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Niccolò Machiavelli

Dai ‘castellucci’ di San Casciano


alla comunicazione politica contemporanea

A cura di Andrea Guidi

VECCHIARELLI EDITORE
Pubblicato con il contributo di:

Sgabuzzini Storici

Ministero per i Beni e le Attività Culturali

E con il patrocinio di:

Comune di San Casciano Val di Pesa

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Piazza dell'Olmo, 27
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www.vecchiarellieditore.it

ISBN 978-88-8247-427-0
SOMMARIO

INTRODUZIONE p. 5

L’ozio di San Casciano p. 6


Questo volume p. 13
Ringraziamenti p. 16

I. MACHIAVELLI, L’OZIO DI SAN CASCIANO, IL PRINCIPE, LA MANDRAGOLA E I MEDICI

Andrea Guidi e Marcello Simonetta


Machiavelli, Paolo Vettori e la caccia ai pirati nel Mediterraneo:
ancora sui “negozi” di Niccolò nell’“ozio” di Sant’Andrea p. 19
Andrea Guidi
«Uno Fermano capo di squadra»: lo scellerato Oliverotto p. 35
Gaetano Lettieri
Il Cantico dei cantici chiave della Mandragola: Callimaco figura del papa
mediceo, voltando carta tra lettera erotica e allegoria cristologico-politica p. 43

II. COMUNICAZIONE POLITICA E IL NOME DI MACHIAVELLI OGGI

Sandro Landi
Machiavelli e la comunicazione politica p. 103
Fabio Frosini
Verità effettuale della cosa e immaginazione di essa.
Riflessioni su una distinzione machiavelliana p. 113
Andrea Felici
Da Machiavelli al machiavellico. Una riflessione sulla fortuna del
Segretario in rapporto ad alcune voci della nostra lingua p. 123

III. MACHIAVELLI IN CONTESTO: PRATICHE DIPLOMATICHE, RAGION DI STATO E FORTUNA EDITORIALE

Emanuele Cutinelli-Rendina e Denis Fachard


Un ambasciatore fiorentino alla corte papale:
la legazione di Alessandro Nasi a Giulio II (1505-1506) p. 135
Cornel Zwierlein
Un “Momento Machiavelliano” della politica estera papale: combinare
Potestas indirecta e Ragion di stato (1589-1595) p. 143
Francesco Bausi
«Medicare il grande invalido». Storia (e sfortuna) editoriale
del carteggio privato di Machiavelli p. 161
Piero Innocenti
Bibliografia di Niccolò Machiavelli e canone bibliografico:
questioni di metodo a proposito di un problema versicolore p. 173

GLI AUTORI p. 183

INDICE DEI NOMI p. 185


Francesco Bausi

«Medicare il grande invalido».


Storia (e sfortuna) editoriale del carteggio privato di Machiavelli

per i settantacinque anni


di Jean-Jacques Marchand

Forse non tutti sanno che, tra gli scritti machiavelliani, quello che più diffidenza e sospetto ha generato,
e che di conseguenza più ostacoli ha dovuto superare per approdare nella sua interezza alla stampa, è il
carteggio privato, la cui prima edizione completa – completa, s’intende, per le conoscenze dell’epoca – fu
approntata da Edoardo Alvisi solo nel 1883. Ben note sono le polemiche sollevate fin dall’inizio dalle opere
politiche del Segretario, nonché le critiche feroci, le accuse e le censure da cui esse furono a lungo colpite:
eppure, tutto il Machiavelli maggiore, compresa la Mandragola, nel 1532 era già disponibile a stampa; nel
1549 furono pubblicati anche gran parte degli scritti letterari fino ad allora rimasti inediti; e a partire dalla
prima metà XVI secolo tutte queste opere non hanno di fatto mai cessato di essere ripubblicate e tradotte,
in Italia e all’estero.
Certo, la “sfortuna” del carteggio familiare machiavelliano è dipesa anche da cause “esterne”. Machiavelli
non teneva un copialettere, non si curava di raccogliere le sue missive, non ha costruito un organico “epi-
stolario” (sul modello degli epistolari umanistici di Petrarca o Poliziano, ad esempio, o dei libri di lettere di
Pietro Aretino): cosicché il suo carteggio privato si è disperso, e in parte non esigua è andato perduto. Basti
dire che possediamo appena una ottantina di epistole sue (pochissime per un autore come Machiavelli, che
fu assiduo scrittore di lettere), a fronte di un numero ben maggiore di lettere dei corrispondenti (circa 270:
il corpus in totale comprende grosso modo 350 lettere, relative al periodo 1498-1527, ma a tutt’oggi la sua
consistenza non è ancora perfettamente definita). Il carteggio di Machiavelli, pertanto, è di fatto, in larga
misura, il carteggio dei suoi corrispondenti; e delle loro epistole non può fare a meno, poiché esse ci con-
sentono spesso di ricostruire il contenuto delle lettere machiavelliane perdute, e quindi di ricomporre i fili
di un discorso epistolare giuntoci in molti casi frammentario e incompleto.
Queste ragioni, però, possono spiegare soltanto perché il carteggio non abbia avuto (eccezion fatta per
poche epistole) alcuna circolazione manoscritta, e perché nessuna lettera machiavelliana abbia trovato po-
sto nelle stampe delle sue opere che videro la luce in abbondanza nella prima metà del XVI secolo, fino alla
messa all’Indice nel 1559. La successiva “sfortuna” di questi testi, invece, si deve ad altre e più profonde
motivazioni di ordine ideologico e morale: come quelle che fecero naufragare il progetto di due nipoti di
Niccolò – Giuliano de’ Ricci e Niccolò Machiavelli iunior, figlio di un figlio del Segretario, Bernardo – di pub-
blicare in edizione “rassettata” le opere dell’avo nella seconda metà del Cinquecento.1 La licenza ecclesia-
stica fu concessa nel 1573, ma il progetto non andò in porto, e da un certo momento in poi Giuliano continuò
a raccogliere e trascrivere documenti solo per proprio interesse e per devozione personale alla memoria
del nonno; rimane tuttavia il frutto del suo lavoro preparatorio, quel preziosissimo manoscritto – oggi con-
servato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (= BNCF), con segnatura E.B.15.10, e noto come
Apografo Ricci (= AR) – che ha costituito a lungo e ancora oggi costituisce uno strumento fondamentale per
gli studi su Machiavelli, e in particolare per l’edizione delle sue lettere.2

1 Il progetto, avviato nel 1571 (con il probabile beneplacito del granduca Cosimo I), fu concepito dapprima in con-
nessione e in continuità con l’edizione “rassettata” del Decameron, e anche nel caso di Machiavelli, per aggirare la
censura ecclesiastica, si puntò sulla valorizzazione dei suoi scritti quali modelli linguistici: vd. S. Bertelli, Egemonia
linguistica come egemonia culturale e politica nella Firenze cosimiana, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renais-
sance», 38 (1976), pp. 249-283, alle pp. 276-81; G. Pieraccini, Alcuni aspetti della fortuna di Machiavelli a Firenze
nel secolo XVI, in «Studi e ricerche dell’Istituto di Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli
Studi di Firenze», 1 (1981), pp. 219-270, alle pp. 243-58.
2 Inventario e regesto di questo ms. in O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione

col machiavellismo, Roma 1883-1911, 2 voll. (rist. anast. Bologna 1999, 2 voll. in tre tomi), I, pp. 617-64.
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FRANCESCO BAUSI

Il Ricci, infatti, si dedicò alacremente – con l’aiuto di Niccolò iunior – alla ricerca, alla raccolta e alla tra-
scrizione degli scritti inediti machiavelliani, e tra questi, intuendone la decisiva importanza, delle lettere,
tanto ufficiali quanto private, che per questa ragione occupano uno spazio precipuo nel suo Apografo. A
questo fine, egli si fondò in prima istanza sulle carte del nonno conservate nella dimora avita,3 ma attinse
anche agli archivi delle famiglie Vettori e Guicciardini, tra le cui fila si contano, come ognun sa, due tra i
principali corrispondenti del Segretario. In tal modo, Giuliano riuscì a mettere insieme un consistente cor-
pus di ben 116 lettere, di cui 37 ufficiali e 79 private. La copia, per la quale il Ricci si avvalse di cinque colla-
boratori (tra cui il già ricordato Niccolò iunior) è inficiata, per quanto riguarda i criteri della selezione e della
trascrizione, da chiare intenzioni apologetiche (contrastare i giudizi negativi espressi su Machiavelli da
Paolo Giovio nei suoi Eulogia; mettere in luce la sua altezza intellettuale e la sua solida tempra morale; ri-
badire la sua costante fedeltà alle istituzioni della repubblica fiorentina) che indussero il Ricci sia a esclu-
dere certe lettere di carattere comico-erotico e “burlesco”, sia a tagliare, in non poche epistole, frasi e intere
parti nelle quali si toccano questioni spicciole di vita pratica e quotidiana.4 Al medesimo intento (quello, in
sostanza, di dar vita a una biografia “ideale” del Segretario attraverso i carteggi) risponde anche la decisione
di lasciar fuori quasi tutte le lettere anteriori al 1512,5 che pure egli doveva avere a disposizione in buon
numero nell’archivio di famiglia; e spicca soprattutto la totale assenza del carteggio con Biagio Buonaccorsi,
che è, fino al 1512, il principale corrispondente di Niccolò.
Nonostante questo, per l’editore e lo studioso del carteggio privato di Machiavelli l’Apografo Ricci resta
– come si diceva – insostituibile, perché solo per una parte delle lettere in esso copiate disponiamo anche
degli autografi, e perché dopo la fatica di Giuliano non si ebbero, per circa due secoli, altre analoghe inizia-
tive di ricerca e di trascrizione delle lettere del Segretario. Fa eccezione, in parte, soltanto la copia “rivista”
che di AR eseguì negli ultimi anni del ’500 Niccolò Machiavelli iunior6 nell’attuale ms. Barber. Lat. 5368 della
Biblioteca Apostolica Vaticana (= VB). Già Rosetta Migliorini Fissi suppose che il codice fosse stato allestito
negli ultimi anni di vita di Niccolò: non dopo il 10 giugno 1597 (giorno della sua morte) e forse non prima
del 1594, anno fino al quale sembra che il Ricci e i suoi collaboratori abbiano lavorato al progetto di edi-
zione.7 Questa ipotesi può ora trovare sicura conferma, giacché VB deve essere verosimilmente messo in
relazione con l’iniziativa del cardinale Cesare Baronio, che il 28 settembre 1596, durante una riunione della
Congregazione dell’Indice, propose di affidare a Niccolò iunior una nuova “rassettatura” degli scritti ma-
chiavelliani: «Card. Baronius proposuit correctionem operum Machiavelli per quendam canonicum Floren-
tinum eiusdem familie faciendam et decretum quod eidem canonico per litteras commitatur negotium».8 Il
canonicus in questione è chiaramente Niccolò iunior (che dal 1578 alla morte fu canonico del Capitolo di
Santa Maria del Fiore)9 e VB è con ogni probabilità il codice che egli mise insieme, dopo il 9 novembre
1596 (quando, approvata la proposta del Baronio, la Congregazione ratificò l’incarico, precisandone la

3 Le carte di Niccolò (tra le quali erano poi confluite anche quelle dei suoi figli) furono infatti interamente ereditate

da Giuliano (vd. R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, settima ed. accresciuta, Firenze, Sansoni, 1978, pp. 419 e
421).
4 I tagli colpirono soprattutto le lettere al nipote Giovanni Vernacci, ma non di rado anche quelle a Francesco Vet-

tori e a Francesco Guicciardini.


5 Con l’eccezione di sole cinque lettere: tre di notevole ampiezza e di rilevante impegno concettuale e politico

(quella del 9 marzo 1498 a un amico prete in Roma, generalmente identificato con Ricciardo Becchi; i Ghiribizzi a
Giovan Battista Soderini, del settembre 1506; la lettera “a una gentildonna” del settembre 1512); e due di corri-
spondenti illustri quali il cardinale Francesco Soderini (29 settembre 1502) e Marcello Virgilio Adriani (6 febbraio
1506).
6 Su Niccolò Machiavelli iunior, figlio di Bernardo di Niccolò e di Ippolita di Alessandro Rinuccini, vd. Tommasini,

La vita e gli scritti, I, p. 622, e G.B. Furiozzi, Notizie sulla famiglia di Machiavelli, in «Il Pensiero Politico», 2 (1969),
pp. 473-475.
7 R. Migliorini Fissi, Per la fortuna del ‘De vulgari eloquentia’. Un nuovo codice del ‘Discorso o dialogo intorno alla

nostra lingua’. Approcci per una edizione critica, in «Studi Danteschi», 49 (1972), pp. 135-214, a p. 168.
8 Cit. da P. Godman, From Poliziano to Machiavelli. Florentine Humanism in the high Renaissance, Princeton, Prince-

ton University Press, 1998, p. 328 (il documento si trova nella Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per
la Dottrina della Fede, Diarii, 1, c. 92r).
9 Catalogo cronologico de’ canonici della chiesa metropolitana fiorentina compilato l’anno 1751 da Salvino Salvini

canonico fiorentino, Firenze, Cambiagi, 1782, p. 103, n° 640.


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STORIA (E SFORTUNA) EDITORIALE DEL CARTEGGIO PRIVATO DI MACHIAVELLI

natura),10 per venire incontro a questo nuovo progetto: progetto che, al pari del precedente, si arenò
meno di un mese dopo, per il veto insuperabile del potente inquisitore cardinal Giulio Antonio Santori,
viceprefetto del Sant’Uffizio.11
Il Barberiniano si presenta in sostanza come un descriptus antologico, rivisto e riordinato dell’Apo-
grafo con intenti “editoriali”, e la sua utilità ecdotica è dunque limitata. Infatti, pur recuperando tra le
carte del nonno un breve testo assente in AR,12 il canonico Niccolò, almeno per le lettere, non ricontrollò
i testi sugli originali; inoltre, escluse un buon numero di epistole private (copiandone in tutto 65: quat-
tordici in meno rispetto all’Apografo) e introdusse di propria iniziativa numerose modifiche dalle quali
il Ricci si era invece astenuto, eseguendo talora – da uomo di Chiesa quale egli era, che per di più rispon-
deva direttamente alla Congregazione dell’Indice – tagli e interventi censòri, e provvedendo qua e là a
regolarizzazioni sintattiche e a ritocchi stilistici, nonché a restauri testuali su base congetturale. Note-
vole è tuttavia l’importanza storica di questo codice, giacché è proprio grazie ad esso che, quando venne
scoperto alla fine del XVIII secolo, poterono tornare alla luce ed essere finalmente date alle stampe ta-
lune lettere machiavelliane rimaste fino ad allora sconosciute (benché presenti nell’Apografo), a comin-
ciare da quella celeberrima a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513. L’Apografo, infatti, una volta tra-
montato il progetto editoriale in funzione del quale era stato messo in cantiere, non ebbe alcuna circo-
lazione e restò sepolto in casa Ricci: con la conseguenza che nessuna delle edizioni di opere machiavel-
liane accolse, fino al 1783, lettere familiari di Machiavelli, e anche che nessuno o quasi venne per lungo
tempo a conoscenza di questi documenti, i cui originali continuavano ad essere gelosamente custoditi
negli archivi privati.
Di AR si tornò a parlare solo all’inizio del XVIII secolo, quando l’abate Corso de’ Ricci lo portò a cono-
scenza dell’amico marchese Andrea Alamanni e di altri accademici della Crusca, permettendo loro di
trarne copia.13 L’incarico fu assunto da Marco Martini, che, come già aveva cercato di fare Niccolò iunior,
si applicò anche al riordinamento cronologico e tematico dei materiali raccolti da Giuliano; la sua copia
(oggi Palat. 815 della BNCF, datato 1726) venne poi ricorretta sull’originale dal fratello Rosso Antonio
Martini, che già il 15 ottobre 1725 aveva dato notizia del ritrovamento all’amico Giovanni Gaetano Bot-
tari da poco trasferitosi a Roma, e che tornò poi a insistere sull’argomento scrivendogli nuovamente il
20 novembre e ancora il 10 marzo 1726, nell’intento di indurlo a promuovere la pubblicazione di quei
preziosi documenti.14
Nel frattempo, dal codice di Marco Martini “corretto” dal fratello veniva copiato un altro manoscritto
(che potremmo definire quindi un descriptus di secondo grado), l’attuale B.R. 51 della BNCF; e a sua volta
il Bottari ne fece trarre una copia parziale (Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana,
44.F.13), contenente tuttavia solo tre lettere private, le prime tre – per la precisione – del corpus oggi
noto. Corso de’ Ricci sperava che il carteggio machiavelliano potesse esser dato alle stampe, e non es-
sendo pensabile in Italia un’operazione del genere, Rosso Antonio Martini progettò di inviarlo ai curatori
dell’edizione delle opere machiavelliane che si andava allestendo in quel momento a Ginevra presso il
Tournes; ma il disegno fallì, e di nuovo l’Apografo Ricci (e, con esso, le lettere familiari del Segretario)
tornò rapidamente nell’oblìo.15

10 «Decretum quod expurgatio Machiavelli committatur canonico Machiavello cum aliis a vic.° Archiepiscopo de-
putatis, ex quorum approbatione in scriptis et ordinarii et inquisitoris censura ad congregationem transmittatur»
(in Godman, From Poliziano to Machiavelli, cit., p. 328). Godman non identifica il canonicus, né conosce il ms. Bar-
ber. Lat. 5368, ma l’episodio che porta alla luce, come si vede, è di grande rilievo ai fini del nostro discorso.
11 Godman, From Poliziano to Machiavelli, p. 329.
12 Si tratta dei cosiddetti Provvedimenti per la riconquista di Pisa (pp. 161-63), di cui non si conoscono altri testi-

moni. Cfr. il testo in N. Machiavelli, Arte della guerra. Scritti politici minori, Roma 2001, pp. 511-515, con la relativa
Nota filologica del curatore J.-J. Marchand a p. 509.
13 Per quanto segue (ma il quadro viene qui abbondantemente ampliato, precisato e arricchito) cfr. G. Procacci,

Studi sulla fortuna del Machiavelli, Roma 1965, pp. 337-340, e Id., Machiavelli nella cultura europea dell’età mo-
derna, Roma-Bari 1995, pp. 315-319; S. Bertelli - P. Innocenti, Introduzione a Bibliografia machiavelliana, a cura di
S.B, e P.I., Verona 1979 pp. CIII-CXXIII.
14 Passi delle due lettere del Martini del 15 ottobre e 20 novembre 1725 sono riportati da Procacci, Studi sulla

fortuna, pp. CIII-CIV.


15 L’unico testo di AR che approdò alle stampe – e senza nome d’autore – fu il Discorso o dialogo intorno alla nostra

lingua, ossia l’opera meno “compromettente” del Segretario e anche quella certo più interessante per un linguista
163
FRANCESCO BAUSI

In realtà, alcuni eruditi fiorentini – a cominciare da Angelo Maria Bandini – avevano notizia della sua
esistenza, ma la famiglia, certo per timore di incorrere negli strali delle autorità ecclesiastiche, lo custo-
diva gelosamente; solo verso la fine del secolo, in previsione di un’edizione delle opere complete del
Segretario (uscita poi in sei volumi presso Cambiagi a Firenze nel 1782-1783), un altro illustre discen-
dente di Giuliano, il vescovo Scipione de’ Ricci (1741-1810), mise nuovamente l’Apografo a disposizione
degli studiosi, consentendo che ne venissero tratte alcune decine di lettere. A partire dalla metà del XVIII
secolo, infatti, grazie a condizioni politico-culturali favorevoli, gli studi su Machiavelli conobbero a Fi-
renze un notevole impulso, beneficiando della grande fioritura della ricerca erudita e storico-filologica
che caratterizzò l’epoca del granducato lorenese, e talora saldandosi, almeno inizialmente, a certi ancora
tenaci residui dell’antica tradizione toscana di patriottismo repubblicano.16 Maturarono quindi le con-
dizioni per l’allestimento di un’edizione delle opere complete, grazie anche al favore con cui il granduca
Pietro Leopoldo guardava, per ragioni di politica culturale ed ecclesiastica, a una rivalutazione della fi-
gura di Machiavelli, purché presentato come un repubblicano “moderato”, un nemico della tirannide e
un fiero critico dei papi e della Chiesa di Roma.
Su questo terreno venne a crearsi tra il Granduca, il laicato illuminista gravitante attorno a lui e l’ag-
guerrito gruppo dei giansenisti toscani (capeggiato dal vescovo Scipione de’ Ricci, intorno al quale si
muovevano eruditi quali Ferdinando Fossi, Reginaldo Tanzini e Bartolomeo Follini) un’intesa che fu la
premessa del grande progetto editoriale avviato intorno al 1779 e giunto a compimento con la monu-
mentale edizione Cambiagi, uscita in sei volumi nel 1782-1783.17 La “supervisione” dell’impresa da
parte di Pietro Leopoldo è dimostrata anche da una sua “memoria” che il segretario del Consiglio di Stato
Francesco Seratti trasmise al soprintendente alle stampe e archivista presso la Segreteria di Stato,
l’abate Riguccio Galluzzi (e che questi girò poi al Follini e al Tanzini il 28 giugno 1779), suggerendo di
premettere all’edizione «un discorso ragionato con cui si tolga l’odiosità all’autore ed alle sue massime,
autorizzando l’opinione di quelli che non prendono per precetto le di lui proposizioni più empie ma per
tante satire fatte al Duca Valentino ed altri che del suo tempo aspiravano a formarsi dei dominî», così
incoraggiando i curatori a spingere sul pedale dell’interpretazione “obliqua” del Principe come opera
composta per svelare ai popoli i meccanismi nefandi del potere tirannico.18
Curatore principale della Cambiagi fu il Tanzini (1746-1825), affiancato dal Follini e dal Fossi. Per
quanto riguarda le lettere private, tuttavia, nell’edizione trovo postò soltanto un numero assai limitato
di testi (42, contro le 79 epistole presenti in AR):19 se i carteggi con Giovanni Vernacci (sei lettere) e con
Francesco Guicciardini (23 lettere) trasmessi da AR vi furono accolti per intero, venne invece pesante-
mente decurtata la corrispondenza con Francesco Vettori, che creava i maggiori imbarazzi sul piano
morale e ideologico-politico, tanto che nella Cambiagi figurano solo cinque epistole di Niccolò al Vettori
e tre di Vettori a Niccolò, e mancano sia le lettere di argomento comico-erotico, sia le epistole – compresa
quella del 10 dicembre 1513 – che mostrano gli sforzi compiuti da Machiavelli dopo il 1512 per guada-
gnarsi il favore dei Medici e per entrare al loro servizio. L’edizione ha un grande valore storico (per la
prima volta si pubblicava, infatti, una parte del carteggio familiare del Segretario), ed è comunque me-
ritoria, perché i curatori non si servirono solo dell’Apografo Ricci, ma reperirono talvolta anche gli ori-
ginali delle lettere, e perché si resero conto dell’importanza delle responsive, pubblicandone un certo
numero sia di Vettori (tre), sia, soprattutto, di Guicciardini (sette): restavano però inedite altre 37 let-
tere familiari contenute in AR, tra le quali, ripetiamo, gran parte di quelle che costituiscono il carteggio
tra Machiavelli e Vettori, di cui il Tanzini e i suoi colleghi pubblicarono soltanto otto dei 32 pezzi copiati

e un cruscante quale era il Bottari, che lo pubblicò nel 1730 in appendice alla sua edizione dell’Ercolano (L’Erco-
lano, dialogo di M. Benedetto Varchi, nel quale si ragiona delle lingue, ed in particolare della toscana e della fiorentina,
Firenze 1730, pp. 449-467).
16 Anche a questo proposito sono imprescindibili, in linea generale, i contributi di Procacci e di Bertelli cit. alla n.

13, cui devono aggiungersi M. Rosa, Dispotismo e libertà nel Settecento: interpretazioni “repubblicane” di Machia-
velli, Pisa 2005 (19641), e P. Innocenti-M. Rossi, Introduzione a Bibliografia delle edizioni di Niccolò Machiavelli:
1506-1914, vol. III (anni 1701-1827), Manziana 2018, pp. V-LXII, alle pp. XXXV-XLVIII.
17 Opere di Niccolò Machiavelli, Firenze 1782-1783. Per questa e per le altre edizioni menzionate in queste pagine

è implicito sempre il rinvio al cit. vol. III di Innocenti-Rossi, Bibliografia delle edizioni di Niccolò Machiavelli.
18 Il documento fu scoperto e pubblicato da A. De Rubertis, Un’edizione fiorentina delle ‘Opere’ di Niccolò Machia-

velli, in ID., Nuovi studi sulla censura in Toscana, con documenti inediti, Firenze 1951, pp. 15-18, a p. 15.
19 Sono nel vol. VI (1783), pp. 1-96.

164
STORIA (E SFORTUNA) EDITORIALE DEL CARTEGGIO PRIVATO DI MACHIAVELLI

da Giuliano de’ Ricci.


La responsabilità, però, non era dei curatori: fu Scipione de’ Ricci a consentir loro solo un accesso
limitato all’Apografo, sia per motivi di ordine ideologico, sia per quegli scrupoli morali che lo spinsero
anche a intervenire qua e là di suo pugno nel manoscritto, cassando alcune lettere con tratti di penna,
ed eradendo certi termini o certi passi giudicati sconvenienti. Del carteggio privato, quindi, Tanzini,
Fossi e Follini dovettero consultare esclusivamente una copia parziale, fatta eseguire appositamente per
loro dal vescovo: lo dimostra il fatto che il Tanzini, quando, alcuni anni dopo, scoprì una sconosciuta
copia dell’Apografo (VB, che non aggiunge nuove epistole rispetto ad AR), sottolineò con entusiasmo –
scrivendo proprio a Scipione de’ Ricci – l’importanza straordinaria del ritrovamento, affermando che il
manoscritto consentiva di arricchire in modo significativo il dossier della corrispondenza privata di Ma-
chiavelli. Ciò avvenne nel 1795, quando il Tanzini si trovava a Roma, dal 1789, come segretario della
legazione granducale;20 e del Barberiniano egli trasse una copia che portò con sé a Firenze, conservan-
dola in casa sua ma non utilizzandola per ampliare il corpus delle epistole machiavelliane a stampa.
Fra 1796 e 1799 lo stesso Tanzini pubblicò una nuova edizione in otto tomi (privi di note tipografiche,
ma forse impressi a Genova) delle opere del Segretario, che, pur contenendo alcuni inediti, è di fatto una
riproposizione della Cambiagi.21 Nella prefazione si dà notizia per la prima volta del codice Barberiniano
e delle numerose lettere fino a quel momento sconosciute che esso trasmette: sconosciute, ripeto, per-
ché non comprese nella copia di AR che Scipione de’ Ricci consegnò ai curatori della Cambiagi e dunque
rimaste fuori da quella edizione. Nell’Avvertimento iniziale (non firmato), il Tanzini ribadiva la sua erro-
nea convinzione – già manifestata scrivendo da Roma a Scipione de’ Ricci nel giugno 1795, quando an-
cora era impegnato nello studio del codice – relativa all’indipendenza del Barberiniano dall’Apografo;
aggiungeva un’osservazione sul copista di VB (cui non sapeva dare un nome, ma che correttamente iden-
tificava con uno di quelli che avevano collaborato con Giuliano all’allestimento di AR); dichiarava di aver
collazionato i due manoscritti, allo scopo di introdurre emendazioni e colmare lacune nei testi comuni
ad entrambi. Così ampliato e rivisto, dunque, il carteggio privato di Machiavelli avrebbe dovuto trovare
posto nella nuova edizione; ma così non fu, per le ragioni che il curatore stesso espone nell’avviso Al
lettore collocato in apertura dell’ottavo e ultimo volume (datato 1799):

Con questo ottavo tomo resta compita la collezione delle Opere del Machiavelli. Le lettere, tanto del carteggio
familiare che delle sue legazioni, formeranno una raccolta a parte, e potrà ciascuno provvedersi o delle sole opere
senza le lettere, o dell’une e dell’altre insieme. […] Noi vogliamo aver riguardo anche a quei pochi che si credereb-
bero aggravati con tre o quattro tomi di lettere, e gli lasciamo però in libertà di ricusarli. Quelli poi che, estimatori
intelligenti del Machiavelli, comprendono il merito di questi carteggi, dove la di lui esquisita scienza politica si vede
ridotta alla pratica nel maneggio de’ più importanti affari della repubblica, e dove contengonsi dei lumi interes-
santissimi sulle sue opere, sul suo carattere e sulle condizioni della sua vita privata, saranno contenti che si con-
servi nella collezione delle lettere lo stesso sesto e carattere, per poterne fare tutto un corpo colla prima.22

È lecito dubitare che davvero siano state queste le motivazioni che indussero il curatore e l’editore a
escludere le lettere da quella stampa, destinandole a una futura, imminente edizione separata, o meglio
a una sorte di “appendice” da stamparsi, in tre o quattro tomi, nello stesso formato e carattere degli otto
tomi delle opere. Quella “appendice”, infatti, non vide mai la luce, e la causa principale del rinvio dovrà
ricercarsi nel disagio ideologico, morale e religioso che molte di quelle “nuove” lettere creavano: negli
stessi scrupoli, insomma, che avevano spinto Scipione de’ Ricci a consegnare ai curatori della Cambiagi
solo una parte del carteggio tràdito dall’Apografo e a censurare alcuni passi delle lettere scambiate tra
Machiavelli a Guicciardini. Scrupoli che in quell’ultimo scorcio del XVIII secolo, a Firenze, dovevano farsi
ancora più pressanti. Già negli anni precedenti, infatti, conclusasi nel 1790 l’illuminata stagione di Pietro
Leopoldo, Scipione de’ Ricci e il suo entourage giansenista erano venuti a trovarsi in grave difficoltà,
anche perché il nuovo granduca Ferdinando III si mostrava assai più prudente del padre, soprattutto in
materia di riforme ecclesiastiche: nel 1791 Scipione aveva dovuto dimettersi da vescovo, e ben 85 delle
tesi approvate dal Sinodo di Pistoia da lui convocato nel 1786 per promuovere la riforma della Chiesa
erano state condannate da papa Pio VI nel 1794.

20 Firenze, Archivio di Stato, Scipione de’ Ricci, 98, lettere 121 e 126 (lettere al Ricci del 17 e 26 giugno 1795).
21 Gli inediti sono l’Istruzione a Raffaello Girolami, le Sentenze diverse e il canto De’ ciurmadori.
22 Opere, ed. 1796-1799, vol. VIII, pp. V-XIX, alle pp. V-VI.

165
FRANCESCO BAUSI

Dopo la breve occupazione francese della primavera 1799, la Toscana è vittima, a partire dall’estate
successiva, della reazione austro-russa. Tanzini e Ricci, accusati di simpatie filo-francesi, sono dura-
mente perseguiti: il primo è arrestato e allontanato per un anno da Firenze, il secondo viene imprigio-
nato e poi costretto a ritirarsi nella sua villa di Rignana, nei pressi di Greve in Chianti. Non erano, come
si intuisce, tempi propizi per occuparsi di Machiavelli (tanto meno di un Machiavelli “repubblicano”
come quello caro all’erudizione toscana settecentesca), anche perché fra le accuse mosse al Tanzini c’era
quella di aver aderito nel marzo 1799 alla «Società patriottica», che, fondata poco l’arrivo delle truppe
francesi in città, si riuniva in una locale in cui troneggiava un busto del Segretario – dono, pare, di Sci-
pione de’ Ricci –, e in lui esplicitamente riconosceva il suo principale ispiratore.23 Se già le edizioni delle
opere machiavelliane stampate tra 1796 e 179924 avevano preferito tacere i nomi dei curatori e indicare
un falso luogo di stampa (oppure ometterlo del tutto), così mostrando quanta acqua fosse passata sotto
i ponti della storia rispetto all’edizione Cambiagi, dopo il 1799 pubblicare Machiavelli in Toscana era
diventato impossibile. Basti dire che nella ritrattazione o “abiura” che il Tanzini, per essere riabilitato,
dovette scrivere e consegnare al papa il 7 ottobre 1800, largo spazio è riservato proprio alle sue solenni
dichiarazioni di pentimento per essersi fatto, in passato, editore, studioso e apologeta del Segretario.25
Ben si comprende, dunque, perché il Tanzini non abbia dato alle stampe quei volumi di lettere da lui
annunciati nel 1799, che continuarono a non vedere la luce neppure dopo che, nel 1801, la Toscana
passò sotto il dominio della Francia, prima come Regno di Etruria affidato ai Borbone sotto la tutela
francese, poi, dal 1808 al 1814, come dipartimento dell’Impero. L’abate, che aveva ripreso il suo posto
nella società e nella cultura fiorentina, ma che – segnato dalle dure esperienze degli anni precedenti, e
certo intimorito dalla perdurante ostilità nei confronti del suo “mentore” Scipione de’ Ricci 26 –non vo-
leva evidententemente insospettire i nuovi governanti, preferì infatti muoversi con cautela, mettendo
da parte, almeno per alcuni anni, gli studi su Machiavelli. Lo conferma una lettera che egli indirizzò il 16
marzo 1805 a Giuseppe Pelli Bencivenni, inviandogli una copia dell’epistola a Francesco Vettori del 10
dicembre 1513, e che per la sua importanza vale la pena di riportare pressoché integralmente:

Al suo genio per la letteratura toscana, al vasto corredo delle sue cognizioni, alla stima che Ella fa del primo tra
gli scrittori filosofi italiani, io consacro e comunico l’annessa lettera di Niccolò Machiavelli, forse la più interessante
fra tutte quelle che compongono presso di me la raccolta di lettere inedite di questo autore. Oltre il contenere dei
lumi assai pregevoli sopra il più singolare incidente della di lui vita privata, somministra questa lettera un decisivo
schiarimento del tempo, dell’occasione e delle vedute onde ebbe nascimento la più clamorosa delle di lui opere, il
Libro del Principe. Ella sa quanto sono state varie le opinioni rapporto all’intenzione dell’autore nello scrivere quel
trattato. Altri vi hanno aborrito il serio precettore della tirannide, e delle massime le più esecrande e disumane;
altri vi hanno immaginato il sopraffino politico, che tende un laccio appunto per distruggerla. Io stesso nella pre-
fazione all’edizione in 4° del 1782 ho inclinato per quest’ultimo avviso. La lettera, che le trasmetto, modifica al-
quanto il mio sentimento; e senza collocarmi dalla parte di coloro che sull’opera del Principe fulminano contro
l’autore decisiva sentenza di scellerato, mi fa credere che egli la scrivesse con tutta la buona fede, non perché fos-
sero in cuor suo canonizzate le perniciose massime che vi s’incontrano, e che egli stesso presenta per malvagie,
ma per esaurire a sazietà il suo subietto e fino a dove internavasi a penetrarlo il di lui squisitissimo acume. Suo
pensiero vedesi che era di dedicarla a Giuliano, fratello di Leone X. Questi morì nel 1515, e per tal ragione forse
trovasi nelli stampati indirizzata poi a Lorenzo, nipote di Leone, e che fu Duca di Urbino. Anche questo viene ad
essere un aneddoto di letteratura. Il Machiavelli, disgraziato in quel tempo, studiava tutti i modi per farsi grazia
presso i Medici, e per cattivarsi la loro confidenza, come si vede dal suo familiar carteggio con Francesco Vettori,

23 Vd. la notizia della costituzione della Società pubblicata sul «Monitore Fiorentino» il 19 aprile 1799 (ora edita
da G. Dal Poggetto, Un giansenista fiorentino tra riforme e rivoluzione. Reginaldo Tanzini (1746-1825), Messina
1999, pp. 125-27), dove il Tanzini, eletto «primo moderatore», è elogiato come «l’apologista e l’editore delle sue
[scil. di Machiavelli] opere immortali». In seguito, Scipione de’ Ricci negò di aver fatto dono di quel busto alla So-
cietà (Scipione de’ Ricci, Memorie, scritte da lui medesimo e pubblicate con documenti da A. Gelli, 2 voll., Firenze
1865, vol. II, pp. 134-136).
24 Alludo all’ed. di Gaetano Poggiali (uscita a Livorno nel 1796-1797, ma senza data e con le false indicazioni «Fila-

delfia, nella Stamperia delle provincie unite») e a quella curata da Tanzini nel 1796-1799.
25 Cfr. Dal Poggetto, Un giansenista, pp. 156-158.
26 Dopo anni di insistenze da parte ecclesiastica, l’ex vescovo, il 9 maggio 1805, aveva pronunciato e sottoscritto a

Firenze una sua ritrattazione in presenza del pontefice Pio VII, ma il suo gesto e le sue parole non avevano soddi-
sfatto larghi settori della curia romana e del clero, e sulla figura di Scipione de’ Ricci (che sarebbe morto a Rignana
il 27 gennaio 1810 nel più totale isolamento) continuarono a gravare ombre e sospetti.
166
STORIA (E SFORTUNA) EDITORIALE DEL CARTEGGIO PRIVATO DI MACHIAVELLI
una buona parte del quale esiste inedito presso di me, ritrovato dopo l’edizione del 1782, e per via di nuove inda-
gini, in Roma e in Firenze. Di fatto, giunse finalmente ad essere in qualche modo adoprato da Clemente VII. Se Ella
crede questa lettera meritevole dell’attenzione della Società degli amanti della Storia Patria, può farla leggere a
suo piacimento nella medesima, e sarà questo un meschino omaggio, dovuto alla degnazione di ammettermi nella
medesima, come lo è la sincera protesta della rispettosa stima ed amicizia […].27

La lettera conferma che il Tanzini, in occasione dell’edizione Cambiagi, non aveva visto che poche
lettere dell’Apografo, e che alle altre era giunto, in seguito, solo tramite il Barberiniano;28 informa che
grazie a queste nuove lettere egli aveva potuto ricomporre il carteggio machiavelliano col Vettori, e che
esso (insieme evidentemente ai materiali predisposti per l’appendice, mai pubblicata, dell’edizione
1796-1799) giaceva in casa sua; denota la probità intellettuale dell’abate, che non volendo o non po-
tendo dare alle stampe l’intero carteggio, ma parimenti non tollerando che esso continuasse a restare
del tutto nell’ombra, ne comunicava al Pelli Bencivenni l’epistola di maggiore rilievo, sperando che l’il-
lustre amico (immune dai sospetti che gravavano su di lui a causa dei suoi turbolenti trascorsi) la ren-
desse finalmente pubblica, magari durante una seduta di quella «Società degli amatori della storia patria
fiorentina» di cui entrambi erano soci.
Ma altro dice, e chiaramente, la lettera: che l’epistola machiavelliana del 10 dicembre metteva in crisi,
fino a renderla del tutto insostenibile, la tradizionale interpretazione “obliqua” del Principe, largamente
diffusa nell’Europa illuministica e divenuta – anche per espressa volontà del Granduca, come abbiamo
visto – l’interpretazione “ufficiale” della Toscana leopoldina.29 Anche il Tanzini (lo ricorda qui egli
stesso) se ne era fatto banditore nella prefazione della Cambiagi, accettandone la sua formulazione più
radicale, quella secondo cui Machiavelli avrebbe composto il Principe per tendere un tranello ai Medici,
spingendoli ad attuare una politica dissennata, che avrebbe determinato il crollo del loro regime e la
restaurazione della repubblica popolare.30 Anche serie motivazioni di ordine ideologico frenavano dun-
que la pubblicazione della lettera del 10 dicembre 1513 (e di altre analoghe epistole al Vettori, come la
seconda delle due datate 20 dicembre 1514 o quella del 31 gennaio 1515), perché divulgarla avrebbe
significato sconfessare una linea interpretativa del pensiero e della figura di Machiavelli ancora larga-
mente condivisa (a Firenze e non solo), e avrebbe fatto cadere una, se non la più forte giustificazione
tradizionalmente addotta da coloro che, Tanzini in primis, avevano voluto occuparsi del Segretario e
pubblicare le sue opere: il fine, cioè, di mostrare l’infondatezza della cattiva fama che da oltre due secoli
circondava l’uno e le altre.
Neppure il Pelli, tuttavia, volle render nota quella lettera machiavelliana, limitandosi a registrare
nelle sue Efemeridi la ricezione del prezioso documento e a conservarlo all’interno del proprio monu-
mentale diario. In data 18 febbraio 1805 egli vi tratta (c. 92r-v e 93r) delle lettere di Giovan Battista

27 Lettere a Giuseppe Pelli Bencivenni, inventario e documenti a cura di M.A. Morelli Timpanaro, Roma 1976, pp.
683-85. Sul Pelli Bencivenni (1729-1808), erudito, intellettuale e uomo di spicco dell’amministrazione granducale,
cfr. il profilo di R. Zapperi nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. VIII, Roma 1966, pp. 219-22; Rosa, Dispotismo
e libertà, pp. 27-30; Procacci, Machiavelli nella cultura europea, pp. 330-33 e 364-65.
28 Non è dunque sostenibile (come già osservava la Morelli Timpanaro nelle note alla sua ed. delle Lettere a Giu-

seppe Pelli Bencivenni, p. 684) l’ipotesi del Procacci, Studi sulla fortuna, pp. 378-80, e Id., Machiavelli nella cultura
europea, pp. 353-54, 357-58 e 364, secondo cui sarebbero stati il Tanzini e i suoi collaboratori ad escludere di loro
iniziativa dall’ed. Cambiagi alcune lettere del carteggio privato machiavelliano, tra cui quella a Vettori del 10 di-
cembre 1513.
29 Si tratta di un’interpretazione inaugurata alla fine del ’500 da Alberico Gentili e poi destinata a grande fortuna

tra Sei e Settecento (la sua sintesi più celebre ed efficace si trova nei celeberrimi versi foscoliani che descrivono
Machiavelli alla stregua di «quel grande / che temprando lo scettro a’ regnatori / gli allor ne sfronda, ed alle genti
svela / di che lagrime grondi e di che sangue»: Dei sepolcri, vv. 155-158), quando essa divenne, in sostanza, il prezzo
che Machiavelli dovette pagare per poter essere letto, studiato e pubblicato nell’Europa moderna.
30 Vd. la prefazione, non firmata, dell’ed. Cambiagi, vol. I (1782), pp. XV-LXXXIX, alle pp. XLIII-XLIV: «Oltre queste

generali vedute che con tutto il fondamento si suppongono nel Machiavelli [scil. la volontà di mostrare i meccani-
smi dei regimi tirannici], vuolsi che egli avesse anche particolarmente in mira di tendere un laccio ai Medici, che ei
vedeva divenuti talmente prepotenti […], che non sembrava potersi ormai più tenere indietro per le vie ordinarie
e con la forza aperta. L’unico mezzo che restava per abbassarla era il renderla odiosa all’universale, o impegnarla
in un tentativo chimerico nel quale dovesse rovinare» (con riferimento all’exhortatio del cap. XXVI del Principe, ma
anche al progetto di riforma affidato al Discursus Florentinarum rerum).
167
FRANCESCO BAUSI

Busini a Benedetto Varchi sull’assedio di Firenze (lette in quel torno di tempo in una riunione della «So-
cietà degli amatori della storia patria fiorentina»); in seguito, sulle colonne di sinistra delle cc. 92v e 93r
(lasciate bianche, come d’abitudine, per potervi apporre ulteriori annotazioni in un secondo momento)
inserì prima un rinvio alla Collectio del Bandini – dove, giudicandola «suspectae fidei», l’erudito aveva
in parte pubblicato la celebre lettera del Busini relativa a Machiavelli e alla sua empia morte31 – e poi
aggiunse: «Ecco qui appresso una lettera aneddota curiosa di lui datami dall’abate Tanzini ed estratta
dalla Barberina [sic] di Roma del 1513 che spiega l’intenzione ch’ebbe nel comporre il Principe».32
La nota fu evidentemente vergata dopo il 16 marzo 1805, quando il Pelli Bencivenni, come sappiamo,
ricevette dal Tanzini la copia della lettera a Vettori del 10 dicembre 1513 ricavata dal codice Barberi-
niano; copia che il Pelli Bencivenni inserì proprio in quel punto delle Efemeridi, tra la c. 92 e la c. 93, dove
troviamo un fascicoletto autonomo (di altra carta e di altro formato rispetto al diario, e di mano del
Tanzini) con essa identificabile senza alcun margine di dubbio.33 Ho voluto soffermarmi con dovizia di
particolari sulla questione perché tale copia è alla base della princeps dell’epistola a Vettori del 10 di-
cembre 1513 e, di conseguenza, del testo in cui questa celebre epistola è stata letta per quasi un secolo,
fino all’edizione delle familiari machiavelliane curata da Edoardo Alvisi nel 1883, dove per la prima volta
se ne diede il testo secondo l’Apografo Ricci.
Non fu però neppure il Pelli Bencivenni a divulgare e a pubblicare la lettera machiavelliana. Egli, in-
fatti, non raccolse l’appello del Tanzini, e preferì a sua volta lasciarla inedita, per la prudenza che sempre
aveva guidato la sua condotta politica e intellettuale, ma certamente anche per ragioni di carattere cul-
turale, ossia perché anch’egli legato alla tradizionale interpretazione “obliqua” delle opere di Machia-
velli. Nell’annotazione del 18 febbraio 1805, non per nulla, aveva criticato il Busini per non aver com-
preso come il Principe debba considerarsi «una satira della tirannia» e non «un libro precettivo» (c. 92v);
e a quelle carte del diario aveva accluso un foglietto volante di suo pugno contenente una lunga lista di
pensatori e di studiosi – tra cui Francesco Bacone, Alberico Gentili, Jacopo Gaddi, Gabriel Naudé ed Her-
mann Conring – convinti «che il Machiavello scrivesse il suo Principe per satireggiare i principi del suo
tempo, ed in ispecie Cesare Borgia, non per insegnare la tirannia».34
Neppure il Pelli Bencivenni, tuttavia, ebbe il coraggio di tenere sepolta l’epistola machiavelliana tra
le sue carte, e – come, senza successo, aveva fatto il Tanzini con lui – cercò qualcuno cui comunicarla,
nella speranza che finalmente approdasse alla pubblicazione. La consegnò così nel 1807 ad Angelo Ri-
dolfi, che nel 1810 – morto da due anni il Pelli Bencivenni – per la prima volta la dette alle stampe a
Bologna, dove egli allora insegnava, in appendice al suo volumetto Pensieri intorno allo scopo di Nicolò

31 A.M. Bandini, Veterum collectio aliquot monimentorum ad historiam praecipue litterariam pertinentium, Arezzo
1752, pp. XXXIII-XXXIV. Cfr. G.B. Busini, Lettere a Benedetto Varchi sopra l’assedio di Firenze, per cura di G. Milanesi,
Firenze 1860, pp. 82-91 (lett. IX, del 23 gennaio 1549). Nel 1805 le lettere del Busini erano ancora inedite; furono
stampate solo nel 1822 da Giovanni Rosini (Lettere di Gio. Batista Busini a Benedetto Varchi sugli avvenimenti
dell’assedio di Firenze estratte da un codice della Biblioteca Palatina, Pisa 1822).
32 G. Pelli Bencivenni, Efemeridi, BNCF, ms. N.A. 1050, serie II, vol. 33, parte I, febbraio 1805, cc. 92v-93r (numera-

zione moderna: 95v-101r). Ricordo di passata che la prima serie delle Efemeridi (voll. 1-30, anni 1759-1773), in-
tegralmente digitalizzata a cura della BNCF e della Deputazione di storia patria per la Toscana, è consultabile online
(http://pelli.bncf.firenze.sbn.it/it/progetto.html).
33 L’inserto (dove il testo della lettera è scritto sulla sola colonna di destra di ogni facciata, e reca all’inizio, sempre

di mano del Tanzini, il titolo Lettera di Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori, Ambasciatore a Roma) è siglato dal
Pelli «a 92 t», ed è privo di numerazione originale delle carte, che sono state numerate modernamene a matita da
97 a 99 (la c. 100 è bianca). Che la mano sia quella del Tanzini dimostra il confronto, ad es., con gli originali delle
sue lettere a Scipione de’ Ricci precedentemente citate (vd. nota 20). Il fascicoletto fu inserito dal Pelli Bencivenni
tra le cc. 92 e 93 perché in esse si trattava di Machiavelli e si discuteva anche del Principe; ciò è ulteriore conferma
del fatto che l’operazione fu eseguita posteriormente al 18 febbraio 1805. D’altronde, quella copia gli giunse solo
con la lettera del Tanzini del 16 marzo; e la penna e la grafia dell’annotazione in cui si dà conto dell’arrivo della
copia sono diverse da quelle con cui erano state vergate, il 18 febbraio, le note sulle lettere del Busini.
34 Il foglietto è numerato modernamente «96», e, come la copia della lettera del 10 dicembre 1513 eseguita dal

Tanzini e inserita nelle Efemeridi, reca, di mano del Pelli, la sigla «a 92 t». Palese la sua affinità con la “memoria” di
Pietro Leopoldo fatta pervenire al Tanzini nel 1779 perché vi si ispirasse nello stendere la prefazione all’ed. Cam-
biagi (vd. qui sopra, p. 164 e n. 17); si potrebbe anche supporre che in quell’occasione il Pelli Bencivenni fosse stato
consultato dal Tanzini, e che per lui egli avesse compilato questa lista (alcuni dei nomi in essa citati tornano infatti
nella prefazione dell’ed. Cambiagi, in un elenco di estimatori di Machiavelli: vol. I, p. LXXIX).
168
STORIA (E SFORTUNA) EDITORIALE DEL CARTEGGIO PRIVATO DI MACHIAVELLI

Machiavelli nel libro ‘Il principe’.35 È Ridolfi stesso a testimoniarlo nella nota che precede il testo dell’epi-
stola:

La seguente lettera mi fu gentilmente comunicata in Firenze nell’anno 1807 dal fu chiarissimo Signor Direttore
Pelli Bencivenni, e ne ho rinvenute copie pienamente corrispondenti presso illustri e ragguardevoli personaggi in
Firenze stessa ed in Milano.36

Il Ridolfi, convinto napoleonico e uomo estraneo alla linea illuministico-riformatrice della cultura
fiorentina del secondo Settecento, si servì di quella lettera – insieme ad altre pezze d’appoggio desunte
dalle opere machiavelliane – per sostenere che l’originario repubblicanesimo del Segretario aveva poi
lasciato il posto, in un acuto analista delle cose politiche quale egli era stato, alla convinzione secondo
cui Firenze e l’Italia necessitavano ormai di un regime monarchico; cosicché, a suo avviso, il Principe
rispecchia le effettive posizioni machiavelliane successive al 1512, e una lettura del trattato in chiave
“satirica” e “obliqua” è del tutto insostenibile, anche sulla scorta di testi quali la Vita di Castruccio Ca-
stracani, l’Arte della guerra e, soprattutto, l’epistola al Vettori del 10 dicembre 1513.37
Come abbiamo appena letto, il Ridolfi afferma di aver visto altre copie dell’epistola machiavelliana,
sia a Firenze che a Milano; copie, verosimilmente, che lo stesso Pelli Bencivenni aveva diffuso poco prima
della sua morte (avvenuta il 31 luglio 1808) nella speranza che qualcuno si decidesse a pubblicare l’im-
portante documento.38 In effetti la lettera, appena venne alla luce, suscitò comprensibilmente grande
interesse, e fu subito ristampata – ricavandola dal volume ridolfiano – nell’edizione delle Opere machia-
velliane apparsa a Milano per i tipi di Mussi nel 1811,39 e l’anno seguente, corredata di una premessa e
di alcune note, nel fiorentino «Giornale Enciclopedico» di Giuseppe Molini;40 ma soprattutto approdò,
nel 1813, all’interno dell’ampia silloge di lettere familiari machiavelliane accolta nella grande edizione
“Italia”, trovando finalmente il suo posto all’interno del carteggio privato del Segretario.
L’edizione, prudenzialmente priva, ancora una volta, del nome dell’editore e del luogo di stampa
(salvo quello di «Italia»), fu impressa a Firenze da Guglielmo Piatti, e suoi curatori – nessuno dei quali si

35 A. Ridolfi, Pensieri intorno alla scopo di Nicolò Machiavelli nel libro ‘Il Principe’, Milano 1810, pp. 61-66 (l’operetta

del Ridolfi è stata ristampata e annotata, a cura di P. Carta, in A. Ridolfi – U. Foscolo, Scritti sul ‘Principe’ di Niccolò
Machiavelli, a cura di P. Carta et alii, Rovereto 2004, pp. 99-128, ma tralasciando il testo della lettera di Machia-
velli). Su questo opuscolo vd. Procacci, Machiavelli nella cultura europea, pp. 374-76; Rosa, Dispotismo e libertà, pp.
75-76 (secondo il quale il volumetto «riflette, senza più esitazioni, il clima del Regno Italico», p. 75); Carta, Il Ma-
chiavelli di Angelo Ridolfi, nella cit. ristampa di Ridolfi, Pensieri, pp. 9-30. Com’è noto, per confutare le tesi esposte
in questo libretto Ugo Foscolo compose le sue Considerazioni sui ‘Pensieri’ di Angelo Ridolfi (edite da ultimo in
Ridolfi – Foscolo, Scritti sul ‘Principe’, pp. 131-172, a cura di Christian Del Vento), nelle quali, tra l’altro, si nega (p.
149) che la lettera del 10 dicembre 1513 documenti come Machiavelli scrivesse il Principe «indotto dal proprio
interesse e dalla lusinga di riportarne buona mercede dalla casa de’ Medici» (ivi, p. 149; il passo in corsivo è cita-
zione da Ridolfi, Pensieri, p. 56 = p. 122 della ristampa).
36 Ridolfi, Pensieri, p. 60 (il passo manca nella ristampa). Dal titolo qui apposto alla lettera («Lettera inedita scritta

da Niccolò Macchiavelli [sic] al suo amico Francesco Vettori ritrovata in Roma nella Biblioteca di Casa Barberini»:
ivi, p. 61) si desume che il Pelli Bencivenni avesse informato il Ridolfi del codice dal quale era stata tratta la sua
copia.
37 Ridolfi, Pensieri, p. 26 (= pp. 109-110 della ristampa); e analogamente a p. 30 (= p. 112). Il Ridolfi (Verona 1752-

Padova 1825), monaco olivetano, letterato, filosofo e teologo, divenne nel 1802 docente di Geografia e Storia uni-
versale all’Università di Pavia; nel 1804 fu nominato professore di Diritto pubblico e delle genti a Bologna (cattedra
trasformata nel 1808 in quella di Diritto pubblico interno del regno), dove fu anche rettore dell’Accademia felsinea
e dove nel 1808 pubblicò il manuale Del diritto sociale. Dopo la caduta di Napoleone, nel 1815 venne chiamato a
Padova sulle cattedre di Lingua e letteratura tedesca e di Pedagogia, e lì rimase fino alla morte.
38 Lo conferma la nota (solo in parte decifrabile, a causa della grafia incerta con cui fu vergata dall’ormai vecchio

erudito) che il Pelli Bencivenni – nel cit. volume delle sue Efemeridi – appose sulla prima facciata della copia della
lettera del 10 dicembre 1513 inviatagli dal Tanzini (c. 93r, secondo la numerazione moderna): «Data […] al Pro-
fessor […] di Pisa 18 novembre a. 1807». È probabile, come detto, che proprio nel 1807, sentendosi prossimo alla
morte, il Pelli Bencivenni si risolvesse a inviare o consegnare alcune copie dell’epistola, per evitare che questa,
rimanendo nascosta fra le sue carte, cadesse di nuovo nell’oblio.
39 Opere di Niccolò Machiavelli cittadino e segretario fiorentino, 11 voll., Milano 1810-1811, vol. XI (1811) pp. 231-

237.
40 «Giornale Enciclopedico», IV 1812, 37, pp. 9-15.

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FRANCESCO BAUSI

firma – furono il Tanzini e Francesco Tassi, vice-bibliotecario della Marucelliana. In sostanza, si tratta di
una ripresa della Cambiagi e dell’edizione del 1796-1799, accresciuta però di un manipolo di inediti nei
settori degli scritti di governo, delle legazioni e delle lettere ufficiali, e, soprattutto, di un buon numero
di nuove lettere private. Queste ultime sono incluse nella parte iniziale dell’ottavo e ultimo volume, in
un’ampia sezione che sotto l’etichetta di Lettere familiari accoglie 84 pezzi, esattamente il doppio di
quelli presenti nella Cambiagi;41 benché nel corpus vengano accolte anche alcune missive di cancelleria,
il progresso è notevolissimo, ed è dovuto in buona parte al recupero di quelle epistole che, trasmesse
dal Barberiniano, il Tanzini non aveva potuto vedere a quel tempo nell’Apografo Ricci, di cui – si ripete
– Scipione de’ Ricci gli aveva messo a disposizione solo una copia parziale. Ne beneficiò soprattutto il
carteggio con Francesco Vettori, di cui nella Cambiagi erano state edite soltanto otto epistole, e che qui
arriva a comprendere, in tutto, ben trentacinque lettere.
L’importanza del Barberiniano, già, come vedemmo, sottolineata nella prefazione all’edizione del
1796-1799, viene ulteriormente ribadita nella prefazione di questa nuova edizione, laddove si dà conto
delle circostanze della sua scoperta:

si trovò in Roma nella Biblioteca Barberiniana il codice dal quale Monsig. Bottari aveva estratto il Dialogo sulla
lingua. Esibito questo codice alla conoscenza e all’esame di chi faceva tali indagini [scil. il Tanzini, che stava prepa-
rando l’edizione del 1796-1799] dal dott. sig. Garatoni, custode della medesima, fu riconosciuto essere una colle-
zione simile a quella di Giuliano de’ Ricci, contenere in gran parte le medesime cose e memorie; corrispondersi e
supplirsi reciprocamente; ed esser perfino trascritta dalle istesse mani, e degli stessi caratteri. Quindi si giudicò
che l’uno e l’altro collettore erano egualmente stimatori di Machiavelli, avevano raccolto di concerto, attinto ai
medesimi fonti, e che per conseguenza erano dell’istesso pregio, e meritavano la stessa fede. E mediante l’esame
delle due collezioni si trovò, oltre alle già note, un numero considerabile di lettere da impinguare il carteggio fami-
liare e politico del Machiavelli con Francesco Vettori e Francesco Guicciardini; si confrontarono gli scritti comuni
all’una e all’altra; si rettificarono delle ambiguità; si supplirono delle mancanze, e si riempierono delle lacune.42

Di fatto, quasi tutte le lettere aggiunte rispetto alla Cambiagi sono ricavate dal Barberiniano, con ra-
rissime eccezioni. I curatori ebbero modo però di consultare anche l’Apografo Ricci, tornato evidente-
mente disponibile dopo la morte del vescovo Scipione: ne ricavarono alcune lettere assenti sia nella
Cambiagi, sia nel Barberiniano, e – dando prova di encomiabile scrupolo filologico – collazionarono con
esso alcuni dei testi desunti da VB, servendosene occasionalmente per migliorare, sia pure senza alcuna
sistematicità, la lezione delle nuove epistole, compresa quelle al Vettori del 10 dicembre 1513 e del 31
gennaio 1515.
Ma questa prefazione, in parte ricalcata su quella della Cambiagi, importa anche per il tentativo al-
quanto acrobatico che in essa vi si esperisce di salvare “capra” e “cavoli”, ossia di conciliare la vecchia
interpretazione “obliqua” del Principe con quanto emergeva dalle lettere private recentemente scoperte
e per la prima volta allora pubblicate. Quell’interpretazione, infatti (nonostante quanto il medesimo
Tanzini aveva osservato, scrivendo al Pelli Bencivenni nel 1805, riguardo al complessivo ripensamento
esegetico della figura e del pensiero di Machiavelli cui tali lettere avrebbero dovuto obbligare), continua
qui ad essere proposta, sia pure con con maggiore sinteticità, cautela ed equilibrio; si prendono invece
le distanze dai suoi sviluppi più estremi, quelli secondo i quali il Principe e altri scritti machiavelliani
avrebbero mirato a tendere un tranello ai Medici per accelerare la loro rovina, dichiarando che a con-
forto di tale ipotesi – pienamente sposata trent’anni prima, anche per volontà del Granduca, nella prefa-
zione della Cambiagi – «manca ogni prova positiva» e che essa «non ha altro appoggio che di semplici ed
anche vacillanti congetture».43
E infine si dà la parola alla lettera del 10 dicembre 1513, allo scopo di chiarire su basi certe «le di lui
intenzioni nello scrivere il tanto contrastato libro del Principe»: l’inevitabile conclusione è «che non per
ingannare, ma anzi per rendersi benevoli i Medici, pensò d’indirizzarlo ad uno di loro»,44 anche se il
Tanzini – in ciò prendendo le distanze dalle posizioni di Angelo Ridolfi, peraltro da lui mai citato – da

41 Ed. “Italia”, vol. VIII, pp. 5-233.


42 Ed. “Italia”, vol. I, pp. X-XI (e già a p. III si affermava che il codice barberiniano «è di tanta fede quanto le collezioni

di Giuliano de’ Ricci»). Queste parole sono ennesima conferma del fatto che, durante la preparazione dell’ed. Cam-
biagi, il Tanzini e i suoi colleghi non avevano avuto accesso a tutte le lettere trasmesse dall’Apografo Ricci.
43 Ivi, p. XXXVI.
44 Ivi, p. XXXIX.

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STORIA (E SFORTUNA) EDITORIALE DEL CARTEGGIO PRIVATO DI MACHIAVELLI

una parte attribuisce la crudezza delle analisi e delle massime politiche del trattato a un puro intento di
oggettività scientifica (e non alla benché minima condivisione, da parte del Segretario, dell’ideologia
monarchica), e dall’altra non insiste sul peso che le esigenze “pratiche” – quelle di sfuggire alle ristret-
tezze economiche e all’isolamento in cui Machiavelli si era venuto a trovare dopo il 1512 – esercitarono
sulla sua decisione di comporre l’opuscolo e di indirizzarlo ai Medici nel 1513.
L’edizione “Italia” è una pietra miliare nella storia della fortuna editoriale delle lettere familiari, per-
ché, generalmente parlando, è in quel corpus e in quella lezione che per quasi tutto l’Ottocento si leggerà
il carteggio privato di Machiavelli: fino a quando il clima ideologico risorgimentale e post-risorgimentale
favorirà tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo lo sviluppo di una nuova, fertilissima stagione di studi
machiavelliani (paragonabile solo a quella registratasi nella Toscana del secondo Settecento) che grazie
a scrupolose esplorazioni archivistiche portò alla luce una grande quantità di documenti, facendo sen-
tire i suoi benèfici effetti anche nel settore dell’epistolario privato. Spiccano, fra tutti, i nomi di Luigi
Passerini, che nell’introduzione al primo volume delle Opere in sei volumi da lui curate insieme a Pietro
Fanfani e a Gaetano Milanesi (1873-1877) pubblicò nove lettere inedite e sconosciute; di Pasquale Vil-
lari, il quale nelle appendici di documenti che chiudono ciascuna delle quattro edizioni della sua mono-
grafia Machiavelli e i suoi tempi (apparse tra 1877 e 1927, l’ultima delle quali postuma) pubblicò ben 57
lettere del tutto o in parte inedite, tra cui quella di Francesco Vettori del 23 novembre 1513 (non tra-
scritta dal Ricci nell’Apografo, e dunque – mancando ovviamente anche ai suoi descripti – rimasta sino
ad allora esclusa da tutte le edizioni del carteggio), così finalmente ricomponendo, con la risposta ma-
chiavelliana del 10 dicembre, il celeberrimo “dittico” in cui i due amici descrivono a vicenda la propria
“giornata”; e di Edoardo Alvisi, che facendo tesoro delle epistole pubblicate dal Villari nella prima edi-
zione della sua monografia (1877-1882), mettendo a frutto ulteriori ritrovamenti presso biblioteche
pubbliche e archivi privati, e avvalendosi – per la prima volta dai tempi della Cambiagi – di una nuova
sistematica collazione dell’Apografo Ricci (che gli permise di rivedere e correggere sulla base di questo
codice il testo di quelle lettere che l’ed. “Italia” aveva dato secondo la lezione del Barber. Lat. 5368), poté
finalmente allestire nel 1883 la prima vera edizione moderna del carteggio privato di Machiavelli.
Da allora, molti sforzi sono stati profusi nel tentativo di «medicare in qualche parte quel grande in-
valido che è il testo dell’epistolario machiavelliano»:45 nuove edizioni hanno visto la luce (tra quelle
scientificamente condotte, le due di Franco Gaeta, e quelle di Sergio Bertelli, Mario Martelli, Giorgio In-
glese – limitata ai carteggi di Machiavelli con Francesco Vettori e Francesco Guicciardini – e Corrado
Vivanti) e numerosi studi filologici ed eruditi hanno portato al reperimento e alla pubblicazione di nuove
lettere e di nuovi autografi, oltre che all’ampliamento delle conoscenze storico-biografiche intorno a
questi testi. Oggi a maggior ragione, dopo questa messe di contributi e dopo un secolare lavoro che ha
coinvolto tutti i maggiori esperti di Machiavelli, è lecito affermare – come già fece Roberto Ridolfi nel
lontano 1961 – che «i tempi sarebbero particolarmente maturi e propizi per una nuova e compiuta
edizione dell’epistolario»;46 per un’edizione cioè che metta a disposizione degli studiosi, per la prima
volta, un sicuro testo critico con apparato, un commento capillare ed esaustivo, una ricostruzione della
tradizione manoscritta e della storia editoriale di ciascuna lettera; per un’edizione, insomma, finalmente
degna dell’importanza storica, letteraria, linguistica e culturale dell’epistolario familiare di Machiavelli.
La speranza è che la nuova edizione che, sotto la mia direzione e con la collaborazione di un’équipe di
storici e di filologi (Luca Boschetto, Alessio Decaria, Diletta Gamberini, Andrea Guidi, Stella Larosa, Ales-
sandro Montevecchi, Marcello Simonetta, Carlo Varotti), apparirà a conclusione dell’Edizione Nazionale
delle Opere machiavelliane pubblicata dalla Salerno Editrice in Roma, si riveli all’altezza di queste aspet-
tative.

45 Così scriveva R. Ridolfi, Contributi all’epistolario machiavelliano. La lettera del Vettori del 16 aprile 1523 nel testo
dell’originale inedito, in «La Bibliofilia», 71 (1969), pp. 259-264, a p. 259.
46 R. Ridolfi, Schede per l’epistolario del Machiavelli. Una lettera inedita di Filippo de’ Nerli e altro, in «Giornale sto-

rico della letteratura italiana», 138 (1961), pp. 232-238, a p. 232.


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