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La filologia germanica e le lingue moderne- Morlicchio

CAPITOLO 1 – GERMANI, GERMANICO E FILOLOGIA

Il Gradit fornisce diversi significati per il termine “germanico”: Tre come aggettivo:

1. Agg. AU (alto uso\ storico) degli antichi Germani: popoli germanici, religione germanica,


diritto g.

2. Agg. CO (comune\politico) della Germania: tedesco: confederazione germanica

3. Agg. TS (tecnico/specialistico\ linguistico) ling., proprio delle lingue parlate dagli antichi


Germani o di quelle moderne, che da esse sono derivate.

In ambito linguistico il termine germanico è collegato alle lingue parlate dagli antichi germani
ed è esteso alle lingue moderne da esso derivate. Il concetto di germanico è stato elaborato nel
corso dell’800 dalla linguistica storico-comparativa, nell’ambito degli studi finalizzati a
rintracciare le evoluzioni e gli intrecci tra le varie lingue, studi che hanno definito l’indoeuropeo
come famiglia linguistica dalla quale discendono quasi tutte le lingue europee moderne. Il
concetto di germanico fu introdotto per la prima volta da Franz Bopp nel 1800. La struttura
delle parole germaniche e quelle latine è la stessa ma differisce in vocalismo e articolazione
consonantica. (labiovelare è un’occlusiva sorda nella lingua latina e una fricativa sorda nelle
lingue germaniche; la dentale è un’occlusiva sonora in latino e un’occlusiva sorda nelle lingue
germaniche).

Le lingue germaniche sono quelle diverse lingue derivanti dal germanico comune, ovvero una
lingua che mostrava delle affinità tra le varie lingue germaniche, tanto più marcate quanto più si
va indietro con il tempo. (es. latino con lingue romanze) All’interno della famiglia del
germanico si individuano sottoinsiemi linguistici:
• Germanico orientale: gotico, oramai estinto;
• Germanico occidentale: inglese, tedesco, nederlandese, lussemburghese, frisone, afrikaans,
jiddish;
• Germanico settentrionale (lingue nordiche): norvegese, svedese, danese, islandese, feringio.

1.2 I Germani Chi erano gli antichi Germani? Distinzione tra:

• Storia: fasi in cui si sono tramandati documenti scritti nella lingua parlata da quel gruppo
etnico (relativamente tardi, dopo la cristianizzazione la scrittura e la documentazione sono
diventate importanti per i popoli germanici)

• Protostoria: fase in cui la documentazione riguardo a quella cultura esiste ma è scarsa e


soprattutto di riflesso, cioè tramandata in un’altra lingua (fonti classiche)

• Preistoria: fase in cui non c’è nessuna documentazione scritta e bisogna fare ricorso ad altre
fonti di informazione (archeologia)

Le prime notizie che si hanno sui popoli germanici (protostoria) sono fonti classiche, che
parlano di tribù affini ai Galli. Il contatto tra Roma e Germani avviene in quanto Roma si era
alleata con i Galli per difenderli dalle mire espansionistiche dei popoli germanici, che
minacciavano i territori celtici lungo il Reno.
È Cesare il primo a parlare dei Germani nel suo “De bello gallico”, dove spiega che i Germani
occupavano l’area compresa tra la destra del Reno e il nord del Danubio. Non bisogna pensare
ai Germani come un’entità unita, ma fu proprio lo scontro con il mondo romano a rappresentare
un momento di aggregazione per le varie tribù. È difficile collegare ad un territorio il concetto
di germanico. È noto che ci fosse un confine sulla linea Reno-Danubio che divideva i romani
dai popoli germanici. Man mano che i romani conquistavano territori il confine avanzava. Il
nome dato dai Romani al confine era limes, che divideva le regioni dell’Impero Romano da
quelle abitate dai Germani e aveva lo scopo di tracciare un confine politico-economico. I
Romani avevano desistito all’idea di conquistare i territori fino all’Elba e decisero piuttosto di
costituire diversi stati germanici alleati:

• Germania Superior nel sud montuoso, popolata da germani e dai Celti;


• Germania Inferior nel nord pianeggiante, popolata da popoli germanici;
• Megale Germania o Germania Magna, situata oltre il limes, che a differenza delle prime
due non era uno stato germanico alleato.

Le documentazioni sulle popolazioni germaniche ci sono pervenute dall’opera di Tacito, “De


origine et situ germanorum” nota come Germania” e in modo minore dalla storiografia di
Cesare “De bello gallico”.

1.3 Il termine Germanico 


Nel III secolo il termine “GERMANICO” comincia a scomparire, sostituito da etnonimi come
Goti, Vandali, Longobardi, Rugi, Burgundi. Nel V-VI secolo il termine sparisce: al posto di
germanico si inizia a dare nome alle diverse aggregazioni di popoli germanici che avevano
costituito regni romano-barbarici (Franchi in Gallia, Visigoti nella Penisola Iberica, Ostrogoti in
Italia) che però comunque non sono percepite come unità. I nuovi nomi (gens Gotica, Franchi,
Alamanni) vengono generati per popoli che costituiscono una minaccia per i confini
dell’impero. Nell’ VIII sec. il termine “Germani” ritorna, associato alle popolazioni
contemporanee, discendenti di popolazioni germaniche e parlanti una lingua germanica. Le
prime attestazioni di questi popoli sono da parte dei missionari anglosassoni, che nella loro
opera di cristianizzazione incontrano queste popolazioni. E Germanicae gentes è il termine
usato per indicare le popolazioni pagane con cui vengono in contatto i missionari anglosassoni
durante le loro campagne di cristianizzazione. In epoca umanistica, gli studiosi tedeschi
rileggono il trattato di Tacito e lo usano come base per rivendicare una loro identità distinta
(analogamente a italiani con Roma e francesi con i Galli) discendente dai Germani.

Il significato di Germani e germanico può variare a seconda della prospettiva di ricerca; può
essere usato per riferirsi alla manifestazione di uno o più dei popoli che parlavano una lingua
“germanica”, quindi anche longobardi, goti o popoli scandinavi. Per alcuni storici, invece, i
Germani sono solo quei popoli che provenivano dalla regione denominata “Germania”. Nel XX
sec. si afferma la germanistica: scienza che ha come oggetto la lingua e la letteratura in tedesco.

1.4 Tedesco e teutonico
Tedesco- teutonico: Il termine italiano “tedesco” è legato alla parola tedesca DEUTSCH ed alla
parola inglese DUTCH (nederlandese). La parola italiana, deriva dalla latina THEUDISCUS,
attestazione dell’8° secolo, prestito della lingua germanica: si tratta di una formazione
aggettivale, tramite il suffisso –iska, dalla radice germanica –peud che significa “popolo”. Si
ritiene che la parola latina THEUDISCUS sia una latinizzazione\prestito di una parola alto
tedesca. Il termine theudiscus si riferiva solo alla lingua “volgare”, ovvero lingua parlata dalle
popolazioni non romanze nell’impero carolingio. Gli storici carolingi allargano il significato del
termine ed associano la parola in questione alla lingua parlata dai Goti, dalle popolazioni della
Scandinavia e dai Longobardi. Successivamente, in area tedesca, si comincia ad osservare uno
spostamento di significato e l’aggettivo viene unito ad un altro tipo di sostantivi (Liuti: popolo,
gente; Man: uomo; Erde: terra; Richi: regno). Insieme a questa variazione, si è verificato anche
un restringimento semantico: non identificava più tutte le popolazioni germaniche, ma si
limitava a quelle che vivevano all’interno del vecchio regno carolingio, in particolare nella parte
orientale e a nord delle Alpi. In questo modo si arriva al significato odierno. Il senso politico ed
etnico conosce altri restringimenti: Tedesco come lingua è una lingua plurinazionale, ufficiale
in Germania, Austria e Liechtenstein e una delle lingue ufficiali in Lussemburgo, Svizzera, Alto
Adige/Sud Tirol. Con letteratura tedesca si intende tutta la produzione scritta in tedesco. Chi ha
però la cittadinanza tedesca è cittadino solo della Repubblica Federale Tedesca. Analogamente
Deutschland in tedesco moderno denota solo la Germania.
Teutonico: risale anche questo termine all’epoca medievale. Era utilizzato come sinonimo di
tedesco in contesto dispregiativo e si riferisce al volgare tedesco. Teutonismi: varianti nazionali
della Germania.

1.5 La filologia come scienza e la filologia germanica 


Per la filologia esistono due definizioni: una più specialistica che si riferisce alla disciplina che
ha come oggetto l’interpretazione corretta dei documenti scritti e tradizionalmente
corrispondeva all’analisi delle fasi antiche di determinate lingue. Inizialmente la filologia è stata
classica e si riferiva ai testi greci e latini; poi è stata applicata alle lingue “morte” come
l’ebraico biblico e il sanscrito. I filologi ottocenteschi estesero il loro campo di studi alle fasi
antiche delle lingue europee moderne. La filologia era una disciplina che ha dato le basi alla
linguistica. La filologia è stata vista anche come sinonimo di ecdotica, la critica testuale, la
disciplina che punta ad avvicinare un testo alla sua forma originaria. Karl Lachmann è il padre
di questa disciplina. Il metodo Lachmanniano esamina la tradizione pervenuta, per creare un
albero genealogico che permetta di stabilire una parentela tra manoscritti. A questo punto si può
passare al significato più ampio di filologia: amore per la parola, la disciplina che intende
comprendere al meglio un documento, concentrandosi sulla lingua e sui vari aspetti, anche le
informazioni contestuali che aiutano a comprendere meglio il testo. Filologia germanica:
comprende gli studi delle testimonianze scritte nelle lingue germaniche e la cultura delle
popolazioni germaniche. Si cercano aspetti comuni che identificano lo stesso nucleo germanico
comune. (tratti comuni nelle tradizioni, tratti linguistici comuni ma anche divergenti) 

CAPITOLO 2 – LE LINGUE GERMANICHE NEL PASSATO

È ormai chiaro che il germanico sarà la lingua comune dalla quale si sono poi sviluppate le
singole lingue. Si tratta però di una lingua ipotetica, i cui tratti sono ricostruiti confrontando fasi
storiche di singole lingue e che forse non sono mai stati compresenti nello stesso momento in
un sistema linguistico reale. Le difficoltà principali che si hanno nel confrontare e descrivere i
sistemi linguistici delle lingue germaniche antiche sono:

• Cronologia delle documentazioni (cronologia attestazioni è divergente)


• Tipologia delle documentazioni (essendo scritte le fonti non registrano eventuali variazioni
nella lingua parlata);
• Assenza di variazione nella documentazione
• Valutazione dei tratti linguistici condivisi (è difficile ricostruire se le variazioni sono dovute
ad un autonomo sviluppo della lingua o a fenomeni di contatto)

Per la classificazione delle lingue germaniche il modello predominante è quello ad albero, che
descrive lo sviluppo delle lingue germaniche paragonandole a ramificazioni che si dipartono da
un tronco comune. In ogni caso questo modello non è giusto al 100% in quanto postula a priori
che due lingue una volta separate non possano influenzarsi reciprocamente e questo contrasta
con la realtà storica. (differenziazione tra le lingue avviene non solo tramite scissione, ad es. II
LV, ma anche tramite fenomeni di contatto tra le lingue.) Data la complessità della
classificazione delle lingue germaniche è opportuno non basarsi esclusivamente su un unico
criterio ma valutare e confrontare diversi tratti linguistici, sia trasmessi che ricostruiti, ricorrere
a dati di epoche successive e non escludere le informazioni provenienti da fonti storiche ed
archeologie. La classificazione delle lingue germaniche più diffusa è quella di August
Schleicher alla fine dell’800 che distingue:

• Germanico settentrionale: lingue scandinave (Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda)


• Germanico orientale: gotico
• Germanico occidentale: inglese, i dialetti basso e alto tedeschi che sono alla base del tedesco
moderno, il nederlandese e il frisone.

In realtà sono state proposte classificazioni alternative, ma è classificare e dividere le lingue in


sé che porta rigidità e quindi ipoteticamente ogni modello è opinabile. Una classificazione
alternativa a quella di Schleicher è quella di individuare fasci di isoglosse, che sarebbero alla
base dell’individuazione di altri sottogruppi linguistici.
Gotico: lingua dei Goti, in particolare del regno ostrogoto. Lingua importante per la traduzione
del Bibbia da parte del vescovo Wulfila. 
Lingue nordiche: si tende a far coincidere le lingue nordiche antiche con norvegese ed
islandese antico, in quanto le fonti principali provengono da questa area geografica. Le due
lingue confluiscono in un’unica per quanto concerne la grande tradizione letteraria, il norreno,
mentre mantenere la distinzione tra norvegese ed islandese antico serve a riferirsi ai tratti
dialettali delle due lingue. Sono compresi anche svedese e danese. 
Lingue germaniche occidentali:
1. Inglese antico (anglosassone): inglese antico era formato da 5 dialetti a seconda della zona
ma tra queste varietà prevale il sassone occidentale. La fissazione del sassone occidentale come
lingua sovraregionale e come affermazione dell’identità inglese contro la minaccia
rappresentata dalle incursioni vichinghe è a partire dalla seconda metà del XX secolo, con delle
specifiche norme da preferire ad altri usi linguistici (riforma benedettina e scuola di
Aethelwold); in ogni caso resta dubbioso che nell’orale ci fosse un unico standard vista la
presenza di Celti e di Scandinavi.

2. Tedesco antico: periodo della storia della lingua tedesca che va dal VII al XII secolo, anche
se ci troviamo di fronte ad una realtà disomogenea e quindi lontani da una lingua unitaria.
L’area linguistica tedesca presenta una distinzione tra varietà basso-tedesche (Germania
settentrionale) e alto-tedesche (Germania centro-meridionale). Alle varietà basso-tedesche
appartiene principalmente il sassone. Alle varietà alto tedesche appartengono Oberdeutsch,
tedesco superiore, e Mitteldeutsch, tedesco medio. Nel periodo antico nessun dialetto raggiunse
una qualche forma di standardizzazione, né diventò lingua sovraregionale.

3. Nederlandese: storia del nederlandese si intreccia con quella delle varietà basso tedesche ed
in particolare del basso francone. In ogni caso però pur essendo il basso francone molto
importante per lo sviluppo del nederlandese, questo non è l’unica lingua che ha contribuito in
quanto il contesto era plurilingue.

4. Frisone: difficile ricostruire il frisone, in quanto ci sono poche fonti. È certo che i frisoni
vennero inglobati nel regno dei Franchi, dove però riuscirono a mantenere la loro lingua e le
tradizioni.

CAPITOLO 3 – DAL GERMANICO ALLE LINGUE GERMANICHE

La prima mutazione consonantica, o prima legge di Grimm, riguarda mutamenti consonantici


nelle lingue germaniche, che si configurano come evoluzioni dell’indoeuropeo. Tali mutamenti
sono fenomeni regolari in quanto si verificano senza eccezioni ogni volta che si incontra un
dato contesto fonetico.
Le occlusive sonore indoeuropee B, D, G corrispondono in germanico ad occlusive sorde P, T,
K. Le occlusive sorde indoeuropee P, T, K corrispondono in germanico a fricative sorde F, θ,
X. In indoeuropeo esistevano anche occlusive sonore aspirate, la cui realizzazione in germanico
dipende dal contesto:
• In posizione iniziale si realizzano in germanico come occlusive sonore B, D, G
• In posizione intervocalica o dopo liquida o nasale come fricative sonore β, ð, ɣ

Le modificazioni di ordine fonetico che intercorrono con la prima mutazione consonantica


riguardano esclusivamente il modo di articolazione, ma non il luogo. Il sistema consonantico
germanico ha subìto altre modificazioni di tipologia analoga alla prima mutazione consonantica,
ma queste non si manifestano con la stessa regolarità e soprattutto la stessa diffusione. La prima
mutazione avviene prima dell’inizio della tradizione scritta a noi pervenuta; tuttavia, è possibile
indicare una datazione, che sarebbe tra il V e il III secolo a.C.
La prima mutazione consonantica ha ovviamente anche le sue eccezioni. Sono esclusi dal
cambiamento:
• I nessi consonantici SP, ST, SK
• I nessi di due occlusive, come FT, HT, PT, CT
• Legge di Verner: quando le occlusive sorde sono in contesto sonoro, ossia tra vocali o tra una
vocale e consonanti liquide o nasali e non sono precedute dall’accento, l’esito nelle lingue
germaniche non è una fricativa sorda ma una sonora. (non s ma z)

Modelli accentuativi Nelle lingue moderne, le parole ereditate dal germanico sono in genere
accentate sulla prima sillaba. Questo perché nel germanico l’accento è un accento fisso di
intensità, vale a dire posto sulla prima sillaba. La modificazione dell’accento rispetto a quello
indoeuropeo è databile intorno al II a.C. e in epoca antecedente alla frammentazione delle
lingue germaniche, perché è presente in tutte le lingue. Nei composti, l’accento è variabile: nei
composti di sostantivi o aggettivi l’accento è sulla prima sillaba, a meno che non si tratti di
composti derivanti da un verbo con prefisso, che in questo caso spostano l’accento in quanto
solitamente i prefissi sono atoni. Nei composti verbali l’accento cade sulla sillaba della radice
verbale. I modelli accentuativi del germanico oggi non sono immediatamente evidenti sia per
cambiamenti fonetici, sia per la presenza di molti prestiti che hanno introdotto modelli
accentuativi diversi. (in molti casi il prestito viene adattato al sistema accentuativo germanico).
Le regole accentuative delle lingue germaniche variano rispetto al germanico comune, basti
pensare che nelle lingue germaniche l’accento ha assunto in alcuni casi funzione distintiva. (es.
tedesco verbi con prefissi separabili e non separabili).
 Il sistema vocalico del germanico Oggi le lingue germaniche hanno molte vocali con forte
valore distintivo. Il sistema vocalico che ricostruiamo per il germanico poggia su due tratti,
quantità e luogo di articolazione, e risulta pertanto molto più semplice.

Il germanico ha due serie asimmetriche tra vocali brevi e vocali lunghe: brevi: i, e, a, u lunghe:
i, e, o, u

In particolare, O breve indoeuropea diventa a breve germanica, mentre A lunga indoeuropea


diventa o lunga germanica.

Lingue sintetiche e lingue analitiche Le lingue germaniche nelle loro fasi più antiche erano
caratterizzate da una ricca flessione nominale e verbale. Questo significa che si tratta di lingua
lingue sintetiche, lingue che per esprimere funzioni e relazioni morfosintattiche fanno largo uso
di morfemi legati alla radice, portatrice del significato lessicale. (questo tratto è presente anche
nel latino e nell’indoeuropeo, che addirittura aveva un sistema flessivo molto più ricco, con 8
casi, 3 generi e 3 numeri)

La struttura dei sostantivi La struttura del nome indoeuropeo è quella basata essenzialmente
sul sanscrito, sul greco e sul latino e prevede:

1. Una radice 2. Uno o più eventuali suffissi tematici 3. Un suffisso flessionale (desinenza)

I sostantivi appartenevano a diverse classi. Il germanico riprende questa caratteristica, per


quanto nelle lingue germaniche moderne questo elemento non sia più presente. Sono da
distinguere per i sostantivi germanici:

• Declinazione forte, alla quale appartengono le classi di sostantivi che hanno tema in vocale
(tema= elemento tra radice e desinenza) … esempi di classi a declinazione forte sono la classe
in “a”, “ō”

• Declinazione debole, alla quale appartengono le classi di sostantivi che hanno tema in


consonante ed è la più ricca e produttiva … esempi di classi a declinazione debole sono la
classe in “-n”, “-nd”, “-r”.

Oltre alle classi di sostantivi sopra elencate, esisteva una classe di temi in radice, dove il
suffisso tematico è Ø, dove cioè la desinenza si unisce direttamente alla radice.

Declinazioni dell’aggettivo Una delle innovazioni condivise da tutte le lingue germaniche


riguarda la declinazione dell’aggettivo, perché oltre ad avere una flessione che segue i temi in
vocale del sostantivo (come in indoeuropeo) ne aggiungono una seconda, modulata secondo la
declinazione in “-n”, quindi una flessione debole. Praticamente ogni aggettivo, con alcune
eccezioni, si può flettere secondo la declinazione forte o debole, a seconda della funzione e
degli elementi che fanno parte insieme al sostantivo dei vari sintagmi. La declinazione debole
ha le sue origini in una funzione individualizzante e definita dell’aggettivo, usato in senso
sostantivo. Proprio per questa funzione la declinazione debole è usata quando il sostantivo è
accompagnato da un determinante.
La distinzione è alla base delle lingue germaniche moderne, dove ancora oggi si distingue una
doppia flessione dell’aggettivo e dove la declinazione debole è riservata ai casi in cui
l’aggettivo è preceduto da un determinante.

Pronomi e determinanti I pronomi sono classi di parole chiuse e conservative, al punto che si
possono trovare continuità tra le lingue germaniche moderne e quelle antiche. Non è possibile
risalire con esattezza a serie paradigmatiche, per tanto per il germanico comune si fa ricorso a
forme suppletive. Nelle lingue germaniche antiche i pronomi si declinano per caso, genere e
numero. (per il numero c’è singolare, plurale ed in alcuni casi il duale) Il pronome di terza
persona singolare distingue anche il genere e risale ad antiche forme di determinativo,
“quello/a” per cui si ricostruiscono tre diverse radici: Una prima radice ie: *EI/I da cui deriva il
pronome m. sg. Got. Is; Una seconda radice ie è *KI da cui la serie pronominale in –h- delle
lingue ingevoni (vedi ia. He m.sg. nom.) heo (ia f.sg. nom.), hi(e)/heo (pl.nom.-acc-). L’ultima
serie ie. è *SO-/SA-, utilizzato in particolare per i pronomi femminili (got. Si, ata. Si/siu, sa.
Siu/sea). I pronomi interrogativi e indefiniti derivano in genere da una radice *KWE-/KWO- e
seguono una flessione analoga a quella dei dimostrativi. (kwer- wer; kwas- was) Anche forme
pronominali derivanti dalla radice *SEM-/SOM-/SM- hanno avuto una larga diffusione nelle
lingue germaniche, dando per es. got. Sums “il medesimo”, fris. A. sumich “uno”, ned.
Sommige “qualche”. (same, some in inglese attuale)

La formazione delle parole La strategia di formazione delle parole indoeuropea che si è


mantenuta più produttiva nelle lingue germaniche moderne è quella che prevede l’utilizzo di
suffissi e prefissi derivazionali. In seguito ai processi di riduzione sillabica e agli esiti di altri
fenomeni fonetici non è facile distinguere gli originari suffissi indoeuropei. Tra i suffissi
deducibili distinguiamo:

• Suffisso –TI per parole femminili; • Suffisso –TO per participi sostantivizzati; • Suffisso –TU
per parole maschili; • Suffisso –ISKO per appartenenza e provenienza etnica; • Suffisso –
IZON/-OZON per la formazione del comparativo regolare; • Suffisso –ISTA/-OSTA per la
formazione del superlativo.

Un’ulteriore possibilità di formazione delle parole è la composizione, risultante anch’essa


dall’indoeuropeo. Determinante+ determinato, dove il determinato si trova a dx del
determinante (es. corkscrew, cavatappi derivato dalla composizione di cork “tappo” + derivato
di to screw “tirare”). I verbi nelle lingue germaniche Nella morfologia verbale le lingue
germaniche portano avanti diversi elementi dell’eredità indoeuropea, dove i verbi si riflettono
considerando le categorie di diatesi, modo e tempo, oltre a quelle di numero e persona.

In tutte le lingue germaniche antiche non è difficile trovare chiare tracce della possibilità di
avere forme distinte per le diverse persone. (gotico, tedesco moderno) Tra sistema verbale
germanico e indoeuropeo la maggiore discontinuità risiede nella flessione dei tempi del passato.
In germanico esiste infatti un’unica forma di passato sintetico, che comprende forme che in
latino, per esempio, sono distinte tra perfetto (azione nel passato) e imperfetto (azione
continuata nel passato). Le lingue germaniche si servono di costruzioni perifrastiche per
esprimere le diverse relazioni con gli eventi passati. (la forma progressiva in –ing dell’inglese).
Si tratta quindi del passaggio tra indoeuropeo e germanico da strutture sintetiche ad analitiche!
(es. passivo prima veniva espresso in modo sintetico, poi nell’evoluzioni successive si è
sviluppata una forma analitica) Di eredità indoeuropea è anche il modo imperativo e la
distinzione tra modo indicativo e modo congiuntivo. Verbi forti Verbi forti possono essere
definiti anche come verbi irregolari. Il modo di formazione del passato e del participio è
irregolare; spesso presenta variazione della vocale radicale tra presente, passato e participio
passato (apofonia). Verbi deboli I verbi deboli sono formazioni secondarie, che derivano per lo
più da nomi e aggettivi o da verbi forti. I verbi deboli formano il passato aggiungendo alla
radice un elemento in dentale (-d, -t) di norma senza apofonia e sono un’innovazione delle
lingue germaniche. Il suffisso in dentale deriva dallo sviluppo di una forma perifrastica che
usava forme della radice ie. –DHE “fare”. In tutte le lingue germaniche, il modulo produttivo
per la formazione dei verbi è quello della flessione debole, il che equivale a dire che i nuovi che
si introducono nella lingua seguono la declinazione debole. Da sottolineare che è un modello
molto produttivo e che col tempo i verbi forti stanno tendendo a passare sempre di più alla
declinazione debole. Per il germanico si possono distinguere diverse classi a seconda del
suffisso usato, cui corrispondono diverse funzioni semantiche:

1. Classe suffisso –ja con valore causativo; 2. Classe suffisso –o con valore intensivo;
3. Classe suffisso –e originario che nelle diverse lingue diventa –a o –e, con valore stativo; 4.
Classe suffisso –n presente solo in gotico, con valore incoativo.

Verbi forti e la legge di Verner Le forme del verbo essere al passato dell’inglese moderno
(was/were) mostrano un’alternanza tra vocalismo del singolare e del plurale e un diverso
consonantismo e vengono considerate come irregolari. Lo stesso accade con il verbo tedesco
schneiden – schnitt – geschnitten, dove abbiamo l’alternanza di dentale sorda e sonora nella
radice verbale. Queste alternanze si spiegano con la legge di Verner e sono determinate dalla
diversa posizione dell’accento nella flessione verbale ie.: il tema del presente e del passato
singolare avevano nell’ie. l’accento sulla radice verbale, mentre nel passato plurale e nel
participio passato l’accento cadeva sul morfema flessivo. In ogni caso, le alternanze
consonantiche non sono molto presenti con molta regolarità e pertanto con il tempo sono
quasi del tutto scomparse. Ne restano tracce nel tedesco moderno e nel nederlandese.

Verbi preterito-presenti
Detti anche verbi modali. Le lingue germaniche hanno ereditato dalla fase antica alcuni modali
che sono contraddistinti da particolari tratti morfosintattici, per esempio:• La reggenza
dell’infinito senza preposizioni • Morfema zero alla 3^ persona singolare • Diverso vocalismo
tra singolare e plurale (es. verbi modali tedeschi).
I verbi con questo comportamento sono da ricondurre a verbi di origine indoeuropea, che
avevano le caratteristiche morfologiche del passato di un verbo forte ma il significato di
presente. Mentre gli originari preterito-presenti indoeuropei avendo sviluppato il significato di
presente non avevano la possibilità di formare un vero e proprio passato, le lingue germaniche
sfruttano la formazione del passato dei verbi deboli tramite l’elemento in dentale per
configurare questi verbi al passato.

Verbi deboli “irregolari” Questi verbi presentano alternanze nel vocalismo della sillaba
radicale. Tutti questi verbi si possono ricondurre a una stessa classe di verbi deboli, la prima,
quella in –jan dove al tempo presente l’approssimante palatale del suffisso ha provocato
metafonia della vocale radicale, al passato suddetta metafonia non si presenta. La
presenza/assenza della metafonia ha provocato alternanza nel vocalismo della sillaba radicale.
Per descrivere questo fenomeno è di largo uso il termine “Ruckumlaut”, che risale a Jacob
Grimm, secondo il quale i verbi di questo tipo avrebbero ripercorso all’indietro il fenomeno
della metafonia, ritornando al vocalismo originario.

Casi e relazioni sintattiche Una possibile eredità che ALCUNE lingue germaniche moderne
hanno ereditato dal germanico comune è la presenza di costruzioni impersonali. Questo tipo di
costruzioni, che codificano l’esperiente come soggetto non nominativo, erano molto diffuse
nelle lingue antiche (es. in inglese antico c’è traccia di queste espressioni ma in inglese
moderno non ce ne sono più) Ovviamente ci sono verbi che richiamavano questo tipo di
strutture, come: • “lician” piacere (a me piace questo);
• “lystan” desiderare; • “minna” ricordare;

La marcatura del soggetto La possibilità di conferire al soggetto la marcatura morfologica del


verbo rendeva possibile l’assenza di un soggetto sintattico espresso, così che sono frequenti i
casi di omissione del pronome soggetto. (es. omettere soggetto con i verbi metereologici) In
ogni caso, già dalla fase antica, si incrementano i casi di inserimento del pronome soggetto.

Frasi principali e frasi secondarie La posizione del soggetto nelle antiche lingue germaniche
era molto più libera. L’unica distinzione per quanto concerne l’ordine delle parole sussiste tra
l’ordine delle parole nelle frasi principali e subordinate. Nella principale, in particolare, c’era la
tendenza ad avere il verbo nella seconda posizione nelle principali (questa caratteristica era
comune a tutte le lingue germaniche) mentre nelle secondarie il verbo tendenzialmente è posto
alla fine della frase.
Le iscrizioni runiche sembrano, però, contraddire questa tendenza in quanto quelle più antiche
presentano sempre il verbo in ultima posizione. In ogni caso, questa sarebbe semplicemente una
forma primordiale, evoluitasi poi a quella V2 (verbo in seconda posizione) e successivamente
ancora in VO (verbo coniugato e oggetti) Quando parliamo di verbo, si parla della forma
finita, in quanto le forme all’infinito o al participio tendono a spostarsi a destra.
(KLAMMERSTRUKTUR, struttura a parentesi)

Aggettivi, determinazioni ed ordine delle parole Nella maggior parte delle lingue germaniche
moderne il determinante (aggettivo, articolo) precede il determinato. Con riguardo agli
aggettivi, questo implica che l’aggettivo attributivo preceda il nome. Nelle iscrizioni runiche,
invece, non pare esserci traccia di aggettivi, di qualsiasi tipo, posti prima del nome. Anche nella
fase antica delle lingue, l’aggettivo post-nominale è molto frequente. Le sequenze più
frequenti sono: 1) SOST., POSS., DET., AGG. ; 2) SOST., DET., AGG.
Verbi e particelle In tutte le lingue germaniche sono presenti strutture formate da un verbo e
una particella (write down, schreiben auf): questi due elementi costituiscono una limitazione
semantica del verbo, ovvero restringono ad un unico significato la semantica di un verbo. Tali
verbi sono i cosiddetti phrasal verbs o secondo la dicitura tedesca, verbi separabili. Costruzioni
di questo tipo erano già presenti nelle lingue antiche, ma avevano un valore semantico spaziale:
c’è stato poi uno spostamento di significato delle particelle fino al punto che definiscono
una imitazione semantica del verbo. Nelle lingue antiche, pur non essendo l’ordine rigido, c’è la
tendenza per le particelle di seguire il verbo nelle principali, mentre nelle secondarie spesso lo
precedono.

CAPITOLO 4 – LE LINGUE GERMANICHE: TRATTI DISTINTIVI

L’unità linguistica dei Germani è qualcosa di frammentario. Tuttavia le lingue germaniche


presentano unità nella diversità e i cambiamenti linguistici, anche se si considerano fenomeni
indipendenti, sono riconducibili s similarità strutturali ereditate dalla lingua comune.

Vocalismo • Metafonia: si tratta della modificazione della vocale della sillaba radicale ed è un


mutamento che dipende dalla presenza della vocale anteriore alta [i] o dell’approssimante
palatale [j] nella sillaba che segue la vocale radicale. Si tratta dunque di un processo
di assimilazione regressiva parziale, che fa parte dei fenomeni riguardanti l’armonia vocalica.

Il fenomeno è assente in gotico e nelle iscrizioni runiche più antiche, laddove nelle altre lingue
germaniche si realizza, sia pure in modi e tempi diversi, già nella fase più antica. Le vocali, che
non sono più allofoni, acquistano funzione morfologicamente distintiva (evidente per il plurale,
al punto che la metafonia in alcune lingue, come il tedesco, è diventata marca del plurale) La
metafonia palatale rappresenta la tipologia più diffusa nelle lingue germaniche, ma ci sono altri
tipi di metafonia. Metafonia da u: a seconda della vocale si ha una variazione (es. ata “neman”,
diventa “nimu” prendo) Metafonia da a: [u]>[o], [i]>[e]

• Allungamento di compenso: si verifica soprattutto nei contesti in cui la vocale è seguita dal
nesso consonantico: nasale+fricativa velare sorda. (nk, ma anche ng). In questo contesto il
nesso si semplifica con la caduta della nasale e la vocale che precede diventa lunga. In inglese,
frisone e sassone si verifica anche la caduta della nasale se seguita da fricativa dentale sorda [ f,
θ, s ].

Consonantismo Rilevante in questione sono la seconda mutazione consonantica e la cosiddetta


palatalizzazione, che modificano il consonantismo delle diverse lingue germaniche, arricchendo
l’eredità indoeuropea. II LV: la seconda mutazione consonantica è peculiare dei dialetti alto-
tedeschi. I principali cambiamenti della II LV sono: Fricativa interdentale sorda (θ) > occlusiva
dentale sonora (d) Occlusiva sonore (b,d,g) > occlusiva sorda (p, t, k) Le occlusive sorde hanno
una doppia possibilità:

• diventano fricative doppie se in posizione iniziale, interna e finale postconsonantica e se


originariamente geminate [pf, ts, kx]

• affricate se in posizione centrale o finale postvocalica. [ff, θθ, xx]

A differenza della prima legge di Grimm, gli esiti della II LV sono meno regolari, sia sulla
distribuzione geografica (limitati alle varietà meridionali, sfuma andando man mano che si va a
nord … varietà basso-tedesche non hanno II LV) e da un punto di vista diacronico. Il
mutamento è irregolare anche considerando le serie consonantiche al punto da poter individuare
diverse isoglosse dialettali:

• isoglossa machen-maken • isoglossa appel-apfel

Palatalizzazione Ad un’occlusiva sorda o sonora del tedesco corrispondono, in inglese,


affricate palatali <t > <ch> <tch> o approssimanti palatali [j] <y>.

Le occlusive sorde e sonore soggette a palatalizzazione sono precedute o seguite da vocale


anteriore primaria (non derivata da metafonia o altre modificazione del vocalismo). Si tratta di
un cambiamento fonetico assimilatorio condizionato dal contesto, che comporta una modifica
del modo e del luogo di assimilazione. Queste trasformazioni e altre che interverranno nel corso
della storia della lingua hanno modificato il contesto che ha provocato la palatalizzazione nel
periodo antico, cosicché le palatali non sono più varianti posizionali, ma fonemi.

Il fenomeno è attestato anche in frisone. Nel tedesco oltre che nel nesso sk- una palatale [ ] si
conserva in posizione interna dopo [r] e nei nessi consonantici [sp, st, sm, sn, sl, sr, sw].

Raddoppiamento consonantico Nella fase antica delle lingue germaniche si svilupparono


consonanti geminate o per assimilazione o per II mutazione consonantica o per sincope
vocalica. Tra tutti i fenomeni che comportano un raddoppiamento, quello più diffuso è
la geminazione consonantica occidentale: quando una consonante (ma non “r”) si trova dopo
una vocale breve ed è seguita da un approssimante [j], [w] o da liquida o nasale (raramente).
Nella fase più antica la lunghezza divenne un tratto distintivo sia per le vocali che per le
consonanti e questo comporta una ristrutturazione della quantità vocalica. Le vocali in sillaba
chiusa si abbreviano con effetti sui paradigmi riflessivi e derivazionali (keep > kept).
Successivamente le vocali lunghe si de-geminano e la quantità vocalica viene reintrodotta.
(Great vowel shift)

Rotacismo Fenomeno di derivazione greca, secondo il quale le sibilanti [s] e [z], soprattutto se


in posizione intervocalica, si articolano come una [r]; nel caso della sibilante sorda si
presuppone una fas intermedia con sonorizzazione: [s]>[z]>[r]. Fenomeno frequente nelle
lingue germaniche ma non attestato nel gotico.

Ristrutturazione della morfologia nominale Nelle lingue germaniche si può osservare una


trasformazione della morfologia nominale, dovuta a fenomeni come: ristrutturazione delle
sillabe atone; fissazione dell’accento sulla sillaba radicale e metafonia. Si tratta per lo più di una
instabilità che dipende dalla trasformazione del sistema a due generi indoeuropeo in un sistema
a tre generi. (neutro, maschile e femminile) La flessione passa da una sequenza radice-tema-
desinenza ad una di tipo radice-desinenza. In norreno si associa il genere ad una determinata
classe: -Classe in –u per il maschile; -Classe in –i: i sostantivi che originariamente
appartenevano a questa classe si ridistribuiscono nella classe in –a per il maschile e in quella in
–o per il femminile. In ata. i sostantivi appartenenti alla classe in –z/-r al singolare seguono la
classe in –a mentre al plurale la classe in –ir. Nella fase del tedesco medio si osserva una
massiccia ristrutturazione delle classi nominali, soprattutto nella classe in –n dove, in seguito
all’indebolimento delle sillabe finali, le vocali originarie delle desinenze sono tutte passate a –e
[ә] e non si avverte più la distinzione, nella flessione in –n, tra sostantivi maschili e sost. neutri
e femminili. Per questo indebolimento del vocalismo finale, oltre ai temi in nasale, anche i temi
in –o escono in –e. Viene così spiegato il perché il morfema –e fu reinterpretato come
femminile e molti sostantivi della classe in –n (maschili all’origine) cambiano genere.
Nell’inglese medio la declinazione in –n è ancora molto più forte, tanto che si può distinguere
chiaramente l’affermazione di due morfemi di plurale uno in –es (eyes) e uno in –en (children).

Excursus: il genere nelle lingue germaniche Nella fase antica delle lingue germaniche il
genere non era associato a determinate classi di declinazione (con alcune eccezioni) e la
differenza tra le diverse classi di declinazione non era immediatamente riconoscibile, in quanto
vi era una struttura che aveva eliminato la presenza del tema e che quindi era basata solo su
“radice+desinenza”. Il genere di un sostantivo molto spesso deve essere dedotto dalla
concordanza degli elementi che lo accompagnano nel sintagma come aggettivi, determinanti,
participi, pronomi di terza persona singolare. Questa è la situazione del tedesco, che al singolare
conserva tre generi grammaticali. In inglese il sistema a tre generi non è conservato se non nella
distinzione di tre forme pronominali distinte per la terza persona singolare. Nelle lingue
nordiche il sistema a tre generi è mantenuto in islandese e feringio, che sono le varietà più
conservative mentre nelle altre lingue nordiche standard c’è un sistema a due generi
grammaticali, che prevede un genere comune per maschile e femminile e un genere neutro.
Anche in nederlandese si nota una tendenza verso la fusione di maschile e femminile in un
unico genere. Nell’uso fiammingo invece la distinzione tra maschile e femminile è ancora
presente.

Pronomi: innovazioni In norreno le forme del dimostrativo in –θ hanno sostituito del tutto le
originarie forme pronominali.

Nel norreno un’ulteriore innovazione è costituita dai due pronomi di terza persona singolare,  m.
hann, f. hon, che sono presenti anche nelle altre lingue nordiche. Dal pronome riflessivo di
terza persona sik (vicino al tedesco sich), il norreno sviluppa un clitico – sk che unito al verbo
dà un significato riflessivo. Per la prima singolare è presente il clitico –mk. Nelle lingue
ingevoni si sviluppa una confluenza di accusativo e dativo nei pronomi di prima e seconda
persona, in inglese questa confluenza viene estesa anche ai pronomi di terza persona. Un
ulteriore innovazione dell’inglese riguarda il femminile singolare, che per la prima volta
sostituisce l’antica forma in “heo” con she.

Determinanti: innovazioni Probabilmente l’ie. non aveva articoli né determinativi né


indeterminativi. A parte le più antiche attestazioni runiche, in tutte le documentazioni troviamo
delle forme sviluppate dall’aggettivo dimostrativo che si possono considerare forme pre-
articolo. Si tratta di forme che seguono questo paradigma sa, so, θat. Questo paradigma viene
poi modificato nelle diverse lingue germaniche. Per la fase antica delle lingue germaniche si
parla comunemente di “pre-articolo”. Il passaggio da dimostrativo ad articolo è dimostrato, per
il tedesco, dall’ortografia di Notker che segnala accenti e lunghezza. (articolo non ha nessun
accento, da pronome relativo o dimostrativo ha l’accento) Tra le lingue germaniche quelle
nordiche sono le uniche a proseguire anche una forma dimostrativa di origine indoeuropea
“ENO-”, che rafforzano con h iniziale. L’indeterminativo si sviluppa invece a partire dal
numerale “uno”.

Pronomi relativi: in Gotico le frasi relative vengono introdotte dalle particelle –ei –pei. In
inglese antico si riscontra la stessa situazione: la relativa può essere introdotta dalla particella –
pe. In inglese medio si ha pe/the e pat/that per soggetto e oggetto diretto mentre si ha wh- per
l’oggetto indiretto. In norreno la forma più diffusa è quella introdotta dalla relativa invariabile
es/er. Dalla forma pronominale “samr”, medesimo, si sviluppa l’elemento som/sem che è usato
nelle lingue scandinave per formare frasi relative.

Formazione delle parole: innovazioni Nello sviluppo utile alla formazione delle parole hanno
una parte rilevante i fenomeni di grammaticalizzazione, fenomeni in cui elementi lessicali
evolvono delle funzioni grammaticali. Il suffisso –dom/-tum era presente nelle varie lingue
germaniche come lessema ( “giudizio”). Già nelle lingue antiche il lessema viene usato come
suffisso per formare nuove parole.

Evoluzione analoga l’hanno avuta suffissi come (hood in inglese, heit\keit in tedesco). Suffissi
aggettivali e avverbiali –ly/ -lich si riconducono a sostantivi che significano “corpo, sembianza,
cadavere”. Per la formazione di parole è produttivo anche il metodo della derivazione: questa
avviene tramite affissi presi in prestito da altre lingue (suffissi dal latino, come “arius”) ma
anche tramite suffissi germanici.

Costruzioni perifrastiche Le lingue germaniche avevano in origine solo un tempo del presente
ed uno al passato, ciò nonostante nelle lingue germaniche moderne sono presenti anche altre
forme che molto

probabilmente nel germanico comune e nelle lingue germaniche antiche erano rese tramite
costruzioni perifrastiche.

• Perifrastica passato: le forme del passato del tipo “I’ve lived in Berlin most of the winter”
sono ricondotte a costruzioni risultative (costruzioni che esprimono il risultato attuale di
un’azione passata) con verbo transitivo e oggetto in cui quello che ora è il verbo al participio
passato era una forma attributiva concordata con l’oggetto, in passato. Nel processo di
grammaticalizzazione il verbo avere ha funzione ausiliaria e stringe legame con il participio
passato. La grammaticalizzazione può considerarsi avvenuta quando il verbo avere è unito a
verbi intransitivi, dove deve essere escluso il primitivo significato lessicale di ‘possesso’ e dove
non c’è oggetto. In inglese moderno e nelle altre lingue nordiche è presente solo il verbo avere
come ausiliare, mentre in nederlandese e in tedesco moderno con gli stessi verbi va usato il
verbo essere. In ata. la costruzione perifrastica del passato si sviluppa oltre che dal verbo avere
anche da un altro verbo di possesso, “eigan”. Parallelamente oltre a queste costruzioni
perifrastiche con il verbo avere si sviluppano anche quelle con ‘essere’. Anche in norreno si
sviluppano perifrastiche sia con il verbo essere che con il verbo avere.

• Costruzioni perifrastiche del futuro: per il germanico comune non è presente nessuna forma di
futuro. Anche nelle lingue germaniche moderne è possibile esprimere un valore futuro senza far
ricorso ad un tempo verbale, ma per es. attraverso avverbi di tempo. (Morgen rufe ich den
Tierarzt an) Tutte le lingue germaniche hanno sviluppato forme perifrastiche di futuro. Le
più diffuse sono quelle con verbi modali. Voci corrispondenti ai modali “will” edddddd “shall”
sono presenti come ausiliari per la formazione del futuro nella maggioranza delle lingue
germaniche. In tedesco si è sviluppata anche una forma con “werden”.

• Costruzioni perifrastiche del passivo: nelle lingue germaniche una forma di passivo sintetico
era presente solo in gotico. Nelle altre lingue, gotico compreso, erano presenti forme
perifrastiche, formate con i verbi essere e diventare. La differenza tra le due forme risiede
essenzialmente nel fatto che la costruzione con essere indica statività, l’altra indica un processo.
La progressiva scomparsa delle forme in alcune delle lingue germaniche moderne (inglese e
lingue nordiche, dove sono state sostituite da un’unica forma con il verbo essere e il verbo
diventare è cambiato rispetto alla fase del germanico comune, non più usato per formare il
passivo) dipende da una mancata grammaticalizzazione, com’è accaduto in tedesco e in
nederlandese.

Negazione Nelle lingue germaniche il clitico usato per formare la negazione si può ricondurre
ad una particella comune “ni/ne” di origine indoeuropea, che cominciò presto ad essere
rafforzata da altri elementi, come pronomi o altri elementi generici con valore di oggetto
(“wiht”) che avevano lo scopo di rafforzare la negazione. Inizialmente la negazione veniva
espressa solo tramite la particella “ni/ne” in posizione preverbale. Poi questa viene rafforzata da
altri elementi (gli stessi scritti sopra)

La caratteristica più evidente della negazione nelle lingue germaniche antiche è la possibilità di
negazioni multiple. Negazione e ciclo di Jespersen Il processo che ha portato dalla negazione
preverbale con particella ni a not/niet/nicht fu descritto per la prima volta da Otto Jespersen
che in un suo studio sulla negazione nota come in diverse fasi diacroniche gli elementi che
marcano la negazione si semplificano e si complicano ciclicamente. Fasi del ciclo:

1. Negazione espressa da un elemento che precede il verbo; NEG + VERBO 2. Negazione


preverbale viene indebolita; 3. Negazione indebolita, viene rafforzata da un marcatore negativo
enfatico; NEG+VERBO+

[neg] 4. Marcatore negativo diventa obbligatorio; NEG+VERBO+NEG 5. Negazione


preverbale facoltativa; [neg]+VERBO+NEG 6. Resta solo la neg.2 (il marcatore) che viene
attratto in posizione preverbale, in modo tale da

far ricominciare il ciclo.

Lessico e contatti linguistici Fenomeni di interferenza linguistica: i contatti tra popoli


generano dei prestiti linguistici, vale a dire l’introduzione di parole provenienti da altre lingue
nel lessico. I prestiti possono essere o non essere adattati alla morfologia, fonetica, grafia o alla
pronuncia del sistema linguistico in cui sono entrati. In situazioni di contatto tra le lingue è il
lessico l’ambito linguistico più esposto al mutamento e quello che più facilmente si adegua ai
bisogni comunicativi dei parlanti, opponendo minore resistenza al cambiamento linguistico.
Le lingue germaniche hanno accolto molti vocaboli dal greco e dal latino, da lingue romanze (in
primo luogo dal francese) e anche da altre lingue germaniche. L’inglese è la lingua con una
maggiore permeabilità al prestito, mentre al polo opposto si colloca l’islandese (islandese per
parole di origine straniera crea neologismi con materiale lessicale endogeno). Prestito e
mutamento linguistico I prestiti sono quelle parole o parti di parole che una lingua assume da
un’altra lingua, adattandole al suo sistema fonologico e morfologico. L’adozione di un nuovo
lemma in un sistema linguistico provoca in genere un cambiamento, tanto più radicale se la
nuova voce assume il significato di una forma indigena.

In questi casi si possono verificare due situazioni: o la voce indigena diventa obsoleta e
scompare dall’uso oppure assume un’accezione periferica. Il nuovo significato assunto dalla
parola indigena è semanticamente più circoscritto, e/o appartenente ad un registro meno elevato,
fenomeno che si verifica soprattutto quando la lingua da cui si prende il prestito ha maggior
prestigio. La maggior parte dei prestiti è costituita da sostantivi ed aggettivi, meno da verbi e
ancor più raramente da preposizioni e congiunzioni. Verbi entrati come prestiti seguono la
coniugazione regolare. Prestiti e linguistica storica Spesso può verificarsi la situazione
secondo la quale il sostantivo si integra nel sistema della lingua d’arrivo, per questo il prestito
non è più riconoscibile come tale. Es. Kaufen in tedesco, cheap in inglese provengono entrambe
dal latino “caupo”: una volta introdotte nel lessico della lingua hanno subito variazioni
fonologiche e spostamenti semantici, cambiando dunque significato. L’analisi della fonetica dei
prestiti può essere d’aiuto per stabilire l’epoca in cui il prestito è stato accolto o può contribuire
alla datazione di fenomeni fonetici, nonché ricostruire la pronuncia di fasi antiche della lingua.
(per es. pag. 179-180) Calco Si parla di calco quando un concetto o un elemento nuovo,
importato da una cultura diversa, viene reso non direttamente con un prestito da quella lingua,
ma sfruttando il lessico della lingua d’arrivo, in genere tramite traduzione o perifrasi. Rispetto
al prestito, prevede un alto livello di bilinguismo, in quanto è necessario riconoscere gli
elementi della forma che si intende riprodurre.

I calchi vengono differenziati in calco strutturale e calco semantico. Il primo è un


neologismo, creato usando materiale lessicale e suffissi derivazionali della lingua che accoglie,
avendo come modello la parola della lingua di partenza. (audiolibro>audiobook) Il calco
semantico è un vocabolo già presente nel lessico della lingua di arrivo, in cui assume un nuovo
significato, sul modello della lingua di partenza, senza modificare la propria morfologia o
struttura. (es. navigare usato come in inglese per intendere internet, to surf- to surf the internet)

I calchi nelle lingue germaniche antiche sono molto numerosi nell’ambito del lessico
intellettuale e sono dovuti alla necessità di ampliare il lessico per esprimere concetti nuovi.
(vocabolario della religione cristiana – poiché furono in gran parte i missionari anglosassoni a
evangelizzare i popoli germanici gran parte dei calchi furono trasmessi in inglese antico) I
calchi semantici sono in gran parte ancora oggi nel lessico delle lingue germaniche, mentre
quelli strutturali spesso scompaiono già nel periodo medio. In particolare l’inglese sostituisce i
calchi con prestiti dal francese.

GERMANICO E CONTATTI LINGUISTICI NEL MONDO ANTICO Celtico e


germanico Ci sono alcuni “celtismi” facilmente identificabili in germanico, come “isarma-”
(celt. isarno), ovvero, ferro (basti pensare alla perizia dei Celti nella lavorazione del ferro)
oppure “rika-” (celt. rig), vale a dire re. (organizzazione sociale dei celti prevedeva un re) Non
tutti i celtismi sono facilmente identificabili in quanto i contatti diretti tra Celti e Germani sono
limitati, sul continente, al periodo antico. I prestiti entrati in questa fase sono comuni a tutte le
lingue germaniche. Del tutto diversa è la situazione in Gran Bretagna, abitata dai Celti che però
furono relegati dall’espansione degli Angli e dei Sassoni nelle regioni periferiche dell’isola,
dove tuttora si parlano varietà di celtico. (maggior parte dei prestiti più antichi riguarda termini
che descrivono il paesaggio, la pastorizia, gli animali). Altro canale di trasmissione di parole di
origine celtica in inglese è rappresentato dall’attività evangelizzatrice dei missionari irlandesi.
(vocaboli legati alla religione, alla vita monastica che tramite l’inglese sono entrati nel lessico
di altre lingue germaniche)

Greco e germanico La diffusione del cristianesimo e la traduzione della Bibbia furono il


veicolo per la trasmissione di vocaboli greci appartenenti al lessico della religione nelle lingue
germaniche. (sia tramite prestito che tramite calco) Alcuni vocaboli sono attestati in tutte le
lingue germaniche e sono tuttora in uso nelle lingue moderne, altri invece sono soltanto della
tradizione gotica e sono quindi scomparsi con la fine di questa. (es. vocaboli religiosi … chiesa
deriva dal greco “ecclesia”- nelle lingue germaniche viene introdotto tramite il latino nella
variante “kuriakon doma”, casa del signore)

Latino e germanico I contatti tra mondo germanico e mondo latino sono durati diversi secoli e
sono stati particolarmente intensi, favoriti soprattutto dalla contiguità geografica. Il numero di
voci di origine latina nel lessico di lingue germaniche è molto alto già nel periodo antico. Gran
parte di questi termini appartengono al lessico base e sono termini di uso comune. A questi si
aggiungono in età moderna i prestiti indiretti, ossia voci con etimo latino entrate attraverso
lingue romanze o latinismi colti, a cui le lingue germaniche continuano ad attingere per la
creazione di neologismi. La gran parte dei latinismi delle lingue germaniche antiche fanno
ancora parte del vocabolario delle lingue moderne, altre parole sono sparite con il tempo. Nel
descrivere l’apporto del latino alle lingue germaniche si distingue in due fasi: una più antica, dai
primi contatti tra Germani e Romani fino alla fine dell’età delle migrazioni e una seconda fase
quando Angli, Sassoni e Iuti fondarono i loro regni in Inghilterra e iniziò l’ascesa dei Franchi
con la dinastia dei Merovingi.

Il primo strato di prestiti nelle lingue germaniche risale al periodo della colonizzazione romana
e si tratta di voci correlate all’edilizia e al commercio: i Romani costruivano strade, archi,
edifici in pietra ed esportavano prodotti mediterranei come olio, vino, spezie. Un’altra ondata di
latinismi entra con la cristianizzazione e con la conseguente organizzazione della vita
monastica, sia religiosa che intellettuale. (in particolare i latinismi in ambito religioso vengono
introdotti in un primo momento con la fondazione di chiese e monasteri e in un secondo
momento durante il periodo della riforma benedettina) Tra i latinismi vanno annoverati anche
quelli della terminologia grammaticale.

FRANCESE E LE LINGUE GERMANICHE Il francese, più di tutte le lingue romanze, ha


più contatti con le lingue germaniche. Oltre al fattore geografico, il francese ha molta influenza
per l’ascesa politica ed economica della Francia e per la diffusione della cultura
cortese. Francese ed inglese L’inglese è la lingua germanica che presenta il maggior numero di
francesismi. L’influsso francese è stato la prevedibile conseguenza di due secoli di dominazione
normanna. Il notevole apporto di vocaboli francesi ha influenzato la fonologia e la grafia
dell’inglese medio, modificando l’inventario dei fonemi. Per es: la fricativa labiodentale sonora
[v] occoreva, in inglese antico, solo in contesto intervocalico sonoro ma mai in posizione
iniziale. Con l’ingresso di termini francesi, possiamo trovare la [v] anche ad inizio parola: very,
virtue, voice, village. La maggior parte del lessico riguarda la sfera cortese e quella
amministrativa e della corte. (government, royal, court, assembly, majesty) della religione e
della vita militare (army, navy). L’ingresso di un così gran numero di nuovi vocaboli provoca
una riorganizzazione completa del vocabolario della lingua inglese (alcune parole scompaiono e
vengono sostituite da quelle francese, altre restano e formano coppie binarie differenti per
significati più specifici o generici) e molte parole sopra citate entrano così profondamente nel
lessico che vengono usate per formare composti e derivati (gentle>gentleman;
faith>faithless) Francese e tedesco Nell’area linguistica tedesca non si sono create situazioni
analoghe a quella inglese, ma il francese ha contribuito lo stesso all’arricchimento lessicale. Si
tratta, anche in questo caso, di parole relative al mondo cortese. Nella prima metà del XIV sec.
cade in disuso la maggior parte dei prestiti di origine francese legati al mondo cortese entrati nel
corso del XIII, in quanto il mondo cortese decade. Altre voci si sono conservate, ma con diverso
significato. (pris … preis, prezzo o valore economico anziché premio) Molti prestiti sono da
considerare come “prestiti di ritorno”, in quanto originariamente vocaboli del lessico
germanico, entrati nel francese antico tramite i Franchi o i Normanni, come garçon, da cui
garzun “paggio”. Il francese e nederlandese: un contesto ulteriormente diverso si configura
per l’area nederlandese, che si distingue in parte settentrionale (Paesi Bassi) e zona meridionale
(Fiandre). In quest’ultima si registra una maggiore influenza per motivi politici e culturali con il
lessico francese. Anche per il nederlandese parte del lessico di origine francese riguarda il
mondo della cavalleria e delle corti, ma scomparirà con la scomparsa del mondo cortese. Il
nederlandese, anche grazie alla sua posizione geografica, ha avuto un importante ruolo nel
trasmettere alle altre lingue germaniche calchi o prestiti dal francese. (cavaliere dal francese in
ned. Ridder>ted. Ritter)

Il francese, il nordico e il frisone: nel lessico del frisone si registrano molte voci del francese
antico, legate al mondo della corte. Anche nelle lingue nordiche entrano, tra il XIII e il XIV
sec., molte parole di origine romanza, tramite il bassotedesco e l’inglese medio.

INFLUSSI TRA LINGUE GERMANICHE Dal basso-tedesco alle lingue nordiche: i


rapporti con l’area tedesca settentrionale vennero intensificati durante gli anni della Lega
Anseatica, quando la Hansesprache, la varietà del basso- tedesco adoperata come lingua
comunitaria, ebbe molta influenza sulle lingue scandinave: in questo periodo tante parole del
basso tedesco sono entrate nel lessico delle lingue scandinave (sv. Billig>billik in btm.). Il
basso-tedesco condivideva con le lingue nordiche alcuni fenomeni come:

• Assenza della seconda mutazione consonantica; • Conservazione delle vocali lunghe; •


Mancata assimilazione dei nessi –mp –nk –nt • Affissi come an, bi, for, fӧr; • Morfemi
derivazionali: -inde –inne –inna

La maggior parte del lessico trasmesso fa parte dell’area commerciale, ma attraverso la


mediazione basso-tedesca si diffonde anche la cultura cortese Dal norreno
all’inglese: vocaboli del norreno nell’inglese sono documentati già per l’inglese antico. La
maggior parte dei prestiti è attestata soltanto dalla fase media. La maggioranza dei termini di
origine scandiva riguarda il vocabolario di base dell’inglese (es. angry, sister, to ask, dog),
mentre i prestiti dal latino e dal francese riguardano campi molto più ristretti. Il contributo delle
lingue scandinave alla formazione dello standard inglese spiega la presenza di molte forme
nordiche nell’inglese moderno. La presenza di elementi norreni è distribuita geograficamente in
modo non uniforme, al nord e in Scozia nei dialetti vi sono più elementi scandinavi che nel
sud. Il frisone e le lingue scandinave: il frisone, nel momento della sua maggior espansione
commerciale, per la sua posizione sul canale commerciale nel Mare del Nord, ha contribuito ad
arricchire il lessico delle popolazioni nordiche, nell’ambito del commercio e dei mezzi di
trasporto. Il gotico e il tedesco superiore: il gotico ha lasciato tracce nelle varietà dialettali
superiori, come il bavarese, tramite l’attività missionaria della Chiesa ariana. Qualche termine si
trasmette a tutte le lingue germaniche (come got. “daupjan” battezzare> taufen in tedesco;
fulwian in ia.) ma la maggior parte non ha corrispondenze al di fuori dei dialetti tedesco
superiori.

PRESTITI ED ONOMASTICA Il materiale onomastico è fonte di informazioni, per la


conoscenza culturale e per l’acquisizione di dati utili alla ricostruzione del sistema fonetico di
una varietà linguistica. Occorre però valutare con cautela il materiale in questione, per via delle
modifiche o degli adattamenti che possono aver subito i nomi. Non esistono meccanismi
automatici nella corrispondenza tra la lingua e l’appartenenza a una popolazione e le modalità
di assegnazione di un nome (antroponimo) a volte sono legate a mode passeggere. Anche gli
elementi toponomastici non riflettono necessariamente una corrispondenza biunivoca tra lingua
e cultura.

In ogni caso, se usate con la dovuta cautela, le fonti onomastiche diventano importanti per la
ricostruzione dei dati linguistici di una determinata lingua. Toponimi Con toponimo intendiamo
nomi di paesi e città, nomi propri di elementi del territorio, nomi dei corsi d’acqua, di monti. I
toponimi sono documenti del contatto tra popolazioni ed aiutano a delineare gli ambiti in cui
queste ebbero maggiore influsso. Toponimi celtici: l’apporto del celtico si nota soprattutto
negli idronimi; per esempio:

• Reno < ie. Reinos, fiume; • Thames < Tam, scorrere; • Avon < Afon, fiume; • Dover < dwr,
acqua.

L’influsso del celtico è particolarmente evidente nella toponomastica inglese perché il celtico
aveva un tempo una notevole diffusione, prima che non fosse relegato nelle aree periferiche
dell’isola. I toponimi celtici non sono distribuiti in modo uniforme (regioni ad ovest come
Galles, Irlanda e Cornovaglia dove il celtico è tuttora parlato e a nord in Inghilterra
settentrionale e Scozia, dove in passato ha avuto notevole importanza ed è rimasto nei dialetti)
Molte parole celtiche sono riconoscibili anche nella toponomastica (Eastcomb,
Duncombe) Toponimi latini: molti in area inglese, dove la dominazione romana è durata per
secoli. I toponimi inglesi conservano una struttura bimembre, in cui solo un elemento è latino.
Per esempio:

• Stratford < lat. Strata “strada” + ia. ford “guado”. Lungo le coste meridionali sono presenti
toponimi con il sostantivo portus: Portchester, Portsmouth, Portland. Nella toponomastica
inglese ricorre lat. Castrum, castra che per palatizzazione, diventa in ia: ceaster (Manchester,
Chester, Winchester). Accanto a queste abbiamo anche forme senza palatizzazione come
Lancaster, Doncaster. Nell’Europa centrale, nelle regioni renane, la presenza dei toponimi latini
è maggiore. (Köln deriva da Colonia, Augsburg deriva da Augusta) Toponimi norreni: sono
distribuiti in modo rilevante nell’ex Danelaw, dove il dominio danese fu di lunga durata. Sono
riconoscibili dalla seconda parte del nome, costituita da un elemento lessicale relativo alle
modalità di stanziamento, come:

• By > Gateby; • Nes > Locness; • Porp > Austhorpe

Land > Finland, Island, Varmaland; in questo caso il primo elemento descrive caratteristiche
geografiche, relative al mondo della natura. I toponimi nordici sono “toponimi trasparenti” in
quanto tendono a descrivere il luogo e il suo uso, piuttosto che ricordarne la storia. LINGUE
GERMANICHE ANTICHE IN ITALIA Una buona parte del lessico ereditato dai “barbari
invasori” appartiene tuttora al nostro lessico ed è integrato nel nostro sistema linguistico. Goti,
Longobardi, Franchi hanno lasciato molte tracce nel lessico e nell’onomastica, senza andare ad
intaccare la lingua latina, quella dominante. Seppur incontrando molte difficoltà data la
frammentarietà delle fonti ma anche dal tipo delle fonti (in italiano restano per lo più parole di
uso giornaliero che raramente si trovano in fonti scritte), possono essere ricostruite le eredità
delle lingue germaniche antiche per l’italiano. Deriva dal got. Haribergo, albergo; bega, litigio.
Dal longobardo faida, vendetta familiare.

Del francone restano per lo più parole legate all’ambito giuridico ed amministrativo, in quanto
il regno dei Franchi lasciava che in Italia fossero presenti prevalentemente nobili e funzionari e
quindi i contatti tra le due lingue e culture riguardavano per lo più i ceti più elevati.

Cap.6- LE LINGUE GERMANICHE NEL PRESENTE: AREE, PARLANTI E


POLITICHE LINGUISTICHE 
Le lingue germaniche parlate oggi con status di lingua ufficiale sono:

1. Lingue occidentali: inglese, tedesco, nederlandese, frisone, lussemburghese, afrikaans,


jiddish

2. Lingue nordiche: islandese, norvegese, danese, svedese, feringio Le lingue sopra elencate
presentano situazioni molto disomogenee tra loro rispetto a:

• Numero di parlanti: nessuna lingua eccetto l’inglese conta un alto numero di parlanti al di
fuori dell’Europa

• Distribuzione territoriale in Europa e negli altri continenti: inglese ha estensione mondiale,


tedesco la più diffusa territorialmente in Europa

• Status sociolinguistico: alcune sono lingue nazionali, altre hanno status ufficiale oppure sono
lingue regionali (lingue parlate in una parte del territorio di uno stato) o minoritarie (lingua
parlata da una minoranza della popolazione che parla la lingua maggioritaria dello stato).

Lingue nordiche. Islandese: parlato solo in Islanda, lingua più conservativa di tutte le lingue
germaniche. Morfologicamente è identico all’islandese antico, gli unici cambiamenti intervenuti
sono quelli fonetici (quantità vocalica non più distintiva, occlusive sonore sostituite da
consonanti palatali) Isolamento geografico si riflette anche nella formazione di neologismi:
islandese non accetta prestiti, ma crea neologismi con materiale lessicale endogeno.

CAPITOLO 7 – LA TRADIZIONE GERMANICA 

La filologia germanica si dedica all’indagine di quei tratti che possono considerarsi appartenenti
ad un nucleo germanico comune, ricavabili nei testi di diritto o nella poesia eroica. D’altra parte
va tenuto in conto che la cultura delle popolazioni germaniche è stata per molto tempo orale,
perciò molte fonti sono indirette nel senso che le prime fonti che ci arrivano sulla cultura e la
tradizione germanica sono in altre lingue. Inoltre, va ricordato che la diffusione della scrittura in
area germanica non è nelle varie lingue germaniche ma per l’area occidentale in latino e per
quella orientale in greco. Per questo anche quando un testo è ideato da personaggi di
discendenza germanica è scritto in latino. Il trattato di Tacito e il Widsip di Diacono ne sono
una prova.

Per quanto ci siano tracce di una tradizione comune tra gli antichi germani, non si può
parlare di un complesso omogeneo identificabile come “letteratura germanica antica”. E
le varie culture, norrena\anglosassone\basso, alto-tedesca, vanno considerate come discendenti
della cultura germanica ma non come equivalenti a quest’ultima.

ORALITA’ E SCRITTURA Arrivo della scrittura nel mondo germanico: si possono


considerare 4 diverse ondate.

1. Il primo contatto con la scrittura è avvenuto tramite il mondo romano (scrittura per
amministrazione imperiale e pragmatica, quest’ultima dedicata a commercio, ordini militari,
lettere)

2. Un secondo approccio con la scrittura è testimoniato dalle iscrizioni runiche che utilizzano un
alfabeto di probabile derivazione italica. È nella seconda fase che si inizia a parlare di
letterarizzazione della cultura germanica, in quanto in questa fase inizia la messa per iscritto di
parole e frasi in lingua germanica.
3. Impulso legato alla cristianizzazione. (Visigoti- traduzione Bibbia in gotico) 4. Espansione
del cristianesimo cattolico. Il latino diventa lingua della religione cattolica, imperante in Europa
occidentale.

Caratteri della tradizione orale nelle lingue germaniche: Metro e ritmo La prima eredità
della cultura germanica comune è un particolare tipo di verso, diffuso in tutta l’area germanica.
Si tratta del cosiddetto verso lungo allitterante, vale a dire un verso lungo articolato in due
emistichi separati da una cesura. Il collegamento tra i due emistichi è dato dall’allitterazione. La
più antica documentazione è l’iscrizione runica sul Corno di Gallehus, del 400 d.C, altre tracce
letterarie sono il “Canto d’Ildebrando” e il Beowulf. Vocabolario poetico Le composizioni
poetiche, oltre ad avere precise caratteristiche ritmiche e strutturali, hanno anche un lessico che
si distingue da quello usato nella prosa. Nella prosa si usano parole del vocabolario corrente,
mentre nella poesia si mantenevano termini obsoleti/arcaismi. Quando troviamo arcaismi sia in
poesia che in prosa, questi hanno significato diverso. Per esempio: mere, mare in poesia e
stagno in prosa. In poesia si registrano molti termini che sono spostamenti di significato, come
la sineddoche (es.: legno, per descrivere la nave). Oltre a queste figure retoriche, troviamo
metafore e metonimie.

Repertorio formulare Uso estensivo di formule, sequenze fisse di elementi linguistici, che ben
si adattano ad essere usate in situazioni ricorrenti, nelle stesse condizioni metriche. (es. forma
che introduce il discorso diretto, dove il nome di chi parla è spesso unito al nome del padre
“Beowulf disse, figlio di ECGTHEOW”) Una formula fissa è, per esempio: Hwaet, we, che
richiama l’attenzione del pubblico. (“Ascoltate, parleremo di questo”) L’uso di formule fisse era
necessario per la memoria. Composti dvandva Caso interessante di conservazione di termini
arcaici, pangermanici. I “dvandva” sono dei composti che si riferiscono a due o più entità che
possono essere collegate dalla congiunzione “e”: il significato che ne risulta è dato dalla somma
dei termini base (es. cassapanca, süß-sauer)

La filologia germanica e le lingue moderne (Leonardi, Morlicchio), Appunti di Filologia


Germanica

La filologia germanica e le lingue moderne (Leonardi-Morlicchio) Cap. 1: Germani,


germanico e filologia

Il Gradit fornisce diversi significati per il termine “germanico”:

Tre come aggettivo: 1. Agg. AU (alto uso) degli antichi Germani: popoli germanici, religione
germanica,

diritto g.

2. Agg. CO (comune) della Germania: tedesco: confederazione germanica

3. Agg. TS (tecnico/specialistico) ling., proprio delle lingue parlate dagli antichi Germani o di
quelle moderne, che da esse sono derivate.
Uno come sostantivo:

1. Sost. s.m. TS ling., in linguistica storica, lingua originaria, non attestata ma ricostruita, dalla
quale derivano le diverse lingue germaniche storicamente documentate.

Per questo possiamo affermare che in ambito linguistico il termine germanico è collegato alle
lingue parlate dagli antichi germani ed è esteso alle lingue moderne da esso derivate.

Il concetto di germanico è stato introdotto per la prima volta da Franz Bopp nel 1800.

La struttura tra lingue germaniche e lingue latine è la stessa ma differisce in vocalismo e


articolazione consonantica. La labiovelare è un’occlusiva sorda nella lingua latina e una
fricativa sorda nelle lingue germaniche; la dentale è un’occlusiva sonora in latino e
un’occlusiva sorda nelle lingue germaniche. Le lingue germaniche sono quelle diverse lingue
che derivano da una norma linguistica riconosciuta dalla quale derivano.

Germanico orientale: gotico, oramai estinto; Germanico occidentale: inglese, tedesco,


nederlandese, lussemburghese, frisone, afrikaans, jiddish; Germanico settentrionale (lingue
nordiche): norvegese, svedese, danese, islandese, feringio.

Contatto tra Roma e Germani: Roma si era alleata con i Galli per difenderli dalle mire
espansionistiche dei popoli germanici. Si era costituito un confine, il limes, che divideva le
regioni dell’Impero Romano da quelle abitate dai Germani e aveva lo scopo di tracciare un
confine politico-economico. Germania Superior nel sud montuoso, popolata dai Celti;
Germania Inferior nel nord pianeggiante; Megale Germania o Germania Magna, situata oltre il
limes.

Le documentazioni sulle popolazioni germaniche ci sono pervenute dall’opera di Tacito,


“Germania” e in modo minore dalla storiografia di Cesare “De bello gallico”.

Fasi della documentazione: • Preistoria: assenza di fonti scritte; le informazioni su un gruppo


(etnia) vanno

ricavate da graffiti, fossili, strumenti di indagine di discipline come l’archeologia e la


paleobotanica;

• Protostoria: le documentazioni scritte esistono ma sono scarse e lacunose; • Storia: la


documentazione è diretta.

Nel III secolo il termine “GERMANICO” comincia a scomparire, sostituito da etnonimi come
Goti, Vandali, Longobardi, Rugi, Burgundi. Nel V-VI secolo il termine sparisce. Si parla
sempre più spesso di gens gotica che non è considerata come gens germanica. Sono i Franchi e
gli Alamanni che sostituiscono il nome dei Germani. Nell’ VIII sec. il termine ritorna, associato
alle popolazioni delle migrazioni, leghe di stirpi che si aggregano spinte da un’idea politico-
militare comune sulla quale sviluppano la loro etnia. Germanicae gentes: termine usato per
indicare le popolazioni pagane con cui vengono in contatto i missionari anglosassoni durante le
loro campagne di cristianizzazione.

Il significato di Germani e germanico può variare a seconda della prospettiva di ricerca; può
essere usato per riferirsi a un’istituzione, ad una pratica letteraria. Per alcuni storici, invece, i
Germani sono solo quei popoli che provenivano dalla regione denominata “Germania”.
Nel XX sec. si afferma la germanistica: scienza che ha come oggetto la lingua e la letteratura in
tedesco.

Tedesco- teutonico: Il termine italiano “tedesco” è legato alla parola tedesca DEUTSCH ed alla
parola inglese DUTCH (nederlandese). La parola italiana, deriva dalla latina THEUDISCUS,
attestazione dell’8° secolo, prestito della lingua germanica: si tratta di una formazione
aggettivale, tramite il suffisso –iska, dalla radice germanica –peud che significa “popolo”. Per le
variazioni grafiche relative alla pronuncia del dittongo e alla qualità sorda o sonora
dell’occlusiva dentale si ha: theudiscus > theotiscus > thiudiscus. La parola latina è ritenuta un
prestito da varietà altotedesche. Il termine theudiscus si riferiva solo alla lingua, fino al XII sec.
Successivamente, in area tedesca, si comincia ad osservare uno spostamento di significato e
l’aggettivo viene unito a sostantivi come: Liuti: popolo, gente; Man: uomo; Erde: terra; Richi:
regno Insieme a questa variazione, si è verificato anche un restringimento semantico: non
identificava più tutte le popolazioni germaniche, ma si limitava a quelle che vivevano
all’interno del vecchio regno carolingio. In questo modo si arriva al significato odierno.

Il senso politico ed etnico conosce altri restringimenti: Tedesco come lingua è una lingua
plurinazionale, ufficiale in Germania, Austria e Liechtenstein e una delle lingue ufficiali in
Lussemburgo, Svizzera, Alto Adige/Sud Tirol. Con letteratura tedesca si intende tutta la
produzione scritta in tedesco. Chi ha però la cittadinanza tedesca è cittadino solo della
Repubblica Federale Tedesca.

L’inglese Dutch si riferisce ai Paesi Bassi. Fino alla prima età moderna aveva un’estensione
maggiore: Paesi Bassi, cantoni fiamminghi e tedeschi del Belgio, Germania, Austria, talvolta
Danimarca. Nel 18° sec. Dutch restringe il suo significato fino all’attuale.

Jacob Grimm, filologo e linguista, utilizza il termine Deutsch in senso estensivo (come si usa il
termine germanico).

Teutonico: risale anche questo termine all’epoca medievale. Era utilizzato come sinonimo di
tedesco in contesto dispregiativo. Teutonicus: si richiama ad una gens citata dagli storici antichi
utile a nobilitare la lingua e le popolazioni derivate da queste. Teutonismi: varianti nazionali
della Germania.

Filologia e filologia germanica: Esistono due definizioni: una più specialistica che si riferisce
alle disciplina che ha come oggetto l’interpretazione corretta dei documenti scritti. Inizialmente
la filologia è stata classica e si riferiva ai testi greci e latini; poi è stata applicata alle lingue
“morte” come l’ebraico biblico e il sanscrito. I filologi ottocenteschi estesero il loro campo di
studi alle fasi antiche delle lingue europee moderne.

La filologia era una disciplina che ha dato le basi alla linguistica. L’ectodica, la critica testuale,
punta ad avvicinare un testo alla sua forma originaria. Karl Lachmann è il padre di questa
disciplina.

Il metodo Lachmanniano esamina la tradizione pervenuta, per creare un albero genealogico che
permetta di stabilire una parentela tra manoscritti.

Bédier critica il metodo ricostruttivo di Lachmann, considerandolo insoddisfacente perché


troppo meccanico e positivista. Bédier propone, invece, di scegliere un manoscritto e di editare
quel particolare testo, riducendo le emendazioni.
Questi spunti sono stati elaborati da un filone di ricerca noto come New Philology (dal titolo di
un articolo sulla rivista Speculum) che cercava nuovi impulsi per una nuova filologia
(etimologia: filo, logos > amore per la parola), con attenzione per quanto sta dietro al testo.

Filologia germanica: comprende gli studi delle testimonianze scritte nelle lingue germaniche e
la cultura delle popolazioni germaniche. Si cercano aspetti comuni che identificano lo stesso
nucleo germanico.

Cap.2: Le lingue germaniche nel passato

Schleicher, nell’800, suddivide le lingue germaniche in tre gruppi: Germanico settentrionale:


danese, svedese, norvegese, islandese, feringio; Germanico occidentale: inglese, tedesco,
nederlandese, frisone; Germanico orientale: gotico.

Generalmente si riconosce una differenza tra germanico occidentale e germanico orientale, ma


se alcuni studiosi considerano più caratteristiche le isoglosse tra gotico e lingue nordiche, altri
reputano più significativi i tratti comuni tra nordico e lingue occidentali.

Descrivere e confrontare i sistemi linguistici delle lingue germaniche presenta però delle
difficoltà che riguardano:

• Cronologia delle documentazioni; • Tipologia delle documentazioni; • Assenza di variazioni


(errori) nella documentazione; • Valutazione dei tratti linguistici condivisi.

Le lingue germaniche nell’antichità e nell’età medievale (vedi schema).

I Germani in Italia: Nel V sec., i Visigoti, guidati da Alarico, si stanziarono fino al Sud della
Calabria. Con Ataulfo arrivarono in Spagna, dove nel 711 furono cacciati dagli arabi. Nel suolo
italico hanno lasciato poche tracce linguistiche. Oltre ai Visigoti, nel V sec. giunsero nella
penisola anche gli Ostrogoti, guidati da Teoderico. In questo caso non si può parlare di
un’invasione in senso stretto, ma piuttosto di una missione militare affidata dall’imperatore
romano d’Oriente Zenone per contrastare Odoacre, che nel 479 aveva deposto l’imperatore
d’Occidente, Romolo Augustolo. Con la sconfitta di Odoacre, comincia l’era dei Goti in Italia.
Le ricadute linguistiche sono numerose, grazie anche alla politica teodericiana, volta alla
collaborazione politica con i romani. Tra le documentazioni che attestano la presenza dei Goti
nella nostra nazione citiamo il Codex Argenteus, la Bibbia di Vulfila. Nel 569 i Longobardi, un
gruppo di diverse popolazioni germaniche che si aggregarono fra di loro durante la migrazione,
conquistarono l’Italia Settentrionale per poi spingersi verso la Toscana, Spoleto e Benevento.
Proprio Benevento conserverà l’eredità culturale dei Longobardi durante gli anni di conquista
da parte dei Franchi. Il regno longobardo finì nel 774, dopo la conquista di Pavia da parte di
Carlo Magno. Non abbiamo molte testimonianze linguistiche, le fonti sono per la maggior parte
indirette.

Cap.3: Dal germanico alle lingue germaniche

Tra le lingue germaniche e le lingue romanze esiste una corrispondenza regolare del
consonantismo iniziale: le lingue romanze hanno un’occlusiva, le lingue germaniche una
fricativa. Queste corrispondenze hanno ristrutturato l’inventario consonantico ereditato
dall’indoeuropeo e rappresentano il tratto distintivo delle lingue germaniche. Ma la prima
mutazione consonantica, o prima legge di Grimm, non è l’unica descrizione possibile per
spiegare questi cambiamenti. *occlusive sonore ie => occlusive sorde germ. ; *occlusive sorde
ie => fricative sorde germ, ; Gli esiti delle occlusive sonore aspirate ie sono dipendenti dal
contesto: si realizzano come occlusive sonore in posizione iniziale, mentre come fricative
sonore in posizione intervocalica e dopo liquida o nasale. Per quanto riguarda l’esito delle
occlusive sonore labiovelari ie, ricostruite sulla base di alcune lingue come il latino e il gotico,
nelle lingue germaniche si avrà una sequenza velare+ w. Per questo non è necessario partire da
un sistema ie con quattro serie consonantiche.

Nella prima mutazione consonantica si perdono i tratti [+ sonoro] e [+ ostruente], una tendenza
che si manifesta con cambiamenti più evidenti nel consonantismo dell’ata (altotedesco antico)
con fenomeni di fricativizzazione e affricazione delle ostruenti che

introduce nel sistema germanico la serie consonantica delle fricative; nell’ie erano rappresentate
solo dalla fricativa labiodentale *S.

La descrizione delle cause e delle fasi delle trasformazioni deve basarsi sul confronto tra la
lingua di partenza e quella di arrivo, senza trascurare i limiti tra sistema grafico e fonetico. Per
esempio la grafia delle lingue germaniche non consente di distinguere tra la fricativa velare [x]
dalla laringale [h] rese entrambe con il suono <h>. Dal momento che la prima mutazione
consonantica si è verificata prima che iniziasse una tradizione scritta, non abbiamo
documentazione degli stadi intermedi né possiamo ricostruire una variazione diatopica della sua
diffusione.

I documenti più antichi, come l’iscrizione runica datata IV sec., ne mostrano gli esiti. Datazione
prima mutazione consonantica: V-III sec. Dopo questo periodo il consonantismo non è stato più
modificato. Ancora da definire è la questione relativa alle fasi di trasformazione del
consonantismo. Secondo Theo Vennemann, sostenitore della teoria delle glottidali, il sistema di
partenza è il seguente:

1. Occlusive sorde, probabilmente glottidali; 2. Occlusive sorde leni; 3. Occlusive sorde


aspirate.

Nel gruppo delle lingue germaniche si verificano una serie di mutazioni: Occlusive sorde
aspirate che diventano fricative; Sorde glottidali che diventano o occlusive sorde aspirate
oppure affricate (2^ mutazione consonantica).

Proprio perché il consonantismo è un fenomeno produttivo fino al III sec. a.C., molte parole
conservano il consonantismo ie: cheese < ia cese, ted. Kase < ata kasi, ned. Kaas; oppure tile <
ia tigele, sa tegala, ned tegel. Queste parole sono entrate come prestiti dopo che il fenomeno
aveva smesso di essere produttivo. Non tutti sono prestiti tardi, ci sono delle eccezioni: i nessi
consonantici st, sk, sp neutralizzano il cambiamento per motivi fonotattici. Analogamente si
comportano i nessi di due occlusive: got. Ft/ht; lat. Pt/ct. In questo caso a P e K del latino
corrispondono le fricative germaniche F e H ma l’occlusiva dentale t rimane chiusa. Nel
consonantismo del germanico osserviamo anche altri cambiamenti che non rientrano nel quadro
dei fenomeni descritti da Grimm: sans. Saptà, gr. Heptà, got. Sibun, dove <b> indica una
fricativa sonora β e non una fricativa sorda f come ci saremmo aspettati secondo la prima
mutazione consonantica. Queste eccezioni vengono chiarite da Karl Verner, che notò come la
variazione fosse condizionata dalla posizione delle vocali rispetto alla sillaba accentata. Legge
di Verner: quando le occlusive sorde sono tra due vocali (contesto sonoro) o tra una vocale e
consonante liquida o nasale non precedute da accento, l’esito della mutazione non sarà una
fricativa sorda ma una fricativa sonora. La sonorizzazione interessa anche l’unica fricativa
ereditata dall’ ie: la fricativa sorda [s] che diventa [z].

Modelli accentuativi: nelle lingue moderne le parole ereditate dal germanico sono in genere
accentate sulla prima sillaba. Questo è un tratto peculiare del germanico, dove un accento
intensivo ha sostituito l’accento di tipo musicale e libero ie. L’accento libero o semilibero è un
accento non predicibile o dipendente da fattori grammaticali o fonologici e per questo può
fornire informazioni morfologiche o semantiche. Tracce del

modello ie sono documentate anche nello stesso germanico dall’alternanza sorda- sonora,
descritta da Verner. Si è trattato di un cambiamento di tipo paradigmatico da musicale a
intensivo e di tipo sintagmatico da libero a fisso; l’accento si sposta verso sinistra, quindi verso
la prima sillaba. La modificazione dell’accento è un fenomeno predocumentario databile
intorno al II sec. a.C. (epoca antecedente alla frammentazione delle lingue germaniche, perché
presente in tutte le lingue. Essendo un fenomeno che si ricostruisce tra due lingue non
documentate (ie e germanico), è difficile stabilire se si tratta di una modificazione dell’accento
o della sua natura e funzione. L’accento delle lingue germaniche assume una funzione
demarcativa: l’accento evidenzia l’elemento che porta l’informazione semantica. Qualunque sia
l’origine del processo, le vocali delle sillabe atone si indeboliscono e cadono. Ecco perché ci
sono molte parole monosillabiche nelle lingue germaniche. La posizione dell’accento sulla
sillaba radicale ha avuto anche altre conseguenze sul vocalismo germanico:

• Evoluzione diversa delle vocali in sillaba tonica; • Indebolimento della frontiera sillabica.

Accento nei composti: • Nei composti verbali l’accento cade sulla prima sillaba della radice
verbale. • Nei sostantivi e aggettivi derivati da un verbo con prefisso mantengono il

prefisso atono. • Sostantivi e aggettivi hanno l’accento sulla prima sillaba anche se si tratta di un

prefisso.

Modelli accentuativi nelle lingue germaniche oggi: i modelli accentuativi del germanico non
sono evidenti sia per i cambiamenti fonetici che per la presenza di molti prestiti che adottano
sistemi accentuativi diversi; ad esempio: implementieren, geographie ted., important, to
manipulate ingl. In altri casi il prestito è stato adattato al sistema accentuativo germanico. I
modelli accentuativi dell’inglese moderno sono molto complessi e prevedono numerose
eccezioni, ma si può dire in genere:

• Viene accentata la penultima sillaba se la vocale è lunga o se la sillaba ha una coda


consonantica;

• In parole polisillabiche l’accento non viene mai collocato più a sinistra della terza sillaba;

L’islandese e il feringio invece tendono a estendere il modello dell’accento in posizione iniziale


anche alle parole con prefissi e ai prestiti.

Le regole accentuative delle lingue germaniche tendono comunque a porre l’accento sulla
penultima nei bisillabi e nei polisillabi con la penultima sillaba pesante. Va sottolineato che
mentre nel germanico l’accento, in quanto fisso, non aveva valore distintivo, nelle lingue
germaniche ha assunto funzione distintiva perché si sono sviluppati modelli accentuativi
complessi conseguenti a cambiamenti fonetici, morfologici, lessicali. L’accento può distinguere
il significato di due parole graficamente identiche: kanon, canone e kanon, cannone (sv.)

Il sistema vocalico germanico: poggia su due tratti, la quantità e il luogo di articolazione.


Rispetto all’ie che prevedeva cinque vocali brevi e cinque vocali lunghe, il germanico presenta
due serie asimmetriche: i e a u – i e o u L’ie *O (lunga) diventa germ. *a mentre la vocale lunga
centrale ie. *A (lunga) si realizza come germ. *o (lunga). Dunque l’inventario dei fonemi del
germanico si modifica non solo rispetto al numero dei fonemi, ma anche rispetto alla loro
frequenza. Aumenta il numero delle occorrenze della *a, perché questa può essere esito di tre
vocali ie: *a, *o, *ә. Ma nelle fasi successive nelle singole lingue germaniche intervengono
fenomeni che ripristinano l’equilibrio del sistema e introducono le due vocali *a (lunga) e *o
(breve). La [o] compare nell’inventario fonetico delle lingue germaniche per fenomeni di
assimilazione parziale, come allofono di germ. *u davanti a vocale non anteriore e se non è
seguito da nasale. La [a] può essere esito di fenomeni di abbassamento di originaria e (lunga),
di monottongazione o di allungamento di compenso.

Lingue sintetiche e lingue analitiche: Le lingue germaniche, nelle loro fasi più antiche, furono
caratterizzate da una più ricca flessione nominale, e lo stesso vale anche per quella verbale.
Questo significa che queste lingue si trovavano collocate verso il polo delle lingue sintetiche,
dove cioè per esprimere funzioni e relazioni morfosintattiche si fa largo uso di morfemi legati
alla radice che è portatrice del significato lessicale. (Vedi latino, lingua sintetica).

La struttura dei sostantivi: nella ricostruzione tradizionale la struttura del nome indoeuropeo è
quella basata sul sanscrito, sul greco e sul latino e prevede:

1. Una radice; 2. Uno o più suffissi tematici; 3. Un suffisso flessionale (desinenze che
esprimono caso, genere e numero).

I sostantivi si assegnano a diverse classi, che, a seconda delle suddivisioni operate, possono
essere anche più di venti e prendono il nome dai diversi suffissi tematici. Questa stessa struttura
è ancora visibile nelle lingue germaniche antiche e viene ricostruita per il germanico.

Classe nominale in –a-: fanno parte sostantivi maschili e neutri. La declinazione dei neutri si
distingue da quella dei maschili perché non differenziano mai tra la flessione del nominativo e
dell’accusativo, per fenomeni di indebolimento della sillaba finale che privano i neutri della
vocale tematica. Classe nominale in –o-: comprende sostantivi femminili; Classe nominale in –
i-: sostantivi maschili; Classe nominale in –u-: sostantivi maschili, femminili, neutri. Le classi
con tema in vocale sono considerate classi “forti”.

Oltre alle classi con tema vocalico, vi sono classi “deboli” con tema in consonante tra le quali si
ricordano: Classe in –n-: comprendente sostantivi maschili, femminili, neutri; Classe in –nd-:
che raggruppa i participi presenti sostantivizzati; Classe in –r-: nomi di parentela;

Classe in –z-: sostantivi neutri.

Gli aggettivi: anche gli aggettivi hanno la propria declinazione. Nel caso della flessione debole
dell’aggettivo, quest’ultimo ha una funzione caratterizzante: esempio: nasus, nasonis, dal naso
grande. Sono frequenti nei cognomina latini (temi in –n-)

Nelle lingue germaniche moderne la declinazione debole è riservata agli aggettivi che sono
preceduti da un determinante.

Pronomi e determinanti: i pronomi sono classi di parole conservative che rendono difficile
individuare nelle lingue moderne tracce di riflessi di quelle antiche. Nelle lingue germaniche
antiche i pronomi si declinano per caso, genere e numero. Il pronome di terza persona singolare
distingue anche il genere e risale ad antiche forme di determinativo, “quello/a” per cui si
ricostruiscono tre diverse radici: Una prima radice ie: *EI/I da cui deriva il pronome m. sg. Got.
Is; Una seconda radice ie è *KI da cui la serie pronominale in –h- delle lingue ingevoni (vedi ia.
He m.sg. nom.) heo (ia f.sg. nom.), hi(e)/heo (pl.nom.-acc-). L’ultima serie ie. è *SO-/SA-,
utilizzato in particolare per i pronomi femminili (got. Si, ata. Si/siu, sa. Siu/sea). Per i
dimostrativi, essendoci sempre difficoltà nel ricostruire i paradigmi, si generalizza e si risale a
forme indoeuropee *SA/SO per nom. sg. m. e f. Mentre per tutte le altre forme si riconducono a
*TO.

I pronomi interrogativi e indefiniti derivano in genere da una radice *KWE-/KWO- e seguono


una flessione analoga a quella dei dimostrativi. Anche forme pronominali derivanti dalla radice
*SEM-/SOM-/SM- hanno avuto una larga diffusione nelle lingue germaniche, dando per es.
got. Sums “il medesimo”, fris. A. sumich “uno”, ned. Sommige “qualche”.

Formazione delle parole: quella che si è mantenuta più produttiva nelle lingue germaniche
moderne è quella che prevede l’utilizzo di suffissi e prefissi derivazionali. In seguito ai processi
di riduzione sillabica e agli esiti di altri fenomeni fonetici non è facile distinguere gli originari
suffissi indoeuropei. Tra i suffissi deducibili distinguiamo:

• Suffisso –TI per parole femminili; • Suffisso –TO per participi sostantivizzati; • Suffisso –TU
per parole maschili; • Suffisso –ISKO per appartenenza e provenienza etnica; • Suffisso –
IZON/-OZON per la formazione del comparativo regolare; • Suffisso –ISTA/-OSTA per la
formazione del superlativo.

Un’ulteriore possibilità di formazione delle parole è la composizione, risultante anch’essa


dall’indoeuropeo. Determinante+ determinato, dove il determinato si trova a dx del
determinante (es. corkscrew, cavatappi derivato dalla composizione di cork “tappo” + derivato
di to screw “tirare”).

Verbi nelle lingue germaniche: anche nella morfologia verbale le lingue germaniche portano
avanti diversi elementi dell’eredità indoeuropea, dove i verbi si riflettono considerando le
categorie di diatesi, modo e tempo, oltre a quelle di numero.

In tutte le lingue germaniche antiche non è difficile trovare chiare tracce della possibilità di
avere forme distinte per le diverse persone.

Tra sistema verbale germanico e indoeuropeo la maggiore discontinuità risiede nella flessione
dei tempi del passato. In germanico esiste infatti un’unica forma di passato sintetico, che
comprende forme che in latino, per esempio, sono distinte tra perfetto (azione nel passato) e
imperfetto (azione continuata nel passato). Le lingue germaniche si servono di costruzioni
perifrastiche per esprimere le diverse relazioni con gli eventi passati (vedi la forma in –ing
dell’inglese). Di eredità ie. è anche il modo imperativo e la distinzione tra modo indicativo e
modo congiuntivo.

Verbi forti e verbi deboli: nei verbi forti il participio passato è formato aggiungendo alla radice
del verbo il morfema –ed, mentre nei verbi deboli non solo si ha un morfema diverso in –en ma
si vede anche che il vocalismo della radice verbale è cambiato rispetto a quello del presente.

I verbi forti: seguono il modello di formazione del participio passato dei verbi indoeuropei. La
variazione vocalica dipende da alternanze apofoniche, cioè a un modulo di base che ha il
vocalismo dei temi del presente al grado medio –e, quello dei temi del passato al grado medio –
o e il vocalismo dei temi del participio passato al grado 0, assenza di vocale. Questo schema
non è più immediatamente riconoscibile per alcuni processi fonetici che hanno provocato
mutamenti nelle vocali toniche. Tuttavia, in alcuni casi, non è così difficile riconoscere il
paradigma. Nel caso dell’inglese e del tedesco l’alternanza tra grado –e, -o, e grado 0 è
evidente. Basti pensare che ie. *O > germ. *a e che le sonanti ie. sviluppano in tutte le lingue
germaniche come elemento d’appoggio la vocale u; l’originaria vocale e dei temi del presente
passa a i se seguita dal nesso nasale+consonante. Per lo sviluppo dei verbi forti il germanico ha
sfruttato una possibilità dell’eredità indoeuropea, organizzandola in un sistema nuovo, infatti il
modulo di base è stato modificato con l’introduzione di gradi allungati –e ed –o così che i
diversi verbi forti si possano ricondurre a sette classi distinte.

I verbi deboli: formano il passato aggiungendo alla radice un elemento in dentale (-d, - t) e sono
un’innovazione delle lingue germaniche. Il suffisso in dentale deriva dallo sviluppo di una
forma perifrastica che usava forme della radice ie. –DHE “fare”. In tutte le lingue germaniche,
il modulo produttivo per la formazione dei verbi è quello della flessione debole. Sono rari i
verbi che seguono la flessione forte e quei pochi che la seguono sono denominati come
“irregolari”. I verbi deboli sono più diffusi di quelli forti, considerati come tracce di una
flessione ormai passata. Per il germanico si distinguono diverse classi a seconda del suffisso:

1. Classe suffisso –ja con valore causativo; 2. Classe suffisso –o con valore intensivo; 3. Classe
suffisso –e originario che nelle diverse lingue diventa –a o –e, con valore

stativo; 4. Classe suffisso –n presente solo in gotico, con valore incoativo.

Verbi forti e legge di Verner: le forme del verbo essere al passato dell’inglese moderno
(was/were) mostrano un’alternanza tra vocalismo del singolare e del plurale e un diverso
consonantismo e vengono considerate come irregolari. Lo stesso accade con il verbo tedesco
schneiden – schnitt – geschnitten, dove abbiamo l’alternanza di dentale

sorda e sonora nella radice verbale. Queste alternanze si spiegano con la legge di Verner e sono
determinate dalla diversa posizione dell’accento nella flessione verbale ie.: il tema del presente
e del passato singolare avevano nell’ie. l’accento sulla radice verbale, mentre nel passato
plurale e nel participio passato l’accento cadeva sul morfema riflessivo.

I verbi preterito-presenti: le lingue germaniche hanno ereditato dalla fase antica alcuni modali
che sono contraddistinti da particolari tratti morfosintattici, per esempio:

• La reggenza dell’infinito senza preposizioni; • Morfema zero alla 3^ persona singolare;

Verbi deboli irregolari: questi verbi presentano alternanze nel vocalismo della sillaba radicale.
Tutti questi verbi si possono ricondurre a una stessa classe di verbi deboli, la prima, quella in –
jan dove l’approssimante palatale del suffisso ha provocato metafonia della vocale radicale. La
presenza/assenza della metafonia ha provocato alternanza nel vocalismo della sillaba radicale.
Per descrivere questo fenomeno è di largo uso il termine “Ruckumlaut”, che risale a Jacob
Grimm, secondo il quale i verbi di questo tipo avrebbero ripercorso all’indietro il fenomeno
della metafonia, ritornando al vocalismo originario.

Casi e relazioni sintattiche: La marcatura del soggetto: la possibilità di conferire al soggetto la


marcatura morfologica del verbo rendeva possibile l’assenza di un soggetto sintattico espresso,
così che sono frequenti i casi di omissione del pronome soggetto. Le lingue che permettono
l’omissione permettono anche l’omissione del soggetto formale nei verbi impersonali, come i
verbi metereologici.

Frasi secondarie e frasi secondarie: la posizione del soggetto nella fase antica era molto più
libera rispetto all’inglese moderno. In effetti tutto l’ordine delle parole nelle frasi era molto più
libero che oggi. Esistono delle regole, anche se non schematiche, che mostrano una distinzione
tra l’ordine delle parole nelle frasi principali e secondarie. La tendenza ad avere il verbo
coniugato in seconda posizione nelle principali è tipica di tutte le lingue germaniche antiche. In
questi casi si parla di V2. In genere nella frase principale oggetti e predicati seguono il verbo
coniugato, in modo tale che l’ordine prevalente della frase germanica è VO.
Le iscrizioni runiche presentano sempre il verbo in ultima posizione: OV

Nelle secondarie, il verbo finito tende ad essere spostato verso destra, ossia c’è una tendenza
all’ordine OV.

Aggettivi, determinazioni, ordine delle parole: nelle lingue moderna si segue la struttura SOV,
dove il determinante precede il determinato. L’aggettivo postnominale è attestato oggi con una
certa frequenza nella fase antica dell’ata. e del norreno. Nelle lingue moderne è ancora possibile
in feringio, islandese, norvegese. Nella fase antica hanno alta diffusione frasi con sequenza:
SOT+POSS+DET+AGG.

Verbi e particelle: in tutte le lingue germaniche sono presenti strutture verbali costituite dal
verbo lessicale più una particella. In inglese sono i cosiddetti “phrasal verbs” a rappresentare
questa categoria.

Per le lingue con struttura OV, si parla di verbi separabili. In tedesco e in nederlandese, nelle
principali il verbo è seguito dalle particelle, nelle subordinate lo precedono.

Cap.4: Le lingue germaniche: tratti distintivi

L’unità linguistica delle lingue germaniche è un tratto frammentario.

Vocalismo: • Metafonia: è un mutamento che dipende dalla presenza di vocale anteriore alta [i]

o dell’approssimante palatale [j] nella sillaba che segue la vocale radicale. Es: inglese distingue
sostantivi sg. e pl. Attraverso la metafonia della vocale della sillaba radicale Man sg. Men pl. 1.
Metafonia palatale: la vocale della sillaba radicale modifica la propria

articolazione tendendo verso il tratto [+alto] [+anteriore], per questo le vocali anteriori si
innalzano e le posteriori si anteriorizzano. In ia la metafonia diventa meno evidente perché le
vocali tendono a perdere l’arrotondamento. In got. Il fenomeno è assente. In tedesco antico è
presente la metafonia solo della vocale –a e non regolarmente. La metafonia palatale
rappresenta la tipologia più diffusa nelle lingue germaniche. Si può verificare anche:

2. Metafonia da –u: che provoca l’assimilazione al tratto [+ arrotondato]. Caratteristica delle


lingue nordiche.

3. Metafonia da –a: che causa fenomeni di abbassamento della vocale perciò [u] > [o] e [i] >
[e]. Riguarda solo le vocali brevi.

• Allungamento di compenso: si verifica soprattutto nei contesti in cui la vocale è seguita dal
nesso consonantico: nasale+fricativa velare sorda. Per esempio: verbi con grado vocalico
diverso tra presente e passato. In inglese, frisone e sassone si verifica anche la caduta della
nasale se seguita da fricativa dentale sorda [ f, θ, s ].

Consonantismo: la prima legge di Grimm non è la sola a rappresentare il cambiamento del


consonantismo ie. Oltre a lei, anche la seconda mutazione consonantica e la palatizzazione
contribuiscono a modificare il sistema consonantico di diverse lingue germaniche, introducendo
fonemi inesistenti nell’ie.

• La seconda mutazione non interessa tutti i dialetti tedeschi, pur essendo un tratto caratteristico
dell’area tedesca. Nei dialetti altotedeschi si verificano i seguenti mutamenti:
Fricativa interdentale sorda > occlusiva dentale sonora Occlusiva sorda > occlusiva sorda

Occlusiva sorde > fricativa doppia se in posizione iniziale, interna e finale postconsonantica
oppure > affricative se in posizione centrale o finale postvocalica.

Affinità con la prima mutazione: 1. Sono entrambi fenomeni predocumentari; 2. Incrementano


l’inventario dei fonemi; 3. Cambiano il modo di articolazione delle consonanti e non il luogo; 4.
Trasformano il consonantismo di tutte le parole, anche dei prestiti; 5. Presentano delle
restrizioni alla realizzazione del mutamento.

Differenze: I suoi esiti (quelli della 2^ mutazione) si presentano meno regolari sia sul piano
diatopico che sul piano diacronico.

DIATOPICO: 1. Il fenomeno si realizza completamente solo nelle varietà meridionali da cui

probabilmente è partito. Nel bassotedesco e nel nederlandese è assente; 2. La desonorizzazione


delle occlusive sonore è meno diffusa rispetto al

cambiamento di articolazione delle occlusive sorde; 3. Il mutamento è irregolare rispetto alle


serie consonantiche: le dentali mostrano

il fenomeno con più regolarità; le velari si modificano nelle varietà più meridionali e
nell’altotedesco.

DIACRONICO: E’ esemplare il caso dell’occlusiva sonora [d] < [θ] fricativa sorda: si trova
molto presto in bavarese, compare più tardi in alemanno (8° sec.) e solo nel corso dell’ IX sec.
nel francone orientale e renano. Le isoglosse del consonantismo tedesco sono numerose e
presentano un andamento irregolare e complesso.

• Fenomeni di palatizzazione: ad un’occlusiva sorda o sonora del tedesco corrispondono, in


inglese, affricate palatali <tς> <ch> <tch> o approssimanti palatali [j] <y>. Le palatali
compaiono sia in posizione iniziale che finale, precedute o seguite da vocali anteriori e
posteriori. [dζ] è l’esito di un’occlusiva sonora preceduta da nasale. Nell’ia. le occlusive sorde e
sonore soggette a palatizzazione sono precedute o seguite da vocale anteriore primaria. Il
fenomeno è attestato anche in frisone. Nel tedesco oltre che nel nesso sk- una palatale si
conserva in posizione interna dopo [r] e nei nessi consonantici [sp, st, sm, sn, sl, sr, sw].

• Raddoppiamento consonantico: ad una doppia consonante della grafia <tt, ff, pp > corrisponde
un solo fonema. La grafia di queste parole risale alla fase antica delle lingue germaniche in cui
si svilupparono consonanti geminate o per assimilazione o per II mutazione consonantica o per
sincope vocalica. Geminazione consonantica occidentale: quando una consonante si trova dopo
una vocale breve ed è seguita da una approssimante [j], [w] o da liquida o nasale (raramente).
E’ frequente nei classi in –jan. La lunghezza delle consonanti comporta una ristrutturazione
della quantità vocalica. Le vocali in sillaba chiusa si abbreviano con effetti sui paradigmi
riflessivi e derivazionali (keep > kept). Successivamente le vocali lunghe si degeminano e la
quantità vocalica viene reintrodotta.

• Rotacismo: il verbo keusanan non presenta alternanza sorda/sonora ma tra *S al presente e al


passato plurale e *r nelle forme del passato singolare e del participio passato. In questo caso si
parla di rotacismo, un fenomeno di derivazione greca, secondo il quale le sibilanti [s] e [z],
soprattutto se in posizione intervocalica, si articolano come una [r]. Non è attestato nel gotico.
Ristrutturazione della morfologia nominale: è dovuta a fenomeni come: ▲ Ristrutturazione
delle sillabe atone; ▲ Fissazione dell’accento sulla sillaba radicale; ▲ Metafonia.

La ristrutturazione nominale consiste nel passaggio da un originario sistema a 2 generi, ie., ad


uno a tre generi, dove il genere comune è differenziato in maschile e femminile. La flessione
passa da una sequenza radice-tema-desinenza ad una di tipo radice-desinenza. Le informazioni
morfologiche sono contenute nella radice. In norreno si associa il genere ad una determinata
classe: -Classe in –u per il maschile; -Classe in –i: i sostantivi che originariamente
appartenevano a questa classe si ridistribuiscono nella classe in –a per il maschile e in quella in
–o per il femminile.

In ata. i sostantivi appartenenti alla classe in –z/-r al singolare seguono la classe in –a mentre al
plurale la classe in –ir.

Nella fase del tedesco medio si osserva una massiccia ristrutturazione delle classi nominali,
soprattutto nella classe in –n dove, in seguito all’indebolimento delle sillabe finali, le vocali
originarie delle desinenze sono tutte passate a –e [ә] e non si avverte più la distinzione, nella
flessione in –n, tra sostantivi maschili e sost. neutri e femminili. Per questo indebolimento del
vocalismo finale, oltre ai temi in nasale, anche i temi in – o escono in –e. Viene così spiegato il
perché il morfema –e fu reinterpretato come femminile e molti sostantivi della classe in –n
(maschili all’origine) cambiano genere.

Nell’inglese medio la declinazione in –n è ancora molto più forte, tanto che si può distinguere
chiaramente l’affermazione di due morfemi di plurale uno in –es e uno in – en.

La flessione degli aggettivi ha mostrato diffusi fenomeni di sincretismo che si verificarono su


determinati assi in modo che le distinzioni di genere sono più frequenti nei casi diretti che in
quelli obliqui e più al singolare che al plurale.

Excursus: il genere nelle lingue germaniche moderne: la struttura che regolarizza la morfologia
nominale si basa su “radice+desinenza”. Il genere di un sostantivo molto spesso deve essere
dedotto dalla concordanza degli elementi che lo accompagnano nel sintagma come aggettivi,
determinanti, participi, pronomi di terza persona singolare. Questa è la situazione del tedesco,
che al singolare conserva tre generi grammaticali: der, maschile; die, femminile; das, neutro
Spesso però l’attribuzione di genere è avvertita come arbitraria.

In inglese, invece, il sistema di tre generi non è conservato, se non nella distinzione di tre forme
pronominali per la terza persona singolare (he, she, it).

Nelle lingue nordiche il sistema a tre generi viene mantenuto nelle varietà più conservative, cioè
islandese e feringio. In norvegese, invece, si è sviluppato un sistema a due generi grammaticali,
il genere comune dove sono confluiti maschile e femminile, e il neutro.

Pronomi, innovazioni: In norreno le forme del dimostrativo in –p hanno sostituito del tutto le
originarie forme pronominali. Nel norreno un’ulteriore innovazione è costituita dai due pronomi
di terza persona singolare, m. hann f. hon. Dal pronome riflessivo di terza persona sik, il
norreno sviluppa un clitico –sk che unito al verbo dà un significato riflessivo. Per la prima
singolare è presente il clitico –mk. In islandese e feringio le attuali forme di 1° e 2° persona
plurale derivano da antiche forme del duale.

Determinanti, innovazioni: probabilmente l’ie. non aveva articoli né determinativi né


indeterminativi. In tutte le documentazioni troviamo delle forme sviluppate dall’aggettivo
dimostrativo che si possono considerare forme pre-articolo. Il passaggio da dimostrativo ad
articolo è dimostrato dall’ortografia di Notker che segnala accenti e lunghezza.
L’indeterminativo è reso invece con il numerale “uno”.

Pronomi relativi: in Gotico le frasi relative vengono introdotte dalle particelle –ei –pei. In
inglese antico si riscontra la stessa situazione: la relativa può essere introdotta dalla particella –
pe. In inglese medio si ha pe/the e pat/that per soggetto e oggetto diretto mentre si ha wh- per
l’oggetto indiretto. In norreno la forma più diffusa è quella introdotta dalla relativa invariabile
es/er. Dalla forma pronominale “samr” si sviluppa l’elemento som/sem.

Formazione delle parole: innovazioni: fenomeni di grammaticalizzazione, che si verificano


quando elementi lessicali evolvono in funzioni grammaticali, si sono resi utili nei processi di
formazione delle parole. Il suffisso –dom/-tum legato a lessemi ancora in uso, come in inglese
“doom”, destino avverso o in danese “dom”, giudizio. Nelle lingue antiche le formazioni che
contengono –dom – tuom –domr come secondo membro devono essere considerate più come un
composto che un suffisso. Suffissi aggettivali e avverbiali –ly/ -lich si riconducono a sostantivi
che significano “corpo, sembianza, cadavere”.

Costruzioni perifrastiche: • Costruzioni perifrastiche del passato: le forme del passato del tipo
“I’ve lived in

Berlin most of the winter” sono ricondotte a costruzioni risultative con verbo transitivo e
oggetto in cui quello che ora è il verbo al participio passato era una forma attributiva concordata
con l’oggetto, in passato. Nel processo di grammaticalizzazione il verbo avere ha funzione
ausiliaria e stringe legame con il participio passato. La grammaticalizzazione può considerarsi
avvenuta quando il verbo avere è unito a verbi intransitivi. In inglese moderno e nelle altre
lingue nordiche è presente solo il verbo avere come ausiliare. In ata. si trova anche il verbo di
possesso “eigan”. In norreno si sviluppano perifrastiche sia con il verbo essere che con il verbo
avere.

• Costruzioni perifrastiche del futuro: in inglese ci sono due ausiliari, shall e will; in tedesco è
presente un verbo dal significato incoativo: “werden”, cominciare, diventare.

• Costruzioni perifrastiche del passivo: si servono dei verbi essere ed avere.

Negazione: termini di negazione del tedesco, inglese, nederlandese, nasale + dentale, si possono
ricondurre a una stessa struttura originaria dove il morfema della negazione era la particella
ni/ne rafforzata con altri elementi come pronomi, termini generici con valore di oggetto come
“wiht”.

Ciclo di Jespersen: il processo che ha portato dalla negazione preverbale con particella ni a
not/niet/nicht fu descritto per la prima volta da Otto Jespersen che in un suo studio sulla
negazione nota come in diverse fasi diacroniche gli elementi che marcano la negazione si
semplificano e si complicano ciclicamente. Fasi del ciclo:

1. Negazione espressa da un elemento che precede il verbo; NEG + VERBO 2. Negazione


preverbale viene indebolita; 3. Negazione indebolita, viene rafforzata da un marcatore negativo
enfatico; NEG

+VERBO+ [neg] 4. Marcatore negativo diventa obbligatorio; NEG+VERBO+NEG 5.


Negazione preverbale facoltativa; [neg]+VERBO+NEG 6. Resta solo la neg.2 (il marcatore)
che viene attratto in posizione preverbale.

Cap.5: Lessico e contatti linguistici


Fenomeni di interferenza linguistica: i contatti tra popoli generano dei prestiti linguistici che
sono riconoscibili facilmente attraverso la grafia, la morfologia e la pronuncia diverse dalla
lingua che li ha adottati. Le lingue germaniche hanno accolto molti vocaboli dal greco e dal
latino, da lingue romanze e anche da altre lingue germaniche. L’inglese è la lingua con una
maggiore permeabilità al prestito, mentre al polo opposto si colloca l’islandese.

Prestito e mutamento linguistico: i prestiti sono quelle parole o parti di parole che una lingua
assume da un’altra lingua, adattandole al suo sistema fonologico e morfologico. In questi casi si
possono verificare due situazioni: o la voce indigena diventa obsoleta e scompare dall’uso
oppure assume un’accezione periferica. Il nuovo significato assunto dalla parola indigena è
semanticamente più circoscritto.

Prestiti e linguistica storica: spesso può verificarsi la situazione secondo la quale il sostantivo si
integra nel sistema della lingua d’arrivo, per questo il prestito non è più riconoscibile come tale.

Il calco: si ha un calco quando un concetto nuovo viene reso sfruttando il lessico della lingua
d’arrivo. Si distinguono due grandi categorie di calchi:

• Calchi strutturali: neologismi creati usando materiale lessicale della lingua che adotta,
mantenendo come riferimento la lingua da cui è derivato;

• Calchi semantici: un vocabolo già presente nel lessico di una data lingua assume un nuovo
significato sul modello della lingua di partenza. Per esempio: it. Navigare. Al suo significato è
stato affiancato quello inglese dell’espressione “to surf the web”.

Germanico e contatti linguistici nel mondo antico:

Celtico e germanico: dal celtico sono stati ereditati termini legati alla pastorizia e all’agricoltura
come:

• Glenn, valle; • Tor, roccia; • Asal, asino; • Bannock, focaccia.

Il contatto è stato favorito anche dall’opera evangelizzatrice dei missionari, che hanno
introdotto parole come:

• Cros, croce; • Cloc, campana; • Anchara, anacoreta; • Beak, coppa.

Greco e germanico: dal greco vocaboli appartenenti al lessico religioso: • Εκκλησία [ecclesia],
chiesa; • Κυριακόν δωμα [kuriakon doma], casa del signore

• Αγγελος [anghelos], angelo.

Latino e germanico: esistono due fasi di contatto tra latino e lingue germaniche. Uno strato più
antico che risale al periodo della colonizzazione romana; e uno più antico dal V sec. fino
all’ascesa dei Franchi. Dal primo strato vengono ereditate voci che riguardano l’edilizia e il
commercio; dallo strato franco derivano termini dell’epoca cortese e dell’amministrazione. In
area inglese i latinismi vengono introdotti in seguito alla cristianizzazione, nel 8° sec., e in
seguito dalla riforma benedettina (10°-11° sec.). Tra i latinismi colti vengono registrati quelli
grammaticali. Il francese e le lingue germaniche:

Il francese e l’inglese: l’inglese è la lingua germanica che presenta il maggior numero di


francesismi. L’influsso francese è stato la prevedibile conseguenza di due secoli di dominazione
normanna. Il notevole apporto di vocaboli francesi ha influenzato la fonologia e la grafia
dell’inglese medio, modificando l’inventario dei fonemi. Per es: la fricativa labiodentale sonora
[v] occoreva, in inglese antico, solo in contesto intervocalico sonoro ma mai in posizione
iniziale. Con l’ingresso di termini francesi, possiamo trovare la [v] anche ad inizio parola: very,
virtue, voice, village. La maggior parte del lessico riguarda la sfera cortese e quella
amministrativa.

Il francese e il tedesco: nell’area linguistica tedesca non si sono create situazioni analoghe a
quella inglese, ma il francese ha contribuito lo stesso all’arricchimento lessicale. Si tratta, anche
in questo caso, di parole relative al mondo cortese. Nella prima metà del XIV sec. cade in
disuso la maggior parte dei prestiti entrati nel corso del XIII. Altre voci si sono conservate.
Molti prestiti sono da considerare come “prestiti di ritorno”, in quanto originariamente vocaboli
del lessico germanico, entrati nel francese antico tramite i Franchi o i Normanni, come garçon,
da cui garzun “paggio”.

Il francese e nederlandese: un contesto ulteriormente diverso si configura per l’area


nederlandese, che si distingue in parte settentrionale (Paesi Bassi) e zona meridionale (Fiandre).
In quest’ultima si registra una maggiore influenza per motivi politici e culturali con il lessico
francese.

Il francese, il nordico e il frisone: nel lessico del frisone si registrano molte voci del francese
antico, legate al mondo della corte. Anche nelle lingue nordiche entrano, tra il XIII e il XIV
sec., molte parole di origine romanza, tramite il bassotedesco e l’inglese medio.

Influssi tra le lingue nordiche:

Dal bassotedesco alle lingue nordiche: i rapporti con l’area tedesca settentrionale vennero
intensificati durante gli anni della Lega Anseatica, quando la Hansesprache, la varietà del
bassotedesco adoperata come lingua comunitaria, ebbe molta influenza sulle lingue scandinave.
Il bassotedesco condivideva con le lingue nordiche alcuni fenomeni come:

• Assenza della seconda mutazione consonantica; • Conservazione delle vocali lunghe; •


Mancata assimilazione dei nessi –mp –nk –nt • Affissi come an, bi, for, fӧr;

• Morfemi derivazionali: -inde –inne –inna

Dal norreno all’inglese: la maggioranza dei termini di origine scandiva riguarda il vocabolario
di base dell’inglese, mentre i prestiti dal latino e dal francese riguardano campi molto più
ristretti. Il contributo delle lingue scandinave alla formazione dello standard inglese spiega la
presenza di molte forme nordiche nell’inglese moderno.

Le varietà del tedesco:

Il frisone e le lingue scandinave: il frisone, per la sua posizione sul canale commerciale nel
Mare del Nord, ha contribuito ad arricchire il lessico delle popolazioni nordiche, nell’ambito del
commercio e dei mezzi di trasporto.

Il gotico e il tedesco superiore: il gotico ha lasciato tracce nelle varietà dialettali superiori, come
il bavarese, tramite l’attività missionaria della Chiesa.

Prestiti e onomastica: il materiale onomastico è fonte di informazioni, per la conoscenza


culturale e per l’acquisizione di dati utili alla ricostruzione del sistema fonetico di una varietà
linguistica. Occorre però valutare con cautela il materiale in questione, per via delle modifiche o
degli adattamenti che possono aver subito i nomi. Non esistono meccanismi automatici nella
corrispondenza tra la lingua e l’appartenenza a una popolazione e le modalità di assegnazione di
un nome (antroponimo) a volte sono legate a mode passeggere.

Nella toponomastica italiana ci sono molti nomi di denominazioni germaniche che però non
sono di derivazione gotica o longobarda, come Villalfonsina, in prov. di Chieti, che non è un
antico insediamento gotico ma prende il nome dal suo fondatore: il marchese Alfonso D’Avalos
(1582).

Toponimi: vengono catalogati in idronimi, antroponimi e microtoponimi (che designano una


caratteristica geografica particolare, per questo sono più interessanti per la ricerca linguistica).

Toponimi celtici: sono soprattutto idronimi; per esempio: • Reno < ie. Reinos, fiume; • Thames
< Tam, scorrere; • Avon < Afon, fiume; • Dover < dwr, acqua.

Meglio conservati sono i toponimi prediali, formati dal suffisso che indica appartenenza, celt. –
acum, -iacum, e dal nome del possessore.

Toponimi latini: molti in area inglese, dove la dominazione romana è durata per secoli. I
toponimi inglesi conservano una struttura bimembre, in cui solo un elemento è latino. Per
esempio:

• Stratford < lat. Strata “strada” + ia. ford “guado”. Lungo le coste meridionali sono presenti
toponimi con il sostantivo portus: Portchester, Portsmouth, Portland. Nella toponomastica
inglese ricorre lat. Castrum, castra che per palatizzazione, diventa in ia: ceaster (Manchester,
Chester, Winchester). Accanto a queste abbiamo anche forme senza palatizzazione come
Lancaster, Doncaster.

Nell’Europa centrale, nelle regioni renane, la presenza dei toponimi latini è maggiore.

Toponimi norreni: sono distribuiti in modo rilevante nell’ex Danelaw, dove il dominio danese
fu di lunga durata. Sono riconoscibili dalla seconda parte del nome, costituita da un elemento
lessicale relativo alle modalità di stanziamento, come:

• By > Gateby; • Nes > Locness; • Porp > Austhorpe • Land > Finland, Island, Varmaland; in
questo caso il primo elemento descrive

caratteristiche geografiche, relative al mondo della natura.

Antroponimi: erano composti da due elementi uniti per creare un sintagma di senso compiuto.
Se si osserva il sistema onomastico in un nucleo familiare si noterà che viene ripreso nel nome
dei figli, il secondo tema del nome del padre.

Le lingue germaniche antiche in Italia: una buona parte del lessico ereditato dai “barbari
invasori” appartiene tuttora al nostro lessico ed è integrato nel nostro sistema linguistico. Goti,
Longobardi, Franchi hanno lasciato molte tracce nel lessico e nell’onomastica, senza andare ad
intaccare la lingua latina, quella dominante. Deriva dal got. Haribergo, albergo; bega, litigio.
Dal longobardo faida, vendetta familiare.

Cap.6 (VEDI SCHEMA)

Cap.7: La tradizione germanica


Tradizione orale: la filologia germanica si dedica all’indagine di quei tratti che possono
considerarsi appartenenti ad un nucleo germanico comune, ricavabili nei testi di diritto o nella
poesia eroica. D’altra parte va tenuto in conto che la cultura delle popolazione germaniche è
stata per molto tempo orale, perciò molte fonti sono indirette. Il trattato di Tacito, il Widsip di
Diacono ne sono una prova.

Oralità e scrittura: si possono catalogare quattro fasi scrittorie in area germanica: 1. Scrittura
amministrativa e pragmatica, durante il primo contatto con i romani; 2. Scrittura runica che dà il
via al processo di letteralizzazione germanica con finalità votive e religiose;

3. Scrittura religiosa, legata alla cristianizzazione. Traduzione della Bibbia da parte di Vulfila.

4. Latino come lingua scritta. Roma ha il monopolio della Chiesa, in seguito alla caduta
dell’impero romano d’occidente.

Caratteri della tradizione orale nelle lingue germaniche:

Metro e ritmo: il verso lungo allitterante è un tratto tipico delle lingue germaniche. E’ composto
da due emistichi che presentano allitterazione nella prima sillaba del primo emistichio e nella
prima del secondo. La più antica documentazione è l’iscrizione runica sul Corno di Gallehus,
del 400 d.C.

Arcaismi: sono tipici della poesia, distinguendo così il lessico usato in prosa. Quando troviamo
arcaismi sia in poesia che in prosa, questi hanno significato diverso. Per esempio: mere, mare in
poesia e stagno in prosa. In poesia si registrano molti termini che sono spostamenti di
significato, come la sineddoche (es.: legno, per descrivere la nave). Oltre a queste figure
retoriche, troviamo metafore e metonimie.

Formule fisse: sono tipiche della tradizione orale e facilitavano i poeti antichi nell’esercizio
mnemonico. La presenza di queste formule fisse venne notata dallo studio di Parry e di Lord,
condotto sui cantori bosniaci che le usavano nei poemi omerici. Una formula fissa è, per
esempio: Hwaet, we, che richiama l’attenzione del pubblico.

Composti dvandva: due o più entità collegate dalla congiunzione “e”. Sono molti frequenti in
sanscrito. Nella tradizione germanica, per esempio nel Beowulf abbiamo il composto dvandva
“zio-nipote” e “suocero-genero”. Nelle lingue germaniche restanti, si ha il composto “figlio-
padre” e “padre-figlio”.

Kenning: è un nome composto formato da due elementi: un nucleo e una determinazione. Nelle
lingue germaniche il più diffuso è il termine impiegato per dire “principe”, espresso con la
perifrasi: colui che distribuisce anelli.

Oralità nell’area tedesca: lo scopo di Carlo Magno era quello di mettere per iscritto le fonti della
tradizione orale. Oltre ad elementi poetici nuovi, che conservano tratti tipici della metrica latina
soprattutto nei testi religiosi come il Liber Evangeliorum, di Oftis Van Weibenburg e il Canto
di Lodovico, un testo encomiastico, vi sono dei testi che mantengono i tratti della tradizione
poetica orale antica:

• Canto dei Nibelunghi; • Canto d’Ildebrando; • Incantesimi di Merseburgo; • Secondo


incantesimo di Treviri per i cavalli.
Area inglese: la situazione è completamente diversa rispetto a quella dell’area tedesca. La
produzione poetica è conservata in quattro codici, per un totale di 40.000 versi. Questi codici
sono:

• Exeter Book, che raccoglie componimenti poetici di vario tipo; • Codice Junius; poesie di
carattere biblico; • Cotton Book dove è conservato il Beowulf; • Vercelli Book, componimenti
di carattere religioso.

Oltre a queste raccolte di manoscritti, in area inglese sono diffusi testi dedicati alle vite dei
Santi: Andrea, Giuliana, Elena e Guthlac A e B.

Area nordica: attestazione di due grandi testi: • Edda poetica, rinvenuta da Sveinsonn. Si tratta
molto probabilmente di una

versione in versi dell’Edda di Snorri, un testo in prosa di epoca seguente. L’Edda Poetica
contiene 31 testi, suddivisi in due sezioni: mitica ed eroica.

• Edda di Snorri. Molto diffusa in area nordica, era anche la poesia scaldica, recitata a corte
dagli Scaldi.

Le rune: sulla provenienza delle rune sono state formulate diverse ipotesi che considerano
un’origine da:

• Alfabeto greco; • Alfabeto latino; • Da contatti con i Celti; • Alfabeti nord-italici.

Quest’ultima teoria è quella che convince maggiormente gli storici. I caratteri runici ricorrono
tutti per finalità magico-rituali. Dalle varie analogie tra i le iscrizioni, si è raggiunto un alfabeto
runico, il fupark (leggi futark) antico, composto da 24 caratteri. La produttività delle rune va dal
III al VIII sec. Il termine “runa” si è diffuso nell’area germanica con il significato centrale
riconducibile a qualcosa di segreto, nascosto.

Le rune in area continentale: nell’area abitata da Franchi e da Alamanni, l’uso di scrivere rune è
attestato a partire dalla metà del VI sec. Il motivo di tale ritardo non risulta chiarito, ma i
responsabili dell’introduzione delle rune sono i gruppi migratori provenienti dal Nord.

Le rune in area inglese: l’originaria serie runica di 24 segni viene ampliata in un sistema
alfabetico da 26 a 33 segni, per adattarsi alle mutazioni fonologiche intervenute nell’inglese
antico. La serie delle rune anglosassoni è nota come fuporc (leggi futorc). I più importanti
documenti runici dell’area inglese sono:

• Incisione su osso di balena, Franks Casket. Attesta la presenza di rune contemporaneamente


all’epoca della cristianizzazione;

• Croce di Ruthwell, una croce gigantesca istoriata con le storie dei vangeli e tralci di vite.
Questa documentazione conferma quanto detto prima, ossia che rune e cristianesimo non sono
sempre in opposizione.

Le rune in area nordica: qui il fupark si riduce a 16 segni ed è nominato come fupark recente. In
area nordica le rune restano fino al XIV sec.

Cap.8: Incontri linguistici nel medioevo


Mondo classico e lingue germaniche: dal I secolo a.C. in poi i contatti tra mondo romano e
mondo germanico si sono intensificati.

Latino e lingue germaniche del mondo antico: tra latino e lingue germaniche i contatti hanno
luogo in particolare relazione a quattro ambiti: 1. commercio 2. scambi alle zone di frontiera 3.
nei reparti militari dell'esercito romano, dato il massiccio ricorso di mercenari germanici 4. in
una fase più tarda, all'interno dell'impero romano stesso, a seguito delle diverse ondate
migratorie. Tuttavia, siccome le lingue germaniche sono considerate barbare, i romani sono
poco propensi ad apprenderne l'idioma. È dunque molto probabile che i barbari in posizioni di
rilevanza nell'esercito fossero bilingui, come dimostrato dalle tavolette di Vindolanda, le quali
riportano una serie di messaggi destinati ai soldati.

Molto meno frequenti sono le notizie che attestano la conoscenza di una varietà germanica da
parte dei romani. Il trauma che devono aver causato gli attacchi germanici nelle città romane è
ben documentato in un epigramma dell' Anthologia latina. L'atteggiamento nei confronti dei
barbari cambia quando la relazione con i romani si ribalta e i Germani istituiscono in Europa
veri e propri regni. L'opera di Venanzio Fortunato testimonia bene questo passaggio, infatti se
con i Merovingi i Franchi consolidano il loro dominio sulla Gallia, intensificano anche i loro
rapporti con le popolazioni gallo romane.

I contatti del gotico pellegrino: il gotico occupa una posizione particolare rispetto ai contatti tra
lingue per il suo essere pellegrino, in quanto lingua che si sposta con la sua gens. La tradizione
scritta gotica inizia con l'opera di traduzione della Bibbia di Vulfila, condotta sulla base di un
testo greco, tuttavia si possono rintracciare già segni del contatto con la cultura romana. La
corte ostrogota di Teoderico a Ravenna fu un importante centro culturale, si ricorda che il
prezioso Codex Argenteus della Bibbia vulfiliana fu con ogni probabilità redatto lì. Alla corte di
Ravenna la lingua gotica guadagna prestigio.

Latino e lingue germaniche nel medioevo: se in area romanza l'evoluzione del volgare e la sua
separazione dal latino fa in modo che fino all'epoca carolingia si possa parlare di diglossia, dove
il latino costituisce la varietà alta e il volgare quella bassa, in area germanica invece la
situazione si presenta in modo diverso, perché l'alternanza tra volgare e latino viene considerata
come bilinguismo. I primi testi redatti in volgare nascono dall'esigenza di mediare gli scritti
latini necessari per la formazione culturale dei clerici.

Glosse e glossari: le glosse documentano quali fossero i vocaboli di più difficile comprensione.
Attraverso la glossatura, un termine, generalmente latino, che bisognava spiegare viene chiarito
attraverso: • Uno o più sinonimi latini • Traduzioni in volgare (interpretamentum) A seconda
della posizione dell'interpretamentum rispetto al lemma le glosse si suddividono in marginali o
contestuali. Dalle glosse si passa ai glossari, compilazioni di lemmi e interpretamenta di un
determinato testo o un gruppo di testi. Per esempio il glossario di Leida. I glossari possono
essere di tipo alfabetico oppure divisi per soggetto. L'ordinamento per soggetto si basa sulla
tradizione dei cosiddetti Hermeneumata. In era tedesca la tradizione degli Hermeneumata è
rappresentata dal Vocabolarius Sancti Galli che contiene diversi glossari per soggetto.

Glosse, traduzioni e commenti: con la Riforma benedettina, nella vita monastica spetta un ruolo
fondamentale all’officium dei. Nelle scuole monastiche si sviluppa un’intensa attività di
glossatura, come la prima parte della Regola Benedettina altotedesca. Questo testimonia che gli
alumni erano ormai costretti a imparare una lingua latina sempre più estranea a loro.

In area tedesca ha un ruolo notevole l’opera svolta presso il monastero di San Gallo, dove
spicca la figura del monaco Notker III, che sviluppa un proprio lessico. La comprensione
linguistica avviene tramite tre stadi:
1. Lettura del testo latino; 2. Lettura del testo latino secondo un ordine piano; 3. Traduzione in
volgare.

Romània e Germania: l’impulso di allargare l’uso del volgare anche alla scrittura va ricondotto
in primis all’ambito liturgico, quando ci rese conto che se si voleva che anche il vulgus fosse
consapevole del messaggio cristiano, l’unica soluzione necessaria era utilizzare una lingua
comprensibile per i non letterati.

I giuramenti di Strasburgo: nelle sue Storie, Nitardo riporta per l’anno 842 l’incontro a
Strasburgo tra Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, che sancisce un’alleanza contro il terzo
fratello Lotario. L’autore sottolinea che i due sovrani utilizzano due lingue diverse per parlare
con i sudditi: Ludovico, che parla all’esercito del fratello, usa la romana lingua e Carlo, la
teudisca. I giuramenti sono stati scritti da Nitardo nei due volgari francese e tedesco, perché ha
cercato di rendere più fedelmente quanto realmente pronunciato. Il testo documenta come tra
area occidentale e orientale dell’impero si fosse creato un confine linguistico.

Dizionari di viaggio: la più antica testimonianza che documenta la necessità di approntare un


testo per l’apprendimento di un volgare germanico sono le Glosse Cassellane (da Kassel),
scritte nel monastero di Fulda. Si basano sulla tradizione degli Hermeneumata, in particolare
sono state rilevate affinità con il Vocabolarius Sancti Galli. Un’altra testimonianza è
rappresentata dalle Conversazioni di Parigi, contenenti una serie di glossari con parole ai
margini scritte in volgare tedesco e in latino aggiunte successivamente (IX-X SEC).

Contatti tra lingue germaniche in area inglese: la permanenza di contatti tra le due sponde del
Mare del Nord è confermata in area inglese dal testo della cosiddetta Genesi B, esempio
precoce di traduzione da un’altra lingua germanica: il sassone antico. Questa parte è stata
denominata Genesi B per essere distinta dal resto dell’opera in sassone antico. Il metro usato è
quello lungo germanico, la differenza risiede nel numero di sillabe atone, maggiore nel sassone
antico.

Per i contatti tra inglese e norreno si rimanda ai cap. precedenti.

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