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Assessorato

Governo del Territorio

Regione Campania Assessorato Governo del Territorio


SUN Seconda Università degli Studi di Napoli
Facoltà di Architettura “Luigi Vanvitelli”
DCP Dipartimento di Cultura del Progetto
BENECON Centro Regionale di Competenza
per i Beni Culturali Ecologia Economia

A.T.S. Facoltà Architettura (mandataria)


A&C 2000 srl (mandante) SOGESI spa (mandante)

Portale monotematico sulle cavità di Pianura


Realizzazione di un portale monotematico dedicato alla cavità di Pianura da inserire nel portale
regionale/sportello cartografico

Rappresentante Legale Prof. Arch. Carmine Gambardella


Responsabile scientifico Prof. Ing. Giancarlo Atza
Coordinatore Prof. Arch. Sabina Martusciello
IL TERRITORIO | IL LUOGO | LA CAVA

WP1 Storia
WP2 Topografia nel corso dei secoli
WP3 Presentazione dinamica del rilievo 3D con il laser-scanner
WP4 Vista virtuale delle cavità
WP5 Evoluzione del rapporto tra la cavità
WP6 Aspetti e problematiche di natura geologica
WP7 Metodologie di estrazione
WP8 Metodi di trasporto sui luoghi di utilizzazione dei materiali
WP9 Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura
WP1 | Storia 5

WP1 Storia

Il territorio di Pianura tra Neapoli e Puteoli

Lungo il versante occidentale della collina dei Camaldoli, ad una quota di circa
210 metri, nei pressi della Masseria del Monte, si apre la galleria della cava di
Pianura (1).
Il piperno è uno dei prodotti vulcanici caratteristici della Campania, comunemente
usato nelle opere architettoniche soprattutto a partire dal XV secolo. Fino alla
metà del XX secolo era opinione prevalente che il piperno fosse stato prodotto
da un solo vulcano dei Campi Flegrei, il cosiddetto vulcano di Soccavo, ubicato
al bordo della caldera Archiflegrea, ai piedi della collina dei Camaldoli. Gli scavi
eseguiti dalla Commissione per lo studio del sottosuolo di Napoli, i cui risultati
sono stati pubblicati nel 1967 a cura del Comune di Napoli, hanno permesso,
però, di rinvenire lembi di piperno in diverse aree della zona urbana napoletana,
inducendo a formulare l’ipotesi che il piperno, più che il prodotto esclusivo di un
unico vulcano, sia da considerarsi frutto di un’attività eruttiva di diverse formazioni
vulcaniche (2). Varie cave di piperno, tutte sotterranee e ormai abbandonate, sono
presenti lungo i fianchi della collina dei Camaldoli, nei territori di Pianura e
Soccavo, ai margini della regione flegrea, nella zona boschiva ai confini degli
Astroni (3). La conca di Pianura comunica con Soccavo tramite la Cupa Fredda
percorsa dalla via romana che, partendo da Napoli, raggiungeva la via Campana.
Il più antico collegamento viario tra Cuma e Neapolis, databile al V sec. a.C.,
escludeva, infatti, la fascia costiera flegrea e si sviluppava attraverso Pianura e
Soccavo con diramazioni verso Quarto e Qualiano.
Poco si conosce delle vicende più antiche del territorio di Pianura che, come tutta
l’area dei Campi Flegrei, nei tempi preistorici e protostorici era ancora investita
da una significativa attività vulcanica che doveva rendere instabile l’orografia dei
luoghi e abitabili soltanto zone limitate (4). L’ultimo periodo eruttivo, databile a
2500-1500 anni fa, che ha interessato i territori di Agnano, Monte Spina, Astroni,
Solfatara-Olibano, Averno e Miseno, ha, inoltre, cancellato i resti di eventuali più
antichi insediamenti (5). Un’occupazione stabile del territorio è documentata dalle
tracce delle popolazioni riferibili alla cosiddetta “cultura del Gaudo”, databili tra
il 2500 e il 1500 a.C., ritrovate nell’arcipelago flegreo (Lacco Ameno ad Ischia),
sul monte Sant’Angelo e in una cava di pozzolana a Licola (6). All’età del bronzo
risalgono, invece, gli insediamenti preistorici di Vivara e della Montagna Spaccata,
nonché frammenti di ceramica d’impasto rinvenuti sul monte Gauro e nella piana
6 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

di Quarto (7). Documentano, inoltre, la fase preellenica di Cuma gli scavi condotti
nel 1878 e il 1896 dal colonnello Stevens, appassionato collezionista, e nel 1903
dall’avvocato Ernesto Osta, le cui raccolte rivestono particolare importanza per
lo studio dell’età del ferro nel territorio flegreo (8). Alcuni studiosi ipotizzano una
frequentazione già in età preromana delle numerose grotte del territorio,
successivamente trasformate in cave (9).
Se l’abbondanza di dati materiali provenienti dalle necropoli di Cuma consente
di delineare il contesto sociale da cui prende avvio la diffusione della cultura
greca in Occidente dopo la fondazione della colonia di Kymae (Cuma) intorno al
725 a.C., l’estrema povertà di dati relativi all’area urbana e al territorio rende
particolarmente ardua la ricostruzione dello sviluppo della città e delle modalità
di controllo dell’area. L’acropoli di Cuma è destinata ad accogliere le aree sacre,
ma svolge, nello stesso tempo, una funzione di roccaforte per il controllo della
vasta piana circostante. Secondo Dionigi d’Alicarnasso l’area controllata da Cuma
si estendeva per gran parte della pianura campana e sulla costa di Miseno.
Strabone riporta che il golfo di Napoli era chiamato “cumano” e che la colonia
fondata nel 531 nell’attuale rione Terra a Pozzuoli ricadeva nel territorio cumano
(10). Sulla collina di Pizzofalcone, inoltre, era stanziata una colonia di cumani
che controllava tutta la costa e la piana circostante, documentata da un gruppo
di tombe rinvenute nel 1949 in via Nicotera che conferma l’ipotesi tradizionale
dell’ubicazione di Partenope sul colle di Pizzofalcone (11). La nuova città, nata
da fondatori cumani, si consolidò con il sostegno dei siracusani guidati dal tiranno
Hierone, al quale i cumani avevano chiesto soccorso contro gli Etruschi. Prova
dell’influenza siciliana è il rinvenimento di monete ateniesi e siracusane nel
ripostiglio numismatico rinvenuto a Pianura nel 1844 (12).
Nel IV secolo a.C. il territorio di Napoli comprendeva la parte orientale dei Campi
Flegrei e le isole; il limite occidentale era costituito dai colli Leucogei, dalle pendici
della Solfatara verso la conca di Agnano e, più a sud, dalla sella tra il monte
Olibano e la Solfatara. Più a nord anche Pianura rientrava nella sfera territoriale
di Napoli, come dimostrato dal rinvenimento di un termine prediale di età romana
(13).
Napoli non aveva facili comunicazioni con i Campi Flegrei: l’unico valico naturale
era costituito dalla Sella di Antignano che segna il limite tra l’Arenella e il Vomero.
Come disegnato nella Pianta della viabilità antica pubblicata nel 1952 da
Johannowsky (14) fig. 1, due erano i principali assi di collegamento tra Neapolis
e l’area occidentale: l’uno che, attraverso il vallone corrispondente all’attuale via
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fig. 1 Pianta della viabilità antica


pubblicata nel 1952 da Johannowsky

Chaia, si svolgeva lungo la spiaggia fino a raggiungere la crypta neapolitana, per


proseguire poi verso Posillipo; l’altro, la via puteolana per colles, che, partendo
dalla fine di uno dei decumani, per lo Spirito Santo, si sviluppava lungo la collina
del Vomero fino ad Antignano (15). L’itinerario per colles Pendino-Sella d’Antignano
era seguito dalla romana via Antineana (16), che utilizzava nel primo tronco il
Cavone (via Correra) cioè il tratto finale incassato nel corso dell’Arenella, anticipando
poi le attuali via Salvator Rosa, via della Cerra, via di San Gennaro ad Antignano
e, quindi, dopo la Sella attraversava la piana di Soccavo e la conca di Pianura,
fino a raggiungere nella piana di Quarto la via Campana proveniente da Pozzuoli
(17). Il traforo della collina di Posillipo e l’apertura della crypta neapolitana segnò
un netto ridimensionamento dell’asse Napoli-Soccavo-Cuma, rimasto nell’ambito
dell’influenza culturale di Neapolis, come sembra attestare il rinvenimento di
iscrizioni greche di epoca imperiale a Soccavo e Pianura (18).
Numerosi rinvenimenti archeologici sono registrati in una recente pubblicazione
che, in un schema sintetico, scheda la presenza in località Cancello di necropoli
e resti di mausolei, di strutture murarie e tratti stradali nel Cavone degli Sbirri,
ancora di mausolei a Grotta della Papera e a Masseria Grande - dove è segnata
anche la presenza di ville - di strutture murarie nella Masseria Oliveto e a
Pignatiello - dove segnala il rinvenimento di pavimenti mosaicati - di necropoli
a Monti, a Pisani, a Romano, zona nella quale si trovano anche necropoli, cisterne
e mausolei; ancora necropoli, ville e mausolei a San Lorenzo, Spadari, Svizzeri,
Torre Lupara, Torre Poerio e Torciolano. Alcune monete, sempre di età imperiale,
8 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

nonché un cippo di tufo con iscrizioni di età repubblicana furono, inoltre, rinvenute
in una vigna di Pianura di proprietà di Catello Fusco (19). Nelle Notizie storiche
di Pianura, pubblicate nel 1914, si riporta che nel palazzo dei conti di Pianura si
potevano osservare due marmi sepolcrali con iscrizioni (20) fig.2 e fig. 3. Lorenzo

fig. 2 e fig. 3 Corso Duca d’Aosta:


interno Palazzo Grassi detto
<<Mulino>>: Cenotafio

Giustiniani nel 1804 attesta l’esistenza nel territorio di Pianura di resti archeologici,
tra cui “gli avanzi di un acquidotto”, sepolcri e monete, nonché due marmi
sepolcrali che non giudica, però, significative testimonianze dell’esistenza di
Pianura o Chianura in epoca romana (21). Lo storico ritiene, infatti, contro
l’opinione del Galdi - autore di una Dissertazione sull’Antichità di Pianura – che
la presenza di reperti di epoca romana fosse da riferirsi agli interessi di antiquario
e collezionista di Francesco Enrico Grasso, conte di Pianura, che nel cortile del
palazzo baronale ospitava una personale raccolta di oggetti antichi (22). Il Beloch
indirettamente riferisce dell’esistenza di un vero e proprio museo del conte di
Pianura, ove erano conservati anche disegni e rilievi delle mura urbane di epoca
romana rinvenute nel centro di Napoli (23). La recente attività di ricognizione del
gruppo archeologico napoletano ha evidenziato la presenza, nel territorio di
Pianura, di un gruppo di cisterne inglobate in una masseria, costruite in opus
reticulatum e in opera laterizia rivestita di cocciopesto, nonché di un mausoleo
funerario detto “del Polo artigianale” fig. 4.
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fig. 4 Mausoleo funerario detto “del


Polo artigianale”
10 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

Negli anni tra il I e II secolo d.C. Roma varò un piano di rinnovamento della rete
stradale del territorio Flegreo che contemplava anche il restauro della via Puteolis
Neapolim – documentato dalle iscrizioni dei miliari rinvenuti lungo il percorso,
di cui si conserva quello ritrovato presso Soccavo fig. 5 - e il miglioramento del

fig. 5 Iscrizioni dei miliari lungo il


percorso presso Soccavo

suo tragitto attraverso la creazione di una variante nella conca di Agnano (102
d.C.) per sostituire un tratto più antico, ma meno agevole, che seguiva con forti
pendenze l’andamento collinare (24). Le nuove infrastrutture stradali contributirono
a dare impulso allo sviluppo della zona di Fuorigrotta, Agnano e Pianura.
Anche se l’età medioevale segnò il declino di gran parte del territorio flegreo,
l’area tra Naepoli e Puteoli continuò ad essere frequentata, come sembrano
documentare sporadiche testimonianze archivistiche che riportano i toponimi
delle località situate nei pressi di Pianura.
Nel VII secolo il territorio di Pianura viene donato da Arechi II duca di Benevento
alla chiesa di San Gennaro ad corpus, eretta presso le mura della città di Napoli
(25). Nel X secolo le istituzioni monastiche della città di Napoli divennero
protagoniste di una complessa riorganizzazione economica e territoriale dell’area
occidentale, nel momento di passaggio dall’osservanza greca alla latina. Le
donazioni superstiti nei documenti d’età ducale registrano concessioni e vendite
dei terreni di Pianura alla congregazione della chiesa di San Pietro, al monastero
di San Sebastiano di Napoli, al monastero dei SS. Sergio e Bacco e, infine nel XII
secolo, al monastero di San Gregorio Maggiore di Napoli (26).
Nei Monumenta ad Neapolitani Ducatus Historiam pertinentia pubblicati a cura
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di Bartolomeo Capasso è riportato che non molto distante da Soccavo poco ultra
erat Pianura nescio cur major et aliquando ad S. Donatum appellata, atque locus
Prepontianum (27) e, nell’apparato di documenti allegato, sono trascritti alcuni
atti amministrativi del X secolo che attestano la presenza nell’area di grotte
naturali, probabilmente utilizzate come depositi di derrate o materiale: cum gripti
è riportato in una donazione del 996 (28). L’esistenza di cave legate ad uno
sfruttamento delle risorse litoidi emerge sporadicamente nella documentazione
medioevale a partire dalla fine del XIII secolo. Anche se non direttamente riferita
alla zona di Pianura una cava comunale è ricordata in un atto del 1271, la cava
de Olibano nel 1328 (29).
A tale epoca è riferita dal De Criscio la fondazione dell’originario nucleo urbano
di Pianura formato dall’addensarsi delle abitazioni degli operai addetti all’attività
estrattiva delle cave del territorio (30). Nei documenti di epoca angioina il territorio
appare, infatti, ampiamente modificato da stabili nuclei urbani: il toponimo
Planura o Planura majoris è usato per indicare una villa, ossia un più ampio
insediamento de pertinentiis Neapolis; accanto ad esso compaiono diverse località:
Iulianellu, ad Sanctu Nicola, ad Romanos.
Pianura, agli inizi del XIV secolo è attestato come casale della città di Napoli,
collegato ad essa da una via di comunicazione, che nel 1307 viene disposto da
re Carlo II d’Angiò di riparare poiché ruinata ex tempestate aquarum (31). Tale
arteria stradale, secondo la testimonianza del Giustiniani, veniva utilizzata
soprattutto per il trasporto nella capitale partenopea di pietre di piperno, prodotto
tipico dell’attività estrattiva dell’area di Soccavo e Pianura largamente impiegato
nella costruzione degli edifici in epoca angioina e aragonese (32). Giuseppe De
Criscio nel suo saggio sul Comune di Pianura elenca alcune opere architettoniche
napoletane nelle quali è attestato l’uso del piperno della cava di Pianura, tra cui
la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli, oltre a numerosi edifici
residenziali che utilizzarono tale materiale costruttivo per gli elementi decorativi
degli interni e dei prospetti (33). Un particolare sviluppo ebbe, infatti, in età
aragonese l’attività estrattiva nelle cave di Pianura e Soccavo che fornivano il
piperno utilizzato nella nuova murazione della città.
L’entroterra napoletano, in particolare, fu luogo di intensa frequentazione da
parte della corte aragonese e oggetto di interessanti interventi per la realizzazione
di opere infrastrutturali a carattere territoriale sin dalla metà del XV secolo (34).
A tal riguardo basti consultare le località citate nelle Effemeridi del Leostello,
dove sono documentate cavallerizze reali a Caserta e a Marcianise e, tra i luoghi
12 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

utilizzati a scopi venatori, sono nominati per la caccia al cinghiale Arnone, Eboli,
Pianura, Marianella e Giugliano, al cervo Quarto, alle volpi e lepri Foggia e
Cerignola, Pianura per le quaglie, Cuma, Pozzuoli, Monte di Procida per varie altre
cacce (35).
Secondo Bernardo Quaranta, Ferrante d’Aragona fu il primo che “usasse all’opera
del fortificare la pietra detta piperno delle lave di Succavo e Pianura (36), ma
alcuni studiosi hanno notato che di certo anteriore è l’uso del piperno nelle opere
napoletane di architettura civile e religiosa, come dimostrato dal rivestimento
esterno e dalla balaustra interna dell’ospedale della Pace (37).
Con il governo vicereale si registra un tentativo di recuperare le vaste zone incolte
e malariche nelle aree pianeggianti e nelle conche crateriche del territorio flegreo,
ma solo con i Borbone si attuerà un più ampio programma di bonifica della Terra
di Lavoro (38).
Recenti studi riportano brani di documenti che sembrano attestare l’uso del
piperno di Pianura in epoca borbonica nel Real Palazzo di Capodimonte; in
particolare si trascrive ”I piperni e i travertini di gran mole che servivano all’edificio,
essendo delle cave di Pianura, terra posta al di la della montagna di Posillipo
verso Pozzuoli, ebbero con immensa fatica ad essere condotti sulla vetta del
monte allora priva di una comoda ed ampia strada” (39).
Gli studi scientifici dedicati all’analisi della fenomenologia vulcanica, sviluppatisi
soprattutto a partire dalla fine del XVIII secolo, registrano un particolare interesse
per le cave di piperno del territorio di Soccavo e Pianura, fornendo indirette
testimonianze sullo stato dei luoghi a quell’epoca. In particolare Lazzaro Spallanzani,
biologo e professore di storia naturale, pubblicò nel 1825 una relazione sul viaggio
compiuto nel 1788 sui vulcani attivi in Italia, dedicando più di un capitolo all’area
flegrea da lui visitata insieme all’abbate Scipione Breislak, direttore della Solfatara
e professore di mineralogia (40). Quest’ultimo nel 1798 diede alle stampe la
Topografia fisica della Campania nella quale osserva che dal secondo cratere di
Napoli, ossia da Capodimonte, parte il monte delle Donzelle che è una collina
sviluppata nella direzione occidentale la quale forma un considerabil risalto che
dicesi il monte de’ Camaldoli (41). Tra Capodimonte e i Camaldoli, continua
l’abbate, vi è un vasto cratere intermedio, le cui pareti sono in gran parte composte
di pomici e di sostanze incoerenti. L’aspetto dei luoghi è caratterizzato da profondi
valloni, scavati dalle acque fluenti, e dalla presenza dell’eremo dei Camaldoli, da
cui deriva la toponomastica dell’area. A sud ovest di questo cratere vi è quello
di Soccava e ad ovest quello di Pianura. Dai due crateri di Soccavo e Pianura,
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riporta lo studioso, è sortita quella lava di cui si fa molto uso nelle fabbriche
napoletane, meglio conosciuta come piperno. “Essa trovasi nella parte inferiore
della montagna, mentre la superiore è composta di tufo in cui sono racchiuse
frequenti pomici bianche e pezzi erratici di lave. Il Piperno trovasi in un masso
unito come appunto deve essere una corrente di lava. Non ho potuto determinare
la sua altezza, ma credo, che non ecceda i 25 piedi. Poiché le persone addette
allo scavo tagliano la pietra sino alla profondità di 20 piedi, passati i quali trovasi
la pietra stessa fragile, di poca coerenza e che è perciò dagli architetti si rigetta.
Da questo ne segue, che non è possibile il vedere su qual materia posa il Piperno”.
Lo studioso esamina nei dettagli la composizione del piperno della cava di Pianura
notando che si differenzia nettamente dal peperino dei colli Albanesi e Tusculani.
Al piperno di Pianura dedica un’analisi petrografica Guglielmo Guiscardi, primo
titolare della cattedra di geologia presso l’Università di Napoli, nella relazione
letta nella regia Accademia di Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli il 10
agosto 1867 (42). In essa si riporta che è possibile ritrovare il piperno alla profondità
di 90-100 palmi sull’intero dorso di Posillipo e del Vomero in molti luoghi “nel
cavare pozzi”, a Monte Spina presso il lago d’Agnano e sotto ai Camaldoli presso
Pianura e Soccavo “nelle grandi cave che provvedono Napoli d’una delle sue
piuttosto dure pietre da taglio” (43).
Nella seconda metà dell’Ottocento l’estrazione del piperno nelle cave di Pianura
è ancora documentata: nel 1872 vi lavorano 26 operai per 200 giornate lavorative
annue. Ma già nei primi decenni del Novecento a Pianura risulta attiva una sola
cava, da cui nel 1931 vengono estratte 180 tonnellate di piperno (44). Di quest’unica
cava, nel 1935, è attestata una saltuaria attività estrattiva eseguita con tecniche
ormai vetuste (“ancora tutta a mano”) e con alti costi, limitata alla fornitura di
piperno per i restauri di Castel Nuovo e per la Galleria della Vittoria (45).

note
(1) Rilievo geologico dei Campi Flegrei, estratto da «Bollettino del Servizio Geologico d’Italia», vol.
76, Roma 1955, pp. 155-156.
(2) Il sottosuolo di Napoli, Relazione della Commissione di studio, Napoli 1967, pp. 41-42.
(3) Gianni Picone, Da Posillipo a Cuma. Scienza, mito, storia e archeologia sui Campi Flegrei, Napoli
1981, p. 145.
(4) Su Pianura cfr. Nicola Del Pezzo, I Casali di Napoli, in «Napoli Nobilissima», I, 1892, p. 92; Domenico
Chianese, I casali antichi di Napoli, Napoli 1938; Gregorio E. Rubino, Pianura, in Cesare De Seta, I
14 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

casali di Napoli, Roma-Bari 1984, pp. 97-116.


(5) Vito Cardone, L’identità dei Campi Flegrei, in Vito Cardone, Lia Papa, L’identità dei Campi Flegrei,
Napoli 1993, pp. 15-16.
(6) Claude Albore Livadie, Il territorio flegreo: dall’eneolitico al preellenico di Cuma, in Napoli antica,
Napoli 1985, pp. 55-62.
(7) Su Vivara cfr. L’insediamento preistorico di Vivara, in Napoli antica… cit., pp. 35-43.
(8) Enrica Pozzi, Il percorso della mostra tra il Museo di ieri e il Museo di domani, e Claude Albore
Livadie, Cuma Preellenica, in Napoli antica… cit., p. 17 e pp. 62-75.
(9) Ivi, p. 16.
(10) Giovanni Pugliese Carratelli, I Greci in Campania, in “Storia e civiltà della Campania. L’Evo antico”,
a cura di G. Pugliese Carratelli, Napoli 1991, p. 74; Giuliana Tocco Sciarelli, La fondazione di Cuma,
in Napoli antica… cit., pp. 87-90.
(11) Stefano De Caro, Partenope-Palaepolis: la necropoli di Pizzofalcone, in Napoli antica… cit., pp.
99-102.
(12) Ettore Lepore, La vita economica e sociale, in “Storia di Napoli”, vol. I, Napoli 1967, pp. 182-183;
Alfonso Mele, Neapolis, in Napoli antica… cit., pp. 104-106.
(13) Werner Johannowsky, L’organizzazione del territorio in età greca e romana, in Napoli antica…
cit., p. 333.
(14) Werner Johannowsky, Contributi alla topografia della Campania antica. La via Puteolis-Neapolim,
in «Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli», XXVII, Napoli 1952, pp.
83-143.
(15) Mario Napoli, Napoli greco-romana, Napoli 1959, pp. 112, 115; Roberto Di Stefano, Distribuzione
delle cavità rispetto al territorio urbano, in Il sottosuolo…cit., pp. 121-122.
(16) Cfr. Domenico Mallardo, La via Antiniana e le memorie di San Gennaro, in «Accademia di Archeologia,
Lettere e Belle Arti», XVI, Napoli 1939.
(17) Antonio e Michele Scherillo, I Campi Flegrei e la stratigrafia napoletana, Napoli 1990, p. 18 nota
4, p. 48 nota 26.
(18) Da Napoli alla Solfatara, in I Campi Flegrei un itinerario archeologico, a cura di Paolo Amalfitano,
Giuseppe Camodeca, Maura Medri, Venezia 1990, p. 21.
(19) Rosario Mele, Salvatore Varchetta, Pianura angolo dei campi Flegrei, snt, 1992, pp. 65-66.
(20) Salvatore Di Fusco, Notizie storiche di Pianura, s.n. 1914; integralmente riportato in Rosario Mele,
Salvatore Varchetta op. cit., p. 102.
(21) Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, Tomo VII, Napoli 1804,
p. 175.
(22) Vincenzo Ambrogio Galdi, Sull’antichità di Pianura, uno de’ 37 casali della fedelissima città di
napoli, e sulle vetuste scritture…dissertazione recitata in un congresso arcaico tenuto a 29 ottobre
1794 del conte Eumelo Fenicio, Napoli 1795.
(23) La testimonianza è riferita al ritrovamento di un tratto dell’antica murazione rinvenuto nei pressi
di San Domenico e rilevato dall’architetto Francesco Pachiatti (sic.), più propriamente Picchiatti, i cui
disegni erano conservati nel museo del conte di Pianura. Cfr. Karl Julius. Beloch, Campania. Storia e
topografia della Napoli antica e dei suoi dintorni, edizione a cura di Claudio Ferone e Giovanni Pugliese
Carratelli, Napoli 1989, p. 81.
(24) Da Napoli alla Solfatara…cit., pp. 21, 23.
(25) Giuseppe De Criscio, Cenni storici sul Comune di Pianura, Pozzuoli 1911, p. 5, citazione tratta
WP1 | Storia 15

da Giovanni Diacono, Cron. Episcop. Neapolit.


(26) Per i documenti citati vedi il regesto allegato.
(27) Monumenta ad Neapolitani Ducatus Historiam pertinentia, a cura di Bartolomeo Capasso, Tomo
II, Napoli 1892, p. 173.
(28) Monumenta, II, pp. 180-181.
(29) Amedeo Feniello, Per la storia di Napoli angioina: la collina di Posillipo, in Ricerche sul Medioevo
napoletano, a cura di Alfonso Leone, Napoli 1996, p. 35.
(30) Giuseppe De Criscio,, op. cit., p. 6.
(31) Vedi il regesto.
(32) Lorenzo Giustiniani, op. cit., p. 176.
(33) Giuseppe De Criscio,, op. cit., p. 9.
(34) Danila Jacazzi, Sperimentazione e diffusione dell’architettura del classicismo: idee, modelli e artisti
nella Campania del Quattrocento, in Architettura del classicismo tra Quattrocento e Cinquecento.
Campania. Saggi, a cura di Alfonso Gambardella e Danila Jacazzi, Roma 2007, p. 25.
(35) Effemeridi delle cose fatte per il Duca di Calabria (1484-1491) di Joampiero Leostello Da Volterra
da un Codice della Biblioteca Nazionale di Parigi, in Gaetano Filangieri, Documenti per la storia le arti
e le industrie delle provincie napoletane, Tipografia dell’Accademia Reale delle Scienze, vol. I, Napoli
1883; p. LXXI.
(36) Napoli e luoghi celebri delle sue vicinanze, Napoli 1845, p. 213.
(37) Francesco Penta, I materiali da costruzioni dell’Italia Meridionale, vol. I, Napoli 1935, p. 67.
(38) Gregorio E. Rubino, op. cit., pp. 103-104.
(39) Citazione, priva di riferimento, riportata in Rosario Mele, Salvatore Varchetta, op. cit.. 56.
(40) Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino di Lorenzo Spallanzani, tomo I, Milano
1825, pp. 57-119.
(41) Topografia fisica della Campania di Scipione Breislak, Firenze 1798, pp. 225-233.
(42) Vito A. Sirago, L’opera culturale di Guglielmo Guiscardi nel primo ventennio dell’Unità d’Italia,
estratto da «Studi Storici Meridionali», anno V, sett.-dic. 1985.
(43) Guglielmo Guiscardi, Il Piperno, in Rendiconto della Regia Accademia delle Scienze Fisiche e
Matematiche di Napoli, anno VI, fasc. 2, Napoli 1867, pp. 221- 226.
(44) Vito Cardone, Le attività estrattive, in Vito Cardone, Lia Papa, op. cit., p. 78.
(45) Francesco Penta, op. cit., p. 67.
16 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

Regesto delle fonti storiche

591-641 Arechi II duca di Benevento dona il territorio di Pianura alla chiesa di


San Gennaro ad corpus, eretta presso le mura della città di Napoli Sub eodem
quoque Autistite Beneventanus Princeps inter multa alia obtulit in Ecclesia anuarii
per praecepti feriem locum, qui Planuria nominatur, cum amnibus rebus…(G. De
Criscio, Cenni storici sul Comune di Pianura, Pozzuoli 1911, p. 5; R. Mele, S.
Varchetta, Pianura angolo dei campi Flegrei, snt, 1992, p. 69 citazione tratta da
G. Diacono, Cron. Episcop. Neapolit.).

961 30 novembre: Iohannes liverus dona alla Congregazione della chiesa di S.


Pietro integram unam terram arbustatam cum intersico suo positam in loco, qui
nominatur Planaria maiorem ad S. Donatum. (Monumenta ad Neapolitani Ducatus
Historiam Pertinentia, a cura di B. Capasso, Napoli 1885, Tomo II, p. 88).

965 21 dicembre: Petrus e Iohannes Gennari habitatores in Planaria maiore


promettono di concedere a Stephano figlio del q. Leonis superiora domus, quod
est cammara antiquam…posita intus anc civitate Neapolis in regione Summa
platea. (Monumenta, II, p. 102).

996 20 agosto: Philippus Abbate del Monastero di S. Sebastiano di Napoli concede


a Johanni Sige e Petro de Samura habitatores Planuriae sei appezzamenti di terra
in loco qui nominatur Campana territorii Puteolani. (D.A. Chiarito, Commento
istorico-critico diplomatico sulla costituzione De instrumentis conficiendis per
curiales dell’imperador Federigo II, Napoli 1772, p. 176).

996 23 agosto: Iohannes Gige et Petrus De Mauro habitator in loco qui vocatur
Prepontianum, territorio planaria maiore, ricevono da D. Filippo igumeno del
monastero dei SS. Sergio e Bacco tres petias de terra posita in loco, qui vocatur
Campana, territorio Puteolano, una cum puteo aque vive et cum gripti et cum
introitas suas. (Monumenta, II, pp. 180-181).

1196 6 maggio: Cartula venditionis con la quale Gaita, figlia del fu Sergio de
Cancellum vende ad Anna, monaca nel monastero di San Gregorio Maggiore di
WP1 | Storia 17

Napoli, una terra campisi sita in loco qui nominatur Planura Maiore, nel luogo
detto As media planuria. (R. Pilone, Le pergamene di San Gregorio Armeno (1141-
1198), Salerno 1996, pp. 132-134).

Sec. XIII: a tale epoca è riferita dal De Criscio la fondazione dell’originario nucleo
urbano di Pianura formato dall’addensarsi delle abitazioni degli operai addetti
all’attività estrattiva delle cave del territorio. (G. De Criscio, op. cit., p. 6).

1206 5 dicembre: Sergio Gaitano vende a Stephano de Ginnaro la metà di due


appezzamenti di terreno posti in loco qui nominatur Planuria Maiore, di cui uno
in località Iulianellu, l’altra ad Sanctu Nicola ex ipso loco Planuria. (C. Vetere, Le
pergamene di San Gregorio Armeno. II (1168-1265), Salerno 2000, pp. 27-29).

1245 A tale data viene riferita l’inizio dello sfruttamento delle cave di Pianura.
(R. Mele, S. Varchetta, op. cit., p. 70)

1270 In un diploma di Carlo I è riportato villa planurie de pertinentiis Neapolis.


(Registri Angioini dell’Archivio della Zecca di Napoli, anno 1270 f. 15 a t.).

1299-1330 Nel registro di Guillelmi de’ Recuperantia capitano della città di Napoli
è riportato che Pianura, tra i casali di Napoli posti sotto il governo del magistrato
Johannis de Oferio, è tenuta al pagamento di “tareni duo”. (I fascicoli della
Cancelleria Angioina ricostruiti dagli archivisti napoletani, vol. I, Napoli 1995, p.
20).

1307 Il re Carlo II d’Angiò fa riparare la strada, ruinata ex tempestate aquarum,


che da Napoli conduce al casale di Pianura. (Registri ..anno 1307, f. 349).

1309 Re Roberto ordina al Capitano di Napoli di rifare le strade che da Napoli


conducono a Pianura rese inaccessibili dalle continue piogge. (Registri ..anno
1309).

1317 In un diploma di re Roberto si impone al Capitano di Napoli di rifare la via


qua de dicta civitate Neapolis itur ad Casale Planurii. (Registri ..anno 1317 e 1318,
f. 282).
18 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

1319 In un diploma di Carlo Duca di Calabria è registrato item petia terre sita in
loco ubi dicitur ad Romanos super villam Planure majoris, de pertinentiis Neapolis.
(Registri ..anno 1319 e 1320, f. 145).

1343 Re Roberto ordina al Capitano di Napoli di rifare le strade che da Napoli


conducono a Pianura rese inaccessibili dalle continue piogge. (Registri ..anno
1343).

1428 22 aprile: Angelino de Caro, piperniere, fornisce piperni a Tristano Caracciolo


per le sue case in Napoli a Rua Catalana. (Prot. di Not. Jacopo Russo a. 1428, a
c. 25; da G. Filangieri, Indice degli artefici delle arti maggiori e minori, Napoli
1891, vol. I, p. 98).

1446 11 novembre: Nardello Cafaro di Cava, piperniere e maestro di muro,


promette a messer Perdicasso Basile Conte di Monteodorisio di fargli piperni
lavorati per il suo ospizio in Platea Capuana. (Prot. di Not. Jacopo Ferrillo a. 1443-
44, a c. 44; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, pp. 76-77).

1464 Evaristo di Sanseverino, maestro di pietre, stima alcuni lavori in piperno che
maestro Rubino Cioffo esegue per le case di Angelo Como in Napoli. (Prot. di Not.
Raguzzo a. 1464, a c. 22; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 417).

1470 5 agosto: Jacobo de Cireno, maestro di pietra, promette ad Antonello Petrucci


di fabbricare un arco di piperni con volta nel suo palazzo. (Prot. di Not. Ciro
Santoro a. 1470-71, a c. sn; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 127).

1470 Dalla cava di Pianura viene estratto il piperno necessario per la costruzione
della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli. (G. Filangieri, Indice, IV,
p. 60).

1477 6 marzo: Berardino de Martino di Napoli, piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), prende a bottega Loyse de Paradiso per appararvi l’arte. (Prot. di
Not. Francesco Russo a. 1476-77, a c. 70; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, pp.
132-134).

1479 Jaymo Sagrera di Magliorica, piperniere, stipula una convenzione con il


WP1 | Storia 19

Conte di Fondi, Onorato Gaetani, per la fornitura di 24 colonne di piperno con


le loro basi, da servire per il chiostro del Monastero di San Francesco di Fondi.
(Prot. di Not. Cesare Malfitano a. 1478-79 a c. 113; da G. Filangieri, Indice …cit.,
vol. II, p. 404).

1479 5 febbrajo: Jaymo Sagrera di Magliorica, piperniere, vende 1500 palmi di


piperni lavorati al Conte di Fondi, da servire per i gradini innanzi la chiesa di San
Francesco di Fondi. (Prot. di Not. Cesare Malfitano a. 1478-79 a c. 104; da G.
Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 404).

1481 Jacobo de Martino, fratello di Berardino, intagliatore di pietre, è uno dei


periti dei lavori in piperno eseguiti nella chiesa dell’Annunziata di Napoli, da
maestro Ronaldo de Sio di Cava. (Lib. Maggiore della SS. Annunziata, a. 1481
foglio 51; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 135).

1481 Jacobo de Martino, fratello di Berardino, intagliatore di pietre, riceve ducati


166 per 1682 palmi di piperno, da utilizzare per i pilieri e gli archi innanzi alla
porta della chiesa dell’Annunziata di Napoli, e ducati 18 per i piperni innanzi
all’arco con li pileri et a le due finestre del paradiso, et alla porta del Cellaro. (Lib.
Maggiore della SS. Annunziata, a. 1481 foglio 51; da G. Filangieri, Indice …cit.,
vol. II, p. 135).

1484 Secondo Bernardo Quaranta, Ferrante d’Aragona fu il primo che “usasse


all’opera del fortificare la pietra detta piperno delle lave di Succavo e Pianura”.
(Napoli e luoghi celebri delle sue vicinanze, Napoli 1845, p. 213).

1484 9 aprile: Roberto de Conforti di Cardanico, tagliamonte, insieme a Bonifacio


de Franco e Cola Bisante, del pari tagliamonti, si obbliga per la fornitura di 700
palmi di piperno di Succavo per la fabbrica di una scarpa alla casa di Messer
Maczeo Ferrillo, conte di Muro. (Prot. di Not. Cesare Malfitano, a. 1483-84, c.
196; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, pp. 135-136).

1487 12 luglio: Luigi Cossa di Napoli, piperniere, vende a messer Antonio Latro
una partita di piperni per le nuove mure della città di Napoli. (Prot. di Not.
Francesco Russo a. 1487, a c. 149; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 143).
20 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

1487 12 luglio: Andrea Faneta detto Andreuzzo di Napoli, piperniere, vende al


Magnifico Antonio Latro, per la nuova costruzione delle mura di Napoli, una
partita di piperni. (Prot. di Not. Francesco Russo, a. 1487a c. 419; da G. Filangieri,
Indice …cit., vol. I, p. 187).

1487 28 settembre: Leonardo de Siano di San Severino, intagliatore di pietra,


vende a messer Antonio Latro, capo dei deputati addetti alla costruzione delle
nuove mura della città di Napoli, 20000 palmi di pietre di piperno. (Prot. di Not.
Francesco Russo a. 1487-88, a c. 32; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 444).

1487 11 dicembre: Andrea Fanetta detto Andruzzo di Napoli, piperniere, insieme


a Bonisanno de Martino, vende ad Antonio Latro 40000 pietre di piperno per la
medesima ragione. (Prot. di Not. Francesco Russo a. 1487, a c. 149; da G. Filangieri,
Indice …cit., vol. I, p. 143).

1487 11 dicembre: Berardino de Martino di Napoli, piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), vende a messer Antonio Latro 20000 palmi di pietre del monte di
Soccavo per la fabbrica delle mura della città di Napoli. (Prot. di Not. Francesco
Russo a. 1487-88, a c. 137, da G. Filangieri, Indice degli artefici delle arti maggiori
e minori, Napoli 1891, vol. II, pp. 132-134).

1488 11 febbraio: Luigi Cossa di Napoli, piperniere, vende ad Antonio Latro per
la ragione suddetta palmi 20000 di piperno. (Prot. di Not. Francesco Russo a.
1487, a c. 149; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 143).

1489 10 febbraio: Berardino de Martino di Napoli, piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), prende a lavorare nella propria bottega Nardello de Cioffo di Vico.
(Prot. di Not. Francesco Russo a. 1487-88, a c. 137; da G. Filangieri, Indice …cit.,
vol. II, pp. 132-134).

1490 20 gennaio: Ferraro Panuzio di Cava, fabbricatore e intagliatore di pietre,


insieme a Sargano Ferraro, fabbricatore e intagliatore di pietre, vende e messer
Antonio Latro palmi 50000 di pietre di piperno del monte di Soccavo per la
costruzione delle mura di Napoli. (Prot. di Not Francesco Russo, a. 1489-90, a c.
173; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 201).
WP1 | Storia 21

1490 9 giugno: Berardino de Martino di Napoli piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), mutua a Geronimo d’Amato di Napoli ducati 20 che questi promette
escomputare in lavoro di piperniere, fino alla estinzione di detta somma. (Prot.
di Not. Cesare Malfitano a. 1489-90, a c. 305; da G. Filangieri, Indice …cit., vol.
II, pp.132-134).

1490 16 giugno: Leonetto di San Severino, incisore di pietre, vende al magnifico


Antonio Latro tutta quella quantità di piperni necessari alla costruzione di due
partite di mura della città di Napoli. (Prot. di Not. Francesco Russo a. 1490-91,
a c. 363; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 417).

1491 20 luglio: Berardino de Martino di Napoli,piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), stipula una quietanza per le somme da lui ricevute per il prezzo
delle pietre di piperno fornite per l’opera di rivestimento del campanile di San
Lorenzo Maggiore di Napoli. (Prot. di Not. Cesare Malfitano a. 1489-90 a c. 383;
da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, pp. 132-134).

1491 23 luglio: Berardino Constabile di San Severino dichiara di aver ricevuto


ducati 4 per 500 palmi di pietre di piperno lavorate e poste in opera nella cappella
di San Matteo nella piazza di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli. (Prot. Di
Not. Cesare Malfitano a. 1490-1491, a c.389; da G. Filangieri, Indice …cit., vol.
I, p. 137).

1494 4 marzo: Berardino de Martino di Napoli, piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), vende a Giovanni Ricca alcuni piperni lavorati alla piana per le sue
case a Porta Capuana. (Prot. di Not. Francesco Russo a. 1493-94 a c. 155; da G.
Filangieri, Indice …cit., vol. II, pp. 132-134).

1494 4 aprile: Berardino de Martino di Napoli, piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), riceve ducati 30 per la fornitura di piperni per l’opera del campanile
di San Lorenzo Maggiore di Napoli. (Prot. di Not. Cesare Malfitano a. 1492-93 a
c. 155; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, pp.132-134).

1494 7 aprile: Berardino de Martino di Napoli, piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), stipula un società con varii maestri pipernieri per i lavori alla scarpa
del frontespizio dell’Orto del Bulgaro, detto l’Orto del Paradiso. (Prot. di Not.
22 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

Francesco Russo a. 1493-94 a c. 193; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, pp. 132-
134).

1494 7 aprile: Panuzio Ferraro di Cava, fabbricatore e intagliatore di pietre, stipula,


insieme ad altri pipernieri, una convenzione con maestro Berardino de Martino
per i lavori alla scarpa del frontespizio dell’orto del Bulgaro, detto l’Orto del
Paradiso. (Prot. di Not. Francesco Russo a. 1493 c. 193; da G. Filangieri, Indice
…cit., vol. II, p. 201).

1494 10 aprile: Panuzio Ferraro di Cava, fabbricatore e intagliatore di pietre,


stipula una quietanza per sé e per gli altri maestri di muro per 100 ducati ricevuti
in conto delle fabbriche da farsi dalla piazza del Formello sino a Poggioreale in
Napoli. (Prot. di Not. Nic. Ambrogio Casanova, a. 1494, a c. 96; da G. Filangieri,
Indice …cit., vol. I, p. 201).

1495 14 maggio: Luca de Franco di Napoli, piperniere, vende a Luigi Macedono


di Napoli per la sua casa 1500 palmi di piperno lavorato metà piano e metà a
cordone. (Prot. di Not. G. Antonio Cesario a. 495, a c.136; da G. Filangieri, Indice
…cit., vol. I, p. 232).

1495 24 giugno: Luca de Franco di Napoli, piperniere, conviene col Rev. Petruccio
di Barletta, priore del monastero di S. Pietro a Majella, di vendergli la pietra di
piperno occorrente al compimento della fabbrica della chiesa. (Prot. Di Not. Cesare
Malfitano a. 1494-1495, a c.274; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 232).

1496 8 marzo: Berardino de Martino di Napoli, piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), stupila una convenzione con il magnifico Giovan Battista Cicinello
di Napoli, procuratore di San Lorenzo Maggiore e con il magnifico Antonio Russo,
per tutti i lavori di piperno da fornire all’opera del campanile della chiesa fino
alla cornice di coronamento del secondo ordine. (Prot. di Not. Cesare Malfitano
a. 1595-96 a c. 154; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, pp. 132-134).

1497 30 gennaio: Luca de Franco di Napoli, piperniere, vende a Franco della Gatta
per la sua casa in Napoli una porta in Piperno e sei finestre del pari di piperno,
la porta per ducati16 e le finestre per ducati 5 ciascuna. (Prot. Di Not. Cesare
Malfitano a. 1494-1495, a c.274; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 232).
WP1 | Storia 23

1499 11 giugno: Michele di Franco, piperniere, vende a messer Alfonso Caracciolo


tutta quella quantità di piperni lavorati che occorrevano all’opera delle sue case
al vico Barrili in sedil capuano. (Prot. di Not. Ambrogio Casanova a. 1498-99, a
c. 329; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 232).

1499 17 settembre: Anello e Paolo Russolillo contraggono società per la durata


di anni quattro, con Luca de Franco, del pari piperniere. (Prot. di Not. Aniello
Giordano a. 1499, a c. 456; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 392).

1500 28 febbraio: Michele di Franco, piperniere, si obbliga con i maestri della


Santa Casa dell’Annunziata di Napoli di fornire tutta quella quantità di piperni
di Soccavo necessari alla costruzione del chiostro superiore a quello delle donne.
(Prot. Di Not. Francesco Russo a. 1499-1500, a c.108, da G. Filangieri, Indice …cit.,
vol. I, p. 232).

1500 5 novembre: Panuzio Ferraro di Cava, fabbricatore e intagliatore di pietre,


dichiara di aver realizzato alcune fabbriche per le mure della città di Napoli in
cambio delle quali riceve ducati 50. (Prot. di Not. Giov. Majorana, a. 1500-01, a
c.68; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 201).

1500 19 dicembre: Berardino de Martino di Napoli piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), stipula quietanza per l’opera del campanile di San Lorenzo Maggiore
di Napoli. (Prot. di Not. Cesare Malfitano a. 1500-01 a c. 125; da G. Filangieri,
Indice …cit., vol. II, pp. 132-134).

1504 17 luglio: Salvatore Sacrera, piperniere, vende piperni lavorati a messer Vito
Pisanelli per le sue casa in Sedile di Montagna nella Parrocchia di Sant’Angelo
a Segno in Napoli. (Prot. di Not. Giovanni Majorano a. 1503-04, a c. 189; da G.
Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 438).

1504 11 dicembre: Luca de Franco di Napoli, piperniere., vende a Camillo Mercatante


per la sua casa di Napoli una porta di piperni bianchi larga palmi otto e mezzo
ed alta quindici con tre bastoni simile a quella di messer Novello Paparo in Porta
Nolana di Napoli. (Prot. Di Not. Jeronimo Ingrignetti a. 1504-1505, a c.99,; da
G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 232).
24 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

1505 16 marzo: Leonardo de Siano di San Severino, piperniere, vende dpiperni


lavorati, nonché una porta di piperno, larga palmi sette ed alta undici, a messer
Vincenzo de Laudato di Gaeta. (Prot. di Not. Geronimo Ingrignetti a. 1504-05, a
c. 159; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 444).

1506 21 aprile: Berardino de Martino di Napoli, piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), vende piperni lavorati all’opera del Monastero di San Gaudioso in
Napoli. (Prot. di Not. Cesare Malfitano a. 1505-06 a c. 263; da G. Filangieri, Indice
…cit., vol. II, pp. 132-134).

1507 11 gennaio: Berardino de Martino di Napoli, piperniere, architetto e scultore


(1477-1508), stupila un’altra quietanza per l’opera del campanile di San Lorenzo
Maggiore di Napoli. (Prot. di Not. Cesare Malfitano a. 1507-08 a c. 123, da G.
Filangieri, Indice …cit., vol. II, pp. 132-134).

1544 13 novembre: Martino Vitale di Napoli, piperniere, fornisce piperni a Donna


Lucrezia Villaut per la costruzione del suo palazzo in Napoli. (Prot. di Not.
Giovangiacomo Cavaliere a. 1544-45, a c. 110; da G. Filangieri, Indice …cit., vol.
II, p. 513).

1545 25 febbraio: Francesco de Sarti di Cesena, piperniere, si pone a bottega con


maestro Nicola de Vassallo di Napoli, piperniere, per la durata di un anno. (Prot.
di Not Giov. Giacomo Cavaliero a. 1544-45, a c. 228; da G. Filangieri, Indice …cit.,
vol. II, p. 427).

1545 12 maggio: maestro Jacobo de Franco di Napoli promette fornire al magnifico


Pinello tutti i piperni che occorrevano alle sue case, in Piazza Pignatelli, di quella
quantità, grandezza e lavoro che verrà ordinato da Giovan Francesco de Palma
alias Mormando. (Prot. di Not. Giov. Giacomo Cavaliere a. 1544-45, a c. 245; da
G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, pp. 236-37).

1545 5 giugno: Pier Francesco di Napoli, piperniere, conviene con messer Sigismondo
di Orlando di Napoli di vendergli tutta quella quantità di piperni necessari alla
costruzione delle sue case. (Prot. di Not. Giov. Giacomo Cavaliere a. 1544-45, a
c. 307; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 211).
WP1 | Storia 25

1545 13 novembre: Martino Vitale di Napoli, piperniere, contratta con Pinelli per
la fornitura e lavoratura di piperni occorrenti alla costruzione di una villa a
Giugliano. (Prot. di Not. Pietro Cannabario a. 1544-45, a c. 69; da G. Filangieri,
Indice …cit., vol. II, p. 513).

1545 15 novembre: maestro Martino Vitale di Napoli, piperniere, si obbliga di


fornire piperni per le case del magnifico messer Cosimo Pinelli lavorati giusta le
propozioni date dal de Palma. (Prot. di Not. Giov. Pietro Cannabario a. 1545-47
a c. 251,; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, pp. 236-37).

1545 15 settembre: Jacobo de Franco di Napoli, piperniere, conviene con il priore


della chiesa dei Santi Severino e Sossio di Napoli, D. Lorenzo da Verosa, per la
vendita di quella quantità di piperni necessari alle costruzioni di detta chiesa.
(Prot. di Not. G. Giacomo Cavaliero a. 1544-45 a c.284; da G. Filangieri, Indice
…cit., vol. I, p. 231).

1547 18 luglio: Martino Vitaya, piperniere, conviene con Giovan Francesco de


Guido, Procuratore del Monastero di Santa Patrizia di Napoli per la vendita della
quantità di piperni lavorati chesarà ordinata da Messer Giovan Francesco de Palma
per la tribuna della chiesa di detto Monastero. (Prot. di Not. Giandomenico de
Maria a. 1546-47, a c. 144; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 517).

1548 21 dicembre: Martino Vitale di Napoli, piperniere, viene citato in un rogito


nel quale Bernardino Pacifico di Napoli conviene col Procuratore del Duca di
Gravina per la fornitura dei piperni della sua casa di Soccavo da fornirsi da
MartinoVitale. (Prot. di Not. Giov. Domenico de Maria a. 1548-49, a c. 170; da
G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 513).

1549 3 maggio: Geronimo de Pacifico di San Severino, piperniere, conviene con


il procuratore di Santa Patrizia per la consegna di quella quantità di piperni delle
cave di Soccavo, di proprietà di maestro Bernardino Pacifico, che occorrerà per
detto Monastero. (Prot. di Not. Giov. Domenico de Maria a. 1549-50, a c. 55 da
G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 230).

1555 18 giugno: Geronimo de Pacifico di San Severino, piperniere, vende a messer


Domenico Candido di Napoli tre “steffii ovvero spallette di piperno per bottega”
26 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

di varia misura. (Prot. di Not. Giovan. Antonio Maistri, a. 1554-55 a c. 180; da


G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 230).

1556 18 maggio: Jacobo de Franco di Napoli, piperniere, promette di consegnare


a Berardino Canpulo vari pezzi di piperno lavorato per le nuove case che esso
Berardino costruisce alla Vicaria Vecchia. (Prot. di Not. Domenico Polumbo a.
1555-56 a c.169; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 231).

1560 12 marzo: Giovan Antonio de Siano di Napoli, piperniere, vende alle suore
di San Gaudioso di Napoli quella quantità di piperni bianchi lavorati necessari
al lavoro di una porta simile a quella di Santa Maria delle Grazie Maggiore di
Napoli. (Prot. di Not. Giacomo Aniello della Porta a. 1560-76, a c. sn; da G.
Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 443).

1562 Il vescovo di Pozzuoli Matteo Castaldo conferisce al canonico decano di


Pozzuoli, D. Francesco Russo, il bneficio ecclesiastico di S. Cosmo e di S. Egidio
nel casale di Pianura. (G. De Criscio, op. cit., p. 12).

1567 15 aprile: Antonio d’Anfora di Napoli, piperniere, si obbliga di fornire ad


Egidio de Tappia tutti i piperni lavorati secondo i disegni di Giovan Francesco
Palma alias Mormando, occorrenti alla fabbrica del palazzo di esso Tappia in via
Toledo. (Prot. di Not. Aniello Rosanova a. 1566-67, a c.326; da G. Filangieri, Indice
…cit., vol. I, p. 18).

1568 25 maggio: Giovan Ferrante Pacifico, piperniere, si obbliga di consegnare


a Giovan Leonardo Barba tutti i piperni lavorati occorrenti per l’edificio da farsi
sulle botteghe di essi fratelli Barba a Forcella. (Prot. di Not. Giov. Antonio de
Ruggiero, a. 1568 a c. 633; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 230).

1570 16 dicembre: Giovan Ferrante Pacifico, piperniere, riceve da Silvestro Scoppa


ducati undici, a compimento di ducati 40 per certa quantità di piperni vendutigli.
(Prot. di Not. Giov. Antonio de Ruggiero, a. 1568 a c. 633; da G. Filangieri, Indice
…cit., vol. II, p. 230).

1572 10 luglio: Paolo Saggese di Napoli, piperniere, vende ai governatori


dell’Arciconfraternita dello Spirito Santo tutte le pietre occorrenti “per lo cornicione
WP1 | Storia 27

et frontespizio dell’Ecclesia quale venerà alla faccia de la porta de detta ecclesia.


Et cossì ancora per lo cornicione che venerà intorno della faccia de fore de detta
ecclesia, de prete de Caczano de Sorrento che la radecha forte et tutto de uno
colore … et ben lavorate … A ragione de carlini decenove per qualsevoglia canna
dello cornicione. Et de arcotravo ad ragione de carlini trenta il centenaro delli
palmi…de cacciata lo cornicionee dui palmi et mezzo”. (Prot. di Not. Cristoforo
Cerlone a. 1571-72, a c. 254; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 403).

1573 13 settembre: Paolo Saggse di Napoli, piperniere, promette ai Governatori


dell’Arciconfraternita dello Spirito Santo di fornir loro tutta quella Quantità di
pietra che sarà necessaria “per lo cornicione che venerà intorno alla ecclesia de
dentro, de prete de Caczano de Sorrento de la radica, che siano tutte d’uno colore
con forme bone et perfette. Et le promette consignare lavorate de quello lavore
che è già incomentate una preta de piperno che sta dentro detta ecclesia. Et
secondo il disegno datogli per maestro Vincenzo della Monica”. (Prot. di Not.
Cristoforo Cerlone a. 1572-74, a c. 10; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 403).

1582 29 gennaio: Paolo Saggese di Napoli, piperniere, promette di consegnare


a Luca Balestriero di Napoli, “uno cantone di palmi quattro et mezzo per faccie
due de palmi dui de bocca d’opera, alto palmi dudici: uno staffio de tre palmi in
faccie et dui palmi de bocca d’opera, alto palmi tredici … una porta tonna
squarciata de palmi dui de bocca d’opera, ed altri piperni lavorati”. (Prot. di Not.
Cristoforo Cesare Rosanova a. 1582 a c.39; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II,
p. 403).

1582 10 marzo,: Ausilio Coragio, piperniere, promette a Fabrizio Reale di fornirgli


t quella quantità di piperni lavorati necessari per la fabbrica di talune case alla
piazza di Don Pietro in Napoli. (Prot. di Not. Giulio Cesare de Ruggiero a. 1582,
a c.9; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 139).

1585 21 maggio: Ausilio Coragio, piperniere, si obbliga a fornire a Scipione Riccio


di Napoli tutti i piperni lavorati occorrenti per la casa in costruzione di esso
Scipione sita nella piazza del Seggio di Nilo prope Ecclesiam Sancti Jannerelli.
(Prot. di Not. Cesare de Ruggiero a. 1585, a c.326; da G. Filangieri, Indice …cit.,
vol. I, p. 139).
28 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

1585 20 luglio: Dionisio Cassano di Napoli, piperniere, prende a bottega Vincenzo


Scarano di San Severino. (Prot. di Not. Pompeo de Angelis a. 1584-85, a c.360;
da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 105).

1587 20 marzo: Marzio de Curzio di Napoli, piperniere, si obliga di fornire al


monastero di Sant’Agnello Maggiore tutti i piperni necessari per la fabbrica del
monastero. (Prot. di Not. Luigi Giordano a. 1587, a c.77; da G. Filangieri, Indice
…cit., vol. I, p. 157).

1587 27 marzo: Arcangelo d’Alessio, piperniere napoletano, cede a Mario Fiorenza,


piperniere, la costruzione della chiesa di Mugnano. (Prot. di Not. Aniello Rosanova
a. 1586-87, a c.184; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, pp. 212-213).

1589 25 gennaio: Giuseppe Gantiero di San Severino, piperniere, promette al


priore ed ai monaci di Montevergine in Napoli di fornir loro quella quantità di
piperni necessaria alla fabbrica del monastero e della chiesa. (Prot. di Not. Giulio
Cesare de Ruggiero a. 1589 a c.289; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. I, p. 278).

1591 5 gennaio: Giovan Angelo Lanzetta di Napoli, piperniere, prende in fitto da


Claudia Bianca, vedova di Marcantonio de Francesco, il monte dove dicesi de la
Cerquella nella terra di Soccavo, per cavare piperni. (Prot. Di Not. Aniello Rosanova,
a. 1590-92, a c. 159; da G. Filangieri, Indice …cit., vol. II, p. 51).

1601 5 giugno: Il rettore della Chiesa di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone
lamenta grosse difficoltà a reperire il materiale lapideo necessario al completamento
della chiesa perché tutto il piperno che si cavava a Pianura e Soccavo era utilizzato
per la costruzione del palazzo reale ( R. Ruotolo, Documenti sulla chiesa di S.
Maria degli Angeli a Pizzofalcone, in «Napoli Nobilissima», VII, 1968, pp. 219, 222).

1620 Il vescovo di Pozzuoli, Mongiojo Galatino, dona alla chiesa parrocchiale di


Pianura le reliquie di San Giorgio Martire. (R. Mele, S. Varchetta, op. cit., p. 75).

1632 L’umanista e archeologo francese Jean Jacques Bouchard, in viaggio in


Italia, ricorda le cave di Pianura dalle quali si estrae tutto il piperno che viene
trasportato a Napoli ( J.J. Bouchard, Les confessions de Jean-Jacques Bouchard:
WP1 | Storia 29

publiees pour la premiere fois sur le manuscrit de l'auteur, suivies de son voyage
de Paris a Rome en 1630, Paris 1881).

1637 5 giugno: Pianura è compresa tra i casali della città di Napoli che presentarono
una protesta al vicerè contro l’editto che consentiva la vendita dei casali demaniali.
(R. Mele, S. Varchetta, op. cit., p. 72).

1670 Pianura rientra tra i XXVII casali di Napoli, cui erano riconosciuti privilegi
relativi alla tassa del focatico. (G. De Criscio, op. cit., p. 6).

1678 Il casale di Pianura viene venduto in feudum dalla Real Camera della
Sommaria per 5800 ducati al barone D. Francesco Antonio Grasso (o Grassi);
vendita ratificata con real assenso nel 1688. (G.E. Rubino, Pianura, in C. De Seta,
I casali di Napoli, Roma-Bari 1984, p. 102).

1680 Al barone D. Francesco Antonio Grasso succede il figlio Lorenzo Grasso. (G.
De Criscio, op. cit., p. 6).

1684 10 maggio: Mariano Figliolino di Napoli, piperniere, stipula una convenzione


con il Padre Celestino Tireno, abate di San Pietro a Majella in Napoli, per una
balaustrata da farsi sul cornicione del chiostro nuovo in pietra di Sorrento e
piperno giusta i disegni di maestro Antonio Galluccio. (Prot. di Not. Gennaro de
Grisi a. 1684, a c.70; da G. Filangieri, Documenti…cit., vol.II, p. 430; vol. I, p. 208).

1711 Diviene barone di Pianura Bartolomeo Grasso, conte Palatino del Sacro
Roamno Impero. (R. Mele, S. Varchetta, op. cit., p. 76).

1722 1 marzo: muore a Pianura il barone D. Bartolomeo Grasso e gli succede


Francesco Enrico Grasso. (G. De Criscio, op. cit., p. 13).

1732 Giuseppe Coppola è regio governatore del casale di Pianura. (G. De Criscio,
op. cit., p. 13).

1739 22 ottobre: secondo il Giustiniani a tale data risalirebbe una frana fra le
più memorabili della cava di Pianura, che provocò la morte di undici operai addetti
allo scavo di piperno per le fabbriche di Capodimonte e Portici rimasti intrappolati
30 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

nelle gallerie. (L. Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli,


Tomo VII, Napoli 1804, p. 177).

1741 Papa Benedetto XIV dona al rev. Gennaro Sperandio alcuni benefici
ecclesiastici, tra cui quelli di San Giorgio Martire a Pianura. (R. Mele, S. Varchetta,
op. cit., p. 79).

1749 2 marzo: decreto reale che costituisce in ente morale la Congrega del SS.
Rosario di Pianura. (G. De Criscio, op. cit., p. 13).

1783 Il vescovo di Pozzuoli, Girolamo Dandolfi, consacra la chiesa parrocchiale


di San Giorgio Martire di Pianura. (R. Mele, S. Varchetta, op. cit., p. 79).

1796 Nel Dizionario del Sacco è riportato che “ne’ contorni di questo Casale v’è
un cratere di volcano estinto, e nelle colline, che guardano l’occidente di questo
stesso cratere vi sono le pietraje, d’onde si cava il piperno, ch’è una pietra volcanica
fatta da rottami di lave a base di pietra di selce con frammenti di feldispato”. (F.
Sacco, Dizionario geografico-istorico-fisico del regno di Napoli, Tomo III, Napoli
1796, p. 59).

1797 Viene eletto vescovo di Pozzuoli Carlo Maria Rosini. (R. Mele, S. Varchetta,
op. cit., p. 88).

1804 Nel Dizionario del Giustiniani Pianura è descritta come “un villaggio assai
infelice” ove si respira “un’aria veramente micidiale ne’ tempi estivi. I suoi naturali
ascendono a circa 1800, parte addetti all’agricoltura, e parte al trasporto delle
pietre di piperno, che tagliansi da quelle colline tenute in affitto da’ nostri maestri
pipernieri da’ padroni delle medesime”. (L. Giustiniani, op. cit., p. 177).

1806 Nicola Cecere è il Regio Governatore di Pianura. (G. De Criscio, op. cit., p.
6).

1855 A quest’epoca l’attività estrattiva nelle cave di Pianura è attestata dal De


Cesare “Il piperno…si cava presso di noi in Pianura ed in Soccavo ove è sottoposto
alla grande massa di tufo di cui si compone il monte superiore dei Camaldoli”. (
F. De Cesare, La scienza dell’architettura applicata alla costruzione, alla distribuzione,
WP1 | Storia 31

alla decorazione degli edifici, Napoli 1855-56, vol. I, p. 10).

1881 Il Comune di Pianura conta 3687 abitanti e viene segnalato nel Dizionario
Universale per la presenza delle cave di piperno e di ruderi di antichità romane.
(E. Treves, G. Strafforello, Dizionario Universale, Milano 1881, vol. II, p. 1663).

1911 Il Comune di Pianura registra 5042 abitanti. (Statistica antica di Pianura,


citata in G. De Criscio, op. cit., p. 5).

1926-27 Il territorio del Comune di Pianura viene annesso al Comune di Napoli.


(R. Mele, S. Varchetta, op. cit., p. 25).

1967 Nella Relazione della Commissione per lo studio del sottosuolo di Napoli,
pubblicata a cura del Comune di Napoli, si riporta che le cave del territorio di
Pianura e Soccavo sono quasi tutte in disuso e pericolanti e che l’estrazione del
piperno è limitata a casi piuttosto rari, dettati quasi esclusivamente da necessità
legate all’utilizzazione per interventi di restauro (Il sottosuolo di Napoli, Relazione
della Commissione di Studio, Napoli 1967, p. 42).
WP2 | Topografia nel corso dei secoli 33

WP2 La topografia nel corso dei secoli

La topografia nel corso dei secoli: le pendici dei Camaldoli.

L’analisi topografica dei territori alle pendici dei Camaldoli - esperita attraverso
la lettura comparata di diverse iconografie e cartografie che documentano l’area
occidentale di Napoli dal Seicento al Novecento - ha permesso di evidenziare la
profonda relazione tra i luoghi agresti, gli insediamenti e le attività estrattive del
piperno, dei tufi e della pozzolana che, con continuità nei secoli, sono stati coltivati
nelle numerose cave a cielo aperto e in galleria.
In relazione alla geografia dell’area occidentale napoletana, la dorsale di Posillipo,
la collina del Vomero e quella dei Camaldoli possono essere interpretate come
elemento di confine tra Napoli e i Campi Flegrei. Un continuum orografico alle
cui pendici, in ragione anche di questa particolare condizione e dei risvolti socio-
economici ad esso riconducibili, si sono sviluppati i centri abitati di Fuorigrotta,
Soccavo e Pianura.
Facendo ricorso alla toponomastica locale è immediato il legame tra il titolo del
borgo di Soccavo e l’attività estrattiva in quei luoghi tanto che nei documenti di
età ducale, riportati da Bartolomeo Capasso (1) fig. 1, l’abitato è indicato come

fig. 1 Carta dei luoghi e delle strade


tra Capua e Napoli verso l'anno Mille
secondo Bartolomeo Capasso
(Monumenta, II, 2).
34 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

Suttuscuba insieme a quello di Planuria e Foris Gryptsa (Fuorigrotta). I diversi


toponimi con i quali è indicato questo borgo - Succava, Sub cava, Succaus,
Succavus- rimandano alla radice cava e pertanto è indubbia la relazione tra
l’abitato e le cavità, tra gli abitanti e le attività estrattive del piperno.
L’etimologia del borgo di Pianura - Planuria, Chianura - rimanda invece alla
conformazione fisica dei luoghi ovvero alla grande pianura su cui sorge il centro
abitato in contrapposizione alla orografia acclive dei Camaldoli.
La pubblicazione del Capasso è completata dalla tabula chorographica -
commissionata e redatta su indirizzo dell’autore- nella quale è evidente la
corrispondenza tra la topografia campana ed i toponimi locali così come riportati
nei documenti d’archivio. Al margine tra l’area flegrea e quella partenopea, sono
riportati gli abitati di Planuria e Suttuscuba uniti da un tortuoso percorso
diramatesi, alle pendici della dorsale di Posillipo, verso Puteolis ad occidente e
verso Neapolis ad oriente.
Sia Pianura che Soccavo si sono sviluppati su due pianure con quota media sul
livello del mare differente: il primo è a m 160 circa, il secondo a m 90 circa.
L’abitato di Soccavo si trova sul versante sudorientale dei Camaldoli, ai piedi di
una parete tufacea della conformazione molto acclive che appare come un
palinsesto della stratigrafia geologica della Collina.
I giacimenti di piperno furono localizzati e sfruttati ad una quota relativamente
alta; l’abitato giaceva quindi -come denuncia l’etimologia- al di sotto degli ingressi
alle cave. Di contro, le aperture delle gallerie estrattive dalla parte di Pianura si
trovavano ad una quota più prossima all’abitato visto il dislivello relativo con
Soccavo di circa 70 metri. La visibilità ad occhio nudo della stratigrafia camaldolese
sul versante di Soccavo potrebbe essere stata motivo della più antica attività
estrattiva in questo borgo rispetto a quello di Pianura dove l’orografia dei rilievi
e la vegetazione rendono più aspra la perlustrazione.
La relazione tra l’orografia dei luoghi ed il borgo di Soccavo è altresì riscontrabile
in diverse rappresentazioni seicentesche “a volo d’uccello” della città di Napoli.
Alessandro Baratta (2) fig. 2, Francesco Cassiano de Silva (3) fig. 3, Gabriel
Bodenehr (4) fig. 4, Johan Baptiste Homan (5) fig. 5, Paolo Petrini (6) fig. 6 -
solo per citare i maggiori - nel ripredere da sudest l’intero abitato di Napoli, dal
ponte della Maddalena a Posillipo, hanno delineato sullo sfondo la collina dei
Camaldoli e quindi l’area flegrea che appare brulla e frastagliata, punteggiata dai
piccoli insediamenti, da laghi e da crateri fumanti. L’altura camaldolese -posta
in secondo piano rispetto a quella del Vomero e alla dorsale di Posillipo- si impone
WP2 | Topografia nel corso dei secoli 35

fig. 2 Il versante meridionale della


collina dei Camaldoli; veduta a volo
d'uccello di Alessandro Baratta,
Fedelissimae urbis neapolitanae cum
omnibus viis accurata et nova
delineatio aedita in lucem ab
Alexandro Baratta MDCLXX, 1670; e
particolare.

fig. 3 Il versante meridionale della


collina dei Camaldoli; veduta a volo
d'uccello di Francesco Cassiano de
Silva, Pianta della Città di Napoli e
de suoi borghi, ante 1699; e
particolare.
36 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 4 Il versante meridionale della


collina dei Camaldoli; veduta a volo
d'uccello di Gabriel Bodenehr, Napoli
da Curioses Stadts und Kriegs
Theatrum in Italien, 1720; e
particolare.

fig. 5 Il versante meridionale della


collina dei Camaldoli; veduta a volo
d'uccello di Johan Bapt. Homan, Urbis
Neapolis Cum praecipius eius aedificiis
secuundum planitiem exacta
delineatio …, 1727; e particolare.
WP2 | Topografia nel corso dei secoli 37

fig. 6 Il versante meridionale della


collina dei Camaldoli; veduta a volo
d'uccello di Paolo Petrini, Pianta ed
alzata della città di Napoli, 1748; e
particolare.

all’osservatore con la ripida e brulla parete meridionale: il carattere orografico


diviene il segno iconico della Collina e del borgo sottostante a testimoniare la
stretta relazione tra questo luogo, il centro abitato e gli abitanti ivi insediati.
Nelle sei vedute “a volo d’uccello” prese in esame, il rilievo camaldolese viene
fig. 7 Soccavo, Torre dei Franchi.
delineato come un territorio rigoglioso in contrapposizione all’arida zona vulcanica
flegrea. La folta vegetazione che da oriente ad occidente -nel disegno e nella
realtà, allora come oggi- caratterizza tutta la Collina circondando l’Eremo, si
interrompe nel versante meridionale delineato come una successione continua
di nude rupi fortemente scoscese accentuando così l’asperità dei rilievi con un
denso tratteggio chiaroscurale. Negli stessi disegni, ai piedi della parete e al centro
di un leggero declivio, è collocato un edificio isolato con una torre emergente.
Questa figura è identificabile con la Torre dei Franchi di Soccavo: elemento di
riferimento urbano nel borgo grazie alla sua collocazione preminente, nonché
toponomino indiziario per lo studio delle cave di piperno attraverso i documenti
d’archivio e le monografie geolitologiche (7). Per il vedutista bastò quindi disegnare
una costruzione isolata, la Torre dei Franchi (o de Franco) fig. 7, per sintetizzare
tutto il centro abitato che doveva apparire di certo semplice, articolato in diversi
casolari sparsi sul vasto territorio pianeggiante di Soccavo; qualità insediativa
38 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

riscontrabile nella zona fino agli anni cinquanta del Novecento (8). Questo
elemento simbolico peraltro servì a rafforzare l’identità del casale alle attività
estrattive del piperno: la torre sorgeva a poca distanza dagli ingressi alle cave e
sul percorso carrabile utilizzato per l’accesso ed il trasposto a valle delle masse
litoidi. Inoltre il suo toponimo è riferibile alla famiglia de Franco (9) che dalla
lettura di vari documenti d’archivio, risulta essere stata protagonista delle attività
estrattive nella zona. Nelle rappresentazioni pseudo-cartografiche prese in esame,
l’abitato di Pianura non fu riportato in quanto posto a settentrione della collina
camaldolese e quindi nascosto al punto di vista prescelto.
Il particolare ruolo di territorio di frontiera tra Napoli e Campi Flegrei, caratterizzante
l’area pedemontana dei Camaldoli, è altresì riscontrabile nell’articolata rete viaria
che nel corso dei secoli è si andata ramificando sui crinali e attraverso le colline
tra i maggiori centri abitati della regione.
La rete viaria utilizzata nei quattro secoli di commercializzazione del piperno
ricalcava quella disegnata sul territorio tra Pozzuoli, Napoli e l’entroterra campano
in epoca classica (10): una serie ramificata di diverticoli tra i quali emergevano
per funzionalità e percorribilità la via per colles (detta anche via Antignano) e
quella attraverso la crypta neapolitana, collegamenti terrestri, solo in parte selciati
logisticamente più affidabili (11), ai quali si affiancava il trasporto marittimo tra
il porto puteolano, quello napoletano e gli altri che punteggiavano la costa
campana e basso laziale. La rete infrastrutturale fu migliorata e potenziata a
partire dal Quattrocento quando in Napoli vi fu una epifania edilizia legata
all’avvento dei sovrani di Aragona che vide utilizzare in larga copia la pietra di
piperno insieme agli altri materiali di cava dell’area flegrea (12).
La via per colles, come evidenziato dalle fonti e dalle indagini archeologiche (13),
univa Pozzuoli a Napoli attraverso Agnano (al cui toponimo è da ricondurre la
radice etimologica della via (14)) seguendo le creste collinari con un percorso
non certo agevole caratterizzato da forti dislivelli ed un andamento tortuoso.
Caratteristica logistica che poco si prestava al trasporto di materiale voluminoso
e pesante: è da presumere che il piperno venisse trasportato dalle cave alla Città
(così come gli altri materiali litoidi da costruzione e le merci di notevole peso)
attraverso la crypta neapolitana detta anche Grotta di Posillipo.
La crypta, opera ingegneristica romana, fu scavata nel I sec. aC su progetto di
Lucio Cocceio Aucto (15), al di sotto del promontorio di Posillipo mettendo in
comunicazione la città di Napoli con il tracciato pedemontano della via Antignano
presso l’abitato di Foris Grypta (Fuorigrotta) escludendo il più articolato percorso
collinare. Fin dalla sua realizzazione, la galleria carrabile fu costantemente
WP2 | Topografia nel corso dei secoli 39

utilizzata per i collegamenti tra i Campi Flegrei e la città di Napoli subendo via
via nel corso dei secoli opere di manutenzione e di ristrutturazione per adeguare
il percorso sotterraneo alle diverse esigenze logistiche. Ciò accadde anche in
concomitanza con l’epifania architettonica aragonese e la crescente domanda di
piperno per i cantieri regi: verso la metà del Quattrocento vennero aperte alcune
bocche d’aereazione per garantire il riciclo d’aria nella cavità che poteva essere
interessata - come le altre in area flegrea - da esalazioni venefiche ed inoltre fu
abbassata la quota stradale di circa tre metri, modificando così la pendenza media
su tutto il tratto sotterraneo. Opere di sistemazione e di continuo adeguamento
alle necessità logistiche furono realizzate costantemente in età vicereale, borbonica
e post-unitaria. Tra i più importanti interventi sono da ricordare quelli del vicerè
don Pedro de Toledo che, ristrutturando l’abitato di Pozzuoli in seguito all’eruzione
di Monte Nuovo del 1538, volle lastricare e aumentare in alcuni tratti la sezione
della galleria (16).
Alla metà del Cinquecento, la crypta e diversi scorci del paesaggio flegreo furono
riprodotti nell’Atlante Civitates Orbis terrarum del canonico Georg Braun edito
a Colonia tra il 1572 e il 1617. Nel quinto volume, la tavola 65 dal titolo
Elegantissimus ad mare Tyrrenum fig. 8 (su incisione di Ioris Hoefnagel) riprende

fig. 8 Ioris Hoefnagel, Elegantissimus


ad mare Tyrrnhum ex monte
Pausilipo Neapolis Mintisque Vesuvii
prospectus ..., 1578 (bulino e
acquaforte, cm 52,5 x 40,4, Napoli
Certosa di San Martino).
40 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 9 Gaspar van Wittel, La Grotta di


Pozzuoli (olio su rame, cm 20 x 27,
Napoli Certosa di San Martino).

- da una particolare ed insolita angolazione - il golfo di Napoli visto da Posillipo.


In primo piano sulla sinistra vi è l’ingresso occidente alla crypta neapolitana ai
cui lati vi sono due costruzioni in legno: quella a sinistra, inglobata nella nuda
roccia, è riconducibile al corpo di guardia mentre l’altra rappresenta una locanda
per i viandanti. L’oste è ripreso nell’atto di uscire dalla locanda per accorrere verso
fig. 10 La crypta neapolitana nella i viaggiatori di turno, forse lo stesso Hoefnagel ed il suo accompagnatore in Italia,
veduta a volo d'uccello di Francesco il grande geografo e cartografo fiammingo Abraham Oertel (Anversa 1527-1598).
Cassiano de Silva, Pianta della Città Sullo sfondo, incorniciato dal pendio di Posillipo vi è parte della città di Napoli
di Napoli e de suoi borghi, ante 1699. con Sant’Elmo, la collina di Pizzofalcone e l’isolotto di Megaride con Castel
dell’Ovo; sullo sfondo del golfo partenopeo vi è il Vesuvio fumante (17).
Il versante partenopeo della crypta neapolitana è di certo quello più documentato
nei disegni e nelle pitture dal XVII al XIX secolo. L’autore che per primo ne colse
i caratteri naturali e romantici fu Gaspar van Wittel fig. 9 che tra il 1701 e il
1715 dedicò ben tredici versioni allo stesso scorcio (18). I caratteri naturalistici
uniti all’essenzialità del paesaggio contermine peraltro sono stati messi in evidenza
da Francesco Cassiano de Silva nella Veduta della riviera di Posillipo fig. 10.
L’Autore, secondo l’impostazione prospettica già esaminata, disegnò con minuzia
di particolari e grande attendibilità grafica l’ingresso alla cavità antropica
incastonato tra le nude rocce: un alto fornice tratteggiato al chiaroscuro a
WP2 | Topografia nel corso dei secoli 41

fig. 11 Domenico Spina, La


Campagna Felice meridionale, 1761.

significare la profondità e l’asperità del percorso. L’ingresso alla grotta è posto


al termine della strada di Chiaja in posizione eminente rispetto all’edificato
secondo una corretta disposizione plano-volumetrica relativa alla natura dei
luoghi nel XVII secolo (19).
Nella mappa manoscritta de La Campagna Felice meridionale fig. 11, redatta da
Domenico Spina nel 1761, è possibile apprezzare grazie ad una vivace resa grafica
(che non rispecchia l’attendibilità cartografica dell’elaborato) alcuni aspetti salienti
della topografia dei luoghi che si estendono dai Regi Lagni fino ai golfi di Napoli
e Pozzuoli. Sebbene l’orografia del territorio ed i maggiori rilievi montuosi sono
rappresentati con scarso rigore grafico, la rete viaria ed i corsi d’acqua sono
riportati con dovizia di particolari e buona aderenza alla realtà dei luoghi. Domenico
Spina disegna secondo una giusta collocazione planovolumentica, la catena
collinare ad occidente di Napoli ponendo in posizione eminente ed in parte isolata,
il rilievo dei Camaldoli identificabile sia per il toponimo sia per la resa iconica
dell’Eremo. Alle pendici opposte di questa altura vi sono gli abitati di Pianura e
Soccavo, segnati come piccoli nuclei isolati, nodi della fitta rete di percorsi
irradiatesi su tutta l’area flegrea tra i crateri e gli specchi d’acqua.
42 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

Paragonando il disegno di Spina (1671) con le rappresentazioni topografiche


sette-ottocentesche (di certo più attendibili per rilievo geodetico e restituzione
grafica) è possibile esaminare con attenzione la rete stradale documentata e,
attraverso questa, definire l’assetto topografico dei luoghi pedemontani ai
Camaldoli. Tra tutti i percorsi emerge per la linearità del tracciato la strada che
dalla Grotta di Posillipo conduce alla litoranea per Pozzuoli. Strada selciata di
epoca vicereale (20) fatta costruire per disimpegnare dalla rete di diverticoli
perimetrali al lago di Agnano. Questi percorsi angusti, tortuosi ed in parte sottoposti
alla quota di campagna sono riconducibili al più antico ordito stradale di età
classica e medievale. Da Pianura a Soccavo è disegnata una strada riferibile -
secondo l’analisi comparativa con i fogli della Carta d’Italia fig. 12, fig. 13, fig.
14 databili tra il 1875 ed il 1990 - alla cupa di Pianura che all’incrocio con la
masseria la Cintia si raccordava con il diverticolo di Soccavo e proseguiva verso
il mare con il toponimo cupa di Agnano.
Nel 1775 viene pubblicata postuma la Mappa topografica della città di Napoli e
de’ suoi contorni di Giovanni Carafa duca di Noja fig. 15: è la prima cartografia

fig. 12 Carta d’Italia, 1875 con


particolare

fig. 13 Carta d’Italia, 1950 con


particolare
WP2 | Topografia nel corso dei secoli 43

fig. 14 Carta d’Italia, 1990 con


particolare

fig. 15 Giovanni Carafa duca di Noja,


Mappa topografica della città di
Napoli e de' suoi contorni, 1750, fogli
1, 2, 8, 9; Napoli, Biblioteca Nazionale
Vittorio Emanuele III; ; e particolari.
44 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fedele per progetto geodetico e metodi di rappresentazione del territorio partenopeo


e delle sue adiacenze.
Nelle tavole numero uno e due della Mappa sono disegnati i centri abitati di
Pianura e di Soccavo: essi appaiono come piccoli insediamenti urbani sviluppatisi
ai margini dei maggiori percorsi carrabili e circondati da estese coltivazioni agricole
segnate da una rete di percorsi riscontrabile nel disegno di Spina e meglio nelle
cartografie di de la Vega e delle Officine topografiche pre- e post-unitarie di
seguito argomentate.
Poco al di sotto del Nazaret nel versante camaldolese di Pianura è riportata
l’indicazione «Le pietraje o sieu le Cave de’ piperni»; mentre nella zona di Soccavo
non compare alcuna indicazione similare. Il disegnatore ha avuto cura di inquadrare
tra le due righe sulle quali è disposto il toponimo una rappresentazione verosimile
delle Cave: una depressione del terreno perimetrata da alte pareti di roccia alla
quale si accede attraverso un percorso rettilineo. È questo il primo esempio di
rappresentazione in cartografia delle cave di piperno dell’area di Pianura. Osservando
con attenzione il disegno è possibile riscontrare un’articolata rete di percorsi che
a partire dal centro abitato si raccorda alla cosiddetta Masseria del Monte (punto
di riferimento toponomastico per la cava oggetto del presente studio).
Questo percorso attraversa una leggera depressione del terreno, accennata con
un fine tratteggio lungo le curve di livello. Da questo punto si dipartono tre diversi
percorsi: il primo in linea retta raggiunge l’area estrattiva prima descritta, le altre
si interrompono fumandosi alle pendici della Collina così come appare nel percorso
che dalla Masseria del Monte si estende verso lo stesso promontorio. La
comparazione grafica di questo particolare con la topografia odierna ha permesso
di individuare in quest’ultimo percorso, la strada vicinale che conduce alla cava
oggetto di studio che viene in queste note indicata più generalmente come Cava
di Masseria del Monte. Allo stesso modo è possibile affermare che gli altri percorsi
disegnati dal Carafa in modo sfumato alle pendici dei Camaldoli conducessero
ad altrettante località estrattive insistenti nell’area di Pianura. Il particolare ordito
viario rimanda all’organizzazione degli spazi prossimi alle cave utili per la
lavorazione e la vendita delle masse litoidi estratte.
L’interesse naturalistico e vulcanologico dei Campi Flegrei -testimoniato dalla
specifica epifania editoriale di eminenti scienziati tra i quali W. Hamilton, J. J.
Ferber, L. Spallanzani e S. Breislak- influenzò e condizionò anche le tappe del
Grand Tour nell’area napoletana, effetto incentivato dalla pubblicazione
dell’ambasciatore inglese e da una serie di Atlanti per viaggiatori che da quegli
WP2 | Topografia nel corso dei secoli 45

fig. 16 Francesco la Vega, Carte du


golfe de Pouzzoles avec une partie
des Champs Phlégréens, 1778-1780
(incisione su rame, cm 50,5 x 37,5;
Napoli Biblioteca Nazionale Vittorio
Emanuele III); e particolare.

anni trattarono con maggiore interesse e documentazione critica il tema flegreo.


Ai fini della conoscenza dettagliata delle attività estrattive nelle cave di piperno
camaldolesi, la presenza in queste aree vulcaniche di tali luminari è di particolare
interesse: gli scienziati - come documentano i Testi (21) - hanno visitato a più
riprese le cavità estrattive confortando chi scrive sia sulla presenza e l’attività
mineraria in quei luoghi sia sulla attendibilità - secondo un riscontro incrociato
- degli elaborati grafici oggetto di discussione.
Con gli Atlanti di viaggio del Grand Tour vennero prodotte carte geografiche
tematiche inserite nelle pubblicazioni o stampate in fogli sciolti ripiegabili come
tappe turistiche tascabili, da commercializzare sul mercato antiquario europeo
per assecondare gli interessi di pensionnaires giovani facoltosi che arrivavano in
Italia per fini culturali.
La Carte du golfe de Pouzzoles avec une partie des Champs Phlégréens fig. 16 si
inserisce nel ventaglio di rappresentazioni appena descritte: è la tavola numero
96 del Voyage pitoresque de Naples et de Sicilie (Parigi 1782, vol I, tomo II)
dell’abate di Saint Non. Come indicato sul margine inferiore destro e sinistro, la
carta è stata disegnata da Francesco La Vega nel 1778, incisa da J. Perrier e scritta
da Drouet nel 1780. Il documento assume rilevante interesse nel quadro della
46 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

presente ricerca perché è elaborazione dell’ingegnere ordinario Francesco La Vega


del Corpo degli Ingegneri Militari, istituzione fondata da Carlo di Borbone nel
1754. Egli era il personaggio che in quel momento, più di altri, riassumeva in sé
tutte le competenze utili alla conoscenza approfondita del territorio e in particolar
modo di quello flegreo. «L’archeologia, l’ingegneria e l’architettura sono le tre
facce della multiforme attività di Francesco La Vega uomo aperto alle nuove
istanze illuministe e dotato di un sapere “enciclopedico”, che spaziava dalle
conoscenze geologiche all’abilità cartografica in veste di topografo» (22).
Nel 1780, in veste anche di geologo realizzò, dunque, i rilievi topografici dell’area
flegrea restituendo nell’incisione il territorio compreso tra la linea di costa, Cuma
e Pozzuoli, dal costone di Posillipo e dalla Collina dei Camaldoli. La Carta -
conservata presso la Biblioteca Nazionale di Napoli - è da considerare di grande
attendibilità mensoria e di fedele restituzione grafica. Possiamo apprezzare la
dettagliata descrizione dei luoghi e dei toponimi con attenzione alla geografia
fisica e alle emergenze archeologiche dell’area flegrea. I rilievi montuosi, i pianori
coltivati e le depressioni di natura meteorica sono restituiti con estremo realismo
grafico. Ai piedi della collina camaldolese sono delineati i centri abitati di Pianura
e Soccavo inseriti nelle rispettive pianure coltivate e segnate da una struttura
viaria riconducibile a quella già delineata dal Carafa nella sua Mappa. Presso
l’abitato di Pianura, ai piedi del borgo di Nazaret, il declivio montuoso è rappresentato
con profonde depressioni anch’esse riconducibili al disegno del 1775; mancano
però indicazione alle cave in questo punto. Di contro, sul versante della collina
ai piedi dell’Eremo dei Camaldoli, è riportata la dicitura «Catrieres des Pietres
appellees Piperni» nell’area corrispondente alla cava oggetto della presente ricerca.
La comparazione grafica con la cartografia del Carafa, evidenzia la corrispondenza
spaziale della cava di Masseria del Monte alla zona segnata dal testo in francese
che evidenzia l’attività di estrazione di piperno proprio in quel punto.
Nel novero delle Carte topografiche preunitarie redatte dall’Officio Topografico
partenopeo è da segnalare la Pianta della Città di Napoli e de’ suoi contorni (23)
datata 1828 ed elaborata a partire dai disegni di Rizzi Zannoni. In questa, i borghi
di Pianura e Soccavo non vengono riportati per motivi di extraterritorialità
comunale; i due centri abitati furono annessi alla Città solo a partire dal 1926
(24). Per gli stesi motivi amministrativi, Pianura e Soccavo non appaiono nella
Pianta della Città di Napoli a cura del Municipio data 1872-75 e in quella del
1880 (25).
Nei primi anni trenta dell’Ottocento nell’Officio Topografico di Napoli, come in
WP2 | Topografia nel corso dei secoli 47

fig. 17 Saggio di rilievamento a curve


di livello orizzontali, 1830; Firenze,
Archivio Istituto Geografico Militare.

quello di Palermo, si stava mettendo a punto la tecnica di rappresentazione dei


rilievi montuosi secondo curve di livello orizzontali e per la sperimentazione di
questa nuova tecnica venne prescelto, tra gli altri territori campione, il versante
sud-ovest della collina camaldolese fino a quello occidentale della collina di
Posillipo. I territori di Pianura e Soccavo risultano così documentati con grande
efficacia grafica nei tre diverse rappresentazioni in scala 1:10000 datate 1830;
queste sono conservate una presso l’Archivio dell’Istituto Geografico Militare di
Firenze e due presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (26).
Nei tre disegni, l’area oggetto di studio è estrapolata dal contesto cartografico
nell’intento di mettere in evidenza la porzione di suolo con più particolarità
orografiche e quindi più delicata da restituire secondo le curve di livello; il disegno
del territorio così ristretto campeggia nel foglio bianco per l’esemplare fiorentino
mentre è inquadrato da una sottile cornice negli esemplari napoletani.
Delle tre carte, quella fiorentina fig. 17 documenta una porzione di territorio
interno al perimetro definito dalla strada che dall’ingresso alla crypta neapolitana
(dal versante putueolano) seguendo la minima isopsa attraversa il borgo di Soccavo,
48 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 18 Saggio di rilievo a curve di


livello, 1830; Napoli Biblioteca
Nazionale Vittorio Emanuele III.

prosegue per la Cintia - alle pendici dello Sperone della Pagliarella - e punta in
linea retta verso la Tavernola (toponimo non trascritto in pianta). Questa strada
continua risalendo le pendici del costone di Pianura passando per Masseria Spadari,
per lo Mandracchio fino al Nazaret; da qui le curve di livello sfumano verso nord
per poi essere nuovamente delimitate dalla strada che dai Camaldolilli scende
verso Villa Mongibello per poi finire su Riviera di Chiaja seguendo la pedemontina
che scende a mare. La linea di costa della spiaggia di Mergellina chiude il disegno
alle pendici della collina di Posillipo sul versante cittadino.
Nel disegno monocromatico, così delineato, è identificabile la fitta rete di percorsi
che attraversavano i luoghi pianeggianti e si adagiavano ai rilievi collinari; percorsi
oggi solo in minima parte riscontrabili sul territorio. Grazie ad una scala di
rappresentazione molto ampia, nel disegno sono riportati tutti i manufatti urbani
e quelli extraurbani accompagnati dai toponimi utili alla loro identificazione a
paragone con le più recenti mappe topografiche.
Nell’area oggetto del presente studio, sono identificabili la Masseria del Monte
con il percorso pedemontano che mena alla cava e quindi alla Masseria Pagliarello.
Inoltre, dato ben più interessante, la zona estrattiva ai piedi del Nazaret già
riscontrata nelle Carte di Carafa e La Vega è riportata con grande dovizia di
WP2 | Topografia nel corso dei secoli 49

particolari. Confrontando questo specifico insediamento nelle diverse cartografie


- redatte a ottanta anni di distanza - si riscontrano nuovi e più articolati percorsi
che dalle pendici dei Camaldoli si raccordano verso un gruppo di manufatti segnati
col toponimo Mass.a Mangiapeli, costruzioni sorte nel corso degli anni di certo
a serivizio delle attività estrattive di piperno. In adiacenza a quest’area è riscontrabile
la stessa depressione di terreno già individuata nella Mappa del Carafa.
Le due carte conservate a Napoli - intitolate Rilievo dei contorni di Pianura e
Saggio di rilievo a curve di livello fig. 18 - documentano una porzione di territorio
più piccola di quella riporta nella carta fiorentina pur mantenendo inalterato il
rapporto di scala. Sul versante di Pianura, il territorio ristituito risulta invariato
mentre sul versante di Soccavo, il disegno si ferma poco più a sud del centro
abitato fino al ponte di Soccavo sul rio Verdolino. Riguardo alle aree estrattive
in fase di studio sono riscontrabili i toponimi Mass.a del Monte e Mass.a Mangiapeli
mentre la rete dei percorsi non è trascritta con eguale dettaglio. Confrontando
le tre carte resta evidente la matrice geometrica di quella fiorentina seppure le
due carte napoletane sono nel complesso più semplificate nei dettagli topografici
nonché arricchite da un fine tratteggio che accentua le curve di livello e da una
particolare simbologia in corrispondenza dei terreni agricoli.
Le tre carte topografiche a carattere sperimentale per tecnica di rilevamento
geodetico e restituzione grafica, possono essere classificate quali antesignane
delle più recenti rappresentazioni dell’Istituto Geografico Militare.
A conclusione di questo excursus topografico del territorio pedemontano ai
Camaldoli, è utile esaminare i tre fogli della Carta d’Italia redatti ed editi dall’IGM
negli anni 1875, 1956-57 e 1990. Dall’esame comparato delle tre cartografie -
nella consapevolezza dei dati già acquisiti attraverso le precedenti iconografie
e cartografie- è possibile evidenziare la lenta e costante modificazione del
territorio: processo antropico che fino al secondo dopoguerra ha rispettato l’ordito
viario esistente e la composizione agraria delle terre limitrofe agli abitati di
Pianura e Soccavo. Nei fogli del 1990, a distanza di quarantaquattro anni dalla
precedente, si palesa la schizofrenica crescita urbana dell’hinterland partenopeo
irrispettosa della trecce antropiche sedimentatesi sul territorio nel corso dei secoli.
All’addensarsi del tessuto urbano fa eco l’infittirsi della rete stradale che secondo
più gerarchie e a diverse quote altimetriche caratterizza l’area occidentale della
città di Napoli.
50 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

note
(1) Bartholomaei Capasso, Monumenta ad neapolitani ducatus historiam pertinentia, Neapoli 1892,
tomo ii, parte i, pp. 88, 102, 180; tomo ii, parte ii, pp. 172-174, 183-187.
(2) Alessandro Baratta, Fedelissimae urbis neapolitanae cum omnibus viis accurata et nova delineatio
aedita in lucem ab Alexandro Baratta MDCLXX, 1670.
(3) Francesco Cassiano de Silva, Pianta della Città di Napoli e de suoi borghi, ante 1699. Ornella
Zerlenga, Il disegno della città. Napoli rappresentata in Pianta e Veduta in «Ikhnos. Analisi grafica e
Storia della Rappresentazione», Università degli studi di Catania Facoltà di Architettura Siracusa,
Lombardi Editori, Siracusa 2004, pp. 11-34; Giosi Amirante, Maria Raffaella Pessolano, Immagini di
Napoli e del Regno. Le raccolte di Francesco Cassiano de Silva, ESI, Napoli 2005.
(4) Gabriel Bodenehr, Napoli da Curioses Stadts und Kriegs Theatrum in Italien, 1720.
(5) Johan Bapt. Homan, Urbis Neapolis Cum praecipius eius aedificiis secuundum planitiem exacta
delineatio …, 1727.
(6) Paolo Petrini, Pianta ed alzata della città di Napoli, 1748.
(7) Antonio Parancandola, I vulcani occidentali di Napoli in «Bollettino della Società Naturalistica in
Napoli», vol. 48, Napoli 1936; Giuseppe De Lorenzo, Geologia dell’Italia meridionale, Bari 1904 (prima
edizione) Napoli 1937 (seconda edizione); Rittmann Alfredo, Vighi Luciano, Ventriglia Ugo, Nicotera
Pasquale, Rilievo geologico dei Campi Flegrei, Roma 1951.
(8) Anna Giannetti, Benedetto Gravagnuolo, Soccavo in Cesare De Seta, I Casali di Napoli, Editori
Laterza, Roma-Bari 1989, pp. 89-96.
(9) Nei volumi di Gaetano Filangieri, Indice degli artefici delle arti maggiori e minori, la più parte ignoti
o poco noti, si napoletani e siciliani, si delle altre regioni d’Italia o stranieri, che operano tra noi, con
notizia delle loro opere e del tempo del loro esercizio, da studi e nuovi documenti, (Napoli 1891) sono
riportati almeno cinque persone riconducibili alla famiglia de Franco o di Franco che tra il 1484 e il
1556 -stando agli atti notarili- furono prima tagliamonti e poi pipernieri operanti a Napoli ma forse
provenienti dall’area cilentina. Nel 1484 Bonifacio de Franco è detto tagliamonti (cfr Gaetano Filangieri,
Indice… cit, vol. i, p. 135); dal 1495 al 1504 Luca de Franco fu piperniere a Napoli (cfr. Gaetano
Filangieri, Indice… cit, vol. i, p. 232 e vol. ii, p. 392); dal 1499 al 1514 Michele di Franco, piperniere
a Napoli, ebbe rapporti documentati con la cava di piperno di Soccavo (vedi “Regesto delle fonti
storiche”: 28 febbraio 1500; cfr Gaetano Filangieri, Indice… cit, vol. i, p. 232); al 1504 è citato il
piperniere Matteo de Franco originario di Vallonovi ovvero Vallo Lucano (ibidem); dal 1545 al 1556
operò a Napoli il piperniere Jacobo de Franco che doveva essere artigiano di valore se fu chiamato
a collaborare da Giovan Francesco de Palma alias Mormando (cfr Gaetano Filangieri, Indice… cit, vol.
i, p. 231 e vol. ii, p. 236-37).
(10) Dall’età repubblicana al I sec dC, Puteoli con il Portus Iulius -tra le più grandi opere di ingegneria
portuale dell’antichità- collegato a quello di Neapolis e quello militare di Misero fu cerniera dei
commerci mediterranei: mercato delle derrate agricole della Campania Felix e luogo di carico del
pulvis puteolanus (la pozzolana), materiale vulcanico prezioso inerte per l’edilizia segnalato da Vitruvio
(De Architectura, libro ii, iv, 6.). Puteoli fu il porto dell’Urbe fino alla costruzione del porto di Ostia (I
sec dC); il collegamento viario tra i due centri così distanti era garantito dalla Via Campana che univa
Puteoli a Capua e della Via Appia che conduceva fino a Roma.
(11) Sterpos Daniele, Comunicazioni stradali attraverso i tempi. Roma-Capua e Capua-Napoli, voll.
2, Autostrada del Sole, Istituto Geografico De Agostani, Novara 1959, pp. 19-20.
(12) Il potenziamento ed il miglioramento delle arterie stradali flegree, perpetuatosi con continuità
attraverso tutte le Corone che regnarono a Napoli, è solo in parte riconducibile alla commercializzazione
dei materiali di cava; infatti, i sovrani dagli Aragonesi ai Borbone erano usi all’arte venatoria che
esercitavano anche nei boschi flegrei in particolare negli Astroni.
WP2 | Topografia nel corso dei secoli 51

(13) Werner Joannovsky, Domenico Mallardo, La via Antiniana e le memorie di San Gennaro in
“Rendiconti dell’Accademia d’Archeologia Lettere e Belle Arti di Napoli”, 1938-39, pp. 303-338;
Werner Joannovsky, Contributi alla topografia della Campania antica, La via Puteolis-Neapolim, in
“Rendiconti dell’Accademia d’Archeologia Lettere e Belle Arti di Napoli”, xxvii, 1952, pp. 83-143.

(14) In età ducale viene indicata come via Antonianum, Antunianum, Antiniarum e quindi Antignano.
Werner Joannovsky, Domenico Mallardo, La via Antiniana e le memorie di San Gennaro in “Rendiconti
dell’Accademia d’Archeologia Lettere e Belle Arti di Napoli”, 1938-39, pp. 303-338;

(15) Cfr. Carlo Viggiani, Un ingegnere Romano di epoca tardorepubblicana. Lucio Cocceio Aucto in
Alfredo Buccaro, Giulio Fabricatore, Lia Maria Papa, a cura di, Storia dell’Ingegneria, Atti del Primo
Convegno Nazionale, Napoli 8-9 marzo 2006, Cuzzolin Editore, Napoli 2006, tomo ii, pp. 785-796;
in particolare pp. 792, 794.
(16) La galleria continuò ad essere utilizzata fino al 1930 quando fu chiusa al traffico per carenze
strutturali e logistiche che vennero soddisfatte dalla vicina Grotta detta poi “delle Quattro Giornate”.
(17) Aa Vv, Campi Flegrei mito storia realtà, catalogo della mostra Napoli Castel Sant’Elmo 27 ottobre
2006-30 gennaio 2007, Electa Napoli, Napoli 2006; in particolare la scheda di Ileana Creazzo su Ioris
(Georgius) Hoefnagel (pp. 95-96) con bibliografia precedente.
(18) Fabio Benzi (a cura di), Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo, Catalogo della Mostra, Roma-
Venezia 26 ottobre 2002 - 1 giugno 2003, Roma 2002.
(19) Vedi nota 3.
(20) Franco Strazzullo, Edilizia e Urbanistica a Napoli dal ‘500 al ‘700, Arturo Berisio Editore, Napoli
1968, p. 18, 76-78.
(21) Sulle pubblicazioni, sulle edizioni e i diretti riferimenti ai luoghi e alle cave di Pianura, si rimanda
al “Regesto delle fonti storiche”.
(22) Cfr. Ciro Robotti, Immagini di Ercolano e Pompei, Ferraro, Napoli 1987; Maria Gabriella Pezone,
Francesco La Vega e la cultura architettonica neoclassica. La formazione e l’attività di ingegnere militare
in Alfonso Gambardella (a cura di), Napoli-Spagna Architettura e Città nel XVIII secolo, Atti del
Convegno Internazionale di Studi, Napoli 17-18 dicembre 2001, ESI, Napoli 2003, pp. 73-90. La
citazione riportata è a p. 78. Per una visione completa della personalità del Nostro è da leggere, nello
stesso volume, il saggio di Concetta Lenza, Studio dell’antico e internazionalismo neoclassico. L’attività
di Francesco La Vega nei cantieri vesuviani e la “fortuna” dei disegni, pp. 51-72.
(23) Per il presente studio è stata visionata la ristampa anastatica pubblicata da Vladimiro Valerio
nel 1999; inoltre cfr. Alfredo Buccaro, Pianta della Città Città di Napoli e de’ suoi contorni in Giancarlo
Alisio, Vladimiro Valerio (a cura di), Cartografia napoletana dal 1781 al 1889, Napoli 1983, pp. 178-
179.
(24) Alessandro Dal Piaz, I Casali nel XIX in Cesare De Seta, I Casali di Napoli, Editori Laterza, Roma-
Bari 1989, pp. 61-71.
(25) Gli esemplari di questa cartografia sono conservati presso la sala Manoscritti della Biblioteca
Nazionale di Napoli, divisa in 16 fogli di cm 62x94.
(26) I disegni sono stati pubblicati e commentati da Vladimiro Valerio, Società Uomini e Istituzioni
cartografiche nel Mezzogiorno d’Italia, Istituto Geografico Militare, Firenze 1993, p. 266- 67. Il grafico
conservato a Firenze misura cm 108x69, mentre quelli conservati a Napoli intitolati Rilievo dei contorni
di Pianura e Saggio di rilievo a curve di livello misurano rispettivamente cm 42x66 e cm 38x56.
WP3 | Presentazione dinamica del rilievo 3D con il laser-scanner 53

WP3 Presentazione dinamica del rilievo 3D con laser-scanner

Localizzata la cavità antropica sulla più aggiornata cartografia tecnica regionale


(1998) in scala 1:5000, l'equipe incaricata del rilevamento mensorio strumentale
ha effettuato vari sopralluoghi al fine di constatare la configurazione del manufatto
e delle aree circostanti. Data la particolare articolazione dell'anfratto dove si apre
la cavità e le condizioni ambientali della stessa, si sono rese necessarie complesse
operazioni di messa in sicurezza nella fase di realizzazione del cantiere di
rilevamento. Con l'ausilio di macchine movimento terra il percorso di avvicinamento
e di ingresso alla cava è stato liberato dalla folta vegetazione e quindi reso fruibile
in sicurezza sgombrando anche il primo tratto sotterraneo da sedimenti alluvionali
lì concentratisi. Considerata la totale assenza di luce nella cavità, inoltre, è stato
progettato e realizzato un impianto temporaneo di rete elettrica e di illuminazione
che dall'esterno arrivava fino alla più profonda galleria luogo di rilevamento
mensorio.
In ottemperanza alla normativa di sicurezza nei cantieri temporanei, sono state
disposte lungo il percorso lampade di emergenza autoalimentate utili qualora i
fari della rete di illuminazione, alimentata da apposito gruppo elettrogeno, fossero
venuti a mancare.
Altresì, sono state segnalate e delimitate le zone inaccessibili e le parti rocciose
pericolose per gli addetti.
La fase di ricognizione e di pianificazione delle operazioni è stata corroborata da
una dettagliata documentazione fotografica e grafica: eidotipi di rilievo preparatori
alle attività in fase di progettazione.
La rete geodetica locale predisposta da progetto secondo una poligonale aperta
vincolata ad un estremo, è stata materializzata dalla strada comunale dei Monti
lungo la vicinale del Pignatiello e quindi sul sentiero che conduce alla cavità
sotterranea.
La poligonale di sette segmenti è stata collegata al vertice trigonometrico S145
della Provincia di Napoli (la monografia del punto è visionabile sul sito web
dedicato della Regione Campania) posto in via provinciale montagna spaccata:
i capisaldi S1 e S2 sono stati determinati con tecnologia satellitare GPS, si è
quindi provveduto alla battuta topografica con stazione integrata Trimble VX.
Dalla lettura dei dati topografici si evince la particolare conformazione dell'area
all'esterno della cava riferibile alla natura vulcanico-alluvionale dell'intera piana
dove insiste l'abitato di Pianura. Fissando lo zero relativo nella quota di ingresso
alla cavità è possibile notare l'andamento discendente delle gallerie estrattive,
infatti, lungo il primo segmento della poligonale che segue la galleria principale
della cava si ha una variazione negativa di 266 cm su di un tratto di oltre 30
metri; la pendenza progredisce ulteriormente nell'area centrale della cavità (-360
cm in S7 e -381 cm in S8) per poi aumentare considerevolmente nella zona più
profonda con -504 cm in S9. Il livellamento della pendenza nell'antro centrale
della cava è da ricondurre alla destinazione probabilmente assegnata a questa
zona: deposito temporaneo dei materiali estratti nelle gallerie più profonde,
54 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

sistemazione delle pietre nei carrelli per il trasporto all'esterno nonché luogo di
concentrazione del personale attivo nei settori più impervi della cavità .
Seguendo il progetto delle riprese laser scanner 3d sono state poste alle pareti
della cavità numerosi target cartacei utili alla mosaicatura delle nuvole di punti.
Dato l'alto tasso igrometrico all'interno della cavità sono stati predisposti target
cartacei plastificati in modo da impedire che il supporto assorbisse umidità. Nel
caso contrario, la deformazione del foglio avrebbe reso vana la materializzazione
topografica al momento delle riprese laser scanner che sono state eseguite in più
fasi intervallate nel tempo così come previsto da progetto,. Il pre-trattamento
superficiale dei target ha inoltre garantito la loro duratura indeformabilità
permettendo, così, l'utilizzo di tutti i punti fotografici di appoggio per eventuali
altre campagne di rilevamento laser scanner 3D.
E' opportuno precisare che, della cavità fino alla più profonda galleria percorribile,
sono stati disposti circa cento target materializzati con stazione integrata
robotizzata Trimble VX.
Questo strumento fortemente innovativo si è rivelato di particolare importanza
nelle operazioni topografiche grazie alle sue caratteristiche di “autoriconoscimento”
dei prismi ed “intercettazione” dei punti con collimazione a raggio laser: peculiarità
utili in condizione operative già difficili ed esasperate dalla forte penombra.
Sempre il secondo step è stato altresì documentato con immagini fotografiche
digitali e numerosi eidotipi: elaborati rivelatisi utili per il trattamento dei dati
topografici in laboratorio.

Dalla scansione laser 3d al modello discreto

Verificata la fattibilità del progetto delle prese laser scanner 3d e della disposizione
dei target già determinati, le operazioni di scansione sono state articolate in più
giornate al fine di poter verificare al termine di ogni sessione quotidiana
l'attendibilità della grande messe di dati acquisiti.
Partendo dall'area esterna all'ingresso sono state realizzate venti riprese laser
scanner 3d di cui diciotto generali e tre particolari per il monitoraggio più
dettagliato di alcuni settori dalla morfologia più complessa.
Le operazioni strumentali si sono rivelate di particolare efficacia in relazione alle
condizioni ambientali morfologiche della cavità. Se per accezione teorica il laser
scanner 3d si attesta preventivamente come il miglior strumento oggi esistente
per il rilievo digitale di un manufatto tanto complesso, la concretizzazione delle
riprese è risultata superiore alle aspettative in relazione alla totale assenza di
luce ed soprattutto all'ambiente della cava conformato da un materiale prossimo
alla gradazione cromatica del nero.
Attestato, infatti, che l'illuminazione artificiale in questo particolare ambiente
generava “rumore” ovvero interferenze alle riprese laser, si è scelto di operare in
totale assenza di illuminazione durante l'attività strumentale.
Le scansioni, acquisite con laser scanner Leica HDS4500, sono state concentrate
su particolari ambiti morfologici: ad esempio, per restituire un esile pilastro, posto
al centro della antro maggiore della cavità, sono state necessarie tre riprese
generali e due di particolare rilevando per intero la complessa forma litoide.
Completate tutte le sessioni di lavoro previste, le venti nuvole di punti sono state
processate in laboratorio al fine di restituire un'unica nuvola di punti complessiva
della cavità antropica.
La mosaicatura delle nuvole è avvenuta per collimazione di almeno quattro target
comuni a coppie di nuvole concorrenti.
WP3 | Presentazione dinamica del rilievo 3D con il laser-scanner 55

Questa operazione informatica è stata altresì migliorata qualitativamente della


scelta di quei target meglio orientati verso lo strumento laser così da diminuire
al massimo l'errore strumentale di collimazione.
Data l'elevata risoluzione di ciascuna scansione si è proceduto ad una prima
sfoltitura dei dati mantenendo inalterati quelli sorgente: si sono pertanto distinti
due data-base, quello storico'originale' fonte mensoria alla data della ripresa della
cavità - interrogabile qualora ve ne fosse bisogno - e quello 'derivato' utilizzato
per l'elaborazione del modello matematico complessivo della cavità antropica.
Il modello discreto, risultato dell'elaborazione della nuvola di punti complessiva,
è stato poi texturizzato con le immagini sferiche riprese dallo strumento all'atto
della scansione. Questa soluzione grafica, possibile con il software JRC Reconstructor,
rende possibile la gestione di un modello puntuale (discreto) in ambiente virtuale
rendendo superflue, per l'applicazione multidimensionale, le operazioni di meshing
e di costruzione del DTM.
L'elaborazione grafica tridimensionale risulta utile -come è noto- per la modellazione
di oggetti plastici, per la definizione di ricostruzioni virtuali di manufatti architettonci,
per la prototipazione rapida.
L'analisi multidimensionale di un manufatto, invece, richiede per assunto teorico
l'elaborazione di un modello discreto al quale associare gli n layer di indagine
sicentifica esperibili su quel dato oggetto. Questo particolare modello matematico
è, dunque, realizzabile direttamente con procedimenti di post-processing informatico
di una nuvola di punti alla quale associare la texture fornita dalle immagini
sferiche prodotte dallo strumento o dalle riprese fotografiche ad alta definizione.
Il modello matematico così definito gode di una propria unicità in riferimento
all'origine OXYZ assoluta (dello strumento o della georeferenzazione) e alla texture
fotorealistica assegnata al seminato di punti e di indipendenza puntuale in quanto
ciascun elemento è definito dalle tre coordinate cartesiane e dalla riflettività.
Determinare in questo modo il modello matematico di un manufatto (di una
cavità nel nostro caso particolare) significa concretizzare il miglior supporto
grafico per l'applicazione della metodologia multidimesionale. Ai quattro vettori
strumentali possono essere quindi associati gli n vettori multidimensionali
corrispondenti alle indagini multidisciplinari esperibili sulla cavità antropica.
WP3 | Presentazione dinamica del rilievo 3D con il laser-scanner 57

WP3 Presentazione dinamica del rilievo 3D con laser-scanner

ripresa laser scanner 01

ripresa laser scanner 02

ripresa laser scanner 03


58 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

ripresa laser scanner 04

ripresa laser scanner 05

ripresa laser scanner 06

ripresa laser scanner 07

ripresa laser scanner 08


WP3 | Presentazione dinamica del rilievo 3D con il laser-scanner 59

ripresa laser scanner 09

ripresa laser scanner 10

ripresa laser scanner 11

ripresa laser scanner 12

ripresa laser scanner 13


60 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

ripresa laser scanner 14

ripresa laser scanner 15

ripresa laser scanner 16

ripresa laser scanner 17

ripresa laser scanner 20


WP3 | Presentazione dinamica del rilievo 3D con il laser-scanner 61

ripresa laser scanner 21

ripresa laser scanner 22

ripresa laser scanner 23


WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 63

WP5 Evoluzione del rapporto tra le cavità e il territorio circostante

fig. 1 F. Rosselli, Tavola Strozzi, (1472-


1473) - (cm x cm) 245 x 82
Tempera su tela. Napoli, Museo di San
Martino

fig. 2 Autore: M. Wolgemut, W.


Pleydenwurff
Titolo: NEAPOLIS
Data: 1493
Dimensioni: 19,9 x 22,6 (cm x cm)
Tecnica: incisione su legno
Collocazione: Napoli, collezione Del
Franco; Napoli, collezione Vitiello.
Citta': Napoli
Editore: A. Koburger
Luogo Ed.: Norimberga
Iscrizioni: assenti
Tipologia: veduta prospettica
Note: Contenuta in: Hartman Schedel,
Liber Chronicarum , A. Koburger,
Norimberga, fol. XLII. Non può ritenersi
una reale rappresentazione della citta';
lo stesso legno adoperato per Napoli
viene utilizzato anche per Damasco,
Mantova, Verona e Ferrara.
64 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 3 A. Lafréry, Napoli, (1566) - (cm


x cm) 55 x 82.
Incisione su legno. Napoli, Museo di
San Martino.

fig. 4 Autore: Anonimo


Titolo: NAPOLI
Data: 1569
Dimensioni: 17,5 x 22,4 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino; Milano,
Raccolta A. Bertarelli.
Citta': Napoli
Editore: G. Ballino
Luogo Ed.: Venezia
Iscrizioni: Il titolo é collocato in alto,
al centro; nel corpo dell’immagine
sono inoltre inserite indicazioni delle
emergenze architettoniche.
Tipologia: veduta prospettica
Note: Contenuta in: Giulio Ballino, De’
disegni delle più illustri citta' e fortezze
del mondo. Parte I, la quale ne
contiene cinquanta con una breve
historia delle origini et accidenti loro
secondo l’ordine de’ tempi raccolta da
M.G. Ballino, Venetiis, Bolognini
Zaltierii typis et formis MDLXIX, , tav.
32. L’immagine deriva da quella del
Du Pinet del 1564, a sua volta derivata
dall’opera del Guéroult del 1553 e
ripresa dal Münster.
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 65

fig. 5 Autore: A. Lafrery (dis.), S. Du


Pérac (inc.)
Titolo: NAPOLI
Data: 1566
Dimensioni: 51,8 x 83,2 (cm x cm)
Tecnica: incisione su legno
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: A. Lafrery
Luogo Ed.: Roma
Iscrizioni: Cartiglio a sinistra; in basso
legenda con 74 voci.
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: Nel cartiglio: “Quale e di quanta
importanza e bellezza sia la Nobile
citta' di Napoli in Italia ancora che sia
nota a tutto il mondo, nondimeno a
comodità e soddisfazione de Nobili et
Virtuosi Ingegni si è fatto questo suo
vero ritratto, con li suoi Moli, Porte,
Chiese, Seggi, Palazzi, Piazze, strade,
Fonti, e altri cose notabili come per
l’infrascritti numeri annotati
facilmente si può vedere”.

fig. 6 Autore: D. Bertelli


Titolo: NAPOLI
Data: 1570 ca.
Dimensioni: 37,9 x 51,9 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: D. Bertelli
Luogo Ed.: Venezia
Iscrizioni: Titolo in alto al centro; in basso a sinistra cartiglio con dedica. Al di fuori
del riquadro dell’immagine legenda con 74 voci.
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: Nel cartiglio: "Illustrissimo Sig.re Vincenzo Pincelli volendo io mandare a
nuova stampa la nobile e gentile vostra citta' di Napoli con li suoi Moli, Porti,
Chiese, Seggi, Palazzi, Piazze, Strade, Fonti e altre cose notabili di quella patria, ho
voluto che la sia in luce fatto il nome di Vostra Illustrissima Signoria. Qual havendola
fatta imprimere un servo di quella Conoscer possa quanto desidera di Servirla,
Magnificarla, exaltarla, alla quale Reverentemente gli bacia le Mani D.B."
66 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 7 Autore: F. Hogenberg


Titolo: HEAC EST NOBILIS, E FLORENS
ILLA NEAPOLIS …
Data: 1572
Dimensioni: 33,7 x 48,2 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: G. Braun
Luogo Ed.: Colonia
Iscrizioni: Cartiglio in alto a sinistra;
legenda in basso.
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: Contenuta in: G. Braun - F.
Hogenberg, Civitetes Orbis Terrarum ,
Colonia, 1572. L’immagine deriva dal
prototipo del Lafrery.

fig. 8 Autore: S. Münster


Titolo: NEAPELS
Data: 1572
Dimensioni: 26,7 x 32,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su legno
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: S. Münster
Luogo Ed.: Basilea
Iscrizioni: La veduta é inquadrata in
un ricco cartiglio con una coppia di
telamoni che al centro in alto porta il
titolo; al centro in alto titolo in italiano
entro nastro e voci esplicative.
Tipologia: veduta prospettica
Note: Contenuto in: Sebastian
Münster, Cosmographia. Questo
esemplare - che ebbe molta fortuna
in ambito iconografico e fu più volte
ripreso dagli autori di atlanti - deriva
da una immagine inserita da G.
Guéroult nella Epitome de la
corographie d’Europepubblicata a
Lione nel 1553. Successivamente il
legno fu utilizzato da Antoine Du Pinet
nella sua opera Planz, Pourtraitz et
description de plusieurs villes et
forteresses, edita sempre a Lione nel
1564.
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 67

fig. 9 Autore: G. Hoefnagel


Titolo: ELEGANTISSIMUS AD MARE
TYRRHENUM EX MONTE PAUSILIPO
NEAPOLIS
Data: 1578
Dimensioni: 36,3 x 49 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: G. Braun
Luogo Ed.: Colonia
Iscrizioni: Titolo in alto al centro; in
basso a destra legenda.
Tipologia: veduta prospettica
Note: Contenuta nella raccolta di G.
Braun, F. Hogenberg, Civitates orbis
Terrarum.

fig. 10 Autore: D. Bertelli


Titolo: NAPOLI
Data: 1579
Dimensioni: 15,2 x 26,1 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, collezione
Vitiello
Citta': Napoli
Editore: D. Bertelli
Luogo Ed.: Venezia
Iscrizioni: Titolo in alto al centro;
indicazioni delle emergenze nel corpo
dell’immagine.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine deriva da quella del
Du Pinet del 1564, a sua volta derivata
dall’opera del Guéroult del 1553 e
ripresa dal Münster.

fig. 11 Autore: C. Duchet


Titolo: LA citta' DE NAPOLI GENTILE
Data: 1585
Dimensioni: 38,5 x 51,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: C. Duchet
Luogo Ed.: Roma
Iscrizioni: Titolo in alto; in basso punti
cardinali e scala di rappresentazione;
al di fuori del riquadro dell’immagine,
legenda con 77 voci.
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: L’immagine riprende la veduta
di M. Cartaro del 1579 che a sua volta
deriva dal prototipo del Lafrery.
68 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 12 Autore: H. van Cleve


Titolo: NEAPOLITANAE URBIS PARS
Data: 1585
Dimensioni: 17,4 x 24 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino (copia sciolta);
Milano, Raccolta A. Bertarelli.
Citta': Napoli
Editore: P. Galle
Luogo Ed.: Anversa
Iscrizioni: Titolo in basso al centro. ai
suoi lati indicazione di disegnatore ed
incisore.
Tipologia: veduta prospettica
Note: Contenuta in: Hendrick van
Cleve, Ruinarum varii prospectus
ruriumq. Aliquot delineationes,
Anversa 1585.

fig. 13 Autore: P. Bertelli


Titolo: NAPOLI
Data: 1616
Dimensioni: 11,5 x 17,2 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, collezione Grimaldi
Citta': Napoli
Editore: P. Bertelli
Luogo Ed.: Venezia
Iscrizioni: Titolo in alto al centro; rosa dei venti in basso
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: L’immagine è contenuta nella seconda edizione del Teatrum Urbium Italicarum
di P. Bertelli, pubblicato nel 1616 col titolo Teatro delle citta' d’Italia con le sue
figure intagliare in rame, & descrittioni di esse Nuovamente tradotto di latino in
toscano, & accresciuto sì di figure, come di dichiarationi. Anche in questo caso la
vedura di Napoli si rifà al prototipo del Lafrery.
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 69

fig. 14 Autore: P. Bertelli


Titolo: NAPOLI
Data: 1616
Dimensioni: 11,5 x 17,2 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, collezione
Grimaldi
Citta': Napoli
Editore: P. Bertelli
Luogo Ed.: Venezia
Iscrizioni: Titolo in alto al centro; rosa
dei venti in basso
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: L’immagine è contenuta nella
seconda edizione del Teatrum Urbium
Italicarum di P. Bertelli, pubblicato nel
1616 col titolo Teatro delle citta'
d’Italia con le sue figure intagliare in
rame, & descrittioni di esse
Nuovamente tradotto di latino in
toscano, & accresciuto sì di figure,
come di dichiarationi. Anche in questo
caso la vedura di Napoli si rifà al
prototipo del Lafrery.

fig. 15 Autore: D. Meisner (dis.), E. Kieser (inc.)


Titolo: ORNAMENTA MULIERIS: SILENTIUM MODESTIA ET DOMI MANERE / NEAPOLIS
Data: 1623
Dimensioni: 10 x 14,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: E. Kieser
Luogo Ed.: Francoforte
Iscrizioni: Titolo in alto; in primo piano allegoria della citta', rappresentata da una
dama con animali al guinzaglio.
Tipologia: veduta prospettica
Note: Contenuta in: D. Meisner, Thesaurus philo- politicus, Francoforte, 1623.
L’immagine deriva da quella del Du Pinet del 1564, a sua volta derivata dall’opera
del Guéroult del 1553 e ripresa dal Münster nel 1570.
70 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 16 Autore: anonimo


Titolo: NEAPOLIS
Data: 1625
Dimensioni: 15,9 x 18,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino; Milano,
Raccolta A. Bertarelli.
Citta': Napoli
Luogo Ed.: Colonia
Iscrizioni: Titolo in alto; in basso
indicazione dei punti cardinali, scala
di rappresentazione e indicazione
Mare Mediterraneum; al di fuori del
quadro dell’immagine legenda con 32
voci.
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: Contenuta in: Jo. Henricus
Pflaumern, Mercurius italicus Hospiti
fidus per Italiae praecipuas regiones
et urbes dux, Colonia, 1625.
L’immagine riprende la veduta di M.
Cartaro del 1579, a sua volta derivata
dal prototipo del Lafrery.
fig. 17 A. Baratta, Fidelissimae Urbis
Neapolitanae Cum Omnibus Viis
Accurata Et Nova Delineatio, (1627,
riedizione 1679) - (cm x cm) 48,5 x
212,5.
Incisione. Napoli, Banca Sannitica.
fig. 18 Autore: M. Merian
Titolo: NEAPOLIS
Data: 1638
Dimensioni: 27 x 35,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: M. Merian
Luogo Ed.: Francoforte
Iscrizioni: Titolo in alto; in basso al
centro, entro cornice, legenda con 30
voci.
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: Tratta da: Topographia Italiae,
das ist: Marhaffre und Curiose
Beschreibung Italien …, Frankfurt, In
Verlegung Matthaei Merians.
L’immagine riprende la veduta
contenuta nell’Archontologia
cosmica... di J.L. Gottfrid, a sua volta
derivata dal prototipo del Lafrery.
L’immagine del Merian sarà riproposta
con piccole modifiche per tutto il
Seicento e i primi anni del Settecento.
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 71

fig. 19 Autore: D. Barra


Titolo: VEDUTA DI NAPOLI
Data: 1647
Dimensioni: 66 x 127 (cm x cm)
Tecnica: dipinto ad olio su tela
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Iscrizioni: assenti
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: L’immagine raffigura la citta'
secondo il modello iconografico
stabilito dalla veduta del Baratta del
1629.

fig. 20 Autore: I. Silvestre (inc.)


Titolo: VEÜE DU CHASTEAU NEUF, ET
PARTIE DE LA VILLE DE NAPLE
Data: 1648 (?)
Dimensioni: 13,6 x 13,6 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, collezione
Viggiani; Napoli, collezione Vitiello.
Citta': Napoli
Editore: P. Drevet
Luogo Ed.: Parigi
Iscrizioni: Titolo in alto, ai lati del
cerchio contenente l’immagine; in
basso, autore e incisore.
Tipologia: veduta prospettica
Note: Presso la raccolta A. Bertarelli
di Milano è presente un’altro
esemplare edito a Parigi da N. Langlois
nel 1648.

fig. 21 Autore: anonimo


Titolo: DESSEIN OU PROFIL DE LA VILLE
ARCHIEPISCOPALE DE NAPLES
CAPITALE DU ROYAUME DE MESME
NOM
Data: seconda metà del sec. XVII
Dimensioni: 38,4 x 97,4 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Londra, British Museum.
Citta': Napoli
Editore: L. Boissevin
Luogo Ed.: Parigi
Iscrizioni: Titolo in alto con al di sotto
due stemmi; in basso, al di fuori del
corpo dell’immagine, a sinistra e al
centro legenda in 32 voci e a destra
indicazione dell’editore.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine deriva da quella del
van de Velde.
72 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 22 Autore: G. B. Cavazza (inc.)


Titolo: PROSPETTIVA DELLA
NOBILISSIMA citta' DI NAPOLI
METROPOLI DEL MEDESIMO REGNO
Data: 1650 ca.
Dimensioni: 53 x 84 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino; Napoli,
Istituto Suor Orsola Benincasa.
Citta': Napoli
Editore: G. Longhi
Luogo Ed.: Bologna
Iscrizioni: Titolo in alto; legenda in
basso, al di sotto della quale una lunga
narrativa storica. In alto sono inserite
8 vedutine delle citta' di Fondi, Gaeta,
Caiazzo, Pozzuoli, Sulmona, Tricarico,
Taranto, Gallipoli.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine riprende la veduta
del van de Velde del 1618.

fig. 23 Autore: anonimo


Titolo: NAPLES
Data: seconda metà del sec. XVII
Dimensioni: 32,7 x 51,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: Daumont
Luogo Ed.: Parigi
Iscrizioni: Titolo in alto al centro entro
nastro; in basso, al di fuori del corpo
dell’immagine, legenda in 18 voci.
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: L’immagine deriva dalla veduta
del Baratta.

fig. 24 Autore: L. Cruyl


Titolo: PROSPECTUS REGIAE URBIS
NEAPOLIS
Data: 1675
Dimensioni: 23,8 x 48,6 (cm x cm)
Tecnica: disegno a penna ed acquerello
su pergamena
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Città: Napoli
Iscrizioni: Dedica in alto, entro nastro;
titolo in basso entro cartiglio.
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: L’immagine deriva da quella del
Baratta.
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 73

fig. 25 Autore: G. F. Pesche


Titolo: FIDELISSIMAE URBIS
NEAPOLITANAE CUM OMNIBUS VIIS
ACCURATA ET NOVA DELINEATIO
AEDITA IN LUCEM AB ANTO
Data: 1685
Dimensioni: 21 x 32,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: A. Bulifon
Luogo Ed.: Napoli (?)
Iscrizioni: Titolo in alto entro cartiglio,
con l’indicazione dell’editore e la data
di pubblicazione; in basso legenda e
dedica; in basso a destra, al di sopra
della legenda suddetta, è riportata
l’indicazione dell’autore.
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: Nella dedica si legge:
"All’eccellentissimo Signore Don
Giovanni Emanuel Fernandez Pacieco
XIII marchese di Uigliena duca della
Scalona Vicerè e Cap. Generale del
Regno di Napoli, Ecc. Nicolò Bulifoni,
D.D." L’immagine deriva dalla veduta
del Baratta e viene riproposta in più
occasioni, con modifiche ed omissioni,
fino agli anni venti del Settecento.

fig. 26 Autore: anonimo


Titolo: NEAPOLIS
Data: 1690
Dimensioni: 39,1 x 50,4 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: G. Van Keulen
Luogo Ed.:
Iscrizioni: Titolo in alto al centro entro cartiglio, con ai lati due stemmi; in basso,
al di fuori del corpo dell’immagine, scritte esplicative in tre differenti lingue, al di
sotto delle quali, a destra, indicazione dell’autore.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine è una copia della veduta di D. Danckerts del 1660; quest’ultima
a sua volta deriva dalla rappresentazione della citta' di van de Velde.
74 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 27 Autore: C. Perriello (dis.), G.


Pietrasanta (inc.)
Titolo: LA FEDELISSIMA citta' DI
NAPOLI
Data: 1690
Dimensioni: 15,6 x 32 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: Stamperia della Pace
Luogo Ed.: Roma
Iscrizioni: Titolo in alto, legenda con
50 voci in basso, al di fuori del corpo
dell’immagine.
Tipologia: veduta a volo d'uccello
Note: L’immagine deriva dalla veduta
del Baratta.

fig. 28 Autore: C. Allard


Titolo: NAPELS
Data: 1698
Dimensioni: 20,5 x 27,9 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, collezione Vitiello
Citta': Napoli
Luogo Ed.: Amsterdam
Iscrizioni: Titolo in alto al centro entro elaborata cornice.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine deriva dalla veduta di J. van de Velde letta attraverso la
rappresentazione, datata 1660, di D. Dankerts; la citta' è collocata al centro, tra
un’ampia raffigurazione del cielo (che occupa metà della rappresentazione) e le
navi in primo pia
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 75

fig. 29 Autore: F. B. Werner (dis.), I. G.


Ringlin (inc.)
Titolo: NEAPOLIS NEAPOLIS
Data: 1725
Dimensioni: 20,6 x 30 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: M. Engelbrecht
Luogo Ed.: Augsburg
Iscrizioni: Titolo in alto, entro stemma;
in basso al centro, in primo piano,
panoplia militare e stemma della
citta'; in basso, fuori del riquadro
dell’immagine, legenda con 50 voci e
indicazione di autori ed editore.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine é una riduzione della
Werner-Probst del 1720 ca.

fig. 30 Autore: I. B. Homann


Titolo: URBIS NEAPOLIS CUM PRAECIPUIS EIUS AEDIFICIIS SECUNDUM PLANITIEM
EXACTA DELINEATIO
Data: 1727
Dimensioni: 48,2 x 57,1 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: I. B. Homann (eredi)
Luogo Ed.: Norimberga
Iscrizioni: La veduta presenta, al di fuori del quadro dell’immagine principale, otto
riquadri, quattro in alto, due in basso; al di sopra, è posto il titolo con l’indicazione
degli autori; al di sotto dell’immagine principale é inserita una legenda con 85 voci.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine é una riduzione dell’immagine del Petrini del 1698; esiste un’altra
versione della veduta, recante sei vedutine piuttosto che otto.
76 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 31 Autore: I. B. Homann


Titolo: URBIS NEAPOLIS CUM
PRAECIPUIS EIUS AEDIFICIIS
SECUNDUM PLANITIEM EXACTA
DELINEATIO
Data: 1727
Dimensioni: 48,8 x 57,4 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: I. B. Homann (eredi)
Luogo Ed.: Norimberga
Iscrizioni: La veduta presenta, al di
fuori del quadro dell’immagine
principale, sei riquadri, di cui quattro
sono disposti in alto, due in basso. Al
di sopra è collocato il titolo; nel corpo
dell’immagine principale, in alto,
legenda con 85 voci.
Tipologia: veduta prospettica
Note: Quest'opera é una riduzione
dell’immagine del Petrini del 1698;
della veduta esiste un’altra versione,
recante otto vedutine piuttosto che
sei.

fig. 32 Autore: M. Seutter


Titolo: NEAPOLIS REGNI HUJUS MAXIMA, ORNATISSIMA, SITI AMOENISSIMA …
Data: 1730 ca.
Dimensioni: 50 x 58,4 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Luogo Ed.: Augsburg
Iscrizioni: Al di fuori del riquadro dell’immagine sono collocati otto riquadri, disposti
su due file, quattro al di sopra e quattro al di sotto.
Tipologia: pianta con veduta assonometrica delle emergenze
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 77

fig. 33 Autore: P. Schenk


Titolo: NAPELS, EEN OUDE ZEESTAD
VAN CAMPANIE IN ITALIE, …
NEAPOLIS, OLIM PARTHENOPE,
CAMPANIAE URBS...
Data: prima metà del sec. XVIII
Dimensioni: 19,6 x 25,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: P. Schenk
Luogo Ed.: Amsterdam
Iscrizioni: In basso, al di fuori
dell’immagine, presentazione della
citta' in 2 lingue e indicazione
dell’autore.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine riprende la veduta
del van de Velde del 1618.

fig. 34 Autore: F. Ambrosi


Titolo: NEAPOLIS
Data: prima metà del sec. XVIII
Dimensioni: 19,8 x 28,6 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Iscrizioni: Titolo in alto entro stemma;
legenda con 50 voci in basso, al di
fuori del riquadro dell’immagine.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine deriva da quella di
Werner-Probst.

fig. 35 Autore: anonimo


Titolo: NEAPOLIS, NAPOLI, NAPLES,
NAPLIS, NEAPEL, DIE HAUPT UND
KÖNIGLICHE RESIDENZ STADT…
Data: prima metà del sec. XVIII
Dimensioni: 15 x 27,4 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Iscrizioni: In basso, al di fuori del
quadro dell’immagine, presentazione
della citta' e legenda con 21 voci,
entrambe in tedesco.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine riprende nei
caratteri generali la veduta del van de
Velde del 1618.
78 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 36 Autore: P. Schenk


Titolo: NAPELS, EEN SEER OUND
ZESTAD IN ITALIE, … NEAPOLIS,
ITALIAE ANTIQUISSIMA, AD MARE
MEDITERRANEUM …
Data: prima metà del sec. XVIII
Dimensioni: 15 x 19 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: veduta prospettica
Citta': Napoli
Editore: P. Schenk
Luogo Ed.: Amsterdam
Iscrizioni: In basso, titolo e breve
descrizione della citta' in olandese e
latino; più in basso, a sinistra,
indicazione dell’autore.
Tipologia: veduta prospettica

fig. 37 Autore: J. Eipelt (inc.)


Titolo: DIE STADT NEAPOLIS
Data: 1750
Dimensioni: 20,2 x 28,4 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, collezione Del Franco
Citta': Napoli
Editore: Eder
Luogo Ed.:
Iscrizioni: Titolo in basso al centro, al di fuori del riquadro dell’immagine; sempre
in basso, negli angoli, indicazione di autore ed editore.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine deriva da quella del van de Velde.
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 79

fig. 38 Autore: M. L. Jolivet


Titolo: PIANTA DELLA citta' DI NAPOLI
FORMATA A SPESE DI GIOVANNI
GRAVIER
Data: 1750 ca.
Dimensioni: 49,3 x 76 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore: G. Gravier
Luogo Ed.: Napoli
Iscrizioni: Titolo in basso al centro
entro riquadro con al di sopra scala di
rappresentazione, legenda con 136
voci e dedica.
Tipologia: pianta
Note: Questa pianta, una delle prime
rappresentazioni icnografiche della
citta', riprende uno degli orientamenti
tipici della tradizione vedutistica,
risultandone in tal modo una sorta di
restituzione planimetrica.

fig. 39 Autore: G. Aloja (inc.)


Titolo: VEDUTA DI NAPOLI DALLA
PUNTA DI POSILLIPO SINO AL PONTE
DELLA MADDALENA, COME SI VEDE
DAL MARE
Data: 1759
Dimensioni: 45,8 x 103,3 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Istituto Suor
Orsola Benincasa; Napoli, collezione
privata.
Citta': Napoli
Editore: G. Gravier
Luogo Ed.: Napoli
Iscrizioni: In basso, al di fuori del corpo
delll’immagine, titolo, legenda con 28
voci, dedica.
Tipologia: veduta prospettica
Note: La veduta è dedicata al Mons.
D. Marcello Papiniano Cusani,
arcivescovo di Palermo.

fig. 40 Domenico Spina, LA


CAMPAGNA FELICE MERIDIONALE,
1761 in Cesare De Seta, I CASALI DI
NAPOLI
80 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 41 Autore: A. Cardon


Titolo: VEDUTA DI NAPOLI DALLA
PARTE DI PONENTE
Data: 1765
Dimensioni: 51,5 x 103 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Luogo Ed.: Napoli
Iscrizioni: In basso, al di fuori del corpo
dell’immagine, al centro titolo, dedica
e indicazione dell’autore entro
riquadro; ai lati, legenda con 36 voci.
Tipologia: veduta prospettica
Note: Quest’immagine fa parte del
gruppo delle 5 vedute realizzate
dall’incisore fancese e tratte dai dipinti fig. 42 Autore: I. Sclopis Conte del Borgo
di G. Ricciardelli. In questi lavori viene Titolo: PROSPETTO GENERALE DELLA citta' DI NAPOLI
meno la volontà di rappresentare la Data: 1764
citta', nella sua ampiezza e Dimensioni: 48,5 x 213 (cm x cm)
complessità, in un unico disegno; il Tecnica: incisione su rame
mezzo iconografico tradizionale viene Collocazione: Napoli, Museo di S. Martino
ritenuto insufficiente per raffigurare Citta': Napoli
la realtà, e vengono quindi utilizzate Luogo Ed.: Napoli
visioni e prospettive molteplici. Iscrizioni: Titolo, dedica e legenda in basso, incisi su di un lungo riquadro.
Tipologia: veduta prospettica
Note: Ai lati dello stemma, in basso al centro, si leggono titolo e dedica: "Prospetto
Generale Della citta' di Napoli dedicato a sua Ecc.ma Giorgiana viscontessa Spencer".

fig. 43 Autore: A. Cardon


Titolo: VEDUTA DI CHIAIA DALLA
PARTE DI LEVANTE...
Data: 1765
Dimensioni: 41,9 x 88,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo
Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Luogo Ed.: Napoli
Iscrizioni: In basso, al di fuori del corpo
dell’immagine, al centro titolo, dedica
e indicazione dell’autore entro
riquadro; ai lati, legenda con 30 voci.
Tipologia: veduta prospettica
Note: Quest’immagine fa parte del
gruppo delle 5 vedute realizzate
dall’incisore fancese e tratte dai dipinti
di G. Ricciardelli. In questi lavori viene
meno la volontà di rappresentare la
citta', nella sua ampiezza e
complessità, in un unico disegno; il
mezzo iconografico tradizionale viene
ritenuto insufficiente per raffigurare
la realtà, e vengono quindi utilizzate
visioni e prospettive molteplici.
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 81

fig. 44 Autore: S. Giraud


Titolo: NOUVEAU PLAN DE NAPLES /
NUOVA PIANTA DI NAPOLI
Data: 1767
Dimensioni: 59,3 x 7,64 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, collezione Del
Franco; Napoli, collezione Majello.
Citta': Napoli
Editore: A. Ermil
Luogo Ed.: Napoli
Iscrizioni: Titolo in francese in alto al
centro entro riquadro; in basso, entro
riquadro, titolo in italiano, indicazione
dell’autore e della data di edizione,
legenda con 136 voci.
Tipologia: pianta
Note: L’opera deriva dalla
rappresentazione del Jolivet del 1750.

fig. 45 Autore: N. Carletti (dis.), F. Morghen (inc.)


Titolo: PIANTA TOPOGRAFICA DELLA citta' DI NAPOLI IN CAMPAGNA FELICE
Data: 1770
Dimensioni: 27,5 x 37,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Editore:
Luogo Ed.: Napoli
Iscrizioni: Titolo in alto, al di fuori del riquadro dell’immagine; in basso al centro
indicazione dei punti cardinali e, più in basso, legenda con 92 voci e indicazione
delle quattro perimetrazioni in cui é suddivisa la citta'.
Tipologia: pianta
Note: La copia a disposizione del centro é di una ristampa del 1803 con l’aggiunta,
in basso a destra, dell’indicazione: "In Napoli /Presso Nic. Gervasi Mercante/ di
stampe al Gigante di / Palazzo N. 92".
82 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 46 Duca Di Noja 1775

fig. 47 Marcello Eusebio Scotti, CARTA


COROGRAFICA DI MISENO E CUMA,
Allegata all'opera di Marcello Eusebio
Scotti CAMPI FLEGREI, GEOGRAFIA
STORICA - Napoli, 1775.
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 83

fig. 48 Autore: G. Fossati (dis.), T.


Bowles (inc.)
Titolo: A PERSPECTIVE VIEW OF THE
CITY OF NAPLES VUE PERSPECTIVE DE
LA VILLE DE NAPLES
Data: 1775 ca. (ma 1794)
Dimensioni: 29,5 x 41,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, collezione Del
Franco
Citta': Napoli
Editore: R. Wilkinson
Luogo Ed.: Londra
Iscrizioni: In basso, al di fuori del
riquadro, titolo in inglese e francese.
Tipologia: veduta prospettica
Note: L’immagine deriva da quella di
van de Velde del 1618.

fig. 49 Autore: F. De Cham (dis.), G. Aloja (inc.)


Titolo: MAPPA TOPOGRAFICA DELLA citta' DI NAPOLI IN CAMPAGNA FELICE
Data: 1776
Dimensioni: 41,6 x 62,9 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa
Citta': Napoli
Luogo Ed.: Napoli
Iscrizioni: Titolo in alto al centro, fuori riquadro; al di sotto, note storiche. Ai lati
dell’immagine, legenda con 580 voci; in basso a destra, scala di rappresentazione;
al centro in basso verso destra, rosa dei venti. Ai due lati in basso, indicazione
degli autori
Tipologia: pianta
Note: Per quanto riguarda la dedica, si legge: Alla Maestà di Carlo III Re Delle
Spagne Pio Felice Augusto Padre Della P. Questa Mappa Topografica Di Napoli E
Dei Contorni incominciata Nel Suo Felicissimo Governo Da Giovanni Carafa Duca
Di Noia A Pubbliche Spese E Perfezionata Nel Presente Di Ferdinando IV Re Delle
Due Sicilie Principe Ottimo Indulgentissimo L’Ordine Ed Il Popolo Napoletano Gio.
Battista Spinelli Princ. Di Cariat. Per Nilo F. Giuseppantonio Commen. Francone
Per Montagna Gennaro De
84 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 50 Autore: C. Buzzi - F. Maresca


(dis.), F. de Grado (inc.)
Titolo: EUBOICO ATTICO AC CAMPANO
AEVO
Data: 1780
Dimensioni: 50 x 74,2 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo Nazionale
di S. Martino
Citta': Napoli
Editore:
Luogo Ed.:
Iscrizioni: Legenda con 70 voci e
cartiglio in basso a destra.
Tipologia: veduta a volo d'uccello

fig. 51 Autore: G. Aloja (inc.)


Titolo: PIANTA DELLA citta' DI NAPOLI
Data: 1788
Dimensioni: 18 x 44,4 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, collezione Del Franco; Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa.
Citta': Napoli
Editore: Fratelli Terres
Luogo Ed.: Napoli
Iscrizioni: Titolo in basso al centro, con in alto indicazione dei punti cardinali;
esternamente al riquadro, in basso indicazione della scala di rappresentazione,
ai lati legenda con 72 voci e negli angoli inferiori indicazione di autore ed editore.
Tipologia: pianta
Note: Per quanto riguarda la dedica, si legge: Alla Maestà di Carlo III Re Delle
Spagne Pio Felice Augusto Padre Della P. Questa Mappa Topografica Di Napoli E
Dei Contorni incominciata Nel Suo Felicissimo Governo Da Giovanni Carafa Duca
Di Noia A Pubbliche Spese E Perfezionata Nel Presente Di Ferdinando IV Re Delle
Due Sicilie Principe Ottimo Indulgentissimo L’Ordine Ed Il Popolo Napoletano Gio.
Battista Spinelli Princ. Di Cariat. Per Nilo F. Giuseppantonio Commen. Francone
Per Montagna Gennaro De
WP5 | Evoluzione del rapporto tra le cavità 85

fig. 52 Autore: G.A. Rizzi Zannoni


(dis.), G. Guerra (inc.)
Titolo: PIANTA DELLA citta' DI NAPOLI
COME ESISTE NEL PRESENTE ANNO
MDCCXC
Data: 1790
Dimensioni: 58,5 x 84,5 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo Nazionale
di S. Martino
Citta': Napoli
Editore:
Luogo Ed.:
Iscrizioni: In basso due cartigli posti
l’uno nella parte destra, l’altro in
quella sinistra. Ai lati dell’immagine
due riquadri con legenda.
Tipologia: pianta
Note: Nel cartiglio, oltre i consueti
simboli costituiti dal fiume Sebeto e
dagli elementi figurativi tratti
dall’antichità classica, il Rizzi Zannoni
volle inserire anche lo strumento da
lui utilizzato per la determinazione
della longitudine. La pianta é
graficamente molto efficace ed é
fondamentale per il possibile
confronto con quella del duca di Noja
pubblicata nel 1775, quindici anni
prima della suddetta.

fig. 53 Autore: G. De Fazio, L. Malesci


Titolo: PIANTA DELLA CITTA' DI NAPOLI
Data: 1805
Dimensioni: 71 x 100 (cm x cm)
Tecnica: disegno a inchiostro acquerellato
Collocazione: Napoli, Museo Nazionale di S. Martino
Citta': Napoli
Luogo Ed.: Napoli (?)
Iscrizioni: In basso a sinistra, entro riquadro, dedica al re Ferdinando IV, scala di
rappresentazione e indicazione degli autori; a destra, sempre in basso, immagine
simbolica con indicazione di titolo e data di edizione.
Tipologia: pianta
Note: La scala di rappresentazione adottata è di 200 canne napoletane. L’opera
si rifà circa l’impostazione e l’orientamento alla pianta del Rizzi Zannoni del 1790
che a sua volta adotta come modello, pur riducendo l’area rappresentata, l’opera
del duca di Noja del 1775.
86 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 54 Autore: G. Russo (dis.) D.


Guerra (inc.)
Titolo: PIANTA DELLA citta' DI NAPOLI
Data: 1815
Dimensioni: 24 x 32 (cm x cm)
Tecnica: incisione su rame
Collocazione: Napoli, Museo Nazionale
di S. Martino
Citta': Napoli
Luogo Ed.: Napoli
Iscrizioni: Cartiglio con legenda posto
ai lati, mentre in basso sono presenti
immagini simboliche e scala di
rappresentazione.
Tipologia: pianta
Note: Può considerarsi la prima pianta
della citta' rilevata ed edita
nell’Ottocento; la precedono solo i
disegni del De Fazio-Malesci e del
Marchese. L’opera si rifà circa
l’impostazione e l’orientamento alla
pianta del Rizzi Zannoni del 1790 che
a sua volta adotta come modello, pur
riducendo l’area rappresentata, l’opera
del duca di Noja del 1775.

fig. 55 AEREOFOTOGRAMMETRIA
VOLO REGIONE CAMPANIA, 1998

fig. 56 ISTITUTO GEOGRAFICO


MILITARE, CARTA D’ITALIA, 1880
WP6 | Aspetti e problematiche di natura geologica 89

WP6 Aspetti e problematiche di natura geologica

Cava di piperno di Masseria del Monte in Pianura - Napoli

Il territorio dell’area napoletana è interessata sin dall’epoca greco – romana, da


numerose cave di varia tipologia, a fossa, di versante e in sotterraneo, tutte
sviluppate in prodotti vulcanici.
Dal punto di vista dei prodotti coltivati le cave si possono suddividere in cave di
prodotti sciolti e cave di rocce lapidee; queste ultime si suddividono in tufi e lave
o similari. I prodotti sciolti più pregiati sono le pozzolane. I tufi si distinguono
in tufo grigio e tufo giallo; il secondo ha caratteristiche meccaniche migliori ed
è più utilizzato del primo nelle costruzioni. Sono prodotti di eruzioni esplosive ed
i meccanismi deposizionali sono prevalentemente di flusso. Nell’area napoletana
questi prodotti sono associati al vulcanismo flegreo che si estende dall’”area
flegrea” alla città di Napoli fino ai suoi confini orientali.
E’ oggetto di questa nota l’analisi di uno dei prodotti più caratteristici dei Campi
Flegrei, il piperno, una roccia lapidea utilizzata nella forma più pregiata in opere
monumentali in modo estensivo nella città di Napoli. I principali luoghi di estrazione
di tale prodotto sono a Soccavo e a Pianura, ai piedi della collina dei Camaldoli,
luogo di notevole rilevanza vulcanologica nella storia eruttiva dei Campi Flegrei.
In particolare si analizzerà la nota cava di Masseria del Monte in località Pianura.
Il vulcanismo flegreo è associato al processo distensivo che investe il margine
continentale della penisola italiana in seguito all’apertura del Tirreno ed alla
conseguente migrazione della penisola verso est, sud-est, iniziato circa 9 milioni
di anni fa.
Dopo la formazione della catena Maghreb – Appennino, in seguito alla collisione
Africa – Europa, il crescente carico litostatico in asse di catena ha generato un
campo di deformazioni tensili tale da produrre un assottigliamento litosferico e
la risalita del mantello. Tale processo si è evoluto con l’espansione di un’area
continentale che ha dato origine al bacino tirrenico ed ha prodotto l’oceanizzazione
della crosta fig. 1. In conseguenza di tale processo l’area napoletana è caratterizzata
da una struttura di collasso (graben) all’interno della quale si è formata la piana
campana e si è sviluppato il vulcanismo fig. 2.
Il fenomeno si è sviluppato con più centri di espansione in seguito alla risalita
del mantello con un meccanismo diapirico che avrebbe dato origine a hot plume.
90 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 1 Espansione del Tirrenio -


Migrazione verso E e SE e
deformazione della penisola italiana.

fig. 2 Bordo tirrenico - Campania; in


blu struttura e graben e vulcanismo
WP6 | Aspetti e problematiche di natura geologica 91

fig. 3 Vulcanismo dell’area napoletana:


risalita del mantello, tumescenza della
litosfera, sua fratturazione, migrazione
del magma in superficie e vulcanismo

Si individuano due centri ben sviluppati, uno al centro del Tirreno in corrispondenza
del centro eruttivo sottomarino Vavilov e l’altro nella parte meridionale del bacino
in corrispondenza del vulcano sottomarino Marsili. Il vulcanismo ricordato è di
tipo tholeitico caratteristico di sorgenti magmatiche che si generano in condizioni
di alta temperatura e bassa pressione, coerenti con zone caratterizzate da crosta
assottigliata e temperature elevate, proprie delle aree interessate dai rami
ascendenti di celle convettive sviluppate nel mantello. Un terzo centro di espansione,
in corso di formazione, è ai margini del bacino tirrenico lungo la costa della
Campania. Qui la risalita del mantello ha prodotto prima la tumescenza della
litosfera, poi la risalita dei magmi nella crosta, successivamente eruzioni e collassi,
fino alla costruzione dei tre centri eruttivi principali: Vesuvio, Ischia e Campi
Flegrei fig. 3. Il Vesuvio si formerà come apparato poligenico da un originario
campo vulcanico, Ischia ed i Campi Flegrei conserveranno le caratteristiche di
campi vulcanici.
Non è noto l’inizio del vulcanismo nell’area flegrea che può farsi risalire alla fase
tettonica quaternaria che ha investito il bordo tirrenico della penisola. La risalita
di un notevole volume di magma ha prodotto, circa 39.000 anni fa, un eruzione
esplosiva con l’emissione di oltre 250 Km3 di prodotti piroclastici che hanno dato
luogo alla formazione dell’Ignimbrite Campana e della caldera flegrea. Il prodotto
92 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

tipico di questa eruzione è noto come Tufo Grigio Campano, diffuso in tutta la
Piana e nelle valli circostanti. Il piperno rappresenta una fase di questa eruzione
fig. 4 e fig. 5.
Successivamente alla grande eruzione dell’Ignimbrite Campana, segue un’attività
intracalderica, prevalentemente esplosiva di più modesta entità. Tra i prodotti di
maggiore diffusione di questa fase eruttiva si annoverano i così detti Tufi Biancastri
di cui risulta problematica la definizione dei centri di emissione, in quanto la
parte interna della caldera dell’Ignimbrite sarà soggetta a profonde modifiche in
seguito all’eruzione del Tufo Giallo Napoletano, circa 15.000 anni fa, con l’emissione
di circa 50 Km3 di prodotti piroclastici. Quest’eruzione modificherà profondamente
il paesaggio del territorio dove si svilupperà la città di Napoli, in quanto i flussi
generati dall’eruzione, mantelleranno le alture formatesi con le eruzioni precedenti.
Anche a questa eruzione si associa un collasso calderico di minori dimensioni,
rappresentato dall’attuale conca flegrea, ad occidente della collina di Posillipo
fig. 6 e fig. 7.

fig. 4 Caldera flegrea, limiti in rosso;


problematica la definizione dei limiti
orientali. Parte della caldera è
sommersa nel golfo di Napoli
WP6 | Aspetti e problematiche di natura geologica 93

fig. 5 Stralcio della carta geologica dei Campi Flegrei – (collina dei Camaldoli)
con gli affioramenti del piperno da Rosi e Sbrana 1987.

Masseria del Monte


1. Piroclastiti rimaneggiate in aree di intensa antropizzazione
2. Tefra di eruzioni subaeree più recenti di 8.000 anni
22. Tufo Giallo Napoletano
28. Breccia Museo e Piperno
30. Prodotti precedenti alla messa in posto dell’Ignimbrite Campana
Limite della Caldera
94 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 6 Interno della cava di Masseria


del Monte

fig. 7 Schema dei Campi Flegrei con


i limi della Caldera dell’Ignimbrite
Campana (CI) e della Caldera del Tufo
Giallo Napoletano (NYT).
WP6 | Aspetti e problematiche di natura geologica 95

Sezione geologica di Masseria del Monte fig. 8

La parete della collina dei Camaldoli nella parte retrostante la Masseria del Monte
è costituita dal basso verso l’alto da un deposito di Piperno (Ca2) per uno spessore
di circa 5 m, di cui non si osserva la base. I primi 3 m di questo affioramento sono
in facies non saldata, costituiti prevalentemente da frammenti di lave arrotondati,
di colore grigio scuro e di dimensioni variabili da cm a dm. I 2 m successivi sono
in facies saldata con diffusa presenza di “fiamme” (struttura vetrosa allungata).
Al di sopra del banco di Piperno si rinviene un deposito cineritico di colore
biancastro (Ca3) in cui sono immerse pomici alterate di color ocra. Lo spessore
di questo livello è variabile ma inferiore al metro. Le pomici alterate crescono in
numero e dimensioni nella parte alta del deposito. Gli elementi litici sono
soprattutto lavici di dimensioni variabili fino ad un massimo di 20 cm. I litici di
dimensioni maggiori sono addensati nella parte bassa del deposito al contrario
di quanto si osserva per le pomici. Si è in presenza, quindi, di una gradazione
diretta per i litici ed inversa per le pomici. Infine, in questo livello cineritico, si
osservano strutture di degassazione di piccola sezione e lunghe circa 50 cm. A
questo deposito segue in continuità verso l’alto un deposito grossolano (Ca4) che
raggiunge uno spessore di circa 8 m. Tale deposito è costituito da pomici, spesso
molto alterate e simili a quelle immerse nella cinerite biancastra sottostante, e
da litici prevalentemente lavici talvolta alterati di colore rosso – mattone.

fig. 8 Sezione stratigrafica di Masseria del Monte


Ca2 - Formazione del Piperno – Breccia Museo (Rittman et alii, 1950). Deposito
di flusso piroclastico di spessore variabile (si ispessisce nelle morfologie depresse)
costituita da un’alternaza di livelli sciolti in cui predominano elementi litici
arrotondati e di livelli saldati formati prevalentementeb da una matrice cineritica
in cui sono presenti abbondanti elementi juvenili appiattiti e densi (fiamme). Esso
è inoltre caratterizzato da strutture di degassazione. Il grado di saldatura di questo
deposito varia in funzione del rapporto litico/juvenile. Dove la quantità di materiale
litico predomina, il deposito si presenta poco saldato; al crescere della quantita
di materiale juvenile il grado di saldatura aumenta.
Ca3 – Deposito cineritico di flusso piroclastico con pomici alterate spesso sub –
arrotondate. A tratti si osserva una gradazione inversa per le pomici e diretta per
i litici (gradazione per densità). Il deposito è interessato da presenza di strutture
di degassazione.
Ca4 - Formazione del Piperno – Breccia Museo (Rittman et alii, 1950). Deposito
da flusso piroclastico costituito da pomici arrotondate, da ossidiane e
subordinatamente da litici anche di grosse dimensioni. Le notevoli dimensioni
degli elementi litici testimoniano la vicinanza al centro di emissione.
WP7 | Metodologie di estrazione 97

WP7 Metodologie di estrazione

Introduzione

Il piperno rappresenta, dopo il tufo giallo napoletano, la pietra maggiormente


utilizzata nell’architettura storica napoletana, in quanto le sue caratteristiche
fisiche e morfologiche ne hanno consentito l’impiego non solo con funzioni
prettamente architettoniche, ma anche con funzioni strutturali. Esso veniva infatti
utilizzato soprattutto per componenti orizzontali, come architravi e balconcini
a sbalzo, proprio in ragione delle sue proprietà meccaniche. Il materiale è un
prodotto dell’attività vulcanica dei campi flegrei, ascrivibile ad un episodio eruttivo
verificatosi alla base della collina dei Camaldoli, di disponibilità estrattiva
relativamente limitata.

Il rapporto uomo-ambiente

In epoche passate le attività estrattive ed i relativi impianti di estrazione e di


lavorazione erano ubicati in zone che consentivano la minimizzazione delle spese
di escavazione e di trasporto a prescindere dalle situazioni ambientali al contorno.
A partire dal dopoguerra, inoltre, la forte richiesta di materiali di cava necessari
per consentire l’espansione edilizia connessa alla ricostruzione post-bellica del
paese, comportò l’uso indiscriminato delle risorse naturali. Col passare degli anni
e con l’incremento della sensibilità ambientalista del territorio, dell’ambiente fisico
e sociale e dell’ambiente delle risorse naturali non rinnovabili, si è passati ad una
più attenta regolamentazione che consenta un rapporto più sereno uomo-natura,
base di qualsiasi attività antropica. Ciò non può comunque impedire lo sviluppo
tecnologico indispensabile ad una società in crescita, e dunque in tal senso si è
resa negli ultimi anni necessaria una regolamentazione che disciplinasse l’attività
estrattiva e ne consentisse lo sviluppo compatibilmente con l’ambiente circostante.
Inoltre appare fondamentale lo studio degli aspetti tecnici capaci di portare a
valutazioni economiche che tengano conto dell’aspetto costi (in termini ambientali)
– benefici (in termini di progresso industriale). Si prospetta dunque, per gli addetti
ai lavori, la messa a punto di nuove tecniche estrattive che consentano di giungere
98 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

a valutazioni parallele riguardo ai vantaggi ambientali e all’entità degli investimenti,


in modo da consentire stime di tipo imprenditoriale sui suddetti rapporti costibenefici,
anche tramite lo studio e la conoscenza approfondita delle metodologie utilizzate
nel passato. Si sottolinea infine che i processi innovativi in termini di progressiva
razionalizzazione delle tecniche di escavazione e di trasformazione dell’attività
produttiva nelle attività estrattive, hanno stentato a realizzare, in questo particolare
settore, l’indispensabile passaggio da attività artigianale ad attività industriale,
come invece è stato per altri campi delle attività antropiche, per cause legate a
motivi essenzialmente culturali, dei quali si accennerà in seguito.

Estratti dal PRAE

In tal senso assume una importanza fondamentale la recente messa a punto del
PRAE, Piano Regionale Attività Estrattive (nello specifico della regione Campania),
che si sviluppa su alcuni punti cardine, come

a) il RECUPERO dell’ambiente interessato, che nel caso in cui la cava venga definita
non coltivabile può essere:
ambientale ricostruzione ecologica
funzionale assolve ad una funzione del contesto sociale
morfologico raccorda i caratteri morfologici post operam
idraulico provvede alla regimazione delle acque
pedologico ricostituisce il suolo pedologico
vegetazionale provvede all’insediamento di specie vegetazionali
b) i MATERIALI, cui va prestata massima attenzione nello smaltimento e nella
differenziazione, quali:
terreno vegetale
materiali inerti
scarti di cava
limi fluviali
c) le TIPOLOGIE DI RECUPERO,
determinate dalla LEX e dal PRAE (v. testo integrale PRAE).
WP7 | Metodologie di estrazione 99

Le metodologie estrattive

Per cava deve intendersi la localizzazione di un certo sito della superficie terrestre
finalizzata all’estrazione di materiali utili, avvenuta a cielo aperto o in sotterraneo.
Esistono differenti tipologie di cave: cave a cielo aperto, cave di versante, cave in
galleria, cave in pianura, cave in fosso, etc., a seconda di come vengono prese sul
monte. Tra queste il PRAE riconosce diverse denominazioni, tra cui emergono:
cave storiche (da cui si ricavano pietre ornamentali di pregio) e cave da estrazione
(materiali da costruzione). Esistono di conseguenza diversi metodi per la coltivazione
delle cave a seconda del tipo di cava e del tipo di materiale da estrarre.
Le cave di marmo sono generalmente prese sul versante delle montagne a quote
variabili dagli 800 ai 1000 metri di altezza. Inizialmente si effettuano indagini
geologiche mediante carotaggi in profondità per stabilire le caratteristiche dei
materiali da estrarre e le potenze degli spessori dei banchi presenti nel sito.
Successivamente con mezzi meccanici e, laddove non è possibile, con l’ausilio di
operai specializzati, si procede alla scoperta delle bancate da estrarre ripulendo
tutto il materiale sovrastante (cappellaccio) ed il terreno presente sulla parete
degli strati. Ottenuta la parete ripulita, si procede ad una ispezione per stabilire
le dimensioni e le potenzialità dei blocchi da ottenere, tenendo conto della stabilità
dei fronti di cava che altrimenti potrebbero crollare.
Solo a questo punto si possono valutare le tecniche di estrazione più idonee e
definire le modalità e la programmazione degli investimenti necessari ad una
razionale estrazione per questo tipo di cava, tenendo conto ovviamente del valore
di mercato che potrebbe avere il prodotto ottenuto. Nel caso delle cave a cielo
aperto (di versante, a culmine od in fossa) la coltivazione avviene generalmente
per gradoni partendo dall’alto in basso, in modo da ridurre il pericolo di instabilità
dei fronti di cava e contemporaneamente avere dei piani regolari per eseguire i
tagli delle bancate. Una volta all’anno è necessario che il proprietario di concessione
relazioni al riguardo presso l’Ente Regionale di competenza, calcolando la stabilità
dei fronti tramite formule a norma di legge.
In passato tali tagli si eseguivano con un impianto di filo elicoidale costituito da
una serie di volani montati su pali e piantati in decine di punti nel perimetro di
cava, necessari al raffreddamento del filo stesso ed azionati da una macchina
completa di rinvii avviata da motore elettrico. L’impianto terminava su due pulegge
tra le quali passava il filo a grossa velocità. Tale sistema permetteva di dare grossi
tagli al monte, benché il vero e proprio taglio veniva prodotto mediante il passaggio
100 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

e lo strofinamento con acqua e sabbia silicea sulla roccia. Quando il filo iniziava
a tagliare rallentando la velocità, bisognava adoperarsi alla cala mediante ingranaggi
azionati manualmente e montati sui due piantoni usati per il taglio. La maggior
parte delle cave di marmo è stata inizialmente coltivata in questo modo, ed ancora
oggi sono presenti in alcune di esse resti di impianti di filo elicoidale, seppure
non più adoperati. In seguito, agli inizi degli anni settanta e ottanta, con la
scoperta di nuovi abrasivi e tecniche di taglio come lame e dischi diamantati,
subentrarono nuovi sistemi che consentirono una precisione ed una velocità nel
taglio fino ad allora impensabili. Nelle cave, in particolare, l’avvento del settore
diamantato modificò e rinnovò totalmente gli impianti presenti fino a quel
momento: l’input tecnologico delle macchine a filo diamantato e di quelle a
catena con settori diamantati fu notevole. A quel punto anche l’impiego di
manodopera poté diminuire per la semplicità del posizionamento delle tagliatrici
a filo, anche se questo tipo di macchine si rivelarono fin dall’inizio abbastanza
pericolose per gli addetti ai lavori.
I miglioramenti sostanziali rispetto all’impianto col filo elicoidale si possono
riassumere:

• filo tutto in acciaio intervallato da molle e perline diamantate;


• impiego di acqua abbondante, ma senza più sabbia silicea;
• spostamenti nei vari fronti di cava facilitati dalla leggerezza;
• possibilità di effettuare oltre che grossi tagli di bancate anche tagli più piccoli
per la riquadratura in cava dei blocchi ottenuti.

Nelle cave di granito, dove è molto diffuso l’impiego dei martelli perforatori
montati in batterie su slitte idrauliche o applicati su adattatori per escavatori,
ha preso piede ad esempio l’impiego del filo diamantato adattato per tagliare un
materiale che, come è noto, è ben più resistente e compatto del marmo.
Un’altra macchina di rilevanza notevole per i processi di escavazione è la segatrice
a catena diamantata, molto utilizzata nelle cave a cielo aperto ed in galleria.
Questo tipo di macchinario, che si muove su binari, utilizza una catena formata
da settori diamantati montata su di una lama che può raggiungere i 3 metri di
lunghezza, e pu˜ ruotare a seconda se il taglio da effettuare sia sovrastante,
laterale o sottostante.
Fondamentale nella storia estrattiva è stato anche l’apporto del “Derrick”, gru
fissa tralicciata, montata nei punti centrali della cave a cielo aperto, che consente,
WP7 | Metodologie di estrazione 101

grazie ad una piattaforma girevole, di ruotare di angoli molto ampi prelevando i


blocchi di 30/40 tonnellate e spostandoli sul piano di carico.
Per il sezionamento dei blocchi vengono tutt’oggi adoperati i martelli perforatori
che, azionati da compressori ad aria, eseguono i fori nella roccia a distanze di
cm. 15/20 tra di loro. L’impiego di argani, ed a seguire dei mezzi meccanici tipo
pale ed escavatori, restano comunque indispensabili per lo spostamento dei
blocchi.
Alle macchine principali si aggiungono infine tutta una serie di attrezzature
presenti in cava più piccole, ma di pari utilità, come

• compressori ad aria;
• gruppi elettrogeni;
• martelli perforatori;
• cuscini divaricatori;
• martinetti idraulici;
• centraline idrauliche per il passaggio del filo;
• mezzi meccanici di grande portata;
• automezzi idonei al trasporto di blocchi etc. etc.
102 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

Fasi estrattive del marmo venato dalla


cava URIA (BN)
WP7 | Metodologie di estrazione 103

Macchinario per la segagione dei blocchi trasportati in segheria


WP8 | Metodi di trasporto sui luoghi di utilizzazione dei materiali 105

WP8 Metodi di trasporto sui luoghi di utilizzazione dei materiali

Le tecnologie finora citate hanno diminuito sensibilmente l’impiego di manodopera,


puntando soprattutto sulla produzione più elevata ottenuta nel minor tempo e,
sebbene questo risultato sia stato raggiunto grazie ad impieghi di maggiori risorse
finanziarie da parte dei titolari dell’autorizzazione alla coltivazione della cava,
il notevole quantitativo di materiale immesso sul mercato produce quasi sempre
a un ritorno sfavorevole in termini di valore; non è raro infatti che, dopo il lavoro
necessario all’estrazione, molto spesso si sia costretti ad una svalutazione del
prodotto per fronteggiare la massiccia produzione ed i relativi costi.

Una nuova tecnologia di scavo: il “raise borer”

Interessante appare il “raise borer”, metodologia estrattiva messa a punto durante


la stesura del nuovo PRAE: si tratta di una tecnologia in grado di effettuare lo scavo
attraverso fornelli per consentire una riduzione dell’impatto ambientale e agevolare
le operazioni di recupero. Nella parte più interna della galleria si pratica un foro
pilota di piccolo diametro che raggiunga la volta della galleria. Il foro viene poi
allargato dal basso verso l’alto con una particolare attrezzatura chiamata appunto
raise borer, consistente in una fresa alesante dotata di attrezzi di scavo diamantati
che tagliano e frantumano la roccia fino al raggiungimento del diametro stabilito.
L’operazione prosegue poi fino alla sovrastante superficie topografica, lasciando
aperto un foro leggermente inclinato del diametro di circa quattro metri che sarà
poi utilizzato per trasferire a gravità il materiale cavato. Questo materiale
frantumato precipita nella sottostante galleria dalla quale viene poi raccolto e
trasportato all’esterno verso le aree di lavorazione. Con l’utilizzo di tale tecnologia
l’attività estrattiva viene svolta con vantaggi evidenti nella sicurezza, quali:
• eliminazione del caricamento dell’abbattuto ai piedi di alti cumuli di materiali
che possono presentare condizioni di instabilità, soprattutto in aree sismiche;
• eliminazioni di polveri;
• miglioramento nella qualità del materiale raccolto tradizionalmente nel piazzale
di cava; eliminazione dei trasporti su gomma utilizzando le accidentate piste
di cantiere;
• recuperi ambientali e mimetizzazioni delle alterazioni esterne prodotte.
106 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

Conclusioni

Paragonare la lavorazione del marmo a qualsiasi altro tipo di attività industriale


è poco realistico: la pietra non è prodotta in serie e, nonostante il perfezionamento
recente dei processi di trasformazione che possono definirsi di impostazione
industriale, il pregio (o difetto) fondamentale è dato dalle sue caratteristiche di
imprevedibilità. L’imprenditore che si appresta alla coltivazione di una cava
conosce limiti e rischi del proprio mestiere; ad esempio sa che potrebbe trovare
un materiale non del tutto all’altezza delle aspettative o che la vena marmifera
potrebbe variare nel bel mezzo di un lavoro o, ancora, che la cava potrebbe
esaurirsi prima del previsto. Di contro, troppo spesso la committenza non tiene
in alcun conto il fattore “naturale” del marmo, pretendendo prodotti identici tra
loro o senza alcuna sorpresa; in tal senso, la serietà e l’impegno dell’industriale
poco hanno a che vedere con la riuscita del lavoro commissionato. Da qui il
rifiorire di aziende che producono resine e piastrelle che copiano le venature di
marmi: lavorabilità, prezzi, facilità di messa in opera, tutto sembra giocare a loro
favore…. e tutto sembra dissuadere chi ancora crede nelle caratteristiche della
pietra naturale, il “marble from Italy” apprezzato nel mondo, la cui storia, il cui
fascino, la cui resistenza nel tempo sono noti, ma il cui futuro corre il rischio di
restare impantanato tra le difficoltà, proprio nel Paese di cui rappresenta una
risorsa.
Naturalmente la via d’uscita a tale situazione c’è ed è percorribile: il primo passo,
laddove si tratti di cave storiche che corrono, come è noto, il rischio di essere
abbandonate, è la ripresa dell’attività estrattiva, che va fortemente tutelata – e
non ostacolata - dagli Enti statali, i quali dovrebbero occuparsi di rimuovere tutte
le incertezze che scoraggiano i grossi investimenti di capitali; il secondo passo
è verso le nuove generazioni: invogliare i giovani a formarsi in un settore come
quello marmifero, in cui manca quasi del tutto la manodopera specializzata, vuol
dire per loro imparare un mestiere certamente richiesto e per gli altri ulteriori
possibilità lavorative, anche tramite la creazione di centri dove sia possibile
imparare “in loco”; il terzo passo, infine, è l’informazione: una corretta informazione
nel senso di reale comprensione del prodotto, che parta dalle Università e prosegua
verso gli Ordini Professionali, gioverebbe all’immagine del settore, la cui crisi
dipende anche da residui di correnti culturali moderne (si pensi al post-razionalismo
in Architettura) – ormai superate – che, negando totalmente l’uso di “abbellimenti”,
annoveravano tra questi il marmo. Oggi l’architettura registra una inversione di
WP8 | Metodi di trasporto sui luoghi di utilizzazione dei materiali 107

tendenza, dovuta certamente ai corsi e ricorsi storici, ma anche probabilmente


all’internazionalizzazione delle attività antropiche, che permette di scoprire nuove
risorse laddove fino a qualche tempo fa era impensabile spingersi, come le stupende
cave di onici e marmi pregiati dei paesi arabi.
Tali paesi, ancora in via di sviluppo tecnologico, rappresentano una risorsa per
la ripresa economica mondiale del settore, che conta di esportarvi tecnologie ed
esperienza occidentali.

PROVINCIA DI NAPOLI - QUADRO SINOTTICO CAVE

CAVE
AUTORIZZATE n° 23
CHIUSE n° 23
ABBANDONATE n° 180
tot. Cave n° 226

CAVE IN AREA
COMPLETAMENTO n° 23
CRISI n° 108
ZONE CRITICHE n° 8
Z. A. C. n° 14
A. P. A. n° 34
ALTRO n° 95

COMUNI INTERESSATI DALLA PRESENZA DI CAVE TOT. N 34SU 92 COMUNI PARI


AL 36,95%
CAVE ABUSIVE n° 27
DATO REGIONALE n° 180
Pr
inc
ipige
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tri
cipe
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110 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 1, 2 e 3 Villard vedranno in Francia la pubblicazione di veri e propri trattati di alto livello scientifico,
benché di contenuti e finalità dichiaratamente didattiche e divulgative.
Il problema più generale che la stereotomia si propone di risolvere si presenta,
come è noto, secondo un duplice aspetto: quello della genesi geometrica e
configurativa di particolari superfici – la conoscenza della quale ne rende possibile
la relativa rappresentazione e quindi la progettazione – e insieme (come del resto
ogni corretta soluzione architettonica richiede) quello della realizzazione in termini
costruttivi e statici dell’opera stessa. Tutto ciò appare particolarmente evidente
nel caso più semplice e noto dell’arco a tutto sesto, in cui la soluzione statica è
affidata al rigoroso taglio radiale dei relativi conci, e soprattutto al concio che
viene posto in chiave e che non a caso è detto appunto “chiave dell’arco”: ma
questo ruolo coincide ancora con l’aspetto estetico, in quella logica costruttiva
che ‘materializza’ rette altrimenti non visibili, tuttavia strettamente legate alla
forma circolare, precisamente i raggi dell’arco.
Il grande trattato Le premier tome de l’Architecture di Philibert De l’Orme fu
stampato per la prima volta nel 1567, quando ancora non si era affermata una
vera cultura del progetto, come lo intendiamo oggi, benché ne venisse già
WP9 | Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura 111

emergendo l’idea di un impegno speculativo: un’idea dunque che non identifica


più il progetto con la sola pratica esecutiva, e che, sebbene ingiustamente assente
dal novero delle coeve invenzioni – quelle relative alle macchine -, era stata
introdotta proprio dagli architetti trattatisti del Rinascimento, primo fra tutti fig. 4, 5 e 6 De l’Orme
Leon Battista Alberti con il suo De re aedificatoria.
Ma a De l’Orme spetta soprattutto il merito di aver convogliato le esperienze
acquisite con il rilievo degli antichi monumenti italiani così nella pratica di fecondo
architetto come nella sua importante opera di teorizzatore e didatta, laddove egli
dedica particolare attenzione proprio alla stereotomia. Come era prevedibile,
questa diversa figura di architetto, così come si veniva delineando, doveva scontrarsi
con quella di operatore tradizionale, spesso più esperto del progettista, cioè il
capomastro, che si vedeva in tal modo espropriato di un sapere tecnico, di cui
fino ad allora era l’unico detentore; né tanto meno fu accolta favorevolmente
dagli accademici matematici, che non accettavano la denominazione di trait de
géométrie, data dall’autore alla nuova disciplina, per l’accostamento del termine
‘geometria’ a quello di trait, dalle chiare origini operaie e già in uso per indicare
la bruta pratica costruttiva fig. 4, fig. 5 e fig. 6.
Sono pochi i successori di De l’Orme nel suo stesso secolo, tra cui lo spagnolo
Alonso Vandelvira che ne diffonde i principi teorici e le applicazioni pratiche nel
112 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 7 e 8 Désargues

suo paese, con il Libro de Traças de Cortes de Piedras, tuttavia pubblicato solo
in epoca recente; e l’autore di un altro manoscritto dal titolo Livre d’architecture
de Jean Chereau, tailleur de pierre, natif de Joigni, il cui interesse risiede
essenzialmente nella associazione della stereotomia alle altre scienze, come la
gnomonica e l’astronomia, che si occupano di rappresentare forme e misure dello
spazio, come poi farà in maniera assai più rigorosa nel secolo successivo Girard
Désargues, quel concittadino lionese di De l’Orme che ne riprenderà gli studi sulla
stereotomia dando loro vera dignità scientifica e denominandoli a sua volta con
l’espressione trait à preuves. Tali studi tuttavia avrebbero avuto un’accoglienza
ancora più ostile da parte di matematici, volendo l’autore enunciare unificandoli
i principi scientifici di tutte le geometrie pratiche, quali la prospettiva, la stereotomia
e la gnomonica, dando a ciascuna una forma universale.
L’architetto-geometra Girard Désargues pubblica infatti nel 1640 uno scritto di
sole quattro pagine in folio con cinque tavole, dedicato alla …pratique du trait
à preuves pour la coupe des pierres en l’Architecture…, il cui lunghissimo titolo
comprende anche ulteriori note sulla prospettiva (da lui stesso studiata in altro
testo) e sui quadranti solari.
Secondo la scelta già adottata e annunciata nel titolo del suo precedente scritto
di prospettiva del 1636, Example de l’une des manières universelles… - questo
pure redatto in poche pagine, e accompagnato da una sola tavola splendidamente
incisa -, l’autore anche per il taglio delle pietre si occupa di un solo esempio, la
cui estrema complessità ha il preciso scopo di proporre la coesistenza del maggior
numero di possibili problemi: si tratta infatti del disegno in prospettiva de La
descente biaise dans un mur en talus, cioè della struttura muraria di una volta
WP9 | Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura 113

cilindrica, inclinata, obliqua e aperta in un muro a scarpa fig. 7 e fig. 8. Ma


l’eccessiva concisione di Désargues non costituirà più un ostacolo alla divulgazione
delle sue teorie, anche se a lungo avversate dai numerosi detrattori, poiché saranno
quelle stesse teorie ampliate e illustrate con numerose esemplificazioni dal suo
allievo e incisore Abraham Bosse.
Ed è proprio dalla seconda metà del XVII secolo che la stereotomia assume il ruolo
di disciplina autonoma con la sua trattatistica esclusiva, e non più situata a
margine di altre più ampie problematiche.
Citiamo in particolare tra i successivi autori Mathurin Jousse, con il testo
significativamente titolato Le Secret d’Architecture del 1642, e François Derand
con L’Architecture des voûtes dell’anno successivo, pubblicati entrambi a Parigi:
il primo destinato a diffondere le relative conoscenze tra gli operatori lapicidi,
per i quali riteneva irti di difficoltà i precedenti testi; e il secondo la cui opera
apparve utile così agli architetti come alle maestranze fig. 9. Ma in realtà resta
ancora profonda la frattura già determinatasi tra gli architetti trattatisti e gli
accademici matematici, che sarà solo scalfita dall’opera di Claude-François Milliet
de Chalet, che inserisce, nella sua grande opera Cursus seu mundus mathematicus
Universam Mathesis del 1674, un testo dal titolo De lapidum sectione, con il fig. 9 Derand
preciso scopo di conciliare le due antitetiche posizioni.
Nel secolo successivo appare il rigoroso e ben illustrato testo dell’architetto Jean
Baptiste de La Rue, pubblicato a Parigi nel 1728 con il semplice titolo di Traité
de coupe des pierres. L’apprezzamento del testo anche da parte degli operatori
pratici è testimoniato dalla lunga serie di riedizioni che si sono susseguite fino
al XIX secolo.
Tra il 1737 e il 1739 vede le luce il ponderoso trattato dell’ingegnere militare
Amédée François Frezier, dal titolo La Théorie et la pratique de la coupe des pierres
et des bois, che si presenta come l’opera più importante e ricca di esempi dell’intera
trattatistica sull’argomento. Lo stesso autore inoltre, come rivela lo storico
matematico Chasles, “…con quest’opera sapiente e ricca di applicazioni curiose
e utili nella geometria teorica e pratica, ha dato compimento alle idee di
generalizzazione di Désargues e ha trattato geometricamente, in maniera astratta
e sistematica, differenti questioni che si sarebbero presentate in più parti legate
al problema del taglio delle pietre” (1) fig. 10.
Si tratta di un’opera monumentale in tre tomi, il primo dei quali, che comprende
tre dei quatto libri in cui è suddiviso il trattato, si occupa di questioni teoriche
basilari, ponendo e risolvendo numerosi problemi sulle intersezioni di superfici, fig. 10 Frezier
114 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

sulle coniche e sui diversi tipi di spirali, rigorosamente risolti e splendidamente


illustrati. Alla stereotomia sono dedicati i due ulteriori tomi che comprendono
rispettivamente la prima e la seconda parte del quarto libro.
Venendo al nostro paese, che pure vanta una grande trattatistica architettonica,
vi appare scarso l’interesse verso questo tipo di problemi, se si esclude il contributo
di Guarino Guarini nella sua Architettura civile che sarà pubblicata solo nel 1737:
l’importanza di tali studi è sottolineata dallo stesso autore, quando dice che “…per
tagliare le pietre e ritrovare le giuste forme è necessario sapere quali sieno le loro
superfizie, acciocché fatte e tagliate secondo quelle, quando si pongono in opera,
si assettino al suo luogo e convergano con le altre, perciò è stata ritrovata questa
ortografia, che appunto mette la loro superfizie in piano” (2). Qui dunque l’autore
getta i fondamenti scientifici del metodo della doppia proiezione ortogonale –
che sarà poi definitivamente codificato sul finire del secolo XVIII da Gaspard
Monge -, metodo che di gran lunga il Guarini privilegia per la rappresentazione
dell’architettura, dalla cui realtà metrica e costruttiva la convergenza delle
parallele, propugnata dalle teorie prospettiche, distoglie.
Ma intanto, osserva Taton, “…il perfezionamento dei metodi di costruzione, la
nascita del macchinismo, il debutto delle grandi industrie sottolineano l’urgenza
di una rifondazione dei metodi dei disparati procedimenti grafici utilizzati dai
tecnici, tanto che, nel dominio teorico, le prime estensioni sistematiche allo spazio
della geometria… chiariscono e diffondono i principi di questa sintesi” (3).
E quando finalmente nel 1799 vede la luce a Parigi la Géométrie descriptive, in
cui Gaspard Monge espone in maniera sistematica l’intero corpus disciplinare che
permetterà di passare dai vecchi procedimenti empirici alla formulazione di una
dottrina coerente e generale, sarà possibile adottare tale modello per la soluzione
di tutti i problemi pratici dell’architettura, non ultimo appunto quelli della
stereotomia. La chiarezza metodologica e il nuovo linguaggio furono infatti
favorevolmente accolti così dai progettisti come dai tecnici esecutori e in particolare
dagli apparecchiatori delle opere murarie.
Una tale feconda innovazione, che avrebbe grandemente facilitato la comprensione
dei talvolta difficili procedimenti, stimolò la stesura di numerosi testi sulla
stereotomia, tra cui emerge per completezza e rigore scientifico il Traité theorique
et pratique de l’art de bâtir di Jean-Baptiste Rondelet, pubblicato a Parigi nel
1802; citiamo ancora quelli di Alphonse-Joseph Adhémar del 1840 e di Jaques
Chaix del 1890, entrambi con il titolo Traité de la coupe des pierres, e infine il
Traité de stereotomie di C.F.A. Leroy del 1845.
WP9 | Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura 115

Successivamente, con la grande diffusione della Geometria descrittiva, non più


identificata nel solo metodo di Monge, ma estesa agli altri processi proiettivi per
la rappresentazione dell’architettura, anche la stereotomia, in quanto applicazione
di questa ampia e complessa disciplina, verrà inclusa nella trattatistica più generale.

note
(1) M. Chasles, Aperçue historique sur l’origine et le développement des mèthodes en géométrie,
Bruxelles 1837, p.355.
(2) G. Guarini, Architettura civile, a cura di B. Tavassi La Greca, Milano 1968, p.282.
(3) R. Taton, L’oeuvre scientifique de Monge, Parigi 1951, p.72.
116 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

L’uso del piperno della cava di Pianura e di altre pietre di origine


vulcanica nell’architettura rinascimentale napoletana

L’ampio utilizzo del piperno coltivato nella cava di Pianura, attestato da noti
regesti di documenti e dalle fonti archivistiche (1), è sicuramente un elemento
di nodale importanza per una conoscenza approfondita dell’edilizia storica
napoletana, poiché le qualità meccaniche di questa pietra hanno offerto agli
artefici, nel corso dei secoli, possibilità di dare forma alle idee e alle invenzioni
degli architetti, utilizzando un materiale che, insieme ad altre rocce di origine
vulcanica – il tufo giallo, il tufo pipernoide, il basalto – ancora oggi colora
l’ambiente costruito della Campania Felix.
In realtà, non è possibile un censimento attendibile delle opere realizzate con il
piperno di Pianura sulla scorta esclusiva dei materiali d’archivio, perché le notizie
desunte dai documenti spesso sono imprecise o frammentarie, tuttavia proprio
il presente studio prospetta nuovi campi di ricerca, riunendo le competenze di
architetti, ingegneri, storici e geologi. Le notizie desunte dallo studio dell’edilizia
storica, corrente o monumentale, i risultati di analisi condotte in situ da chi
possiede specifiche competenze litografiche, il rilievo e la conseguente comprensione
dei fabbricati e degli elementi che li compongono, potrebbero, infatti, accorpare
un patrimonio di dati che, opportunamente incrociati, costituirebbero una
straordinaria piattaforma sia per una conoscenza più approfondita del patrimonio
architettonico campano sia per eventuali interventi volti al recupero di edifici
costruiti con i materiali lapidei considerati.
In particolare, l’uso del piperno, e delle altre pietre da taglio di origine vulcanica
utilizzate in Campania, assume uno speciale significato nella produzione edilizia
napoletana tra Quattrocento e Cinquecento, poiché edifici costruiti con questi
materiali rinnovarono la cultura architettonica del Regno di Napoli attraverso un
articolato processo di relazioni politiche, economiche e culturali e materiali, che
avrebbe condotto alla realizzazione di edifici considerati tra i primi per qualità
costruttive ed estetiche dai contemporanei e assunti come modello per altre
importanti opere realizzate in diversi centri italiani del Rinascimento (2).
In un momento storico nel quale la costruzione di residenze appropriate al ceto
nobiliare e magnatizio della Napoli aragonese e vicereale si arricchisce di valenze
morali di ricaduta sul benessere comunitario, in osservanza ai principi della
magnificentia civile diffusi dalla cultura umanistica anche presso le corti dell’Italia
WP9 | Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura 117

meridionale, l’adozione di paramenti a bugne sulle facciate dei principali palazzi


del Regno diviene albertianamente il sigillo formale per distinguere il rango del
committente (3). Difatti, dalla metà del Quattrocento per i notabili napoletani
costruire in pietra diviene un requisito di magnificenza ispirato da precetti
vitruviani (4) – nel secondo libro del De architectura, trattando dei diversi modi
di costruire i muri, Vitruvio raccomandava le murature isodome alla greca rispetto
alle tecniche romane – e consigliato dai trattatisti rinascimentali – Filarete, per
esempio, riteneva che una facciata fatta di conci di pietra grandi si addicesse a
“gentili uomini e persone da bene virtuose” (5). Non mancavano, poi, significativi
esempi di monumenti romani composti da murature isodome – come il tempio
di Augusto a Pozzuoli, i monumenti sepolcrali della via Appia, le antichità di
Capua e di Nola – ed autorevoli precedenti di edifici costruiti “all’antica”– come
la porta di Federico II a Capua, edificata a partire dal 1324 – dai quali trarre
ispirazione per rinnovare l’edilizia civile del Rinascimento napoletano.
Inoltre, nell’ambito di un contesto culturale rivolto prevalentemente alla cura
delle discipline umanistiche, l’adozione di paramenti a bugnato nel Rinascimento
napoletano risponde concettualmente all’esigenza di recuperare il linguaggio
formale della tradizione classica anche attraverso l’attuazione di procedimenti
di controllo geometrico degli edifici, applicandoli non solo all’organizzazione
planimetrica e al disegno delle facciate ma pure ad ogni componente dell’ordine
architettonico, fino alla ripartizione degli apparecchi murari mediante l’adozione fig. 11 Palazzo Penne
di rivestimenti modulari a conci lapidei squadrati.
Nell’ampio repertorio dell’edilizia civile rinascimentale napoletana anche un
controllo a campione degli edifici più conosciuti connotati dal sapiente intaglio
della pietra lavica sui paramenti esterni presenta una casistica varia e articolata.
Alcuni dei più noti esemplari della produzione architettonica campana
quattrocentesca e cinquecentesca sono accomunati dall’adozione di rivestimenti
lapidei sulle fronti rivolte verso l’esterno: dai palazzi Penne, Carafa, Sanseverino,
Como e Gravina di Napoli, al palazzo Rinaldi-Milano di Capua, alla dogana
aragonese di Mercogliano, al palazzo dei Tufi di Lauro, alla chiesa di San Giovanni
Battista ad Angri è possibile annoverare differenti e significative declinazioni
dell’uso di pietre di origine vulcanica – in molti casi proprio del piperno di Pianura
– lavorate a bugne di differenti formati.
Nella piazzetta Teodoro Monticelli, tra le vie Banchi Nuovi ed Ecce Homo, è situato
palazzo Penne fig.11, l’unica residenza napoletana di età durazzesca la cui
facciata conserva ancora integro l’assetto originario. Come si rileva da una targa
118 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

apposta sul portone d’ingresso, il palazzo venne costruito a partire dal 1406 da
Antonio e da Onofrio Penne, rispettivamente consigliere e segretario del re Ladislao
di Durazzo. Si deve tuttavia interpretare tale data come quella in cui il re concesse
di fregiare il palazzo con le armi e i simboli della sua casata. Si ritiene, infatti,
che l’edificio sia stato costruito successivamente, circa un decennio più tardi. La
residenza dei Penne, attribuita all’architetto e scultore Antonio Baboccio da
Piperno – artista che eseguì, nello stesso periodo, anche la sepoltura dei due
committenti nella chiesa di Santa Chiara – posta sul declivio di Santa Barbara,
collegato all’antica via Sedile di Porto e quindi il mare, originariamente godeva
di area salubre e della vista sul golfo di Napoli. Al centro della facciata, animata
da bugne decorate con le insegne dei proprietari alternate a gigli angioini e
conclusa da un coronamento sorretto da archetti gotici trilobati, si apre il portale
marmoreo ad arco ribassato, che accoglie un ornato scolpito a rilievo caratterizzato
dalla plastica decorazione a nastro assimilato ad altre opere di Baboccio. Gli
elementi architettonici di epoca durazzesca all’interno dell’edificio anticipano
analoghe soluzioni presenti in noti palazzi napoletani ma anche in edifici di
Aversa, Capua, Fondi e Carinola, a testimonianza della vitalità di una cultura
architettonica capace, già nel primo Rinascimento, di raccogliere ed elaborare in
espressioni originali elementi eterogenei, desunti dalla tradizione locale, dal nuovo
linguaggio dell’architettura angiono-durazzesca, dall’esperienza di artefici
provenienti dalla toscana e dall’Italia settentrionale. Di particolare significato,
anche per l’uso del materiale, una scenografica scala in piperno, descritta da una
perizia del 1622, aperta sul panorama sottostante, che portava al giardino e agli
appartamenti disposti intorno alla corte (6).
Costruito nei decenni centrali del Quattrocento presso il seggio di Nido, il palazzo
di Diomede Carafa si inserisce a pieno titolo tra le più significative residenze del
pieno Rinascimento, realizzate in quegli anni in diversi centri italiani da personaggi
del rango di Cosimo de’ Medici, Giovanni Rucellai, Ludovico Gonzaga (7). Poco è
rimasto dell’originaria distribuzione interna e anche dopo approfonditi studi resta
indiziaria l’originaria collocazione di alcuni ambienti; anche la rinomata collezione
di antichità, che adornava il cortile, il giardino e gli spazi interni, è andata
smembrata nel tempo. Recenti ricerche riconducono la costruzione del palazzo
a due fasi distinte: una prima negli anni cinquanta del secolo, quando si sarebbe
allestito anche il rivestimento a opus isodomum, forse suggerito da palazzo Penne
o dalle residenze fiorentine dei Medici e dei Rucellai; una fase di completamento
avviata probabilmente nel 1466 – data riportata sulla cornice del portale – quando,
WP9 | Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura 119

anche in virtù del titolo comitale conferitogli nel 1465, Diomede aggiornò l’edificio
secondo le istanze del nuovo gusto classicista, forse ispirategli direttamente da
Leon Battista Alberti, presente a Napoli proprio tra la fine di marzo e l’inizio di
giugno del 1465, ospite di Filippo Strozzi (8). Difatti, secondo una modalità
confrontabile con l’intervento albertiano a palazzo Rucellai, anche a palazzo
Carafa, concluse le complesse vicende di acquisizione della proprietà, il committente
volle rendere la propria residenza un esempio di magnificenza civile, cercando
di conferire simmetria e regolarità all’interno della casa organizzandola intorno
al cortile e avvolgendo l’insieme delle parti accorpate in un omogeneo involucro
all’antica. Le evidenti discontinuità presenti nella regolare apparecchiatura del
rivestimento lapideo sembrano confermare che il portale ionico, le mensole
reggibusto, le finestre trabeate e il cornicione terminale all’antica furono posti
in opera in un momento posteriore rispetto al resto della fabbrica e in particolare
rispetto alla realizzazione del paramento. Quest’ultimo, per l’inconsueta alternanza
di blocchi squadrati regolari di tufo giallo e grigio, comunque attinente alle
indicazioni di Filarete, che nel suo trattato consiglia l’uso di superfici murarie fig. 12 Palazzo Como, particolare
multicolori (9), deve essere senz’altro rapportato alla torre campanaria della
cappella Pappacoda (1415 circa), attribuita ad Antonio Baboccio da Piperno, e
alla bicroma facciata di palazzo Rinaldi-Milano a Capua.
Palazzo Como fig.12, attuale sede del Museo Civico Gaetano Filangieri, eretto
tra il 1451 e il 1499, deriva dall’accorpamento di edifici preesistenti, disposti nelle
vicinanze dell’antica basilica di San Giorgio Maggiore. Nel 1488 venne aggregato
al palazzo un ampio giardino, donato ai Como da Alfonso d’Aragona, duca di
Calabria, e nel 1490 vennero acquistate e demolite alcune case adiacenti all’edificio
sul versante meridionale per ottenere la vista del mare. Notizie sui lavori si ricavano
da documenti d’archivio: nel 1464 Rubino de Cioffo, lapicida di Cava, eseguì le
cornici in piperno di alcune porte e finestre; nel 1490 gli artefici toscani Francesco
di Filippo, Ziattino de Benozzis da Settignano e Domenico de Felice da Firenze,
operanti nella cerchia di Giuliano da Maiano, realizzarono altre finiture in pietra,
simili a quelle dell’appartamento del duca di Calabria in Castel Capuano. Alla
morte di Angelo Como il palazzo era interamente terminato, come si ricava da
una descrizione riportata nel suo testamento del 19 aprile 1499 (10). Purtroppo,
non rimane traccia dell’originaria disposizione degli ambienti interni, a causa
delle molteplici trasformazioni subite dall’edificio nel tempo; al contrario, il
prospetto principale e quello meridionale si sono conservati abbastanza integri.
Sopra uno stilobate in piperno si eleva il paramento a bugnato rustico del
120 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 13 Palazzo Sanseverino

basamento, mentre il piano superiore, scompartito dalla geometrica sequenza di


finestre a croce, è rivestito da un bugnato liscio. La fattura delle finestre del
prospetto laterale, delimitate da cornici di ispirazione catalana, consente, invece,
di collocarle nella fase iniziale dei lavori.
Sono state proposte varie attribuzioni relativamente all’autore dell’edificio, che
si ritiene opera di un artista toscano, di recente riconosciuto in Giuliano da Maiano
sulla scorta di considerazioni cronologiche e stilistiche (11).
Palazzo Sanseverino fig.13 e fig.14, realizzato nel 1470 dall’architetto Novello
da San Lucano per il principe di Salerno Roberto Sanseverino, venne completamente
trasfigurato dopo il 1584, quando, acquistato dai gesuiti, fu trasformato nella
chiesa del Gesù Nuovo. Sulla scorta della sintetica raffigurazione volumetrica
nella pianta edita nel 1556 da Antonio Lafrèry, che mostra un edificio a due piani
di impianto quadrilatero, con portale in asse, cortile centrale e una fontana
circolare, e di una descrizione cinquecentesca, secondo la quale il palazzo «ha in
ordine XX camere da imperadore», e considerando l’ampiezza di circa 65 metri
dell’esterno attuale corrispondente a quella originaria del palazzo, Roberto Pane
WP9 | Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura 121

fig. 14 Palazzo Sanseverino,


particolare

avanzò un’ipotesi di distribuzione di massima dei differenti ambienti, immaginando


una possibile sequenza di cinque saloni allineati su ciascun fronte, larghi dodici
metri circa l’uno, ovvero una più verosimile successione di spazi maggiori alternati
ad altri minori, a essi accessori, comunque disposti in ottemperanza al principio
compositivo della simmetria e dell’equidistanza delle aperture nelle facciate (12).
Alle descrizioni e alle raffigurazioni del palazzo più note, si aggiunge l’immagine
in alzato, l’unica del prospetto dell’edificio prima del rimaneggiamento barocco,
nella veduta di Napoli affrescata nell’ambiente maggiore del palazzo comitale di
Virginio Orsini ad Anguillara Sabazia, che, sebbene sintetica, restituisce il carattere
di introversione proprio di un’architettura fortificata, quasi a sottolineare
l’indipendenza politica dei Sanseverino dalla corte aragonese (13).
Il formato delle bugne “in forma dyamantum acutorum scissus” (14) – al quale
in età rinascimentale si volle accreditare una derivazione dall’antichità romana,
e considerato emblema della forza guerresca proprio perché sagomato a immagine
di una pietra di eccezionale durezza – trovò impiego dapprima su armature e
122 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

mazze ferrate per essere poi adottato, nel tardo medioevo, in sequenze di piccoli
elementi scolpiti in pietra ad incorniciare portali e finestre, infine nella confezione
dei paramenti murari di importanti edifici rinascimentali.
In particolare, il palazzo del principe di Salerno, deve essere considerato il prototipo
dei successivi edifici impreziositi dal medesimo rivestimento ma dall’impaginato
decisamente diverso. È, infatti, il caso di ribadire la sicura dipendenza dal palazzo
Sanseverino di quello dei diamanti di Ferrara, di alcuni palazzi pugliesi e siciliani
e anche degli altri edifici rinascimentali connotati da un simile assetto murario,
tutti posteriori a quello napoletano. Nonostante la fama acquisita dal palazzo dei
principi di Salerno, decantato da cronisti e letterati, relativamente alla sua
costruzione si registra l’autorevole dissenso di Giovanni Gioviano Pontano,
principale protagonista degli ambienti dell’umanesimo napoletano, che forse
avrebbe preferito un palazzo di marmo bianco, come il ferrarese palazzo dei
diamanti, costruito con materiali pregiati, pagati il giusto prezzo, e non con pietre
importate a basso costo dai feudi della Lucania (15). Tuttavia, la provenienza dei
“piperni” che compongono la facciata dai feudi lucani o cilentani dei Sanseverino
sarebbe poco attendibile, perché in quelle regioni non sarebbe mai esistita una
cava di questo materiale. Secondo alcuni studiosi le pietre utilizzate per le facciate
esterne dell’edificio proverrebbero, piuttosto, da località più vicine a Napoli, forse
da Casolla di Caserta, da Nola o da Fiano di Nocera, dove nel XV secolo erano
cave di tufo nero pipernoide (16); proponiamo, in questa sede, una possibile
provenienza proprio dalla cava di Pianura, rimettendo ai geologi il compito di
effettuare opportune analisi di verifica. Circa le critiche mosse da Pontano a
Roberto Sanseverino relativamente all’uso del piperno, materiale considerato
meno nobile del marmo, è opportuno ricordare che egli stesso realizzò il proprio
sacello di famiglia – la cappella Pontano, altro edificio di nodale importanza per
lo studio dell’architettura rinascimentale napoletana – rivestendolo completamente
con paramenti e modanature in piperno.
Palazzo Gravina (1513-1549), sede della Facoltà di Architettura della “Federico
II” dal 1936, considerato da Roberto Pane, che lo attribuisce a Giovanni Mormando
e a Francesco di Palma, «il maggior palazzo cinquecentesco di Napoli», venne
sostanzialmente rielaborato dal restauro ottocentesco condotto dall’architetto
Nicola d’Apuzzo, che conferì all’edificio «… la vaga impronta di un classicismo
accademico» (17). Dopo numerose trasformazioni, l’ultimo restauro del palazzo,
quando da sede delle Poste passò alla Facoltà di Architettura, restituì alla facciata
principale l’assetto rinascimentale, ripristinando il primitivo rapporto di pieni e
WP9 | Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura 123

vuoti e ricomponendo, anche con elementi d’imitazione, le originarie decorazioni


scultoree, ma conservando il pregevole portale settecentesco «… disegnato da
Mario Gioffredo con due colonne scanalate, in un equilibrato rapporto, sostenuto
dall’accurata esecuzione di ogni membratura» (18). Nella residenza degli Orsini
di Gravina, tuttavia, il paramento bugnato, costituito da blocchi lapidei rettangolari
e sbozzati “a cuscino” fortemente risaltati, è utilizzato per il solo piano basale,
parzialmente assimilabile al basamento di palazzo Como, mentre il piano nobile
è scandito da una sequenza di paraste corinzie morfologicamente paragonabili
a quelle di palazzo Di Capua, poi Marigliano. Infine, l’impronta prettamente
mormandea del portico interno del palazzo, con pilastri riquadrati sulle quattro
facce, ha consentito interessanti confronti con analoghi elementi presenti nei
palazzi Filomarino e Caracciolo di Oppido e in alcuni chiostri napoletani
rinascimentali: i tre chiostri in piperno di Monteoliveto, quelli di Monteverginella,
di San Marcellino, i due di San Giovanni a Carbonara, quello di Santa Caterino
a Formiello e quello di Sant’Eligio (19).
Ai rinomati palazzi napoletani si aggiungono i significativi esempi di Mercogliano,
di Capua, di Angri e di Lauro, per molti versi riferibili agli edifici realizzati nella
capitale, elevati a modello per ulteriori sperimentazioni formali, che dimostrano
la penetrazione delle nuove istanze classiciste anche nelle aree periferiche del
Regno e, di conseguenza, la vitalità della cultura architettonica del Rinascimento
campano.
Il palazzo della Dogana fig.15, fig.16 e fig.17 di Mercogliano, individuato dalla
storiografia solamente in occasione di alcuni censimenti prima dell’esaustivo
saggio di Ornella Cirillo di recente pubblicato, ha subìto nel corso dei tempi
trasformazioni degli ambienti interni tali da rendere possibile, al momento, una
valutazione limitata alla facciata principale, rivestita con paramento murario
bugnato, omogeneo per forma delle bozze e per apparecchiatura, costituito da
filari di bugne quadrate – piatte, lisce e con bordi inclinati – disposte con giunti fig. 15, 16 e 17 Palazzo della Dogana
allineati (20). Definito dall’autrice del citato studio un unicum rispetto al vasto di Mercogliano con particolari
panorama degli edifici rinascimentali campani, nel palazzo di Mercogliano trovano
espressione temi toscani (l’arcata con semplice fascia girata, l’astrattezza dei
fogliami), elementi albertiani (in alcuni elementi del portale), motivi lombardi e
marchigiani (paramenti murari assimilabili a quello di Mercogliano sono presenti
in palazzo Raimondi a Cremona e in palazzo Mozzi a Macerata), tecnologie
campane (in primis l’uso del piperno), uniti a evidenti tentativi di rinnovamenti
e reinterpretazioni, che rendono l’episodio ancora difficile da storicizzare. Circa
124 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

la paternità dell’opera, potrebbe essere ricondotta agli artisti impegnati nel vicino
monastero di Montevergine tra il 1480 e il 1515, quando furono installati gruppi
scultorei che gli esperti indirizzano alla mano di Tommaso Malvito, Giovanni da
Nola e Giovan Tommaso Malvito (21). In particolare, la scuola dello scultore
comasco, formatosi in ambiente lombardo al fianco di Francesco Laurana, potrebbe
essere stata il tramite per consentire l’innesto di soluzioni desunte dalla tradizione
costruttiva lombarda e marchigiana nella rinnovata cultura tecnica del classicismo
napoletano; né si può escludere che il singolare registro del paramento murario
del palazzo costituisca una originale interpretazione dei più noti modelli napoletani,
dal palazzo di Diomede Carafa a quello del principe di Salerno Roberto Sanseverino.
Il palazzo Milano-Rinaldi di Capua, in via Ottavio Rinaldi, si connota per la
singolarità della facciata a bugne lisce, che si colloca tra quelle napoletane di
palazzo Penne, per la confezione dei conci, e del palazzo di Diomede Carafa, per
la bicromia del paramento a faccia vista in tufo (22). Il fatto che nell’edificio il
tema classicistico non sia sviluppato come nel palazzo di Diomede Carafa,
nonostante l’evidente affinità dei muri esterni, induce a ritenere l’edificio capuano
antecedente a quello napoletano, pertanto andrebbe collocato prima del 1466.
Oltre al paramento isodomo, risalta il pregevole portale a gioco che accoglie nei
tondi lo stemma familiare, decorato da un fregio a girali di quercia e da leoncini
rampanti di gusto tardo gotico. I rimaneggiamenti subiti dall’edificio appaiono
evidenti: le facciate prospettanti sulla corte interna, la scala aperta a rampa
singola, la loggia che disimpegna gli appartamenti, di impianto rinascimentale,
sono ricoperte da stucchi settecenteschi; le aperture dei vani bottega, inseriti ex
novo nel piano basale, e i balconi, ricavati ampliando le preesistenti finestre, sono
probabilmente ottocenteschi.
La chiesa di San Giovanni Battista fig. 18 ad Angri, eretta nel 1302 sulle vestigia
di un preesistente tempio dedicato a Sant’Angelo da Vincenzo Caiazzo, comandante
di cavalleria del conte di Nola Romano Orsini, fu dichiarata “insigne collegiata”
con bolla pontificia da papa Sisto IV nel 1475 (23). Da questa data ai primi decenni
del XVI secolo l’edificio venne sostanzialmente rinnovato, tuttavia dell’assetto
rinascimentale si conserva solo la facciata e un pregevole polittico del primo
Cinquecento attribuito al pittore Simone da Firenze posto sull’altare maggiore,
poiché l’attuale allestimento degli ambienti interni è il risultato di rimaneggiamenti
settecenteschi e di ulteriori modifiche ottocentesche e del primo Novecento,
queste ultime meno significative. Il fronte rinascimentale, caratterizzato dalla
conformazione a spiovente dei profili della copertura e dal bugnato isodomo di
WP9 | Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura 125

fig. 18 Chiesa di San Giovanni Battista


ad Angri

piperno, ha subito consistenti danni durante la seconda guerra mondiale: due dei
tre rosoni che lo impreziosivano sono andati distrutti e il portale principale,
risalente al 1540, ha perso il gruppo scultoreo con la Vergine e il Bambino tra i
santi Giovanni Evangelista e Giovanni Battista, che ospitava nella lunetta
sovrastante. Circa il rivestimento della facciata, di pregevole fattura per la regolarità
dell’apparecchiatura, deve essere senz’altro riferita ai noti esempi napoletani dei
palazzi Penne, Carafa e Como, i cui bugnati sembrano più simili a quello della
chiesa angrisana rispetto ai paramenti di palazzo Sanseverino, di palazzo dei Tufi
o della Dogana Aragonese.
Il palazzo dei Tufi a Lauro fig. 19 e fig. 20, costruito da Giovanni IV De’ Capellani,
decano della cattedrale di Nola e cameriere segreto del pontefice Giulio II,
probabilmente tra il 1513 e il 1529, ovviamente meno noto di palazzo Sanseverino,
può essere considerato la riuscita espressione in un’area periferica delle imponenti
manifestazioni di magnificenza civile della Napoli quattrocentesca e della Roma
bramantesca, frequentate dal committente dell’edificio (24). La diretta filiazione
di questo palazzo dal modello napoletano trova un significativo riscontro nel De
cardinalatu del protonotario apostolico Paolo Cortesi, edito a Roma nel 1510 e
dedicato proprio a Giulio II; l’autore, infatti, trattando dell’abitazione conveniente
126 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

fig. 19 Palazzo dei Tufi a Lauro

a un cardinale ricorda la Parthenopea domus del principe di Salerno, giudicata,


tuttavia, non conforme alla simmetria degli antichi, introdotta a Firenze per volere
di Cosimo de’ Medici (25). Il giudizio in qualche modo sfavorevole relativo a
palazzo Sanseverino giustificherebbe la ricerca di un maggiore rigore compositivo
e, soprattutto, l’adozione di elementi architettonici e decorativi di matrice toscana
nel palazzo del vescovo di Bovino, che, ispirato al modello napoletano, ne
emenderebbe le reminiscenze medioevali in virtù di una cultura architettonica
matura e consapevole delle tematiche classiciste introdotte nell’architettura
medicea e successivamente diffuse nelle maggiori corti del Rinascimento. Della
configurazione rinascimentale resta soprattutto la facciata, connotata dalla
sovrapposizione di bugne a cuscino sul basamento e a punte di diamante sul
piano nobile, rispettivamente delimitate da geometriche membrature di gusto
classicista, ritenute da alcuni studiosi di ascendenza toscana, e riferiti a noti
esempi napoletani e nolani (porta Capuana, palazzo Sanseverino, la cappella
Pontano, palazzo Covoni-Albertini) (26). Chi scrive, di contro, in precedenti
occasioni di studio, ha rapportato l’impaginato della facciata del palazzo dei Tufi
al noto disegno della Porta di Fano redatto da Giuliano da Sangallo (f. 61 v. del
Codice Vaticano Barberiniano 4424), ipotizzando un contatto romano posteriore
al 1513 tra Giovanni De’ Capellani e l’architetto toscano (27).
WP9 | Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura 127

fig. 20 Palazzo dei Tufi a Lauro,


particolare

La residenza del vescovo di Bovino non rimane l’unica espressione della cultura
architettonica rinascimentale nell’area di Lauro, poiché a essa vanno collegati
altri edifici di impianto cinquecentesco edificati nei suoi dintorni probabilmente
intorno alla metà del secolo, dei quali permangono interessanti frammenti. Mi
riferisco, in particolare, al convento di Sant’Angelo a Taurano e alla chiesa dei
Santi Protettori (San Sebastiano e San Rocco) a Lauro, i cui portali potrebbero
dipendere da quello del palazzo De’ Capellani, che li precede di qualche decennio.
Proprio la possibilità di individuare ancora episodi poco conosciuti, come dimostrano
i censimenti condotti nel corso delle ricerche più recenti (28), suggerisce l’opportunità
di ulteriori studi, fondati sul confronto interdisciplinare, volti all’approfondimento
della conoscenza del patrimonio artistico e architettonico del Rinascimento
campano, in modo da poter dipanare anche soltanto alcune delle controverse
questioni ancora insolute, che periodicamente richiamano l’interesse degli studiosi.
128 Portale monotematico sulle cavità di Pianura

note
(1) Cfr. i contributi di P. Argenziano e D. Jacazzi nella presente ricerca.
(2) Cfr. D. Jacazzi, Tradizione e innovazione nell’architettura campana del Rinascimento, in Architettura
del classicismo tra Quattrocento e Cinquecento. Campania ricerche, a cura di A. Gambardella e D.
Jacazzi, Gangemi, Roma 2007, pp. 15-29; Ead., Sperimentazione e diffusione dell’architettura del
classicismo: idee, modelli e artisti nella Campania del Quattrocento, in Architettura del classicismo tra
Quattrocento e Cinquecento. Campania saggi, a cura di A. Gambardella e D. Jacazzi, Gangemi, Roma
2007, pp. 25-53. Ai citati saggi si rimanda per i riferimenti relativi all’argomento.
(3) Cfr. L. Giordano, Edificare per magnificenza. Testimonianze letterarie sulla teoria e la pratica della
committenza di corte, in Il principe architetto, Atti del Convegno Internazionale, Mantova 21-23
ottobre 1999, Leo S. Olschki, Città di Castello 2002, pp. 215-227.
(4) Cfr. A. Beyer, Napoli, in Storia dell’architettura italiana. Il Quattrocento, a cura di F.P. Fiore, Electa,
Milano 1998, p. 444.
(5) Cfr. R. Gargiani, Principi e costruzione nell’architettura italiana del Quattrocento, Laterza, Bari
2003, p. 340.
(6) Per i riferimenti relativi a palazzo Penne cfr. G. Borrelli, Il Palazzo Penne: un borghese a corte, Arte
tipografica, Napoli 2000, passim.
(7) Per i riferimenti relativi al palazzo di Diomede Carafa cfr. B. de Divitiis, Architettura e committenza
nella Napoli del Quattrocento, Marsilio, Venezia 2007, passim.
(8) Cfr. L. Boschetto, Nuove ricerche sulla biografia e sugli scritti volgari di Leon Battista Alberti. Dal
viaggio a Napoli alla nascita del “De iciarchia” (maggio-settembre 1465), in «Interpres», 20, 2001 [ma
2003], pp. 180-211. Per le influenze albertiane nella cultura architettonica napoletana cfr. S. Borsi,
Leon Battista Alberti e Napoli, Edizioni Polistampa, Firenze 2006, passim.
(9) Cfr. Antonio Averlino detto il Filarete, Trattato di Architettura, a cura di A.M. Finoli, L. Grassi,
Milano 1972, 2 voll., I, p. 247.
(10) Per i riferimenti relativi a palazzo Como cfr. C. Tempone, Presenze rinascimentali a Napoli: la
zona dei Banchi, in Architettura del classicismo tra Quattrocento e Cinquecento. Campania saggi, cit.,
pp. 107-109.
(11) Cfr. A. Gambardella, L’influenza albertiana nel rinascimento napoletano, in Tra il Mediterraneo
e l’Europa. Radici e prospettive della cultura architettonica, a cura di A. Gambardella, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli 2000, pp. 51-75.
(12) Cfr. R. Pane, Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Edizioni di Comunità, Milano 1975, 2 voll.,
I, pp. 220-21.
(13) Per i riferimenti relativi a palazzo Sanseverino cfr. R. Serraglio, Palazzi dei diamanti campani,
in Architettura del classicismo tra Quattrocento e Cinquecento. Campania saggi, cit., pp. 180-197.
Una indispensabile referenza sull’argomento è il saggio di A. Ghisetti Giavarina, Il bugnato a punta
di diamante nell’architettura del Rinascimento italiano, in Architettura nella storia. Scritti in onore di
Alfonso Gambardella, a cura di G. Cantone, L. Marcucci, E. Manzo, Skira, Milano 2008 (in corso di
pubblicazione).
(14) Cfr. Itinéraire d’Anselmo Adorno en Terre Sainte (1470-1471), edd. J. Heers, G. de Groer, Centre
National de la Recherche Scientifique, Paris 1978, p. 392. Il brano è segnalato in C. Gelao, Palazzi
WP9 | Le più importanti opere realizzate con il piperno della cava di Pianura 129

con bugnato a punta di diamante in Terra di Bari, in «Napoli nobilissima», XXVII, 1988, pp. 18-19.
(15) Cfr. G.G. Pontano, De magnificentia, cap. VII, pp. 93-94, in I trattati delle virtù sociali, a cura di
F. Tateo, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1965.
(16) P. Natella, Arte e Artisti, in D. Cosimato, P. Natella, Il territorio del Sarno. Storia, società, arte, Di
Mauro, Cava de’ Tirreni 1981, pp. 41-45.
(17) Cfr. R. Pane, Il Rinascimento … cit., pp. 249-253.
(18) Ivi, p. 250.
(19) Ivi, p. 259.
(20) Cfr. O. Cirillo, Modelli architettonici e contaminazioni formali nell’architettura rinascimentale
irpina: il cosidetto “Palazzo della Dogana” di Mercogliano, in Architettura del classicismo tra Quattrocento
e Cinquecento. Campania saggi, cit., pp. 168-179.
(21) Ivi, p. 179.
(22) Cfr. I. Di Resta, Capua, Laterza, Bari 1985, pp. 11-36; A. Filangieri, G. Pane, Capua architettura
e arte. Catalogo delle opere, Arti Grafiche Salafria, Capua 1990, 2 voll., II, pp. 318-319.
(23) Cfr. Angri. Territorio di transiti, a cura di M. Bignardi, Electa, Napoli 1997, pp. 45-51; A.L. De
Simone, Angri chiesa di San Giovanni Battista, in Architettura del classicismo tra Quattrocento e
Cinquecento. Campania ricerche, cit., pp. 354-55.
(24) Per i riferimenti relativi al palazzo dei Tufi cfr. R. Serraglio, Palazzi dei diamanti campani, cit.,
pp. 192-195.
(25) Cfr. P. Cortesi, De Cardinalatu Pauli Cortesii protonotarii apostolici ad Iulium Secundum Pont.
Max., Nardi Symeoni Nicolai, Siena MCCCCCX, f. LII v. L’esemplare consultato è custodito presso la
Biblioteca Arcivescovile di Capua (cfr. Le cinquecentine della Biblioteca Arcivescovile di Capua, a cura
di F. Ciociola, Tipolitografia Boccia, Capua 1996, p. 78.
(26) Cfr. P. Natella, P. Peduto, Il palazzo dei tufi di Lauro, in «Napoli nobilissima», VIII, 1969, pp. 107-
111.
(27) Cfr. R. Serraglio, Palazzi dei diamanti campani, cit., pp. 194-195.
(28) Cfr. Architettura del classicismo tra Quattrocento e Cinquecento. Campania ricerche, cit., passim.

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