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FILOLOGIA GERMANICA

La filologia studia la documentazione scritta della cultura di un popolo. La parola deriva dal
greco e significa “amante del discorso, della parola”. In età alessandrina compaiono le prime
figure di filologi amanti dello studio letterario, come Callimaco e Zenodoto che tentano di
ricostruire nel modo più attendibile i testi di Omero e i classici.
Alla parola filologia in ambito universitario si attribuiscono vari aggettivi: romanza, latina,
umanistica, slava… La Filologia Germanica in particolare si occupa anche di comparazione
linguistica nell’ambito germanico. Si occupa di indagare la documentazione scritta per
ricostruire la civiltà e la cultura di quelle popolazioni che nei primi secoli dell’era volgare
abitavano ampie zone dell’Europa centro-settentrionale: parte della penisola scandinava,
l’Islanda, l’Inghilterra, i Paesi Bassi, la Germania, l’Austria, fino ad arrivare alla Svizzera tedesca.
Tutte queste popolazioni originariamente erano identificate come germaniche.
La filologia germanica serve a notare, per esempio, come molte parole delle nostre lingue
europee, germaniche, romanze o slave che siano possono essere condotte ad una radice
comune. Basti pensare ai sostantivi che individuano i nomi di parentela in italiano (padre,
madre, fratello) non sono molto diversi dalle voci corrispondenti in inglese o nel tedesco
moderni: cambiano alcuni fonemi, ma le consonanti cambiano per il modo di articolazione,
non per il luogo. Esempio:
PADRE p= consonante occlusiva labiale sorda
FATHER f= consonante fricativa labiale sorda
Stessa cosa accade con le parole PESCE/FISH e PIEDE/FOOT. È evidente che l’occlusiva labiale
sorda p in italiano e in francese corrisponda ad una fricativa labiale sorda f dell’inglese o del
tedesco. Dobbiamo quindi immaginare che questa corrispondenza rappresenti un
cambiamento sistematico comune alle lingue germaniche e che non coinvolge per esempio le
lingue romanze.
In questo caso quindi possiamo parlare di una legge che nello specifico è denominata prima
mutazione consonantica e che fu individuata e descritta da Jakob Grimm nel 1822.
Analogamente se pensiamo ai verbi per cantare, bere, mangiare, in inglese o in tedesco siamo
abituati a chiamarli irregolari. Perché diversamente dalla maggioranza dei verbi inglesi
cosiddetti regolari, non formano il paradigma con l’aggiunta di un suffisso indentale per dare
luogo al passato, ma cambiano la vocale radicale. Questo mutamento che nelle lingue moderne
è molto livellato per fenomeni di analogia, segue originariamente un principio rigoroso che è
quello del mutamento apofonico, il mutamento della vocale radicale, per l’appunto. Dunque
non si tratta di un’anomalia, di un’irregolarità della lingua ma di una regola precisa che
individua nelle lingue germaniche antiche classi di verbi forti e di verbi deboli. Anche questa,
come la legge di Grimm è una caratteristica specifica delle lingue germaniche che la distingue
da altre lingue come quelle romanze.
Dal punto di vista storico-culturale la cultura inglese e quella tedesca originariamente non
erano del tutto estranee l’una a l’altra e avevano caratteristiche in comune con le culture
scandinave.
L’aggettivo germanico, in questo contesto, non ha solo un valore etnico o geografico, ma ha
anche un valore cronologico, perché sottolinea la comunanza di civiltà e l’affinità di lingua di
popolazioni in un’epoca pre-documentaria. Sulla base di queste affinità pre-documentarie
troviamo una serie di elementi comuni tra lingue oggi attestate.
Se parliamo di lingue germaniche moderne ci riferiamo a inglese, tedesco, olandese, lingue
scandinave (svedese, norvegese, danese), islandese, frisone, afrikaans (lingua parlata dagli
olandesi che colonizzarono l’Africa meridionale, deriva dall’olandese ed ha sviluppato poi delle
forme proprie), yiddish (lingua parlata dagli ebrei dell’est), firingio (lingua parlata nelle isole
Faroe). Noi però ci occupiamo di lingue germaniche antiche, ovvero quelle lingue parlate dalle
popolazioni che abitavano nella cerchia nordica (Scandinavia meridionale, Danimarca e le
coste dell’attuale Germania settentrionale) nel II sec. d.C.
In queste zone si suppone vivessero queste popolazioni unite da elementi culturali, con
divisione di carattere religioso, usi, costumi e anche uniti da lingue che avevano un insieme di
tratti in comune. Da queste aree progressivamente nei secoli si sono poi distaccati alcuni
gruppi: i primi furono i Goti che si spostarono verso oriente.
Altre popolazioni invece restano stanziate nell’aria scandinava e sono appunto quelle nordiche,
e altre ancora si spostano verso l’Europa centro settentrionale ovvero l’attuale Germania, ma
anche parte dell’attuale Francia (franchi popolazione originariamente germanica), dalle coste
del mar del nord si staccano le popolazioni degli Angli, Sassoni e Iuti e arrivano in Britannia nel
V sec. d.C. (che diventerà la terra degli Angli, Inghilterra). Abbiamo un’espansione di queste
popolazioni in territori molto vasti.

La filologia germanica estende la sua competenza all’intero dominio della documentazione in


lingua dei popoli germanici, dall’inizio della loro tradizione culturale e letteraria agli albori
dell’età moderna. Copre un arco temporale che va dal IV sec. al XIV-XV sec. Nonostante
abbiano attestazioni in diversi archi di tempo si può svolgere un confronto tra i vari popoli.
Dal punto di vista di storia della disciplina, la fg nasce con gli studi di linguistica comparativa
del XIX sec. quando in Europa si afferma il movimento romantico. Il romanticismo propugnava
un radicale rinnovamento del pensiero, della cultura, e dell’arte. In Germania in particolare
comportò la rivalutazione della lingua antica, e della sua riscoperta. Questi studi che miravano
a una corretta comprensione del testo letterario, lo consideravano anche come oggetto di
comparazione: coinvolgeva la lingua in cui si presentava e tutte quelle considerate
geneticamente affini.
Nei primi anni dell’80 iniziano gli studi di linguistica comparata, che individuano parentele
genetiche tra lingue lontane anche geograficamente. Tra i nomi da ricordare: Friedrich
Schlegel nel 1808 individuò delle significative affinità morfologiche tra lingue come il sanscrito
(lingua antica del continente indiano), il greco, il latino, il persiano e anche le lingue
germaniche. Un’applicazione sistematica del metodo comparativo fu fatta per la prima volta da
Franz Bopp nel 1816, quando questo linguista comparò il sistema di coniugazione del sanscrito
con quello di altre lingue indoeuropee. Nel 1818 il linguista danese Rasmus Rask, opera un
confronto sistematico tra l’islandese e altre lingue germaniche e indoeuropee, notando
corrispondenze sia a livello morfologico che fonologico. Nasce in questi anni il cosiddetto
metodo comparativo ricostruttivo, questo metodo consente attraverso la comparazione
fonologica, morfologica e lessicale tra lingue diverse di individuarne un’eventuale parentela
genetica, consente cioè di risalire a una matrice linguistica comune che se non attestata può
essere ricostruita attraverso delle radici. Il confronto viene fatto tra lingue distanti sia
geograficamente che cronologicamente.
La rigorosa applicazione di questo metodo ha consentito di ricostruire l’indoeuropeo, una
lingua ipotetica, non attestata da una documentazione scritta, ma riscostruita a tavolino sulla
base di corrispondenze tra lingue attestate (sanscrito, latino, greco, lingue slave, germaniche,
baltiche…). L’immagine può essere quella di un tronco da cui si stagliano tante ramificazioni. Il
concetto di indoeuropeo è un concetto astratto, non è mai esistita una popolazione che abbia
parlato un’unica lingua, però dobbiamo intendere l’indoeuropeo come una lega linguistica:
popolazioni che condividevano usi, costumi, che vivevano in a una zona dell’Europa centro-
orientale ai confini con il continente asiatico già nel II millennio a.C., possedendo appunto
delle caratteristiche comuni.

IL METODO COMPARATIVO-RICOSTRUTTIVO

Friedrich Schlegel – Über die Sprache und die Weisheit der Indier 1808
Franz Bopp – Uber das Conjugationssytem der Sanskritsprache 1816
Rasmus Rask – Ricerche sull’origine della lingua Nordica antica o islandese 1818
Altra figura importante è quella di Jacob Grimm, uno dei fratelli Grimm, oltre ad essere
scrittore è anche linguista. I testi di valenza scientifica sono: Deutsche Grammatik (1822) –
grammatica sulla lingua germanica antica in cui vengono comparate le singole lingue
germaniche; Deutsche Mythologie (1833) – studio sulla mitologia del mondo gemanico;
Deutsche Wöterbuch (1838-1960) – dizionario scritto insieme al fratello Wilhelm, opera miliare,
nella quale ogni singola parola in tedesco viene confrontata con le altre lingue germaniche,
viene fornita anche un’etimologia.
Jacob Grimm parla di “deutsche”, perché il tedesco è la sua lingua di base, da cui parte per fare
il confronto con le altre lingue germaniche, ma in realtà questo aggettivo non riguarda solo il
tedesco, una delle lingue germaniche, ma riguarda tutte le lingue germaniche.

Esempi del metodo: *Un'isoglossa è una linea che, su una carta geografica, "delimita" la zona di un territorio che condivide un tratto
linguistico comune, di qualunque tipo esso sia: lessicale, fonetico, morfologico o sintattico.

Le lingue elencate sono


lingue antiche, perché la
comparazione viene fatta
negli stadi più antichi della
lingua, nelle prime
attestazioni. C’è una
lontananza sia geografica
che cronologica, però si
individua una identità,
una corrispondenza tra
significante e significato.
Laddove i fonemi non coincidono questo cambiamento può essere spigato tramite delle leggi.
Facendo riferimento all’esempio notiamo che la maggior parte delle lingue presentano come
primo fonema della parola per padre la p (occlusiva labiale sorda) che viene considerata
derivata, fonema originario dell’indoeuropeo. In irlandese cade, per una regola propria della
lingua; mentre in gotico la p diventa f , la p dell’indoeuropeo diverta f nelle lingue germaniche
antiche. Fonema vocalico: alcune lingue hanno una i, altre hanno una a. Non possiamo
pensare che uno dei due suoni derivi dall’altro, in quanto ci sono attestazioni della a sia in
persiano che in indiano, e quindi in indoeuropeo immaginiamo un fonema o vocale intermedia
tra i e a, resa con ə ovvero la schwa.
-ter: è un suffisso e individuiamo degli elementi comuni a tutte le lingue, laddove troviamo
cambiamenti sono dovuti a leggi fonetiche sistematiche.
La comparazione si attua attraverso due momenti: 1) conservazione; 2) innovazione;
dall’opposizione dialettica tra le due nasce la dinamica del metodo storico-comparativo. La
conservazione produce tra le lingue delle concordanze e le lingue contemporaneamente
presentano i segni di un’ereditarietà da una lingua comune.
L’innovazione è il mutamento che garantisce l’individualità della lingua storica, ma deve essere
un’innovazione sistematica e costante di un originario dato indoeuropeo.
Il principio per individuare un’innovazione è proprio la regolarità dei mutamenti. Questo
discorso può essere riferito a tutti i livelli di una lingua: lessicale, fonologico, morfologico.
Quello lessicale è quello meno probante (efficace), perché sappiamo che le lingue innovano
anche attraverso delle voci di prestito, ma il prestito per avvenire si devono verificare delle
condizioni di contiguità tra le lingue (prestiti inglese/italiano, termini romanzi nella lingua
inglese dovuti alla dominazione normanna).
In una situazione come questa, in cui lingue lontane e per cronologia e soprattutto di geografia
presentano identità di significante e significato, allora bisogna pensare necessariamente a
un’origine comune. Il prestito può essere chiamato in causa solo laddove riusciamo ad
individuare un’origine storicamente accertata, quando circoscritto ad un determinato ambito
in cui si può far prevalere la supremazia di un popolo, e quindi quella della sua lingua su un
altro.
Queste concordanze lessicale nell’indoeuropeo si impongono sia per quantità che per qualità
perché sono numerose e perché riguardano ambiti del lessico di base (come quello della
parentela).
Importante è la concordanza a livello morfologico:

Se lingue anche distanti nello spazio e nel tempo esprimere la 3a persona sing. e pl. Del verbo
essere hanno fatto ricorso non solo alla stessa radice ma alla medesima forma, evidentemente
ci deve una funzionalità pregressa di una lingua comune che ha trasmesso queste forme in
questo modo.
L’EVOLUZIONE DELLE LINGUE
Nella seconda metà dell’80 si fronteggiano due teorie principali:
 1861 August Scleicher – Stammbautheorie, teoria dell’albero genealogico
Da una lingua madre, da un tronco (indoeuropeo), si sarebbero progressivamente divise in
rami successivi, fino alla differenziazione massima, le singole lingue.
 1872 Johannes Schdmidt – Wellentheorie, teoria delle onde
Allievo del precedente. La teoria cerca di tener conto delle relazioni tra le varie lingue. La
relazione di parentela tra lingue affini, non deve procedere secondo lo schema rigido e
inadeguato dell’albero genealogico, i cui rami rappresentano delle differenziazioni che
intervengono in modo diacronico, ma l’immagine deve essere più dinamica: i cerchi
concentrici. Gettando un sasso in uno stagno si generano una serie di cerchi concentrici l’uno
all’altro e sono delle onde che si propagano affievolendosi man mano che si allontanano dal
centro. Così l’innovazione linguistica: avviene al centro e poi perde progressivamente la sua
forza allontanandosi. S. teneva conto dell’estrema fluidità con cui le innovazioni si diffondono
nello spazio e anche della indiscutibile maggiore affinità che unisce le lingue parlate su territori
limitrofi rispetto a lingue che si trovano invece a grandi distanze geografiche.
Applicando queste teorie alle lingue germaniche antiche vediamo che l’immagine dell’albero
genealogico è quella che ci consente di visualizzare in modo chiaro, anche dal punto di vista
geografico, dove erano posizionate queste lingue. Quali erano i territori delle popolazioni che
parlavano queste singole lingue.
Perciò individuiamo i gruppi: germanico occidentale nel quale sono coinvolte: tedesco, diviso
in alto e basso tedesco ( denominazione dovuta alla conformazione del territorio: la
Germania settentrionale è pianeggiante, lì si parla di basso tedesco; la Germania centro
meridionale è montuosa, quindi lì parliamo di alto tedesco); e l’anglo-frisone che comprende
l’anglosassone ( degli angli, quelle popolazioni che dal continente vanno nell’isola che sarà poi
chiamata Inghilterra) e il frisone, una lingua minoritaria attestata in modo molto marginale;
germanico settentrionale che comprende l’antico islandese/nordico antico, dal quale
derivano: islandese, feroese, norvegese, danese e svedese; e il germanico orientale, di
quest’ultimo fa parte solo il gotico, lingua che si estingue.
Prendendo in considerazione la teoria delle onde, invece, vediamo una rappresentazione della
lingua che non tiene conto della continuità geografica, ma cerca di guardare quelle che sono le
isoglosse, elementi linguistici dal punto di vista fonologico e morfologico comuni a più lingue e
non ad altre. Su questa base vediamo che il nordico e il gotico presentano delle isoglosse
comuni tra loro, non presenti nelle lingue che appartengono al germanico occidentale. Altre
isoglosse, invece, sono condivise dal germanico occidentale e dal nordico e non dal gotico. Dal
punto di vista linguistico abbiamo dunque due possibilità. La classificazione che sembra più
probabile agli studiosi è quella che vede da un lato il gotico e dall’altra il nordico avvicinarsi alle
altre lingue del germanico occidentale. Questo perché i goti si allontanano dalla Scandinavia
abbastanza presto, perciò è normale che ci siano dei tratti comuni tra gotico e nordico, però la
distanza linguistica che si crea tra i goti e le popolazioni che restano nella cerchia nordica,
diventa sempre più significativa man mano che i goti si allontanano. Si possono spiegare deli
elementi comuni ma bisogna prendere atto della mancanza di una contiguità linguistica e
culturale.
Þ (thorn) è un segno runico utilizzato nei manoscritti anglosassoni e nel nordico antico per
trascrivere il fonema corrispondente a th, ovvero la fricativa interdentale.
È necessario perché bisogna considerare che tutte le popolazioni germaniche iniziano a
scrivere utilizzando un alfabeto latino. Nell’alfabeto latino però non ci sono tutti i grafemi che
corrispondono ai fonemi del germanico antico. Perciò per ovviare a questa carenza gli scriba
utilizzano un segno runico, dell’alfabeto epigrafico nel quale sono attestate le prime prove di
scrittura del germanico antico.
Germanico comune  Þeud – ‘popolo’ (voce ricostruita)
Gotico  Þiuda
Nordico antico  Þjòd
Inglese antico  Þeod
Alto tedesco antico  diot
Da questa parola derivano poi gli aggettivi che indicano la lingua del popolo, il volgare. La
documentazione storica che ci proviene dal mondo germanico, paradossalmente, è in latino. Si
tratta di autori che imparano a scrivere con la cristianizzazione e attraverso la sua lingua che è
quella latina. In un resoconto di un sinodo ecclesiastico tenutosi in Inghilterra nel 786, scritto
in latino lingua universale della chiesa e della cultura medievale europea, si di che i colloqui si
erano tenuti sia in latino che in theotisce (volgare), potrebbe essere tradotto in tedesco, ma
trattandosi di un sinodo tenuto in Inghilterra l’aggettivo fa riferimento all’inglese antico,
all’anglosassone. Progressivamente vediamo come l’aggettivo finisca per indicare un volgare
particolare, il volgare germanico. L’aggettivo inizia ad assumere la funzione moderna, ovvero
per indicare il tedesco. Nell’editto di Carlo Magno dell’813 si ordina al clero di tenere le
predicazioni in volgare. Nel suo regno sono parlati più volgari, in quanto si estende su territori
molto ampi, sia dell’attuale Francia che Germania. Domina quindi su parlanti che utilizzano sia
volgare romanzo che volgare tedesco. Perciò le predicazioni devono essere tenuta sia in
romanam linguam, sia in theodiscam. Nell’842 abbiamo un documento storico molto
importante, quello che sancisce i Giuramenti di Strasburgo, nel momento in cui gli eredi di
Carlo Magno si spartiscono il regno e quindi l’area romanza e l’area tedesca finiscono per
essere due stati indipendenti. La spartizione avviene tra Ludovico il Pio (detto il Germanico),
figlio di Carlo Magno, che governerà sull’attuale Germania; dall’altra Carlo il Calvo che
governerà sull’attuale Francia. Lo storico che assiste a questi giuramenti, che pongono fine a
delle guerre fratricide molto violente, ci dice che i giuramenti sono tenuti sia nella lingua
romana che nella lingua teudisca. Anche questo documento ovviamente è in latino, ma i
sovrani si rendono conto che il giuramento deve essere compreso da entrambe le parti. Il
sovrano e l’esercito tedesco giura anche in lingua romanza e viceversa.
Nel IX sec. il monaco bibliotecario Otfrid (uno dei pochi nomi rinvenuti in tedesco antico) di
Weissenburg scrive il Liber evangeliorum in volgare, riprenderà il materiale dei vangeli per
tradurlo in versi in alto tedesco antico. Quest’opera è presentata con una prefazione che
spiegano il perché dell’opera: alcune sono in latino, e quando parla della lingua usata la
definisce theodisca lingua; altre sono in volgare, e quando parla della lingua usata la definisce
franziska zunge, perché nell’area di Otfrid si parla uno di dialetti del tedesco antico detti
franconi. Nel 1000 abbiamo la figura di Notker III di San Gallo, un insegnante della scuola
conventuale, che compilerà una serie di traduzioni di testi dal latino al tedesco e userà con
estrema continuità l’aggettivo diutiscun per indicare appunto il passaggio dal latino al volgare.
Tedesco quindi indica un’area linguistica specifica, mentre germanico indica tutte le lingue
germaniche antiche.
LA CERCHIA NORDICA
Originariamente si trovavano nella cerchia nordica: penisola scandinava meridionale, la
Danimarca e le coste dell’attuale Germania settentrionale. Questo è il territorio dove queste
popolazioni erano stanziate in epoca originaria, in cui immaginiamo condividessero usi e
costumi e anche una ‘lega linguistica’ che in modo convenzionale possiamo chimare
germanico comune. Il primo gruppo etnico ad allontanarsi fu quello dei germani orientali, si
spostano sia verso oriente che occidente. I burgundi si stanziano nella zona del Reno centrale
(Germania), nel 436 sono sconfitti dagli Unni di Attila (popolazioni non germaniche) e sono
costretti a spostarsi verso sud fin quando non vengono inglobati dai franchi. La storia di questa
etnia che finisce per essere distrutta dagli attacchi di Attila ha dato luogo a vicende epiche
leggendarie, che saranno elaborate, trasmesse oralmente e finiranno per arrivare fino a noi
sotto forma di poemi molto importanti (sia nell’area tedesca che scandinava) che si richiamano
a quello che viene detto il ciclo dei nibelunghi. Vicende storiche alla base di materiale epico-
leggendario che diventa vera e propria letteratura. Altro gruppo è quello dei vandali, il loro
spostamento è abbastanza ampio: Sardegna, Corsica, Italia, Africa…
Germani orientali in Italia: 410 – Visigoti (Alarico); 455 – Vandali (Genserico); 476 – Eruli
(Odoacre); 493 – Ostrogoti (Teodorico);
Queste popolazioni sono solo alcune delle più note, e sono tutte popolazioni che non hanno
lasciato alcuna documentazione. Non esiste una versione scritta, sono parlate ma non
documentate. I Goti sono gli unici a porre per iscritto dei documenti con il gotico.
Tra la documentazione scritta lasciataci dai Goti si parla soprattutto della Bibbia di Wulfila.
Wulfila era un vescovo visigoto, nella comunità dei goti minoresi, stanziati nell’attuale Bulgaria,
porta avanti la cristianizzazione in questi territori anche attraverso un testo scritto. Propone le
sacre scritture in volgare, e quindi decide di tradurre la Bibbia. Le difficoltà erano numerose: in
primo luogo il problema di inventare un alfabeto, perché le lingue germaniche antiche
utilizzavano l’alfabeto runico che era comunque una scrittura epigrafica, poteva essere incisa e
valeva solo per brevi testi. Era necessario individuare dei grafemi che corrispondessero a dei
fonemi della propria lingua. Wulfila inventa un alfabeto riprendendo i grafemi dell’alfabeto
greco, parte dell’alfabeto latino e parte dell’alfabeto runico.
I codici dell’età teodoricana:
1) Codex Carolinus, della fine del V secolo, un codice palinsesto proveniente da Bobbio, oggi
Wolfenbuttel : è il più antico manoscritto contente la Bibbia gotica;
2) Codex Argenteus, dell’inizio del VI secolo, proveniente dall’Italia settentrionale,
probabilmente dall’ambiente che ruotava attorno alla corte di Teodorico, oggi a Uppsala: è
il testimone più importante della Bibbia gotica, un evangelario in scriptio continua su
pergamena purpurea e inchiostro in argento, talvolta d’oro. Nel 1971 ne è stato ritrovato a
Spira l’ultimo foglio;
3) Codex Gissensis, della fine del V o inizio del VI secolo, scoperto nel 1907 nei pressi
dell’antica Antinoopolis, in Egitto, poi trasportato a Giessen, dove andò distrutto nel 1945: la
localizzazione egizia fa pensare a Goti cristiani forse in guarnigioni militari o a un vescovo
goto della zona;
4) Codices Ambrosiani, (A, B, C, D, E) cinque codici palinsesti dell’inizio del VI secolo,
provenienti da Bobbio, oggi nella Biblioteca Ambrosiana di Milano: contengono nella
scrittura inferiore diversi frammenti dell’opera di Wulfila;
5) Codex Taurinensis, quattro fogli palinsesti forse appartenenti all’Ambr. A provenienti da
Bobbio, oggi nella Biblioteca Universitaria Nazionale di Torino.
La documentazione principale delle lingue nordiche antiche è rappresentata da fonti scritte dei
secoli XI-XIV provenienti dalla Norvegia e dall’Islanda, quindi dall’area occidentale delle lingue
scandinave; per questo spesso si parla di ‘norvegese antico’ o ‘islandese antico’ (termini
equivalenti, le due lingue non mostrano differenze sostanziali), mentre in Norvegia si usa
generalmente il termine ‘norreno’.
I DIALETTI DELL’ALTO-TEDESCO ANTICO
Con la dicitura di alto tedesco antico individuiamo una serie di dialetti più o meno
frammentari, non una compagine linguistica unitaria.
I centri conventuali erano anche centri culturali, in questi monasteri infatti sono redatti, copiati
e tramandati i testi su cui si sono potuti costruire i testi di una lingua che nell’insieme è stat
definita appunto alto tedesco antico. Si può distinzione tra:
 Tedesco superiore (zone meridionali)
 Alamanno
 Bavarese
 Longobardo
 Tedesco centrale (zona centrale)
 Franco centrale
 Franco renano
 Franco orientale
È una distinzione indicativa, perché nei primi secoli della storia lingua tedesca non è possibile
determinare con certezza i confini di un dialetto rispetto ad un altro. È difficile dare una precisa
collocazione geografica alle testimonianze linguistiche della Germania dell’ATA (che va dai
primi documenti della fine dell’VIII sec. fino all’XI sec.).
L’effettiva connotazione linguistica che consente di accomunare tutti questi dialetti è il
fenomeno della seconda mutazione consonantica, fenomeno ridotto, che si concentra
esclusivamente sui dialetti dell’ATA (al contrario della prima). Anche questa legge fu
individuata da Grimm, perciò è anche nota come seconda legge di Grimm.
È un fenomeno che inizia dall’area meridionale e sembra diffondersi fino all’area estrema
settentrionale dell’ATA, ma non oltrepassa il confine del basso tedesco antico. Questo è uno dei
motivi principali per cui parliamo di ATA e BTA come lingue diverse. In ogni caso è importante
anche considerare che la documentazione in base alla quale identifichiamo la situazione
dialettale dell’epoca tedesca antica e ne prospettiamo la classificazione si basa su documenti
piuttosto frammentari, che non ripropongono la lingua parlata ma sono influenzati in qualche
modo da una tradizione colta, trasmessa all’interno di una medesima scuola ad esempio,
indipendentemente dal dialetto parlato in quel determinato luogo. Non ci fotografano l’esatta
situazione della lingua del posto, perciò si può parlare della lingua di un determinato testo, al
massimo di un determinato autore.
La tradizione manoscritta dei testi tedeschi dei primi secoli è estremamente frammentaria, sia
per le differenze dialettali, sia per la tipologia dei testi, per l’interesse storico-culturale… Questa
frammentazione che non è presente nella documentazione dell’anglosassone e del nordico
antico è evidentemente connessa alla situazione politica della Germania alto-medievale. A
lungo il tentativo accentratore di Clodoveo era giunto alla fase dell’impero di Carlo Magno ma
successivamente l’impero aveva iniziato a disgregarsi, con una serie di scontri tra i singoli
territori e la nascita di centri culturali al di là dei monasteri era stata quindi abbastanza difficile.
Lingua scritta: dal latino al volgare
La lingua diventa lingua scritta attraverso la cristianizzazione, ma ha bisogno di individuare le
giuste corrispondenze linguistiche e concettuali per indicare determinati oggetti o concetti che
sono estranei al volgare pre-cristiano.
Spiritus Sanctus  wiho atum / wiho geist / heilago geist (*wiho=sacro, santo; la posizione
dell’aggettivo precede il sostantivo  caratteristica di tutte le lingue germaniche, sia nela fase
antica che nelle lingue moderne; *atum=spirito  gotico; *geist=spirito; *heilago=sano;)
Crux  kruzi / galgo (*kruzi=prestito dal latino)
Misericors  barmherzi / mildherzi (*vero e proprio calco: riproduzione di sostantivo +
aggettivo. Il sostantivo cors è dato con la parola per cuore, herzi. È anche un esempio di prima
mutazione consonantica in cui la c, occlusiva sorda velare che diventa fricativa sorda velare;)
I dialetti ATA: produzione scritta e centri conventuali
 Alemanno (centri conventuali: San Gallo, Murbach, Reichenau)
 Testi catechetici (traduzioni preghiere)
 Inni ambrosiani (sempre traduzioni)
 De Consolatione Philosopiae, Salmi tradotti da Notker III maestro di San Gallo
 Bavarese (centri conventuali: Freising, Monsee, Regensburg)
 Testi catechetici
 Traduzioni: frammenti Vangeli, Isidoro, De Etymoloiae Muspilli
 Longobardo: nessun documento
 Francone orientale: (centri conventuali: Wurzburg, Bamberg; monast. + imp.  Fulda)
 Fulda è in zona franco renana (confine del bta) ma produzione franco orientale; il primo
abate era bavarese, perciò le prime produzioni sono in questa lingua.
 Rabano Mauro abate 822, produzioni: - Taziano  traduzione di un’armonia
evangelica, testo che era stato redatto da un monaco chiamato Taziano che aveva messo
insieme i passi più salienti dei quattro vangeli. Ha avuto una grossissima diffusione nel
Medioevo europeo, arriva nell’Europa occidentale nella traduzione latina che viene poi
tradotta Fulda, proprio per volontà di Rabano Mauro. Il Taziano ci è tramandato in un
manoscritto conservato attualmente a San Gallo;
- Hildebrandslied  è un esempio di carme epico, eroico che resta incompleto, è un
frammento tramandatoci di un foglio che riportava anche altri testi. È l’unico frammento
della produzione dell’ata di carattere eroico-leggendario, è l’unico testo che non è
ascrivibile ad una produzione di argomento cristiano. È interessante perché rappresenta
uno scontro tra un padre e un figlio: Ildebrando e Adubrando, che si trovano a
combattere in eserciti nemici. La vicenda si inserisce nel ciclo Teodoriciano, abbiamo
riscontri di questa vicenda anche in altre letterature sia nell’area tedesca che scandinava.
L’antefatto storico prende le mosse dalle guerre tra Odoacre e Teodorico, dove
Teodorico scaccia Odoacre, nella finzione letteraria Teodorico è colui che viene cacciato
da Odoacre, è l’esule per eccellenza. Ildebrando, il suo fido guerriero, scappa di casa e
segue il suo signore, lasciando la moglie e il figlio piccolo. Segue il suo sovrano secondo
quelle convinzioni etiche del guerriero germanico che deve l’assoluta fedeltà a suo
signore. Il figlio cresce durante il regno di Odoacre e a distanza di anni Teodorico si
presenta con un esercito per riconquistare ciò che Odoacre gli aveva in qualche modo
sottratto. Quindi padre e figlio si incontrano sul campo di battaglia in uno scontro a due:
da una parte l’anziano Ildebrando e dall’altra il giovane Adubrando. L’anziano chiede al
giovane di che stirpe appartenga, il giovane gli dice che è cresciuto senza padre perché
ha dovuto seguire il suo sovrano. Allora Ildebrando capisce che si tratta di suo figlio,
svela la propria identità ma il giovane non gli crede, lo umilia dicendogli di non essere
abbastanza forte da batterlo, a questo punto Ildebrando è costretto ad accettare lo
scontro. Il testo non ci è pervenuto completo, ma sappiamo da altre versioni di qeusta
vicenda che alla fine il padre ucciderà il figlio. Il carme appartiene ad una cultura pre-
cristiana, squisitamente germanica.
L’autore non si sofferma a descrivere il duello ma soltanto l’antefatto, il dilemma del
padre che riconosce nell’esercito avversario il proprio figlio e che per ragioni di onore
non si può sottrarre al duello una volta che il figlio gli ha dato del vigliacco. Qui si
scontrano due delle istituzioni principali del mondo germanico: il comitatis, gruppo di
guerrieri che stringono intorno a un capo un patto di fedeltà assoluta; e la sippe, che è il
clan, l’istituzione della famiglia;
 Franco renano: (centri conventuali: Mainz, Worms)
 I Giuramenti di Strasburgo, patto di riconciliazione tra gli eredi di Carlo Magno: i figli del
figlio di Carlo Magno, Ludovico il Pio: Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico che
decidono di spartirsi il regno. Ludovico il Germanico governerà sull’area tedesca mentre
l’altro sull’area romanza.
 Ludwigslied, carme encomiastico che viene scritto per celebrare la vittoria di Ludovico,
re dei franchi occidentali che nell’880 sconfigge i vichinghi.
 Franco centrale
 Testi catechetici
 Otfrid - Liber Evangelorum, uno dei pochi autori di cui conosciamo il nome, monaco di
Wasserburg. Il Liber è in lingua volgare, una rielaborazione dei quattro vangeli.

Il germanico occidentale – Le lingue ingevoni


Basso tedesco antico (o antico sassone), frisone antico e anglosassone sono chiamate lingue
ingevoni, perché se noi pensiamo alla partizione etnica tacitiana, Tacito ci parla di 3 gruppi
principali (* i nomi derivano dai figli di Manno, la divinità progenitrice delle popolazioni
germaniche): Erminoni e Istevoni sono due gruppi le cui numerose etnie finiscono per
costituire nazione franca, l’area dell’alto tedesco antico; mentre le popolazioni che Tacito
chiama Ingevoni, prossime all’oceano, sono quelle da cui discenderanno coloro che parleranno
basso tedesco antico, frisone antico ed anglosassone (frisoni, angli, juti e sassoni). Queste
lingue possiamo chiamarle ingevoni perché, rispetto all’ata, presentano una serie di
caratteristiche comuni. Sempre nell’idea che le lingue germaniche definiscono la propria
fisionomia attraverso dei processi di innovazione e conservazione, possiamo dire che queste tre
lingue presentano delle isoglosse comuni tra loro che non sono condivise invece dall’ata.
Il basso tedesco antico comprende una compagine linguistica non omogenea, al suo interno
troviamo: il basso francone (da cui deriva l’olandese moderno) e il sassone antico (lingua
parlata dai sassoni, che finirà per confluire nel tedesco moderno).
Sassoni  (da sahs, sahso: pugnale, spada corta, arma da taglio) dei sassoni ci parla già
Tolomeo, storico e geografo greco. Quando i sassoni entrano nel panorama storico dell’Europa
medievale lo fanno perché, loro malgrado, incontrano i franchi con l’impero di Carlo Magno
(ultimo trentennio dell’VIII sec.) Dal 772 all’804 si consuma questa guerra feroce che Carlo
Magno dichiara ai sassoni, la sua espansione territoriale viene in qualche modo mascherata dal
desiderio di cristianizzare queste popolazioni pagane. Prima della cristianizzazione dei sassoni
sappiamo abbastanza poco: probabilmente organizzate in entità territoriali senza una reale
consistenza politica, non si identificavano in un potere amministrativo centrale ma erano
organizzati con dei clan locali; non vivevano in vere e proprie città, probabilmente si trattava di
comunità locali fortificate chiamate burga, che si amministravano autonomamente.
Carlo Magno cominciò a indirizzare le proprie mire espansionistiche verso queste regioni in
quanto restavano le uniche che non erano ancora confluite nei suoi domini.
Questa tendenza ad un’espansione politica e religiosa è alla base della forza dell’impero franco,
la religione cristiana può essere considerata un vero e proprio strumento di identificazione
etnica e territoriale. Anche le missioni evangelizzatrici promosse attraverso missionari
anglosassoni miravano ad una coesione politica e territoriale dei predecessori di Carlo Magno.
Con questo sovrano la religione cristiana diventa un efficacissimo instrumentum regni, viene
considerato il mezzo migliore per dare unità e compattezza all’impero. Di qui anche la
particolare violenza con cui fu portato avanti questo processo di conversione, sostenuto dal
papato di Roma, di cui Carlo Magno riconosceva la centralità.
Carlo Magno comprende l’importanza della cultura e della lingua che diventano elementi di
unificazione, c’è un vero e proprio progetto di rinascita culturale, come la fondazione della
Scuola Palatina con intellettuali come Arcuino e Paolo Diacono.
Si cerca di raggiungere l’uniformità del credo, che deve essere appunto quello cristiano,
un’uniformità politica e della lingua. Quindi naturalmente non possono essere accolte
all’interno dell’impero popolazioni germaniche che non hanno accettato la conversione al
cristianesimo. Carlo diventa quindi un estremo difensore della chiesa di Roma e un
convintissimo persecutore di ogni tipo di eresia pagana. Perciò la conquista territoriale e la
cristianizzazione dei sassoni fu portata avanti con estrema violenza. I Sassoni opposero
resistenza a questi tentativi e sono infatti l’ultima popolazione germanica che continua a
resistere all’autorità dell’impero e all’influsso del cristianesimo. Questa ostilità violenta dura
circa per un trentennio.

Documentazione in sassone antico


I Sassoni iniziano a scrivere attraverso l’incontro con la cristianizzazione, perciò le loro
testimonianze poetiche sono di argomento squisitamente cristiano. Tutta la documentazioni
dei sassoni è cristiana. Se per l’alto tedesco antico la trasmissione è molto frammentaria per il
sassone la documentazione è ancora più ridotta e per certi aspetti ancora più eterogenea.
Abbiamo una la cosiddetta documentazione minore, composta da: glosse (parole messe a
margine o accanto a un testo in lingua, annotazioni, riferimenti al contenuto del testo), versioni
interlineari a testi latini (testo latino tradotto parola per parola in sassone antico), commenti ai
Salmi, registri delle entrate monastiche. La qualità letteraria è del tutto assente, ma sono
interessanti dal punto di vista linguistico e anche dal punto di vista storico culturale, in quanto
ci forniscono dei tasselli per ricostruire alcune pratiche culturali dei sassoni.
Le attestazioni poetiche sono due: Heliand e il frammento di una Genesi in versi.
 Heliand – ovvero il Salvatore è il titolo editoriale con il quale fu pubblicato per la prima volta
da Johann Andreas Schmeller nel 1830/32 (molto spesso i titoli delle opere sono postumi,
rappresentativi del contenuto del poema). Si tratta di un poema di circa 6000 versi basato
sulla nascita, vita e morte di Cristo. Presumibilmente deve essere stato redatto nel IX secolo,
ci viene tramandato incompleto, privo della parte finale in 2 mss. e 4 frammenti.
Separatamente ci sono state tramandate anche delle prefazioni, testi in latino: Prefatio A – si
parla di un’opera in cui era stato tradotto parzialmente in volgare il contenuto del Vecchio e
del Nuovo Testamento per renderlo comprensibile al popolo sassone. Probabilmente era la
prefazione di un’opera che conteneva altri poemi oltre all’Heliand. Il committente viene
identificato in Ludovicus piissimus Augustus, sovrano intenzionato a fornire la possibilità di
istruire alla fede cristiana sia i dotti che gli illetterati.
Il poeta è citato come “non ignobilis” perciò doveva essere molto famoso, e uno tra i tanti
che producevano letteratura in quegli anni, in grado di produrre un modello
comportamentale da seguire vicino alla cultura sassone a alla loro indole.
Quindi l’opera può essere inserita nel processo di ripensamento dell’evangelizzazione dei
sassoni, quando Alcuino diceva che bisognava essere “predicatores” non “predatores”.
La rappresentazione del cristianesimo in lingua sassone deve passare necessariamente
attraverso una traduzione non solo linguistica ma anche concettuale. Se la Bibbia di Wulfila
era un testo sacro e quindi doveva rispettare un’aderenza alla lettera del testo, qui il poeta ha
una certa libertà e, pur sempre restando fedele all’ortodossia della dottrina, cerca di trovare
le parole sassoni che con adeguati spostamenti semantici possano assumere una valenza
pertinente anche per esprimere concetti fino ad allora ignoti, sconosciuti. (es: anima,
misericordia, grazia…). In questo senso il poema può essere considerato cristiano-
germanico, nel senso che utilizza dei contenuti cristiani tratti dai vangeli, li trasferisce in un
volgare che fino a poco prima era la lingua madre di una civiltà pagana. Anche per la forma
attinge alla tradizione epica germanica impiegando con estrema abilità gli stilemi tipici di
quella tradizione. In questo modo il poeta cerca di mediare questo sradicamento di credenze
pagane per spiegare la bellezza e i vantaggi del nuovo credo. Cerca una predicazione chiara e
incisiva ma anche esteticamente valida.
Termini: drohtines man / mandrohting  la prima sta ad indicare il Signore (drohtin, parola
che significa “il signore”); mentre la seconda parola indica il “capo terreno”, letteralmente
“signore degli uomini”. C’è l’uso dello stesso lessico per un doppio registro: da un lato si
identifica il capo per una cultura laica, colui che garantisce il sostentamento ei propri
guerrieri con i quali istituisce un patto di fedeltà assoluta; dall’altro lo stesso lessico per
individuare un capo cristiano ovvero Cristo, che riesce a garantire quella stessa protezione
ma spostata su un livello diverso: non è la ricompensa di beni materiali, ma di beni celesti.
meðomgebon letteralmente “datore di doni”, kenning (frase poetica che sostituisce,
rimpiazzandolo con una perifrasi, il nome di una persona o di una cosa) utilizzata per
riferirsi a Cristo;

Le fonti
Comprendono una ricca biblioteca di testi in latino.
 Taziano – Diatessaron : Codex Sangallensis 56, traduzione in alto-tedesco redatta a Fulda.
 Rabano Mauro: Commento al Vangelo di Matteo
 Beda: Commenti ai Vangeli di Luca e di Marco
 Alcuino: Commento al Vangelo di Giovanni

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