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L ETIMOLOGIA
COME PROCESSO
DI INDAGINE CULTURALE
NAPOLI
2002
ISTITUTO UNIVERSITARIO ORIENTALE
DIPARTIMENTO DI STUDI DEL MONDO CLASSICO
E DEL MEDITERRANEO ANTICO
QUADERNI DI AIWN
NUOVA SERIE - 5
COLLANA DI STUDI
DIRETTA DA
DOMENICO SILVESTRI
Indice
Premessa
Incipit
La ricerca del vero: la riflessione sulla lingua
Letimologia come processo di indagine culturale
I pericoli del passato
Uno, nessuno, cento mila
Etimologia e cultura materiale
Il contributo dellantropologia
Etimologia e ricostruzione
Etimologia e sostrato linguistico
Storie di frontiera
Questioni particolari e note bibliografiche
7
9
29
53
67
85
91
101
113
129
153
179
PREMESSA
Questo libro nato da un corso universitario, e ci spiega perch
spesso si sono fornite spiegazioni che lo specialista giudicher inutili e
si mantenuto un tono discorsivo ed amicale nei confronti del Lettore.
Ritengo tuttavia che chi non specialista delle lingue qui utilizzate
come materia etymologica potr trovare qualche utilite spunto di ri-
flessione e lo specialista apprezzer, se lo riterr opportuno, le novit
etimologiche qui presentate.
Il titolo di questo libro riassume il convincimento di fondo del suo
autore, ossia che letimologia un processo di indagine culturale basa-
to su una tecnica linguistica. Alla tecnica non si prestata qui atten-
zione, e non certo per un atteggiamento riduttivo, quanto perch essa
avrebbe richiesto da sola un volume a parte. sin troppo vero che molti
tentativi etimologici nascono morti proprio perch chi li ha proposti ha
sottovalutato le tecniche etimologiche formali. E purtuttavia altret-
tanto vero che che un etimo basato esclusivamente su una tecnica cor-
retta un etimo muto se esso non ha un decisivo sostegno culturale.
Il vero etimologo devessere, come Odisseo, v`u .,.
Lunghi e piacevolissimi anni di collaborazione al Lessico Etimolo-
gico Italiano, diretto dallAmico Max Pfister (Saarbrcken), mi hanno
insegnato spero - che tra le doti delletimologo vanno annoverate la
pazienza ed il senso della misura. Le migliaia di etimi dialettali italiani
rivisti, corretti, proposti, discussi, con una manciata di altri Amici e
Colleghi sono state allo stesso tempo palestra e cenobio.
Nel momento stesso stesso in cui scrivo queste righe, il libro cessa
di essere solo mio ed avr un destino suo proprio. Non posso staccar-
mene, tuttavia, senza ricordare con gratitudine gli Amici che in vario
modo mi hanno aiutato: Giorgio Banti, Yaqob Beyene, Paola e Filippo
Cssola, Sergio Daris, Stefano De Martino, Felice Israel, Elie Kallas,
Tiziana Lippiello, Ugo Marazzi, Giovanni Pettinato, Luciano Rocchi,
Gennaro Tedeschi. Ad essi associo doverosamente coloro che hanno let-
to la prima stesura di questo lavoro. Un grazie tutto particolare va
Franco Crevatin 8
allAmico Domenico Silvestri, per aver impavidamente accettato il ri-
schio di ospitarmi nella sua prestigiosa collana.
Questo libro dedicato, con immutato affetto, alla memoria dei miei
Maestri Vittore Pisani e Marcello Durante.
F.C.
Letimologia come processo di indagine culturale 9
INCIPIT
Etimologia , per definizione, ricerca del vero, della reale ori-
gine di una parola o di unespressione (: u). Essa dunque
attivit umana per eccellenza, prima ancora che scientifica: ricer-
ca di ci che vero, non mera apparenza, che ci si sforza di
riconoscere attraverso le deformazioni apportate dal succedersi
degli eventi umani e dal procedere della Storia. Errava il gover-
natore Ponzio Pilato, quando con lamaro e sbrigativo cinismo di
chi crede di aver cose pi importanti da fare che discutere con
un fastidioso Nazareno, sbott in Quid est verum? (Joh. 18, 38).
Aveva torto (e si pent, se vogliamo credere al M. Bulgakov del
Maestro e Margherita), poich lUomo ha sempre, in ogni caso
bisogno del vero: pu talora rassegnarsi ad ignorare, ma disprez-
za lignoranza. Ignorante un insulto sanguinoso, e non solo
nelle nostre culture: gli Egiziani che si ribellarono contro Tolomeo
IV Philopator ed occuparono una parte dellAlto Egitto, inter-
rompendo i lavori di costruzione del grande tempio di Horus ad
Edfu, vennero definiti ignoranti, jxmw, dalla reazione lealista
(Edfu 7, 6, 7), una condanna senza appello.
Letimologia dunque uno strumento della ricerca storica; di
pi, nel momento stesso in cui la linguistica vuole essere filologia
storico comparativa, essa non pu fare a meno delletimologia.
Ci si potrebbe dunque attendere non solo che letimologia sia
praticata in misura ragionevolmente estesa, ma altres che su di
essa si sia ampiamente riflettuto. Ora, non sarebbe corretto dire
che tutto ci non sia avvenuto, tuttavia non pare dubbio che
larte delletimologia abbia oggi perduto molti cultori. Molte imprese
etimologiche di base, quanto meno nellambito delle lingue indoeuro-
pee, sono state largamente compiute e spesso si mormora che gli
etimi buoni ormai sono gi stati trovati, per cui letimologia
passa talora per un arguto passatempo da pomeriggi piovosi. Per
un lungo periodo le cose non sono andate cos. Sino alla met di
questo secolo la linguistica storica e comparata stata, bene o
male, la linguistica -i: ed ha costituito un modello di
Franco Crevatin 10
affidabilit e rigore disciplinari. Nuove idee ed attenzioni si sono
gradualmente imposte, talora in maniera non indolore; daltra
parte era quanto ci si doveva attendere, poich tutto ci che
realmente vivo evolve (e la linguistica non fa eccezione) tramite
il mutamento e larricchimento dei paradigmi scientifici. Se dun-
que si prescinde da periodiche rivelazioni messianiche e da san-
guinose ma al fondo ridicole guerre accademiche, si pu dire
che levoluzione disciplinare ha portato molti frutti anche alla
stessa arte etimologica. Ma, appunto, sulle nuove dimensioni
delletimologia si poco riflettuto.
Inizieremo dunque impostando, dallinterno delletimologia stessa,
i problemi di base; partiremo da alcuni esempi semplici.
Vicino a Dignano, in Istria, c una localit campestre detta
Pidiga. Essendo un toponimo neolatino, possibile risalire sulla
base delle leggi fonistoriche delle parlate della zona ad un agget-
tivo latino pblca. LIstria meridionale romana fu largamente sfruttata
dal punto di vista agricolo: gli agri dei centri romani maggiori
vennero divisi in parcelle (praedia) che ancor oggi conservano il
nome del loro primo proprietario e la risultante centuriazione
venne delimitata da confini interni ed esterni basati su strade e
viottoli. Una traccia resta nel significato della voce dignanese
ljmido sentiero, che risale a lmtem limite, confine, e nel nostro
toponimo, che evidentemente segnalava una (parte del percorso
di una) via pubblica.
Sempre nellIstria, attestato sin dallepoca romana il nome
di un borgo collinare, Piquentum. Il nome, per, non latino ed
evidentemente stato attribuito dagli Istri, la popolazione origi-
naria della penisola, ad una delle loro tante rocche fortificate
oggid definite castellieri. Stante il fatto che gli Istri parlavano
una lingua, appartenente alla famiglia indoeuropea, affine al venetico,
possibile analizzare il nome secondo le regole formative ed i
lessemi propri, appunto, di tale famiglia. Possiamo dunque rico-
noscere un suffisso derivazionale *-wento-, che si aggiungeva
Letimologia come processo di indagine culturale 11
generalmente a basi nominali per indicare una relazione di ap-
partenenza o una qualit
1
. Il lessema di partenza identificabile
in un *puko- col significato di pino, confrontabile col greco v:u -,
col lituano pus ed altre parole ancora. Sulla base di questa com-
parazione ci si rende conto che il toponimo istro doveva suonare
originariamente *puk(o)wentom, forma andata soggetta a dissimila-
zione (*Puquentum > Piquentum). Il significato originario del nome
era dunque (colle) dei pini, il che congruente con le caratte-
ristiche geografiche della zona.
Se seguiamo la storia medievale di questo toponimo ci attendono
altre istruttive sorprese. Le genti slave cominciarono ad insediarsi
in Istria a partire dallVIII sec. d.C. e recepirono di conseguenza
molti nomi locali dalle genti neolatine: uno di questi fu appunto
il nome che abbiamo indagato, che compare sia in sloveno che in
croato nella forma Buzet. Per quanto sconcertante possa apparire,
esso la resa slava di un *Bilgent(o) che nullaltro se non una
forma dialettale neolatina, evolutasi secondo la seguente trafila
Piquento- > *Bigento > *Bingento > *Bilgento. Se guardiamo allusua-
le forma neolatina del toponimo, ossia Pinguente, ci rendiamo conto
che alcuni dei fenomeni ora visti non sono condivisi, e lo stesso
vale per la forma darchivio (XI sec.) Puviendo, falsa restituzione
scritta di un parlato *Puvint. Che dire? Innanzi tutto che abbiamo
diverse forme derivate dalla forma latina, ossia *Pinguent
2
, *Puvient
e *Bilgent(o), tutte forme caratterizzate da fenomeni fonetici ben
documentati nei dialetti neolatini istriani: esse mostrano inequi-
vocamente che la divisione dialettale neolatina dellIstria inizia-
ta molto per tempo. In unarea geografica piccola e non densa-
mente popolata la differenziazione delle parlate neolatine dun-
que iniziata molto presto, e questa non informazione da poco
per lo studioso dei processi sociali e culturali alto medioevali.
1
Un confronto tra i tanti costituito dalla celebre espressione formulare della
poesia orale a noi giunta sotto il nome di Omero : v:i v: :i, le alate
parole, le parole che vanno diritte al bersaglio come frecce guidate dalle piume
poste vicino alla cocca.
2
Alla base della forma neolatina odierna.
Franco Crevatin 12
I casi sopra discussi presuppongono il rispetto di regole evolutive
precise di carattere fonetico; presuppongono, a titolo diverso, con-
tinuit linguistica ininterrotta dallet preromana e romana sino
ai giorni nostri; presuppongono un sapere extra-linguistico che
adeguatamente conforta in re gli etimi individuati.
Nel caso dei toponimi spesso siamo di fronte allincommensu-
rabilit dellipotesi emessa, perch il nome di luogo in quanto tale
non ha significato e frequentemente la sua motivazione linguistica
sincronica inaccessibile: insomma, un nome come Montebello
trasparente, Sorsole (prov. Bergamo) non lo
3
. Non mancano per
casi nei quali la motivazione ci resa nota, ed in tal caso, pur con
la dovuta prudenza, lesegesi etimologica viene resa possibile. Plinio,
il grande studioso latino morto per studiare pi dappresso la ter-
ribile eruzione del Vesuvio che seppell Ercolano e Pompei, raccol-
se nella sua Naturalis Historia una copiosissima messe di notizie
derivanti dallinsieme dellerudizione antica. Tra le tante informa-
zioni topografiche riguardanti le regioni e le genti dellIndia, egli
ci parla di una catena di contrafforti montuosi il cui nome sarebbe
stato Imaus, del quale ci viene detto che incolarum lingua nivosum
significante (N.H. 6, 64), ossia che nella lingua del posto significava
nevoso. Nel citare le fonti del suo sesto libro, Plinio ricorda il
geografo greco Megasthenes ed Alessandro Magno, intendendo
con questultimo le relazioni etno-geografiche fatte dagli studiosi
al sguito della vittoriosa marcia del Macedone. Il nome attesta-
to anche in Arriano (2, 3, 2; 6, 4, 2), in Strabone (2, 5, 31; 11, 8, 1,
etc.) ed altri, nella forma li . ,, dalla quale proviene con tutta
evidenza la forma latina. Deve dunque trattarsi di parola indiana:
se si tiene conto del significato che la fonte attribuisce al nome,
facile concludere che si tratta di un derivato di hima, m., neve,
ghiaccio, freddo, come il sanscrito himya- nevoso; nel nostro
caso, la spirante glottale iniziale non stata recepita dai parlanti
greci oppure si perduta nella tradizione manoscritta.
3
Per chi avesse tale curiosit, preciseremo che il nome un derivato dallagget-
tivo latino slceus siliceo, per la natura rocciosa della zona.
Letimologia come processo di indagine culturale 13
Un altro caso, ancora pi chiaro. Lo stesso Plinio (N.H. 6, 158,
8) ci tramanda un toponimo dellArabia che nella tradizione te-
stuale compare nella forma Aenuscabales: esso significherebbe la
fonte dei cammelli. facilissimo riconoscere i lessemi aain oc-
chio; fonte e gamal cammello
4
. La b- interna trova giustifica-
zione nel fatto che in molte lingue semitiche esisteva ed un
fatto fonetico molto comune unoscillazione b / w / m. Un pic-
colo problema , semmai, il fatto che ci si attenderebbe un plu-
rale (cammelli), plurale che in arabo avrebbe dovuto avere una
forma completamene diversa (nellarabo classico si trova jiml ed
ajml), ma la soluzione semplice: Plinio ha preso il toponimo
da una fonte, scritta od orale, greca, nella quale il nome di luogo
era stato grammaticalizzato secondo le regole della lingua greca,
ossia `A. , |i ` o sim.
Abbiamo toccato indirettamente un punto molto delicato, os-
sia la questione delle fonti, e di fatto esistono fonti di affidabilit
molto diversa.
Anche quando si raccolga materiale da lingue viventi, ci che
ci viene detto pu essere oggetto di dubbio, perch linformatore
tuttaltro che neutro e le risposte alle nostre domande ricadono
nella pragmatica linguistica dei rapporti tra intervistatore ed intervi-
stato. Chi risponde pu esser tentato di ricorrere ad un registro
espressivo colto, meno locale; pu temere di sembrare poco in-
formato, per cui abborraccia le risposte; pu risentire di influssi
derivanti dalla sua storia personale, utilizzare forme specifiche
della sua classe det o del suo sesso; pu infine essere o no
specialista o buon conoscitore di uno ma non di altri ambiti spe-
cifici. Resta per il fatto che la sua risposta, linformazione che
essa ci fornisce, pu essere lunico elemento esistente in nostro
4
La j- iniziale dellarabo classico uninnovazione, peraltro non condivisa, nep-
pure anticamente, da tutte le variet dialettali; la velare iniziale compare in tutte
le lingue semitiche e nei prestiti da esse irradiati (cfr. la glossa esichiana ii `
-i `, vii \i`oi. ,), come ad es. il latino camelus o legiz. (demotico)
gmwl, copto *kamoul, qamoul.
Franco Crevatin 14
possesso. Si tratta di cose note ma spesso dimenticate e ne forni-
sco un esempio personale.
Il p. V. Guerry un benedettino che per lungo tempo stato
in Costa dAvorio a contatto con la lingua e la cultura bawl.
Durante il suo apostolato raccolse uno splendido frasario france-
se-bawl basato sulle tante conversazioni da lui avute nei villag-
gi vicino a Bouak. Nel suo frasario manoscritto egli si sforzato
di fornire lequivalente bawl di molte espressioni emotive, psi-
cologiche, situazionali tipiche della cultura linguistica francese,
che egli ben sapeva erano difficili da tradurre in una lingua ed
una cultura tanto diverse. Tra le tante una mi rimase a lungo
incomprensibile: O ti klNgl nu un fatto mistico, letter. nel
k.. Potr sembrare cosa ovvia, ma bisogna riflettere sul fatto che
per un religioso (e per dei catechisti) laggettivo mistico ha notevole
rilevanza teorica e pratica. Quando stavo ormai per rinunciare
ad ogni esegesi (e dunque stavo per per avallare la scelta di p.
Guerry), trovai quasi casualmente la soluzione dellenigma. I Bawl
credono nellesistenza di stregoni (baefwE) che nottetempo fanno
uscire lanima dal corpo e si incontrano tra di loro per decidere
quale anima (wawE ) divorare. La dimensione misteriosa, non
percepibile dai comuni mortali ma riconoscibile facilmente dai
veggenti, nella quale si muovono ed agiscono gli stregoni in for-
ma di anime disincarnate appunto detta klNgl. A questo pun-
to diventa facile capire come lequivoco, nellinformazione o nella
traduzione, possa essere insorto. Se tanto pu capitare a specia-
listi, a maggior ragione si pu sospettare che capiti a dei non
specialisti.
Ci che vale per la fonte orale vale a maggior ragione per la
fonte scritta, che oltre tutto non possiamo interrogare. La tipologia
dei problemi che le fonti suscitano sterminata; possiamo limi-
tarci per ora a rilevare che qualunque testo scritto ha, per defi-
nizione, un suo fine ed una coerente funzione, in rapporto con
altri testi ed stato progettato e redatto per i suoi potenziali
fruitori. dunque chiaro e questo, purtroppo, lo sappiamo bene
che pu essere stato scritto per ingannare, o essere inadeguato
Letimologia come processo di indagine culturale 15
al proprio fine, oppure ancora disuguale nellinformazione, fatto
questo comunissimo. E tutto ci va visto sulla trama della tradi-
zione scrittoria del testo stesso, tradizione che pu vantare secoli
di storia, di errori e di fraintendimenti.
Vediamo un caso curioso. La seconda met del XIX secolo ed
i primi decenni del XX sono stati una grandissima stagione per
la lessicografia dialettale italiana. Grandi vocabolari come quello
di Cherubini per il milanese, di Di SantAlbino per il piemontese
e tanti altri ci hanno lasciato in eredit un patrimonio di fatti
ormai scomparsi dalla memoria. Tra queste grandi opere ce n
tuttavia una curiosa, il Vocabolario vernacolo-italiano pei distretti
roveretano e trentino di G.B. Azzolini: redatta prima del 1853, lopera
fu compendiata (!) e curata per la stampa da G. Bertanza (Vene-
zia 1856). Cosha di curioso tale vocabolario? Il fatto che spesso
solo a fatica si capisce il senso delle parole trentine, poich lau-
tore nellesporne il significato toscaneggia in maniera caricaturale,
quasi il suo fosse un esercizio di come si possano dire meglio le
cose in fiorentino illustre di quanto si possano dire nel vernacolo,
il che francamente buffo se pensiamo di avere tra le mani sem-
plicemente un vocabolario dialettale. Se noi leggiamo il Vocabo-
lario come un documento del dialetto e sul dialetto non possiamo
che rimanerne delusi, ma il fatto che lintera stagione vocabolaristica
dialettale italiana stata consapevolmente mirata a colmare il
divario tra i dialetti e litaliano, la lingua di una nazione e di uno
stato che si stavano costituendo. Al di l dellamore per il natio
loco, pur percepibile nelle opere migliori, lo scopo di fondo dei
vocabolari era didattico, non tanto quello di illustrare il dialetto
a chi non lo sapeva o ai linguisti (!) basti dire che sino alla met
del XX secolo i dialettofoni in italia sono stati larghissima mag-
gioranza bens insegnare litaliano a partire dal dialetto. Era
dunque logico, per lAzzolini, toscaneggiare.
Capire una fonte significa capire le motivazioni che le stan-
no alla base. Buon criterio filologico, almeno per quanto riguar-
da le fonti antiche, dar fiducia a quanto ci viene detto: linfor-
Franco Crevatin 16
mazione pu di fatto essere imprecisa o sbagliata, ma anche in
tal caso utile sforzarsi di capirla. Un buon esempio ci viene
offerto da alcune delle informazioni che Macrobio, un letterato
latino della seconda met del IV sec. d.C., ci fornisce, quasi
occasionalmente
5
, sullEgitto antico. Il Nostro non conosceva
direttamente lEgitto, per cui si servito di pi antiche fonti
qualificate: quando egli ci parla (7, 13) delle teorie fisiologiche
egiziane sul dito anulare (sulle quali ritorneremo) o del fatto
che il geroglifico della vacca indicava la terra (1, 19), egli di-
pende dagli studi rispettivamente di Apione e del sacerdote-
filosofo Chairemone, ed ambedue le notizie sono di buona qua-
lit. Non sappiamo da chi dipenda la notizia delle immagini
alate del sole (solis simulacra pennata; 1, 19), che evidentemente
si riferisce al comune emblema decorativo e scrittorio , n la
descrizione del dio adorato ad Eliopoli (1, 23). Secondo Macrobio,
si tratterebbe di Giove in quanto sole, ma noi sappiamo che non
cos: un dio in posizione eretta, con la mano destra alzata che
stringe una frusta (come un auriga), non pu essere che il dio
Min. Stranamente scomparso il particolare dellitifallia, e per
contro si dice che nella mano sinistra il dio stringe delle spighe
di grano ed il fulmine: questi particolari non hanno nulla di
iconografico, per quanto noi ne sappiamo, tuttavia possiamo
facilmente supporre che ci sia stato un fraintendimento proprio
nella fonte di Macrobio. Le spighe di grano hanno infatti gran-
de importanza nella festivit del dio ed inoltre il geroglifico
con il quale si scriveva il nome di Min, , era casualmente
identico alle forme convenzionali che il fulmine assumeva
nelliconografia greca e romana. Il fraintendimento pi curioso
quello riferito in 1, 21: Macrobio dice che gli Egiziani raffigu-
ravano le immagini del sole col capo rasato solo a sinistra, perch
a destra la chioma restava intatta. Non cos: o meglio, il rife-
rimento alla ciocca di capelli
la casa di nome bayaad < arabo bay bianco e pu in-
dicare, oltre al colore che essa denota, un fatto negativo in caso
di malattia (bianco il colore della morte) o di animali perduti,
ma un fatto positivo quando la consultazione avvenga a propo-
sito di donne o ragazze. Tracciate le 4 figure, il geomante le legge
in orizzontale da destra a sinistra, disponendo i segni dallalto
verso il basso ed ottenendo cos quattro nuove figure. A questo
punto le due di destra indicano il passato del fatto indagato e
quelle di sinistra il proseguimento temporale del fatto stesso.
Ulteriori trasformazioni sono possibili e le possibilit esegetiche
si ampliano considerevolmente (ad es. la riduzione 4 > 2 > 1, la
somma totale dei trattini ed altro ancora), per cui il faaliye ha
molti possibili responsi tra i quali teoricamente scegliere. Di fat-
Letimologia come processo di indagine culturale 25
to, egli sceglie assieme al consultante e si potrebbe tranquillamen-
te dire che lindovino uno strumento che per agire abbisogna
dellindirizzo e delle scelte di chi lo usa. Basti dire che se alla
fine delle trasformazioni egli dovessere ottenere il segno jamaac
(formato da due versi su ciascuno dei quattro piani) il responso
sarebbe, coerentemente con il nome di palese origine araba, una
riunione di persone, senza che per questo si possa sapere se si
tratta di una riunione festiva (ad es. un matrimonio), luttuosa
(un funerale), unassemblea religiosa o una battaglia. Insomma,
quanto diceva gi Seneca il Giovane a proposito dei portenti
divinatori rivelati, secondo la disciplina etrusca, dai fulmini (Natur.
Quaest. 2, 32, 6: Auspicium observantis est un auspicio tale per
coloro che lo colgono).
Ci sono problemi etimologici che letimologo pu risolvere
senza mediazioni, ossia con gli strumenti che gli sono professio-
nalmente propri, e responsi che lindovino pu ricavare senza
interventi esegetici speciali. Una volta che letimologo abbia ben
chiare le regole fonistoriche dei dialetti istriani meridionali e sappia
altres che in tali dialetti (e non solo in essi) il suffisso diminuitivo
latino -llu(s) spesso si presenta ampliato nella forma -llione(m)
pu agevolmente comprendere che il rovignese sin uccell(in)o
risale al latino aucellus tramite *auclline-. Analogamente qua-
lunque Guro (gente della Costa dAvorio centrale) pu consulta-
re con successo loracolo del topo.
Sul fondo di un orcio si dispone ordinatamente una barretta
orizzontale di legno alla quale sono fissati dieci bastoncini
mobili, ognuno dei quali identifica un referente particolare
secondo questo schema:
A B
persona viva persona morta o essere della boscaglia
1A 2A 3A 4A 5A 1B 2B 3B 4B 5B
1A bambino o bambina 1B vecchio
2A adulto 2B vecchia
3A ragazza non sposata 3B portatore di sventura
4A donna con molti figli 4B sacrificio
5A vecchio 5B stregoneria, pericolo
Franco Crevatin 26
Sopra ed attorno a tale congegno si sistema del cibo, si libera
un topolino vivo e poi si copre il recipiente. Dopo un giorno
si accerta quali bastoncini si siano sovrapposti vicendevol-
mente a causa dei movimenti del topo e si legge il responso.
Ad esempio se 5A e 1B sono sopra 5B vuol dire che un vec-
chio vivo (5A) viene portato nel mondo dei morti (B) da un
vecchio antenato (1B) e quindi in pericolo di morte (5B).
Situazioni di questo genere, passabilmente meccaniche, sono
molto meno frequenti di quanto saremmo disposti a credere, sia
nella divinazione che nelletimologia. Partiamo pure da un etimo
molto banale, quello dellitaliano settentrionale ca(d)rega se-
dia. Non c chi non veda che letimo il latino cathdra passato
gi nel latino parlato det imperiale a cathdra (> cadre(d)a e
sim.). Laspetto formale non esaurisce letimo nella sua storia,
perch la sedia non una cattedra. Il fatto che la cattedra
non era un arredo domestico n in et tardo antica n in et alto-
medievale, quando per sedersi ci si serviva di semplici sgabelli.
Sopravvissuta in ambiente ecclesiastico, la cattedra si connotata
fattualmente per la presenza dello schienale e solo in un secondo
momento, in questa nuova veste, stata accolta nella dimensione
privata. Potremmo dire che letimologo si pu trovare di fronte
ad imbarazzanti problemi ogniqualvolta egli si trova ad indagare
su una parola che abbia una qualche dimensione culturale. Ecco,
dunque, il fatto nel quale lanalogia tra divinazione ed etimologia
pi precisa, ossia letimologo, come lindovino, ha bisogno di
poter contare su un sapere che esubera quello a lui proprio come
specialista, un sapere che d misura e concretezza alla sua ipo-
tesi semantica. Vedremo in sguito quali possano essere i saperi
ai quali conviene far ricorso; per ora limitiamoci a rilevare che
ben difficile stabilire a priori quale parte del lessico di una lingua
possa essere culturalmente connotata: se si indaga etimologica-
mente la storia linguistica di una cultura ben conosciuta, come
ad esempio la sequenza latino > tardo latino > lingue romanze
medievali, ci si pu attendere di incontrare problemi forse diffi-
cili ma almeno commisurabili su conoscenze comprovabili. Se
indaghiamo invece storie di parlanti culturalmente poco noti o
Letimologia come processo di indagine culturale 27
molto antichi oppure pratichiamo letimologia su vasta scala compa-
rativa (linsieme della famiglia indoeuropea, poniamo) i proble-
mi assumono caratteri molto complessi.
* * *
Da quanto sin qui detto possiamo trarre una conclusione pre-
liminare che ci servir oltre come prospettiva di metodo. Leti-
mologia un importante strumento della ricerca storica lingui-
stica e culturale: essa si configura come un dominio complesso
che, pur basandosi sulla linguistica come disciplina fondante, implica
a pieno titolo linterazione di altri mbiti disciplinari, primi tra i
quali lantropologia come scienza della cultura e lo studio della
cognizione.
Dobbiamo ora indagare pi da vicino i temi sopra accennati.
Franco Crevatin 28
Letimologia come processo di indagine culturale 29
LA RICERCA DEL VERO: LA RIFLESSIONE SULLA LINGUA
Abbiamo detto che proprio degli esseri umani ricercare il
vero: possono, purtroppo, essere occasionalmente economi nei
confronti della verit, possono oltraggiarla, disconoscerla, ma non
possono ignorarla. Conosciamo tutti, purtroppo, lesistenza di verit
ufficiali, ideologicamente costruite, o di verit per cos dire individuali
(quante volte ci siamo sentiti dire Ti dico la verit,... il che
significa semplicemente Ti dico chiaramente quanto penso, e
nelle quali il vero in quanto tale o pu essere un misero acces-
sorio), ma di ci non ci occupiamo qui.
Una delle culture che pi chiaramente ha sottolineato il ruolo
della Verit stata quella egiziana antica. In essa la verit coin-
cideva con la giustizia e con lordine cosmico ed era personifica-
ta in una figura divina, mAat (copto sah. me, boh. mhi). La dea
Maat, rappresentata con una piuma di struzzo sul capo e talora
sostituita dal simbolo (vii c, BGU 5, 1, 9, 195 ed Horapoll.
2, 118) della sola piuma
e
d
che potevano esser impiegati
per scrivere le parole padre e madre
15
.
Prescindendo dallaspetto demiurgico, che resta un caso spe-
cifico pur se diffuso, il fenomeno generale noto e studiato. Idee
e pratiche molto comuni come la magia aggressiva esercitata sul
nome proprio, lesistenza di nomi segreti, la ricerca dei nomi di
Dio e tabu articolatori connessi, il potere della parola nel rito e
quanto altro ancora sono tutte manifestazioni della supposta .uc. i
tra segno linguistico ed elemento del reale. Sono davvero poche
le culture antiche o primitive che si siano sottratte a tale reali-
smo concettuale (per usare la terminologia di J. Piaget) e che
quindi non abbiano praticato, anche solo occasionalmente, la
(par)etimologia per fini euristici o interpretativi. Sono giustamente
note, per limitarci ad una citazione, le complesse costruzioni teoriche
sviluppate dai Dogon e dai Bambara dellAfrica occidentale sulla
lingua e sul suo uso, e potremmo facilmente moltiplicare gli esempi.
15
In realt i due segni erano innanzi tutto motivati dal fatto che nella grafia
geroglifica tarda essi notavano le consonanti n e t.
Franco Crevatin 36
I Bawl della Costa dAvorio, che pure non hanno una teoria
linguistica esplicita, hanno usato la paretimologia come impor-
tante strumento per lautodefinizione. Popolazione costituitasi in
unepoca piuttosto recente (prima met del XVIII sec.) grazie
allassimilazione di gruppi di lingua e cultura prevalentemente
Guro da parte di piccole minoranze Asante provenienti dal Ghana,
i Bawl hanno basato la propria identit su un mito di fondazio-
ne, quello della regina Abla Poku che con un piccolo seguito
avrebbe condotto da Kumasi tutte le genti akan che oggi si tro-
vano in Costa dAvorio (sic!). Lassunzione del nome etnico Bawl,
un nome che ci attestato prima del XVIII secolo sulle carte ge-
ografiche europee e che verosimilmente un nome geografico
(verosimilmente un idronimo), stato rideterminato dalla paretimolo-
gia: il nome significherebbe ba wuli il bambino morto e si
riferirebbe al momento in cui la regina, davanti ai propri segua-
ci, avrebbe dovuto sacrificare il figlioletto alla divinit del fiume
Como per poterlo guadare e cos mettersi in salvo dagli insegui-
tori. Sulle stesse basi ideologiche sono stati reinterpretati i nomi
delle sezioni locali bawl: gli Aali sarebbero coloro che sarebbero
rimasti indietro (O wali), gli Atu coloro che disboscavano (o spen-
navano i polli; tu) per conto della regina e cos via.
Fu la cultura filosofica greca ad affermare che i segni lingui-
stici si collegano al referente per convenzione sociale e non per
natura, ma la presa di posizione impieg molto tempo per domi-
nare il campo della riflessione: essa comunque costitu la base
cognitiva delletimologia cos come oggi la intendiamo perch
rese il segno linguistico un oggetto manipolabile senza dover
far ricorso ad ideologie soggiacenti di carattere religioso ed estranee
al segno stesso. Certo, il bisogno di recuperare trasparenza e mo-
tivazione non ha mai neppure oggi annullato la pressione al
ricorso esegetico paretimologico, ma gradualmente lo ha staccato
dalla : linguistica proprie dicta.
Il pi antico e coerente testo a noi giunto sulla natura del
segno linguistico il Kratylos di Platone, un dialogo che si imma-
Letimologia come processo di indagine culturale 37
gina avvenuto sul tema in questione tra Cratilo, Ermogene e Socrate.
Di primo acchito il dialogo sconcerta, perch, come spesso avvie-
ne, Socrate insiste, domanda, corregge, definisce, tormenta con la
sua dialettica gli interlocutori, ma non conclude, non d alla fine
una risposta chiara e definitiva agli interrogativi suscitati: tutto
viene rimandato ad unaltra occasione ed a Cratilo non resta che
augurarsi che Socrate continui a riflettere su questi temi. La
strutturazione , come si detto, comune nei dialoghi socratici e
vien fatto di sospettare che tali opere servissero s ad esporre il
metodo di indagine di Socrate e del suo allievo Platone, ma aves-
sero anche una funzione per cos dire di propaganda culturale.
Platone, ormai riconosciuto e venerato caposcuola, mostrava ai
filosofi potenzialmente interessati temi e metodi, riservandosi di
fornire solo agli iscritti ai corsi le soluzioni, pur se in itinere, ai
problemi posti.
Il Kratylos ha caratteri in s particolari: Socrate sembra prende-
re terribilmente sul serio il legame di necessit intercorrente tra
segno linguistico e referente, lo argomenta con apparenti seriet e
dottrina, fornendo decine di esempi etimologici, alcuni dei quali
palesemente assurdi, per poi arrestarsi bruscamente e fare una
conversione decisiva. Insomma, pare palese, anche dallinusuale e
ripetuta affermazione della propria dottrina e da talune espressio-
ni, che Socrate / Platone sta facendo dellironia: ad un certo punto
della discussione Socrate si spinge a dire, circa unidea che affer-
ma essergli appena balzata in capo e che propone agli amici, o-
: . u -i- , i:u :c)i.credo proprio di non vaticinare
male, con ci stesso tradendo, con unespressione che contraddi-
ce clamorosamente tutta la maieutica socratica (e le idiosincrasie
di Socrate, che notoriamente non tollerava la mantica), latroce
presa in giro.
Ma chi e che cosa Socrate sta deridendo? difficile fare nomi,
ormai per noi sepolti nella storia culturale della Grecia, ma pos-
siamo precisare le idee che egli criticava e che evidentemente
avevano largo corso nelle scuole filosofiche del V sec. Per capirlo
forniamo una sintesi dei problemi posti nel dialogo. Socrate di-
Franco Crevatin 38
scute dunque con Ermogene, seguace delle teorie di Parmenide,
e con Cratilo, seguace di Eraclito. Ci attendiamo dunque che i
due allievi non pensassero su questi temi in modo troppo dissi-
mile da quello dei loro capi-scuola, anche se ben poco possiamo
dire su quali fossero state le opinioni sul linguaggio dei due grandi
filosofi. Verosimilmente Parmenide, il cui pensiero era centrato
fermamente sullEssere, il quale solo vero ma allo stesso tempo
non afferrabile e dunque opposto drasticamente alla o i (opi-
nione, ed ingannevole apparenza) degli uomini, ben poco si sar
curato delle etimologie: anche ammesso che esse fossero state
vere, le verit da esse trasmesse sarebbero state comunque inaf-
ferrabili ed indimostrabili per gli uomini. In effetti Ermogene nel
dialogo platonico parte da una posizione molto decisa: tutto
convenzione, dunque uno che, poniamo, chiami cavallo luomo e
viceversa non sbaglia, o quanto meno legittimato a farlo. Nep-
pure Eraclito pare aver dedicato molto spazio alla riflessione sul
linguaggio, a differenza di Democrito (fr. B 26 Diehls) prima e dei
sofisti poi. In effetti se diamo credito ad una sintetica annotazione
di Proclo nel suo commento al Kratylos (16 p. 5, 25) la posizione di
Cratilo era quella di Pitagora ed Epicuro, mentre Democrito ed
Aristotele (ossia la scuola platonica) erano schierati sulle tesi di
Ermogene. Linformazione avrebbe il pregio di confermarci che i
convincimenti reali di Socrate erano ben altri rispetto allalluvione
etimologica che egli ammannisce ai suoi interlocutori nel dialogo.
In effetti la temperie culturale ateniese del V secolo favoriva, se
non determinava, anche le opinioni filosofiche sul linguaggio: il
tema centrale era lopposizione tra , e )u c.,, tra legge e
natura, ossia tra quanto lUomo afferma, definisce, produce e
tra la realt e rispettiva essenza. Il tema ebbe implicazioni, anche
letterarie, molto ampie, non solo in quanto opponeva apparenza a
realt, ma anche perch veniva a saldarsi con la riflessione sofisti-
ca sul contratto sociale: esso, come la lingua, era il risultato neces-
sario della convenzione (cu) -) e dellaccordo ( `. i) ed
era, appunto, un prodotto, non un prius insondabile o un riflesso
sostanziale della natura.
Letimologia come processo di indagine culturale 39
Torniamo al Kratylos. Alla secca presa di posizione di Ermogene
Socrate fa notare, dopo una serie di osservazioni preliminari che
non a caso riguardano lantinomia essenza vs. apparenza o con-
venzione, che le parole non possono esser state create a caso,
irriflessivamente, bens che devono esser state create da un
onomaturgo, un facitore di parole che si configura come ): ,,
un legislatore, davvero il pi raro degli artigiani che lavorano
per la comunit. Si noter che il confronto implica ancora una
volta il concetto di legge, ,, che per lappunto lequiva-
lente di o i e che si oppone allessenza, )u c.,. La conclusione
inevitabile (390 D-E): E cosa rischiosa, Ermogene, e non dappoco
come tu pensi lattribuzione (): c.,) di un nome, non cosa di
persone inesperte n di chi capita capita. E Cratilo dice il vero
quando afferma che i nomi sono adatti per natura ()u c:.) alle
cose e che non ciascuno pu essere artefice di nomi ma solo quello
che tiene ben in vista il nome che appartiene per natura a ciascu-
na cosa e che capace di porre la sua forma in lettere e sillabe.
Ermogene si dichiara battuto ma non vinto n convinto: gli di-
mostri dunque Socrate quale debba essere la naturale corret-
tezza ( )u c:. ) i) dei nomi. Socrate prima si schermisce,
affermando che i sofisti insegnano a pagamento tali cose, e dun-
que ci si pu rivolgere a loro per gli opportuni chiarimenti, e poi
rinvia Ermogene allinsegnamento dei grandi poeti del passato,
in primis ad Omero. Socrate fa notare allinterlocutore che indiret-
tamente Omero prende posizione sulla correttezza dei nomi e porta
come esempio il nome del figlioletto di Ettore, Astianatte: non
forse corretto che il figlio di Ettore, il principe in cui Troia confida,
principe il cui nome significa colui che detiene, possiede (: -),
valga signore (i i) della citt (i cu)? Da questo caso Socrate
prende le mosse per discutere un certo numero di antroponimi
dellepica e da questi passa ai teonimi. Qui tocchiamo il primo
approdo sicuro, poich sappiamo per certo che i primi ad occu-
parsi di esegesi (par)etimologica dei nomi propri furono proprio
i rapsodi (ed il caso pi noto il nome di Odisseo, accostato al
verbo ou cci. sono odiato) ed i poeti antichi: nel VI sec.
Franco Crevatin 40
a.C. molte voci dellepica erano desuete ed incomprensibili ed
molto probabile che poeti e prosatori abbiano tentato di riflettere
sui significati, tentando accostamenti basati su somiglianze fone-
tiche pi o meno marcate della dizione epica. Sappiamo ad esem-
pio che Ferecide deriv il nome del dio Kronos da quello del
tempo ( ,) e che Ecateo di Mileto (ad es. in Athen. II 35
AB) utilizz il riferimento (par)etimologico di nomi propri nelle
sue Genealogie per riscoprire o per inverare rapporti storici. Il
fenomeno in se stesso tuttaltro che raro: in culture dove si
riconosce il valore paideutico, formativo, di riferimento sociale
etico o religioso a testi orali tradizionali, nel momento in cui la
dizione epica (o religiosa o altro) perde la sua completa traspa-
renza comunicativa, sono proprio coloro che esercitano da epi-
goni o ripetitori larte del dire che diventano i primi esegeti.
Mi pare utile fare qui una digressione che consentir di com-
prendere meglio lo sviluppo del pensiero linguistico greco. La
cultura indiana det vedica aveva parecchi specialisti ai quali la
societ riconosceva il compito, sommamente importante, di pro-
duttori di testi: i testi di maggior valore nellideologia religiosa
erano gli inni rivolti agli dei. Gli Indiani vedici, come peraltro le
genti iraniche antiche, ritenevano che la sessione sacrificale fosse
sostanzialmente un banchetto al quale partecipava la divinit: ad
essa si riservava un posto con un cuscino di erba morbida ed il
canto innico aveva il compito di intrattenere lospite sovrumano
con la celebrazione della di lui grandezza e potenza. facile
vedere che tale rito era modellato su celebrazioni umane, il ban-
chetto come occasione sociale di misura, conferma e celebrazione
dello status sociale del o degli ospiti, reificata dalla distribuzione
di beni, dalla disuguaglianza delle parti del cibo offerto e dal
canto encomiastico. dunque conseguente che i poeti religiosi
fossero originariamente scelti in gruppi di discendenza che ap-
punto erano specialisti dellarte del dire e che il poeta (e la sua
famiglia) fosse proprietaria del canto prodotto. La dizione innica
vedica era elaborata e complessa, caratterizzata da metrica e da
Letimologia come processo di indagine culturale 41
melismi, spesso resa oscura da espressioni inusuali e da ardite
quanto profonde immagini speculative: insomma, quanto av-
viene dovunque ci sia una classe di specialisti del dire, come ad
esempio nel ricchissimo mondo culturale dei griot dellAfrica occiden-
tale.
Se c elaborazione e complessit, facile attendersi che solo
una parte delluditorio sia capace di cogliere completamente il
messaggio del cantore, una parte destinata con il passar del tem-
po a ridursi sempre di pi; nel caso che i testi in questione, trditi
per lungo tempo oralmente, siano visti come testo di cultura,
ossia come paradigmatici, essenziali strumenti dellautoidentificazio-
ne culturale, portatori di valori non transeunti, diventa molto
importante assicurare la loro tutela e comprensione. Le scuole
teologiche brahmaniche si trovarono contemporaneamente di fronte
a due problemi: il primo era quello di riconoscere esattamente le
singole parole che componevano il verso innico; il secondo era
legato allattribuzione di un significato morfologico o lessicale
alle parole riconosciute. Il primo problema non era da poco e
basta pensare a quanto possa esser ancor oggi difficile lautoanalisi
linguistica del parlato per persone di bassa scolarizzazione o il-
letterate: non ovvio riconoscere in [aps] il tedesco Ich habe es
e potrei facilmente moltiplicare gli esempi. Il primo passo fu
dunque quello di riconoscere che, una volta astrattamente annul-
late le regole di incontro tra le parole (sa dhi) il verso
rv apr marty nivto devyudvta"
La dea immortale ha compenetrato lampio spazio, gli
abissi e le sommit
va inteso
ur apr marty ni-vta dev ut-vta
Tale versione, detta pdap6ha, costitu la base, pur con incoe-
renze ed errori, sulla quale le diverse scuole costituirono ulterio-
ri opere, i prtis khya, dedicate alle norme del sa dhi, alla lun-
ghezza vocalica, agli accenti e a poche questioni grammaticali.
Lassenza di interessi semantici non affatto segno che questi
Franco Crevatin 42
primi filologi comprendevano appieno il testo trdito, bens di
una specializzazione finalizzata: al lessico ed alla semantica era-
no riservati dei glossari (nigha>6u), a mio parere scritti e destinati
alla formazione orale. In essi gruppi di parole venivano riuniti in
sezioni distinte che pretendevano di essere semanticamente coese:
di fatto il nigha>6u a noi giunto e commentato da Yaska (v. oltre)
pieno di fraintendimenti ed errori ed semmai un documento
di estremo interesse per quella che allepoca della redazione era
linterpretazione, molto impoverita nella reale comprensione ma
per contro molto ideologica, del testo vedico.
Il Nighau stato commentato da Yaska, un grammatico che
usualmente ma la cronologia letteraria indiana antica pi
questione di gusti personali e di buon senso che prodotto di
fatti inequivoci si data al 500 a.C.: il titolo della sua prezio-
sa opera Nirukta, ossia spiegazione. In essa egli prepone
alletimologia (nirvacanam esposizione, spiegazione) alcune
posizioni di principio argomentate, ossia letimologia una
scienza a se stante, pur essendo parte dello studio grammati-
cale: ha una funzione pratica, essendo lo strumento pi affi-
dabile per ricostruire unaffidabile versione pdap6ha del te-
sto vedico, ed una funzione ermeneutica, consentendo una
reale comprensione degli inni sacri ormai semanticamente opachi
e dunque portando allindividuazione sicura delle singole divinit
onorate negli inni e non citate per nome. Di per se stesse tali
posizioni potrebbero apparire poco appariscenti, ma se si
guardano alla luce del riconoscimento da parte dellautore
del concetto di radice (per lo pi verbale, ma non solo) dalla
quale far discendere famiglie di parole, allora esse acquistano
spessore e solidit ignote, per fare un esempio, alla cultura
linguistica greca anteriore allet imperiale romana. Natural-
mente Yaska commette errori e spesso pone sullo stesso piano
ipotesi credibili ed ipotesi che noi sappiamo essere errate, ma
dobbiamo riconoscere che il Nostro era spesso profondamente
condizionato nelle sue scelte dalla cultura religiosa della sua
epoca, la quale, ormai distante da quella che aveva prodotto
gli inni, non comprendeva pi allusioni ai desueti sistemi mitici
e cosmologici. Un solo esempio baster a far capire la situa-
zione. Nella cultura vedica pi antica il dio Indra aveva dato
inizio alla storia ed alla vita del mondo, pur senza esserne il
Letimologia come processo di indagine culturale 43
demiurgo, compiendo due imprese cosmogoniche, da un lato
uccidendo il dragone Vtra che teneva imprigionate le acque
allinterno della rocciosa montagna cosmica, intesa come axis
mundi, e dallaltro spezzando con la sua possente arma (il
cuneo del fulmine, vajra") le acque, le vacche e le aurore (spesso
definite esse stesse vacche) imprigionate nel recinto roccio-
so, vala", della montagna; verosimile che i due miti siano in
realt due aspetti del medesimo pensiero religioso: Indra ha
liberato con la sua forza immensa i beni che rendono possibi-
le la vita e che erano racchiusi al centro del mondo non an-
cora costituitosi come storia, come quella realt che conoscia-
mo. Gi il Nighau nellenumerare i sinonimi vedici per il
concetto di nuvola mostra che gli antichi miti erano stati per
cos dire evemerizzati: la montagna cosmica, la roccia o il
nascosto recinto delle vacche non sono pi intesi come tali,
bens come immagini della nube; Indra con il suo fulmine
avrebbe appunto squarciato le nubi, fatto scendere la pioggia
ed alla fine avrebbe fatto risplendere il sole. Quando dunque
Yaska commenta la sezione in questione del Nighau (2, 17) e
si trova davanti al termine ahi", da una parte non pu ignorare
il comune significato del termine, ossia serpente (ed in for-
ma di dragone era pensato Vtra, il potere di Resistenza che
tratteneva le Acque), ma dallaltra deve accogliere il senso
ermeneutico di nuvola, per cui ne consegue che Yaska propone
due etimi diversi, il primo secondo la radice hi- muoversi (per-
ch la nube si muove nellatmosfera) e laltro secondo la radice
han- attaccare, perch il serpente attacca
16
. E altrettanto Yaska
fa con il nome del dragone Vtra, che, come abbiamo detto,
personificazione della resistenza (vptram) che si oppone alla
libera fuoriuscita delle acque, e che Yaska deriva ragionevol-
mente dalla radice che vale coprire posta in alternativa tut-
tavia alle radici per indicare la crescita e larrotolarsi.
Yaska non era il primo ad occuparsi di etimologia, tant che
spesso cita autorit precedenti. Tra questi vale la pena di
ricordare almeno Kautsa, del quale purtroppo sappiamo molto
poco. Doveva trattarsi di un ingegno brillante, che negava
autorevolezza al Veda (o piuttosto allermeneutica dellepoca
sua?) e che rilevava nel dettato degli inni contraddizioni,
16
Letimo reale del vedico ahi" serpente lo stesso del latino anguis, dellantico
prussiano angis e di altre voci indoeuropee.
Franco Crevatin 44
storture tali da fargli ammettere che il Veda non aveva sen-
so.
Accanto ad eccellenti intuizioni dovute al fermo riconosci-
mento di una radice e di una (peraltro non altrettanto siste-
matica) visione morfologica, dunque, Yaska persegue unarte
etimologica spesso migliore o quanto meno non dissimile a
quella che sar letimologia greca stoica e ci senza compro-
mettersi con ragionamenti filosofici sullessenza dei nomi
dati alle cose.
Come si vede, naturale che i tardi rapsodi greci siano stati
i primi esegeti e filologi della dizione epica, e Socrate li sferza
sarcasticamente per la loro pretesa esegesi etimologica dei nomi
propri. Ma dopo aver sondato i nomi propri, Socrate propone
una serie di etimi di parole comuni, per la maggior parte delle
quali propone una motivazione. Ad esempio ) c.,, la capa-
cit di riflettere saggiamente, detta cos perch la percezione
intellettuale ( c.,) o il beneficio ( c.,) del movimento ()i ,)
e dello scorrere ( u ). In questo processo letimologia ricerca
della motivazione sostanziale, cos come per Ecateo di Mileto (v.
sopra) poteva essere strumento per il recupero di conoscenze storiche.
Su chi ironizzi Socrate quando produce queste ispirate etimolo-
gie difficile dire: nel Kratylos si ricorda esplicitamente che il
sofista Prodico teneva costosi corsi su questo argomento (384 B),
ma molto probabile che altri sofisti facessero altrettanto: chi
come Protagora e Prodico era interessato alla corretta scelta delle
parole ( ):v. i) o allorigine del linguaggio (come lo stesso
Protagora) poteva facilmente passare, anche occasionalmente, al-
letimologia. E, a ben vedere, lintera discussione socratica nel
Kratylos sottintende il discorso sulle origini perch letimologia
secondo natura ()u c:.) parte appunto dallidea che chi ha dato
il nome avesse ben chiara la motivazione essenziale che si con-
faceva al referente. Tuttavia e qui finalmente Socrate compie la
piroetta decisiva chi e cosa ci garantisce che il ): , sa-
pesse davvero bene quel che faceva? E dopo una serie di stringa-
ti ragionamenti si conclude che sarebbe insensato affidarsi alla
guida etimologica delle parole per capire il mondo.
Letimologia come processo di indagine culturale 45
Il grande allievo di Platone, Aristotele, fu ancor pi deciso e
spos appieno la tesi di Ermogene, pur senza trascurare affatto
la ricerca glossografica relativa allepos (Poet. 1459 A 9); in parte
almeno era inevitabile, perch la corrente che unisce Socrate a
Platone ed ad Aristotele in definitiva ammette francamente che
gli strumenti per affrontare lo studio della lingua erano insuffi-
cienti: la loro creazione fu opera congiunta di una nuova corren-
te filosofica, lo stoicismo, e della costituzione della filologia nel
regno tolemaico dEgitto.
Tolomeo I, ottenuta la sovranit del paese, si ripropose di fare
di Alessandria una delle pi avanzate citt greche del Mediterra-
neo sia da un punto di vista economico che culturale. La fonda-
zione della Biblioteca ed il suo progressivo arricchimento, talvol-
ta portato avanti con mezzi che assomigliavano preoccupantemente
alla pirateria, era uno dei pilastri di tale politica: raccogliere in
un solo punto tutti i testi della cultura, non solo letteraria, greca,
renderli accessibili allo studio ed alla comparazione, trasformarli
in basi per sempre nuove imprese di approfondimento scientifico
e culturale. Ma avere i testi non era in se stesso bastevole: le
copie della singola opera potevano differire nella loro qualit
testuale, potevano esser interpolate o corrotte, disseminate di errori
anche banali di scrittura, per cui bisognava operare un confronto
accurato tra le copie possedute e sforzarsi di sanare il testo, ri-
portandolo cos il pi vicino possibile alloriginale scritto dal-
lautore. Parecchi filologi, talora essi stessi poeti, si successero
alla guida della Biblioteca e del Museo, Filita, Zenodoto, Callimaco,
Apollonio, Eratostene, per giungere al grande Aristofane di Bisanzio
(II sec. a.C.) ed i risultati, invero altissimi, non mancarono. I
poemi omerici furono i testi studiati per primi e pi frequente-
mente e di conseguenza vennero prodotti molti lavori lessicogra-
fici che raccoglievano il sapere sulle voci rare e desuete dellepos;
contemporaneamente era per necessario approfondire lo studio
della lingua greca e dei suoi dialetti letterari, approntare cio
strumenti generali di analisi per descrivere i fatti linguistici a
prescindere dai valori letterari.
Franco Crevatin 46
Se Alessandria ha fatto nascere la filologia intesa in senso mo-
derno e quel tanto di linguistica che era ad essa funzionale, furono
gli Stoici a dedicare molti loro sforzi intellettuali alla linguistica in
quanto tale. Delle loro opere in definitiva conosciamo poco e per di
pi esse ci sono note per tradizione indiretta. Possiamo qui pre-
scindere dai loro importanti progressi nella descrizione grammati-
cale, non senza peraltro rilevare che ad essi si deve limpostazione
di quella che fu la grammatica nel periodo ellenistico e romano, e
concentrarci invece sulla loro ricerca etimologica. Per gli Stoici il
rapporto tra parola e cosa era un rapporto di natura e come tale
andava indagato per raggiungere la vera essenza ed il reale signi-
ficato di una parola. Tutto sommato, la migliore illustrazione del
loro metodo sono i libri sopravvissuti sino a noi dellopera De Lin-
gua Latina di Marco Terenzio Varrone. Varrone era un uomo poli-
tico ed uno studioso: nato nel 116 a.C. a Rieti, in territorio sabino,
si schier nella guerra civile dalla parte di Pompeo, ma ottenne in
sguito il perdono da Cesare e fu fatto bibliotecario della grande
raccolta libraria che il Dittatore stava promovendo. Proscritto da
Antonio, fu riabilitato da Ottaviano e pass il resto della sua vita
scrivendo in tutta tranquillit, morendo nel 27 a.C. Uomo di grandi
letture e notevole erudito, scrisse di antichit romane religiose e
profane, essendo stato allievo di filosofi e grammatici di impronta
stoica. In quellepoca il mondo degli studiosi si divideva, con varie
sfumature, tra due tendenze: da una parte, gli Stoici, che sostene-
vano lazione fondamentale dellanomalia nei fatti di lingua e dallaltra
gli Alessandrini, sostenitori dellanalogia. difficile riassumere in
breve tutto quello che tali concetti implicano: potremmo dire, ap-
prossimando, che si voleva decidere se avesse maggiore incidenza
luso che della lingua si fa o la regola che in essa si riconosce
operante. Posta in questi termini, tuttavia, la questione sembra sin
troppo banale, poich chiaro e ci non sfugg a moltissimi filo-
logi e filosofi che lanomalia presume lanalogia e viceversa, anche
se le cose si complicano quando si passi dallesame del linguaggio
quotidiano allanalisi della lingua letteraria e si debbano prendere
decisioni filologiche (ad esempio la correzione di un testo trdito).
Letimologia come processo di indagine culturale 47
Ne consegu che in molti ritennero di dover smussare le spigolosit
delluna e dellaltra tesi cercando una ragionevole via di mezzo; ed
quanto appunto tent Varrone. Ma, come si diceva, le tesi
anomalistiche erano pi complesse. Il filosofo stoico Zenone aveva
posto allinterno della dialettica una distinzione fondamentale, quella
tra significanti (ci. i), ossia linsieme di meri suoni che
costituiscono, poniamo, la parola cane, e significati, quanto cio
significato (ci. :i) da cane, e ci senza prendere in
considerazione il cane in quanto tale che, come oggetto del mondo,
non pu far parte della dialettica. I ci. :i non hanno alcu-
na consistenza reale, sono qualcosa che vien detto (`:- ) e dun-
que nella lingua che essi hanno ragion dessere. Daltra parte,
quanto lingua proviene dalla voce () , nel senso sia letterale
che di espressione fonica) ed in prima istanza dal pensiero, dal
` ,, e dunque la lingua struttura ed articola i diversi modi del
pensiero in base ad una precisa conoscenza: i nomi delle cose sono
stati imposti dagli uomini consapevolmente, guidati dal ` , e
dallessenza naturale ()u c.,) dello stesso essere. Questa la ragio-
ne che rende tanto importante letimologia: questultima altro non
, quando praticata con dottrina, che riscoperta del pensiero e
dellessenza. Ciononpertanto e ritorniamo allanomalia non pa-
reva dubbio agli Stoici che la coerenza e loriginale purezza razio-
nale del linguaggio fossero spesso andate perdute nel passare delle
generazioni e che molte parole fossero ormai ambigue o non pi
trasparenti. Essi avevano notato la naturale tendenza della lingua
greca a ripartire il sesso e la capacit di azione secondo il genere
grammaticale
17
: luomo di sesso e genere maschile, mentre la
donna femminile, il cielo che attivamente feconda la terra con la
pioggia maschile mentre la terra che passivamente viene fecon-
data femminile, e cos via. Eppure, notavano gli Stoici, il ragaz-
zetto, vi.o. , pur essendo di sesso maschile era connotato dal
genere neutro.
17
Si ricordi che il greco antico aveva, come parecchie altre lingue indoeuropee,
tre generi, maschile, femminile e neutro.
Franco Crevatin 48
Gli Stoici non avevano strumenti per risolvere problemi di
questo tipo. Il fatto fondamentale che il genere uno stru-
mento grammaticale che pu, ma non di necessit deve con
coerenza, acquistare valore semantico e dunque segnalare il
sesso. Il caso che aveva suscitato lattenzione degli Stoici
abbastanza diffuso: nel tedesco Kind ragazzetto , come Mdchen
ragazza, di genere neutro; il bambino in tenera et, baby,
implica in inglese una referenza pronominale neutra; nel Logbara
(Uganda), lingua peraltro nella quale non esiste un genere
grammaticale, esistono nomi per gli esseri umani che hanno
intrinseca una marca di sesso, marca assente nei nomi del
bambino / bambina (O dE kolE ) e dellinfante (mva ); ecc. Esso
potrebbe effettivamente avere una ragione semantica, ossia il
ragazzo e la ragazza sessualmente immaturi sono socialmente
neutri. Anche lopposizione maschile = attivo, forte, valido /
femminile = passivo, debole tipologicamente nota ad esem-
pio nella lingua Maasai. In altre lingue lopposizione di gene-
re pu essere usata per opporre dimensioni diverse (maschile
= grande / femminile = piccolo) come nellitaliano donna /
donnone o nellegiziano antico HfA serpente / HfA.t verme;
in molte lingue cuscitiche (Africa orientale) il cambiamento
di genere, con o senza suffissi particolari, contribuisce ad opporre
singolare a plurale. Come si vede, il quadro tipologico no-
tevolmente ricco e vario.
Varrone scrisse il suo De lingua latina in 25 libri, dei quali ci
restano solo i libri 5-10, in condizioni testuali spesso infelici. Lopera
non unitaria, per cui non si pu parlare di una metodologia
etimologica varroniana se non a certe condizioni: allievo del
celebre grammatico L. Elio Stilone, Varrone si forza di praticare
letimologia da grammatico che vuole collocarsi in posizione
intermedia tra anomalisti ed analogisti. Recepisce, com ovvio
18
,
limpronta stoica, ma non sembra condividere le preoccupazioni
di ricerca mirate al rapporto tra essenza, logos ed etimologia. Se
da una parte nelle sue etimologie si possono rilevare diversit di
fonti di ispirazione, dallaltra Varrone lerede naturale della
tradizione grammaticale romana, generosamente protesa a dare a
18
Non solo il suo maestro era stato molto esposto allo stoicismo, ma tutta la
grammatica romana antica dipende direttamente o indirettamente dalla Sto.
Letimologia come processo di indagine culturale 49
Roma strumenti e mezzi che permettessero di valorizzare la tra-
dizione letteraria locale. Per Varrone letimologia il mezzo pi
opportuno per riscoprire e riutilizzare correttamente parole anti-
che, per ricordare ai propri concittadini la ricchezza delle tradi-
zioni avite e per incoraggiare la fierezza del parlare latino.
quel che diceva nello stesso periodo Cicerone, sostenendo che
ormai (de nat. deorum 1, 4) era possibile fare filosofia in latino,
confrontandosi alla pari con i grandi pensatori greci: quo in gene-
re tantum profecisse videmur ut a Graecis ne verborum quidem copia
vinceremur.
Varrone, che dichiara di aver studiato alla luce sia della lan-
terna di Aristofane di Bisanzio (v. sopra) che di quella di Cleante
(allievo e successore dello stoico Zenone), chiarisce quelli che a
suo parere sono i quattro gradi di interpretazione etimologica di
una parola (5, 7-8). Il primo quello proprio di qualunque par-
lante nativo il quale in grado di riconoscere facilmente gli ele-
menti formativi di una parola. Il secondo quello dei gramma-
tici che studiano la lingua dei poeti e quindi analizzano le loro
creazioni linguistiche. Il terzo di impronta filosofica e si ripropone
di studiare lorigine essenziale delle parole, anche di quelle
pi comuni (tale gradus un omaggio alla scuola stoica). Il quar-
to quello pi complesso ed anche la formulazione di esso
asciutta e riassuntiva: Quartus, ubi est adytum et initia regis. In
questi termini il testo sembrerebbe affermare che il quarto grado
coincide con il sacello pi sacro, non avvicinabile dai profani, e
con i misteri iniziatici del re. Ma che vorrebbe dire tutto questo?
In realt pare che si debba emendare il testo in aditum ad, il
che significa che il quarto grado quello in cui consentito lac-
cesso (aditum) a quelli che furono i periodi iniziali (initia) della
storia romana pi antica, quella dei re: nella tradizione romana
si sosteneva che proprio durante il periodo dei 7 re si erano costituite
le realt caratterizzanti di Roma ed ad esse i re avevano dato
nome. Varrone ribadisce dunque quello che per lui il massimo
dei risultati possibili, riconoscere nella storia lidentit culturale,
e dunque anche linguistica, romana.
Franco Crevatin 50
Non necessario soffermarsi troppo a lungo sugli etimi varroniani;
oltretutto una rassegna anche cursoria rischierebbe di essere fuor-
viante: il dover correggere i tanti etimi errati ci farebbe fatalmen-
te sottovalutare il frequente buon senso dispiegato e gli etimi
esatti proposti. Qualche esempio sar comunque utile.
Cos egli tratta la voce cilliba (5, 118). Chiamavano cilliba la
tavola sulla quale si mangia; era quadrata come a tuttoggi
negli accampamenti militari. Cilliba viene cos detta dal cibus (cibo).
In sguito fu resa rotonda e per il fatto che per noi in mezzo
(media) e per i Greci : ci (mediana) pu essere detta mensa,
ammenoch non sia per il fatto che vi si ponevano cose, tra le
vivande, che erano misurate (mensa). La seconda parte del ra-
gionamento presuppone il fatto fonetico della debolezza di -n-
davanti a sibilante e la frequente affricazione avanti vocale del
gruppo -dj-, per cui effettivamente le tre parole avevano una pro-
nuncia molto simile. Varrone non si accorge che il latino cilliba
semplicemente un prestito dal greco -.``. 3i, tavolino a tre gambe,
il che alquanto strano non solo perch il greco lui lo conosceva
ma altres perch lo utilizzava come fonte etimologica di prestiti
a proposito ed a sproposito, come ad es. nelle Ant.Hum. 3.1.1
dove il nome dei Sabini viene derivato dal verbo greco c: 3i.
venerare perch secondo lui, Sabino di stirpe erano una
gente molto devota. In 5, 121 per cil<l>iba, definita una tavola
rotonda per appoggiarvi i recipienti di vino, viene tratta dal greco
-u`.-:. con significato equivalente. Ma quello che pi stupisce
in un antiquario come Varrone che egli abbia trascurato il fatto
che la mnsa era anticamente una focaccia quadripartita offerta
agli dei, come si pu desumere dal celebre episodio delle profe-
zia di Celeno nellEneide (3, 255 ss.) e da vari glossatori e scoliasti
(ad es. CGL 5, 222, 20).
Per contro Varrone molto onestamente informato sulluso
antico: citando un verso del poeta Ennio, egli precisa che la voce
perduelles vale hostes, cio nemici, ma sa altres che il significato
antico di questultima voce era originariamente quello di peregrinum
qui suis legibus uteretur uno straniero che si serva di leggi pro-
Letimologia come processo di indagine culturale 51
prie, diverse cio da quelle dei Romani: la voce infatti etimo-
logicamente identica al tedesco Gast ospite.
I meriti di Varrone sono dunque notevolissimi; ad essi ne ag-
giungiamo un ultimo: egli uno degli studiosi antichi di etimo-
logia pi fermi nel considerare che la vetustas, lantichit delle
parole non solo un elemento che complica la ricerca cosa
infatti si sottrae al trascorrere del tempo? , ma, una volta in
possesso di documentazione affidabile, essa aiuta a capire la sto-
ria di una parola ed a coglierne il mutamento di significato. Varrone
fa nascere con decisione la dimensione della storia linguistica e
culturale finalizzate alletimologia.
Circa un secolo dopo, Varrone fu duramente criticato da
Quintiliano (Instit. Horat. 1, 6, 28 ss.) e preso come paradigma
della pretesa scienza etimologica: gli etimologi, egli dice, ripor-
tano ad veritatem le parole che a loro avviso si sono mutate nel
corso del tempo e lo fanno aut adiectis aut detractis, aut permutatis
litteris syllabisve. Inde pravis ingeniis ad foedissima usque ludibria
labuntur aggiungendo, togliendo, o cambiando suoni e sillabe:
di qui vengono spinti dalla loro fantasia malata alle pi ripu-
gnanti ridicolaggini. Possiamo capire, anche se non condivide-
re.
La ricerca del vero, dicevamo, spesso ispirata dalla convinzio-
ne della centralit della lingua stessa nellesperienza umana: nella
nostra lingua sarebbero riposti molti dei segreti di noi stessi e
del mondo. Quintiliano non ci credeva, e noi neppure. E tuttavia
nessuno di noi dubiterebbe che nella lingua che usiamo ogni giorno
ci sono tante cicatrici prodotte dalla nostra storia culturale:
questo vero, talora pi umile, che letimologia si sforza di affer-
rare. Una metodologia linguistica per studiare la cultura.
Franco Crevatin 52
Letimologia come processo di indagine culturale 53
LETIMOLOGIA COME PROCESSO DI INDAGINE CULTURALE
Sin qui abbiamo visto come linteresse per la lingua, visto
come fatto tipicamente umano, si sia sviluppato a partire dal-
lanalisi della propria tradizione linguistica e letteraria. Sar il
Romanticismo tedesco ad aprire nuovi e sterminati orizzonti alla
linguistica ed alletimologia: come ben noto, tutto ebbe origine
da un opuscolo di F. von Schlegel, ber die Sprache und Weisheit
der Inder, datato al 1809. In una temperie che non guardava pi
alla classicit bens al Medioevo come fonte di ispirazione poeti-
ca, alla cultura popolare ed allOriente, il libretto attir latten-
zione di tutti sulle straordinarie somiglianze tra il sanscrito, lan-
tica lingua dellIndia, e le lingue europee. Schlegel era stato pre-
ceduto di parecchi secoli in questa constatazione da altri viaggia-
tori ed eruditi, ma solo lentusiasmo romantico poteva fornire
lhumus per attenzioni e prospettive culturali che avevano il sa-
pore della assoluta novit ed il fascino del mistero. Come anda-
rono poi le cose fatto noto, da altri illustrato meglio di quanto
potrei fare qui. In sostanza si riconobbe che esisteva una paren-
tela genetica tra un gruppo di lingue documentate dallantichit
ai giorni nostri, per cui, cos come si sapeva che le lingue roman-
ze derivano tutte dal latino, si suppose lesistenza di una lingua
madre (lIndoeuropeo), parlata da un popolo nella remota prei-
storia, dalla quale erano discese le varie lingue figlie. Si lavor
duramente per recuperare tradizioni linguistiche perdute o estin-
te, per riscoprire leggi fonetiche che permettessero di giustificare
i mutamenti dallo stato pi antico alle fasi linguistiche pi recen-
ti e consentissero altres di comparare tra di loro le diverse lin-
gue figlie; si volle ricostruire la cultura di quellantichissimo insieme
di genti e la loro collocazione nello spazio; si tent di chiarire i
rapporti che lindoeuropeo in quanto tale intratteneva con altre
famiglie linguistiche, quella semitica, alcune famiglie caucasiche
ed altre ancora.
Per quanto oggi si tenda a dimenticarlo, la filologia indoeuropea
fond la linguistica storica e comparata ed essa fu per lungo
Franco Crevatin 54
tempo la linguistica -i: . Tutto ci, bene o male, si fon-
dava sulletimologia.
Il cammino che qui ci accingiamo a fare verso i grandi proble-
mi della comparazione e della ricostruzione linguistica alquan-
to lungo e tormentato. In questo capitolo discorreremo della
percezione delletimo come fatto intrinsecamente culturale.
Uno specialista in genere si accorge prontamente della bont
di una proposta etimologica: ma da cosa data la bont di un
etimo, una volta fatta salva la correttezza del riconoscimento
dellevoluzione fonetica? Gi, perch questo il punto: anche
quando si sia individuato un etimo formale (ad esempio, il fatto
che il greco . vv,, il latino equus, il sanscrito as va" derivano da
una forma indoeuropea ricostruibile come *ekwos cavallo) non
si per ci stesso capito ci che letimo stesso implica (come si
detto, qual il ruolo di tale animale nelleconomia e nella societ?).
Questo vale spesso anche per derivati romanzi di parole latine,
ossia nel caso di trafile formali nelle quali il punto di partenza
attestato e noto: potremmo limitarci a dire che litaliano famiglia
deriva dal latino familia senza prendere in considerazione lenor-
me evoluzione che il concetto ha subito?
Il primo elemento, dunque, che garantisce la bont di un etimo
la congruenza culturale con quanto sappiamo o possiamo ragio-
nevolmente presumere. Un esempio chiarir meglio quanto intendo.
Plinio (N.H. 7, 2, 19) ci riferisce quanto segue: Non lontano
dalla citt di Roma, nel territorio dei Falisci vive un ridotto numero
di gruppi familiari di nome Hirpi. Costoro, nellannuale sacrifi-
cio ad Apollo che ha luogo presso il monte Soratte, camminano
sopra un mucchio di legna ridotta a brace e non si bruciano;
appunto per questo motivo hanno ottenuto, sulla base di un decreto
perpetuo del senato, lesenzione dal servizio militare e da tutti
gli altri inerenti doveri
19
. Credo che tutti conoscano identiche,
19
La notizia di fonte varroniana (Ant.Hum. I, cfr. Serv. A. 1, 787, 1, 5). Letnico
Hirpini.
Letimologia come processo di indagine culturale 55
a noi contemporanee, esibizioni dello stesso tipo, ma, in assenza
di ulteriori elementi, lidentit non basta a supporre rapporti di
dipendenza storica: si tratta dunque di identit solo tipologica.
Poco prima (7, 2, 15) Plinio aveva parlato di varie popolazioni
(nellEllesponto ed in Libia) immuni dal veleno dei serpenti e
capaci di guarire chi fosse stato morso; aveva anche aggiunto che
una stirpe con lo stesso potere si trovava in Italia ed era quella
dei Marsi
20
. Anche in questo caso siamo di fronte ad una tipologia
ben diffusa, nota anche etnograficamente, ma c un particolare
a noi contemporaneo che richiama lattenzione, ossia la festa dei
serpari in onore di San Domenico nel paesino di Cucullo nella
Marsica (Abruzzo). I serpari sono appunto persone di quella spe-
cifica regione che sanno trattare i serpenti velenosi, al cui morso
sarebbero immuni: credo sia abbastanza nota limmagine della
statua del patrono sulla quale sono avvinte decine di serpi. Con-
tinuit geografica e fattuale di referenza di una tradizione
cristianizzata, ma che allorigine Cristiana non , inducono il forte
sospetto di trovarsi di fronte ad una sopravvivenza antica.
La congruenza pu essere accompagnata da qualcosa di molto
importante, ossia, sulla base di quanto sappiamo, letimo ci rive-
la dimensioni nuove ed inaspettate, ci apporta nuove conoscen-
ze. Come prima abbiamo detto, letimo ha sempre un valore fattuale.
Ci si potrebbe obbiettare che posizioni di questo tipo privile-
giano di fatto solo alcune categorie di etimi, quelle appunto che
hanno una dimensione culturale intrinseca ed evidente, tralasciando
i tanti casi che pure fanno parte del lavoro quotidiano delletimologo
nei quali la riscoperta linguistica parrebbe bastare a se stessa.
In tre lingue della Costa dAvorio meridionale (Eotile, Mbatto,
Nzema) lago viene detto rispettivamente a gbu ja , a gu ja e a gbu ja
ed facile vedere che si tratta di prestiti dal portoghese agulha:
i Portoghesi infatti sono stati i primi europei che hanno aperto
sedi mercantili su quella costa: ci sono nelle lingue locali altri
20
lecito sospettare che anche in questo caso la fonte sia Varrone.
Franco Crevatin 56
prestiti dalla medesima lingua (ad es. Bawl kpau) pane
21
). Lago
il prodotto di una tecnica metallurgica avanzata e ricordiamo
che anche nella lingua dei Tuaregh il nome dellago (per tappeti)
un prestito, in questo caso dal latino, ta-sugla, ta-subla
22
< sbla.
Ma che ci sarebbe di culturale nel fatto che litaliano sasso deriva
dal latino saxum?
Lobbiezione sarebbe mal posta, poich se vero che ogni
problema pu essere tecnicamente affrontato per se stesso, al-
trettanto vero che non esiste parola che nel lessico non sia parte
di classificazioni o di campi lessico-semantici per definizione culturali:
essa isolabile solo per fini operatori (nostri!) contingenti. Per
tornare allesempio ora citato, il latino saxum indica un macigno,
una rupe, e dunque va visto nei suoi rapporti con petra e lapis e
dunque ha una collocazione lessicale diversa da quella che il
derivato ha in italiano. Ora mostreremo che quando si dice che
litaliano rosso deriva dal latino rssus si racconta solo una parte
di una storia complessa.
Tutti gli esseri umani hanno unidentica percezione del colore,
ma hanno una diversa cognizione del colore stesso: le culture
delimitano in maniera diversa lo spettro della luce e applicano
quindi etichette linguistiche che possono sembrare, ma non sono,
uguali o simili. Il bianco ed il nero latini, ad esempio, erano
diversi dai nostri: per i Romani infatti un fattore distintivo era la
luminosit per cui si distingueva il bianco luminoso (candidus)
da quello non luminoso (albus), il nero che riflette la luce (niger)
da quello che non la riflette (ater). Viridis era s il color verde,
quello della vegetazione fresca, ma ricopriva anche una fascia
del giallo pallido come del resto il greco ` ,. Sulle varie
sfumature del rosso ci informa una pagina di Aulo Gellio (Noctes
Att. 2, 26) che conviene citare nella sua interezza.
21
Il pane non esiste nellalimentazione tradizionale dellarea.
22
Ta- il formante del femminile.
Letimologia come processo di indagine culturale 57
Ci sono pi distinzioni nel senso della vista che distinzioni
di parole o termini. In effetti, pur lasciando da parte le altre
incoerenze, questi semplici colori del rosso (rufus) e del verde
(viridis) hanno appunto queste semplici denominazioni, ma
sono (essi stessi) di molte specie differenti. E tale povert lessicale
la trovo piuttosto nella lingua latina che in quella greca. Poi-
ch il color rosso (rufus) viene cos detto dal suo esser rosso
(a rubore), tuttavia altro il modo di esser rosso (rubere) del
fuoco, altro quello del sangue o della porpora, del fiore del
croco, delloro, e la lingua latina non identifica con singoli
vocaboli appropriati queste specifiche variet di rosso, bens
le definisce con lunica designazione di rossezza (rubor), tranne
nei casi in cui mutua i termini di colore dalle stesse cose designate
e dice che qualcosa igneus (proprio del fuoco), flammeus (proprio
della fiamma), sanguigno, del colore del croco, purpureo ed
aureo. I termini per indicare il rosso, russus e ruber, sono derivati
da rufus
23
e non precisano tutte le propriet ad esso pertinen-
ti.; invece i) , (giallo carico, biondo), : u) , (rosso), vu ,
(rosso fuoco
24
), -. , (arancio, color cuoio), ). . paiono
comprendere alcune distinzioni nel color rosso, rendendolo
pi o meno intenso o segnalandone la sua mistura (con altre
tonalit). Allora Frontone rispose a Favorino
25
: Non nego che
la lingua greca, che mi pare tu abbia scelto, sia pi ricca e
dettagliata della nostra, tuttavia nel denominare i colori che
hai ora citato non siamo tanto poveri come a te sembriamo.
Per indicare il color rosso (rufus) non ci sono solo le parole da
te ricordate, russus e ruber, ma ne abbiamo altre e pi nume-
rose di quelle greche da te dette. E infatti fulvus, flavus, rubidus,
poeniceus, rutilus, luteus, spadix sono designazioni del color
rosso e che lo rendono o pi vivo, quasi incendiandolo, o lo
scuriscono mescolandolo col verde o col nero, o lo rendono
luminoso con una aggiunta di bianco splendente. Infatti poeniceus
la nostra designazione per il ). .-i che hai detto in greco
23
Effettivamente ruber e rufus sono corradicali, ma non russus.
24
Tale lopinione corrente dei moderni, ma si potrebbe legittimamente dubitare
sia del tratto semantico della luminosit (< vu fuoco, come vorrebbe la vulgata
etimologica), poich la voce presente come prestito popolare nel latino, burrus,
dove pare aver avuto il significato di rufus (P.-Festo 28, 9), ma la forma col-
laterale birrus come nome di mantello pare indicare un color bruno (cfr. anche
ital. birro e il tipo *brius dal quale viene lital. buio).
25
Il filosofo che ha appena parlato.
Franco Crevatin 58
e rutilus e spadix (sinonimo di poeniceus che abbiamo preso
dal greco) indicano la ricchezza
26
e la luminosit del rossore
quali sono i frutti della palma non ancora fatti maturare dal
sole, dal quale fatto prendono il nome di spadix e di poeniceus:
nel dialetto dorico si dice cvi o.-i un ramo di palma levato
dallalbero assieme al suo frutto. Fulvus sembra essere invece
una mistura di rosso e di verde, in alcuni casi con pi verde
in altri con pi rosso. E cos il poeta (i.e. Virgilio) che stato
il pi attento nella scelta delle parole ha detto fulva dellaqui-
la, del diaspro, ha detto fulvi i berretti di pelo, loro, la sabbia
ed il leone, cos come Ennio negli Annales aveva detto fulva
laria. Per contro flavus sembra essere composto da rosso, verde
e bianco
27
; cos le chiome bionde (flaventes) e, cosa che vedo
stupire taluno, flavae vengono dette da Virgilio le fronde del-
lolivo, cos come molto tempo prima Pacuvio aveva detto
flava lacqua e fulva la polvere. Voglio ricordare i suoi versi
perch sono piacevolissimi
Porgimi il piede, affinch con flavae acque la polvere fulva
io lavi via con queste mani,
con le quali spesso ho massaggiato Ulisse,
perch con la morbidezza delle mani
diminuisca la stanchezza (tua).
Rubidus inoltre un rosso (rufus) pi scuro (e non luminoso,
ater) e scurito da una maggiore nerezza; luteus per contro un
rosso (rufus) meno saturo (dilutior) e pare proprio che prenda
il suo nome dal suo esser diluito.
Come si vede, anche preso atto che la discussione in parte
falsata dalla disuguaglianza del registro linguistico esaminato,
evidente che nella terminologia latina il tratto della luminosit
era distintivo e che dunque lintera strutturazione del campo
semantico era diversa dalla nostra.
Probabilmente il carattere culturale della ricerca etimologica
si rivela con immediatezza quando letimo raggiungibile un
prestito, sia esso un prestito di necessit (la nuova parola nella
lingua ricevente identifica una realt prima ignota) o si riveli
legato a modelli (e mode) sociali.
26
Exuberantia; probabilmente indica qui i diversi gradi di saturazione cromatica.
27
Evidentemente ci si riferisce alla luminosit.
Letimologia come processo di indagine culturale 59
Nelle iscrizioni egiziane della XXII dinastia compare un titolo
proprio delle comunit libiche residenti in Egitto, ms, il quale
palesemente identifica un capo, verosimilmente militare. La pa-
rola certamente berbera, perch ricompare in molte variet nella
forma mass capo (tuaregh mess padrone), ed il segno della
reiterata pressione libica sullEgitto occidentale. Ma se nella val-
le del Nilo le genti berbere trovavano uno stato organizzato pronto
a bloccarli (e che peraltro non sempre riusc a farlo), in altre
regioni dellAfrica settentrionale le genti berbere riuscirono ad
espandersi grazie al controllo delle vie carovaniere. In et
protostorica li troviamo insediati nella Nubia settentrionale, dove
hanno lasciato inequivocabili tracce della loro lingua, e sin
dallepoca preromana le vie trans-sahariane erano saldamente
nelle loro mani: su di esse viaggiava verso sud il prezioso sale
ed i prodotti delle culture mediterranee in cambio di oro. Non
stupisce dunque ritrovare nelle lingue mande dellAfrica occi-
dentale la parola msa(-ke) nel senso di re, che ci mostra che
i punti darrivo carovanieri (Timbuctu tra questi) irradiavano
non solo ricchezza ma anche modelli politici e culturali. Anche
nello yulu, lingua del Sudan meridionale, attestata la voce
mass capo, re che, se non si tratta di una coincidenza, potreb-
be essere un relitto dovuto alle vie carovaniere sahariane tra-
sversali verso il Dar Fur e la Nubia.
Come si detto, i Portoghesi furono i primi europei ad aprire
scali commerciali nella parte settentrionale del golfo di Guinea,
seguiti in un secondo tempo dagli Inglesi e poi dai Francesi:
oltre ai prestiti ricordati (ed avremmo potuto ricordare anche dei
toponimi, ad es. Sassandra [Costa dAvorio) < S. Andrea) ne cito
due che mi sembrano molto significativi. Nella lingua bawl il
piccolo gruzzolo doro che si passa in eredit e che di norma non
viene toccato si dice d na u : esso viene comunemente interpretato
dai parlanti come un monito lo usi ed allora muori, che
corrisponderebbe ad un a d na) a wu , una bella reinterpretazione
di una voce del tipo dineru o sim. Inglese invece lorigine del
Franco Crevatin 60
bawl pO nu , nome dellelemento base del valore, a base quinaria,
del computo tradizionale del denaro, < pound.
Non occorre insistere oltre: senza scambio culturale non pos-
sono esistere prestiti.
Ma ritorniamo alla culturalit del recupero etimologico ed alle
obbiezioni che esso potrebbe suscitare. Lesempio sopra ricorda-
to circa la terminologia del colore in latino parte da unaccezione
larga dellimmediatezza della rilevanza culturale: la lingua per
definizione attributo ed istituzione culturale. Tuttavia, sarebbe
esagerato voler mettere sullo stesso piano i problemi che pone
linterpretazione di referenti naturali la geomorfologia, ad esempio,
o la partonimia del corpo umano e quella relativa a prodotti
della cultura materiale o spirituale. Insomma, possiamo ammet-
tere che di massima i problemi sono diversi se si affronta letimo
di una parola che ha come referente montagna o quello di a-
nima o principe.
Sia pure, dunque. Ma la distinzione tra referente naturale e
prodotto culturale tuttaltro che semplice ed ovvia: se fosse
tale, si dovrebbe ammettere che la naturalezza esista come fatto
oggettivo, sempre uguale a se stesso, da tutti e sempre percepita
e (ri)conosciuta. Le cose per non stanno davvero cos. Esistono
tendenze universali e tratti che paiono essere veri e propri primordial
characters che la cultura e la singola lingua possono rispettare
come trasgredire; per quanto oggi sappiamo, il modo in cui le
lingue e le culture organizzano i dati naturali non facilmente
prevedibile e ci che davvero prevedibile (che so, nessuna lin-
gua distingue con etichette lessicali diverse locchio destro da
quello sinistro) non ci utile. Un esempio chiarir meglio la questione.
Le dita della mano sono distinte da caratteristiche intrinseche:
il pollice il dito pi grosso, il mignolo quello pi piccolo, il
medio quello pi lungo, lindice quello pi usato per toccare,
grattare, esperire, mostrare. In questa classificazione elementare,
il dito anulare fuori sistema, per cui in parecchie lingue non ha
unetichettatura linguistica: curiosamente (ma coerentemente!) nel
bawl il suo nome be-si-a-dum non se ne sa il nome. Noi
Letimologia come processo di indagine culturale 61
invece, per tradizione dotta latina fatta propria anche dalla Chie-
sa, lo chiamiamo dito dellanello (anularis). Il perch ci viene
spiegato da Aulo Gellio (Noct. Att. 10, 10): gli Egiziani avevano
scoperto anatomicamente che un nervo sottilissimo collegava tale
dito al cuore, per cui era pi che sensato collocarvi un anello
(propterea non inscitum uisum esse eum potissimum digitum tali honore
decorandum, qui continens et quasi conexus esse cum principatu cordis
uideretur.), fosse esso simbolo di posizione sociale o di fatto reli-
gioso e si pensi alla fede matrimoniale. Effettivamente la noti-
zia, che Gellio ricava dallo scrittore egiziano Apione, di buona
qualit, anche se anatomicamente assurda: gli Egiziani antichi
credevano in effetti che ciascuna delle dita della mano fosse col-
legata ad una viscera diversa.
Insomma, non si pu a priori decidere quanto sia naturale e
quanto, pur non essendo un artefatto materiale o spirituale uma-
no, sia culturalmente determinato. Credo che la conclusione non
possa stupire: qualunque designazione pu essere determinata
non dalle caratteristiche fisiche del referente naturale bens da
fatti culturali, cosa questa molto comune nei nomi di piante. Nei
dialetti sloveni diffusa la designazione netrsk per il Semper-
vivum tectorum, una crassulacea simile al carciofo. Letimo tra-
sparente, ossia la pianta che protegge dal colpo del fulmine (trsk)
e la designazione dovuta alla tradizione molto diffusa nellEu-
ropa medievale che la pianta proteggesse, appunto, dal fulmine:
Carlo Magno nel suo Capitulare de villis aveva prescritto che essa
dovesse essere largamente piantata nei villaggi per le sue capa-
cit protettive. E, a dire il vero, lorigine ultima della credenza
va cercata nel mondo romano, dove la pianta veniva detta, ap-
punto per questo motivo, oculus Jovis (nellalto Medioevo compa-
re il tipo barba Jovis) ed era creduta efficace anche per allontanare
dalle case, sul tetto delle quali veniva piantata, il male derivato
dallodio: era pianta, insomma, che proteggeva e che induceva
allamore (Ps.-Apul. CXXIV e Diosc. IV, 88).
Ulteriori esempi ci sono forniti dalle etichettature delle tassonomie
animali. Il nome della tartaruga in diverse parlate romanze pre-
Franco Crevatin 62
suppone un tartarca, derivato dal greco 1iiu , inferna-
le. Non vi nulla nella tradizione culturale greca e latina in
senso proprio che giustifichi tale infamante designazione n la
parola nota in questo significato nelle fonti a nostra disposizio-
ne. La tartaruga ha evidentemente assunto tale (dis)valore cultu-
rale nella lingua e nella pratica della magia e dellesorcismo, quando
nei primi secoli dopo Cristo in quel particolare sapere specialisti-
co greco confluirono correnti culturali vicino orientali: nella cul-
tura religiosa egiziana, che tanto ha contribuito alla magia greco
romana, la tartaruga uno dei simboli delle forze delle tenebre
e del male contro le quali combatte il dio del Sole (Che viva Ra
e muoia la tartaruga! recita apoditticamente il Libro dei Morti al
capitolo 161). In questa prospettiva significativo che nei musaici
cristiani aquileiesi di et teodosiana compaiano due scene di lotta
tra il gallo, simbolo della luce e del risveglio alla fede, e la tar-
taruga, soprattutto se si tiene conto della tradizione che lega la
fondazione della chiesa aquileiese ad Alessandria dEgitto.
Limpronta culturale pu dunque essere determinante in ogni
settore del lessico per una ragione profonda: lUomo non sem-
plicemente un animale sociale, condizionato neuro-fisiologicamente
a vivere in societ ed a produrre comunicazione sociale, bens
programmato nellevoluzione a creare cultura socialmente distri-
buita via comunicazione orale. Molti mammiferi sono animali
sociali, ma non per questo producono cultura ed alcuni mammi-
feri superiori possono produrre limitate variet culturali senza
per comunicazione orale. Insomma, luso linguistico in quanto
tale presupposto dalla continua creazione, innovazione,
risistrutturazione culturale. Nella Storia, come ovvio che sia, il
processo non parte mai dal livello zero, per cui linnovazione o
ladattamento possono essere espressi con segni linguistici che di
fatto erano adeguati alla situazione precedente (io scrivo con la
penna, che per non la penna (doca)), per cui tra passato
linguistico e culturale e presente, tra tradizione ed innovazione,
c una costante dialettica: lequilibrio raggiunto sempre preca-
Letimologia come processo di indagine culturale 63
rio, lequilibrio di chi cammina e non di chi sta fermo, perch
linnovazione non pu superare la soglia che renderebbe disage-
vole la comunicazione sociale e la conservazione non pu occul-
tare il cambiamento pena lambiguit.
Dobbiamo fare alcune altre osservazioni. La prima riguarda
letimologia come aspetto specifico della storia globale di una
lingua: il recupero di un etimo coincide con il recupero, il pi
possibile su base documentaria e / o fondandosi su regole (fone-
tica e morfologia storica), dellultimo stadio evolutivo nel quale
la parola analizzabile. Ci significa che lanalisi riguarda sia la
storia della lingua data che la storia della stessa in quanto parte
di una famiglia linguistica; e non si tratta di mere ovviet. Ri-
salire nel tempo con forme analizzabili significa ammettere che
oltre lanalisi non esiste semplicemente lincertezza, bens
lincommensurabilit. Il che non implica a priori la falsit delletimo,
ma solo, nel caso migliore, la nostra incapacit di coglierlo in
tutte le sue dimensioni significative. Un esempio, tra i tanti pos-
sibili: molte forme dialettali italiane settentrionali (prevalente-
mente piemontesi e lombarde) ci portano a ricostruire un *toma
(tipo di) formaggio. facile prendere atto che non si tratta di
voce latina n di voce del superstrato germanico, per cui dobbia-
mo concludere che si tratta di una voce appartenente al vocabo-
lario delleconomia alpina preromana. Di fatto essa sopravvis-
suta perch stata recepita dalle parlate latine provinciali del-
lItalia settentrionale, altrimenti mai sarebbe giunta sino a noi,
ma una volta ammesse origine e trafila siamo impotenti ad anda-
re oltre. Discuteremo oltre i problemi posti dalle voci definibili
di sostrato, per ora basti rilevare che la situazione di impoten-
za dovuta a carenza documentaria linguistica e culturale
molto pi frequente di quanto non vorremmo. Daltronde si trat-
ta di una situazione comprensibile, perch molti dei documenti
essenziali dei quali facciamo uso ci sono stati selezionati dal caso:
gli insetti non hanno mangiato quel papiro, quel documento dar-
chivio non andato disperso, quellepigrafe non stata riutilizzata
come blocco da costruzione, e cos via. Ed anche nella storia
Franco Crevatin 64
documentaria comparativamente pi ricca ci sono dolorose la-
cune.
Sto sostenendo, come conseguenza a mio parere inevitabile,
che il nostro sapere culturale (ovvero il nostro non sapere) con-
dizionano la nostra pratica etimologica ed i risultati ai quali ten-
diamo. In mbito veneto ed istriano documentato il nome zenso
persona omonima, evidentemente da un *gentius, forma non
attestata, ma possibile e corretta, che deriva da gens. Nel latino
repubblicano gens aveva due significati, quello di clan, ossia
gruppo di persone che si supponevano discendenti da un unico
antenato, talora mitico, ma che non erano in grado di ricostruire
rapporti di parentela al loro interno, e quello di gruppo umano,
popolo. Questo secondo significato si continuato durante tutta
la latinit, pur se con la concorrenza di populus. Il riferimento al
clan era fondamentale nel sistema romano classico del nome di
persona: il sistema prevedeva luso del prenome, che era antica-
mente il nome individuale, del gentilizio (nome condiviso da tutti
gli appartenenti ad una gens), la filiazione (citazione del prenome
del padre), lappartenenza ad una tribus, ed il cognomen, ossia
quello che potremmo definire il soprannome dellindividuo. Un
esempio: Lucius + Furius + Luci filius + Oufentin trib + Crassipes.
Tale sistema cominci ad entrare in crisi gi durante il primo
impero ed a livello popolare era ampiamente dissolto nel IV sec.
Ne consegue che *gentius di formazione anteriore a questa data.
La ricchezza e la specificit delletimo deriva dal sapere epigrafico
ed istituzionale gi acquisito e nel quale esso si colloca.
Certo, la storia non si fa con i se, e non possiamo fingere, per
amor dargomentazione, di immaginare quella che sarebbe stata la
nostra ricostruzione se non avessimo avuta piena consapevolezza
del sistema onomastico romano: mi basti dire che il nostro sapere
non frequentemente di questo livello e che pi povero esso ,
tanto pi povero di articolazioni sar letimo che proporremo.
Guardando indietro, possiamo dire che sono stati fissati alcu-
ni fatti molto importanti la fattualit delletimo, la sua intrin-
Letimologia come processo di indagine culturale 65
seca dimensione culturale, la sua correlazione a saperi extra-lin-
guistici. Le difficolt presentate dalletimologia, oltre a quelle
specificamente linguistiche, sono quelle presenti in qualsiasi ri-
cerca di carattere storico problemi di fonti, di commensurabilit
dellipotesi emessa, di economia interpretativa. Possiamo conclu-
dere con unultima esemplificazione.
In qualche singola localit istriana (Buie dIstria) lagionimo
(Eu)fmia si presenta nella forma Foma, con un accento sorpren-
dente. Da un punto di vista strettamente linguistico si pu dire
che tale accento non giustificato dallevoluzione neolatina, men-
tre perfettamente accettabile se supponiamo che esso, beninteso
assieme al nome, sia un prestito dal greco bizantino. In sede sto-
rica siamo confortati dal fatto che lIstria, da prima della caduta
dellImpero romano dOccidente sino almeno allVIII secolo, sta-
ta politicamente e militarmente dipendente da Bisanzio, anche se
talora la dipendenza era poco pi che nominale. Diventa dunque
legittimo chiedersi se nei dialetti istriani siano reperibili altri
bizantinismi; nonostante le ovvie difficolt della questione
28
, esi-
ste qualche voce sospettabile di tale origine. Vediamole. Nel dia-
letto di Cittanova del XV secolo esisteva il tipo dmanda settima-
na = greco : 3o ioi (accusativo), ma bisogna riconoscere che la
voce greca, nella forma hbdmda, era entrata in alcune variet
del latino parlato (REW 4090) ed documentabile anche in aree
italiane che mai hanno visto una presenza greca. Ben pi affidabi-
le la voce marasa (Dignano) finocchio < i i), poich il tipo
completamente isolato dal punto di vista neolatino: il trattamen-
to della -th- greca quello che ci aspetteremmo (si veda ad esem-
pio i ), guancia = veneto gansa). Nulla per ci garantisce
anche se la cosa pare francamente improbabile che non si tratti
di un prestito tardo antico. Lo stesso si potrebbe dire, pur con lo
stesso sforzo, per la parola gombro corbezzolo attestata a Dignano,
28
La presenza bizantina stata di qualche importanza soprattutto durante lepo-
ca del confronto con i Longobardi, dunque un periodo temporale piuttosto ri-
stretto perch il greco abbia potuto esercitare davvero la superiorit del modello
culturale tramite esso irradiato.
Franco Crevatin 66
anchessa completamente isolata nel lessico neolatino e la cui ori-
gine va ravvisata nel greco - i , id. (> com(b)ro). Siamo dun-
que costretti allafasia, nonostante si debba prendere atto sia della
ragionevolezza delle ipotesi linguistiche sia aggiungo del fatto
che la localizzazione delle due voci pi significative Dignano,
paesetto a 9 chilometri da Pola, porto e base militare del generale
bizantino Belisario?
Ebbene no: ci soccorre infatti una pia tradizione. Santa Eufemia
la patrona di Rovigno e la leggenda vuole che il sarcofago con
le sue spoglie mortali sia stato spinto miracolosamente a riva
proprio a Rovigno, dove venne trovato, fu edificato un luogo di
culto e la martire fu eletta a Patrona. Dietro la tradizione leg-
gibile in controluce un fatto indiscutibile, ossia che il culto di
Santa Eufemia stato importato in Istria. Riscopriamo cos la ratio
del prestito del nome e del suo accento ed ogni residuo dubbio
pu cadere anche circa la grecit delle due voci dignanesi.
Letimologia come processo di indagine culturale 67
I PERICOLI DEL PASSATO
In questo capitolo sosterr una tesi che nulla ha di parados-
sale e che anzi, a ben vedere, molti giudicherebbero ovvia: il
passato quel luogo dove si facevano altre cose ed anche quelle
che sembrano (e non detto che lo siano davvero) simili alle
nostre si facevano in modo diverso. Tenter inoltre di mostrare
che nelle nostre escursioni nel passato si rischia spesso di dare
per implicito molto che invece va, se possibile, dimostrato, dalle
classificazioni alla continuit, linguistica o culturale che sia.
Uno dei pi comuni errori di ingenuit guardare alle culture
diverse dalla nostra con gli occhiali fornitici dalle nostre tradi-
zioni ed abitudini, come lastigmatico guarda e ci si trova bene
con una lente cilindrica. Davanti a parole che sono in rapporto
di continuit storica e che hanno significati a tutta prima simili
o meglio, la cui parafrasi simile possiamo esser portati a
credere che letimo, formalmente evidente, non ponga problemi
particolari. Ma perch mai dovrebbe essere cos, essendo che noi
stessi percepiamo talora un divario di due o tre generazioni come
stupefacente? Non si tratta di accelerazione tipicamente con-
temporanea, se Varrone poteva tranquillamente parlare di antiquitates
e di vetustas per espressioni linguistiche e culturali che lo prece-
devano di non molti secoli in un ambiente che era ancora larga-
mente legato alle tradizioni avite.
Lattenzione per il contesto culturale delletimo comune da
almeno ottantanni, se fissiamo come punto di maturazione la
comparsa del Reallexicon der indogermanischen Altertumskunde (Berlin
1917-1929) di O. Schrader ed A. Nehring. In questa ricca opera
larcheologia la referenza principale della ricerca etimologica.
Se non il punto di arrivo, quanto meno una tappa altrettanto
importante stato Le vocabulaire des institutions indo-europennes
di E. Benveniste (Parigi 1969), nel quale la ricerca etimologica
legata a straordinarie finezze di ricostruzione semantica su base
testuale. Non pi larcheologia, dunque, ma una filologia testua-
le comparata costituisce il referente dello sforzo etimologico. Strano,
Franco Crevatin 68
invero, che lantropologia non abbia avuto che una parte piutto-
sto limitata nella ricerca
29
: come scienza della cultura avrebbe
potuto contribuire non poco ad una visione laica di molti proble-
mi.
Qual dunque si potrebbe chiedere loggetto del conten-
dere, se tutti concordano nellammettere che letimo ha dimen-
sione culturale? Ebbene, innanzi tutto la complessit del proces-
so, quella che travalica il rapporto tra un etimo ed un fatto, pro-
spettiva questa che stata a lungo privilegiata dalla referenza
archeologica. Essa viene alla luce quando letimo coglie aspetti
poco o punto noti e sui quali necessario emettere ipotesi il pi
possibile economiche. Un esempio, molto noto: il latino vcus aveva
due significati, quello di fila di case, strada, quartiere e quello
di insediamento; ambedue i significati si continuano nel mon-
do romanzo (vco(lo) rispetto ai tanti toponimi del tipo Vico o
Vigo). Qual dunque il fattore unificante? Evidentemente labita-
re vicino (vcnus un derivato da vcus) di un gruppo di perso-
ne, un abitare assieme che pu essere urbano o rurale (vlla).
Tuttavia nel momento in cui prendiamo atto che formalmente la
parola vcus equivale perfettamente al greco . -, casa, grup-
po familiare ci rendiamo conto che il soggetto logico soggiacente
alla comparazione originariamente un fatto di parentela con
una proiezione abitativa: persone che sono o ritengono di essere
parenti tra di loro abitano assieme. Se poi procediamo ad una
pi ampia comparazione indoeuropeistica troviamo conferme
allassunto, poich liranico vs- ed il sanscrito vs - indicano appunto
il lignaggio. Letimo ha un valore aggiunto, ossia ci garantisce
che linsediamento latino pi antico era ancora concepito in ter-
mini di parentela.
Lesempio, per banale che sia, ci mostra che non sempre
ovvio nei nostri termini culturali ci che va chiesto alletimo. Ho
detto nel capitolo precedente che scrivo con una penna che
per non una penna (doca) ed adesso aggiungo che letimo ci
29
Essa ha avuto qualche fortuna nella produzione di linguisti statunitensi.
Letimologia come processo di indagine culturale 69
si presenta sempre come il prodotto di successive cristallizzazio-
ni semantiche e culturali. Contrariamente a quello che possiamo
dire sul piano formale delletimo stesso, non possiamo affermare
che il livello, cronologico e ricostruttivo da noi raggiunto, sia
semplicemente quello dellultima cristallizzazione. Ci dovrebbe
essere chiaro se prendiamo in considerazione esempi a noi con-
temporanei e dunque ragionevolmente chiari. Nel sardo
30
il cam-
po incolto destinato a pascolo pu esser definito in vari modi: il
referente fisicamente lo stesso, ma la terminologia varia a se-
conda della referenza culturale. Altro il terreno destinato esclu-
sivamente a pascolo, altro il terreno non coltivato (ma che po-
trebbe esserlo), altro ancora il campo che non coltivato perch
lasciato a maggese nel sistema della rotazione dei campi. La ro-
tazione rigidamente prevista per le intere terre di un comune:
i gruppi sociali dividono tutte le loro terre in due gruppi, quelle
destinate pro tempore alla coltivazione
31
(nuor. biDaTone, ecc.) e
quelle destinate al pascolo (nuor. paperile, ecc.). Letimo della prima
parola il latino habitatio, che sottolinea loriginario aspetto
insediativo rurale, mentre quello della seconda voce il latino
pauper povero. Tale terra di poveri per originariamente nulla
aveva a che fare con il sistema rotativo n con una sua presunta
povert rispetto alle terre produttive, bens va visto nella logica
terriera feudale: si trattava infatti della terra riservata ai poveri
perch la sfruttassero come pascolo.
Ho usato il termine cristallizzazione desumendolo dallam-
bito degli studi sul mito perch mi sembrato adattarsi bene
anche ai problemi etimologici: sinch una parola si continua, i
suoi rapporti con il resto del lessico subiscono continui, graduali
e mutevoli assestamenti in relazione alla cultura dei parlanti,
arrivando talora e senza che i parlanti stessi ne percepiscano
con chiarezza la fastidiosa ambiguit ad indicazioni semantiche
che sono lesatto contrario della situazione originale. Un buon-
30
Uso il presente etnografico.
31
Nella quale la parte incolta pu esser destinata a pascolo.
Franco Crevatin 70
gustaio rifiuterebbe con orrore lidea che il vino piemontese Dolcetto
sia dolce e sino a poco tempo fa ognuno di noi avrebbe evitato
accuratamente di prendere un (treno) accelerato, sapendo bene
che era il pi lento dei treni sulla rete. Letimo delle due parole
ci dice per, senza scampo, che il Dolcetto era dolce e che lacce-
lerato era pi rapido dei treni normali, ma letimo non ci direbbe
altro se non avessimo la possibilit di confrontarlo con altri saperi.
Un altro caso, sul quale siamo fortunatamente abbastanza
informati, quello delle designazioni romanze occidentali della
persona ricca: esso ci consente di veder ancora meglio quanto
i fatti linguistici e culturali possano essere non ovvii. In tutta
larea italiana documentata la voce ricco, che viene forse
32
da
un longobardo rikhi ed ha, apparentemente, lo stesso significato;
in area galloromanza (francese riche) il prestito ha seguito altre
vie (dal francone antico rki), ma letimo lo stesso, pur con il
senso talora di potente, e tanto vale anche per liberoromanzo
(spagnolo rico), che rinviene al gotico reiks: in questultimo caso
rileveremo che nelle prime attestazioni della parola (Cantar del
mio Cid) la voce vale anche eccellente, prezioso, caro, con
connotazioni emotive non ignote nel castigliano contemporaneo.
En passant, notiamo che germanica antica pure lorigine del
finnico rikas ricco. Possiamo tranquillamente escludere che si
trattasse di un prestito di necessit, visto che le genti germaniche
guardavano allImpero romano dOccidente come al paese di tutte
le ricchezze e proprio per questo motivo lo aggredirono sino a
farlo cadere. Dovremmo resistere anche alla banalizzante idea
che, dopo la conquista, erano i popoli germanici i nuovi ricchi ed
i Romani i poveri per cui la mutata situazione avrebbe condizio-
nato il prestito: successo anche questo, naturalmente, ma non
il fattore fondamentale. Guardiamo innanzi tutto al senso della
parola germanica. Il tipo *rkaz contiene due indicazioni semantiche,
quella della ricchezza e quella del potere (tedesco Reich). La
32
Cos la vulgata, ma personalmente credo che la parola sia entrata dal gotico in
epoca gi tardo antica.
Letimologia come processo di indagine culturale 71
concezione germanica della ricchezza era legata alla struttura sociale
ed economica di tali genti. Sino al volgere dellera volgare non
esistevano significative differenze di livello economico tra ap-
partenenti allo stesso gruppo ed inoltre la struttura politica era
sostanzialmente acefala. Il prolungato rapporto con lImpero ro-
mano, limportazione di generi di prestigio e di lusso (vasi, monili,
lo stesso vino) port a graduali ed importanti mutamenti nellas-
setto sociale, spingendo verso la differenziazione censuale; inol-
tre si consolid una struttura, gi prima blandamente esistente,
di potere politico: il singolo guerriero, il cui valore e capacit
erano largamente riconosciuti per tali dallopinione pubblica, poteva
raccogliere attorno a s altri guerrieri che lo riconoscevano come
capo, lo sostenevano in guerra e nelle assemblee; in cambio egli
elargiva con molta generosit ai suoi seguaci beni economici e di
prestigio. Insomma, il capo poteva di fatto esser ricco, ma la
sua ricchezza veniva sempre largamente redistribuita. NellAlto
medioevo, quando pure si erano ulteriormente approfondite le
disuguaglianze economiche, il capo germanico continu ad esse-
re un grande redistributore di ricchezza, al punto da arrivare
talora alla distruzione di propri beni: la ricchezza andava esibita,
regalata, usata come strumento di confronto con altri capi e con
lintero gruppo, quasi come unarma di impatto sociale per supe-
rare il potenziale avversario in generosit redistributiva. Per fare
questo, per, i grandi redistributori avevano bisogno di poter
contare su seguaci sempre disponibili. Si cre cos, o meglio si
perfezion, un sistema che poneva il lavoro, in primis quello agricolo,
come un disvalore, poich il capo o il guerriero combatte ed altri
devono lavorare per lui.
Questa fu dunque la situazione culturale nella quale avvenne
parte considerevole del contatto tardo antico e alto medievale tra
mondo germanico e mondo romanzo, e difficilmente si potevano
immaginare distanze maggiori (e prescindo dalle differenze reli-
giose). La cultura tardo latina e Cristiana predicava la povert,
lumilt ed il lavoro (pur se come penitenza umana dovuta al
peccato originale, non come valore in s; il motto ora et labora
Franco Crevatin 72
riflette proprio tali concezioni) in una tradizione economica agri-
cola per eccellenza e si trovava a confrontarsi con la cultura dei
nuovi signori che a tutto questo era estranea: la percezione della
distanza era molto forte ed anche la differenziazione alimentare
non era da essa sottostimata: il capo germanico aveva nella carne
il suo status symbol alimentare, ma la Chiesa vedeva proprio nella
frequente rinucia al consumo della carne un segno forte di
contrapposizione.
Il ricco, insomma, non era pi il dives latino (conservato pro-
babilmente solo nel sardo antico, che difatti non stato esposto
alle migrazioni germaniche), ormai un ricordo dei tempi econo-
mici passati, ma qualcosa di sconcertante e di diverso da tutto
quello che era culturalmente ragionevole dal punto di vista dei
Latini. Il prestito fin per essere quasi un fatto di necessit.
Quanto sinora abbiamo detto (e visto negli esempi) facil-
mente riassumibile nelle due constatazioni che levoluzione non
lascia tracce omologhe di un rapporto di 1 : 1 tra fatti linguistici
e fatti culturali ed, inoltre, che la continuit della forma lingui-
stica tende ad occultare ai nostri occhi levoluzione della cultura.
Possiamo essere in grado di cogliere delle cristallizzazioni semantiche
e culturali, ma quando siamo ridotti a ragionare sulla mera for-
ma, operando con radici lessicali e privi di altri saperi culturali,
poco possiamo andare al di l della mera presa datto, quando
beninteso essa non sia in se stessa indizio di fatti storicamente
apprezzabili. Ne consegue che ogni viaggio nel passato rischioso
e che il rischio aumenta in diretta proporzione con la lunghezza
del viaggio stesso.
Affrontiamo adesso due altre insidie del passato, ossia linsi-
dia classificatoria e quella della continuit. Mi riferisco, alquanto
paradossalmente, a due fattori di ordine linguistico che pure
costituiscono uno dei presupposti fondamentali della corretta ricerca
e spiegazione etimologica. Quando sosteniamo che litaliano sciatto
viene dal latino exaptus inadatto, ammettiamo che a) c conti-
Letimologia come processo di indagine culturale 73
nuit di forma tra il punto di partenza ed i punti di arrivo e b)
che sempre chiaro quali siano i punti in questione, ossia che
quella parola latina lorigine identificabile ed identificata delle
citate forme romanze e di altre ancora. Alla base, poniamo,
dellistriano (Buie) tenr rifare il filo alla falce fienaia suppor-
remo, non senza buoni motivi, un latino regionale non attestato
dalle fonti scritte *aptnre rendere adatto senza pericoli per la
credibilit della trafila. Tuttavia, come ben si pu immaginare, le
cose non sono sempre cos ovvie. Innanzi tutto in molti casi c
continuit di forma ma non continuit di referente: ad esempio il
vino veneto Prosecco deve il suo nome al fatto di essere di sapore
asciutto (latino persccus), ma n il vino in quanto tale ed
ovvio n il nome che identifica il suo gusto possono essere
latini (sarebbe stato detto austerus). Altrettanto spesso c conti-
nuit di referente ma non continuit di forma: caso esemplare
il corpetto tradizionale sardo, che molto probabilmente risale ad
epoca preromana ed il cui nome originario pare esser stato mastruca
(Quintil. Inst. Orat. 1, 5, 8 e Cic. Prov. 15, 8 e Pro Scauro 45h 2),
ma che si dice oggi besteBi (letter.: veste di pelle); anche nel
basco ci sono casi di nomi riferiti a realt culturali antiche che
per non sono etimologicamente baschi bens prestiti latini.
Quello della continuit un punto delicatissimo, perch per
continuit si intende di massima sempre un fatto complessivo.
Possiamo ad esempio tranquillamente dire che in Egitto da unepoca
preistorica imprecisata sino al XVI secolo circa della nostra era
c stata continuit: la lingua dei costruttori delle piramidi si
evoluta successivamente in quella dei Faraoni conquistatori, dei
sudditi dei sovrani macedoni e dei monaci copti Cristiani. Ancor
oggi nelle chiese copte, nelle quali il dialetto bohairico viene usato
come lingua liturgica, sentiamo echeggiare le parole dei Faraoni:
cos recita il primo versetto del Pater noster
peniwt et
q qq qq
en nivhoui
Padre nostro che (sei) nei cieli
e che perfettamente ritraducibile nel neo-egiziano, anche se, a
dire il vero, suonerebbe un po strano il plurale della parola cielo.
Franco Crevatin 74
!
C
g:
L
C
C
U
!
=
U!
)
e ss SAsw (
Us2
!
=
-
) prigio-
nieri. Linformazione di Manetone tinta di nazionalismo egiziano e,
tutto sommato, non neppure sicuro che sia davvero ascrivibile a Manetone:
la sua opera venne infatti largamente rimaneggiata ed interpolata dalle
fazioni alessandrine filo ed anti Ebree. Ma lelemento pi interessante
dato dalla distinzione tra huk, proprio della lingua sacra, e ss tipico
invece del parlare comune: questa finezza certo manetoniana. Il sacer-
dote di Eliopoli difatti allude al bilinguismo dotto det tolemaica tra
medio-egiziano, lingua dei testi sacri, e lingua parlata, profana (da
ultimo v. K. Jansen-Winkeln, WZKM 85, 1995, p. 85 ss.); effettivamen-
te HqA non si continua nel copto.
Capitolo II
Molto numerose sono le liste di parole vicino orientali: si veda la
voce Listen nel Reallexikon der Assyriologie und vorderasiatischen Archologie,
ed. Ebeling, Erich, Berlin 1932 e ss. Le lettere dellarchivio diplomatico
di el Amarna sono state riedite in traduzione da Mario Liverani (Le
lettere di el-Amarna, Brescia 1998). La teoria egiziana della lingua stata
da me esposta in IncLing 16, 1993, p. 105 ss. Il Libro della Vacca
Celeste stato riedito da E. Hornung (Der gyptische Mythus von der
Himmelskuk, Freiburg 1982). Sul Cratilo di Platone e sulla filosofia stoica
la bibliografia sterminata: si ricordi almeno lopera fondamentale di
M. Pohlenz, Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung, 1971-72
3
; su
Varrone v. Varron, Entretiens Hardt IX, 1963, soprattutto il lavoro di R.
Schroeter (del quale v. anche il contributo in AAWM 12, 1959, p. 769
ss. Sul Nighau vedico ho scritto in Bandhu. Scritti in onore di Carlo Della
Casa, Torino 1997, p. 69 ss.
Franco Crevatin 182
Capitolo IV
Sulla concezione germanica della ricchezza si vedr E.A. Thompson,
The Early Germans, Oxford 1965, un classico che si pu aggiornare con le
singole voci del Reallexikon der germanischen Altertumskunde, ed. J. Hoops,
Berlin 1973 ss., e A.Ja. Gurevi, Le categorie della cultura medievale, Torino
1983 (trad. dalloriginale russo Mosca 1972). Oltre al saggio classico di
E. Benveniste citato nel testo, il lettore italiano pu utilmente leggere il
libro di R. Lazzeroni, La cultura indoeuropea, Bari 1998.
Capitolo VIII
Sulle conchiglie del kula v. S.F. Campbell in H.W. Leach e E. Leach
edd., The Kula, Cambridge 1983 p. 229 ss. Le componenti della persona
umana secondo gli Egiziani sono state riassunte in maniera piacevol-
mente divulgativa da A. Bongioanni e M. Tosi, La spiritualit dellantico
Egitto, Rimini 1997.
Capitolo IX
Il riferimento classico per la linguistica cognitiva G. Lakoff, Women,
fire and dangerous things: what categories reveal about the mind, University
of Chicago Press, 1988; v. anche A. Bonazza, Arbitrariet e motivazione :
un panorama della linguistica cognitiva , Trieste, Scuola superiore di lingue
moderne, 1995.
Capitolo X
Ho avanzato in parecchie sedi una proposta di lettura di uno dei tipi
sociali diffuso nel mondo di rapporti indeuropeo: si veda ad es. IncLing
Capitolo XI
Le migliori e pi pacate rassegne sul problema del sostrato sono
state offerte da D. Silvestri, La teoria del sostrato: metodi e miraggi, Napoli,
3 voll. 1977-1982; La nozione di indomediterraneo in linguistica storica, Napoli
1974; sul tema ho esposto recentemente il mio punto di vista in Variet
e continuit nella storia linguistica del Veneto (Atti del Convegno della
S.I.G.), Pisa 1999, p. 11 ss.
Capitolo XII
Sul movimento vichingo resta un classico G. Jones, A History of the
Vikings, Oxford 1973; v. anche F. Barbarani, Lespansione dei Vichinghi,
Verona 1979. Le proposte di lettura dello Slovo sono state da me avan-
zate in IncLing 11, 1986, p. 188 ss.; si veda altres la bella edizione
commentata italiana a cura di E. Saronne (Il cantare di Igor, Parma 1988).
Letimologia come processo di indagine culturale 183
Ledizione commentata del Periplo del Mar Rosso che sta alla base delle
nostre letture quella di L. Casson, Periplus maris Erythraei: text with
introduction, translation, and commentary, Princeton Univ. Press, 1989. V.
anche A. Avanzini, ed., Profumi dArabia, Roma 1997 (in particolare lim-
portante contributo di G. Banti e R. Contini, p. 169 ss.Le sopravvivenze
copte nellarabo egiziano sono state studiate da W.B. Bishai, JNES 23
p. 39 ss. e da P. Behnstedt, Welt des Orients 12, 1981, p. 81 ss.; la tesi
di E. Mer Is, The Phonetics and Phonology of the Bohairic Dialect of
Coptic and the survival of Coptic Words in the Colloquial and Classic Arabic
of Egypt, Ph.D. thesis, Oxford 1975, va utilizzata con la massima cautela.
Utile gypte / Monde Arabe 27-28, 1996, con sintesi di vari specia-
listi.
Capitolo XIII
Sui primordial characters (uso non a caso il titolo del libro di R. Needham,
Univ. Press of Virginia 1985) non si lavorato molto: la tematica rinvie-
ne alla semantica cognitiva (sulla quale v. ad es. Cognitive semantics:
meaning and cognition, edited by Jens Allwood, Peter Grdenfors, Benjamins,
1999; Kognitive Semantik : Ergebnisse, Probleme, Perspektiven, Monika Schwarz
(Hrsg.), Tbingen 1994; Historical semantics and cognition, edited by Andreas
Blank, Peter Koch, Berlin 1999) e molto resta da fare.
Nel corso del testo ho fatto spesso riferimento alle interpretazioni di
Horapollo sui Geroglifici ed in generale alla cultura egiziana di et tar-
da: molto materiale si trover nelledizione con traduzione e commento
del testo di Horapollo ad opera mia e di G. Tedeschi, attualmente in
stampa. Sui problemi posti dalla storia delle lingue e popoli centro-
asiatici la bibliografia sterminata: sui rapporti Indoeuropei-Cina il saggio
sempre citato (ed altrettanto discusso) quello di T. Chang, Indo-European
Vocabulary in Old Chinese, Sino-Platonic Papers 7, Philadelphia 1988. In
generale la sintesi pi recente ed equilibrata quella di P.B. Golden, The
Turkic Peoples: a historical sketch, London 1998.
Tecnica linguistica e linguistica culturale
Letimologia, come tutti i saperi specialistici, si basa su una tecnica
che lindispensabile presupposto di ogni proposta; tuttavia la tecnica
in quanto tale non esaurisce i problemi posti dal sapere, fatto questo che
pare spesso dimenticato dallodierna galassia linguistica. Ognuno sa,
credo, reperire gli esempi di quanto dico. Al fondo la questione mi pare
riconducibile alla teleologia delle scienze: lenunciato La linguistica spiega
i problemi posti dal linguaggio umano in quanto tale e dalle lingue
Franco Crevatin 184
naturali come reificazione dello stesso pu legittimamente essere inte-
grato dalla domanda Per farne che?. Proprio in quanto si occupa di
uno dei fattori che pi e meglio caratterizzano lUomo, la linguistica ha
una particolare responsabilit allinterno delle scienze umane, dalla quale
non pu evadere: sarebbe pericolosamente riduttivo pensare esclusiva-
mente allhomo loquens, perch lUomo ununit non suddivisibile, se
non per mera comodit, di fondanti strutture biologiche, cognitive e
culturali. Insomma, la linguistica dovrebbe contribuire teleologicamente
alla comprensione dellUomo. probabile che ci sia colto, magari come
nostalgia, da molte scuole; certo che il successo del paradigma chomskyano,
ad esempio, dovuto molto pi alle prospettive teleologiche che esso
include (il funzionamento della mente) che ai suoi successi esplicativi
nella tecnica linguistica. Nella prospettiva di una linguistica culturale,
largamente dipendente dal cognitivismo e dallantropologia, si sono messi
alcuni studiosi (ad es. G.B. Parker, Toward a Theory of Cultural Linguistics,
Univ. of Texas Press 1996) ed probabile che nei prossimi anni assiste-
remo ad un espandersi di questo filone: ci che in esso per ora manca
la dimensione storica, ed unassenza rumorosa. Essa dipende in parte
dalle singole storie disciplinari: il cognitivismo in s metastorico e
lantropologia ha sempre avuto un atteggiamento sospettoso nono-
stante i caveat espressi da illustri studiosi nei confronti della storia.
Comunque sia, lassenza dovr essere compensata: lUomo percepito in
una visione solo sincronica non pu che essere incompleto.
Letimologia come processo di indagine culturale 185
Prodotto nel 2002
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I.U.O. Napoli