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La linguistica indoeuropea

La maggior parte delle lingue d’Europa e diverse lingue dell’Asia presentano delle somiglianze che possono
essere spiegate solo se tali lingue abbiano avuto un’origine comune. Questa ipotesi venne postulata
dall’orientalista inglese William Jones nel 1786. La linguistica comparativa nacque però solo
successivamente.
Il metodo comparativo-ricostruttivo ha come punto di partenza il confronto tra le forme delle lingue storiche
e come punto di arrivo la formulazione di ipotesi sul patrimonio fonologico, lessicale e morfologico della
fase preistorica. Il momento iniziale consiste nelle forme da confrontare. Il caso più semplice è rappresentato
dalla presenza di forme affini sia nel significante sia nel significato
es→ pater- faeder etc…
Nonostante ciò la confrontabilità delle forme storiche sul piano formale è garantita dalla regolarità delle
corrispondenze fonetiche. Questo significa che due parole simili nella forma e nel significato non sono
identificabili se il confronto comporta delle irregolarità sul piano fonetico. Al contrario, due parole dissimili
sotto il punto di vista del significato possono essere confrontate se presentano delle corrispondenze fonetiche
regolari. Dietro alla necessità di stabilire delle corrispondenze regolari, risiede:

il principio della regolarità del mutamento fonetico→ quando in una data lingua un dato suono
linguistico, o fono, subisce un mutamento, questo deve verificarsi o in tutte le parole di quella lingua o i tutte
le parole in cui quel suono si trova in un contesto fonetico determinato.
L’importanza dei condizionamenti sintagmatici del mutamento fonetico, venne compresa solo alla fine del
XIX secolo, per merito di Karl Brugmann, appartenente al gruppo dei Neogrammatici tedeschi.
La comparazione permette di ricostruire l’antecedente preistorico da porre alla base delle parole che formano
una data serie lessicale (tipo l’origine della parola padre). I ragionamenti su cui si fonda la ricostruzione si
basano su un principio di economia scientifica: una ricostruzione è tanto migliore quanto minore è il
numero di mutamenti che esso postula.
Le relazioni tra le lingue
La presenza di una medesima innovazione o di un tratto comune in due o più lingue può ricevere spiegazioni
di tipo diverso.
Parentela genealogica→ si immagina che le lingue abbiano un’origine comune. È il caso del mutamento p>f
nelle lingue germaniche. Questo tipo di indagine venne sviluppato da August Schleicher nella teoria
dell’albero genealogico, secondo la quale la disgregazione dell’indoeuropeo sarebbe avvenuta attraverso una
serie di scissioni binarie. Ad esempio: per Schleicher il germanico comune sarebbe nato attraverso la
scissione di un ramo balto-slavo-germanico il quale si sarebbe diviso in balto-slavo e germanico
Contiguità areale e teoria delle onde→ se due lingue che presentano un medesimo fenomeno si collocano in
aree geograficamente contigue allora si può immaginare che i parlanti dell’una siano entrati in contatto con i
parlanti dell’altra influenzandosi. La valorizzazione di questa ipotesi si deve a Johannes Schmidt il cui nome
è associato alla celebre similitudine delle onde: il mutamento linguistico si diffonde nello spazio a partire da
un punto ai punti circostanti così come si diffonde in uno stango un’onda generata dalla caduta di un sasso.
Il modello dell’espansione areale del mutamento è applicato a spazi geografici privi al loro interno di netti
confini linguistici. Tuttavia, l’influenza dei bilingui può determinare fenomeni di interferenza anche tra
lingue contigue. In particolare, le parole possono attraversare facilmente un confine linguistico e diffondersi
da una lingua in un’altra: si parla così di imprestito.
Oltre al caso della contiguità geografica (adstrato), vi sono i casi di sovrapposizione di una lingua su un’altra
nel medesimo territorio. L’azione della lingua della popolazione precedentemente stanziata nel territorio su
quella della popolazione sopravvenuta è detta sostrato.
Lingue indoeuropee e tipologia dell’attestazione
I dati su cui si basa l’indoeuropeistica sono costituiti dalle documentazioni delle singole lingue indoeuropee.
Vi sono lingue di cui si ha una scarsa testimonianza:

Lingue di frammentaria attestazione→ diverse sono le lingue il cui patrimonio documentario non va oltre un
numero più o meno ridotto di iscrizioni (venetico, messapico)
Fonti indirette→ se la documentazione diretta di una lingua è scarsa o inesistente possono rivelarsi utili le
fonti indirette. Tra queste vi sono:
- le glosse= singole parole riportate in testi scritti in altre lingue
- gli antroponimi e i teonimi= nomi di persone e di divinità
- i toponimi= nomi di località
- idronimi= nomi di corsi d’acqua che si siano conservati anche dopo l’estinzione delle lingue cui
appartenevano
Indoeuropeo e indoeuropei
Il metodo comparativo- ricostruttivo consiste nel proiettare nella preistoria elementi comuni delle lingue
storiche e opera in questo una riduzione del molteplice all’unità. Le lingue nazionali moderne sono il frutto
di processi di standardizzazione inimmaginabili in un’epoca preistorica sicuramente priva di stati territoriali.
Molto diversificate sono del resto le posizioni degli studiosi su quanto l’area originaria indoeuropea dovesse
essere estesa, e quindi linguisticamente differenziata al suo intorno.
Altrettanto discorsi sono gli studiosi sulla collocazione cronologica e geografica della comunità indoeuropea
originaria. Tra le varie ipotesi, la più celebre è quella postulata dall’archeologa lituana Marija Gimbutas, che
associa gli indoeuropei ai ritrovamenti archeologici appartenenti alla cosiddetta cultura kurgan, risalenti ai V
e IV millenni a.C. dislocati nelle steppe a nord del Mar Nero.
(sillabicità e accento+ teoria delle laringali su quaderno)
Le occlusive aspirate e la teoria delle glottidali
La ricostruzione tradizionale attribuisce all’indoeuropeo ricostruito due serie di occlusive aspirate: le sorde
aspirate e le sonore aspirate. Alle sonore aspirate viene attribuito il carattere di occlusive mormorate aspirate,
nelle mormorate le pliche vocali, lievemente meno accostate delle sonore, lasciano passare una quantità di
aria sufficiente perché si produca un lieve fruscio.
Attualmente la maggior parte degli studiosi ritiene che le sorde non possano essere attribuite all’indoeuropeo.
Se si eliminano le sorde aspirate dal sistema ricostruito si ottiene come risultato un sistema i occlusive
tipologicamente anomalo: ci si aspetta che una lingua che possiede delle sonore aspirate possieda anche delle
sorde aspirate. In realtà una certa anomalia tipologica è identificabile è ravvisabile anche nella ricostruzione
tradizionale, dove ci si potrebbe aspettare che in un sistema costituito tato di sorde quanto di sonore aspirate,
le prime siano più frequenti delle seconde, quando poi non è così. Un’altra anomalia tipologica è presentata
dal fatto che sono presenti pochissime serie lessicali che rendono l’occlusiva labiale /b/.
Gamkrelidze e Ivanov hanno teorizzato che questi problemi tipologici possono essere risolti reinterpretando i
tratti fonologici delle occlusive indoeuropee. Cioè quelle che consideriamo come occlusive sonore semplici
(/b/ /d/ /g/ etc…) sarebbero state invece delle occlusive eiettive o glottidali sorde. A questo punto la serie
delle occlusive ricostruite tradizionalmente come sonore aspirate indoeuropee /bʰ/ /dʰ/ risulta l’unica serie
caratterizzata dalla sonorità.
Si hanno così le tre serie di occlusive:
- Eiettive→ /p’/ /t’/
- Sorde con allofoni aspirati→ /p/ /pʰ/ /t/ /tʰ/
- Sonore con allofoni aspirati→ /b/ /bʰ/ /d/ /dʰ/
Lingue ‘’centum’’ e lingue ‘’satem’’
All’indoeuropeo si attribuiscono altre due serie di occlusive articolate con il dorso della lingua:
- Palatali→ caratterizzate da un diaframma più avanzato rispetto a quello delle velari
- Labiovelari→ l’occlusiva velare è sempre accompagnata dall’arrotondamento delle labbra
Sul trattamento delle dorsali è basata la classificazione delle lingue indoeuropee nei due gruppi centum e
satem.
Le lingue centum confondono le palatali e le velari in un’unica serie di occlusive velari e mantengono invece
distinta la serie delle labiovelari. Al centum appartengono: germanico, greco, latino, osco-umbro, tocario e
celtico.
Le lingue satem confondono le velari e le labiovelari in un’unica serie di velari. Le lingue satem sono inoltre
caratterizzate da un mutamento a carico delle originarie palatali che riguarda sia il luogo diaframmatico (che
subisce avanzamento) sia il grado diaframmatico (come esito si hanno delle fricative o delle affricate).
Al gruppo satem appartengono: indoiranico, armeno, baltico, slavo e albanese.
Alla fine del XIX secolo si riteneva che l’indoeuropeo comune si fosse diviso in due rami, uno alla base delle
lingue centum e l’altro alla base di quelle satem. Ciò comportò l’abbandono della tesi di Schleicher della
comune origine di germanico (centum) e balto-slavo (satem). Successivamente altri studiosi hanno ipotizzato
che il mutamento satem si sia diffuso da una lingua all’altra per contatto areale.
Va ricordato inoltre che alcuni studiosi, tra cui Antoine Meillet, hanno contestato l’attribuzione
all’indoeuropeo di tre serie di dorsali e sostenuto che le velari e le palatali vadano riunite in un’unica serie di
dorsali non labializzate.
Mutamenti fonetici presentati da più lingue storiche
Tutte le lingue indoeuropee tendono a modificare le sillabe che hanno una sonante come nucleo i modo da
avere soltanto sillabe con nuclei costituiti da vocali.
Categorie grammaticali
Si attribuisce all’indoeuropeo ricostruito l’espressione morfologica delle seguenti categorie grammaticali.
- Numero→ sia nel nome che nel verbo sono distinti tre numeri: singolare, duale e plurale
- Caso→ sono distinti otto casi grammaticali: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo,
locativo, ablativo e strumentale
- Genere grammaticale→ si distinguono tre generi: maschile, femminile e neutro
- Persona→ si distinguono tre persone del verbo: emittente, destinatario e terza persona
- Tempo→ il verbo conosce l’opposizione presente-passato
- Aspetto→ l’indoeuropeo riconosce l’opposizione aspettuale perfettivo-imperfettivo; realizzata
attraverso la distinzione tra un tema verbale imperfettivo (tema del presente) su cui si formano un
presente e un passato (detto imperfetto) e un tema verbale perfettivo (detto tema dell’aoristo).
Nell’aspetto del perfettivo il tempo dell’azione è visto come un’unità delimitata e indivisibile,
mentre nell’aspetto dell’imperfettivo l’azione è vista nel suo svolgersi attraverso il tempo.
- Modo→ il verbo indoeuropeo distingue quattro modi: indicativo, imperativo, congiuntivo e ottativo
- Diatesi→ il verbo indoeuropeo conosce l’opposizione di diatesi attivo-medio. Nella diatesi media il
soggetto è visto come entità interna all’azione. Il verbo indoeuropeo non conosce il passivo, le lingue
che lo presentano lo formano autonomamente.
Strutture formali
Nella parola indoeuropea sono individuabili le seguenti strutture formali
- Radice→ il lessico indoeuropeo è costituito da parole costruite su radici. Le radici sono dei morfemi
lessicali. Le radici indoeuropee mostrano una notevole varietà formale. I tipi formali più frequenti
sono le strutture CVC, CVCC, CCVC. Le consonanti tendono a disporsi in modo che si abbia
sonorità crescente.
- Apofonia→ le radici presentano un’alternanza vocalica co funzione morfologica detta apofonia (in
tedesco Ablaut) i gradi apofonici sono: grado zero (assenza di vocale), grado e, grado o, grado eˉ,
grado oˉ. L’apofonia opera in alcuni suffissi. Quando la radice contiene una semivocale o una
sonante, questa può assumere al grado zero la posizione di nucleo sillabico. L’incontro di due
consonanti in una radice al grado zero può causare l’emersione del cosiddetto schwa secundum, una
vocale epentetica priva di funzione distintiva. In alcune radici la posizione della vocale apofonica è
oscillante.
- Morfologia non concatenativa→ nonostante sia invalso l’uso di citare le radici al grado e, la vocale
non fa propriamente parte della radice. Di fatto la radice è costituita dalle sole consonanti, mentre la
vocale apofonica costituisce un morfema grammaticale, ossia un’unità minima significante dotata di
funzione grammaticale. La radice indoeuropea viene quindi a configurarsi come un morfema
lessicale discontinuo all’interno del quale viene intercalato il morfema grammaticale costituito da
vocale apofonica. La morfologia caratterizzata da discontinuità lineare è detta ‘’non concatenativa’’ .
- Apofonia con vocale lunga→ accanto a questo tipo apofonico esiste il tipo apofonico caratterizzato
da vocale lunga. Alcune radici, dette bisillabiche, hanno due posizioni apofoniche, di cui la seconda
è con vocale lunga.
- Raddoppiamento→ alcune formazioni verbali sono caratterizzate da raddoppiamento, ossia da
reduplicazione parziale della radice.
- Affissi→ l’indoeuropeo fa uso solo di suffissi. I prefissi verbali delle lingue storiche costituiscono
delle forme originariamente libere che sono state più tardi fuse con il verbo
- Tema→ la radice e gli affissi compongono il tema, cui si aggiungono le desinenze. Le formazioni
prive di affissi sono dette radicali. Sia nel nome sia nel verbo vi sono due tipi di flessione quella
tematica e quella atematica.
- Flessione tematica→ la flessione tematica è propria dei temi che terminano con la vocale tematica,
un formante rappresentato da una vocale -e/-o; quando manca tale vocale la flessione è atematica. I
nomi tematici hanno vocale tematica al grado -o- a tutte le forme tranne il vocativo singolare.
Le flessioni tematiche conservano l’accento sulla medesima sillaba in tutte le forme del paradigma,
eccetto che nel vocativo
- Flessione atematica→ la flessione atematica può presentare alternanze apofoniche nella radice o nei
suffissi. Si dicono forti le forme del paradigma con grado pieno o allungato e deboli le forme con
grado zero. Inoltre nella flessione atematica l’alternanza apofonica è accompagnata da spostamenti
nella posizione dell’accento all’interno del paradigma flessionale. Nelle forme forti l’accento sta
normalmente sulla vocale apofonica al grado pieno.
Suffissi e formazione dei temi
Menzioniamo alcuni suffissi e alcuni processi di formazione dei temi:
- Nomi d’agente
- Temi verbali→ vari suffissi possono figurare nei temi di presente attestati nelle lingue storiche. È da
credersi che ciascuno di questi suffissi possedesse originariamente una specifica funzione e che la
loro applicazione rientrasse nella morfologia derivazionale anziché in quella flessionale. Esistono
poi temi di presente e temi di aoristo radicali tematici e atematici, anche con raddoppiamento. Il
perfetto è atematico e provvisto di raddoppiamento.
- Produttività e trasparenza→ in indoeuropeo i suffissi ricostruiti dovevano produttivi. Sono produttivi
i suffissi che il parlante può utilizzare liberamente per creare nuove parole. L’applicazione di uno o
più suffissi a una radice produceva delle parole dalla struttura modulare, caratterizzate da un alto
grado di trasparenza formale, ossia facilmente analizzabili nei loro costituenti.
- Composizione→ un altro mezzo per la creazione di parole è la composizione nominale. Il composto
indoeuropeo è costituito dall’unione di due temi dei quali soltanto il secondo riceve le desinenze. I
composti sono detti copulativi se i due elementi sono coordinati. Sono detti determinativi se un
elemento regge l’altro. Il determinato è solitamente in seconda posizione. Notevoli sono i composti
detti possessivi (o exocentrici) che hanno sempre funzione di aggettivo. Il referente, cosa o persona,
a cui è riferito un composto possessivo è indicato come possessore.

Flessione nominale
Il sistema delle desinenze possiede caratteristiche proprie alla tipologia detta flessionale. Ogni desinenza
esprime simultaneamente più categorie grammaticali.
Vi sono alcuni aspetti notevoli riguardo la flessione nominale:
- Vocativo di tre numeri→ ha l’accento sulla prima sillaba
- Ablativo singolare→ coincide con il genitivo singolare tranne che nella flessione tematica
- Nomi di genere neutro→ hanno una sola forma per nominativo, vocativo e accusativo nei tre numeri
- Il duale presenta poche forme→ costituisce una categoria grammaticale marcata, ossia di uso
relativamente poco frequente.
Flessione verbale
Le desinenze verbali esprimono: la persona, il numero, la diatesi, il tempo ed il modo. Le desinenze dette
principali, o primarie, si distinguono dalle secondarie per la presenza del formante -i- e sono caratteristiche
dell’espressione tempo presente. Il passato utilizza invece le desinenze dette secondarie e presenta il prefisso
-e-. Il perfetto ha un sistema di desinenze proprio; non sono ricostruibili desinenze caratteristiche che per la
prima e la seconda persona plurale, né per il duale. Le tre persone del singolare e la terza persona plurale
rappresentano le persone meno marcate, ossia di uso più frequente. Diverse lingue indoeuropee presentano
desinenze mediali ampliate con un formante -r di sicura origine indoeuropea.
È detta convenzionalmente ingiuntivo una formazione, costruita sul tema del presente o sul tema dell’aoristo,
dotata di secondarie ma priva di aumento. L’ingiuntivo doveva avere una caratteristica atemporale e
rappresenta forse un residuo di una fase in cui il verbo non distingueva presente e passato. Il modo
imperativo è dotato di desinenze proprie.
Il congiuntivo dei verbi asemantici si distingue dall’indicativo per la presenza della vocale tematica, il
congiuntivo dei verbi tematici si distingue dall’indicativo per la presenza di una vocale tematica lunga.
Mutamenti nelle lingue storiche
Nella morfologia delle lingue storiche si notano le seguenti tendenze:
- Recessione delle classi flessionali atematiche, nominale e verbale, originarie;
- Rianalisi del confine morfologico e creazione di nuove classi flessionali;
- Sincretismo dei casi→ tra le lingue indoeuropee, solo le lingue indoiraniche antiche conservano tutte
le distinzioni formali dei casi attribuibili all’indoeuropeo. In misure diverse si riscontra in più lingue
la tendenza a sostituire le forme sintetiche con sintagmi preposizionali.
Si dice sincretismo il fenomeno per cui una forma assume funzioni originariamente riservate a casi
grammaticali perduti. Generalmente le forme che si conservano più a lungo sono quelle che hanno
maggiore frequenza d’uso. Tuttavia il passaggio dal tipo sintetico (uso del caso grammaticale) al tipo
analitico (uso del sintagma preposizionale) non è spiegabile sempre come effetto di alterazioni
fonologiche.

Sintassi
Le particelle enclitiche tendono ad occupare il secondo posto nella frase (legge di Wachernagel).
Su basi tipologiche si è ipotizzato inoltre che l’indoeuropeo dovesse essere caratterizzato dalla preferenza per
i seguenti ordini:
- OV→ oggetto prima del verbo
- AN→ aggettivo prima del nome
- GN→ genitivo prima del nome
Tuttavia, dato che le relazioni grammaticali sono espresse mediante le desinenze, l’ordine delle parole
doveva essere determinato soprattutto da funzioni pragmatiche, quindi scelto dal contesto o la situazione

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