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Ernesto Stagni
(Università di Pisa)
Guido de Grona e citato da KÖNSGEN, Die Gesta, I, Einleitung und Text, pp. 58-
59, non dispongo ancora del materiale necessario per pronunciarmi su un’e-
ventuale identità; finora in glosse di altri manoscritti trovo menzionato soltanto
un Guido de Grona o (isolato e sospetto) Guido et Grava, mai de Grana.
7
Fra i più interessanti – al di là di esempî che già citavo nell’articolo del
1995, specialmente pp. 221-22 – oggetto di alcuni capitoli della tesi di perfe-
zionamento e di mie perduranti indagini, una grammatica di Raterio che do-
vrebbe identificarsi con il perduto Sparadorsum e un poemetto sull’orticoltura
finora sconosciuto (sebbene se ne possano trovare riflessi in recentissime ricer-
che) dedicato a Walafrido Strabone da Grimaldo abate di San Gallo. E ancora,
dalle postille si trae il nome chiaramente celtico di un Aedanus (con significa-
tiva ed insolita conservazione del dittongo) al quale è attribuito un commento
all’ars maior di Donato di autore irlandese, l’anonima Ars Laureshamensis, o un
gemello, o una fonte finora ignota (che in linea di principio potrebbe essere
anche il cosiddetto Clemente Scoto). Allo stesso testo sembra riferirsi nel com-
mento a Ugo l’oscura definizione di commentum… quod quidam dicunt
Cassiodori, alla luce di qualche peculiare variante sconosciuta al resto della
tradizione grammaticale insulare a cui l’Ars appartiene (insieme ad alcuni pas-
si di Remigio di Auxerre, a Murethach, a Sedulio Scoto e all’Ars Brugensis di
cui Guido possedeva una copia, duecentesca ma autorevole, appunto quella
oggi in Belgio); ma senz’altro ad un commentum di Cassiodoro si rinvia per
una glossa relativa all’inizio dell’ars minor di Donato, opera che quella tradi-
zione non affronta. Simile nell’intitolazione e perfino più impressionante una
grammatica Plinii quam quidam dicunt Varronis, forse il perduto Dubius sermo
di Plinio ancora usato da Gregorio di Tours – direttamente o indirettamente – e
ricco di contenuti varroniani come quelli che si possono accertare nelle poche
citazioni di Guido: per un’interessante analogia si veda BIONDI, Mai, p. 108. Gli
stessi Gesta di Ugo di Mâcon si conservarono probabilmente solo insieme (e
aggiungerei grazie) al commento di Guido, anche nei tre esemplari a quanto pare
scomparsi di cui abbiamo notizie fra il 1500 e il 1700 circa.
228 Ernesto Stagni
•
Francesca Cecchini, una giovane ed acutissima
medievista romana, storica dell’arte impegnata in una va-
sta ricerca sulle conoscenze di ottica e perspectiva nel
secolo XIII, recentemente mi ha avvertito di aver rintrac-
ciato e studiato un manoscritto della traduzione della
Perspectiva o De aspectibus di Alhazen (Edimburgo,
Royal Observatory, Crawford 3.3, ex 9.11.3.20) il cui
colofone, sicuramente autografo 10 , attesta un’intensa ope-
ra di revisione condotta dal magister Guido de Grana e
chiusa l’11 maggio 1269 11 . Dalla segnalazione, per me
preziosissima, è nata una forte collaborazione, un incro-
cio realmente interdisciplinare di competenze che non
mancherà di produrre frutti, ci auguriamo, nel lavoro che
stiamo conducendo con entusiasmo sulla tradizione ma-
noscritta e sulla ricezione duecentesca di Alhazen. Anzi,
un primo risultato è già venuto dalla scoperta, desumibile
soltanto con incertezza dall’edizione parziale di Mark
Smith 12 , che anche Parigi, Bibliothèque Nationale de
France, lat. 7319, copia o gemello del manoscritto oggi
in Scozia, fu annotato sia pure assai sporadicamente dal-
lo stesso magister. Il ruolo di Guido nella diffusione del-
la tradizione della Perspectiva per antonomasia potrebbe
aver avuto un significato non trascurabile (anche in ter-
mini di contaminazione testuale e di recupero di varianti
autorevoli, dal momento che per la correctio fu usato un
esemplare appartenuto ad un Giovanni di Londra, figura
sfuggente di scienziato che andrà probabilmente identifi-
cato con il matematico esaltato da Ruggero Bacone e con
uno dei maestri del già nominato Giovanni di Garlandia:
3): Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1672 (Orazio,
secolo XI-XII: indicazione già raccolta da CONTE, Recensione, in particolare p.
414 con rinvio a p. 310 del libro recensito di Buonocore), Tours, Bibliothèque
Municipale, 843, ff. 75-108 (commenti a Donato, di Sedulio Scoto su Ars mi-
nor e Remigio di Auxerre su Ars maior, secolo XII), Wolfenbüttel, Herzog-
August-Bibliothek, Aug. 23.32.Aug. 4° [3297] (Seneca, Epistole a Lucilio, se-
colo XIII), Bruges, Openbaare Bibliotheek, 537, ff. 1-48 (commenti a Donato,
Ars maior, ecc., secolo XIII) e le due copie del De aspectibus di Alhazen di cui
sto per trattare nel testo.•
10
L’ho potuto verificare grazie alle fotografie digitali inviatemi con estre-
ma gentilezza dalla bibliotecaria Karen Moran.
11
Per la migliore descrizione si veda KER, Medieval, II, pp. 559-60 (il
nome di Guido compare solo nell’accuratissimo volume di indici, V, p. 148).
Posso aggiungere che il f. 1 (foglio di guardia probabilmente già ai tempi di
Guido o pochissimo dopo) contiene un frammento della traduzione arabo-lati-
na di Gerardo da Cremona del De elementis di Galeno (GALENUS, Opera, II, ff.
3v-4r, corrispondenti all’ ed. DE LACY, On the elements, pp. 90-102).
12
SMITH, Alhacen’s, specialmente p. CLVII.
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45
Per notizie e bibliografia su Egidio Romano, fondamentale la ricchissima
voce di DEL PUNTA-DONATI-LUNA, Egidio, da aggiornare almeno con WEIJERS,
Le travail, II, s.v. (A)Egidius Romanus (de Columna), pp. 64-76, e SILEO, Mae-
242 Ernesto Stagni
47
Si veda BRUNI, Il De regimine, pp. 344-345 o Catalogo, IV, p. 83, e
ancora Le opere, pp. 80-81. Sarebbe utile, ma verosimilmente impossibile,
stabilire se Egidio avesse già raccolto materiale per un commento alla Politi-
ca di Aristotele che secondo alcune fonti avrebbe scritto, ma che comunque
non si conserva e della cui stessa esistenza è legittimo dubitare (cfr. FLÜELER,
Rezeption, ad indices, ma specialmente I, pp. 33 con n. 126, 109 con n. 96 e
113-14; II, p. 92).
48
Lo stesso BRUNI (ad es. Il De regimine, p. 345 e Catalogo, IV, p. 84) am-
mette che espressamente attesta la presenza di Egidio, in qualità di definitore, un
documento relativo al capitolo generale di Padova dell’agosto 1281, «non così
l’altro del 1279 che ricorda il capitolo provinciale di Perugia nel quale gli venne
conferita la carica», ma aggiunge senza altre spiegazioni: «noi siamo dell’opinio-
ne che il conferimento di questa dovette avvenire alla presenza dell’interessato,
244 Ernesto Stagni
cosicché dovremmo riportare almeno all’agosto del 1279 il ritorno di Egidio nel-
la penisola» («agosto del 1279» sarà errore per giugno, data dell’assemblea peru-
gina, come conferma Catalogo, IV subito prima, p. 83: così comunque anche in
Le opere, p. 82). Gli studî più recenti, invece, insistono proprio sul fatto che la
presenza nel 1279 a Perugia non è menzionata agli atti (così, implicitamente,
anche DONATI, Studi, I, pp. 7-8 n. 13 e specialmente 33 n. 83): perché l’incarico
poteva essere assegnato anche in absentia? Ma dovremmo anche chiederci se era
necessario ricordarla. In ogni caso la stessa datazione di Bruni, senza alcun
rimando specifico o discussione, è asserita da MIETHKE, Le teorie, p. 98, che a p.
95 accetta il 1279 come anno del ritorno. Si vedano inoltre le note successive.
49
Approfondite ed interessanti ma pur sempre opinabili le considerazio-
ni di BRUNI, Di alcune, p. 186 sul resoconto dell’assemblea del 1279: «Il docu-
mento che parla di questo capitolo lascia trasparire o che Egidio era presente,
e si voleva far passare del tempo prima di conferire qualsiasi incarico ad uno
colpito da censura; oppure si aveva avuto notizia del suo prossimo ritorno in
patria, e si voleva attenderlo. Altrimenti non si spiega come mai il documento
parli di aggiornamento del conferimento della nomina a definitore che poi gli
venne effettivamente data, e che egli effettivamente esercitò nel capitolo gene-
rale che l’ordine tenne nell’agosto del 1281 in Padova». Sarebbe utile accertare
la corretta interpretazione del passo cruciale (Diffinitorem eligendum reservavit
sibi, scilicet, prope capitulum generalem fecit fratrem Egidium Romanum
baccelarium Parisiensem, soggetto è il priore generale dell’ordine Francesco
da Reggio), a cominciare dai riferimenti cronologici impliciti e soprattutto dal
prope: GUTIÉRREZ, History, I.1, p. 72 traduce «he reserved to himself the right to
nominate the province’s definitor f o r the next general chapter, and he chose
Giles (...)» (spaziatura mia). Il sospetto è che si alluda invece al capitolo «gene-
rale» annuale tenuto a Perugia in concomitanza con quello provinciale del 1279,
secondo l’uso in vigore fino al capitolo «generalissimo» del 1281: sembra te-
ner conto di questo WIELOCKX, Apologia, p. 116 e in ogni caso si intuisce che la
nomina sarebbe stata resa ufficiale in tal sede. Quel che è sicuro è che Egidio
dovette essere informato con un certo anticipo, e che perciò avrebbe avuto il
tempo per chiudere la stesura del De regimine senza troppa precipitazione,
mentre era ancora in Francia.
50
Il rinvio, in un periodo in cui i capitoli generali si tenevano ogni anno, è
ricordato da RANO, Agostiniani, col. 314. Sull’organizzazione dei capitoli
agostiniani, riformata nel 1281, si vedano – oltre a RANO, ivi – GUTIÉRREZ,
History, I.1, p. 67 (anche sul ruolo del definitore) e KUNZELMANN, Geschichte,
I, pp. 238-239.
51
Così ad es. DEL PUNTA- DONATI- LUNA, Egidio, p. 331.
Testi latini e biblioteche tra Parigi e la valle della Loira 245
54
Si vedano, anche per bibliografia, WHITAKER, Traces, BRAYER, Laurent
e DE LA SELLE, Le service (soprattutto pp. 149-54 e 261-62), da integrare con
KAEPPELI-PANELLA, Scriptores, IV, s.v. «Laurentius Aurelianensis (Orléans)»,
pp. 185-86 (aggiornamento di KAEPPELI, Scriptores, III, pp. 63-64) e J.-P. Lobie
in DBF, XIX, 2001, col. 1427; su un aspetto particolare, SUPINO MARTINI, De
regimine. Come data della Somme si cita spesso il 1279, ma se è vero che l’ope-
ra fu compiuta in marzo, si dovrà intendere 1280, tenendo conto dello stile antico
(cfr. KAEPPELI, Scriptores, III, p. 64; d’altronde, un’analoga constatazio-
ne è costantemente dimenticata da tutti coloro che collocano nel 1282 la tradu-
zione del De regimine di Henri de Gauchi, cfr. subito sotto). Fra i pochi che
mettono in parallelo la Somme e lo speculum di Egidio (attraverso il
volgarizzamento) LUSIGNAN, La topique, p. 306, ha il merito di riconoscere in
questo periodo del regno di Filippo III un programma culturale coerente, ma
già dal rinvio bibliografico largamente superato mostra di avere un’idea poco
precisa dei reali rapporti di committenza.
55
Per gli anni prima del rientro in Italia appare ben poco fondata (per
quanto accreditata in qualche misura da EASTMAN, Das Leben, p. 323, cfr. la
nota successiva), l’idea di un «demi-exil, en province: Bayeux, Angers, 1277-
1281». La accoglie in questi termini, a guisa di un dato di fatto accertato, senza
Testi latini e biblioteche tra Parigi e la valle della Loira 247
60
Si veda (MANITIUS, Handschriften, p. 146, e già Philologisches, pp. 69,
72 e 115), la notizia del catalogo del secolo XIII, cfr. DELISLE, Le Cabinet, II, p.
515, su un codice contenente Orthografium Capri, Bede, Scauri et Angroecii
(sic, per Agroecii), tutti autori consultati da Guido; si conferma per l’ennesima
volta che ai suoi tempi circolavano anche a Parigi testi che ci attenderemmo noti
soltanto nella valle della Loira o nei dintorni (da dove proviene ad esempio
l’unico testimone medievale conservato di Scauro, del secolo IX, originario
forse di Auxerre; ma non è escluso che proprio a Parigi sia stato rinvenuto
prima del 1511 l’esemplare perduto da cui deriva l’editio princeps pesarese,
trascurata dall’editore Keil ma strettamente imparentata con la miscellanea di
Auxerre, come ho verificato da una rapida collazione e come meglio documen-
terà la prossima edizione a cura di Federico Biddau).
250 Ernesto Stagni
69
Se ne conservano però sei fogli riapparsi un secolo fa sul mercato
antiquario ed ora a New York, Pierpont Morgan Library, ms. 462. È comunque
plausibile che il codice fosse giunto a Parigi da poco tempo: le uniche tracce di
scrittura medievali che contiene il frammento, oltre ad alcuni disegni a secco
databili fra secolo XIII e XIV (è il parere di Armando Petrucci, che mi ha
gentilmente fornito un’accurata descrizione autoptica del frammento Morgan)
ma a mio avviso non di mano di Guido, recano i nomi di due funzionarî della
vicina Meaux intorno al 1400. Ovviamente però non si può escludere che i fogli
fossero stati strappati già prima dal codice e che il resto si trovasse a Saint-
Victor (sebbene l’accuratissimo catalogo non annoti la lacuna, come invece per
la fine del libro nono), o che la probatio pennae sia opera di uno scriba di Meaux
di passaggio a Parigi o copia da un documento finito a Saint-Victor dalla zona di
Meaux, dove l’abbazia ebbe forti interessi).
70
Trascrivo volentieri anche il seguito della nota, di eccezionale interesse
per i diplomatisti (al di là della disquisizione sul termine che dà nome alla loro
disciplina) per la consapevolezza della distinzione fra le forme di autenticazione
degli atti diffuse, da un lato, in Italia ed in Provenza, culle del notariato, e
dall’altro, a quanto si intuisce, nella Francia propriamente detta, o comunque nei
paesi in cui «faceva fede» il solo sigillo: la diplè verrebbe dunque a coincidere
con il signum del notaio. Il confronto assume particolare valore in anni di
transizione nelle pratiche transalpine, soprattutto da quando il Sud della Francia
passò sotto il diretto controllo di Filippo III.
71
La nota è introdotta dalla didascalia «diple/ diploma».
72
La nota prosegue alle righe sottostanti con grafia un po’ diversa,
leggermente più compressa, in inchiostro più scuro. Una postilla al f. 64r mostra
inequivocabilmente che Guido, per l’incertezza sulla grafia con u o con i,
intende con aliqui libri alcuni testimoni del Digesto, e non del rarissimo Plinio.
Testi latini e biblioteche tra Parigi e la valle della Loira 255
75
OUY, Les manuscrits, I, Introduction- Concordances- Index, pp. 30-31;
II, Texte, p. 630, n° 13.
76
La spiegazione più plausibile, in altre parole, è che Guido abbia avuto a
disposizione un codice mutilo fra il nono e il decimo libro, in cui ogni lettera era
numerata, e che solo in un secondo tempo si sia accorto del guasto. Al momento
di annotare il f. 61r, l’ultima inscriptio che aveva visto nello sfoglia-
re il manoscritto pliniano doveva essere quella del libro nono; più tardi deve
aver capito che una parte del testo era caduta, insieme all’explicit del nono, e,
con ragionamento ineccepibile, non potendo sapere quanto fosse estesa la lacu-
na, preferì parlare di un libro dopo il nono, che non necessariamente era il
decimo. L’impressione, almeno la più superficiale, è che Guido, non trovando in
Papia alcun lemma per diploma, abbia postillato il f. 61r, o comunque preso
appunti, «a caldo», mentre leggeva Plinio per la prima volta. Ad avvalorare
questa sensazione interviene la sorpresa per il fatto che è citato uno solo, il
primo, dei passi del decimo libro relativi ai diplomata; anzi, andando avanti
Guido si sarebbe accorto che proprio sulla funzione dei diplomata verte il breve
scambio epistolare testimoniato dalle lettere 120 e 121, a tal punto che anch’es-
se, come 10.45-46, sono comprese sotto il titolo de diplomatibus nelle edizioni
più antiche (e quasi certamente già nei manoscritti perduti); la parola compare
pure nell’inscriptio di 10.64 (diploma commodasse).
Testi latini e biblioteche tra Parigi e la valle della Loira 257
78
CIAPPONI, Agli inizi, p. 113. Vecce non sembra neanche porsi il proble-
ma: Leandro avrebbe collaborato con Giocondo e per stampare la princeps
incompleta l’editore Tacuino, in concorrenza con Manuzio, avrebbe approfitta-
to di una «fuga di notizie» (così ancora VECCE, Alde, p. 152).
79
TURCAN-VERKERK, L’Ausone (ed anche pp. 281-282 per l’Anthologia).
80
Alle due citazioni del commento note attraverso Könsgen anche al più
recente editore, Ferruccio Bertini (Johannes invece di Guido, lo ripetiamo, sarà
frutto di una banale svista, nonostante la coincidenza con il nome di un canoni-
co di Amiens, cfr. sopra, n. 18) ne va aggiunta una di difficile lettura dalle
postille bernensi (f. 82r: «hic locum videtur habere fliginum et fligo/ unde
profligo. de qu° dicitur infra; capitulo de p./ et illic notavi. de fliginum. quasi
figu-/linum a figulo. qui potest dici a fingendo .id est./ faciendo vel a figendo
quia figit .id est. imprimit/ formam materie. unde con(veni)t (?) quod de figulus
prima invenitur cor-/repta et producta. unde in comedia ulphi [sottolineatura di
Pierre Daniel?] figulus (?) [incerta la s finale, ma così Alda v. 280]/ ille novus|
contra vas figul… (?)/ tobias» [vas figulum nel Tobias di Matteo di Vendôme, v.
671, ed in altre sue opere]). Nel commento (KÖNSGEN, Die Gesta, II, Auszüge
aus dem Kommentar des Guido de Grana, p. 430) si legge invece a 3.25 simile
huic dicitur in comedia que Grece dicitur Antrapiaculo: (Alda, vv. 133-36, ed.
BERTINI, p. 62) basia forma labrorum/ Invitat teneris assimilata rosis/ Que
castigatus tumor erigit arte studentis/ Nature, ut possint oscula plena capi e
6.482 (II, p. 504) nam ut dicitur in comedia Ulfi que vocatur Antrapiaculo:
evenit a sola prosperitate dolor (cfr. Alda, v. 48, ed. BERTINI, p. 54). Non si può
dare troppo peso alla variante basia/oscula al v. 136, dove la ripartizione dei
testimoni e la stessa costituzione del testo restano controverse (non è esclusa
una doppia lezione nell’archetipo). Il titolo comedia Ulphi, invece, sembrereb-
be attestato solo nel codice L ed in una sua copia. Della bibliografia sul titolo
greco dell’Alda mi limito a citare il pur discutibile BATE, Ancient, che a p. 10 ha
il merito di citare l’allora recentissima edizione parziale di Guido de Grana (ma
lo ritiene «an Italian sounding name»). Per il resto e su Guglielmo in generale
rinvio all’ottima introduzione di Bertini al volume citato.
Testi latini e biblioteche tra Parigi e la valle della Loira 259
81
Sul personaggio si veda ora GRAMSCH, Erfurter, ad ind. e soprattutto
pp. 154-57, con bibliografia (in particolare pp. 154-55 n. 223 per un rinvio
aggiornato sulla biblioteca). Per il codice dell’Alda ed il suo titolo, che nel
catalogo amploniano (LEHMANN, Mittelalterliche, II, p. 14, n° 29) compare
glossato nella forma Item Musa Blesensis egregia de antropynaculo, id est de
mascula virgine, si veda la nota di BERTINI, Alda, al v. 48, p. 55: si aggiunga
che ne resta traccia nell’inscriptio di B: de mascula virgine. Incipit prologus,
cfr. p. 36.
82
È tentazione irresistibile ma pur sempre avventata supporre che Guido
possa aver visto solo a Parigi questo rarissimo documento della storia cittadi-
na: è stata proposta anche Fleury come tramite per la fortuna inglese del terzo
libro (ma anche i primi due rientravano con ogni probabilità nei Descidia
Parisiacae polis donati da Aethelwold a Peterborough).
260 Ernesto Stagni
83
Si veda DI SIMONE, Le didascalie, soprattutto p. 950, citata insieme ad
altra bibliografia sulla fortuna medievale di Petronio in MAZZONI PERUZZI, Me-
dioevo, specialmente pp. 45-50 e 90-94. Alle testimonianze che ho raccolto e
discusso provvisoriamente nella tesi di perfezionamento si aggiunga ora per
l’evidentissima origine petroniana (Satyricon, 1.3) di mellitos verborum globulos
(non da un florilegio ma dagli excerpta longa o brevia) un anonimo trattato De
patientia recentemente edito in POIREL, La patience, p. 86, ll. 39-40 (pp. 78-79
per Petronio, ma si potrebbero citare altri due codici conservati anteriori al
secolo XIII).
84
Si veda PETRUS BLESENSIS, Carmina, V.4.1b, v. 5, pp. 608-609.
Testi latini e biblioteche tra Parigi e la valle della Loira 261
85
Che il mito di Minosse, Androgeo e Scilla potesse essere visto già prima
come un soggetto esemplare per le scuole «as a type of poetic invention» so-
stiene NIMS, Poetria, p. 100, alla luce del commento di Bernardo Silvestre a
Letum Androgei in Eneide VI.20. Cfr. anche sotto, n. 102.
262 Ernesto Stagni
88
L’epiteto divinus per Platone è già ciceroniano. Ma si veda anche, in
chiave satirica, Vitale di Blois, Aulularia, 166: Qui docuit superos, Plato beatus
erat, e, dello stesso autore, la figura di Anfitrione studente ad Atene nel Geta,
su cui mi intrattengo alla fine di questi paragrafi sull’Androgeus. Notevole an-
che il nominativo alla greca, raro nel latino sia classico che medievale.
89
O forse, più semplicemente, a licenze (o a meri errori di versificazione:
ma appare interpretazione troppo sbrigativa per un autore che non poteva non
avere qualche movente per accostare platealmente Pieridum Pieri in un
emistichio incipitario, e che difficilmente avrà ignorato la grafia sollemnis con
o in sillaba lunga: salvo magari invocare implicitamente una giustificazione
come quella addotta da Guido).
264 Ernesto Stagni
90
Una simile constatazione, però, non elimina la necessità di studî più
approfonditi e generali sul tipo di manoscritti ovidiani che usarono, ben al di là
di una bibliografia ad oggi ampiamente perfettibile; soprattutto si dovrà sem-
pre tener conto degli incroci di influenze che poterono interagire da altre dire-
zioni con gli scolî, com’è inevitabile, nel caso del mito di Androgeo, per due
attenti lettori della Poetria nova (soprattutto in Chaucer; non ho potuto consul-
tare la tesi di M.C. Edwards citata da COOPER, Chaucer, p. 264, note 7 – proprio
per il personaggio che ci interessa – e 14; inoltre COOPER, ivi, p. 81 con 264-65,
n. 15 per un altro significativo accostamento – cfr. sopra, note 86-87 – fra le
Muse-Pieridi e le figlie di Piero). Per un’indicazione di glosse ovidiane perti-
nenti, ossia con la versione deformata, si veda già USSANI JR., Alcune, pp. 302-
303, n. 5. Per il momento ho rinunciato ad indagare fra commenti e glosse alle
Ecloghe e all’Eneide di Virgilio, dove già Servio (rispettivamente a VI.74 e a
VI.14 e 20) si occupa di Androgeo, ancora presentato come atleta. Da Servio
inoltre dipende per intero il più antico scolio all’Achilleide (v. 192) di Stazio, in
una raccolta di età carolingia se non posteriore che circolò in alcuni manoscritti
insieme alla Tebaide commentata da Lattanzio Placido; anche nel caso
dell’Achilleide, che divenne fortunato testo scolastico, ho rinunciato a dedicar-
mi agli scolî dal secolo XII in poi. Naturalmente commenti autorevoli, diffusis-
simi (almeno quello di Servio) non solo in forma continua ma anche nei margi-
ni di opere a loro volta popolarissime e con una versione del mito non ancora
alterata, erano destinati a resistere più facilmente agli attacchi degli interpolatori,
ma non si può escludere a priori, senza una ricerca fatalmente lunga e com-
plessa, anche se probabilmente inutile, che qualche glossa a Virgilio o a Stazio
abbia accolto o addirittura inventato l’esegesi che incontriamo nei codici di
Ovidio.
91
Si veda MARBODO, De ornamentis, pp. 14-15, con note a pp. 79-80.
92
Ambigua intorno al 1100 poteva risultare anche l’informazione della più
antica cronaca universale propriamente detta del Medioevo, quella di Frutolfo
erroneamente attribuita ad Ekkehardo di Aura (se ne attende una nuova edizio-
Testi latini e biblioteche tra Parigi e la valle della Loira 265
ne per gli Scriptores di MGH, e intanto si deve ricorrere alla vecchia e scadente
di Waitz in MGH SS VI, p. 43, ll. 29-30): Minos Cretensibus leges dedit, cuius
filius Androgeus ab Atheniensibus dolo interfectus est, cum ludos agentes
superaret. Per l’ultima proposizione non possono essere fonti gli autori indicati
in margine da Waitz, Isidoro e Orosio. La notizia potrebbe derivare da Servio,
ma quel che più conta è che ludi rischiava di essere interpretato come «scuole».
93
Si ritrova, con la variante sui doctores invece che sui socii come omici-
di, anzi come mandanti, in Oxford, Balliol Coll. 143 (secolo XIV), f. 28v: dicitur
quod Androgeus filius regis Minois ivit Athenas ad studiendum [sic?]. Qui
Androgeus erat adeo elevatissimi ingenii quod in brevi factus est
sufficientissimus unde doctores invidentes sibi ex sua scientia et ingenio
ordinaverunt t(ota)l(it)er [sarà taliter] quod ipsum fecerunt interfici... e
nell’Ovide moralisé, libro VII, vv. 2246-2265: Un fil ot [Minosse] sage et bien
apris./ Ja par moy n’ert ces nons celez,/ Androgeüz fu apelez./ Li rois pour
philosophier,/ Pour aprendre et estudier,/ L’ot en Athienes envoié./ Bien ot cil
son temps emploié,/ Ne l’ot pas en vain despendu./ Tant ot à l’estude entendu,/
Que plus en sot que cilx ne sorent/ Qui plus de lui oï en orent./ Sor touz les
autres aprenoit,/ Et ceulz d’Athenes reprenoit/ Les plus maistres de la science,/
Et confondoit lor sapience./ Envie et desdaing en avoient/ Athenien qui
mains savoient,/ Si l’occistrent par traïson (traggo i due brani da MEECH,
Chaucer, pp. 186-87 con n. 28, ma per il secondo sostituisco alla lezione di
Parigi, Bibliothèque Nationale de France, fr. 373, f. 159rv, il testo critico ap-
parso nello stesso anno di DE BOER- DE BOER- VAN’T SANT, Ovide, III, p. 68:
DEMATS, Fabula, p. 67, confronta tutto quest’ultimo passo con lo scolio di un
altro manoscritto parigino). Ma su questa variante si veda anche sotto per il
compendio mitologico di Oxford, indubbiamente assai più antico, e per la re-
censione vulgata degli scolî, alla quale appartiene anche il codice citato da
Paule Demats.
266 Ernesto Stagni
54v ad Ovid. Met. 7.458: Mynos filium Androgeum causa legendi Athenas
miserat. Qui cum in studio omnes suos coetaneos praecelleret ei vehementer
inviderent [sic] quadam die de arce Paladis precipitaverunt vel secundum
quo<s>dam cum stilis fer<r>eis interfecerunt vel cum cognovis<s>ent eum
filium regis cum domum reverti voluis<s>et [sic] ostenderunt ei viam quae in
desertum ducit ubi noverant crudelem habitare draconem. Ad quod (?) dum
iret devoratus est; hac de causa Mynos parabat bella et circumit urbes et insulas
sibi aquirendo eas et petendo quod eum adiuvarent.
100
Molto simile il commento al Minosse dantesco in GUIDO DA PISA,
Expositiones, p. 99, con l’importante specificazione de summa turri arcis
Minerve e l’incongrua ma significativa attribuzione del contenuto dello scolio
allo stesso Ovidio (Septimo enim libro ponit ipse Ovidius quod Minos…). Cfr.
anche Pietro Alighieri (ALIGHIERI, Il commentarium, pp. 212-213 e ALIGHIERI,
Comentum, p. 172), BENVENUTO, Comentum, I, p. 384, ecc.
101
BROWN, An edition, pp. 42-43. Vale la pena di ricordare che questo
trascurato compendio mitologico, di probabile origine o derivazione chartriana,
presenta importanti affinità con l’enigmatico Teodonzio noto non solo a
Boccaccio (per il tramite di Paolo da Perugia) ma già al più antico commento
ovidiano medievale che conserviamo , databile a decenni intorno al 1100, in
Monaco, Staatsbibliothek, clm 4610 (purtroppo non ho ancora potuto studiarlo,
comunque da MEISER, Ueber einen Commentar, non risultano, a giudicare dal
cospetto a p. 58, lezioni o lemmi relativi al v. 7.458 che nomina Androgeo,
anche se andrebbe analizzato tutto il brano su Minosse e Scilla per eventuali
esegesi sul mito nel suo complesso): si veda PADE, The fragments, pp. 154 con
note 35-37 e 159 con n. 79.
Testi latini e biblioteche tra Parigi e la valle della Loira 269
113
Chiudo con un altro esempio nel quale mi sono appena imbattuto. Dal
momento che ho abbondantemente ricordato le Heroides, mi piace segnalare in
Guido una traccia della rarissima quindicesima, l’epistola a Saffo, di contro-
versa attribuzione, di cui si conserva un solo testimone preumanistico (oggi a
Francoforte), oltre ad estratti nel Florilegium Gallicum (quella compilazione
che almeno fino a tempi recentissimi veniva considerata originaria della zona
di Orléans e con la quale Guido condivide la lettura di testi a dir poco prelibati
se non introvabili): al f. 85r del codice di Wolfenbüttel (si veda sopra, n. 9) si
legge, con titolo gravemente corrotto, un’incontrovertibile allusione al v. 14
(…proveniunt; vacuae carmina mentis opus; nel florilegio Sunt vacue carmina
mentis opus): «ovidius carmina secessum/ Idem sapho in epist./ ad pho» (cfr.
Tristia, 1.1.41) al di sopra di una glossa marginale a quanto pare preesistente
che riassume il concetto espresso da Seneca: «sapientia eget/ loco vacuo». Il
fatto che per quanto deformato si legga il nome del destinatario esclude una
derivazione dai florilegi, nei quali è taciuto, se si esclude un’aggiunta assai
tarda in uno dei manoscritti principali che per di più omette il verso in questio-
ne (si vedano le edizioni RACKLEY, The excerpts, p. 129, v. 109, e soprattutto
BURTON, Classical, p. 214). Di solito Guido non specifica i nomi dei corrispon-
denti delle singole epistole; si ha dunque l’impressione che qui dipenda da una
tradizione separata, come il Francofortano e a differenza del florilegio.
Testi latini e biblioteche tra Parigi e la valle della Loira 275
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