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Studi linguistici

in onore di Lorenzo Massobrio

a cura di

Federica Cugno, Laura Mantovani,


Matteo Rivoira, Maria Sabrina Specchia

Istituto dell’Atlante Linguistico Italiano


Torino
Il volume è pubblicato col contributo del Dipartimento di Studi Umanistici – StudiUm
dell’Università degli Studi di Torino (Fondi di Ricerca locale 2012 – ex 60%)

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ISBN 978-88-98051-09-0
Stromata 16-17

Franco Crevatin
Università degli Studi di Trieste
fcrevatin@units.it

16. Etimi istriani


17. Ancora la tartaruga

16. Uno dei problemi centrali della linguistica dell’Istria centro-settentrionale è la


definizione dello strato romanzo preveneziano; in numerosi lavori ho sostenuto che
esso apparteneva al tipo italiano nord orientale, in un continuum specifico con il friula-
no e con il veneto orientale e settentrionale, con rilevabili influenze friulane nell’Istria
settentrionale. L’etimologia aiuta dunque a chiarire tali rapporti e va oltre l’interesse
del mero dato lessicale 1.

anièzi s.m.pl. «ombrellifera infestante dall’odore penetrante, Bifora radians», anche ànizi; il
doppione è indizio di una tradizione complessa. Ambedue le forme sono di tradizione
popolare, ma mentre la seconda è di irradiazione veneziana, la prima — che presuppone
un anēsum — è evidentemente encorica e pare isolata in ambito italiano.
bàligo s.m. «borsa di tela a sacco che si porta a tracolla»; voce tipicamente istriana, senza
confronti con altre aree dialettali e di etimo difficile: l’aspetto genericamente deverbale
non indizia alcunché di evidente né aiuta l’ancor più improbabile formazione in -ĭcus.
Ritengo molto verosimile che si tratti di prestito dall’ant.a.ted. balg «sacco, otre», Kluge,
Seebold 2011 s.v. e Orel 2003 p. 33. Il prestito, semanticamente perfetto, non sarebbe
isolato, cfr. quanto meno i tipi bilfo «folletto, persona stizzosa» < m.a.ted. Bilwis id., bilfàr
«germogliare, emettere polloni» < m.a.ted. werfen [onomasiologicamente identico a ‘butta-
re’, detto di una pianta]. Non è precisabile — credo — se l’eventuale prestito bàl(i)go possa
risalire ad epoche più antiche 2.
brandusi s.m.pl. «radici avventizie della vite che si tagliano durante la zappatura»; lo stesso
etimo dell’it. brandello, che il LEI (s.v.) rinvia a *bar(r)-; il suffisso è -ūceus.
brédola s.f. «tipo di betulla (Betulla verrucosa)». La voce risale ad un *betŭla, Beiform di *betŭlus
/ betŭlla REW 1068-1069; il tipo, con uno strano inserimento di -r-, salta il friulano, ma
ricompare nel veneto settentrionale e nel Cadore (AIS 579 p. 317, 335; brédol) e mi è nota

1
  Raccolgo un manipolo di etimi istriani, taluni evidenti altri no, tratti dal materiale lessicale di Buie d’Istria
raccolto con indomito entusiasmo, ma non sempre con rigore lessicografico, da Marino Dussich (2008: 2012).
Uso una trascrizione fonetica semplificata delle voci dialettali.
2
  La presenza longobarda è documentata nell’Istria settentrionale sia da qualche prestito (ad es. piovina
«aratro asimmetrico») che da toponimi (ad es. Raspo, croato Raspor, antico Ratis / Rachis-purg < Ratchis-burg, la
‘rocca di Ratchis’, il celebre duca longobardo del Friuli).

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inoltre a Pieve di Soligo (TV; brèdola). Sulla vicenda onomasiologica v. Pellegrini, Zamboni
1982, 1, p. 58 ss.
garganèle s.f.pl. «le vene del collo». Appartiene all’imitativo *garg- attraverso un *gargana, cfr.
it. ant. garganello «gola» e qualche voce toscana. La parola istriana, che non è formazione
autonoma, ed il latino tardo gargala / gargarila (Oribas. eup. 2, 1 G 6; ThesLL 6, 2, 1693)
come nome di un’arteria (?) / della trachea invitano a credere all’esistenza di un tardo
*gargānus.
grenàl s.m. «criniera», derivato da crīnis REW 2326; da rilevare la formazione in -ālis che
dovette esser tipica del tardo latino istriano, e che trova un confronto solo nell’istrioto
(Dignano) grináy s.m.pl., con lo stesso significato (AIS 1064 p. 398).
grétolo s.m. «calcio del cavallo o del somaro». Come gréitula s.f. (Dignano), con lo stesso
significato, deverbale da un *gritolar «scalciare, degli animali», a sua volta denominale da
‘garretto’ (REW 3690), usualmente ritenuto prestito dall’ant. fr. garret.
pantizar intr. «preoccuparsi, darsi pensiero di qc.». Da *pa(v)entāre; in area italiana si con-
tinua *ex- pa(v)entāre (REW 3035) sia direttamente (ad es. it. ant. spantare «stupirsi») sia in
forma ampliata (ad es. napol. spantecà «macerarsi, stare sulle spine».)
rigoleto s.m. nell’espressione ‘fare r.’ «rumoreggiare con la gola, raschiare in gola; fare garga-
rismi»; deverbale ormai oscurato derivato da *rūgŭlāre REW 7430a < rugīre.
roghe s.f.pl. nell’espressione ‘fare r.’ «mostrare le corna per derisione o per scaramanzia con
le dita»; deverbale oscurato da rŏgāre REW 7361, di diffusione italiana sett. nel senso di
«(s)gridare, deridere».
Santa Sàbata toponimo nei pressi di Buie: cito l’occorrenza perché l’agionimo, che proba-
bilmente identificava un’edicola campestre, si iscrive nella lunga storia dei rapporti inter-
corsi tra l’Istria ed il Patriarcato di Aquileia, a partire dal 981, donazione della cittadina
al Patriarcato da parte di Ottone II, sino al 1312, dedizione di Buie a Venezia. La pseudo
santa è di fatto una cicatrice della celebrazione festiva del sabato nella tradizione popolare
Cristiana del Friuli, cfr. per tutti Biasutti 1956.
spagno s.m. «legno ricurvo per fissare i cerchi sul basto dell’asino»; deverbale da un *pagĭnāre
«connettere».
vòga s.f. «orma profonda fatta con il tacco»; voce a quanto ne so isolata, palesemente da un
*vŏcus «vuoto» rispetto al letterario vacuus, REW 9115.

17. L’etimo del nome tartaruga, tipo ampiamente diffuso nelle lingue romanze
(REW 8589a), è da lungo tempo noto, ed è il greco ταρταροῦχος. Questo prestito pre-
senta aspetti singolari, la valenza assolutamente negativa dell’animale (ταρταροῦχος
vuol dire «colui che ha potere sul Tartaro»), in se stessa non ovvia, ed il fatto che nel
greco la parola non indicava la tartaruga, che era detta χελώνη.
Nelle culture antiche la tartaruga ha goduto di una fama ambigua, talora estre-
mamente positiva (ad es. nell’India brahmanica e nell’antica Cina), talaltra negativa
(Keller 1913: 247-259) 3. Nel testo biblico (Levit. 11.29) la tartaruga è considerata un
animale immondo e qualche Padre della Chiesa sembra aver ripreso e fatto propria
tale valutazione: S. Gerolamo dice infatti testudo tardigrada et onerata, immo oppressa pon-

  Utile ma di taglio giornalistico è il lavoro di Young (2003).


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dere suo, non tam ambulat quam movetur, haereticorum gravissima peccata significat, qui suis in
coeno et volutabro luti erroribus immolant (Comment. in Oseae Libri 3,12,11). È possibile che
tale ambiguità dipenda dall’incertezza classificatoria della tartaruga in quanto anima-
le, la cui forma è unica e il cui habitat può essere terrestre o acquatico.
L’epiteto ταρταροῦχος è attestato in alcuni papiri magici (Preisendanz 1928)
e in qualche scrittore Cristiano (Evang. Barthol. 4,25,5; Hyppol., comm. In Danielem
2,29,11,2; Refutatio, 10.34.2.8) e designa potenze degli inferi, ἄγγελοι 4: una delle pri-
me attestazioni della voce in latino, ancora come prestito dal greco, è nella lamina
di piombo deprecatoria di Traù (Dalmazia; VI sec.?), nella quale si legge X in nomine
domini nostri Iesu Cristi denontio tibi inmondissime spirete tartaruce quem angelus Gabriel de
catenis igneis religav(it)… (De Rossi 1871). Lo spirito infernale al quale ci si rivolge
sembra esser stato a capo di 10.000 serpenti infernali. È dunque legittimo concludere
che la parola apparteneva al vocabolario specifico della magia e dell’occultismo ed è
nello stesso àmbito culturale che va cercata l’equivalenza kat’exokhen tra la tartaruga
e il mondo infernale. L’importanza della magia nel mondo tardo antico e delle idee
e pratiche connesse è un fatto noto ed altrettanto indiscutibile è il riconoscimento
nell’oriente mediterraneo grecofono e nella metropoli di Alessandria del maggior
centro di irradiazione.
Uno dei primi e più importanti documenti che attestano la valenza fortemente
negativa della tartaruga è un celebre mosaico aquileiese datato alla prima metà del
IV sec. d.C.

La lotta del gallo con la tartaruga è iscritta in un ambiente musivo di carattere


religioso, il pavimento della basilica, e dunque ha un valore simbolico pregnante e di
interpretazione trasparente, la lotta della Luce della fede contro la Tenebra del male,
una sorta di resa visiva di quanto dirà Cromazio d’Aquileia (335-407 circa) vincuntur
tenebrae noctis lumine devotionis (Sermo 16, 3). Il tema della lotta tra i due specifici animali
è innovativo, ma non lo è l’organizzazione visiva: il vaso su supporto, oltre a scandire

  Sul ruolo degli ‘angeli’ nelle religioni tardo-antiche si veda la sintesi di Muehlberger (2008).
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lo spazio, risale alla tradizione iconografica della lotta tra atleti nella quale il vaso è
il premio previsto per il vincitore: nell’altra immagine aquileiese dello stesso tema,
tra i due animali c’è un sacchetto di denaro, il premio appunto della tenzone. Nella
pompeiana Casa del Fauno un mosaico riproduce un combattimento tra galli ed il
parallelismo iconografico è evidente.

Dobbiamo dunque concludere che le maestranze che hanno preparato i cartoni


musivi hanno iscritto un tema religioso nell’ottica profana fornita dalla cultura del
loro tempo. R. Egger (1930) ha proposto che l’antitesi gallo : tartaruga sia ascrivibile
alla simbologia della religione mitraica, un’opinione che è stata a lungo condivisa
(Carlini 1979; Ronzitti 2012) e ciò non senza qualche buona ragione, innanzi tutto
perché nella religione zarathustriana la tartaruga è un animale negativo, legato ai
pericoli e alle potenze della notte; inoltre in quanto su un’ara del mitreo di Poetovio
(odierna Ptuj) è rappresentato un gallo che sormonta una tartaruga (Egger, cit.) ed è
noto che il gallo / il canto del gallo è nella tradizione iranica un nemico delle presenze
demoniache. Ho fatto rilevare (Crevatin 1979) che in àmbito tardo egiziano la tarta-
ruga ha valenze nettamente negative, (Fischer 1968: 19 s.) e che essa era considerata
uno dei nemici per eccellenza del dio solare (ad es. Libro dei Morti formula 181: Che
Raʻ viva, che muoia la tartaruga!) e che era frequentemente rappresentata assieme ad altri
animali nocivi sulle stele magiche. La principale debolezza di queste tesi è il conflitto
che esse implicano tra la loro specificità (il localismo; il tratto “x viene da y”) e l’am-
piezza impressionante del tipo linguistico *tartarūca; si tratta di una contraddizione
irrisolvibile a meno che — peraltro in accordo con i dati linguistici — non si cambi la
prospettiva: se *tartarūca è un prestito culturale e linguistico dell’ambiente della magia,
ne consegue che il nostro è il prodotto locale di un ambiente vastissimo e composito,
nel quale tradizioni diverse (egiziane, semitiche di nord ovest, iraniche ed altro anco-
ra) si sono incrociate e sovrapposte: non era di necessità babilonese o egiziano chi
invocava Έρεσχιγάλ oppure βαϊνχωωχ e se è vero che le parole sono rispettivamente
babilonese ed egiziana, il loro uso era quello dell’esperto dell’occulto. È dunque ad

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Alessandria che va cercata l’origine della tartaruga, simbolo della tenebra e del male,
qualunque fosse la sua origine ultima 5.
Gli elementi che legano Aquileia ad Alessandria sono numerosi e qualificati, merci
e traffici (Cassola 1977), gruppi di abitanti (Boffo 2003; 2009), culti (Fontana 2010),
gemme magiche (Mastrocinque 2007); stretti collegamenti sono esistiti tra la comu-
nità Cristiana aquileiese e quella di Alessandria (Cuscito 2003; 2009) ed è verosimile
che il Cristianesimo si sia diffuso proprio a partire dai gruppi ebraici presenti nella
città, dai quali si è progressivamente — e non senza fatica — differenziato. Non c’è
da stupirsi che un tratto dell’occulto si sia fatto strada nel linguaggio figurativo dei
Cristiani aquileiesi 6, poiché fedeli, clero e maestranze non potevano essere del tutto
estranei all’ambiente culturale internazionale, nel quale gnosticismo, demonologia ed
esoterismo erano pervasivi (Dodds 1965; Klauck 2000; Meyer, Smith 1994) 7.

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5
  La tartaruga godeva purtroppo di una diffusa, anche se non vastissima, cattiva fama, v. Keller (1913: 247-
259); utile ma salottiero Young (2003).
6
 Come i Cristiani d’Egitto continuarono ad usare come simbolo del rinnovarsi della vita e della resurrezione
la rana (ἐγώ εἰμι ἀνάστασις / wḥm ‘nḫ “che rinnova la vita”), così come avevano fatto i loro antenati (Ristow
1961).
7
  Personalmente non credo alla lettura in chiave gnostica dei mosaici aquileiesi offerta da Jacumin (2000):
oltre alle numerose forzature esegetiche, il quadro risultante sarebbe quello di un Cristianesimo decisamente
deviante.

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