiene qualcosa nelle tenagli, si pensa che in una mano tenesse il teschio di un figlio, e
nell’altra avesse il teschio dell’altro, e che lo offrisse al re da bere.
In terra c’è un corpo di cui non si vede la testa, c’è poi il sovrano, c’è un altro personaggio
che sta in piedi, ed è stato interpretato come un personaggio femminile, la figlia femmina del
re, c’è poi un altro che ha in mano degli uccelli: è stato interpretato come il fratello di
Weland, che lo ha aiutato a evadere da quest’isola creandogli delle ali di piume d’uccello.
Il progetto complessivo di questo cofanetto fosse l’idea di fare qualcosa che richiamasse
culture di vario tipo: la cultura cristiana, germanica e classica.
L’iscrizione che troviamo sul pannello frontale è un'iscrizione in rune che contiene
sicuramente versi poetici che è stata decifrata e tradotta, ma non rende un significato
immediatamente comprensibile.
Il “re del terrore” menzionato potrebbe essere questo re malvagio e il riferimento al pesce
potrebbe essere significativo perché il cofanetto è in osso di balena.

Le iscrizioni runiche sulla pietra e le rune codificate


C’era l’abitudine di seguire la morfologia nella pietra: ci possono quindi essere righe di testo
in orizzontale e altre in verticale; un altro aspetto delle iscrizioni runiche, soprattutto quelle
all’aperto, era quello dell’erosione del tempo perché la pietra patisce gli agenti atmosferici
e, quando il solco tra la superficie e l’incisione è diminuito, si creano problemi di lettura.
Ci possono poi essere segni accidentali, capitati nel tempo in modo casuale: sulla pietra di
Rok ci sono delle croci, per lungo tempo interpretate come decorazioni ma in realtà è stato
dimostrato che, nel momento in cui la serie runica è stata fissata, quest’ordine fisso delle
rune è stato usato come base di decodifica per una forma semplice di crittografia.
Queste sono rune cifrate, che ci dicono da una parte quale serie prendere e quale runa
leggere, decodificando così il messaggio; esiste anche una versione più decorativa e più
crittografata, le rune a pesce ottenute mediante l’inserimento di trattini sulla coda, e anche
qui per lungo tempo si è pensato a una semplice decorazione.
Sulla pietra di Jelling, in Danimarca, compaiono per la prima volta i nomi di Danimarca e
Norvegia, fatta erigere per ricordare il sovrano che aveva unificato i due regni.
Abbondano i nomi propri, soprattutto sugli oggetti come forma di dedica, sia di chi riceve che
di chi dona, oltre all’autore dell’oggetto.
La divinazione associata alle rune non è attestata, ma alcuni simboli erano ad uso magico e
questa testimonianza è presente dalle saghe, presente anche in Scandinavia, in epoca post
medievale, dove alcune iscrizioni in rune su oggetti erano una maledizione per chi avesse
rubato l’oggetto.

09/01/2023

Metafonia
La metafonia è un fenomeno che compare nel passaggio dal germanico comune a quello
occidentale e settentrionale; non è presente in gotico, che separandosi per primo dalle altre
lingue germaniche non presenta alcuni dei fenomeni che invece sono generalizzati per le
altre lingue.
È un fenomeno comune e in alcune lingue ancora attivo: islandese moderno e faroese
moderno, per esempio, hanno ancora forte la metafonia, in particolare quella da U, essendo
due lingue che hanno ancora il sistema flessivo (quasi) completo, soprattutto per quanto
riguarda i sostantivi.
In inglese e tedesco invece è un fenomeno concluso; ha esiti che troviamo evidenti, per
esempio, nei plurali irregolari dell’inglese (tipo mouse-mice) il cui cambiamento vocalico è
appunto un prodotto della metafonia.
La metafonia è un fenomeno di assimilazione parziale retrograda (la vocale radicale si
assimila parzialmente a una caratteristica della vocale che viene dopo), parziale perché la
vocale radicale non diventa uguale alla vocale successiva, ma avvicina la sua pronuncia alla
pronuncia della vocale che segue.

 Metafonia da A (che si chiama anche metafonia velare): avviene per prima


cronologicamente, avviene già a partire dal germanico comune e interessa il
germanico occidentale e riguarda il passaggio di una vocale alta contenuta nella
sillaba radicale che si assimila parzialmente alla caratteristica velare della /a/ nella
sillaba successiva.
La metafonia da A ha solo due vocali che possono essere interessate e danno
questi due esiti:
o /i/ diventa /e/. Ad esempio, in germ. *nista (nido) > nest: la /a/ ha provocato
metafonia e poi è caduta, di solito ad essere accentata è la sillaba radicale e
quindi normalmente la vocale che provoca metafonia tende ad un vocalismo
indistinto o a cadere.
o altra vocale alta è la /u/ della radicale che diventa /o/. Ad esempio, germ.
*gulþa (oro) > gold [il passaggio da þ a d non ci deve interessare ora].
 Metafonia da I (o metafonia palatale), provocata da una /i/ vocalica o da un
elemento semivocalico palatale /j/ che provoca una palatalizzazione.
o la /a/ della vocale radicale che diventa /æ/: pensiamo al germ. comune *harja
(esercito) > heri, per influenza della /j/ che ha provocato questa parziale
assimilazione della /a/ della parola originaria; la desinenza si è indebolita e ha
perso la a finale, ma notiamo la traccia dell’elemento palatale e quindi è facile
individuare la metafonia.
o la /a:/ che diventa una /æ:/, a partire dal tedesco antico, non tutte le vocali
reagiscono allo stesso modo e negli stessi tempi, le vocali lunghe tendono a
essere più resistenti nel tempo.
Per esempio, māri (famoso) > mære, dove di nuovo la /i/ che ha provocato
metafonia non si vede più.
o questo può influenzare anche la /o:/ che diventa /ö:/, per esempio germ.
*sōkjan (cercare)> sökja.
o la /u:/ che diventa /y:/ che è quello del plurale di mouse in inglese; germ.
*mūs (singolare).

 Metafonia da U o W (anche detta metafonia labiale); è la più complessa/articolata e


provoca cambiamento nella vocale radicale quando è anteriore; questo fenomeno
non è germanico occidentale, non lo troviamo in tedesco; la troviamo abbastanza
rappresentata in antico inglese.
o /e/ > /eo/, ad esempio: germ. *heruta (cervo) > heorot.
o /i/ > /io/, ad esempio nel numerale sette: germ. *seßun > germ. * sißun >
siofun.

Evoluzione del germanico comune in germanico occidentale


I fenomeni che interessano il vocalismo nel germanico occidentale sono:

 restringimento: la /e/ breve germanica in alcuni contesti, davanti a una /i/, a una /j/ o
una /u/ nella sillaba seguente e con la presenza di una nasale + consonante
diventa /i/;
 metafonia da A: il fenomeno è bloccato dalla presenza di nasale + consonante e ha
l’effetto di far comparire nuovamente la /o/ breve nel sistema germanico occidentale;
 due realizzazioni del dittongo germanico /eu/: diventa [eo] davanti a vocali medio
basse (a, e, o); davanti a una vocale alta (i, u, o alla semivocale j) avremo come
realizzazione [iu];
 esiti diversi di /e:1/ ed /e:2/: in particolare, /e:2/ rimane una e chiusa, mentre la /e:1/
diventa una /æ:/ addirittura si apre completamente e diventa una /a:/.

Il sistema consonantico rimane abbastanza stabile:


Muovendosi verso il germanico occidentale abbiamo i seguenti fenomeni:

 geminazione: avviene in determinati contesti, dopo vocale breve accentata e


quando ci sono nella sillaba successiva elementi che la possano scatenare (le due
semivocali, le nasali e le liquide).
 mutazione delle spiranti sonore, che sono instabili e passano presto a occlusive.
 rotacismo, riguarda la /z/ che in germanico occidentale passa a /r/ e talvolta quella
/r/ tende poi a cadere.
 scomparsa delle labiovelari: la serie delle labiovelari che abbiamo mantenuto per il
germanico comune come una categoria a sé, va a scomparire e troviamo diversi
esiti:
o se sono sorde e a inizio parola: solitamente vengono scisse in due elementi,
elemento velare ed elemento labiale, /k + w/ e /χ + w/; spesso poi l’elemento
labiale tende a sparire e rimangono /k/ e /χ/.
o se sono sorde e in posizione mediana o finale: vengono semplificate
subito, /k/ e /χ/.
o se sono sonore indipendentemente dalla posizione possono evolversi alla
sola velare, /g/ o alla sola labiale /w/.
A livello di sistema in conclusione abbiamo: la perdita di tutte le labiovelari; la perdita delle
spiranti sonore (anche se in realtà le spiranti sonore labiale e velare in alcune lingue
continuano, ad esempio in Antico Sassone).

La seconda mutazione consonantica


L’Antico Alto Tedesco è poi interessato da un cambiamento notevole, che è la II mutazione
consonantica, responsabile della maggiore differenza che ha il tedesco oggi rispetto alle
altre lingue moderne derivate dal germanico occidentale.
Questa è stata paragonata alla prima e riguarda solo il tedesco (motivo per cui si chiama
anche mutazione consonantica alto tedesca).
In realtà è stato anche pensato che ci fosse una spiegazione diversa, ad esempio la teoria
di Vennemann (anni ’70/’80, è la teoria della biforcazione; pensava la prima e la seconda
mutazione non fossero consecutive, ma due esiti a partire dalla stessa base; è una teoria
molto convincente, ma che pone problemi di cronologia molto evidenti, vorrebbe dire avere
attestazioni di ATA molto prima di quelle che abbiamo).
É un fenomeno complesso che comprende diversi processi e soprattutto non tutti i dialetti si
comportano allo stesso modo; quindi, non tutti i processi sono attuati completamente in tutti i
dialetti ATA (all’interno dell’area ATA ci sono delle macroaree delimitate dalle linee di
applicazione dei vari processi della seconda mutazione consonantica).
Il processo più evidente riguarda l’evoluzione delle occlusive sorde del germanico
occidentale /p/, /t/, /k/ che si evolvono in affricate /pf/, /tz/, /kh/.
Si pensa sia dovuto anche alla tendenza all’aspirazione che hanno le occlusive sorde, per
cui si ricostruisce una pronuncia aspirata intermedia; ci sarebbe stata poi una ulteriore
evoluzione di queste affricate a spirante sorde lunghe e infine, sempre in determinate
posizioni; queste spiranti sorde lunghe in determinate posizioni sarebbero state semplificate,
perdendo quindi la caratteristica della loro lunghezza.
Riassumendo: occlusive sorde > affricate > spiranti sorde lunghe > spiranti sorde
semplici
Il primo passaggio, occlusive sorde > affricate, sarebbe avvenuto:

 in inizio di parola;
 all’interno e in fine di parola quando l’occlusiva originaria era preceduta da
consonante, quindi anche quando c’erano delle geminate.
Questa mutazione non riguarda tutte e tre le occlusive allo stesso modo.

 Il passaggio della dentale /t/ > /tz/ delimita l’area alto tedesca, lo vediamo in tutta
l’area; la linea di Benrath è quella che delinea il confine tra chi ha la seconda
mutazione e chi no.
 la linea (senza nome) che delimita la mutazione della labiale /p/ > /pf/ all’interno
dell’area Alto tedesca, descrive la zona del tedesco superiore (alamanno, bavarese,
francone orientale).
 la mutazione /k/ > /kh/ è presente soltanto nell’alamanno e nel bavarese.
Il secondo passaggio, affricate > spiranti sorde lunghe, avviene:
 all’interno di parola quando l’affricata si trova in posizione intervocalica;
 in fine parola se è preceduta da vocale.
Questo fenomeno avviene in tutta l’area antico tedesca.
Il terzo passaggio, spiranti sorde lunghe > semplici, si verifica in epoca alto tedesca
antica e avviene:

 all’interno di parola dopo vocale lunga;


 in fine di parole e in quel caso avviene sempre.
Per la dentale si presuppone il passaggio ad affricata sia avvenuto per primo, tra il V e il VI
sec; per /p/ > /pf/ ci spostiamo tra il VI e il VII secolo; l’ultimo è il passaggio della velare che
viene datato tra il VII e l’VIII sec.

Con la distribuzione di questi fenomeni siamo in grado di determinare la differenza tra alto
e basso tedesco, nonché le grandi aree dialettali cioè tedesco superiore e tedesco
centrale (quello nell’area alto tedesca al di fuori del tedesco superiore).
Collegato a questi elementi della seconda mutazione consonantica, ci sono altri fenomeni
che riguardano il consonantismo dell’ATA.
Già in germanico comune le spiranti sonore iniziavano a passare a occlusive: questo si
rafforza nel germanico occidentale e nell’ATA si conclude; non abbiamo più spiranti sonore,
con un’unica eccezione: il dialetto conosciuto come francone mediano, che conserva lo stato
del consonantismo della fase del germanico occidentale.
In alcuni dialetti del tedesco antico, queste nuove occlusive sonore tendono poi a passare a
occlusive sorde: viene chiamata mutazione media-tenue, che avviene nel periodo che va
tra l’VIII e il IX sec.
Questa cosa dell’alternanza media-tenue impatta in modo notevole anche sull’ortografia e
sulle abitudini scrittorie delle lingue antiche; in testi di base bavarese la presenza di questo
fenomeno è estrema per cui ci sono forme che storicamente avevano già l’occlusiva sonora;
eppure, in bavarese vengono scritte con la sorda: per esempio in alcuni dialetti per Dio si
trova la forma got ma in bavarese è kot.
Questo da un certo punto in poi è stato revocato dall’ortografia, però ci sono fasi in cui ci
sono alternanze (ad esempio il verbo legare bindan/pintan (quest’ultimo scorretto)) il che
può dare difficoltà dal punto di vista della comprensione.
L’ultimo fenomeno collegato alla seconda mutazione consonantica è la lenizione delle
spiranti: a partire dall’VIII secolo (momento in cui comincia la tradizione manoscritta di testi
in alto tedesco antico) si verifica un processo per cui le spiranti sorde del germanico
diventano leni. Quindi:

 /f/ > /v/


 /þ/ > /ð/
 /s/ > /ṡ/
 /x/ > /h/  nel caso della spirante velare sorda, diventa una spirante velare lene che
poi ha la tendenza a cadere quando si trova in determinate posizioni, soprattutto in
inizio di parola.
Dà l’idea di essere un fenomeno distribuito da nord verso sud e in qualche zona, in
particolare nell’area francone, questa lenizione va avanti e diventa una vera e propria
sonorizzazione.
Nei dialetti dove l’occlusiva sonora /d/ è passata ad occlusiva sorda /t/, la spirante lene /ð/
che si è ottenuta dalla lenizione della spirante dentale sorda /þ/ diventa una occlusiva
sonora /d/. Quindi per esempio germ. *brōþer > brōðar, in bruoder.

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