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CONFINI DEL TERRITORIO DI

POPULONIA:

STATO DELLA QUESTIONE

I confini di et arcaica
Questo contributo si propone di riesaminare alcuni dati, per lo pi gi noti, utili ad un inquadramento della topografia generale del comprensorio populoniese fra let arcaica e la romanizzazione e va considerato alla stregua di punto della situazione su quanto si sa dei limiti del territorio antico e sulla localizzazione di alcuni degli insediamenti importanti, i toponimi dei quali sono stati tramandati dagli Itineraria e da altre fonti documentarie. auspicabile che gli approcci avanzati alla ricostruzione dei paesaggi antichi, forti delle pi aggiornate tecnologie relazionali e cartografiche, necessarie alla analisi formale della distribuzione degli insediamenti, recuperino, allo scopo di rileggerli in una nuova luce, documenti di tipo tradizionale. Nel rispetto delle singole filologie, questi appaiono indispensabili se si vogliono costruire sistemi di fonti nuovi e pi complessi, sposando una buona antiquaria ottocentesca con le analisi spaziali e con gli aspetti di percezione del paesaggio antico. Alla fine di un ventennio di scavi, scoperte e ricognizioni in Etruria-Tuscia-Toscana e in molte parti della penisola, nuove tecnologie, e una nuova cultura, possono valorizzare i vecchi sistemi di fonti e farli interagire con i nuovi. Una serie di considerazioni sono preliminari e indispensabili alla descrizione della topografia antica del comprensorio di Populonia. La suggestione che qui si propone che il territorio si estendesse in et ellenistica fino a comprendere le Colline Metallifere. Il ragionamento parte dalla congettura che il confine diocesano fra Populonia e Roselle avesse ripreso il fossile di un confine antico. Nella consapevolezza dei limiti imposti dalla documentazione archeologica finora acquisita tenter di definire alcune linee-guida da seguire nella ricerca futura. Ma procediamo con ordine partendo da nord. La metropoli etrusca confinante a settentrione era certamente Volaterrae. Questa possedeva sul mare il porto di Vada (detta appunto Volaterrana) e larea circostante la foce del Cecina. Il confine fra Volterra e Populonia doveva quindi passare pi a sud, lungo una linea tracciata fra la pieve di Bolgheri (Diocesi di Massa e Populonia) e Bibbona, gi nella Diocesi di Volterra (CARDARELLI 1963; FIUMI 1968; CHELLINI 1997). Il confine orientale, ancora con lager Volaterranus, chiuso verso una delle zone interne meno conosciute del2003 Edizioni allInsegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

lEtruria, doveva essere costituito dal versante sud-occidentale delle Colline Metallifere. Massa Marittima dovr essere considerata populoniese in virt del fatto che labitato tardoantico, detto Massa Veternensis e noto per avere dato i natali a Treboniano Gallo, era inizialmente compreso nella diocesi di Populonia, tanto da raccoglierne leredit, divenendo a sua volta sede episcopale (AMM. MARC. 14, 2, 27; CUCINI 1985, pp. 257-260, sito 232, p. 300; MANSUELLI 1988, pp. 55 ss.). LElba e alcune delle isole minori possono ben essere considerate parte integrante del territorio populoniese. La situazione risulta invece molto meno chiara per quanto riguarda le fasi pi remote e il confine meridionale dellagro Populoniese. Mario Torelli, nel saggio sulla definizione degli originari XII populi Etruriae (TORELLI 1987, pp. 110 ss.), metteva in rilievo liniziale egemonia di Vetulonia sulla regione del lago Prile (tra let del Ferro e gli inizi del VI secolo a.C.) e la successiva crescita, fino alla conquista romana, di Rusellae, da considerare con ogni probabilit come epneion emporico di Clusium. In modo analogo, Populonia va vista come colonia di Volterra. Alla base del ragionamento il noto passo di Servio sulle citt dellEtruria (ad Aen. X, 172): alii Populonam Volaterranorum coloniam dicunt. Alii Volaterranos Corsis eripuisse Populoniam dicunt. Le due citt avrebbero condiviso una stessa magnifica sorte, quella di assimilare, dopo oscuri inizi, il territorio vetuloniese da una parte e dallaltra. Viste le analogie suggerite dalle fonti, ritengo che sarebbero da indagare meglio le differenze proposte dalla documentazione archeologica. Mentre Roselle cresce sensibilmente soltanto nel VI secolo e vi sono tracce piuttosto labili della fase orientalizzante, Populonia retta gi a partire dal VII da una classe dominante molto attiva. A queste lite andrebbe ascritta la prima fase di sfruttamento delle risorse minerarie dellarea campigliese (ZIFFERERO c.s.). Anche allElba va registrata una fase precoce di espansione da parte delle metropoli continentali (CRISTOFANI MARTELLI 1973, pp. 525-526; AA.VV. 1958, p. 110, n. 274; JUCKER 1970, pp. 199 ss., figg. 8a-b.). Lisola ebbe vivaci orizzonti eneolitici e del Bronzo (soprattutto recente) ed una fase di lungo silenzio fra il Bronzo Finale e la tarda et del Ferro. Le scarne testimonianze di et orientalizzante e arcaica, lungi dal dimostrare la reale assenza di gruppi populoniesi nellisola, potrebbero essere suscettibili di un sostanziale incremento, soprattutto se indagate con metodologie pi aggiornate e potrebbero indicare presenze stabili attuate attraverso tipologie insediative poco identificabili: ripari sotto roccia o dimore rupestri. Comprendere la fisionomia di queste presenze (Populonia o Vetulonia) problema al momento lontano da una soluzione. Un attento studio della distribuzione dei reperti e dei relitti orientalizzanti noti nellisola e lungo le coste del continente potrebbe portare elementi nuovi. Vetulonia appare, dopo gli splendori della tarda et del Ferro e della fase orientalizzante, in declino. Nel VI secolo la citt pare soggetta a un generale impoverimento, tanto che le tombe delle necropoli urbane e del territo2003 Edizioni allInsegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

rio, anche se utilizzate o riutilizzate nel VI e nella prima met del V, sono state erette tutte, al pi tardi, nellorientalizzante recente (MICHELUCCI 1981). Questo quadro, da accogliere con cautela, appare, per la verit, eccessivamente severo. Le ricerche in corso potrebbero delineare una situazione meno catastrofica (M. CYGIELMAN, comunicazione personale). Il territorio rivela invece tracce copiose di frequentazione e di utilizzazione avanzata delle risorse. In et orientalizzante la citt organizza una rete assai fitta di insediamenti volti, in molti casi, al sistematico sfruttamento delle risorse minerarie dellarea campigliese e alla lavorazione del minerale grezzo di ferro evidentemente proveniente dallElba. Gli abitati del lago dellAccesa, di Selvello, di San Germano, di Poggio Zenone, di Val Berretta (CAMPOREALE 1985, pp. 392-396), di Val Petraia (ARANGUREN, PARIBENI ROVAI 1997, schede nn. 3-4), bench conoscano la loro fase di massima espansione nel VI, spesso affondano le loro origini nella fine del VII o direttamente (Val Berretta) oppure attraverso la frequente localizzazione nei loro paraggi di aree sepolcrali gi utilizzate nel pieno VII, nella prima met (Val Petraia) o talvolta anche prima (Accesa: CAMPOREALE 1985, pp. 170 ss.). Ad essi aggiungerei labitato rinvenuto sotto il castello di Scarlino, ove sono chiaramente attestati episodi di riduzione/fusione del minerale di ferro databili al VII-VI secolo (FRANCOVICH 1985, pp. 13-14). Il ritrovamento assume un rilievo particolare anche in considerazione della complessit stratigrafica del sito, nel quale la fase arcaica si pone dopo quella del Bronzo Tardo e prima di quelle ellenistica, romana, altomedievale, medievale e moderna, che avranno sicuramente asportato molta della documentazione pi antica. Controversa la natura della manifattura di Rondelli, ove a uno sviluppo nelliniziale VI secolo succede una fase di abbandono quindi una fase prima di frequentazione (discarica delle scorie di ferro da un punto di lavorazione dislocato altrove) poi di effettiva rioccupazione (edificio manifatturiero coperto con tegole fra la fine del VI e gli inizi del V) (ARANGUREN, PARIBENI ROVAI 1997, schede nn. 7-8). Questi insediamenti, dipendenti da Vetulonia, cui sono affiliati dai caratteri culturali, costituiscono un tessuto uniforme (CAMPOREALE 1997). Resta difficile da spiegare la natura dei rapporti di questi abitati con la metropoli (CAMPOREALE 1985, pp. 170 ss.) e soprattutto la contemporaneit esistente fra gli inizi della prosperit degli uni e il lento declino dellaltra (CELUZZA 1993, pp. 95-103). certo che la frequentazione del territorio, legata alla citt in formazione ma pi ancora ai gruppi gentilizi che ne governavano i destini, debba essere vista come una emanazione nel territorio dei principes e delle loro clientele. Fra gli indizi che potrebbero servire ad indirizzare la ricerca futura il finimento equino rinvenuto non lontano da Scarlino, di probabile produzione vetuloniese, a suo tempo indicato come uno dei segni distintivi di una aristocrazia locale dominante i centri satelliti e desiderosa di imitare i fasti della classe egemone del centro primario (CUCINI 1983; 1985, pp. 198-199, sito 88). Nel ritrovamento va visto piuttosto il segno di una fase
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di penetrazione delle aristocrazie vetuloniesi nel territorio attraverso un complesso sistema di ramificazioni gentilizie. I gruppi marginali sembrano sopravvivere alla caduta della classe principesca di Vetulonia nella prima met del VI secolo. Ricerche e scavi recenti confermano con regolarit il quadro di una precoce occupazione vetuloniese tanto dei paraggi della citt (valli del Bruna e dellAlma) quanto delle zone pi a nord (valle del Pecora: CAMPOREALE 1985, pp. 31 ss.) (Fig. 2). Il definitivo esaurimento dellegemonia vetuloniese su questi paraggi va fissato alla prima met del V secolo a.C., in concomitanza con labbandono della maggior parte degli abitati cui si finora accennato, incluso il villaggio del lago dellAccesa. La citt solo pi tardi recuperer un ruolo marginale, anche se significativo, nellambito delle vicende della romanizzazione. In contemporanea, soprattutto a partire dagli anni finali del VI secolo, si assiste a quello che ormai si potrebbe con ragione definire il miracolo populoniese. La citt, mantenendo un ruolo attivo anche in seguito alle disfatte che determinano leclisse del potere etrusco sul mare, dopo alterne vicende, assimila larcipelago e il bacino minerario elbano nei suoi possedimenti. Lacquisizione delle isole fatto indubitabile e archeologicamente dimostrato dalla imponenza e dalla capillare e strategica distribuzione delle fortezze daltura costruite allElba a partire dalla seconda met del V secolo (MAGGIANI 1981; MAGGIANI, PANCRAZZI 1979; DUCCI, PANCRAZZI 1996). Nellinterno il tramonto di Vetulonia potrebbe avere favorito Roselle, nella zona del lago Prile, e Populonia. La prima espanse il proprio territorio verso ovest arrivando a inglobare il lago nella sua interezza. La seconda, proiettata verso il mare e i ricchi bacini minerari dellinterno, si espanse nel litorale compreso fra Follonica e Pian dAlma e verso il comprensorio delle Colline Metallifere. Retrospettivamente si spiega il motivo per cui, nella tarda antichit, Massa Veternensis era considerata appartenente alla diocesi di Populonia (Fig. 3). Il territorio populoniese venne allora portato fino oltre lattuale localit di Bagni di Gavorrano. Se in questa potesse essere ravvisato lantico abitato di Aquae Populoniae sarebbe pi facile considerare di pertinenza populoniese anche il settore pi interno dellalta valle del Bruna almeno fino allaltezza del castello medievale della Pietra. Il castello, fra laltro, in virt delle preesistenze di epoca ellenistica individuate nel corso di scavi recenti (DALLAI, FARINELLI 1998, pp. 49-74; BIANCHI et al. 1999, pp. 151-152), pu probabilmente essere considerato come una sorta di indicatore di confine fra i territori, ora accresciuti, di Populonia e di Roselle. In questo punto convergono, oltre a Pietra, altri toponimi dalla valenza confinaria altrettanto forte: Termini, Tre Termini, Terminuzzo. Stabilito che si tratta indubitabilmente di una zona di frontiera e che dal gioco delle parti va immediatamente esclusa Vetulonia, che, trovandosi subito sopra la valle del Bruna, avrebbe finito per avere un territorio piccolissimo, la domanda da porsi : quando? Un primo terminus ante quem per la
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creazione di un limite confinario nella zona viene dai secoli centrali del Medioevo, al tempo (secolo XI) di una vivace controversia territoriale fra i vescovi di Massa e Roselle relativamente al possesso dei comprensori detti di Accesa e di Pietra (CARDARELLI 1932, p. 40; FARINELLI 2000, pp. 141-203, in particolare Appendice I). La bolla papale che mise la parola fine alla controversia rifletteva lambiguit della situazione relativa alla pertinenza dellarea vetuloniese, tale da far leggere, in trasparenza, che il territorio di Castel di Pietra fosse considerato per tradizione nella diocesi di Populonia. Le poche notizie fanno pensare alla tradizione di un fossile di confine antico che passava per questi paraggi. Il toponimo Tre Termini pare portare in questo senso una debole ma significativa schiarita. A nord di Tre Termini lelemento visivamente pi forte dellintero comprensorio il monte detto Sassoforte, la sommit pi elevata e pi carica di significati per le comunit della zona. Il lessico saxum, oltre che una rupe, pu ben indicare una montagna sede di un culto, ruolo, questo, confermato dal ritrovamento di una dedica a Iuppiter Optimus ai piedi della montagna (GUIDERI 1993, pp. 23-33). Nella montagna va inoltre ravvisato il punto pi eminente del confine fra le diocesi di Volterra e di Roselle. E. Fiumi (1968, pp. 43 ss.) fissava nel piviere di Prata il punto pi meridionale della diocesi di Volterra, a breve distanza dal Sassoforte, unipotesi ricostruttiva condivisa anche da R. Farinelli (comunicazione personale; cfr. anche CHELLINI 1997). dunque possibile che in una fase molto antica della vita delle diocesi una linea confinaria discendesse dal Sassoforte verso la valle del Bruna, attraversasse larea ora nota come Tre Termini, risalisse verso il massiccio vetuloniese e quindi si allineasse al fiume Alma fino al mare. Da una parte era la diocesi di Roselle, dallaltra la diocesi di Populonia. Pi in alto nel tempo non si certamente in grado di risalire e conviene fermarsi a questo punto lasciando aperta del tutto la questione se questa frontiera sia nata dal nulla nella tarda antichit in funzione delle neonate diocesi oppure se, come spesso accade in Maremma e come personalmente ritengo pi plausibile, sia il fossile di un confine pi antico, evidentemente sancito fra Populonia e Roselle nei decenni successivi al tramonto di Vetulonia (Fig. 3).

Dallet classica allet ellenistica


A partire dalla fine del V secolo Populonia sembra piuttosto impegnata a consolidare i territori acquisiti. Non facile stabilire le modalit di questa occupazione e vi da chiedersi se, dopo una iniziale frequentazione vetuloniese, alcuni siti (penso alla rioccupazione tarda di Rondelli) siano stati rifondati da Populonia. Linsediamento rientrerebbe in un orizzonte metallurgico populoniese che coinvolgerebbe, oltre che il golfo di Baratti, anche le pianure costiere verso Follonica (ARANGUREN, PARIBENI ROVAI 1997, scheda 17).
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comunque certo che, in concomitanza, o forse in conseguenza, dei raid siracusani nellalto Tirreno (anni 453-451) questi insediamenti vengono abbandonati e si assiste ad una fase di ulteriori trasformazioni. La tipologia insediativa della fortezza daltura costituisce, dal punto di vista archeologico, una precisa cifra stilistica dellorizzonte populoniese di et classica ed ellenistica e rappresenta certamente il segno di un cambiamento epocale. Una fortezza daltura va probabilmente ravvisata sotto il castello della Gherardesca (Castagneto Carducci, Livorno), in prossimit del confine settentrionale dellagro Populoniese, con chiara funzione di controllo sulla costa (comunicazione personale di R. Francovich). Populonia lunica citt dellEtruria costiera capace di salvarsi dalla decadenza e di riprendere in pieno la sua fiorente attivit metallurgica, dopo una breve fase di difficolt, proprio grazie al grande sforzo di fortificazione del territorio metropolitano e di quello insulare. Anche se non si esclude la possibilit che fortificazioni di questo tipo potessero trovarsi in altri ambiti coevi (la costa volterrana o quella vulcente), in nessun altro contesto esse raggiungono lo stesso impatto territoriale che hanno nei possedimenti populoniesi. Si tratta di unit modulari formanti un preciso tessuto al quale sono affidate le funzioni pi disparate: la difesa del bacino di approvvigionamento minerario; il controllo del territorio e delle manifatture metallurgiche; il controllo, ed eventualmente lassistenza, alla navigazione. In questo tessuto vanno ad inserirsi gli abitati fortificati di Poggio Castiglione (LEVI 1933, pp. 122-123; CUCINI 1985, pp. 223-224, sito 144; CELUZZA 1993, pp. 80-81) e di Scarlino, la prima posta a guardia della valle del Pecora, la seconda (con una cinta muraria di oltre due metri di spessore: FRANCOVICH 1985, pp. 14 ss.) con funzioni di vigilanza sul braccio di mare compreso fra Piombino, Punta Ala e la costa orientale dellElba. Pi a sud, forse, il citato sito fortificato di Castel di Pietra potrebbe avere avuto il ruolo di segnacolo di confine lungo la valle del Bruna (gli scavi degli ultimi anni hanno mostrato una consistente fase ellenistica sotto limpianto del castello medievale, tanto da far pensare ad una fortezza daltura o a un santuario: R. Francovich, comunicazione personale). In ogni caso, e pur con le difficolt imposte dalla natura diseguale della documentazione, possibile cogliere segni evidenti del nuovo assetto dato al territorio sul finire del V secolo a.C.: lintero distretto massetano, un tempo vetuloniese, era stato inglobato da Populonia analogamente a quanto era avvenuto per le isole e presto munito degli stessi, speciali indicatori (le fortezze). In questa ottica va forse vista la tardiva e circoscritta ripresa di Vetulonia, riferita da alcuni alla fine del IV secolo (CURRI 1978, pp. 35 ss.), da altri direttamente alla prima met del III o al II (TORELLI 1987, p. 110). La notizia di Frontino, tarda e di incerta tradizione, definisce Vetulonia come oppidum (Frontin. Strat. I, 2, 7) in relazione alle vicende del 282 (anno del primo
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consolato di Emilio Papo e di importanti conquiste in Etruria) oppure a quelle del 278 (secondo consolato) e particolarmente allepisodio di un agguato teso dai Galli Boi nei pressi di Vetulonia. Il passo sembra indicare nellabitato vetuloniese un centro fortificato e non una civitas, come ci si aspetterebbe, titolo evidentemente perduto da tempo. Pur con le necessarie cautele e nella speranza che nuovi scavi gettino luce su questa incognita, si pu forse suggerire, fra i futuri indirizzi di ricerca, la possibilit che la trasformazione di Vetulonia in oppidum possa essere inquadrata nel processo di ristrutturazione della costa tirrenica attuato da Populonia a partire dalla seconda met del V secolo. Proprio Vetulonia, prima ancora che Populonia, potrebbe essere stata loggetto delle scorrerie siracusane nel Tirreno settentrionale verso la met del V secolo, secondo alcuni studiosi (MICHELUCCI 1981, pp. 510-511). invece meno credibile che queste spedizioni abbiano causato la fine della citt, comunque ridotta, nel secolo precedente, alla pallida ombra di s stessa. Potendo dar credito a questa congettura, loppidum verrebbe a trovarsi sulla linea del nuovo confine che divideva i territori di Populonia e Roselle. Perduto, e per sempre, lantico ruolo di capitale del maggiore distretto minerario dellEtruria (le Colline Metallifere), lantica metropoli, in gran parte abbandonata, poteva ormai svolgere un ruolo puramente secondario. Daltra parte la posizione dominante del sito sulla sponda settentrionale del lago Prile e sulle colline Metallifere poteva ancora essere sfruttata con qualche successo. Ci si pu dunque chiedere se scavi futuri nellabitato non potrebbero portare alla scoperta di una fase populoniese di Vetulonia, ridotta al rango di fortezza daltura di grandi dimensioni e costretta a fare il paio con la fortezza di Scarlino, situata nel versante nord dello stesso massiccio collinare. Il toponimo Castelvecchio, che adorna la sommit occidentale dellabitato vetuloniese , in questo senso, abbastanza suggestivo. Castiglione (due casi) e Monte Castello (un caso certo e uno ipotetico) ricorrono infatti allisola dElba in corrispondenza di fortezze daltura. Leventualit opposta a questa, che il distretto vetuloniese sia caduto integralmente in mano rosellana, da abbandonare a favore di unipotesi di alternanza nel predominio sui ruoli produttivi e siderurgici fra Vetulonia e Populonia (MICHELUCCI 1981). Gli stessi, recenti scavi condotti nella valle del Bruna, e quindi in prossimit del lago Prile, non contraddicono questa linea interpretativa (BIANCHI et al. 1999).

La romanizzazione
Vista da nord, la romanizzazione dellEtruria nel primo trentennio del III secolo si configura come un vasto disegno complessivo da attuarsi per fasi diverse ma in tempi serrati. Nella prima fase vennero abbastanza facilmente risolte le questioni aperte con le citt etrusco-settentrionali, ormai probabil2003 Edizioni allInsegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

mente sempre pi disposte ad accettare legemonia romana sullItalia centrale e quindi ad accettare foedera che, sia pure limitativi delle rispettive libert, rappresentavano comunque una via duscita atta a limitare i danni e a conservare il potere interno. In questa ottica va vista, negli anni 294-283/2, la progressiva assimilazione dei territori di Volterra, Populonia, Roselle e Vetulonia (TORELLI 1985, pp. 310-314). La seconda fase consist sostanzialmente nel ciclone che, in soli sette anni (280-273), spazz via lintero orizzonte etrusco-meridionale. La prima fase inizia dunque con la presa di Roselle e si conclude con lassimilazione di Vetulonia, particolare caso di romanizzazione progressiva. In questa prospettiva va inquadrata la presunta ripresa vetuloniese e, di conseguenza, le nuove emissioni monetali (CELUZZA 1993, pp. 95-103). Il territorio populoniese non venne colonizzato dai Romani ma pi probabilmente incorporato nel corso del III secolo a.C. La citt sopravvisse come polo amministrativo della zona, tanto da essere prescelta come sede vescovile nel VI secolo. In una storia di relativa continuit amministrativa, anche se non politica, deve essere ambientato il passaggio di mano della chora Populoniese, con questo intendendo sia la cospicua massa di risorse minerarie rappresentata dallElba e dalle altre isole dellarcipelago sia leredit manifatturiera rappresentata da Populonia e dal suo hinterland, compresa Campiglia Marittima (ZIFFERERO c.s.). Oggi il quadro della romanizzazione dellEtruria settentrionale va facendosi sempre pi chiaro grazie soprattutto a studi recenti. Partendo da nord, un dato significativo rappresentato dal ruolo di Pisa. La citt, attiva sul mare dallorientalizzante (BRUNI 1998, pp. 38 ss.; 233 ss.), nel III secolo risulta ben inserita in traffici che accomunano la rete mercantile tirrenica (Populonia, lElba, Aleria, Genova) a quella costituita dai maggiori poli commerciali situati fra la Narbonese e la Tarraconese. I rapporti di Pisa con il territorio Populoniese sono inoltre confermati dallintensa attivit metallurgica che pare interessare il settore nordorientale di Pisa nel pieno III secolo. La vitalit delle due citt va vista nel quadro generale della romanizzazione cos come lapparente maggiore sviluppo della zona proiettata verso il Portus Pisanus. Linserimento della costa settentrionale etrusca nellorbita romana va probabilmente fatto risalire assai indietro nel tempo, probabilmente ai primi anni del III secolo. Allanno 298 risalgono alcuni decisivi momenti del conflitto con la principale avversaria del nord, Volterra, che dovette portare, se non alla conquista e alla confisca immediata di quegli immensi territori, almeno a una radicale ristrutturazione delle alleanze e degli schieramenti (Liv. 10.12; HARRIS 1971, passim; TERRENATO 1998). Nellambito degli eventi della conquista dellEtruria, il primo ventennio del III secolo appare sostanzialmente dedicato alla parte settentrionale con particolare riferimento alla fascia costiera e con leccezione di Falerii, attaccata e sottomessa nel 293 a.C., che conserv comunque inizialmente, proprio come le citt del nord
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dellEtruria, lo status non meglio precisabile di civitas. Cos, nel 294 avviene la presa di Roselle. Soltanto nel 280 riprende liniziativa verso le metropoli del sud, destinata ad occupare buona parte del decennio 280-270. Fra lacquisizione del nord, avvenuta tramite patti e alleanze presumibili, e quella del sud, avvenuta secondo la successione della rude sequenza conquista-massacro-confisca, esistono differenze che hanno poi forti riflessi anche nella documentazione archeologica. Oggi che gli scavi pisani vanno ampiamente confermando i racconti delle fonti, si pu dire che il portus Pisanus svolse un ruolo di primo piano nei traffici e nelle operazioni navali che facevano capo a Roma, forse anche pi del portus Cosanus, costruito allo scopo. Pisa fu dunque un pilastro centrale nella costruzione del power-at-sea romano di et repubblicana (COARELLI 1988, pp. 35-48; fonti in TORELLI 1978). Il terzo passo di Polibio, fra laltro, narrando della tentata spedizione navale cartaginese che avrebbe dovuto utilizzare proprio il portus Pisanus per portare rinforzi ad Annibale nel 217, costituisce la prova del fatto che anche per i nemici Pisa era un porto di nevralgica importanza. I dati emergenti dagli scavi nellabitato e nel porto pisano mostrano come i rapporti, almeno mercantili, fra le due citt dovessero rinsaldarsi nella seconda met del IV secolo (i ritrovamenti di vasi petites estampilles e di piatti di Genucilia sono frequenti a Pisa come a Populonia, allElba e in Corsica: BRUNI 1993, pp. 89 ss.; FEDELI-GALIBERTI-ROMUALDI 1993, pp. 122-26). Le strette relazioni commerciali, come avveniva forse anche a Caere, dovevano sottintendere anche rapporti politici stretti e regolati da particolari norme giuridiche. Vanno inoltre considerati, in questa luce, particolari dati relativi al percorso e al tracciato della pi antica via Aurelia (Fig. 4). La via Aurelia del III secolo, detta Vetus in una iscrizione del II d.C. per distinguerla dalla posteriore Nova (CIL XIV, 3610 = ILS 1071), venne costruita con ogni probabilit da C. Aurelius Cotta durante il suo consolato (252) o durante la censura (241: COARELLI 1988, p. 42). Se il versante storico della questione pu dirsi sufficientemente solido in virt degli ultimi studi, quello archeologico risente ancora di incertezze relative alla cronologia del tracciato pi antico (Aurelia Vetus). Questa, stando a scavi condotti nella massicciata allaltezza di Castrum Novum, fu, inizialmente, via glareata (con piano in ciottoli), databile entro il III secolo a.C. (GIANFROTTA 1972, p. 22, p. 110). I dati riguardano per prevalentemente la costa etrusco-meridionale a sud di Cosa mentre poco o niente si sa sugli itinerari seguiti dalla via nellEtruria centrale e settentrionale. La funzione strategica della strada era legata al dispositivo di difesa/ offesa composto dalle quattro coloniae maritimae fortificate, dalla base navale di Cosa e, proseguendo nellEtruria settentrionale, dalle civitates alleate di Populonia e di Pisa, appartenenti in et romana alla stessa trib (la Gale2003 Edizioni allInsegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

ria: TORELLI 1987, p. 102). Il poderoso vallo costiero, collegato da unimportante arteria, proteggeva quindi lEtruria da eventuali minacce esterne e consentiva, nel contempo, di organizzare rapide incursioni sul mare. Il percorso litoraneo della strada, che conferma lintento strategico del costruttore, riutilizzava le direttrici di vie costiere gi esistenti in epoca etrusca. Se vero che la costruzione della strada va messa in relazione anche con le operazioni intraprese dai Romani nellalto Tirreno e in Liguria alla met del III secolo (COARELLI 1988) e con le operazioni navali in Corsica (nel 259) e in Sardegna, evidentemente svolte in funzione anticartaginese (Polyb.I,10, 5), possibile o probabile che lAurelia Vetus, o almeno linsieme dei tronconi dalla fusione dei quali questa era nata, raggiungesse Pisa gi negli anni di guerra 252/241. La possibilit che il prolungamento Cosa-Pisa fosse fatto nel 200 a.C., anno del consolato di un altro Aurelio Cotta e di altre guerre contro i Liguri (FENTRESS 1984, pp. 72-76; 1985, pp. 123-124), parrebbe meno convincente. Nel II secolo ulteriori aggiunte alla viabilit costiera sono adombrate dal miliario di Vulci (ILLRP 1288), riferibile allo Aurelius Cotta console nel 200 a.C. o allomonimo console del 144. Questo potrebbe indicare migliorie apportate alla viabilit etrusco-meridionale (COARELLI, 1988, p. 43). Il cippo vulcente indicava evidentemente la distanza da Roma (70 miglia) relativa ad un diverticolo fra la Aurelia Vetus e Vulci oppure il tracciato della [via] aliter a Roma Cosa[m]. Fra gli ultimi personaggi illustri a percorrere il vecchio tracciato della Aurelia Vetus fu Tiberio Gracco allepoca del suo viaggio in Spagna, nel 135 a.C., anno del suo tribunato. Il passo di Plutarco (Tiberio Gracco, VIII), contenente le celebri riflessioni attribuite a Tiberio sullo stato delle campagne etrusche, sembra indicare che comunemente limbarco per la Gallia o per la Spagna avvenisse non a Ostia, ma in un porto a nord di Roma (CARANDINI 1985, pp. 145-146). Il precoce interesse per gli equilibri (e per i ricchi bacini di approvvigionamento) dellEtruria settentrionale pare dunque indicare un progetto unitario che, partendo dalla guerra contro Volterra (anno 298), si snoda poi attraverso la conquista di Roselle (294), il recupero di Vetulonia (anni 283/2280?), le incursioni navali nel Tirreno (259) e la costruzione del vallo tirrenico. Nel contempo Populonia e Pisa sono divenuti due preziosi porti alleati. Una intensa ristrutturazione viaria interess la costa etrusca alla fine del II a.C. La via Aurelia Nova va probabilmente identificata nel raddoppio della strada da Roma a Cosa effettuato dal console del 119 (epoca delle operazioni in Narbonese) per consentire un pi veloce collegamento con i porti a nord di Roma (WISEMAN 1970, pp. 122-152; FENTRESS 1985). Altri sono propensi a vedere nella Aurelia Nova il prolungamento della Vetus da Pisa a Luni nel 200 a.C., in occasione delle campagne iberiche e considerano la via Aemilia Scauri del 115109 il vero e proprio raddoppio della direttrice costiera (COARELLI 1988, p. 47). difficile, almeno al momento, individuare la definitiva soluzione del problema. comunque un fatto che la nuova Aurelia solo in parte riutilizz il tracciato della vecchia, preferendo seguire un percorso pi interno (che lasciava fuori
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le antiche colonie) e risult pi breve, pi rettilinea e pi funzionale al popolamento rurale (Strab. 5.217; FENTRESS 1985). Le stazioni sono ricordate dallItinerarium Antonini (289.3-292.1; 300.6-301.5). I lavori per adeguare la viabilit costiera alle nuove esigenze proseguirono negli anni successivi. La via Aemilia Scauri del 115 fu, se non il raddoppio integrale della Aurelia Vetus, almeno il prolungamento da Cosa fino a Pisa della Aurelia Nova. Nel 109, anno della sua censura, Scauro estese la strada da Pisa fino a Dertona, oltre lAppennino.

Alcuni luoghi del comprensorio


La tesi tradizionale, secondo la quale il tracciato pi antico dellAurelia si sarebbe fermato a Cosa nel 242-1 a.C., comporta automaticamente lesclusione di un collegamento con Roma dei territori romanizzati del nord fino agli anni della costruzione della vie Aurelia Nova-Aemilia Scauri (119-109 a.C.). Larea populoniese, della quale ci stiamo occupando, sarebbe stata servita (e controllata) soltanto da unantica strada etrusca riusata dai Romani per pi di un secolo. Accettando invece la tesi di Coarelli di un percorso Roma-Pisa fin dal III secolo, possibile spiegare meglio il ruolo di primissimo piano interpretato da Populonia e da Pisa. Nella zona di Scarlino la direttrice della Aurelia vetus va identificata, approssimativamente, con la attuale strada delle Collacchie, toponimo che rinvia ad una strada peri-lacustre (circum lacum), con ovvio riferimento al lago Prile e al pi settentrionale lago di Scarlino. Il tracciato della via Aurelia Nova (o Aemilia Scauri) degli anni 119-109 a.C. va invece identificato, approssimativamente, con la attuale Strada Statale 1 (Aurelia). Si vedr come anche nelle trasformazioni delle tipologie insediative e delluso delle risorse locali possa leggersi abbastanza chiaramente il riflesso di queste ristrutturazioni viarie. ora il momento di riprendere contatto con gli Itinerari antichi. Scabris La Tabula Peutingeriana indica nellarea di Scarlino, lungo la via Aurelia, la stazione di posta nominata Manliana, confermata in questo dallItinerarium Antonini, che registra una stazione di posta omonima. LItinerarium Maritimum segnala alla foce del fiume Alma lomonima positio e, sei miglia pi a nord, uno Scabris portus. interessante verificare come lItinerario marittimo registri a nord di portus Augusti una lunga serie di positiones generalmente poco distanti fra loro (sotto le dieci miglia), con leccezione di Portus Herculis e di portus Talamonis. Il fatto che la localit di Scabris sia elevata alla dignit di portus, come poi anche Falesia, Populonia, Vada e Portus Pisanus, chiaro segno del ruolo importante che questo svolgeva lungo la costa tirrenica. LItinerario marittimo, per quanto di et imperiale, pare infatti riflettere una situazione pi antica e consolidata,
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forse di et repubblicana, come farebbe pensare anche il fatto che Centum Cellae, allepoca di redazione dellItinerario ormai divenuta Portus (Traiani), sia ancora citata come semplice positio (Itinerarium Maritimum, 500-501; CUNTZ 1929, p. 79). Esiste una parziale ma significativa coincidenza fra Itinerario marittimo e via Aurelia vetus, determinata proprio dal carattere litoraneo del tracciato di questultima (cfr. anche TORTORICI 1985). Scabris dovrebbe essere identificata con lo specchio dacqua sottostante larea di Portiglione e contigua al Puntone vecchio. Le cronologie degli insediamenti romani indicano una fioritura della zona fra il III e il I secolo a.C. (CUCINI 1985, pp. 171-174, siti 13-20). Scavi recenti stanno rilevando un consistente orizzonte di et repubblicana (comunicazione di B.M. Aranguren). Successivamente i nuclei principali si estesero alla zona in basso, presso lattuale Puntone Vecchio, dove gi esistevano le manifatture siderurgiche tardo-etrusche e dove si sarebbe sviluppato labitato di Manliana. Manliana e Scabris sono evidentemente i nomi rispettivi della stazione viaria e della stazione marittima, luoghi almeno in parte coincidenti. La foce del fiume Pecora, ancora oggi buon approdo, stata coperta e alterata dalle costruzioni di Puntone Nuovo. Manliana doveva forse trovarsi leggermente pi a nord, a brevissima distanza dalle strutture delle terme della villa. Ancora a nord di queste era unampia area manifatturiera. Le terme della villa di Puntone Vecchio, portate in luce negli anni 30 di questo secolo, subirono danni rilevanti nel 1962 in occasione della costruzione di un canale artificiale. Lo scasso distrusse strutture murarie alcune delle quali sono oggi ancora visibili lungo le sponde del canale e allinterno del padule. Stando a notizie ormai incontrollabili, allepoca andarono distrutti anche i pavimenti a mosaico della villa. I resti superstiti sono rappresentati da strutture in opera laterizia, conservate fino ad unaltezza di m 2,70 circa e pertinenti a tre ambienti coassiali con pavimenti in bipedali e suspensurae, uno dei quali conserva una vasca foderata in cocciopesto (PARIBENI 1982, pp. 371-372; CUCINI 1985, pp. 175-179, siti 21-25; BAIOCCO et al. 1990, pp. 101-107; CUCINI, TIZZONI 1992, pp. 19, 25, 51 ss.; scheda C15, pp. 134-135.). Larea del primo porto del territorio populoniese incontrato da chi proveniva da sud si presentava ampia e vivace. Sulla base di queste considerazioni e della ricca documentazione edita da C. Cucini, viene confermato come labitato antico di Puntone Vecchio dovesse essere, per consistenza ed estensione, uno degli abitati maggiori del territorio populoniese di et tardo-etrusca e repubblicana. In seguito, al grande insediamento manifatturiero situato a sud della Casa Budelli si sovrappose labitato di et imperiale collegato al portus e alla stazione marittima. In un momento successivo, fra la tarda et repubblicana e la prima et imperiale, la costruzione delle vie Aurelia Nova ed Aemilia Scauri favor luso di un nuovo e pi rettilineo percorso interno. In questo contesto va collocata la nascita di tre nuovi abitati:
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Aquae Populoniae La localit tradizionalmente identificata con la contemporanea Caldana, stazione termale antica e moderna (FEDELI 1983, pp. 159-160; schede 320 e 321, pp. 412-413). al momento difficile localizzare questo importante insediamento. La distanza di VII miglia rispetto a Manliana riportata dalla Tabula porterebbe a indicare, con tutte le cautele del caso, il sito di Bagni di Gavorrano, unarea, quindi, completamente diversa, ammesso che lindicazione delle miglia sia stata tradita con fedelt. La distanza non per il motivo principale per sostenere unesclusione dellidentit Aquae Populoniae-Caldana. Il fatto che la Tabula indica chiaramente che A.P. sorgeva sulla strada interna di collegamento fra Saena Iulia e lAurelia (CUCINI 1985, p. 300) e non lungo il tracciato di questultima.Lo spostamento di A.P. tanto a sud (Gavorrano) comporta un nuovo problema, quello della localizzazione delle aquae ad Vetulonios delle quali traccia solo in Plinio (n. h. II, 227) ma non negli Itinerari, e che quindi dobbiamo pensare distante dalla viabilit principale. Le caratteristiche termali dellinsediamento di Bagni di Gavorrano sono tracciate, oltre che da eloquenti toponimi della zona (Bagno e Forni), anche dai resti di bagni romani ancora visibili agli inizi del secolo. Altra possibilit quella di collocare Aquae Populoniae lungo la valle del Cornia, in unarea di confine fra il territorio di Populonia e quello volterrano (FEDELI, GALIBERTI, ROMUALDI 1993, p. 130). In questo caso per linsediamento verrebbe a cadere molto pi lontano delle sette miglia indicate dalla Tabula e, soprattutto, lungo la via Aurelia e non lungo il diverticolo per Saena Iulia. Vignale Non si conosce il toponimo antico. Sulla base dellimponente documentazione archeologica occorre probabilmente rivedere linterpretazione del sito, assai pi simile ad una stazione di posta o ad una mutatio che a una villa (FEDELI 1983, p. 421, sito 338.; CUCINI 1985, pp. 262-265, sito 235). Il sito, stando alla natura dello spargimento di reperti in superficie, appare frequentato dal V secolo a.C. e con regolarit fra il I secolo a.C. (allindomani della costruzione della Aemilia Scauri) e il VII secolo d.C. Una possibilit nellidentificazione Bagno di Gavorrano-aquae ad Vetulonios e Vignale-aquae Populoniae. A favore di questa duplice identificazione la maggiore prossimit delle A.P. a Populonia e il fatto di non avere pi un toponimo antico da collocare. Per contro vi : la mancanza di un definito carattere termale a Vignale; lassenza di legami topografici fra il sito attuale di Vignale e la viabilit diretta verso linterno, come indicato dalla Tabula; il fatto che Plinio parli di aqua nel senso molto generico di fonti di varia natura: le acque ad Vetulonios in Etruria non procul a mari nelle quali si troverebbero i pesci sembrano indicare piuttosto il lago Prile o qualcuno dei fiumi della zona. Solo altre ricerche potranno sciogliere questi nodi. E se in Vignale dovesse essere identificata la Populonium dellItinerarium Antonini?
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Falesia Il sito noto, oltre che dallItinerario Marittimo, dal reditus di Rutilio Namaziano (I, 371-414), che lo ritrae in forma di somma di hilares pagi, in festa per la nuova seminagione (sono i giorni fra la fine di ottobre e i primi di novembre del 417). Sbarcato, Rutilio incontra una villa, un boschetto e soprattutto stagna deliciosa con vivaria per i pesci. Il quadro idilliaco, anche facendo salve le esigenze dellespressione poetica, tanto dal punto di vista paesaggistico quanto da quello sociale (requies stationis amoenae), malamente interrotto dal conductor giudeo (cfr. FO 1992). La tradizione colloca Falesia a nord-est di Piombino, nella localit di Porto Vecchio, localit gi chiamata Falese, o Porto de Faliesi o Porto dei Faliegi (FEDELI 1983, p.). Ora, anche se, in realt, non vi motivo per ribaltare la tesi tradizionale, la localizzazione pu essere ulteriormente discussa. Se si parte dalla semplice etimologia del nome Falesia, si osserva che di strutture geomorfologiche scoscese (a falesia) il promontorio di Piombino assai ricco, tanto nel versante marino quanto in quello interno. Questa strada porta poco lontano. Lapproccio toponomastico ci costringe, per forza di cose, al monastero medievale di S. Giustiniano a Phalesia (XI secolo), localizzato da Ceccarelli Lemut (1972 e 1996) in localit Cotone (altro toponimo portuale interessante) e da L. Dallai a Montegemoli (in questo volume), altura fra Piombino e Baratti nella quale facile identificare un promontorio che, dal pi vasto promontorio piombinese, si protraeva nella grande laguna costiera, a suo tempo, e con ragione, considerata un tratto fortemente caratterizzante il paesaggio populoniese antico (CARDARELLI 1963; BARDI, in questo volume). Oggi il problema delle localizzazioni di S. Giustiniano e di Falesia appare ancora attuale anche se, forse, non lontano dalla soluzione. Il solo e modesto contributo che mi sembra utile poter portare a questo dibattito consiste in una rivalutazione delle distanze in miglia riportate dagli Itinerarii. LItinerarium Maritimum indica una distanza di 18 miglia fra Scabris portus e Falesia portus, una distanza troppo lunga per i dintorni di Piombino (anche per Cotone) ma, tutto sommato, adatta se al percorso per mare aggiungiamo quello lagunare, non diversamente da quanto doveva accadere quando da Portus Herculis o da Incitaria si doveva raggiungere lo scalo interno di Orbetello. Dalla rassegna delle diverse fonti emergono quattro localit centrali (Scabris-Manliana, Aquae Populoniae, Vignale, Falesia) caratterizzate da forti identit (portuale, manifatturiera, viaria, termale, agricola). Questi aspetti concorrono ad indicare con forza la complessit della geografia storica populoniese fra la tarda et etrusca e la prima et imperiale.
FRANCO CAMBI *

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* Universit degli Studi di Siena Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti. Molte delle idee esposte in questo contributo sono legate a colloqui avuti con diverse persone. Ricordo qui la dott.ssa B.M. Aranguren (Soprintendenza Archeologica della Toscana), Luisa Dallai (Dottorato di ricerca in Archeologia Medievale), alla quale devo numerose informazioni e delucidazioni di carattere archeometallurgico, Roberto Farinelli, con cui ho sempre avuto un proficuo scambio di impressioni sui confini medievali della diocesi di Populonia-Massa. Ringrazio inoltre: G. Bartoloni, A. Ciacci, M. Cygielman, R. Francovich, G. Macchi, A. Zifferero.

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