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Archeologia
Il volume delinea la storia archeologica della Campania dall'età
del Ferro fino alla conquista di Roma (1x-1v sec. a.C.).
È la storia di uno dei territori più felici dell'Italia antica, conteso
per le sue risorse da molti popoli: una terra dalle fertili pianure
agricole, affacciata sul mare, snodo obbligato di una rotta che unisce
la Magna Grecia all'Etruria.
È una frontiera dove si spingono i Greci e gli Etruschi, dove gli indigeni
sanno resistere e, infine, conseguono una supremazia fondata
sulla rivendicazione dell'autocoscienza etnica.
È la regione dove si sviluppa un mondo "meticcio" attraverso l'intreccio
di culture e lingue diverse: un mondo complesso, dominato
da aristocrazie legate da interessi comuni al di là della loro origine,
destinato a esaurirsi sotto la spinta egemonica di Roma.
Correda il testo un ricco apparato iconografico on line.

Luca Cerchiai è professore ordinario di Etruscologia e Archeologia italica


presso l'Università degli Studi di Salerno. Ha lavorato come ispettore
archeologo presso la Soprintendenza archeologica di Salerno,
Avellino e Benevento, dove ha coordinato i lavori di scavo nel centro
etrusco-campano di Pontecagnano e nel suo territorio in qualità
di direttore del Museo Nazionale dell'Agro Picentino. Membro nazionale
ordinario dell'Istituto di Studi Etruschi e Italici, è autore di studi
sulla Campania preromana, sulle popolazioni indigene della Magna
Grecia e sull'iconografia etrusca arcaica.

ISBN 978-88-430-5409-1

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9 788843 054091
€ 18,00
Il volume è corredato
di un apparato di tavole consultabili
on line sul nostro sito Internet,
realizzato da Camune Pellegrino.

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00187Roma,
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http://www.carocci.it
Luca Cerchiai

Gli antichi popoli


della Campania
Archeologia e storia

Carocci editore
L'editore è a disposizione per i compensi dovuti agli aventi diritto.

1' edizione, maggio 2010


© copyright 2010 by Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Fregi e Majuscole, Torino

Finito di stampare nel maggio 2010


dalle Ani Grafiche Editoriali S.r.l., Urbino

ISBN 978-88-430-5409-1

Riproduzione vietata ai sensi di legge


(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

Senza regolare autorizzazione,


è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche per uso interno
o didattico.
Indice

I. La geografia della Campania antica 9

2. Il popolamento nell'età del Ferro (1x-vm sec. a.C.) 13

2.1. Le dinamiche del popolamento 13


2.2. Le forme di organizzazione sociale. La prima fase
dell'età del Ferro 20
2.3. L'irlcontro con i Greci. La seconda fase dell'età del Ferro 22
2.4. Le tradizioni antiche sui popoli 29

3. La Campania dei principi (fine VIII-VJI sec. a.C.) 33

3,1. Il sistema delle gentes e le dinamiche poleogenetiche 33


3.2. Le città tirreniche: Pontecagnano e Capua 35
3.3. La strutturazione della mesogeia: Calatia, Nola, Avella 46
3.4. La Valle del Sarno 51

4. La Campania delle città (VJ sec. a.C.) 55

4.1. Il processo di urbanizzazione: pianificazione degli spazi


e nuovi assetti edilizi 55
4.2. Il sistema del sacro 57
4.3. L'architettura sacra 57
4.4. La città come sistema di consumo, produzione e scambio 59
4.5. La città come dimensione politica 64
4.6. Il processo di etruschizzazione 65
4.7. I centri urbani 67
4.7.1. Capua/ 4.7.2. Suessula, Calatia e Cales I 4.7.3. Nola, Nocera e
Pompei/ 4.7-4- La penisola sorrentina/ 4.7.5. L'Agro Picentino: Fratte e
Pontecagnano / 4.7.6. Comunità senza città: Teano e la costa ausone

7
5. L'età di Aristodemo (524-484 a.C.) 87

p. La tradizione storica 87
5.2. Un sistema integrato: miti e tradizioni cultuali 88
5-3. Le élites ellenizzate 91

6. La crisi della città arcaica (v sec. a.C.) 95

6.I. Le contraddizioni dello sviluppo. La chiusura oligar-


chica 95
6.2. La seconda battaglia di Cuma 96
6.3. Napoli 96
6-4- Nola e Nocera: il processo di "sannitizzazione" 98
6.5. Le città etrusche 99

7. La conquista italica (seconda metà v-N sec. a.C.) 103

7.1. Il popolo dei Campani e la conquista di Capua e di


Cuma 103
7.2. La politica di Napoli 105
7.3. Gli indicatori archeologici del cambiamento 106
7+ Mercenari e cavalieri III

8. L'espansione di Roma (seconda metà N-III sec. a. C.) n7

8.I. Le guerre sannitiche n7


8.2. La romanizzazione: rifondazione politica e urbana n9
8.3. Le città alleate 125
8.4. La pax romana: Atena Frigia 128
8.5. Dinamich~ di destrutturazione: l'Agro Picentino 129

Fonti iconografiche 133

Bibliografia 137

8
I

La geografia della Campania antica

Quando l'imperatore Augusto riorganizza l'Italia in undici regioni


amministrative, la Campania è inserita nella Regio I insieme al Lazio
(FIG. 1.1).
Entro questo ampio comparto geografico il confine orografico tra i
due territori è costituito dai rilevi del monte Massico e del vulcano di
Roccamonfina e, sul mare, passa dalla città di Sinuessa (nell'attuale loca-
lità Santa Eufemia, a Sessa Aurunca, CE), ubicata su un importante itine-
rario costiero ripreso alla fine del IV secolo a.C. dalla via Appia. Resta
fuori, su questo versante settentrionale, la pianura costiera alla riva sini-
stra del Garigliano, occupata dal popolo degli Ausoni: essa costituisce
una sorta di periferia del mondo campano e, per questa contiguità, sarà
presa in considerazione nel volume.
A sud la Campania augustea giunge fino alla sponda del Sele, oltre la
quale inizia la Lucania; a est raggiunge la dorsale appenninica che la
separa dal Sannio.
La regione presenta, dunque, un'estensione ridotta rispetto a quella
attuale, comprendendo i distretti pianeggianti che affacciano sul mare
Tirreno e presentano condizioni molto favorevoli di popolamento.
Procedendo da nord si incontra innanzitutto l'Agro Falerno, compre-
so tra il Massico e il fiume Savone, p,oi ci si immette nella piana campana
solcata dal Volturno, chiusa a nord dal monte Tifata e limitata a sud dal
Vesuvio: l'ampia e fertile estensione pianeggiante, corrispondente all'at-
tuale Terra di Lavoro, è dominata dal centro principalt: di Capua (l'odier-
na Santa Maria Capua Vetere).
Più a sud la piana era attraversata dal Clanis, un corso fluviale dal
regime torrentizio - incanalato con la bonifica seicentesca dei Regi
Lagni-, che nasce dai monti di Avella e, dopo avere descritto un ampio
arco, sfociava a mare presso il lago Patria.
Il fiume margina il versante sud-orientale della pianura, organizzato
intorno agli insediamenti di Nola e Avella: poiché tale distretto appare
contraddistinto da specifici caratteri culturali, si è preferito distinguerlo
rispetto alla pianura di Capua, riservando a esso la definizione di mesogeia
(pianura interna).

9
Gli ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA I.I
Carta della Campania

L'area nolana comunica con la Valle del Sarno, su cui gravita anche il
comparto della penisola sorrentina: al suo interno i centri più rilevanti
sono costituiti da Nocera e Pompei.
Infine, superati lo snodo di Fratte di Salerno e il corridoio della valle
del Fuorni, si apre la piana costiera dell'Agro Picentino, estesa fino alla
destra del Sele e dominata dall'insediamento di Pontecagnano.
Se si addotta la prospettiva di un periplo marittimo, i punti nodali
del paesaggio sono costituiti dai promontori di Punta della Campanella,
doppiato il quale si entra nel Golfo di Napoli, e di Capo Miseno che, con
le isole di Procida e Ischia, chiude il golfo a nord: è il contesto geografi-
co prescelto dai coloni greci che si stanziano prima a Ischia e Cuma, poi
a Napoli.

IO
I. LA GEOGRAFIA DELLA CAMPANIA ANTICA

Il territorio regionale è scandito da fiumi che nascono dallo spartiac-


que appenninico e collegano trasversalmente l'interno alla costa: essi
costituiscono
. .
formidabili
. vettori di mobilità, lungo i quali si trasferisco-
no uomm1 e merc1.
Il Savone e il Volturno con i suoi affluenti delineano vie naturali che
conducono verso il Molise e il Sannio beneventano o immettono nella
lunga vallata del Liri e del Sacco che sbocca nel Lazio: sul versante oppo-
sto di questo importantissimo corridoio trasversale, allo sbocco nella
pianura campana, sorgono Teano e Cales (Calvi Risorta).
Dal Sarno attraverso le valli di Nocera e dei fiumi Imo e Sabato si
può raggiungere la conca di Avellino; più a sud, superati i monti Picen-
tini, il Sele, insieme all'Ofanto e al Tanagro, innerva percorsi di lunga
distanza che si dirigono verso la Puglia o la costa ionica.
È di questo articolato contesto regionale, esteso dal Massico al Sele,
che si intende delineare una breve storia archeologica fino alla conquista
romana, ma occorre ricordare che la definizione di Campania si applica,
all'inizio, a un settore geografico molto più limitato, corrispondente solo
alla piana del Volturno intorno a Capua: in essa nella seconda metà del v
secolo si costituisce il popolo dei Campani, il cui nome etnico si connet-
te direttamente alla pianura, nell'accezione di un vasto campus attraver-
sato dal fiume.
La Campania risulta compresa entro questi limiti ristretti ancora ai
tempi dello storico Polibio, nel II secolo a.C., che in un passo splendido
(Storie m, 91) paragona la piana di Capua all'orchestra situata al centro di
un teatro, facendone il fulcro intorno al quale si sviluppa il resto del terri-
torio regionale.
Il primato assegnato alla pianura campana dalla tradizione antica
risale, del resto, a un momento molto più antico.
Come si vedrà nel CAP. 5, ai tempi del tiranno di Cuma Aristodemo, al
passaggio tra VI e v secolo a.C., si elabora una nozione estesa della defini-
zione di "Campi Flegrei" che abbraccia l'intera pianura fino al Vesuvio:
si tratta di un'operazione di propaganda per accreditare le mire della
città greca su un territorio dalla fertilità proverbiale e ferocemente conte-
so, occupato sin dall'età del Ferro dagli Etruschi.

II
2

Il popolamento nell'età del Ferro


(IX-VIII sec. a.C.)

2.1
Le dinamiche del popolamento
All'inizio dell'età del Ferro, al passaggio tra il x e il IX secolo a.C., le
componenti del popolamento della Campania antica appaiono ormai
consolidate (TAV. 2.1 online): da un lato, le popolazioni indigene della
"cultura delle tombe a fossa" che adottano il rituale funebre dell'inu-
mazione; dall'altro, comunità di incineratori di cultura villanoviana, la
/acies che contemporaneamente si sviluppa nell'Italia centrale tirreni-
ca e in area padana, nelle regioni interessate in età storica dalla presen-
za degli Etruschi.
Le genti indigene popolano la fascia costiera - dalle pendici del
Massico, a Cuma e alla Valle del Sarno - e la pianura interna a ridosso dei
primi contrafforti appenninici fino al Nolano; una componente distinta
nell'ambito della cultura delle tombe a fossa si attesta nel distretto sud-
orientale della regione, nelle zone interne delle alte valli del Sele e
dell'Ofanto: essa è stata convenzionalmente definita "cultura di Oliveto
Citra-Cairano".
Le comunità villanoviane costituiscono delle enclaves all'interno di
questo popolamento, stanziandosi nella piana del Volturno presso l' anti-
ca Capua, a Pontecagnano, all'estremità settentrionale del Golfo di
Salerno, e a Sala Consilina nel Vallo di Diano.
È probabile che gli insediamenti villanoviani abbiano origine dallo
spostamento di gruppi dall'Etruria meridionale, spintisi a sud alla ricer-
ca di terra da coltivare e di luoghi favorevoli allo scambio: un movimen-
to che può essersi svolto via mare, come si può supporre nel caso di
Pontecagnano, o avere seguito, nel caso di Capua, gli itinerari interni che
collegano il Lazio alla pianura campana attraverso le valli fluviali del
Sacco, del Liri e del Volturno.
In ogni caso, questo fenomeno deve risalire a un momento ancora
iniziale del processo di formazione etno-culturale: così si spiegherebbe
lo sviluppo di caratteri peculiari della cultura materiale che differenziano
il Villanoviano della Campania da quello di Etruria.

13
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Le due componenti del popolamento campano non costituiscono


blocchi reciprocamente impermeabili: emergono, al contrario, i segni di
contatti e interazioni di cui non è ancora possibile precisare la portata.
Questi vanno ricercati nel senso di fenomeni di mobilità e attrazione in
entrambe le direzioni, adombrati, ad esempio, dalla ricezione di forme
vascolari tipiche della cultura delle tombe a fossa nel repertorio cerami-
co degli insediamenti villanoviani o, in direzione opposta, da una preco-
ce quanto poco strutturata presenza villanoviana nelle aree indigene.
A questo proposito può ricordarsi la recente scoperta a Cuma di una
tomba a incinerazione in pozzetto (identificata con la sigla SP700716),
ma il contesto più indicativo è costituito dall'abitato in località Longola
di Poggiomarino alla foce del fiume Sarno, dove ceramiche villanoviane
sono documentate nei livelli iniziali dell'età del Ferro, per poi scompari-
re in quelli più recenti, secondo una dinamica che evidenzia l' awio di
un'infiltrazione che, tuttavia, non riesce a consolidarsi nel tempo.
Un esito non dissimile rivela il centro di Sala Consilina dove, intor-
no alla metà dell'vm secolo a.C., senza che si verifichi una soluzione di
continuità negli assetti insediativi, l'originaria componente villanoviana
è assorbita da un aspetto indigeno di cultura enotria: un segno evidente
del soprawento acquisito da un elemento locale che doveva già dall'ini-
zio essere inserito all'interno dell'insediamento.
La dialettica tra le componenti del popolamento acquista una
maggiore chiarezza se associata alle concrete forme di occupazione del
territorio. Come quelli dell'Etruria propria, i centri villanoviani della
Campania costituiscono formazioni estese di carattere accentrato e di
livello protourbano, in grado di controllare territori molto ampi e, al
tempo stesso, di pianificare funzioni insediative complesse secondo
criteri che rimangono validi nel lungo periodo.
L'inizio del processo insediativo comporta la fondamentale distin-
zione tra l'area destinata all'abitato e quella delle necropoli, dislocate
all'esterno in zone sottratte allo sfruttamento agricolo; contemporanea-
mente si awia l'occupazione del territorio che continua a costituire l' ager
delle comunità anche in età storica. Si considerino, ad esempio, i casi di
Capua e Pontecagnano.
A Capua l'insediamento sorge sulla riva sinistra del Volturno, su un
importante itinerario connesso al suo guado, ripreso in età storica dalla
via Appia: il controllo di tale percorso rappresenta una risorsa economi-
ca e strategica essenziale per la comunità antica che lo ingloba all'inter-
no dell'abitato. L'estensione dell'insediamento è definita in negativo
dallo sviluppo delle necropoli che lo delimitano a partire dalla seconda
metà del IX secolo a.C.: esso occupa un'enorme superficie di circa 200
ettari (FIG. 2.1).
Il consolidamento degli assetti insediativi implica, però, successive
fasi di assestamento, come prova la recentissima scoperta di un più anti-
co, quanto ampio, sepolcreto villanoviano risalente all'inizio dell'età del

14
2. IL POPOLAMENTO NELL'ETÀ DEL FERRO (IX-VIII SEC. A.C.)

FIGURA 2.1
Capua: il perimetro dell'abitato e le necropoli dell'età del Ferro e dei secoli VI-V a.C.

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MONTE
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TIFATA
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Tifatina
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.A. Necropoli della prima età del Ferro
o 100 250 500 m
e Necropoli di v1-v sec. a.C. n......r--,

Ferro, ubicato più a nord verso il fiume, in una zona distante dall'abita-
to (località Mattatoio): esso può riferirsi a un villaggio "satellite" succes-
sivamente assorbito dall'abitato principale, ma potrebbe anche connet-
tersi a una prima sede dell'insediamento, modificata già nel corso dell'età
del Ferro, forse per cause di natura ambientale. A tale proposito si può
ricordare come un analogo processo sia stato ricostruito per l'abitato di
Bologna che, al pari di Capua, costituisce un grande insediamento villa-
noviano di pianura.
Indizi di una maggiore complessità delle dinamiche di occupazione
territoriale sono costituiti dall'individuazione mediante ricognizione di
siti protostorici sull'altra sponda del Volturno, a nord-ovest del centro
protourbano, nel settore compreso tra il fiume e il canale Agnena.
Maggiori informazioni si dispongono per Pontecagnano (TAV. 2.2 on

15
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 2.2
Pontecagnano: estensione dell'abitato antico con distribuzione delle aree di necro-
poli

- Ab itato
Necropoli
o 5 10 15 20m

line). L'abitato sorge lungo la riva sinistra del fiume Picentino, su un


plateau terrazzato ampio circa 70 ettari, con i margini protetti da avvalla-
menti occupati dagli alvei di corsi torrentizi. Le necropoli si collocano, a
nord-ovest e a sud-est, su microrilievi al riparo delle acque e, a sud, su
una propaggine del sistema di terrazzamenti dell'abitato: in tutti i casi, i
sepolcreti sono connessi alla viabilità antica, disponendosi lungo percor-
si diretti rispettivamente verso il Picentino, il Sele e il mare (FIG. 2.2).
Circa 2 chilometri più a sud dell'abitato principale, in località Pagliaro-
ne, un secondo nucleo insediativo occupa una terrazza triangolare protesa
sulla piana costiera, attestandosi a controllo di un'antica laguna marina, in
cui può riconoscersi l'approdo portuale del centro villanoviano: in seguito
all'insabbiamento del suo sbocco a mare, intorno alla fine del VI secolo
a.C., la laguna si è trasformata in un bacino perilacustre sopravvissuto fino
alle bonifiche ottocentesche con il nome di Lago Piccolo. Ancora più a
sud, oltrepassato il fiume Tusciano, il paesaggio costiero accoglieva una
seconda, più ampia laguna, denominata nella cartografia storica Lago
Grande, che doveva fornire all'insediamento un importante bacino di
approvvigionamento di materie prime e risorse alimentari (FIG. 2.3).
Al margine delle lagune, sfruttando il fondo sopraelevato e asciutto

16
2. IL POPOLAMENTO NELL'ETÀ DEL FERRO (IX-VIII SEC. A.C.)

HGURA 2.3
Carta storica recante al centro il Lago Piccolo e, poco più in basso, la laguna dell' Are-
nosola o Lago Grande

di una duna preistorica, correva un percorso parallelo alla costa che


conduceva al guado del Sele in località Arenosola: nei pressi si dispone-
va un villaggio di cui è stata esplorata la vasta necropoli.
Il gruppo di Pontecagnano tenta di estendersi anche sulla riva destra
del fiume, che diviene un confine invalicabile solo con la fondazione di
Poseidonia all'inizio del VI secolo a.C.: tale tentativo è testimoniato da un
piccolo nucleo di sepolture rinvenuto in località Capodifiume che, però,
si esaurisce nel corso dell'età del Ferro.
Rispetto agli insediamenti villanoviani, i centri indigeni presentano
dimensioni minori e non controllano territori altrettanto ampi: anche al
loro interno è però possibile riconoscere una gerarchia dei modelli e,
quindi, della capacità di coesione politica e delle funzioni insediative.
Un piccolo insediamento di tipo "protourbano" è quello di Suessu-
la, 4 chilometri circa a nord-est di Acerra, situato ai margini della piana
campana presso la collina di Cancello, allo sbocco meridionale di una
valle che attraversa l'Appennino, conducendo al Sannio. L'abitato sorge
su un pianoro ampio circa 40 ettari, bordato da antichi alvei alimentati
da sorgenti, che confluivano nel Clanis. Le necropoli dell'età del Ferro
circondano almeno su tre lati il perimetro della città di età romana: ciò
significa che questa si imposta senza soluzioni di continuità nell'area di
un più antico abitato, organizzato in forma accentrata già al tempo dei
primi sepolcreti.

17
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 2.4
Cuma: planimetria dell'abitato

Sul mare si impianta l'abitato di Cuma: il sito più rilevante della Campa-
nia indigena, attestato in una formidabile posizione di controllo del
Canale di Procida, snodo obbligato per la navigazione da e verso l'Italia
centrale. L'insediamento occupa il promontorio del Monte di Cuma,
proteso tra una baia sabbiosa e la laguna costiera del Lago di Licola, e si
estende anche all'area pianeggiante alle sue pendici orientali (FIG. 2.4).
Le necropoli delimitano l'abitato a nord e a est: su questo lato esse
sono inglobate all'interno delle mura della colonia greca, insistendo
nell'area in cui si sviluppa prima l'agorà e poi il Foro di età romana.
Una situazione molto articolata presenta il quadro del popolamento
nella Valle del Sarno, incentrato sul rapporto istituito dalle comunità
antiche con il fiume (FIG. 2.5).
Una vocazione insediativa non molto diversa da quella di Cuma
inizia a delinearsi per il primo insediamento di Pompei, dove recentissi-
me indagini di carattere sistematico hanno identificato l'esistenza di un
nucleo della prima età del Ferro sul pianoro successivamente occupato

18
2. IL POPOLAMENTO NELL'ETÀ DEL FERRO (IX-VIII SEC. A.C.)

FIGURA 2.5
La Valle del Sarno

r V.

GOLFO DI NAPOLI

GOLFO DI SALERNO

Punla della Campanella O l B 1olan

dalla città di epoca storica. Questo era costituito da una sorta di promon-
torio formato da un antico cono vulcanico, proteso su un paesaggio lagu-
nare, formato dalla confluenza a mare del Sarno: il sito era attestato a
controllo di un antico itinerario che dall'interno conduceva alla costa,
inglobato nella Pompei di età storica nella cosiddetta "via Stabiana".
In un paesaggio lagunare si colloca anche il già ricordato villaggio in
località Longola di Poggiomarino. Si tratta di un insediamento fluviale
che si sviluppa sui diverticoli del Sarno, sfruttando isolotti formati dallo
scorrimento del fiume, consolidati con argini fatti di pali e fascine
(TAV. 2.3 online). Le capanne erano in legno, di forma rettangolare e
absidata, ed erano soggette a continui interventi di manutenzione e di
rialzamento dei piani abitativi.

19
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

La localizzazione dell'insediamento esclude una sua vocazione agri-


cola: esso si caratterizza, invece, per la presenza di fornaci, strumenti e
scarti connessi alla lavorazione del bronzo e appare, quindi, piuttosto
votato alla produzione e allo scambio. Proprio in questa più avanzata
propensione produttiva va ricercata la chiave dell'apertura del villaggio a
elementi esterni, segnalata dalla precoce frequentazione villanoviana.
Veri e propri villaggi agricoli situati su terreni più asciutti erano,
invece, quelli segnalati dalle necropoli di tombe a fossa rinvenute a Stria-
no, San Marzano e San Valentino Torio nell'alta Valle del Sarno. Le
tombe, distanziate tra loro, si distribuiscono su ampie superfici, con
un'occupazione dilatata dello spazio funebre: ciò segnala un'eccedenza
della terra disponibile in rapporto ai bisogni di comunità insediate in un
fertile territorio agricolo, che dovevano conservare un carattere non
accentrato e un'economia di sussistenza.
Un habitat del tutto diverso presenta il villaggio di altura recente-
mente indagato, ai confini settentrionali della regione, sul Monte Petri-
no, alle propaggini sud-occidentali del Massico, in posizione dominante
la piana costiera di Mondragone.
Si tratta di un piccolo agglomerato, forse di carattere stagionale,
legato ad attività connesse all'allevamento e allo sfruttamento delle risor-
se boschive. Esso è formato da capanne di forma circolare, parzialmente
incavate nel terreno, poste sul pianoro sommitale e su parte dei crinali,
mentre più a valle, in una posizione più riparata e fornita d'acqua, sono
stati rinvenuti recinti per l'allevamento degli animali.

2.2
Le forme di organizzazione sociale.
La prima fase dell'età del Ferro

In assenza di scavi estesi di abitato, è lo studio delle necropoli a fornire le


informazioni più sistematiche per comprendere l'organizzazione sociale
della comunità.
Mediante una selezione orientata degli elementi del corredo, le
tombe riproducono l'immagine di gruppi organizzati in base al genere,
secondo la divisione di ruoli propria di una produzione di stampo fami-
liare, in cui è privilegiato l'elemento maschile.
Gli uomini si caratterizzano per la presenza di un'arma quale la
lancia, o di elementi simbolici - come, nel villanoviano di Pontecagnano,
il coperchio del cinerario configurato a forma di elmo - che rimandano
alla sfera della caccia e della guerra; le donne, oltre che un più ricco appa-
rato di ornamenti, possono recare gli strumenti della filatura e della tessi-
tura; con ogni probabilità a esse è riservata all'interno della sfera domesti-
ca la produzione della ceramica, modellata ancora senza l'uso del tornio.
Già nella fase iniziale dell'età del Ferro, ancora nel corso del IX seco-
lo a.C., emerge all'interno del gruppo maschile un'élite di guerrieri arma-
ti di spada.

20
2. IL POPOLAMENTO NELL'ETÀ DEL FERRO (IX-VIII SEC. A.C.)

L'arma, connessa al combattimento ravvicinato, costituisce un raro


indicatore di prestigio e, al tempo stesso, uno strumento di intrinseco
valore materiale: gli esemplari rinvenuti nelle tombe, in bronzo e in ferro,
costituiscono veri e propri oggetti da parata prodotti da un artigianato
altamente specializzato, che circolano in Italia centro-meridionale secon-
do una distribuzione che unisce i "capi" delle comunità protostoriche in
un'estensione geografica molto ampia.
La spada ricorre in sepolture contraddistinte da un corredo eminen-
te che, sovente, si associano a tombe femminili di simile livello, secondo
una connessione che valorizza il rilievo attribuito, attraverso la coppia, al
gruppo familiare.
Questo fenomeno, riconoscibile su scala regionale, evidenzia un
processo di stratificazione che consolida dislivelli di ricchezza e di pote-
re all'interno della compagine sociale: la funzione guerriera favorisce il
consolidarsi di una gerarchia che si estende alla famiglia, investendo
anche il controllo dei meccanismi di produzione e delle dinamiche di
scambio della comunità.
Per descrivere tale processo è opportuno citare alcuni esempi, a
partire dai centri villanoviani.
A Capua, nella necropoli del Mattatoio, è stata rinvenuta un'eccezio-
nale tomba a incinerazione, in cui il morto è contraddistinto dalla spada
di bronzo (t. 1). Il corredo contiene un calderone di bronzo proveniente
dall'Egeo, che costituisce una delle più antiche importazioni orientali in
area tirrenica.
A incinerazione erano anche le tombe di guerriero 6107 e 494 di
Pontecagnano, che recavano rispettivamente un vaso "a cestello" di
bronzo di produzione sarda e un askos in argilla figulina importato dalla
Calabria; alla tomba 494 si associava una sepoltura femminile (t. 580), nel
cui ricco corredo erano deposte due tazze in "ceramica piumata" impor-
tate dalla Sicilia.
A Pontecagnano la documentazione materiale lascia intravedere
anche una realtà più complessa che colloca la figura di guerriero al
centro di fenomeni di mobilità.
Nelle necropoli sono state rinvenute tombe a inumazione (tt. 180,
889) in cui la spada o un eccezionale elemento dell'armatura come gli
schinieri in bronzo provengono da Torre Galli, un importante insedia-
mento indigeno presso Tropea sulla costa tirrenica della Calabria: tali
sepolture, anche per l'adozione di un rituale funebre diverso dall'incine-
razione tipica per i maschi adulti in questa fase, sono state attribuite a
elementi allogeni giunti a Pontecagnano e integrati nella compagine villa-
noviana.
Nell'ambito della cultura delle tombe a fossa, spade del tipo di quel-
le rinvenute a Capua e Pontecagnano ricorrono a Cuma, ma il caso più
rilevante per la possibilità di ricostruire integralmente il contesto di
rinvenimento è costituito dalla tomba 232 di San Marzano nella Valle del

21
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Samo, in cui, oltre alla spada e alla lancia, era deposto un carretto ritua-
le a quattro ruote in bronzo.
La tomba si associava a una sepoltura femminile (t. 247) ed entram-
be erano delimitate da un "canale" semicircolare a ferro di cavallo che
forse costituiva l'anello di fondazione di un recinto palificato o di una
sorta di capanna realizzata sopra la tomba: si tratta di una struttura che
marca la piena integrazione sociale del morto all'interno del suo gruppo
e che in questa fase si associa alle sepolture di adulto.
Un non dissimile apparato sormontava a Pontecagnano la tomba
maschile 2145 a incinerazione in fossa: sulla sepoltura era collocata una
piattaforma a ferro di cavallo, perimetrata da conci di tufo che doveva
costituire la pavimentazione di una costruzione con elevato sostenuto da
pali, di cui restavano i fori. La tomba apparteneva a un maschio adulto,
armato di lancia: intorno a essa si aggrega, in un momento avanzato
dell'età del Ferro, un nucleo familiare di sepolture ugualmente eminenti,
una delle quali di un adulto armato di spada, recante nel corredo anche un
vaso con decorazione "a tenda" importato dall'Italia meridionale (t. 2150).
In questa dimensione ideologica che, attraverso la figura del guerriero,
inizia a valorizzare i legami parentelari e le linee di discendenza, si colloca
un eccezionale coperchio di cinerario, decorato sull'apice da una coppia di
figure: un guerriero dotato di elmo e una figura femminile di dimensioni
lievemente maggiori che gli cinge le spalle (TAV. 2.4 online). Difficile sottrar-
si alla suggestione che la scena evochi l'accoglienza del guerriero nell'Aldilà
da parte di una divinità femminile connessa alla sfera della morte.
Se si ci è soffermati sull'emersione di questo primo livello di gerar-
chia, è perché esso offre uno squarcio per comprendere il livello di
sviluppo, le aperture e l'ampia rete di rapporti attivati dalle comunità
protostoriche della Campania con altre regioni dell'Italia antica.
Questa complessa rete di relazioni, mediata da figure che si connotano
come capi militari, sfrutta itinerari interni ma, soprattutto, la via del mare:
si alimenta sulla rotta, percorsa dalle genti indigene ma anche dai Fenici,
che ~isce gli scali della Campania alla Sicilia e all'Etruria tirrenica.
E in tale quadro che si attua il primo incontro con i Greci: la scoper-
ta dell'Occidente tirrenico implica anche la capacità di attrazione susci-
tata dalle comunità locali.

2.3
L'incontro con i Greci.
La seconda fase dell'età del Ferro
Le prime tracce archeologiche di una frequentazione greca in area tirre-
nica precedono la fondazione delle più antiche colonie in Italia meridio-
nale e in Sicilia: si tratta di coppe, prodotte soprattutto in Eubea, ma
anche nelle Cicladi e in Attica, decorate con semicerchi penduli, a
chevrons, a meandro, a uccelli (TAV. 2.5 online).

22
2.. IL POPOLAMENTO NELL'ETÀ DEL FERRO (IX-VIII SEC. A.C.)

In Campania questi materiali sono documentati a Cuma, Capua e,


soprattutto, a Pontecagnano dove, ormai, rappresentano un'evidenza
quantitativamente molto significativa; più a nord ricorrono a Veio,
Cerveteri e Tarquinia, distribuendosi lungo la rotta su cui, già nel perio-
do precedente, si sviluppano gli scambi tra !'Etruria e la Campania: l'in-
quadramento tipologico dei manufatti e i contesti di rinvenimento, costi-
tuiti soprattutto da sepolture, non consentono di risalire per l'inizio di
questa circolazione oltre il 780-70 a.C.
Le coppe costituiscono l'esiguo segno materiale dell'avvio di un
rapporto di interazione con i Greci che diverrà una costante per le popo-
lazioni campane: per la loro funzione potoria, i vasi sono riconducibili al
consumo del vino e, per questo, sono stati connessi al modello dello
scambio cerimoniale, all'offerta di una bevanda pregiata praticata dai
primi mercanti come momento iniziale della transazione, per inaugurare
una relazione ospitale con le élites locali.
Questa iniziale fase di contatti si consolida intorno alla metà dell'vm
secolo con la fondazione di Pitecusa sull'isola di Ischia: il primo stanziamen-
to stabile di Greci in Occidente, realizzato dalle genti marinare dell'Eubea,
che, da tempo, avevano esteso il loro raggio di navigazione a tutto il Medi-
terraneo, spingendosi fino alle coste della Siria e della Tunisia.
Studi recenti hanno approfondito le forme di organizzazione e lo
statuto politico di Pitecusa: i Greci occupano l'intera isola mediante
villaggi destinati alla produzione agricola, in primo luogo quella connes-
sa a prodotti pregiati per il commercio come il vino e l'olio. L'abitato
principale era ubicato presso Lacco Ameno ed era organizzato per quar-
tieri con distinte funzioni produttive (TAV. 2.6 online): uno era riservato
ai vasai, grazie alla presenza di ricche cave d'argilla; in un altro operava-
no artigiani specializzati nella lavorazione dei metalli.
In questo sistema proiettato sulla produzione e lo scambio i Greci
coabitano con i Fenici, secondo un rapporto di integrazione fondato sui
comuni interessi commerciali e sulla condivisione delle tecniche e delle
competenze artigiane.
Il carattere misto di Pitecusa non costituisce un fenomeno isolato e
anomalo: forme non dissimili di convivenza sono contemporaneamente
sperimentate in molteplici insediamenti fondati dai Fenici in tutto l'arco
del Mediterraneo: l'esempio più rilevante è quello di Cartagine, ma ad
esso, solo per restare in acque italiane, si può aggiungere quello di Sulcis
in Sardegna, di cui sono stati ultimamente evidenziati specifici rapporti
proP.rio con Pitecusa.
È importante sottolineare come nella comunità aperta di Pitecusa
fossero ammessi anche gli indigeni, le cui tombe possono essere ricono-
sciute, accanto a quelle dei Greci, nella necropoli di San Montano. Le
sepolture sono integrate, anche se in posizione marginale, all'interno
dello spazio riservato ai morti della comunità allogena; esse si contraddi-
stinguono per il ricorso di segni che marcano un'identità alternativa

23
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

rispetto a quella del gruppo dominante: elementi specifici del costume


personale; l'esibizione nel corredo di strumenti in ferro, connessi alla
lavorazione del legno e del cuoio, come avviene in sepolture eminenti di
altre aree del mondo indigeno anche al di fuori della Campania; l' adozio-
ne, in alcuni casi, del rituale funebre dell'inumazione in posizione
rannicchiata che suggerisce una provenienza dei defunti dall'area della
media valle dell'Ofanto o dalla Daunia, in Puglia settentrionale.
Le ultime scoperte hanno dimostrato che una presenza stanziale di
Greci si estende molto precocemente anche sulla terraferma, a Cuma,
con un décalage cronologico assai ridotto rispetto a Pitecusa: comunque,
in un momento precedente alla data del 730-20 a.C. finora attribuita su
basi archeologiche alla fondazione della colonia, la più antica in Italia,
che la tradizione storica assegna all'iniziativa congiunta delle città di
Calcide in Eubea e di Kyme in Eolide.
Si tratta di un dato archeologico molto rilevante, ancora più significa-
tivo perché fondato sugli scavi eseguiti in area di abitato: anche se la docu-
mentazione finora disponibile non è molto consistente, essa induce a
riconsiderare i tempi e le forme con cui procede la fondazione coloniale.
Quello che è certo è che la tradizione storica rimarca la discontinuità
introdotta da Cwna greca negli assetti del territorio: sia rispetto a Pitecusa,
poiché la fondazione della nuova polis è esplicitamente connessa a una crisi
politica (stasis) della comunità isolana, sia, soprattutto, rispetto al più anti-
co insediamento indigeno che - come attestano le fonti (ad es., Flegonte di
Tralles in FHG II 257 F. 36 x) - è distrutto con violenza per assicurarsi la
disponibilità dello spazio agrario, risorsa essenziale per la sopravvivenza e
la legittimazione politica.
Ma, fuori dai confini acquisiti dalla conquista coloniale, il sistema Pite-
cusa/Cuma non alimenta tensioni conflittuali con l'elemento indigeno; al
contrario, promuove un rapporto di cooperazione, che incide profonda-
mente sullo sviluppo delle comunità locali. I due centri si inseriscono, con
una funzione trainante, nella rete di scambi marittimi con !'Etruria tirreni-
ca, allacciando relazioni privilegiate con i centri villanoviani di Ponteca-
gnano e Capua; nello stesso tempo, si aprono al rapporto con le comunità
indigene insediate nel fertile retroterra agricolo, da cui dipendono inizial-
mente per l'approvvigionamento di beni di prima necessità.
In cambio, attraverso l'esportazione di manufatti e la mobilità degli
artigiani, diffondono la conoscenza di tecniche di lavorazione più evolu-
te sia nel campo della metallurgia - e, in particolare, della fabbricazione
degli strumenti in ferro -, sia in quello della produzione ceramica con
l'introduzione delle tecniche di depurazione dell'argilla e del tornio
veloce.
L'interazione con i Greci, incrementando le dinamiche di produzio-
ne e di scambio, suscita nuove opportunità di sviluppo nel mondo
campano e accelera il processo di concentrazione della ricchezza e di
stratificazione sociale già avviato nella prima fase dell'età del Ferro.

24
2. IL POPOLAMENTO NELL'ETÀ DEL FERRO (IX-VIII SEC. A.C.)

FIGURA 2.6
Pontecagnano: un settore della necropoli della seconda fase dell'età del Ferro

Se nel periodo precedente la gerarchia si è manifestata attraverso il rilie-


vo assunto da alcune famiglie, ora si affermano formazioni elitarie di
carattere esteso, che aggregano molteplici unità familiari.
La loro fisionomia è documentata nelle necropoli dalla presenza di
appezzamenti sepolcrali privilegiati che spiccano per l'organizzazione
planimetrica e l'esibizione di segni eminenti: questi riguardano sia i tipi
tombali e un rituale funebre come l'incinerazione, sovente influenzati da
quelli adottati dai Greci, sia la composizione del corredo, che include
ceramiche di tipo euboico e corinzio, importate dalla Grecia o prodotte
a Cuma e Pitecusa, e gioielli di tipo orientale diffusi dal commercio feni-
cio o anch'essi realizzati nelle officine di Ischia (FIG. 2.6).
Il fenomeno assume un carattere strutturale, ricorrendo in comunità
altrimenti distinte dal grado di complessità politica: investe i centri
protourbani di Capua e Pontecagnano dove, all'interno di un tessuto

25
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 2.7
San Valentino Torio: planimetria della necropoli

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sepolcrale sfruttato intensivamente, si distinguono aree funebri caratte-


rizzate da una pianificazione per filari paralleli o anche, nel caso di
Pontecagnano, delimitate da un circolo, ma ugualmente si riconosce in
più modesti insediamenti come quelli di San Valentino Torio e Striano
nella Valle del Sarno, e Gricignano di Aversa lungo il corso del Clanis.
A San Valentino e Striano la necropoli assume l'aspetto di un vero e
proprio villaggio dei morti: le tombe con canale, ormai riservate a una
condizione sociale eminente e non più alla classe degli adulti, costituisco-
no il fulcro di un sepolcreto organizzato su stradine parallele (FIG. 2.7).
A Gricignano è stato interamente esplorato il sepolcreto di una
piccola comunità che, al momento della fondazione di Cuma, organizza
una sorta di avamposto sul fiume, destinato a una vita molto breve che si
esaurisce allo scorcio dell'vm secolo. Le tombe descrivono una sorta di
circolo e si aggregano per gruppi familiari: al loro interno emerge un·
nucleo eminente, contraddistinto dal rito dell'incinerazione (FIG. 2.8).
La reazione indigena all'arrivo dei Greci produce un salto di qualità
nella gestione dei mezzi di produzione e nelle forme di organizzazione
sociale: sbocca nello sviluppo di vere e proprie aristocrazie di carattere
stabile al vertice di formazioni allargate, organizzate per livelli gerarchici.
Non a caso in questi gruppi, accanto al ruolo del maschio adulto,
ancora contraddistinto dall'attributo tradizionale delle armi, assume una
nuova centralità l'elemento femminile, denotato nei corredi funebri da
un ricchissimo costume personale, da un prestigioso indicatore di
funzione, come il fuso, e da strumenti, come il coltello e, talora, gli spie-
di o l'ascia, selezionati in virtù del loro valore ideologico: essi rinviano ai
contesti integrati del sacrificio cruento e dell'alimentazione carnea, che
investono la sfera delle attività collettive della comunità e sono associati
2. IL POPOLAMENTO NELL'ETÀ DEL FERRO (IX-VIII SEC. A.C.)

FIGURA 2.8
La necropoli di Gricignano (con le tracce delle fasi precedenti dell'eneolitico e
dell'età del Bronzo)

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alla donna in quanto elemento garante del focolare domestico e della


continuità del gruppo familiare.
Secondo una logica non dissimile va interpretata a Pontecagnano la
comparsa all'interno dei sepolcreti delle tombe dei bambini, ai quali
nella fase precedente non è riservata una sepoltura formale: la rappresen-
tatività della classe di età infantile è il segno evidente di una comunità
che annette una nuova importanza alla genealogia e alla trasmissione
ereditaria.
Sotto il controllo delle aristocrazie nascenti, le comunità campane
conoscono una fase di forte crescita che produce forme più strutturate
di gestione del territorio, innescando fenomeni di attrazione e nuove
dinamiche di mobilità e popolamento.
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

L'esempio più chiaro è quello di Pontecagnano. Mentre si esaurisce


l'abitato del Pagliarone, intorno al centro principale si formano insedia-
menti "satellite" connessi al controllo di punti chiave del territorio: la
laguna costiera del Lago Piccolo, presso la quale si sviluppa un piccolo
abitato in località Casella legato allo scalo portuale, e, sul versante inter-
no, il Colle di Monte Vetrano allo sbocco nella piana delle valli del Fuor-
ni e del Picentino, in posizione dominante il corso e, probabilmente, il
guado del fiume (TAV. 2.7 online).
Si tratta di due siti che, come nel caso di Gricignano, esauriscono la
loro funzione all'inizio del VII secolo; entrambi sono marcati dalla
presenza di componenti culturali esterne rispetto a Pontecagnano, che
rinviano, da un lato, a Capua e alla Valle del Sarno, dall'altro, al retroter-
ra collinare dei Monti Picentini e di Eboli, dove nel corso della seconda
metà dell'vm secolo si insediano gruppi che costituiscono la propaggine
meridionale della cultura irpina di Oliveto Citra-Cairano.
Nei due centri minori possono riconoscersi comunità miste, alle
quali Pontecagnano consente di insediarsi in funzione di controllo ai
margini del proprio territorio: subordinate, ma non prive di autonomia,
esse si strutturano all'insegna della mobilità e dei rapporti di scambio,
come è segnalato dal rinvenimento nelle necropoli di ceramica pitecusa-
na a Caselle e di un'eccezionale barchetta nuragica in bronzo a Monte
Vetrano (TAV. 2.7 online).
Non dissimili reti di contatti dovevano integrare in Campania
settentrionale Capua e le comunità indigene insediate ai margini della
pianura del Volturno, suo naturale bacino di sfruttamento: emblemati-
ca è, in questo senso, la contemporanea attestazione nel centro villano-
viano, a Suessula e a Gricignano di grandi fibule da parata decorate con
figurine plastiche, rinvenute in tombe femminili di straordinario livello
(TAV. 2.8 online).
Ma un valore ugualmente eccezionale potrebbe anche rivestire una
coppa a semicerchi penduli del Museo Civico di Bojano in Molise,
proveniente da una raccolta in cui sono confluiti anche vasi di impasto di
produzione capuana, oltre a ornamenti riconducibili allo stesso ambien-
te della pianura campana. Tali materiali sono evidentemente pertinenti
al corredo di una o più tombe sconvolte del terzo quarto dell'vm secolo
e sono stati connessi a un recupero effettuato in seguito alla distruzione
di nuclei di necropoli ubicati nel comune di Campomarino nella piana di
Bojano, dai quali sono state, però, finora recuperate solo due sepolture
di IV secolo.
Se l'associazione dei materiali dell'età del Ferro a tombe presenti
nella zona sarà confermata dall'esecuzione di scavi sistematici, si avrà la
prova dell'esistenza di una precoce corrente di traffico su lunga distanza
alimentata dal centro villanoviano verso l'area sannitica lungo le direttri-
ci fluviali del Volturno e del Basso Calore e il tratturo Pescasseroli-
Candela.

28
2. Il. POPOLAMENTO NELL'ETÀ DEL FERRO (IX-VIII SEC. A.C.)

2.4
Le tradizioni antiche sui popoli
Quando i Greci, percorrendo rotte condivise con le navi fenicie, giungo-
no sulle coste della Campania, approdano a una terra sconosciuta: non
desta stupore che, per descrivere il nuovo mondo, essi adottino le coor-
dinate mitiche della geografia di Odissea, l'eroe che, per tornare a Itaca,
deve attraversare Oceano, avventurandosi in un mondo ignoto, popola-
to di mostri disumani ed esseri semidivini.
I marinai euboici riconoscono intorno al Golfo di Napoli le tappe
del viaggio di Odissea: nel promontorio all'estremità della Baia di leran-
to, proteso su un braccio di mare pericoloso per i venti e le correnti, la
sede delle Sirene; nel paesaggio vulcanico dei Campi Flegrei, le porte
dell'Ade presso il Lago d'Averno; più a nord definiscono Circeo il
promontorio che chiude il Golfo di Gaeta.
Non dissimile è la prospettiva mitistorica di uno straordinario
passaggio della Teogonia di Esiodo (vv. 1on-18), databile, probabilmente,
ancora alla fine dell'vm secolo a.C.: in esso Odissea e Circe sono divenu-
ti i genitori di Agrio e Latino che «molto lontano in mezzo ad isole sacre
regnavano su tutti gli illustri Tirreni».
La fonte si colloca nell'orizzonte delle prime frequentazioni euboiche
che culminano con Pitecusa: tradisce una conoscenza ancora incerta
dell'Italia tirrenica, ma, al tempo stesso, registra uno stadio in cui l'incontro
tra i Greci e gli indigeni ha già prodotto il paradigma di un'origine comune.
I popoli dell'Etruria e del Lazio sono descritti come un'unica popo-
lazione che si affaccia su un mare remoto: essi sono chiamati Tirreni, con
una denominazione che successivamente sarà riservata agli Etruschi, ma
i nomi dei re Agrio e Latino rinviano al mondo laziale. Emblematico è il
nome parlante di Agrio che significa il "Selvatico": l'attributo è lo stesso
con cui Omero marca il mostro Polifemo, ma, a differenza del ciclope, il
re di Esiodo, non più nemico di Odissea, ne è diventato il figlio genera-
to con la maga: egli rappresenta un popolo con cui i Greci hanno preco-
cemente imparato a sviluppare rapporti.
Nella stessa cornice odissaica i Greci inquadrano gli Ausoni, da loro
considerati il più antico popolo della Campania. Anche in questo caso le
fonti riportano le origini a un mitico progenitore Auson che dà il nome
all' ethnos: anch'egli, secondo una tradizione risalente a età arcaica, è
figlio di Circe e Odissea, come Agrio e Latino. Ma esiste una tradizione
più antica che collega, sia pure indirettamente, l'eponimo degli Ausoni a
Odissea e, al tempo stesso, la Campania alla Sicilia: in una storia riporta-
ta da Diodoro Siculo (v, 7, 5-6) Lipari è fondata da Liparo, figlio di
Auson, giunto sull'isola dopo essere fuggito dall'Italia per una contesa
con i fratelli. Liparo accoglie Eolo, dandogli in moglie la figlia, e, con
l'aiuto del genero, ritorna in Campania dove fonda un regno a Sorrento:
alla sua morte è onorato con l'istituzione di un culto eroico.

29
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

La saga narrata da Diodoro Siculo è particolarmente significativa


perché, come è noto, Omero fa giungere Odissea sull'isola galleggiante
di Eolo, che accoglie benignamente l'eroe, garantendogli un vento propi-
zio per il ritorno: la leggenda si inquadra, dunque, attraverso la relazione
con Sorrento, nello stesso sistema che valorizza il viaggio di Odissea in
rapporto alle coste campane per costruire una geografia dalla prospetti-
va di un periplo marinaro.
Nella leggenda di Liparo gli Ausoni di Sorrento sono celebrati come
un popolo autonomo in grado di esprimere un re legittimo e di elabora-
re una propria tradizione, fondandola su un'origine eroica; al tempo stes-
so, gioca un ruolo essenziale la componente greca, evocata da Eolo, che
consente la riconquista di Liparo, ripristinando il suo giusto diritto,
conculcato dai fratelli.
Nella tradizione arcaica gli Ausoni sono presenti in tutta la Campa-
nia, dalla pianura del Garigliano all'entroterra di Nola, fino a Marcina
(Fratte) sul Golfo di Salerno, all'estremità meridionale della penisola
sorrentina, ma già alla fine del v secolo gli storici documentano un frazio-
namento del popolamento indigeno in cui emerge l' ethnos degli Opici.
Questi sono localizzati da Antioco di Siracusa (in Strabone v, 4, 3)
nel «paese intorno al Cratere», vale a dire, nella regione pianeggiante del
Golfo di Napoli, dominata dal Vesuvio, compresa tra Capo Miseno e il
promontorio di Sorrento.
La prospettiva dello storico diviene più chiara alla luce di un passo
di Tucidide (VI, 4) che colloca la colonia greca di Cuma in Opicia: sotto
il nome di Opici si identificano, dunque, gli indigeni situati nella pianu-
ra campana di cui Cuma rivendica il controllo: le genti della "cultura
delle tombe a fossa", di cui si è in precedenza delineata l'immagine attra-
vers<;? l'esame della documentazione archeologica.
E significativo sottolineare come nella tradizione degli Opici manchi
la menzione di un antenato eponimo, a conferma di un'identità che si
struttura in riferimento alla collocazione geografica, essenzialmente in
funzione del rapporto subalterno con Cuma. Ma rispetto a questa pro-
spettiva occorre ricordare un brano di Strabone (v, 4, 12) in cui trapela
un'estensione più dilatata degli Opici che giunge a comprendere il San-
nio: in questa versione essi costituiscono lo strato di popolazione più
antico, che abita ancora in villaggi sparsi ed è scacciato dalla discesa dei
Sabelli guidati da un toro sacro a Marte. La fonte delinea, dunque, l'im-
magine di un popolamento omogeneo lungo i due versanti appenninici:
essa si proietta in un tempo lontano, prima dell'arrivo dei Sanniti e,
forse, suggerisce l'esistenza di quella rete di contatti che la coppa a semi-
cerchi penduli di Bojano potrebbe contribuire ad adombrare.
Qual è il rapporto tra Opici e Ausoni? L'analisi delle fonti consen-
te di formulare una risposta secondo una prospettiva dinamica. Nel
passo sopra citato Antioco si riferisce agli «Opici [. .. ] che si chiamava-
no anche Ausoni»: si richiama, dunque, a una fase in cui tra i due ethne

30
2. IL POPOLAMENTO NELL'ETÀ DEL FERRO (IX-VIII SEC. A.C.)

esiste un'articolazione espressa attraverso la differenza del nome, ma, al


tempo stesso, sussiste una complessiva omogeneità culturale, come se la
distanza fosse soprattutto dovuta alle diverse forme di integrazione con
i Greci.
Una marcata diversità segna, invece, i due popoli nel II secolo a.C., al
tempo dello storico Polibio (Storie, XXXIV, 11, 7), secondo il quale «Opici
e Ausoni vivono nella regione intorno al Cratere»: la primitiva estensio-
ne degli Ausoni si è, ormai, con il tempo circoscritta alla fascia costiera a
nord del Massico, al confine con il Lazio, dopo che l' ethnos ha assunto il
nome evoluto di Aurunci. La piana del Garigliano è, del resto, conside-
rata l'area di formazione degli Ausoni in una leggenda tramandata da
Eliano (Var. Hist. IX, 16), in cui essi discendono dal centauro Mares:
questi reca un nome inseparabile da quello della ninfa Marica venerata
in un importante santuario proprio alla foce del fiume, come si vedrà
successivamente (PAR. 4.7.6).
La riflessione storica sulle origini coinvolge anche Capua, il centro
più importante, situato nel cuore della piana del Volturno. Alla fine del
VI secolo lo storico Ecateo di Mileto (riportato da Stefano Bizantino, s.v.
Kapye), connette il nome della città al troiano Kapys che nell'Iliade figu-
ra come il padre di Anchise.
Attraverso il richiamo a Troia l'origine di Capua è inserita nello stes-
so sistema di rappresentazione della più antica geografia della Campania,
imperniata sulla localizzazione occidentale del viaggio di Odissea: questa
operazione è resa possibile perché già nel VII secolo, ad opera del poeta
Stesicoro, si crea una tradizione che fa giungere anche Enea in Campa-
nia, insieme al padre, al figlio Ascanio e al timoniere Miseno che dà nome
al promontorio che chiude a nord il Golfo di Napoli.
Le coste della Campania accolgono, dunque, i reduci della guerra di
Troia che, nella logica della tradizione antica, servono a integrare nelle
coordinate culturali del mondo greco popoli e terre sconosciute. In
questa prospettiva si comprende la connotazione troiana di Capua: essa
è finalizzata a distinguere il centro protourbano dalle altre realtà indige-
ne, attribuendogli un'origine più vicina a quella dei Greci e più consona
alla percezione del suo superiore livello di sviluppo.
La fonte principale sulla fondazione di Capua è, però, costituita da
un testo dello storico Velleio Patercolo (1, 7), vissuto ai tempi di Tiberio,
che riporta due distinte tradizioni, nelle quali, comunque, la città è di
origine etrusca e associata a Nola. La prima, preferita dall'autore, ripor-
ta la nascita della città al tempo del poeta Esiodo intorno all'8oo a.C.;
l'altra è quella propugnata da Catone che colloca la fondazione nel 471
a.C., vale a dire, 260 anni prima della conquista della città da parte dei
Romani, avvenuta nel 211 a.C.
Le due versioni riflettono, probabilmente, una tradizione che regi-
stra due momenti ugualmente cruciali nella vita della città antica, tali da
potere essere omologati ad altrettanti atti di fondazione: la prima rinvia

31
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

al tempo della Capua villanoviana, con la quale i Greci entrano in


rapporto ali' epoca della fondazione coloniale, e in questa prospettiva
potrebbe comprendersi il richiamo ad Esiodo autore nella Teogonia
della costruzione genealogica di Agrio e Latino. L'altra rimanda a un
periodo molto più recente, alla prima metà del v secolo a.C., quando il
mondo campano è interessato da un generale processo di ristrutturazio-
ne, in cui Capua assume un ruolo di primo piano, ma su questo argomen-
to si tornerà in seguito (PAR. 6.5).

32
3

La Campania dei principi


(fine VIII-VII sec. a.C.)

3,1
Il sistema delle gentes e le dinamiche poleogenetiche

Alla fine dell'vm secolo a.C. si consolida in tutto il territorio regionale il


processo di stratificazione sociale che si era sviluppato nel corso dell'età
del Ferro, ricevendo un impulso decisivo dal contatto con i Greci.
L'apertura a nuove dinamiche di scambio e l'esigenza di confrontar-
si con esperienze politiche più avanzate favoriscono nelle comunità loca-
li processi di concentrazione della ricchezza e di accentramento nel
controllo delle risorse e dei meccanismi di produzione, conducendo alla
formazione di un ceto dominante stabile, costituito da un'aristocrazia
familiare di carattere ereditario.
Il corpo sociale si struttura in un sistema piramidale imperniato sul
"principe": il capo che controlla le proprietà, le attività e le relazioni del
suo gruppo. Egli è rivestito di un'autorità religiosa in una fase in cui la
sfera del sacro non è ancora distinta da quella politica e il culto della
famiglia dominante si estende a tutta la sua comunità: è il principe che
conduce il sacrificio, il rito che fonda l'identità e scandisce il tempo del
gruppo.
In assenza di una documentazione estesa degli abitati, questo
complesso insieme di funzioni è riconoscibile a livello dell'ideologia
funeraria: la morte dei principi innesca un cerimoniale complesso che
perpetua la loro memoria, proiettandola nella dimensione mitica dei
capostipiti.
Questo processo investe anche il genere femminile e si concreta
attraverso i molteplici livelli della performance funebre: mediante l'ado-
zione di forme peculiari del trattamento del cadavere, l'esecuzione di
rituali intorno alla sepoltura, l'esibizione di corredi di eccezionale
ricchezza che ostentano preziose importazioni dall'Etruria, dalla Grecia
e dal Vicino Oriente, l'architettura della tomba e la monumentalizzazio-
ne del paesaggio funerario.
Le tombe dei principi sono concepite come elementi costitutivi dello
spazio e della memoria collettiva: servono a radicare l'identità del gruppo.

33
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 3.1
Capua, Fondo Patturelli: tazza cultuale

Il consolidamento di una società organizzata su basi gerarchiche, imper-


niata su un'aristocrazia che detiene il monopolio politico e il controllo
dei meccanismi di produzione, crea le condizioni per un impressionante
salto di qualità nel sistema insediativo regionale: alla fine dell'vm secolo
si accelera la trasformazione in senso urbano dei grandi abitati villano-
viani di Capua e Pontecagnano e, al tempo stesso, si ristruttura il popo-
lamento della Campania interna dove, ai margini della pianura, accanto
a Suessula sorgono i nuovi agglomerati di carattere accentrato di Calatia
(Maddaloni), Nola e Avella. La Campania, come le regioni più avanzate
dell'Italia antica, si avvia a divenire un mondo di città: un sistema
produttivo che incide profondamente sugli assetti del territorio per la
forza di pianificazione, la concentrazione di risorse e la disponibilità di
forza lavoro.
Ma la nuova dimensione degli insediamenti comporta anche la
costruzione di un'identità politica più avanzata: è, ad esempio, significa-
tivo che a questo livello cronologico risalgano le prime tracce di attività
cultuali in spazi che in età arcaica ricevono una sistemazione monumen-
tale, ospitando un santuario o, comunque, essendo riservati a una desti-
nazione pubblica.
Questa dinamica è indiziata dal rinvenimento di alcuni esemplari di
tazza di grandi dimensioni, con alta ansa molto elaborata, sia nel santua-
rio suburbano di Fondo Patturelli a Capua sia nei livelli profondi dell'area
forense a Suessula. Si tratta di una forma di elevata complessità tecnica,

34
3. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI (FINE VIII-VII SEC. A.C.)

connessa all'offerta di liquidi, che non ricorre nelle necropoli: considerati


i contesti di rinvenimento, non è impossibile riconoscervi una forma
specializzata, da utilizzare nel corso di pratiche cerimoniali all'interno di
aree precocemente adibite dalla comunità alla celebrazione del sacro,
attraverso una scelta progettuale che si conserva invariata nel lungo perio-
do (FIG. 3.1).
Il processo di aggregazione urbana è il risultato del livello di svilup-
po e non una prerogativa etnica: esso investe trasversalmente le diverse
componenti del popolamento e favorisce lo sviluppo dei rapporti tra le
comunità campane e la polis greca di Cuma, inaugurando un sistema di
cooperazione che proseguirà per l'intero corso dell'età arcaica.
Si sviluppa da questo periodo una rete di relazioni e di scambi che
cementa i legami tra le aristocrazie aldilà della determinazione etnica: si
innesca un processo di interazione tra Greci, Etruschi e indigeni che dà
vita a un patrimonio culturale "meticcio".

3.2
Le città tirreniche: Pontecagnano e Capua
Come accade contemporaneamente in Etruria, gli insediamenti villano-
viani di Capua e Pontecagnano si trasformano alla fine dell'vm seco-
lo a.C. in comunità di cultura etrusca. Il segno più evidente è costituito
dal dato linguistico che documenta il ricorso molto precoce dell'etrusco
almeno a Pontecagnano: le iscrizioni più antiche risalgono al terzo quar-
to del VII secolo, ma lettere e contrassegni isolati sono già attestati in
contesti della prima metà del secolo.
Questo processo di sviluppo prevede, più chiaramente di quanto si
possa verificare per le comunità indigene, la formazione di aristocrazie
gentilizie.
Che cos'è una gens? Si tratta di una struttura sociale ed economica
di carattere esteso: in essa continua a rivestire un ruolo privilegiato il
gruppo familiare allargato, legato da vincoli di consanguineità, che è,
però, integrato dall'immissione di un ampio stuolo di clientes, caratte-
rizzati da una condizione subalterna intermedia tra l'uomo libero e lo
schiavo.
I clienti forniscono alla gens la forza lavoro essenziale alla sua sussi-
stenza: sono impiegati nelle attività produttive che, grazie al loro appor-
to, possono assumere dimensioni e forme più complesse e, al tempo stes-
so, sono obbligati alla prestazione militare, facendo parte della milizia
gentilizia. I clienti si collocano alla diretta dipendenza del principe, con
un vincolo di solidarietà personale: secondo le fonti latine il principe
vanta su di loro un'autorità simile a quella di un padre (patronus), a riba-
dire il carattere conservatore dell'ideologia gentilizia, che continua a
esprimere il legame di subordinazione sotto forma di un rapporto dina-
tura familiare.

35
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Base economica essenziale della gens è il suo territorio agricolo: l' ager,
la cui proprietà risiede nelle mani del princeps e non può essere fraziona-
ta, pena il suo irreversibile indebolimento. Questo spiega la centralità che
assume la titolarità sancita dalla valorizzazione dei sistemi di discenden-
za, del lignaggio come garanzia della stabilità della formazione sociale:
tale sviluppo è documentato sul piano linguistico dall'introduzione della
formula onomastica a due elementi in cui al nome individuale (il preno-
me), che costituisce il più antico livello di identificazione, si aggiunge
quello della famiglia (gentilizio) trasmesso su base ereditaria.
In Campania la prima testimonianza del nome gentilizio è costituita
da un'iscrizione etrusca di Pontecagnano, proveniente da una sepoltura
di bambino databile nel terzo venticinquennio del VII secolo a.C.
(t. 3509): essa è verosimilmente connessa all'offerta funebre praticata dai
genitori in occasione del funerale del figlio (FIG. 3,2).
A differenza della polis di Cuma, dove il diritto di cittadinanza costi-
tuisce una prerogativa discriminante perché legata alla proprietà della
terra ed è riservata ai Greci, i centri etruschi conservano un carattere
aperto: essi fungono da elemento catalizzatore del popolamento, acco-
gliendo in funzione non subalterna gruppi di origine diversa.
Questa dinamica di attrazione rafforza l'influenza culturale etrusca
nella regione; sul versante opposto, costituisce un formidabile vettore di
sviluppo per la componente indigena che diviene partecipe in forma non
discriminata dei meccanismi di società a elevato grado di complessità.
Pontecagnano rappresenta un esempio chiaro dell'impatto materia-
le suscitato dal processo di ristrutturazione dell'assetto urbano. Alla fine
dell'vm secolo sono abbandonate le necropoli utilizzate nel corso dell'età
del Ferro. La comunità pianifica nuove aree di sepoltura che si dispon-
gono a ridosso del plateau dell'abitato, suddividendosi in due grandi
settori: la necropoli occidentale situata in corrispondenza del centro
moderno e quella orientale, ubicata in località Sant' Antonio.
I sepolcreti occupano le zone di bassura non sfruttate nel periodo
precedente perché solcate da paleoalvei: il loro recupero implica un
intervento di bonifica che, nel caso della necropoli occidentale, prevede
anche il convogliamento delle acque sorgive e di superficie verso il fiume
Picentino.
Le aree funebri sono attraversate da strade che conducono all'abita-
to: tali direttrici condizionano, già da una fase molto antica, l'orienta-
mento delle sepolture.
La ristrutturazione delle necropoli si configura come un'imponente
opera di carattere pubblico. Essa traduce sul piano spaziale la ristruttu-
razione in senso unitario dell'insediamento. Per guadagnare gli spazi
richiesti dalla nuova pianificazione, si attua un intervento di grandi
dimensioni volto al controllo del regime delle acque: un intervento che
richiede mezzi e manodopera ingenti, competenze tecniche e un elevato
livello di organizzazione del lavoro, ma, soprattutto, presuppone l'esi-

36
J. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI (FINE VIII-VII SEC. A.C.)

FIGURA 3.2
Pontecagnano: l'iscrizione etrusca della tomba 3509

Traduzione: Io (sono stato) donato a vantaggio di Venela (e) di Velchae Rasunie.

stenza di un'autorità politica in grado di imporre all'intera comunità


strategie unitarie di ampia portata.
Secondo una progettualità non dissimile si pianificano le funzioni
dell'abitato. Al margine meridionale dell'area urbana si sviluppa alla
fine dell'vm secolo un'ampia area aperta, servita da pozzi, intorno alla
quale sono state rinvenute tracce di capanne e una fornace per la cera-
mica (FIG. 3.3).
Questa articolazione spaziale conserva la sua validità quando, all'ini-
zio del VI secolo, nell'area si impianta un santuario dedicato ad Apollo: lo
spiazzo aperto diviene la piazza centrale su cui affacciano le strutture sacre.
Non è, dunque, impossibile attribuire una funzione pubblica anche
alla prima sistemazione della zona alla fine dell'vm secolo, secondo la
stessa prospettiva di continuità delineata nel paragrafo precedente per i
contesti sacri di Capua e Suessula: nel caso di Pontecagnano, considerati
l'attestazione di apprestamenti di tipo produttivo e il rinvenimento di
ceramiche importate da Ischia o Cuma, è possibile supporre che il setto-

37
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 3.3
Pontecagnano: l'area di capanne nel settore meridionale dell'abitato

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·~l Età orientalizzante f~~f Età arcaica • IV SF.C. a.C.

re meridionale dell'abitato fosse adibito a una funzione di mercato, a una


forma di stanzialità temporanea connessa alla pratica dello scambio,
favorita dalla collocazione topografica marginale e dalla disponibilità
dell'acqua.
Il consolidamento delle funzioni insediative e delle strutture politi-
che ed economiche della comunità avviene sotto la direzione delle gran-
di famiglie aristocratiche, di cui resta testimonianza nella ricca documen-
tazione funebre. Nelle necropoli l'inumazione diventa il rito dominante,
con l'incinerazione ormai riservata a denotare un ruolo eminente.
Il tessuto delle necropoli è scandito da appezzamenti funebri diffe-
renziati, separati da spazi liberi, il cui uso, talora prolungato nel tempo,
appare connesso a gruppi legati su base parentelare. Le tombe si artico-
lano in plessi nei quali è ormai pienamente rappresentato il genere infan-
tile: le sepolture a volte si organizzano intorno a spiazzi liberi, utilizzati
probabilmente per le pratiche cerimoniali.
I gruppi sono marcati da accentuati dislivelli di ricchezza che riflet-
tono un'articolata stratificazione sociale: all'interno di tale dinamica
emergono le tombe dei principi. Queste sono accomunate dall'osten-
tazione del fasto, evocato dalla ricchezza del corredo in cui figurano

38
3. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI (FINE VIII-VII SEC. A.C.)

oggetti preziosi importati da tutto il Mediterraneo: i servizi dei vasi e


degli strumenti alludono a sfere di azione privilegiate, come il simposio
e il sacrificio, che contraddistinguono lo stile di vita dei gruppi domi-
nanti.
Al tempo stesso, le tombe principesche si distinguono per la varietà
dei comportamenti funerari: le aristocrazie adottano strategie di autorap-
presentazione differenziate che evidenziano la coesistenza di molteplici
modelli ideologici in competizione, a partire dalla diversa enfasi attribui-
ta alla rappresentazione del genere.
Nella necropoli occidentale assume uno specifico risalto il modello
del "principe-eroe" che valorizza la centralità del ruolo maschile.
L'esempio più complesso è costituito dalla necropoli di piazza Risorgi-
mento (FIG. 3.4).
L'area funebre si colloca sul bordo di un'antica terrazza, in posizio-
ne distinta rispetto al resto della necropoli: nella sua prima fase di uso,
compresa tra la fine dell'vm e il terzo quarto del VII secolo, si impernia su
due tombe gemelle di livello principesco (tt. 926 e 928), separate dalle
altre da una fascia di rispetto, in origine, forse, monumentalizzata. Tra le
sepolture del gruppo rientra anche la già citata tomba 3509 che ha resti-
tuito la più antica iscrizione etrusca. Le tombe 926 e 928 si datano verso
il 670 a.C. e sono costituite da un recinto in lastroni di pietra, al centro
del quale è ricavato un ricettacolo ugualmente foderato e ricoperto da
lastre (FIG. 3.5; TAV. 3.1 online).
I defunti sono cremati e le ceneri conservate nel ricettacolo all'inter-
no di un calderone di bronzo, dove erano avvolte da un panno, segnala-
to dal ritrovamento della spilla che doveva chiuderlo: si tratta di un ritua-
le di carattere eroico, che evoca quello descritto da Omero a proposito
dei funerali di Patroclo ed Ettore, le ossa dei quali, dopo l'estinzione del
rogo, sono avvolte in un panno di porpora e racchiuse entro un'urna o
una cassa d'oro. L'uso del calderone di bronzo come cinerario è tipico
delle aristocrazie euboiche e ricorre in alcune sepolture aristocratiche di
Cuma dello scorcio dell'vm secolo a.C.: in particolare, uno specifico
confronto può essere istituito con la tomba principesca 104 di Fondo
Artiaco, contraddistinta da una stessa architettura funebre, con il ricetta-
colo ricavato all'interno del recinto.
I due principi etruschi condividono, quindi, esplicitamente i model-
li ideologici elaborati dalle élites greche di Cuma: un segno evidente
dello spessore delle relazioni intessute tra la città greca e quella etrusca,
ma anche della solidarietà che lega trasversalmente le aristocrazie domi-
nanti.
Il corredo funebre è distribuito negli spazi del recinto e del ricetta-
colo, secondo una logica finalizzata a celebrare lo statuto eccezionale dei
defunti. Il ricettacolo è riservato ad accogliere le spoglie combuste del
morto insieme ai suoi oggetti più preziosi, tra i quali il servizio di vasi di
bronzo e d'argento, importati dall'Etruria, dalla Grecia e dall'Oriente,

39
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA3.4
Pontecagnano: necropoli di piazza Risorgimento

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Piazza
Risorgimento

Limiti di scavo
Estensione della necropoli
nell'orientalizzante antico e medio
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Tombe con iscrizioni

connessi alla sfera del banchetto e al consumo del vino (TAV. 3,2 online).
Nel recinto sono collocati gli elementi connessi al ruolo sociale del prin-
cipe: il carro, le armi, gli strumenti legati al sacrificio, al taglio e alla
cottura delle carni (asce, coltelli, spiedi, alari, pinze per i carboni), i vasi
contenitori di alimenti privilegiati come il vino e il miele. Essi richiama-
no l'autorità del capo che presiede alla difesa e alla riproduzione, accen-
3. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI (FINE VIII-VII SEC. A.C.)

FIGURA3.5
Pontecagnano: la tomba 926

trando il controllo del sacrificio e della distribuzione alimentare: gli


oggetti del recinto sono collocati in tomba dopo la chiusura del ricetta-
colo e si configurano come vere e proprie offerte votive in onore del
morto che attraverso l'incinerazione ha conseguito lo statuto definitivo
di eroe per il suo gruppo.
Indicativa, a questo proposito, è la presenza nella tomba 928 di un

41
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

tripode di bronzo: uno dei doni che nell'Iliade mette in palio Achille in
occasione dei giochi funebri in onore di Patroclo.
Un'altra deposizione principesca della necropoli occidentale è costi-
tuita dalla tomba 4461, databile allo scorcio dell'vm secolo e, dunque, di
una generazione più antica rispetto alle tombe 926 e 928. La sepoltura,
pertinente a un maschio adulto, era costituita da una cassa di lastroni: le
ossa erano in parte raccolte in un calderone di bronzo e in una situla,
ugualmente in bronzo, importata dalla città etrusca di Vetulonia, in parte
collocate sul piano di deposizione.
In quest'ultimo caso e nel calderone i resti umani erano frammisti a
quelli di un caprovino. Le ossa non sono cremate, ma scarnificate o
inumate e successivamente deposte in tomba, secondo un rituale di
seppellimento secondario: la loro distribuzione risponde a una logica
selettiva, come prova emblematicamente l'assenza del cranio.
Le strategie di deposizione provano che il morto ha ricevuto un
secondo funerale che ha previsto la traslazione e la ricognizione delle
spoglie: un rituale che a Roma la "Legge delle 12 tavole" limita ai casi di
morte in guerra o all'estero, evidentemente per circoscrivere un uso più
ampio, legato alla volontà aristocratica di reiterare la cerimonia funebre
in quanto strumento della manifestazione del fasto gentilizio.
Il corredo contiene le armi, gli strumenti del sacrificio rappresentati
da ascia e coltello, e un servizio di vasi di importazione: un piatto fenicio,
un aryballos globulare corinzio, un' oinochoe pitecusana e, soprattutto, i
grandi recipienti di bronzo, tra i quali, oltre al calderone e alla situla già
ricordati, una grande anfora biconica di produzione etrusca.
Tuttavia, l'elemento di maggiore rilievo è costituito da una coppia di
maschere equine in lamina di bronzo, decorate con motivi figurati a sbal-
zo, che bardavano i cavalli del carro del principe, forse in occasione della
cerimonia funebre (TAV. 3-3 online). Esse proteggevano integralmente la
testa degli animali, risparmiando la zona degli occhi e imitando l'artico-
lazione delle narici. Le scene raffigurate sono ispirate al mondo della
caccia: l'esemplare meglio conservato presenta, su una faccia, un arciere
che scocca la freccia contro un leone che sta per assalire una capra;
sull'altra figurano una coppia di cinghiali affrontati e un cervo in corsa.
Le maschere sono opera di un artigiano di origine orientale trapiantato
in Etruria: il luogo più probabile di produzione è Vetulonia, in Etruria
settentrionale, da cui proviene anche la situla in bronzo.
Nella necropoli orientale in località Sant' Antonio è invece la figura
femminile a essere investita di un ruolo principesco: celebrata come
perno della continuità della famiglia e della trasmissione ereditaria, riflet-
te un modello ideologico che, come si vedrà, ricorre più ampiamente nel
territorio regionale.
L'esempio più chiaro è rappresentato dalla tomba 2465 a inumazio-
ne, databile alla fine dell'vm secolo a.C. (FIG. 3.6).
La sepoltura, a cassa di lastroni, probabilmente sormontata da un

42
3. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI (FINE VIII-VII SEC. A.C.)

FIGURA3.6
Pontecagnano: la tomba 2465

-0,40

Legenda: 1. diadema(?) in lamina d'oro; 2. orec-


chini d'argento e ambra; 3-4. fibule; 6. collana;
8. bracciale in argento dorato; 10. collana in argen-
to e ambra; 14A-B. bracciali cli bronzo; 15. lebete;
16. oinochoe; 17. bacino; 18. phiale-, 19A-B. alari; 20-
22. frammenti di carro; 23. coltelli; 24. scure;
25. fuso; 26. spiedi; 27. olle; 28-30 skyphoi; 3IA-B.
bracciali di bronzo; 32. scodellone con anse a
cavallini; 33A-B fibule a disco ad arco rivestito;
34. decorazioni metalliche della veste.

43
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

tumulo, costituisce l'origine di un ampio gruppo tombale, configuran-


dosi come quella di un capostipite: è stato ipotizzato che il tumulo che
la ricopre abbia dapprima compreso alcune deposizioni infantili per
ampliarsi poi a ospitare altre sepolture, in maggioranza di donne e
bambini, continuando a essere utilizzato fino alla prima metà del VI se-
colo a.C.
Le tombe maschili si collocano in posizione marginale: esse sono
caratterizzate dall'attributo delle armi, ma non da prestigiosi indicatori
di funzione come nella necropoli occidentale.
A lato del gruppo della tomba 2465 si sviluppa un sepolcreto infanti-
le, organizzato intorno a un recinto che, nella prima fase d'uso, accoglie
le tombe di due bambine ornate da una ricca veste funebre. Il recinto è
ben presto ampliato e intorno continuano a disporsi le sepolture fino alla
prima metà del v secolo a.C.; esso è sicuramente sede di un culto funera-
rio che prosegue fino al termine dell'uso della necropoli: l'ultima azione
è costituita dalla deposizione di un vasetto parzialmente dipinto (olpe)
all'interno di un canale di offerte praticato in corrispondenza della
coppia di sepolture più antiche.
La defunta seppellita nella tomba 2465 è rappresentata come una dea
o una regina: indossa una veste sontuosa, ricoperta nella metà inferiore
da una maglia di decorazioni di bronzo. Sul corpo reca un pettorale e
sulla fronte un diadema, entrambi in lamina d'oro, alle braccia e alle
orecchie porta bracciali e orecchini in argento, al collo, infine, collane in
argento o con pendagli figurati d'ambra (TAV. 3.4 online). Ma, soprattut-
to, è investita dei segni del potere che nella necropoli occidentale tocca-
no agli uomini: il carro, gli strumenti del sacrificio e del focolare, il servi-
zio per il vino e i grandi vasi per derrate.
La principessa si colloca, dunque, al vertice di un gruppo che vive
per più generazioni e, a livello funerario, valorizza il significato delle
linee di discendenza attraverso la centralità dell'elemento infantile, cui è
conferito nella necropoli un rilievo cultuale. Attraverso tale strategia il
gruppo costruisce la tradizione delle proprie origini, rivendica una legit-
timità in competizione con le altre identità aristocratiche messe in campo
in settori diversi della necropoli.
Ma su quale base materiale si fonda il suo potere?
Un indizio interessante può essere costituito dalla particolare
concentrazione nell'area funeraria di ceramica di impasto di importazio-
ne etrusco-laziale che non trova confronti nel resto della necropoli: essa
lascia trapelare l'esistenza di rapporti privilegiati intrattenuti dal gruppo
titolare con élites etrusco-meridionali, nel momento in cui l'insediamen-
to consolida il proprio ruolo di crocevia obbligato sulla rotta che condu-
ce verso Cuma e l'Etruria.
Un diverso sistema di rapporti rivela un settore funebre situato
immediatamente a sud di quello finora descritto: esso si articola in due
nuclei, il primo dei quali imperniato su una sepoltura maschile ricoperta

44
3. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI (FINE VIII-VII SEC. A.C.)

da un tumulo (t. 5928), che presenta una tipologia confrontabile con


quella delle tombe 926 e 928.
Per i caratteri della cultura materiale l'appezzamento può essere
attribuito a una componente allogena ascrivibile alla cultura irpina di
Oliveto Citra-Cairano, integrata all'interno della compagine etrusca in
posizione non subalterna: un fenomeno che si connette al contempora-
neo strutturarsi del popolamento nell'immediato retroterra collinare di
Pontecagnano a opera di gruppi di cultura affine che, attratti nell'orbita
della città etrusca, si insediano nella media Valle del Picentino a Monte-
corvino Rovella e Santa Maria a Vico e, alle porte dell'insediamento, nel
sito già ricordato di Monte Vetrano.
Ma il rapporto con il mondo irpino si inserisce in una più ampia
dinamica di mobilità e di scambi lungo la direttrice segnata dai corsi del
Sele e dell'Ofanto, attraverso il passaggio obbligato della Sella di Conza:
questo sistema è mediato dall'importante centro di Eboli, situato allo
sbocco del Sele nella piana costiera di Paestum, dove è documentata una
precoce importazione di prodotti di prestigio dall'area etrusca e dai
centri greci del Golfo di Napoli.
Indicativa della rete di scambi su lunga distanza allacciata da Ponte-
cagnano con il mondo indigeno è una tomba femminile di tipo principe-
sco del secondo quarto del VII secolo (t. 66) rinvenuta a Bisaccia, vicino a
Lacedonia, al confine con la Basilicata e la Puglia (TAV. 3.5 online). La
defunta reca una veste ricchissima, letteralmente ricoperta di decorazio-
ni di bronzo, e indossa un apparato fastoso di ornamenti (TAV. 3.6 on
line), ma, soprattutto, è caratterizzata da indicatori di prestigio di tipo
principesco: gli spiedi di ferro e un servizio di vasi di bronzo importati
da Pontecagnano: un calderone, due bacini e una phiale.
Il contatto tra élites, oltre alla circolazione di beni e alla mobilità
degli uomini, alimenta la diffusione dei modelli ideologici, favorisce i
processi di comunicazione e interazione culturale.
Rispetto a Pontecagnano la documentazione disponibile per Capua
è meno consistente e, tuttavia, è possibile delineare il funzionamento di
non dissimili e, probabilmente, più precoci dinamiche di sviluppo. L'ele-
mento più indicativo è costituito dall'esaurimento delle necropoli
dell'età del Ferro ubicate a nord-ovest dell'insediamento, verso il Voltur-
no, in rapporto a un antico nucleo di abitato, mentre continuano a vive-
re i sepolcreti situati sul versante occidentale della città di epoca storica:
in località Fornaci, tra l'anfiteatro romano e l'Appia, dove si sviluppa la
grande necropoli urbana utilizzata fino al IV secolo a.C., e, più a sud, in
località Quattordici Ponti. Come nel caso di Pontecagnano, la ristruttu-
razione delle necropoli comporta lo sfruttamento delle aree a ridosso
dell'abitato e può essere letta in funzione del consolidamento unitario
dell'insediamento.
L'esame delle sepolture lascia ugualmente trapelare la precoce

45
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

formazione di un ceto dominante stabile, grazie ad alcuni corredi


eminenti già databili nel terzo quarto dell'vm secolo a.C. In essi ricorro-
no i tipici indicatori di prestigio connessi alla celebrazione di un ruolo
aristocratico: ad esempio, le armi e gli strumenti del sacrificio (tt. 865 e
1688) oppure una coppia di morsi equini (tt. 573,465 e 1688) che allude al
possesso degli animali e, forse, del carro.
Alla sfera dell'allevamento equino e della doma dell'animale rinvia
anche una coppa su piede di grandi dimensioni, importata da una regio-
ne indigena del Lazio nord-orientale (Agro Falisco), deposta in una ricca
tomba femminile (t. 697): essa presenta sul bordo il gruppo plastico di un
eroe che tiene per i finimenti due cavalli, inquadrato tra due piattelli desti-
nati ad accogliere offerte durante il rituale funebre (TAV. 3.7 online).
Tuttavia, il contesto più interessante è costituito dalla tomba 722,
un'eccezionale sepoltura femminile, di cui è stato ultimamente puntua-
lizzato l'inquadramento: essa reca, tra l'altro, una coppa d'argento deco-
rata a scaglie, che costituisce un elemento di corredo ricorrente nelle
tombe principesche, da Cuma a Cerveteri e Praeneste nel Lazio.

3.3
La strutturazione della mesogeia:
Calatia, Nola, Avella

Il consolidamento di Cuma e, soprattutto, di Capua determina la forma-


zione di realtà egemoni nella piana del Volturno. Questo processo emar-
gina la componente indigena da un territorio fertilissimo nel quale,
secondo la tradizione antica, si possono produrre tre raccolti in un anno,
ma, al tempo stesso, ne innesca le dinamiche di reazione che si traduco-
no nello sviluppo di insediamenti di carattere accentrato ai margini
orientali della pianura.
Alla fine dell'vm secolo sorgono gli abitati di Calatia, ubicata un
chilometro circa a ovest dell'attuale Maddaloni, e di Nola e Avella che,
invece, occupano la stessa sede dei centri moderni: come Suessula, questi
insediamenti si dispongono allo sbocco delle valli fluviali che conduco-
no verso il Sannio e la Puglia settentrionale, fungendo da corridoi di
mobilità lungo i quali circolano precocemente merci e individui.
Che il controllo degli itinerari costituisca una delle ragioni delle scel-
te insediative è comprovato dal fatto che, come nel caso di Capua, anche
Calatia e Suessula inglobano importanti direttrici viarie regionali: Calatia
la via Appia e Suessula il percorso ripreso in età romana dalla via Annia-
Popilia che da Capua conduceva a Reggio Calabria.
Il processo di osmosi è comprovato dalla formazione di una comune
cultura materiale che integra i due versanti appenninici, caratterizzando,
oltre quelli campani, anche i siti sannitici di Caudium (Montesarchio),
Saticula (Sant' Agata dei Goti) e Benevento.
I centri della pianura interna (mesogeia) sono accomunati dall'ado-
3. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI (FINE VIII-VII SEC. A.C.)

zione di criteri di pianificazione che proseguono inalterati fino ali' età


romana, con le necropoli disposte immediatamente all'esterno del peri-
metro urbano, in corrispondenza di antichi tratti stradali.
La stabilità degli assetti organizzativi evidenzia la complessiva incisi-
vità della costruzione politica e in questa prospettiva la forza di attrazio-
ne delle dinamiche poleogenetiche può, ad esempio, spiegare la fine
della comunità di Gricignano rispetto al contemporaneo sviluppo di
Calatia.
Occorre però sottolineare anche la profonda articolazione che si
registra nella gerarchia insediativa attraverso le diverse dimensioni degli
abitati: tra Nola, ampia circa 45 ettari, che la tradizione antica avvicina a
Capua e privilegia come una vera capitale, e Avella e Calatia che misura-
no rispettivamente circa 20 e 16 ettari.
I dati finora disponibili per Nola non consentono di sviluppare
un'analisi dettagliata della fase più antica dell'insediamento che, da alcu-
ni indizi, si può supporre risalga già all'età del Ferro. Maggiori informa-
zioni si posseggono per Avella e Calatia: i due centri sono caratterizzati
da un impianto molto simile che prevede l'organizzazione di due aree di
necropoli a est e a ovest del perimetro urbano.
Per Avella uno studio recente sull'organizzazione delle aree sepol-
crali ha ricostruito l'immagine di una comunità articolata per clan paren-
telari in possesso di appezzamenti funebri distinti (FIG. 3.7).
Al loro interno vige una suddivisione per generi basata sulla diffe-
renziazione del costume personale e sui tradizionali indicatori di funzio-
ne: le armi per gli uomini, gli strumenti per tessitura e filatura per le
donne.
Nella prima fase di vita non è finora attestata nelle necropoli la
presenza di figure di livello principesco, anche se non mancano gli indi-
zi di una comunità ormai articolata: è solo al passaggio tra VII e VI secolo
che, all'interno di gruppi privilegiati, emerge un più ristretto vertice
sociale, segnalato da sepolture contraddistinte dal lusso funerario e
dall'esibizione di segni di prestigio.
L'élite annovera ora figure maschili come il defunto, forse incinera-
to, della tomba 144, provvisto di carro, o il guerriero della tomba 169, con
spada di tipo piceno e servizio sacrificale di spiedi e coltello; ma in essa
rientrano anche le donne, di cui è celebrata la centralità nel sistema fami-
liare, nella ritualità domestica e nel sistema di relazioni intessute dalla
comunità verso l'esterno.
Emblematica è la tomba 1/r995 B, nel cui ricco corredo un servizio di
vasi di bronzo di importazione greca ed etrusca connesso alla sfera del
banchetto (un bacino, un'oinochoe o un'hydria, un in/undibulum per
colare il vino) si associa agli spiedi e al coltello e, soprattutto, a un'ecce-
zionale tazza dipinta, recante un'ansa a testa di toro, evidentemente di
carattere cerimoniale (TAV. 3.8 online).
Figure di rango principesco emergono precocemente, invece, a Cala-

47
3. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI (FINE VIII-VII SEC. A.C.)

FIGURA 3.8
Calatia: estensione dell'abitato antico con distribuzione delle aree di necropoli

tia (FIG. 3.8). Anche in questo caso si notano raggruppamenti di tombe


eminenti, pertinenti a segmenti sociali privilegiati. Le sepolture si caratte-
rizzano per le dimensioni della fossa, la ricchezza del corredo e, talora, la
presenza di un letto funebre. Un'aggregazione eccezionale è costituita
dalle tombe 190, 194 e 201, scoperte nel sepolcreto occidentale e databili
nell'ultimo venticinquennio dell'vm secolo a.C. Esse fanno parte di uno
stesso lotto: la prima è la tomba di un adolescente, le altre sono riferibili
alla deposizione di un uomo e di una donna, accostate a formare una
coppia.
I defunti sono deposti con i loro indicatori di funzione, secondo la
tradizionale suddivisione per generi e classe di età. L'adulto della tomba
194 indossa la spada ed è sepolto con l'eccezionale attributo del carro; il
giovane della tomba 190 è armato di lancia; la principessa della tomba 201
presenta un elemento connesso al lavoro della filatura ma, soprattutto, è
dotata di un costume sontuoso, costituito da un velo e da una veste
trapunta nella parte inferiore di vaghi d'ambra; i capelli sono raccolti in
fermatrecce di elettro, mentre collane, spille e gioielli in metallo prezio-
so le ricoprono il petto.
Le sepolture sono ulteriormente contraddistinte dagli elementi del
focolare: gli spiedi e, nel caso delle tombe 190 e 194, la molla per attizza-
re i carboni; ad essi si aggiungono bacini e lebeti di bronzo connessi alla
cottura delle carni e gli strumenti del sacrificio, costituiti dal coltello e,

49
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 3.9
Calatia, tomba 194: il corredo ceramico di tipo greco

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nelle tombe 190 e 194, anche dall'ascia e dallo scalpello. A una specifica
funzione cerimoniale attribuita alla principessa potrebbe, forse, riman-
dare un nucleo resinoso pertinente a una sostanza aromatica simile all'in-
censo o alla mirra, rinvenuto nella sua tomba.
Resti di animali, ovini e maialini domestici, e grandi vasi da derrate
testimoniano la dedica di offerte alimentari, di tipo cruento e incruento.
Nei corredi risalta il servizio per il consumo del vino, formato da
vasi di bronzo e di argilla figulina con decorazione geometrica: i primi
sono costituiti da un' oinochoe nella tomba 190 e da due phialai per liba-
gioni nelle tombe 194 e 201; gli altri formano raffinati servizi da simposio
con esemplari importati da Corinto e, soprattutto, da Ischia o Cuma
(FIG. 3.9).

50
3. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI (FINE VIII-VII SEC. A.C.)

Merita di essere citato un cratere decorato con figure di uccelli, rinve-


nuto nella tomba 194 (TAV. 3.9 on line): il cratere rappresenta, infatti, la
forma emblematica del simposio, poiché in esso si stempera il vino che, al
modo greco, non deve essere bevuto puro; il suo possesso evoca la consa-
pevole ricezione di un modello culturale di cui si avverte il prestigio, cari-
co di valore ideologico: non a caso un cratere pitecusano ricorre contem-
poraneamente anche nella tomba principesca 168 di San Valentino Torio
nella Valle del Sarno, a evidenziare l'intensità dei rapporti istituiti tra il
mondo indigeno e l'ambiente greco coloniale (TAV. 3,10 online).
Un'ulteriore spia dell'ampiezza delle relazioni del nucleo principesco
di Calatia è costituita dalla presenza nella tomba 190 di un'olla con deco-
razione "a tenda" importata dall'area ofantina, molto simile a due esem-
plari rinvenuti nelle sepolture principesche 926 e 928 di Pontecagnano.
A un diverso gruppo familiare e a un momento più recente appartie-
ne la tomba maschile 285, databile all'inizio del VI secolo a.C.: la sepoltu-
ra è a fossa ma è pertinente a un incinerato, i cui resti sono raccolti,
secondo il rituale di matrice euboica, in un bacino di bronzo collocato in
posizione enfatica al centro del piano di deposizione. Il corredo non
accompagna il morto sul rogo, ma è disposto intorno al bacino di bron-
zo in occasione della cerimonia funebre: anche in questo caso risalta il
prestigioso servizio da simposio, con vasi di brorizo e un'anfora vinaria
di produzione etrusca, ceramiche figurate di Corinto e recipienti in
bucchero di tipo campano. All'esterno della tomba sono stati rinvenuti
resti ossei di ovini, pertinenti a un sacrificio o un'offerta.

3.4
La Valle del Sarno
Non dissimili manifestazioni di un'aristocrazia principesca sono docu-
mentate nella Valle del Sarno.
Nel CAP. 2 si è già ricordato come il territorio riveli una precoce artico-
lazione delle funzioni insediative imperniate sul sito costiero di Pompei,
l'insediamento produttivo di Poggiomarino e i villaggi a spiccata vocazio-
ne agricola della piana. Questa organizzazione diffusa, che lo stato attuale
delle ricerche consente solo di intravedere, non conduce a una forma
accentrata di controllo politico, ma sembra, comunque, implicare un livel-
lo sviluppato delle dinamiche produttive e della gestione delle risorse, che
consente alle comunità indigene di interagire con i coloni greci per il rifor-
nimento dei beni primari di cui hanno bisogno nella fase del loro iniziale
assestamento. Ciò è comprovato dall'arrivo nella Valle del Sarno di una
cospicua quantità di ceramica fine da simposio prodotta a Pitecusa o
Cuma e, in particolare, dal ricorso nelle sepolture più eminenti di prodot-
ti di qualità eccezionale.
Si è già citato il cratere della tomba 168 di San Valentino Torio: esso
fa parte del corredo di una sepoltura femminile situata al centro di un

51
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 3.10
San Marzano, tomba 928: la decorazione dell'olla

settore di sepolture denotate dalla presenza del canale perimetrale; l' as-
sociazione del cratere con una tomba femminile è anomala nel mondo
greco, dove la donna libera non partecipa al simposio, ma non nel
mondo etrusco e laziale, dove l'elemento femminile può essere integrato
nel convivium in funzione non subalterna.
Ancora più indicativo è il rinvenimento nella tomba femminile 928 di
San Marzano, databile verso il 730 a.C., di un'olla in argilla figulina
dipinta con motivi figurati di tipo greco: uccelli, l'"albero della vita" tra
due capri rampanti, nonché una figura femminile con le braccia solleva-
te (FIG. 3.10).
Il vaso è un ibrido, in quanto la forma riprende un tipo ceramico
locale, ma la decorazione deve essere attribuita a un artigiano di Pitecu-
sa: esso costituisce il prodotto di una specifica committenza, elaborato in
funzione della sua destinazione alla comunità indigena.

52
3. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI (FINE VIII-VII SEC. A.C.)

È all'interno di tali relazioni privilegiate che si consolida un'aristo-


crazia che controlla le risorse di un fertile paesaggio agricolo: gli scavi
hanno messo in luce numerose sepolture di ambo i generi contraddistin-
te da corredi fastosi sia per la ricchezza quantitativa, evidente soprattut-
to nelle tombe femminili, sia per l'esibizione di indicatori di rango che
omologano le élites locali a quelle dei centri etruschi e della mesogeia.
Come nelle tombe principesche di Calatia, il ceto dominante si deno-
ta mediante la valorizzazione dei tradizionali parametri di funzione: gli
uomini si rappresentano come guerrieri attraverso l'attributo della spada
ed evocano il possesso del carro attraverso l'esibizione di una coppia di
morsi equini (ad es. tt. 630 e 922); le donne esibiscono gli strumenti per la
tessitura e indossano un costume ricco di gioielli, con la veste stretta da
un cinturone di bronzo e il velo fissato dal diadema (ad es. tt. 168 e 918).
Al tempo stesso i corredi esibiscono i grandi vasi da derrate, simbolo di
una ricchezza che si fonda sulla capacità di accumulazione, e, soprattut-
to, ostentano il servizio dei principi: strumenti per il sacrificio e il taglio
delle carni (scuri, asce e coltelli) o per arrostirle e lessarle, come gli spie-
di e i bacini di bronzo; vasi per libare e bere, quali le phialai in bronzo e
le ceramiche fini importate da Corinto o dalle colonie greche del Golfo.
In questo sistema alle donne può essere riservata una funzione sacer-
dotale in rapporto al rituale del sacrificio: ciò è provato dal ricorso in
alcune tombe femminili di un tipo peculiare di scure con peduncolo, che
può essere realizzato in bronzo o addirittura in piombo, con un'eviden-
te valenza simbolica.
L'espansione di questa realtà di villaggi dura finché è alimentata
dalla domanda dei Greci, per esaurirsi, a causa della debole coesione
politica, quando questa si ridimensiona poiché i coloni hanno organizza-
to il proprio territorio agricolo.
Ci vorrà ancora un secolo perché anche in questo settore regionale si
affermi l'istituto della città.

53
4

La Campania delle città


(VI sec. a.C.)

4.1
Il processo di urbanizzazione:
pianificazione degli spazi e nuovi assetti edilizi

All'inizio del VI secolo a.C. nel territorio regionale si verifica una profonda
trasformazione dei modelli insediativi: una decisiva evoluzione in cui
cuhninano le dinamiche poleogenetiche avviate a partire dalla fine dell'VIII
secolo a.C.
Questo salto di qualità consiste nell'urbanizzazione degli insedia-
menti: gli abitati sono interessati da un processo di pianificazione funzio-
nale che comporta la costruzione degli impianti stradali, la distinzione
dei quartieri di abitazione da quelli produttivi e, soprattutto, la definizio-
ne di spazi pubblici, in particolar modo di carattere sacro, dove per la
prima volta è rappresentata la comunità nel suo insieme, in un'identità
politica più ampia di quella gentilizia.
Tale processo non investe soltanto la Campania, ma si attua contem-
poraneamente nelle regioni a più avanzato livello di sviluppo dell'Italia
antica: dall'Etruria al Lazio e a Roma, dove regna la dinastia etrusca dei
T arquini, alla Magna Grecia dove, solo per citare un esempio regionale,
all'inizio del VI secolo, sulla riva sinistra del Sele, è fondata Poseidonia:
l'urbanizzazione segna un progresso strutturale che si consolida attraver-
so l'interazione tra comunità dotate di strutture produttive e forme di
organizzazione sociale non dissimili, fondate sul controllo delle aristo-
crazie.
L'esempio più significativo dei nuovi assetti urbani è costituito dal
quartiere ultimamente messo in luce a Capua, nell'area del cosiddetto
"Siepone", all'estremità nord-orientale della città antica (FIG. 4.1).
Lo scavo ha portato alla scoperta di un settore periferico dell'abitato
arcaico dotato di un impianto regolare organizzato su strade che si incro-
ciano in senso non ortogonale: lungo di esse si dispongono case di forma
rettangolare, di solito a tre ambienti allineati, di cui uno recante il foco-
lare. Le case erano dotate di un'area scoperta con il pozzo e di sistemi di
raccolta delle acque pluviali; esse presentavano un elevato in mattoni

55
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA4.1
Capua: il quartiere arcaico del Siepone

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crudi e fondazioni a doppio paramento di tufelli o in blocchi squadrati


di tufo, secondo una tecnica costruttiva che caratterizza anche la fase
arcaica delle abitazioni di Fratte (Salerno). Il quartiere si impianta all'ini-
zio del VI secolo in un'area precedentemente occupata da strutture in
legno e continua a vivere fino al primo quarto del v secolo: l'abbandono
può essere connesso alla grande crisi della città arcaica che sarà descritta
nel c__apitolo successivo.
E a questo proposito significativo che una stessa escursione cronolo-
gica presenti un'area artigianale scoperta negli anni Ottanta immediata-
mente a est, nella zona del cosiddetto "Alveo Marotta".
La scoperta del quartiere del Siepone consente di ricostruire in
estensione gli orientamenti degli assi stradali su cui si organizza un setto-
re della città arcaica: essi divergono da quelli conservati nel reticolo stra-
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

dale dell'abitato moderno di Santa Maria Capua Vetere, smentendo


l'ipotesi, fortemente radicata nella tradizione degli studi su Capua, che
in esso si fosse conservata traccia di un impianto etrusco orientato in
senso astronomico.
Mancano nel panorama campano testimonianze di forme altrettanto
precoci di pianificazione di quartieri abitativi, risalendo gli altri esempi
disponibili piuttosto alla fine del VI secolo: questo dato, se non dovuto a
un difetto di documentazione, potrebbe indicare il primato fin da ades-
so detenuto dalla grande città sul Volturno nell'ambito regionale.

4.2
Il sistema del sacro

Un indicatore privilegiato per comprendere il salto di qualità innescato


dal processo di urbanizzazione è costituito dalla monumentalizzazione
dei santuari.
La gestione del sacro assume una dimensione pubblica, definitiva-
mente separata dalla sfera dei culti familiari delle singole gentes: la nuova
pianificazione urbana riserva aree apposite alla celebrazione di culti che
marcano il paesaggio della città e del suo territorio, esplicitando il
complesso sistema di funzioni in cui consiste la costruzione dello spazio
e del calendario della comunità politica. Nella stessa prospettiva è neces-
sario ricordare che il santuario assume un'essenziale funzione di aggre-
gazione anche per comunità di carattere territoriale che non conoscono
un'organizzazione di tipo urbano: su di esse si tornerà più avanti (PAR.
4.7.6).
Le aree sacre divengono il luogo privilegiato dell'investimento
pubblico poiché attraverso la costruzione di edifici di culto, il fasto dei
loro apparati decorativi e monumentali e la ricchezza delle offerte votive
si manifesta il prestigio della comunità nel suo insieme e la sua proiezio-
ne verso l'esterno.

4.3
L'architettura sacra
In Campania settentrionale si sviluppa precocemente un'architettura
sacra di tipo monumentale: i centri propulsori sono Cuma e Capua, lega-
te da un'interazione produttiva in cui non è possibile riconoscere un
ruolo dominante, che travalica i confini etnici.
La documentazione archeologica è costituita quasi esclusivamente
dai resti molto frammentari dei tetti, montati su templi o sacelli costruiti
alla maniera etrusca, con un elevato in mattoni e colonne e trabeazione
prevalentemente lignee: degli edifici è quasi sempre impossibile rico-
struire la planimetria, ma il carattere standardizzato della produzione
delle terrecotte architettoniche, ottenute mediante l'ausilio di matrici,

57
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

consente di riconoscere sistemi di copertura messi in opera da officine


specializzate, in grado di operare su scala regionale.
Il sistema "campano", anche se ancora in fase sperimentale, può
dirsi costituito già nella prima metà del VI secolo: a esso possono riferirsi
antefisse a testa femminile di tradizione dedalica o a palmetta diritta
incorniciata da un nimbo di foglie, rinvenute a Cuma, Capua e, significa-
tivamente, nel santuario della ninfa Marica alle foci del Garigliano, in
territorio ausone.
In quest'ultimo contesto è stata proposta una ricostruzione di un
primo tetto del tempio che prevedeva antefisse a palmetta e a testa
femminile alternate sui lati lunghi e il vano frontonale aperto, sormonta-
to da un acroterio a forma di torello, con la testata delle travi di sostegno
protetta da lastre recanti una gorgone in corsa (FIG. 4.2).
Intorno alla metà del VI secolo il sistema di rivestimento assume un
apparato "canonico": esso si compone di tegole di gronda sporgenti dal
filo del tetto, con la faccia inferiore dipinta per essere vista dal basso,
grondaie (sime) sugli spioventi del frontone, lastre di rivestimento appli-
cate alla trabeazione lignea, con cornici pendule traforate, fatte di catene
di palmette e fiori di loto. Sime e lastre di rivestimento recano una deco-
razione dipinta a treccia semplice o doppia. In questo sistema le antefis-
se presentano, entro il nimbo di foglie, una palmetta pendula, una testa
femminile o di gorgone (TAV. 4.1 online).
Nell'ultimo quarto del VI secolo si registra un ulteriore rinnovamen-
to del repertorio decorativo, con lo sviluppo di nuovi tipi di antefissa a
testa di gorgone e a testa femminile, ora racchiusa entro un fiore di loto
e coronata da una cornice di foglie; i prototipi delle antefisse sono anche
utilizzati per decorare a rilievo le sime e le lastre.
Nella seconda metà del VI secolo, il tipo di tetto elaborato a Cuma e
Capua si diffonde nell'intero territorio regionale, evidenziando l'egemo-
nia raggiunta dai due grandi centri urbani.
Il significato di tale fenomeno diviene più chiaro se si ricorda che la
ricezione dei modelli di copertura e decorazione dei tetti implica anche
l'acquisizione dei sistemi architettonici su cui applicarli: ciò significa
riconoscere la superiorità di un modello imposto dall'esterno e adottar-
lo per il prestigio che conferisce a una committenza, come quella templa-
re, cui è affidata l'immagine pubblica delle singole comunità.
Nel territorio della Campania settentrionale l'adozione del sistema
architettonico di tipo cumano-capuano è attestata a Suessula e Nola e
nelle aree indigene intorno alla piana del Volturno: nel già ricordato
santuario di Marica e a Cales nel distretto ausone, a Teano nel territorio
della tribù italica dei Sidicini, a Caudium (Montesarchio) sul versante
sannitico; più a sud è documentata a Pompei e in area sorrentina fino a
Fratte e Pontecagnano nell'Agro Picentino, delineando il consolidarsi di
un mondo culturalmente omogeneo che affida la propria visibilità agli
stessi modelli monumentali.
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

FIGURA 4.2
Minturno, santuario di Marica: ricostruzione del tetto della prima fase del tempio

D Bianco ~ 13° Pendenza falde


• Nero
o s 2.0cm
C'.J Rosso

Il sistema di rivestimento associato alle antefisse con testa femminile


entro il fiore di loto non oltrepassa i confini regionali; invece, quello più
antico, connesso ai tipi entro nimbo, si propaga verso nord, lungo un
circuito costiero molto ampio, grazie alla circolazione di maestranze
specializzate: è attestato nel Lazio meridionale, in un santuario sul
promontorio del Circeo e nel tempio di Mater Matuta a Satrico nella
pianura pontina, e a Volterra, in Etruria settentrionale, dove è messo in
opera in un edificio templare sull'acropoli.
Più in generale, sotto l'influenza del sistema campano si rinnova
profondamente il repertorio delle terrecotte architettoniche etrusche nel
quale, alla fine del VI secolo, si introduce una nuova tradizione decorati-
va dei tetti, esemplificata dai templi B di Pyrgi, nel territorio di Cervete-
ri, e in località Portonaccio a Veio.
Le antefisse entro il nimbo di foglie (o le loro matrici) circolano anche
a sud del territorio campano, ma, stando alla documentazione finora
disponibile, estrapolate dal più ampio sistema di rivestimento: via mare,
esse sono importate a Velia in Magna Grecia e a Imera sulla costa setten-
trionale della Sicilia; lungo un itinerario interno, giungono nelle aree
contigue del Melfese in Basilicata e della Daunia in Puglia settentrionale.
In tutti questi contesti le antefisse sono recepite nel repertorio locale e
utilizzate anche nella decorazione delle case.

4.4
La città come sistema di consumo, produzione e scambio

Nei paragrafi precedenti si sono descritte alcune macroscopiche manife-


stazioni che illustrano il salto di qualità indotto dal processo di urbaniz-
zazione.
Si può dire che la città consista in un grandioso sistema di consumo
pubblico e privato, volto alla riproduzione delle sue molteplici compo-

59
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

nenti: sia di un tessuto urbanistico, abitativo e monumentale, che richie-


de una continua manutenzione, sia di una popolazione crescente, attira-
ta dalle opportunità offerte da più avanzate condizioni di vita e lavoro.
Il consolidamento del sistema urbano determina un'espansione della
domanda e la conseguente accelerazione delle dinamiche produttive, in
cui acquistano rilievo le attività artigianali e il commercio. Questo
processo, a sua volta, mette in crisi il tradizionale assetto gentilizio fonda-
to essenzialmente sul possesso di un ampio ager indiviso da parte delle
famiglie dominanti, favorendo la formazione di nuove forze sociali: da
un lato, un'aristocrazia cittadina, legata a una ricchezza di natura mobi-
le, in grado di controllare i rinnovati mezzi di produzione e di scambio,
dall'altro, un ampio strato subalterno inurbato che fornisce l'indispensa-
bile forza lavoro, semplice manodopera e maestranze qualificate.
In questa dinamica si awia una manifattura specializzata su larga
scala come quella del bucchero, la tipica ceramica etrusca da mensa,
contraddistinta da un corpo nero e brillante, prodotta per una commit-
tenza allargata di carattere intermedio: dopo una fase, alla fine del VII
secolo, in cui giungono in Campania prodotti importati dall'Etruria
meridionale, già all'inizio del VI secolo nei principali centri urbani si
installano officine autonome in seguito al trasferimento di artigiani
dall'Italia centrale; dal territorio campano l'impianto di officine di
bucchero si propaga, poi, nella seconda metà dello stesso secolo anche
nei limitrofi territori sannitici (FIG. 4.3).
Un non dissimile carattere di produzione estensiva, anche se meno
definibile per difetto di studi specifici, deve attribuirsi alla ceramica di
uso comune, legata alla conservazione degli alimenti e alla preparazione
dei cibi: si tratta di un'evidenza molto rilevante dal punto di vista quan-
titativo e culturale perché connessa alla sfera delle attività quotidiane
come, ad esempio, quelle della cucina.
Dai pochi studi finora dedicati emerge una sostanziale omogeneità
tipologica che interessa l'intero territorio regionale, dai centri greci della
costa a quelli campani della pianura fino a Pontecagnano: ne emerge il
quadro di una cultura materiale condivisa in cui si comprende meglio la
diffusione delle produzioni artigianali di lusso o la circolazione di un
sistema standardizzato di terrecotte architettoniche.
Ma l'espansione del sistema città incide profondamente anche
sull'organizzazione del territorio. L'accresciuta capacità di attrazione dei
centri urbani determina una concentrazione di popolazione e, di conse-
guenza, l'aumento del fabbisogno alimentare. Ciò acuisce il bisogno di
territorio coltivabile, soddisfatto ampliando il controllo sulla campagna e
migliorando le tecniche agricole.
La città espande il proprio territorio a danno degli insediamenti
minori, accentrando le funzioni di sfruttamento: l'esempio più evidente
si riscontra nella Valle del Sarno dove, nella prima metà del VI secolo, si
fonda la nuova città di Nocera e si procede alla pianificazione urbanisti-

60
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

FIGURA 4.3
Calatia, tomba 22: il corredo ceramico in bucchero

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ca di Pompei. Il riassetto insediativo comporta l'abbandono del sito di
Poggiomarino e dei villaggi agricoli di Striano, San Marzano e San
Valentino Torio: vale a dire, della rete di popolamento risalente all'età
del Ferro, ora assorbita nei centri principali attraverso un processo di
tipo sinecistico.
Non meno interessanti, anche se ancora parziali, sono i dati relativi
all'organizzazione dello spazio agrario che mostra la messa in opera,
dalla fine del VI secolo, di sistemi estesi di divisione dei suoli attraverso
opere di drenaggio e bonifica quali canali e fossati: allo stesso livello
cronologico risale una grande opera di bonifica avviata, secondo le fonti
storiche, a Cuma dal tiranno Aristodemo, che consisteva in un fossato
circolare tracciato intorno al territorio della città.

61
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

I dati più sistematici relativi al paesaggio agrario provengono da


Suessula e Pontecagnano: in quest'ultimo centro, in particolare, sono
stati distinti - anche attraverso la fotointerpretazione - due sistemi cata-
stali che organizzano il territorio pianeggiante e collinare a monte della
città antica, sfruttando le pendenze naturali dei suoli.
Sia a Suessula che a Pontecagnano, nei punti dove è stata possibile
una verifica di scavo, le partizioni agrarie non si associano a tracce di
fattorie o a piccoli nuclei di tombe e un dato non dissimile sembra rica-
vabile anche dalle ricognizioni di superficie effettuate nel territorio di
Calatia: fermo restando il carattere asistematico e limitato del campione
disponibile, si può supporre che l'occupazione si connetta a un'agricol-
tura estensiva come quella cerealicola, che può essere praticata anche
senza risiedere stabilmente in campagna.
Un capitolo dedicato agli assetti produttivi della città deve, infine,
accennare alla dinamica degli scambi. Un indicatore privilegiato è costi-
tuito dalla circolazione di beni di lusso importati dalla Grecia propria,
dalla Magna Grecia e dall'Etruria o prodotti negli stessi centri campani:
un'evidenza significativa perché, per il suo pregio, sovente conservata in
tomba o come offerta votiva all'interno dei santuari.
Si possono delineare due principali direttrici commerciali che inse-
riscono la Campania in una rete di scambi a lunga distanza, le stesse
lungo le quali si diffonde il sistema delle terrecotte architettoniche: da un
lato, un circuito costiero diretto verso il Lazio e l'Etruria; dall'altro, un
itinerario trasversale che sfrutta le valli fluviali interne e mette in comu-
nicazione l'area campana con le colonie greche della costa ionica: uno
snodo essenziale del primo è costituito da Cuma; terminale privilegiato
dell'altro è Capua.
Lungo queste direttrici giungono nelle città campane preziosi
prodotti dell'artigianato greco come le ceramiche figurate importate
prima da Corinto e poi, dalla metà del VI secolo, da Atene, o gli splendi-
di vasi di bronzo di produzione laconica rinvenuti, con una concentra-
zione priva di confronti, nelle necropoli di Capua; in direzione opposta
giungono dall'Etruria servizi in bronzo da banchetto, composti da vasi e
strumenti, smistati probabilmente da Vulci. In entrambi i sensi si svilup-
pa il commercio del vino, segnalato dall'ampia circolazione di anfore da
trasporto greche ed etrusche che costituivano il carico di navi armate da
mercanti prevalentemente greco-orientali.
Il circuito degli scambi innerva il territorio campano in un'articolata
gerarchia di funzioni: tappe obbligate della rotta verso Cuma sono
dapprima Pontecagnano e, nel corso del VI secolo, soprattutto Fratte e i
centri della penisola sorrentina che, a loro volta, fungono da snodo di
redistribuzione in direzione della Valle del Sarno e della mesogeia nola-
na; Capua, d'altra parte, è il grande terminale che raccoglie e smista i
prodotti verso la pianura campana e il mondo indigeno dell'interno, sia
in direzione del mondo sannitico sia verso la Basilicata e la Daunia; lungo
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

FIGURA 4.4
Capua, tomba in località Quattordici Ponti: ipotesi ricostruttiva del carro

le stesse direttrici interne, attraverso la Valle del Sarno e lo snodo di


Fratte, la città etrusca intreccia rapporti con la colonia greca di Posei-
donia.
In questa dimensione è significativo che le stesse classi di importazio-
ne, greche ed etrusche, ricorrano contemporaneamente a Cuma e
Capua, a evidenziare una cooperazione che costituisce un carattere strut-
turale della Campania antica: è ovvio che tale interazione paritaria raffor-
zi solidarietà e relazioni tra le élites dominanti, dando luogo a un sistema
culturale omogeneo che è stato efficacemente definito "meticcio".
Anche se può concretamente attuarsi attraverso intermediari di
livello subalterno, il sistema degli scambi dipende da un ristretto ceto
aristocratico che conserva il controllo delle attività produttive, a partire
da quella primaria: la circolazione dei beni di lusso continua a investire
un segmento molto ristretto della comunità, restando uno scambio tra
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

principesche manifestano in tomba il loro potere attraverso l'esibizione


di un impressionante lusso funerario. Eloquenti sono, a tale proposito, i
corredi "principeschi" restituiti dalle necropoli di Capua e, in particola-
re, quello di una sepoltura rinvenuta in località Quattordici Ponti, data-
bile nel secondo quarto del VI secolo: la tomba, del tipo a semicamera,
conteneva un carro da guerra di importazione etrusca e un fastoso servi-
zio da banchetto composto da vasi di bronzo prodotti in Grecia e in
Etruria, tra i quali un eccezionale colino con imbuto conformato a testa
maschile, per filtrare il vino. Nel corredo figuravano unguentari prodot-
ti a Corinto e alcuni esemplari modellati a frutto di melograno, proba-
bilmente di fattura rodia. Il rango del morto era segnalato da un'ascia da
parata che è stata interpretata come una vera e propria insegna di co-
mando (FIG. 4.4).
Ma il consolidamento del sistema urbano contribuisce a modificare
vecchi equilibri. In una compagine cittadina che deve rafforzare la
propria unità e coesione politica, l'ostentazione funebre legata a un
prestigio di carattere individuale diviene ben presto inammissibile:
l'ostentazione del fasto si trasferisce alla costruzione dei monumenti
pubblici e nelle offerte votive dei santuari.

4.5
La città come dimensione politica

Se dalla città dei monumenti e della produzione si passa a quella dei


cittadini, il discorso diviene più sfuggente e complesso.
L'affermazione di una comunità più ampia di quella gentilizia non
comporta automaticamente la costruzione di una struttura politica come
la città dei Greci e dei Romani. Non si produce un ceto cittadino di
uomini liberi e perdura l'opposizione tra una ristretta componente che
gode dei pieni diritti politici, perpetuando le tradizionali forme di domi-
nio, e un corpo sociale più esteso e articolato che ne resta escluso, pur
essendo inserito nei rinnovati meccanismi produttivi: ciò determina le
condizioni di un conflitto sociale, non dissimile da quello che a Roma si
determina tra patrizi e plebei, che culminerà nella crisi che travolge il
sistema nel corso del v secolo.
È impossibile ricostruire con precisione i meccanismi politici e isti-
tuzionali connessi alle nuove formazioni urbane; tuttavia, indizi possono
essere ricavati da alcuni nomi di città tramandati dalle fonti e da docu-
menti epigrafici.
Strabone (v, 4, 13) ricorda la città di Marcina, ubicata tra il promon-
torio sorrentino delle Sirene e Poseidonia: in essa gli studiosi identifica-
no concordemente il sito di Fratte presso Salerno. Più a sud, su una colli-
na posta tra i fiumi Bianco e Tanagra, sorge l'antica Volcei (l'odierna
Buccino). I nomi di Marcina e Volcei sono accomunati dal fatto di deriva-
re entrambi da gentilizi etruschi: Marcina corrisponde a un gentilizio
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

formato sul nome individuale Marce (latino: Marcus), mentre Volcei può
essere accostato al nome Velcha di una delle grandi famiglie di Tarqui-
nia: del resto, un etrusco chiamato Vulca è menzionato in un'iscrizione
erotica in lingua greca impressa su un vasetto a vernice nera fabbricato a
Poseidonia, ma deposto in una tomba di Fratte alla fine del VI secolo a.C.
(t. 26 del 1963, cfr. infra par. 4.7.5).
I nomi dei due insediamenti forniscono, quindi, un indizio significa-
tivo sulle dinamiche della loro origine, richiamando il ruolo rilevante
svolto da gruppi gentilizi in rapporto alla loro fondazione: nel caso di
Volcei tale dipendenza è ancora più significativa quanto problematica
perché nella storia dell'insediamento non sussistono altre tracce di un
rapporto con gli Etruschi.
Una dimensione politica in cui la comunità cittadina continua a
convivere con altre forme di aggregazione sociale è documentata nella
Tabula Capuana, un eccezionale testo inciso su una lastra di terracotta, in
cui è riportato il calendario liturgico di Capua. Esso è databile intorno al
470 a.C. e rappresenta il più lungo documento etrusco rinvenuto in
Campania (TAV. 4.2 online). Insieme alle cerimonie, alle divinità cui sono
dedicate e alle prescrizioni sulla natura delle offerte, sono menzionate le
componenti della comunità che partecipano ai riti e alle feste: una è la
collettività denominata Velthur, giustamente ricondotta al nome latino
Volturnum attribuito da Livio (IV, 37, 1) a Capua, ma sono anche ricorda-
ti individui, gruppi familiari e gentilizi, a evidenziare un sistema in cui
l'istituzione cittadina non ha ancora conseguito un definitivo primato.
A questi elementi può essere aggiunta una coppa in bucchero rinve-
nuta nella tomba 107 di Nocera, della seconda metà del VI secolo, che
reca una sigla redatta in un alfabeto locale riconducibile a un dialetto
italico presannita, documentato da altre iscrizioni rinvenute nella stessa
Nocera, a Vico Equense e a Sorrento. Nella sigla si è proposto di ricono-
scere l'abbreviazione di teu(tik-) puterem, letteralmente la "coppa
pubblica", con riferimento al termine istituzionale di touto con cui nel
mondo italico è designata la comunità politica: una comunità in grado,
nel caso nocerino, di rivendicare la propria identità attraverso l'adozione
di un sistema scrittorio con un alfabeto "nazionale".

4.6
Il processo di etruschizzazione

Le iscrizioni di Nocera e della penisola sorrentina rappresentano il feno-


meno di resistenza esercitato da una componente italica rispetto alla
generalizzata ricezione della cultura etrusca che accompagna nel territo-
rio regionale il consolidarsi delle strutture urbane.
Come interpretare la capacità espansiva di questa influenza, visto
che solo Capua e Pontecagnano possono essere propriamente definite
sin dall'inizio comunità etrusche?
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

L'etruschizzazione non è il risultato di una conquista "coloniale" e


neppure di una forma pianificata di egemonia politica: è piuttosto la
conseguenza di un processo di integrazione territoriale di lunga durata,
di cui si sono delineate le tappe sin dall'età del Ferro. Un processo di
osmosi che passa attraverso una rete molteplice e prolungata di mobilità,
relazioni e scambi, in cui l'elemento etrusco funge da elemento catalizza-
tore delle dinamiche di aggregazione e maturazione politica. Tale pro-
cesso giunge a compimento con l'affermazione del modello urbano,
quando si realizzano le condizioni sociali ed economiche di un sistema di
cooperazione che integra i centri del mondo campano: è in questa fase
che nelle città si avvia una produzione artigianale su larga scala, come il
bucchero, che assume il valore di un marker etnico.
L'etruschizzazione, dunque, come portato della città: come segno di
un'integrazione politica che si manifesta nel modo più emblematico nella
diffusione della scrittura etrusca a partire dalla seconda metà del VI seco-
lo. Questa è documentata nell'intero territorio regionale attraverso brevi
iscrizioni tombali, di solito graffite su vasi in bucchero, che attestano il
possesso del vaso secondo la formula dell'oggetto parlante, con il nome
del proprietario (o del dedicante) talora preceduto dal pronome in prima
persona.
Lo studio dei caratteri paleografici dimostra il consolidamento nella
prima metà del VI secolo di una comune tradizione scrittoria ricollegabi-
le al sistema in uso a Cerveteri e Veio, su cui in età tardoarcaica si inne-
stano tendenze differenziate a seconda dei distretti regionali, alimentate
da dinamiche di mobilità e rapporti preferenziali intessuti dai centri
campani con settori diversi dell'Etruria propria: la Campania settentrio-
nale continua a guardare verso !'Etruria meridionale e, in particolare, a
Veio, sviluppando, probabilmente a Capua, una scuola scrittoria locale;
la Campania meridionale, da Stabiae (Castellamare di Stabia) a Ponteca-
gnano, appare più aperta agli apporti di Tarquinia e Vulci in Etruria
centrale: il centro più coinvolto da queste nuove sollecitazioni è Fratte
che, come vedremo, assume dalla seconda metà del VI secolo un ruolo
rilevante nella gestione del commercio marittimo.
Il repertorio onomastico rivela un uso esteso del gentilizio, sovente
associato al prenome all'interno della formula bimembre: esso designa
l'identità della famiglia autonoma e, dunque, marca una condizione
sociale di piena legittimazione politica; non a caso, a Pontecagnano è
riservato agli adulti, mentre ai bambini e agli individui di più incerto
statuto tocca il solo nome individuale.
In questa prospettiva, dove la struttura del nome è significativa del
livello di integrazione politica, è rilevante l'incidenza assunta nel corpus
delle iscrizioni da nomi di origine italica, sovente provvisti di gentilizio:
un dato che illustra l'avvenuta integrazione di un elemento indigeno
acculturato all'interno delle compagini urbane etruschizzate.

66
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

4.7
I centri urbani
4.7.1. CAPUA

La tradizione antica è concorde nel sottolineare il ruolo egemone assun-


to da Capua: la città è una metropolis e Strabone (v, 4, 3) ne fa la capitale
di una lega di 12 città fondate dagli Etruschi nella pianura flegrea.
Del centro preromano si conservano conoscenze frammentarie a causa
della plurisecolare vicenda insediativa della città antica e la sovrapposizio-
ne del centro moderno di Santa Maria Capua Vetere. Alla documentazio-
ne già ricordata del "quartiere" periferico del Siepone e dell'Alveo Marot-
ta si aggiungono i dati relativi ai santuari situati immediatamente ali' esterno
dell'abitato e nel suo territorio: anche in questo caso si dispone di dati non
sistematici, risultato di interventi di emergenza o di scavi eseguiti nel corso
dell'Ottocento allo scopo di recuperare materiali per il mercato antiqua-
rio, senza preoccupazioni scientifiche.
Per quanto riguarda le aree di culto suburbane, il complesso più rile-
vante è quello di Fondo Patturelli sul versante orientale dell'abitato, in
cui un recente intervento della Soprintendenza ha riportato in luce resti
della recinzione perimetrale. Il santuario è stato oggetto già in antico di
una distruzione radicale, ulteriormente aggravata dagli scavi di rapina
ottocenteschi: risulta, pertanto, impossibile delinearne l'organizzazione
e l'articolazione topografica. Da alcune stele votive iscritte in osco, data-
bili tra IV e III secolo a.C., si ricava che l'area sacra era inserita in un lucus:
uno spazio delimitato ritualmente da una cornice di alberi, a ricreare il
paesaggio di un "bosco sacro".
Il santuario ha restituito una quantità eccezionale di terrecotte archi-
tettoniche e di materiali votivi che consentono di delineare la fasi di vita
e i caratteri del culto: in esso dovevano sorgere un tempio, cui sono stati
ultimamente attribuiti almeno quattro sistemi di copertura, e numerosi
sacelli entro un arco cronologico compreso tra lo scorcio del VII e il
primo quarto del v secolo a.C. (TAV. 4.3 online).
Il culto era riferito a una divinità femminile legata alla fertilità e alla
riproduzione, costantemente raffigurata nella produzione votiva come
una madre seduta in trono che allatta uno o più bambini in fasce: il grup-
po è riprodotto, oltre che nella plastica in terracotta, anche in statue in
tufo che riflettono un più elevato e ristretto livello di committenza. Il
tipo della "madre campana" percorre tutta la vita del santuario, giungen-
do fino al II secolo a.C.: la sua fortuna così duratura sottolinea la centra-
lità attribuita alla personalità divina all'interno della pratica religiosa.
Nelle statue più antiche le "madri" recano un solo fanciullo in grembo:
un esemplare, forse ancora di VI secolo, è scolpito con una resa semplifi-
cata del corpo, scandito in volumi sovrapposti: i tratti somatici, appena
sbozzati, sono compressi in un'astratta visione frontale, mentre i seni
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

campiscono come forme geometriche l'alto busto squadrato come un


parallelepipedo; una resa più naturalistica presenta una seconda statua,
databile nella prima metà del v secolo, in cui la dea reca il velo e indossa
un chitone che lascia scoperto un seno (TAV. 4.4 online): il modellato del
volto lascia intravedere l'influenza della scultura greca di età severa.
Si può identificare la divinità con un nome? Non è possibile fornire
una risposta certa a causa dell'eterogeneità delle fonti disponibili: l'icono-
grafia della "madre" può denotare più figure divine e i documenti storici
ed epigrafici riflettono angolazioni di lettura diverse e articolate nel
tempo, offrendo informazioni non riconducibili a un sistema unitario.
Utilizziamo, pertanto, i dati desumibili dalla documentazione epigrafica
etrusca, in attesa di esaminare successivamente l'interpretazione del culto
che può scaturire dalle fonti greche e latine.
Nella Tabula Capuana si fa riferimento a un santuario di Uni: la dea
etrusca, assimilabile alla greca Era, il cui nome corrisponde a quello della
latina Giunone. Essa incarna una divinità femminile autonoma, dotata di
un potere regale, che protegge il gruppo e garantisce la sua riproduzione:
la sua personalità può effettivamente corrispondere alla natura del culto
praticato a Fondo Patturelli. Nella Tabula il nome di Uni è associato a
quello di altre figure divine, alcune delle quali a noi del tutto sconosciu-
te, a riprova di quanto sia andato perduto della religione degli Etruschi;
tra le personalità note figura, invece, Thanr, una divinità femminile lega-
ta alla sfera della generazione, al fato che determina l'inizio e la fine della
vita: la sua immagine è stata recentemente riconosciuta in una statua di
dea madre che allatta un infante, rinvenuta nell'Etruria interna, la cosid-
detta Mater Matuta di Chianciano Terme, vicino a Chiusi.
Oltre che intorno ai limiti dell'abitato, Capua dispone i santuari a
protezione dei confini del suo ampio territorio, istituendo due importan-
ti aree sacre in luoghi di cruciale rilievo strategico: a nord, presso le
pendici del Monte Tifata, allo sbocco in pianura della Valle del Volturno
e, sul versante opposto, a sud-ovest, presso la località di Hamae, al confi-
ne con il territorio di Cuma.
Il primo luogo di culto è situato a circa 4 chilometri dalla città antica,
in località Sant' Angelo in Formis, dove la chiesa benedettina dell'XI seco-
lo ingloba il podio di un tempio di tipo etrusco-italico databile in età elle-
nistica: l'edificio sacro doveva, comunque, presentare una fase più antica,
segnalata dal rinvenimento nella zona di terrecotte architettoniche di età
arcaica. Il santuario è noto da una ricca tradizione storica ed epigrafica e,
come quello di Fondo Patturelli, vive fino all'età romana: la sua funzione
di controllo è evidente a chi si affacci dalla terrazza della chiesa di
Sant' Angelo e rivolga lo sguardo sulla pianura fino al mare. La divinità
titolare è, ancora una volta, di genere femminile e identificata dalle fonti
greche e latine con Artemis o Diana, la dea dello spazio selvatico e margi-
nale in cui il mondo addomesticato entra in contatto con quello naturale:
essa presiede alla nascita e all'allevamento dei piccoli, cuccioli o bambini,

68
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

e alla tappe di crescita che i giovani devono superare per diventare adul-
ti. Queste competenze traducono efficacemente il carattere del culto inse-
rito nella cornice naturale del Monte Tifata, boscoso e ricco di acque, in
un paesaggio remoto in cui si avvertiva manifestarsi la potenza divina. La
tradizione antica sottolinea l'antichità del santuario e la sua connessione
con l'esistenza stessa della città, come se ne costituisse una delle radici
sacre. In una leggenda riportata dal poeta latino Silio Italico (Punica, XIII,
n5-37} il culto di Diana è riportato al tempo di Capys, il mitico fondatore
di Capua: a lui la dea dona una cerva bianca, bellissima e mansueta, che
costituisce il pegno del suo favore. Amorevolmente accudito dalle donne
(le "madri"), l'animale vive r.ooo anni in città, ma, quando i Romani la
cingono d'assedio nel 211 a.C., spaventato da una scorreria di lupi fugge
nel capo nemico dove è sacrificato alla stessa Diana: la sua morte conclu-
de il ciclo della città etrusca che è conquistata e distrutta.
Il santuario di Hamae è menzionato nella Tabula Capuana e da Livio
(XXIII, 35) che ne attesta l'esistenza ancora ai tempi della guerra annibali-
ca, nel 215 a.C., quando costituisce il luogo di culto federale, in cui si cele-
bra la festa dell'intero popolo dei Campani. Le cerimonie culminano in
un sacrificio notturno, predisposto dal supremo magistrato della città (il
meddix tuticus): le modalità del rito lasciano intravedere un culto di
carattere ctonio, ambientato in un paesaggio arcano; non a caso le fonti si
riferiscono al santuario solo attraverso la sua collocazione topografica,
senza citare esplicitamente il nome della divinità titolare, forse a causa di
un tabù rituale connesso alla natura del culto.
Dove si trova Hamae? Livio ricorda che il santuario sorgeva a sole
3 miglia da Cuma, nell'immediato entroterra della città greca; in assenza
di scavi sistematici, una suggestione per l'ubicazione del santuario, che
conferma un'ipotesi già avanzata dalla precedente tradizione degli studi,
deriva dal rinvenimento di un frammento architettonico di età arcaica a
Torre San Severino nei pressi di Licola: siamo a una distanza di circa
30 chilometri dalla città etrusca, a riprova della grande estensione del
territorio di Capua, che raggiungeva i Campi Flegrei.

4.7.2. SUESSULA, CALATIA E CALES

Intorno a Capua sono urbanizzati anche i centri minori di Suessula e


Calatia, cui può aggiungersi, in area ausone, quello di Cales, circa 2 chilo-
metri a sud dell'odierna Calvi Risorta: l'insediamento sorge in una formi-
dabile posizione strategica su un pianoro tufaceo difeso dai due piccoli
corsi d'acqua, attraversato da un importante tracciato stradale che
conduceva a Capua, ripreso in età romana dalla via Latina (FIG. 4.5).
Costituendo snodi cruciali agli accessi nella pianura campana, i tre
siti continuano a fiorire anche dopo la conquista di Roma: in tale
prospettiva, è particolarmente significativo che nei settori riservati alle
aree pubbliche di età romana sia possibile riconoscere tracce di frequen-
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 4.5
Cales: l'impianto urbano

tazioni cultuali risalenti a età arcaica; ciò evidenzia una lunga continuità
funzionale nella destinazione degli spazi che mette in luce il valore
normativo rivestito dalla più antica pianificazione urbana.
A Cales una stipe votiva e terrecotte architettoniche di età arcaica sono
state scoperte presso un edificio templare del I secolo d.C. eretto nella zona
forense; a Suessula saggi eseguiti nell'area del Foro hanno messo in luce un
apprestamento rituale, probabilmente div secolo a.C., con resti di sacrifi-
ci di bue, maiale e pecora; a Calatia, infine, l'unica iscrizione etrusca fino-
ra nota proviene da un'area al centro della città dove si è ipotizzata la

70
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

presenza di edifici monumentali di età ellenistica. In quest'ultimo centro il


segno più rilevante del processo di urbanizzazione è, però, costituito dalla
costruzione delle mura, la cui fase più antica è stata assegnata a età arcaica.

4.7.3. NOLA, NOCERA E POMPEI

I tre centri sono collegati, insieme ad Acerra, in un'importante notizia di


Strabone (v, 4, 8), in cui Pompei è definita il porto (epineion) sul Samo
degli altri insediamenti. Strabone sottolinea come il fiume sia navigabile e
come lungo di esso si trasportino le merci da e verso il mare: anche se rife-
rita a età romana, la notizia è indicativa di un sistema di circolazione che
integra i centri della costa a quelli interni e può risalire indietro nel tempo.
Le indagini recenti, infatti, delineano l'esistenza di un porto fluviale a
ridosso della fronte meridionale di Pompei, tra le cosiddette Porta Mari-
na e Porta di Stabia, aperto su una laguna formata dal Sarno.
Da Nola non provengono documenti relativi all'abitato, se si eccet-
tua il recupero di un gruppo di terrecotte architettoniche all'esterno
dell'area urbana in un contesto incerto (via Polveriera).
Maggiori sono le informazioni disponibili per la Valle del Samo dove,
come si è già ricordato, all'inizio del VI secolo si attua un processo di aggre-
gazione del popolamento che porta alla fondazione di Nocera e all'urba-
nizzazione di Pompei. In entrambi i centri, la pianificazione della città
imprime un nuovo assetto territoriale che si conserva nel lungo periodo.
A Nocera il tracciato delle mura, risalenti probabilmente allo scorcio
del IV secolo a.C., distingue l'abitato dall'area delle necropoli utilizzate
dalla prima metà del VI secolo, monumentalizzando un limite "pomeria-
le" già definito al momento della fondazione urbana.
Maggiore è la documentazione disponibile per Pompei. La città si
colloca alla confluenza di importanti direttrici stradali verso Curna e Nola.
La terrazza dell'abitato, già occupata nell'età del Ferro, è cinta all'inizio
del VI secolo da una prima fortificazione in blocchi di tufo locale (il cosid-
detto "pappamonte") (TAV. 4.5 online); il tracciato della cortina arcaica è
poi ripreso in due successivi rifacimenti datati all'inizio del ve alla fine del
IV secolo a.C. (FIG. 4.6). All'interno di una superficie murata estesa circa
65 ettari si procede alla pianificazione della rete stradale in cui è inglobato
il più antico percorso verso il mare, ripreso nella fase romana dalla cosid-
detta via Stabiana. Saggi eseguiti in profondità attestano fin dall'inizio
un'occupazione estensiva dello spazio urbano, con abitazioni e piccole
aree di culto: una di questa, individuata nel settore nord-occidentale della
città (nella cosiddetta Regio VI, al di sotto della Casa della Colonna etru-
sca), si configura come un bosco sacro forse dedicato a Giove.
Le testimonianze si concentrano soprattutto a ovest della via Stabia-
na, lungo due assi che si incrociano ad angolo retto e costituiscono le
principali direttrici stradali della città arcaica: le cosiddette "via di Mer-
curio" (nord-sud) e "via Marina" (est-ovest). Il centro politico e monu-

71
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA4.6
Pompei: l'impianto urbano con la distribuzione dei rinvenimenti arcaici

TORAE IX TORRE VIII,

mentale dell'abitato è costituito da un quartiere, ampio circa 9 ettari,


situato all'angolo sud-occidentale della terrazza: esso è delimitato da una
strada anulare, distinta dal resto del tessuto viario, che funge anche da
collettore per lo smaltimento delle acque piovane.
Indagini recenti hanno dimostrato che, almeno sul fronte orientale, la
strada riprende l'andamento di un più antico muro monumentale precedu-
to da un fossato: l'opera è stata ipoteticamente datata tra la fine del VI e l'ini-
zio del v secolo a.C. e serve a fortificare il quartiere, facendone una sorta di
acropoli. Al suo interno, all'incrocio tra via di Mercurio e via Marina, si
apre la piazza principale, ripresa dal Foro di età romana; su di essa si
affaccia un tempio dedicato ad Apollo. Al margine sud-orientale del
quartiere, immediatamente all'esterno della strada anulare, è situata
l'area sacra del cosiddetto Foro triangolare, protesa su uno sperone che
dominava la laguna e l'area del porto (TAV. 4.6 online): in essa è eretto un
secondo edificio templare dedicato ad Atena e, probabilmente, a Eracle.
Le caratteristiche architettoniche dei due templi illustrano emblematica-
mente la complessità delle componenti politiche e culturali che presie-
dono allo sviluppo di Pompei arcaica.
Il tempio di Apollo è eretto tra il 550 e il 530 a.C. all'interno di un
santuario fondato all'inizio del VI secolo: l'edificio era di tipo etrusco,
con alto podio lapideo, colonne in legno, forse rivestite da membrature
in terracotta, e alzato in materiale deperibile; il ricco rivestimento del
tetto rientra nel sistema campano ed è probabilmente realizzato a Cuma
per il tipo di argilla utilizzato (FIG. 4.7).

72
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

FIGURA4.7
Pompei, tempio di Apollo: ricostruzione del sistema decorativo

Il tempio di Atena ed Eracle del Foro triangolare è, invece, di tipo greco,


costruito in pietra su un basamento a gradini; l'edificio è a pianta perip-
tera, con la cella circondata da colonne di ordine dorico: 7 sui lati brevi,
u su quelli lunghi (FIG. 4.8).
La decorazione fittile del tetto presenta due fasi databili intorno alla
metà e alla fine del VI secolo: la più recente (e meglio conservata) rimanda
a un sistema diverso da quello del tempio di Apollo, sia per il tipo di rive-
stimento della cornice sporgente (geison) sia per l'uso anche sui lati lunghi
di una gronda (sima) con gocciolatoi a testa leonina. Essa rivela una
profonda influenza dell'architettura sacra di Poseidonia e può essere
connessa al diretto intervento di maestranze provenienti dalla città greca.

73
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA4.8
Pompei: pianta del tempio del Foro triangolare

I I[
O I 1 J 4 5m

Come spiegare il contemporaneo manifestarsi di componenti distinte nelle


sfere integrate del culto e della committenza pubblica? Valorizzando la
diversa funzione svolta nel paesaggio della città antica dalle due aree sacre.
Il tempio di Apollo rappresenta il "fuoco" dell'identità religiosa e
politica della comunità: Apollo, infatti, non è solo il dio che dirige la colo-
nizzazione greca in Occidente, ma è anche quello che promuove nel suo
santuario a Delfi il contatto e l'integrazione tra i Greci e le altre genti
mediterranee; egli è assunto a garante del processo di fondazione della
comunità politica e, per questo, non sono pochi i templi eretti in suo
onore al centro dello spazio urbano di città greche ed etrusche. Non desta
stupore, quindi, che sulla piazza principale di Pompei sia costruito un
tempio di tipo etrusco: esso serve a rivendicare l'etruschizzazione della
città in seguito alla fondazione urbana, la sua integrazione nel più ampio
sistema regionale strutturato sotto l'influenza di Cuma e di Capua.
Diversa è la funzione del tempio di Atena, situato al margine del
quartiere monumentale e, piuttosto, in relazione al porto: il santuario
rappresenta una sorta di ingresso sacro alla città, un luogo sicuro e aper-
to dove accogliere stranieri e mercanti, sviluppando relazioni ospitali.
Non a caso, accanto ad Atena, un ruolo essenziale è riservato a Eracle,
eroe viaggiatore per eccellenza che, nel corso delle sue avventure, apre
nuove strade, scoprendo mondi e culture diversi. Il tema della sua acco-
glienza presso genti straniere assume un valore topico: il rispetto
dell'ospitalità segna il passaggio da una comunità selvaggia e violenta a
una società politicamente organizzata, fondata sul rispetto della legge.

74
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

L'importanza annessa al paesaggio del porto è, del resto, conferma-


ta sia dalla scoperta di strutture arcaiche nell'area del Tempio di Venere,
sulla terrazza sud-occidentale della città antica che domina il bacino
portuale sul versante opposto del Foro triangolare, sia dall'impianto di
tre aree sacre ai margini della laguna, in località Sant'Abbondio, Fondo
lozzino e Bottaro: l'ultima è stata riferita, almeno in età romana, a un
santuario di Nettuno, dio originariamente legato alle sorgenti e alle
acque fluviali.

4.7.4. LA PENISOLA SORRENTINA

La via del mare deve doppiare la penisola sorrentina e la documentazio-


ne archeologica riflette puntualmente l'esistenza di un sistema di insedia-
menti e scali che si struttura alla fine del VII e nel corso del VI secolo a.C.
Immaginiamo di navigare da sud: il primo punto di approdo, in
una posizione riparata dalle correnti e dai venti, è costituito da Vietri
sul Mare, da cui provengono corredi tombali di età arcaica e, in parti-
colare, uno dei più antichi vasi figurati di importazione attica rinvenu-
ti nella regione, databile verso il 580 a.C. (oinochoe del Gruppo dei
Comasti).
Risalendo il versante meridionale della penisola non sono noti altri
scali fino al promontorio che chiude a oriente la Baia di leranto, dove
era, probabilmente, ubicato il tempio delle Sirene, a dominare il perico-
loso passaggio delle Bocche di Capri. La baia è chiusa sul versante oppo-
sto dal promontorio di Punta della Campanella che divide il Golfo di
Napoli da quello di Salerno o, per dirlo con gli antichi, il Golfo di Posei-
donia da quello di Cuma (TAV. 4.7 online).
Il promontorio era dominato da un importante santuario dedicato
ad Atena, la dea dell'intelligenza e della sapienza artigiana, che protegge
la navigazione aiutando a tracciare la rotta; la sua fondazione era attribui-
ta dalla tradizione antica (Strabone v, 4, 8) a Odisseo.
La costruzione del santuario può essere ascritta a un'iniziativa cuma-
na per sancire il controllo della città greca sull'intera estensione del
Golfo di Napoli fino a Capri, ma esso continua a stagliarsi nel paesaggio
marino per molti secoli: nella prima metà del II secolo a.C. si realizza una
scalinata di accesso dal mare, commemorata in un'iscrizione monumen-
tale in osco incisa sulla parete rocciosa, che celebra l'intervento di appo-
siti magistrati del santuario denominati Meddices Minervii: l'opera è stata
opportunamente connessa a una notizia riferita da Livio (XLII, 20), secon-
do il quale nel 172 a.C. Roma fa eseguire nel santuario un sacrificio solen-
ne per espiare un evento prodigioso (FIG. 4.9).
Del santuario rimangono solo poche tracce archeologiche: frammen-
ti di terrecotte architettoniche e alcuni materiali votivi: è possibile,
comunque, ricostruire l'esistenza di una fase monumentale nella seconda
metà del VI secolo.

75
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 4.9
Punta della Campanella:-l'iscrizione rupestre

Traduzione: M. Gavio (figlio di) M., L. Pitachio (figlio di) M. / L. Appulio (figlio di) Ma.,
magistrati del santuario di Minerva/ questo approdo/scalo in appalto/ diedero (e) essi
stessi collaudarono.

A partire da Punta della Campanella, il versante settentrionale della


penisola è più intensamente popolato: un primo nucleo abitato è segna-
lato da una ricca necropoli, datata tra l'inizio del VI e la metà del v seco-
lo, rinvenuta in località Deserto di Sant' Agata sui Due Golfi: il sito si
trova lungo un itinerario che attraversava la penisola e scendeva a valle
verso Marina Grande di Sorrento.
Sorrento è il centro principale del sistema insediativo: l'abitato sorge
sul pianoro tufaceo del centro storico, già abitato nella prima età del
Ferro, come dimostra il rinvenimento di un corredo tombale inseribile
nella "cultura delle tombe a fossa". Nella prima metà del VI secolo l'inse-
diamento è interessato da un processo di aggregazione urbana: come nel
caso di Nocera, le mura della fine del IV secolo lasciano all'esterno le
necropoli di età arcaica. Dall'abitato proviene un frammento di antefissa
a palmetta che permette di inserire Sorrento nella circolazione del siste-
ma di rivestimento campano.
Continuando a risalire la penisola lungo il già ricordato itinerario
pedemontano, si raggiunge prima Piano di Sorrento, poi Vico Equense:
nel primo centro, in località La Trinità, sono state localizzate strutture
monumentali di età arcaica, forse un'area di culto; il secondo, ubicato su
una terrazza protesa sul mare, ha restituito una necropoli che inizia,
come le altre, nella prima metà del VI secolo: da essa provengono due
capitelli dorici in tufo, confrontabili con quelli del tempio di Era a Posei-
donia (la cosiddetta "Basilica"), pertinenti a colonne votive o a strutture
monumentali di carattere funerario.
Il periplo si conclude a Stabiae (Castellammare di Stabia), situata in
una felice posizione geografica a controllo di un tratto riparato del litora-
le che offriva le condizioni di un facile approdo. L'abitato arcaico è
ubicato sulla collina di Varano mentre la necropoli è stata individuata a
nord-est in località Madonna delle Grazie. Rispetto agli insediamenti
finora ricordati, Stabiae sembra iniziare prima, intorno alla metà del
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

VII secolo a.C.: essa rappresenta lo sbocco a mare dei centri della Valle
del Sarno e della mesogeia prima che il consolidamento di Pompei e il
suo assetto portuale ne mettesse in crisi la funzione.
La contrazione della necropoli di Madonna delle Grazie alla metà
del VI secolo segnala un ridimensionamento che sembra innescare la scel-
ta alternativa di puntare allo sfruttamento del retroterra collinare: si
sviluppa, infatti, contemporaneamente, un piccolo insediamento alle
pendici della collina di Casola, a est del!' abitato, documentato da sepol-
ture che durano fino alla metà del v secolo.
Benché non ne sia stato ancora avviato uno studio sistematico, il
popolamento arcaico della penisola sorrentina si delinea come un siste-
ma di comunità indigene dotate di una cultura materiale affine a quella
delle compagini etruschizzate della Valle del Samo e della mesogeia; esse
risultano, al tempo stesso, pienamente inserite nella rete di rapporti
alimentati dal commercio marittimo, in cui svolge un ruolo preponde-
rante l'elemento greco e, in primo luogo, Cuma: basti pensare al segno
monumentale del santuario di Atena a Punta della Campanella.
I corredi tombali offrono un quadro eloquente dell'apertura di
queste comunità, in grado di acquisire beni di lusso di importazione
greca ed etrusca e di promuovere committenze eminenti come quella
segnalata dai capitelli di Vico Equense.
Il sistema degli scali marittimi attira mobilità e, in questa prospettiva,
è interessante il ricorso nelle tombe di Stabiae, Vico Equense e Vietri, ma
anche a Pompei e Fratte, di un tipo di spilla diffuso tra il Sannio e la
Campania settentrionale, che potrebbe costituire l'indizio di un fenome-
no di circolazione esteso alle persone.
Al tempo stesso, il distretto sorrentino matura una specifica identità
culturale e politica che si esprime innanzitutto nel sistema della lingua,
nella già ricordata elaborazione di un alfabeto e un sistema scrittorio
locale, documentato da due iscrizioni paleoitaliche rinvenute a Sorrento
e Vico Equense: il fenomeno è ancora più significativo perché si svilup-
pa nella cornice di una complessa apertura linguistica, segnalata dal
ricorso di iscrizioni etrusche a Stabiae e di dediche in greco (brandion)
apposte su due vasetti di una tomba di bambino nella necropoli del
Deserto presso Sant' Agata sui Due Golfi.

4.7.5. L'AGRO PICENTINO: FRATTE E PONTECAGNANO

«Dal promontorio di Sorrento al Sele, per trenta miglia l'Agro Picentino


fu degli Etruschi, insigne per il tempio di Giunone Argiva fondato da
Giasone». Con queste parole Plinio (N. H. lii, 70) distingue il comparto
costiero della Campania meridionale, sottolineandone la matrice etrusca;
egli attribuisce all'Agro Picentino una dimensione più ampia di quella
attuale, limitata al comparto settentrionale del Golfo di Salerno fino al
Sele, richiamando una nozione geografica che evidentemente si forma in

77
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

età arcaica quando gli Etruschi rivestono ancora un ruolo essenziale


nell'organizzazione del territorio.
La nozione estesa di Agro Picentino si conserva, comunque, anche
dopo il declino dell'elemento etrusco, quando intervengono nuove
componenti del popolamento: una breve notizia del Periplo dello Pseu-
do Scilace, databile non oltre la metà del IV secolo, adottando la stessa
prospettiva dal mare del passo di Plinio, colloca i Sanniti tra Campani e
Lucani, nella fascia costiera compresa tra il Golfo di Napoli e il Sele,
dove sorgono Fratte e Pontecagnano.
A differenza di Pontecagnano, Fratte sorge ex novo all'inizio del
VI secolo nell'ambito del profondo riassetto territoriale del Golfo di Saler-
no suscitato dalla fondazione di Poseidonia: se, come concordano gli
studiosi, al centro antico può attribuirsi il nome etrusco di Marcina, deri-
vato da un gentilizio, il processo di formazione urbana sembra dipendere
dall'iniziativa di una ristretta componente di carattere aristocratico.
L'insediamento, oggi integrato nella periferia settentrionale di Saler-
no, sorge non lontano dal mare, su una bassa collina tufacea situata alla
confluenza del fiume Imo con i torrenti Pastorano e Grancano; la necro-
poli è dislocata immediatamente a nord-est, nella zona bassa compresa
tra il Grancano e l'Imo. Il sito riveste un'eminente funzione strategica,
essendo collocato allo sbocco del corridoio naturale della Valle dell'Imo
da cui si può risalire, a nord, verso il Sannio irpino e a nord-ovest verso
Nocera e la Campania settentrionale. Da Fratte, inoltre, si diparte un
percorso pedemontano lungo la valle del fiume Fuorni che conduce allo
sbocco di Monte Vetrano e alla piana di Pontecagnano.
La scelta insediativa del centro etrusco appare quindi rivolta, più che
all'acquisizione di un retroterra agricolo, al controllo di un sistema di traf-
fici a lunga distanza, alimentato sia lungo direttrici interne che via mare.
Nel corso della seconda metà del VI secolo Fratte assume una funzione
di primo piano nel circuito degli scali marittimi sulla rotta di Cuma, di
cui abbiamo ricostruito le tappe nella penisola sorrentina: un indicatore
rilevante della propensione commerciale del centro è costituito dalle
anfore da trasporto, in cui viaggiava una merce pregiata del commercio
arcaico come il vino, attestate nella necropoli in una concentrazione
priva di confronti con il resto del territorio regionale.
Coerente con l'apertura che ci si attende da una comunità legata allo
scambio è il quadro sociolinguistico riflesso dalle iscrizioni: la documen-
tazione epigrafica rivela l'articolazione di una società aperta, con una
componente etrusca legata a Tarquinia e Vulci accanto a cui convivono
elementi greci e italici acculturati, questi ultimi capaci di scrivere in
greco o in osco, ma utilizzando l'alfabeto di Poseidonia.
L'esistenza di relazioni private di amicizia e ospitalità con la città
greca è, del resto, provato dall'iscrizione della tomba 26 del 1963, che
celebra il simposio di un circolo aristocratico di cui fanno parte Greci ed
Etruschi (FIG. 4.10).
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

FIGURA4.10
Fratte: olpe della tomba 26/i963

Traduzione: Apollodoro ama Ksylla, Vulca sodomizza Apollodoro. Onata ama Nikso,
Ybrico ha amato Parmynio.

Un settore significativo dell'abitato è conservato all'interno dell'area


adibita a parco archeologico che include il segmento nord-orientale
dell'abitato: esso corrisponde a un quartiere monumentale non dissimi-
le da quello di Pompei, ubicato nella parte alta della città antica.
La documentazione disponibile consente di ricostruire il salto di
qualità connesso al processo di pianificazione urbana. Questa consiste in
un intervento di carattere unitario realizzato negli ultimi decenni del VI
secolo, anche se la presenza di edifici con tetti di tegole è attestata già nella
prima metà del secolo. Si erige la fortificazione, costituita da un aggere
contenuto da una cortina di blocchi e da un fossato; si mette in opera un
complesso impianto fognario per il drenaggio e lo smaltimento delle
acque meteoriche attraverso un sistema di cunicoli e pozzi; si costruisco-
no abitazioni con fondazioni di tufo, secondo una tecnica simile a quella
delle case arcaiche del quartiere capuano del Siepone: una di queste, di
dimensioni monumentali, si articola in due ali aperte intorno a µna corte.
Nello stesso tempo la città si dota di due aree sacre: una nel quartiere
monumentale, l'altra nella zona bassa presso una sorgente vicino al torren-
te Grancano. Gli edifici di culto montavano rivestimenti di tipo campano e
potevano recare anche un elevato in pietra: sono stati recuperati frammen-
ti di una colonna tuscanica e di cornici architettoniche, per i quali si è valo-
rizzato l'apporto dell'architettura poseidoniate. La stessa influenza si ravvi-
sa nel ricorso di antefisse decorate da un fiore di loto di tipologia diversa da
quelle campane e, soprattutto, in una statua maschile in terracotta di poco
inferiore al vero, che forse costituiva una statua di culto (TAV. 4.8 online).

79
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

L'insieme di questi elementi lascia intravedere, accanto ai legami


privati di solidarietà aristocratica, un filone di relazioni ufficiali con la
città greca, cui il centro etrusco si rivolge per committenze ufficiali di
elevato prestigio: forse si potrebbe anche ipotizzare un'interazione sul
piano del culto, come si verifica nel caso di Pontecagnano.
L'antico centro villanoviano e orientalizzante è fortemente ridimen-
sionato dalla fondazione di Poseidonia e dal consolidamento di Fratte,
che lo sostituiscono nella gestione della rete di scambi in cui aveva gioca-
to un ruolo dominante nei secoli precedenti.
Ancora nei primi decenni del VI secolo Pontecagnano mantiene,
comunque, la propria capacità di iniziativa e, anzi, al suo interno si può
riconoscere con maggiore chiarezza rispetto ad altri contesti l'incidenza
degli sviluppi produttivi innescati dal processo di urbanizzazione. La città
attrae dall'Etruria artigiani che introducono produzioni specializzate di
largo consumo come il bucchero o nuove classi di ceramica da mensa con
decorazione geometrica e figurata di imitazione corinzia (TAV. 4.9 online).
Essa continua, d'altra parte, a intercettare le correnti del commercio
marittimo che portano i prodotti di lusso esibiti, al termine della loro
circolazione, nelle tombe ricchissime di una ristretta aristocrazia gentili-
zia che conserva la gestione delle attività imprenditoriali. Le sepolture dei
nobili sono inserite in appezzamenti a carattere familiare utilizzati per più
generazioni, nei quali uno spazio specifico è talora riservato al culto fune-
rario. Solo nella seconda metà del VI secolo, sotto la concorrenza di realtà
nuove e più dinamiche, la città piega verso un'economia agricola, legata a
uno sfruttamento più sistematico dello spazio agrario.
Come a Fratte, anche a Pontecagnano il consolidamento della struttura
urbana si afferma per tappe. All'inizio del VI secolo l'abitato è riorganiz-
zato in settori distinti per funzione: l'attuale via dei Cavalleggeri divide il
quartiere riservato alle abitazioni da un'ampia zona artigianale che si
estende a est. Due santuari sono fondati ai margini dello spazio urbano,
come a proteggerne i confini.
Il primo sorge nell'area al margine meridionale della città antica, già
adibita nell'età orientalizzante a luogo di incontro e di scambio. L'artico-
lazione degli spazi continua a imperniarsi sulla grande piazza centrale già
in uso nella fase precedente: dell'area sacra è stato individuato il limite
est costituito, almeno nella fase di IV secolo, da un portico con fondazio-
ne di blocchi, ma non si sono rintracciati edifici di culto. La divinità tito-
lare è identificata da dediche vascolari comprese tra la seconda metà del
VI e la metà del IV secolo a.C., che recano, secondo una stessa formula
abbreviata, il nome di Apollo redatto in greco nell'alfabeto di Poseido-
nia (FIG. 4.11).
Il carattere standardizzato del formulario e la sua prolungata reitera-
zione nella pratica votiva hanno fatto giustamente ipotizzare che il culto
fosse gestito da sacerdoti provenienti dalla città greca: un dato partico-
larmente significativo, se si ricorda che a Poseidonia Apollo è il dio cui è

So
4. LA CAMPANIA DEI.LE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

probabilmente dedicato il cosiddetto "Tempio di Nettuno" nel santua-


rio meridionale al centro dello spazio urbano; la sua presenza a Ponteca-
gnano si inserisce entro le coordinate religiose già delineate a proposito
del tempio di Apollo a Pompei, confermando, al tempo stesso, la forza
dell'influenza poseidoniate messa in luce nel caso del tempio di Atena a
Pompei e a Fratte.
Una seconda area sacra è ubicata all'opposto versante settentriona-
le, su una terrazza distinta da quella principale dell'abitato: il culto è, in
questo caso, ambientato in un paesaggio palustre, marcato dalla presen-
za di numerosi canali, con il recinto perimetrale del santuario che borda-
va un paleoalveo alimentato dall'apporto di fonti sorgive.
Il rinvenimento di un'antefissa a testa femminile entro nimbo attesta
la presenza di edifici monumentali, ma finora è soprattutto noto il siste-
ma dell' offerte votive legate a un culto di carattere ctonio: lo prova la
scoperta di apprestamenti realizzati con bocche di dolio o tubi fittili
infissi nel terreno per assicurare una comunicazione con il sottosuolo
(TAV. 4.10 online), l'offerta di vasi capovolti appoggiati a terra o all'inter-
no di piccole fosse e recinti e la deposizione reiterata di vasi all'interno
di un secondo paleoalveo che attraversa l'area sacra. La cronologia dei
contesti è compresa tra la fine del VI e la prima metà del v, ma tra le offer-
te votive figurano ceramiche che risalgono alla prima metà del VI secolo.
La tipologia delle dediche votive orienta verso una divinità femmini-
le, simile alla greca Demetra o all'italica Cerere, di cui un'iscrizione
conserva il nome Luas: la divinità soprintende ai rituali di passaggio e alla
liberazione degli schiavi, evocata dalla dedica di ceppi di catena in ferro,
ma soprattutto significativo è il rinvenimento di un grande ripostiglio di
pezzi grezzi in bronzo in cui figura anche un lingotto con l'impronta di
un "ramo secco", vero e proprio strumento premonetale utilizzato come
metallo pesato per misurare il valore in occasione dello scambio: l' offer-
ta di metallo è tipica dei santuari di Demetra ed è stata interpretata come
dono per propiziare la fertilità della terra, restituendole in cambio una
forma alternativa di ricchezza.
Accanto alla dea, nell'area sacra è venerato anche Apollo, ricordato
in un'iscrizione tarda.
Il santuario ha restituito anche un altro importante documento
epigrafico costituito da una coppa della seconda metà del VI secolo
recante l'iscrizione etrusca amina[- -ls (FIG. 4.n): il nome ha la struttura
di un gentilizio e può essere accostato a quello leggendario degli Aminei
ricordato dalla tradizione antica. Non è impossibile che il termine indi-
chi il territorio di Pontecagnano o di un'altra zona vicina; suggestiva, a
tale proposito, è l'iscrizione apposta su un disco di argento dedicato a
Era, ritrovato a Poseidonia dove, secondo una recente proposta, si legge:
«sacro a Era, da parte degli oligarchi di Amina» (TAV. 4.n online).
Come nel caso di Fratte, all'organizzazione funzionale degli spazi
avviata all'inizio del VI secolo segue alla fine dello stesso la vera e propria

81
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 4.11
Pontecagnano: dediche ad Apollo e Manth (santuario meridionale) e iscrizione
amino[- - ]s (santuario settentrionale)

pianificazione urbana: il centro antico si dota di un impianto regolare,


circondato da una fortificazione che segue i margini della terrazza
dell'abitato almeno su tre lati. Sono state individuate 8 strade che scandi-
scono il tessuto urbano, larghe tra i 4,50 e i 5,50 metri, probabilmente
intercettate da due assi ortogonali più ampi: uno di essi diviene il decu-
mano massimo in età romana e costituisce un tratto urbano della via
Popilia (FIG. 4.12).
Le strade definiscono isolati allungati, di circa 46 metri di larghezza,
con i lotti delle case larghi quanto la metà dell'isolato.
Della fase più antica della fortificazione si conserva solo la trincea di
fondazione, larga circa 2 metri: l'opera presentava, probabilmente, una
struttura in blocchi e recava elementi trasversali di rinforzo. Il limite inter-
no è marcato da uno stretto "canale" parallelo alla fortificazione, nel cui
riempimento è stato rinvenuto un vaso spezzato intenzionalmente in più
frammenti, dopo essere stato utilizzato nel corso di un rito. Il canale si cari-
ca, pertanto, di una funzione sacrale in rapporto al muro di cinta e può
essere assimilato al solco primigenio che, nel rituale di fondazione della
città etrusca, sancisce la sacralità del limite urbano: la pianificazione della
città è avvertita come un atto di vera e propria rifondazione.
La discontinuità impressa dal riassetto urbano è confermata dal fatto
che l'impianto delle strade e delle case si estende a una fascia non occu-
pata nelle fasi precedenti. La nuova pianificazione della città si associa
alla riorganizzazione del territorio: da un lato, il declino commerciale
dell'insediamento si misura nell'insabbiamento della laguna costiera di
località Pagliarone, che costituiva l'approdo portuale dell'abitato dall'età
del Ferro, dall'altro, si provvede a una suddivisione dello spazio agrario,
fondata su due distinti sistemi catastali già ricordati nel PAR. 4-4-
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

FIGURA 4.12
Pontecagnano: l'impianto urbano

o 100 200m

Si verifica, dunque, una complessiva riconversione dei rapporti produt-


tivi che conduce allo sviluppo di un ceto cittadino più ampio, legittima-
to dal possesso della terra: esso può essere rappresentato dalle numero-
se sepolture con iscrizioni etrusche concentrate in una fascia ristretta
della necropoli di piazza Risorgimento, denotate dalla formula onoma-
stica bimembre estesa a nomi italici o a individui che rivelano un'integra-
zione sociale recente come un greco di nome Melithon che etruschizza il
proprio nome in Plecu Milithuna (FIG. 3.4).
Dietro questo tessuto composito si profilano fenomeni di attrazione
e mobilità: in tale prospettiva assume il massimo interesse un'iscrizione
etrusca della fine del VI secolo rinvenuta nel santuario di Apollo
(FIG. 4.11). In essa è inciso il nome di Manth, divinità etrusca nota in area
padana che la tradizione antica assimila proprio a Apollo, in quanto lega-
ta al processo di fondazione urbana: può essere interessante ricordare
che dal nome del dio deriva quello di Mantova che le fonti riconoscono
come capitale di una lega di dodici città padane.
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

4.7.6. COMUNITÀ SENZA CITTÀ: TEANO E LA COSTA AUSONE

Ai margini della pianura campana esiste una periferia indigena che si


struttura in assenza del sistema urbano, esprimendo una forma diversa di
identità politica che trova la sua espressione monumentale nel santuario.
Il contesto più chiaro, anche per la sistematicità delle ricerche, è costi-
tuito dal territorio di Teano, pochi chilometri a nord di Cales: in esso è
insediata la tribù italica dei Sidicini. Il comparto gravita sul corso del fiume
Savane, alle falde sudorientali del vulcano di Roccamonfina, e si pone a
cerniera tra la piana campana, il Sannio e il mondo laziale, rientrando in un
più ampio bacino di popolamento, esteso alle valli dell'alto Volturno, del
Liri e del Sacco, che sviluppa una cultura materiale omogenea.
Il centro antico di Teano è urbanizzato solo nella seconda metà del
IV secolo a.C., ma costituisce il perno di un sistema insediativo pienamente
consolidato già in età arcaica, fondato su una rete di comunità di villaggio
(via), di cui sono note soprattutto le necropoli. I nuclei abitativi sono situa-
ti in posizioni strategiche lungo il corso del Savane e l'itinerario interno
diretto a Capua che in età romana è ripreso dalla via Latina. Questo popo-
lamento si concentra intorno ad aree sacre che sono il punto di riferimento
del sistema di villaggi, il luogo sacro dell'identità di ciascuna comunità: nel
suo insieme si delinea un'organizzazione territoriale complessa in cui può
riconoscersi la touto, la comunità politica delle popolazioni italiche, già
ricordata nel caso di Nocera, dove però si adotta la forma urbana.
Due santuari assumono dalla fine del VI secolo una veste monumen-
tale, divenendo la sede di un culto che continua fino a età romana: il
primo è ubicato in località Loreto, su un pianoro rivolto sul Savane che
nel IV secolo è inglobato entro le mura della città; il secondo sorge in
località Fondo Ruozzo, 7 chilometri circa più a sud, su una collina che
domina il fiume tra due valli strette e profonde. Entrambi accoglievano
strutture monumentali con coperture di tipo campano: a Fondo Ruozzo
è stato ricostruito un edificio di culto in pietra con cornici modanate e
pareti scandite da paraste con capitelli ionici recanti al centro un fiore di
loto. Il tetto era decorato da antefisse a testa femminile entro il fiore di
loto e di gorgone entro il nimbo di foglie (FIG. 4.13; TAW. 4.12 e 4.13).
I capitelli di parasta trovano confronti a Cuma, evocando una rela-
zione di committenza tra il centro indigeno e la città greca che potrebbe
essere confermata dal rinvenimento a Montanaro di Francolise, circa
5 chilometri a sud di Teano, lungo il Savane, di un'eccezionale stele fune-
bre con coronamento a palmetta, molto simile a un esemplare cumana.
I santuari sono dedicati a una divinità femminile raffigurata in statue
di terracotta anche di grandi dimensioni in cui indossa un alto copricapo
(polos) (TAV. 4.14 online) e, soprattutto, reca sulle spalle coppie di fanciul-
li, un maschio e una femmina, vestiti di tunica o corazza. L'immagine
evoca una dea che sovrintende i passaggi di età e, garantendo il ricambio
delle generazioni, assicura la continuità della comunità politica: per questa
4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

FIGURA 4.13
Teano, santuario di Fondo Ruozzo: ricostruzione dell'elevato del tempio

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50cm
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

funzione essa è oggetto in entrambe le aree sacre di una ricchissima offer-


ta votiva che costituisce una delle più originali espressioni dell'artigianato
italico di età arcaica.
A Loreto le dediche mettono in evidenza soprattutto la sfera della
fecondità; a Fondo Ruozzo emerge piuttosto dalla tipologia delle offerte
l'articolazione della comunità antica scandita per generi e funzioni, tra cui,
soprattutto, quella militare. Nel panorama dei doni votivi occorre ricorda-
re una statua in terracotta raffigurante un'offerente con porcellino, vittima
prediletta di Demetra/Cerere (TAV. 4.15 online). In entrambi i santuari il
culto è stato opportunamente accostato alla dea italica Pupluna attestato a
Teano da iscrizioni molto più tarde: il nome ne designa la funzione di
protettrice del populus, della comunità intesa come collettività organizzata
e, in particolare, del gruppo maschile in grado di difenderla con le armi.
Anche gli Ausoni stanziati nella pianura costiera del Garigliano non
adottano il modello urbano, trasferendo le funzioni pubbliche collettive
alle strutture santuariali. Queste rivestono, così, un ruolo essenziale di
demarcazione del territorio, evidente nel caso dei due santuari principa-
li di Marica e di località Panetelle, situati rispettivamente alla foce del
Garigliano e del Savone.
I due complessi sacri sono collocati" allo sbocco di vie fluviali essen-
ziali nella mobilità regionale e, soprattutto, delineano l'esistenza di un
itinerario costiero il cui controllo è, ancora una volta, valorizzato da
Roma attraverso il tracciato delle vie Appia e Domiziana: non a caso,
lungo di esso sono dedotte nel 295 a.C. le due colonie di Minturnae e
Sinuessa. L'itinerario si prolunga a sud del Volturno fino a Literno, dove
un santuario arcaico è segnalato dal rinvenimento di terrecotte architet-
toniche nella zona di Lago Patria, la literna palus attraverso la quale, in
antico, il fiume Clanis raggiungeva il mare.
In un paesaggio simile si inseriva il santuario della ninfa Marica alle
foci del Garigliano: esso può essere considerato il cuore dell'organizza-
zione religiosa e politica del territorio ausone, in quanto connesso all'ori-
gine stessa della popolazione. Il nome di Marica è, infatti, inseparabile da
quello del centauro Mares, vissuto 123 anni e per tre volte morto e risor-
to, da cui, secondo la tradizione erudita (Eliano, Var. Hist. IX, 16) discen-
dono gli Ausoni autoctoni.
In precedenza (PAR. 4.3) si è ricordata la prima fase del tempio data-
bile intorno alla metà del VI secolo: alla fine dello stesso si procede a una
ricostruzione in cui l'edificio sacro è circondato da un colonnato conti-
nuo (peristasi), secondo i canoni architettonici dell'architettura greca,
già riscontrati nel tempio di Atena a Pompei. Come per il sacello di
Fondo Ruozzo, tale rifacimento segnala l'influenza di Cuma, da cui
devono provenire le maestranze che realizzano il progetto: ancora una
volta, la comunità indigena si affida a un partner esterno per la sua
committenza più prestigiosa, innescando un rapporto di cooperazione
che, come si vedrà, investe anche la sfera del culto (PAR. 5.2).

86
5
L'età di Aristodemo
(524-484 a.C.)

5,1
La tradizione storica

Questa escursione nella storia arcaica della Campania è dedicata all'ecce-


zionale figura di Aristodemo, tiranno di Cuma dal 504 al 484 a.C. La sua
vicenda inizia nel 524 a.C. quando, come scrive Dionigi di Alicarnasso (vu,
3, 1), «gli Etruschi che abitavano intorno al Golfo Ionico, e ne furono poi
scacciati dai Celti, con i Dauni, gli Umbri e molti altri barbari, tentarono
di distruggere Cuma [. .. ] senza altra ragione di odio che la prosperità
della città». Gli invasori sono gli Etruschi della pianura padana, che nel
corso di una lunga marcia aggregano barbari stanziati nelle regioni adria-
tiche fino ai Dauni nella Puglia settentrionale: il loro attacco nasce dall' at-
trazione suscitata da un territorio di grande feracità e ricchezza. La cita-
zione della Daunia ha fatto giustamente supporre che la grande coalizione
entri in Campania da sud, attraverso il corridoio formato dalle valli del
Sabato e del Sarno, per poi risalire a nord verso Cuma: è importante
sottolineare come Capua non figuri tra gli aggressori.
L'invasione si risolve alle porte della città greca in una battaglia
campale in cui la cavalleria cumana riporta una grande vittoria contro l' ar-
mata barbara, più numerosa ma meno disciplinata: nello scontro si distin-
gue il giovane Aristodemo che riesce a uccidere il comandante nemico.
Forte di questa impresa, Aristodemo guadagna i favori del popolo,
entrando in contrasto con il ristretto ceto aristocratico a capo della città:
per questo nel 504 a.C. il governo oligarchico lo mette alla testa di una
flotta raccogliticcia e di un modesto esercito, inviandolo, in una sorta di
missione suicida, ancora una volta contro gli Etruschi che minacciano la
città laziale di Ariccia.
Siamo negli anni turbolenti che seguono la caduta della monarchia
dei Tarquinia Roma e la fondazione della Repubblica (509 a.C.): Roma è
attaccata da Porsenna, re di Chiusi e Orvieto, che la cinge d'assedio,
riuscendo, forse, a conquistarla, pe~ dirigere poi la sua espansione anco-
ra più a sud, a controllare il Lazio. E contro l'esercito comandato da suo
figlio Arrunte che combatte Aristodemo, riportando, contro pronostici
e speranze, una nuova vittoria che ferma definitivamente gli Etruschi.
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Tornato in patria da trionfatore, Aristodemo rovescia nel sangue il


governo oligarchico e si fa tiranno, contando sull'appoggio dell'elemen-
to popolare. La vecchia classe dirigente cumana è uccisa o costretta
all'esilio: a essa si deve, secondo un'ipotesi recente, la fondazione di
Napoli (la "Città nuova"), ormai databile su basi archeologiche alla fine
del VI secolo a.C. Secondo una logica non diversa, nel 531 a.C. esuli sami
in fuga dal tiranno Policrate hanno fondato Dicearchia (la "Città giusta")
sulla rocca del Rione Terra a Pozzuoli.
Aristodemo imprime una svolta alla politica economica della città,
promuovendo un grandioso programma di interventi pubblici, che
moltiplica il fabbisogno di manodopera e favorisce le attività imprendi-
toriali: procede alla ricostruzione del tempio di Apollo sull'acropoli, fa
erigere un nuova cinta di mura, dota la città di un grande collettore
fognario simile alla cloaca maxima di Roma e inizia la costruzione di un
imponente canale circolare di bonifica intorno al suo territorio.
Nello stesso tempo il tiranno mira a estendere l'influenza di Curna sulla
regione costiera del Lazio fino al Circeo, approfittando della debolezza del
giovane governo repubblicano di Roma: in funzione antiromana promuo-
ve la riorganizzazione delle città latine in una Lega federale che ha sede nel
santuario di Diana Nemorense sul lago di Nemi nel territorio di Ariccia.
Per sostenere la sua politica, elabora un'eccezionale opera di propa-
ganda che comporta sia il recupero di pratiche rituali e culti della madre
patria calcidese sia l'esaltazione di un eroe come Eracle che costituisce
un modello per l'ideologia tirannica, essendo asceso all'Olimpo solo
grazie alle proprie imprese e al favore divino. Il tema chiave è quello della
vittoria dell'eroe contro i Giganti nella pianura di Flegra, situata origina-
riamente in Grecia, ma identificata nella propaganda di Aristodemo con
la pianura campana dominata dal Vesuvio: i "Campi Flegrei", intesi in
un'accezione geografica molto più ampia di quella attuale, che il tiranno
rivendica al controllo di Cuma. Egli, infatti, impersona un nuovo Eracle,
avendo sconfitto per due volte i barbari Etruschi come l'eroe, nel tempo
mitico, ha sbaragliato i Giganti empi e selvaggi: entrambi introducono
l'ordine e la legge nella grande pianura.
Aristodemo è ucciso nel 485-84 a.C. da una congiura di cui fanno
parte i figli degli aristocratici uccisi e i fuoriusciti sopravvissuti al colpo di
stato del 504: la tradizione riferisce che essi ottengono l'aiuto della nobil-
tà capuana che li ospita e sostiene con forze proprie e truppe mercenarie.

5.2
Un sistema integrato: miti e tradizioni cultuali

Perché introdurre Aristodemo in una storia delle genti non greche della
Campania antica? In quanto la sua politica di espansione e sviluppo
accelera le dinamiche di integrazione tra le diverse componenti del
popolamento campano sia sotto l'aspetto produttivo sia per quanto

88
5. L'ETÀ DI ARISTODEMO (524-484 A.C.)

riguarda la formazione di un comune patrimonio culturale e ideologico,


in un intreccio complesso di cui si possono seguire le tracce nella docu-
mentazione archeologica e nella tradizione storica.
Riprendiamo il caso dell'edilizia pubblica: negli anni di Aristodemo
il sistema di rivestimento architettonico elaborato a Cuma e Capua si
consolida e diffonde in ambito regionale e si è già sottolineato l'apporto
cumana nella costruzione del tempio di Apollo a Pompei e di Marica sul
Garigliano. Tuttavia, la circolazione dei modelli decorativi e monumen-
tali si iscrive all'interno di un'interazione più ampia che investe anche la
sfera dei miti e dei culti, tra i quali una cruciale centralità assumono quel-
li di Apollo, Eracle e Artemide.
Si è già detto della funzione politica assunta dal culto di Apollo cele-
brato sull'acropoli di Cuma, presso il Foro di Pompei, nell'area sacra
meridionale di Pontecagnano e, probabilmente, nel santuario urbano di
Poseidonia; ma il dio è anche legato a Eracle o, meglio, alla celebrazione
del suo trionfo in occasione di una delle imprese più note: quella del
rapimento della mandria di Gerione.
Si tratta di un'azione che esprime con chiarezza la funzione civilizza-
trice dell'eroe: Eracle strappa la mandria da un mondo divino per trasfe-
rirla nel paesaggio dell'uomo; così facendo, introduce l'allevamento e fa
del bue l'animale essenziale per i lavori agricoli e la vittima designata del
sacrificio. Nel viaggio di ritorno con la mandria Eracle attraversa nume-
rosi paesi, cui arreca il dono della cultura: a ogni tappa genera una nuova
stirpe, fonda città e istituisce culti. Ciò avviene anche nel territorio
campano: una via heraclea è attestata tra il promontorio di Miseno e
Dicearchia e al mito della mandria è legato il nome di Ercolano (Herakle-
ion ), il porto dove Eracle sbarca, insieme agli armenti, al termine di un
lungo viaggio per mare (Dionigi di Alicarnasso I, 44, 1).
Non è, quindi, un caso che l'eroe sia celebrato anche nella vicina
Pompei, nel tempio del Foro triangolare insieme alla dea Atena che lo
protegge e sostiene nel corso delle sue fatiche: la cornice che coronava gli
spioventi del frontone reca una modanatura decorata a scaglie come il
corpo di un serpente, che si trasformava gradatamente in un'Idra dalle
molte teste, a evocare l'impresa vittoriosa di Eracle che decapita il mostro.
Anche Capua si appropria della leggenda della mandria di Gerione,
raffigurata nel fregio inciso sul cosiddetto "Lebete Barone" (TAV. p
on line): un dinos di bronzo utilizzato come cinerario in una sepoltura
aristocratica dello scorcio del VI secolo. Il dinos è un vaso con corpo ovoi-
de, senza anse e apodo e, dunque, da montare su un sostegno: nel simpo-
sio poteva essere utilizzato per mescolare il vino con l'acqua, ma, come
vedremo, la sua selezione in tomba si carica di un valore specifico in
sepolture eccezionali al passaggio tra il VI e il v secolo.
Sul corpo del "Lebete Barone" l'eroe è raffigurato mentre parte con
la mandria, lasciandosi alle spalle un uomo appeso a un albero, probabil-
mente il mitico ladrone Caco che ha cercato di rubargli le bestie.
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Come a Pompei, anche a Capua Eracle è integrato nella decorazione


architettonica degli edifici di culto, la sua immagine ricorrendo in nume-
rosi rivestimenti e antefisse recuperati a Fondo Patturelli in cui, come si
è visto (PAR. 4.7.1), deve probabilmente riconoscersi un santuario di Uni,
la Era greca. La presenza dell'eroe nel santuario si spiega proprio alla
luce della titolarità del culto, costituendo Eracle il paladino di Era in
occasione della Gigantomachia: la relazione privilegiata con la dea è
all'origine dello stesso nome dell'eroe, composto con quello di Era e la
parola greca kleos che significa "gloria"; Eracle, dunque, è letteralmente
la "gloria di Era".
L'eroe diviene l'antenato di Capua; dal suo sangue nascono Telefo, il
fondatore della città, e Tarconte e Tirreno, i mitici progenitori degli
Etruschi: in un brano del poeta calcidese Licofrone (Alessandra, 1245-51)
i due eroi combattono contro i barbari e i discendenti dei Giganti e
ottengono un regno che, tra l'altro, comprende «il paese che si estende
vicino agli Umbri e sino alle regioni montuose di Elpie» in Daunia, vale
a dire la pianura campana, la cui estensione è definita in opposizione alle
popolazioni barbare (Umbri e Dauni) che attaccano Cuma nel 524 a.C.
Siamo di fronte a una tradizione che si richiama alla propaganda di
Aristodemo per piegarla alle esigenze autocelebrative della città etrusca:
in essa sono i padri leggendari degli Etruschi di Capua a sconfiggere i
Giganti, ottenendo il possesso della pianura; anche Capua è legittimata
da un rapporto privilegiato con Eracle che condivide con Cuma e su cui
si fonda la cooperazione tra le due città.
Infine, Artemide: Aristodemo ne rivitalizza il culto, valorizzando la
sua identificazione con la dea ctonia Ecate; l'operazione awiene all'inter-
no di un più generale recupero delle tradizioni calcidesi connesse all'ap-
prendistato e all'iniziazione dei giovani, in quanto la dea è divinità tute-
lare dei riti di passaggio. Il modello cumana di Artemide-Ecate è
esportato da Aristodemo nel santuario di Diana Nemorense ad Ariccia,
dove si riunisce la Lega Latina: l'ellenizzazione del culto della dea latina
è il segno più chiaro della supremazia esercitata dal tiranno nel Lazio
meridionale.
Uno stesso processo si riconosce, sulla via verso il Lazio, nel santua-
rio ausone di Marica dove, in una fonte tarda (Schol. ad Aug., C. D. II,
23), la ninfa è assimilata esplicitamente ad Artemide venerata a Cuma:
dalla città greca è, infatti, trafugata la statua di culto che giunge tra gli
Ausoni nascosta in una fascina di legno.
Ma, soprattutto, è rilevante il contesto del santuario di Diana sul
Monte Tifata, connesso, come si è visto, alle origini stesse di Capua: il
nome Tifata è spiegato dall'erudizione antica come "bosco (di lecci)",
cosicché Diana, cui è dedicato il monte, appare nel suo aspetto di divini-
tà "del bosco": proprio come accade nel santuario di Nemi ad Ariccia,
dove a Diana si attribuisce l'attributo di "Nemorense" derivato dal lati-
no nemus che significa "bosco".
5. L'ETÀ DI ARISTODEMO (524-484 A.C.)

Una simile caratterizzazione cultuale accomuna, quindi, il santuario


di Diana della città etrusca a quello, riorganizzato da Aristodemo, nella
città latina e questa relazione passa attraverso l'assimilazione ad Artemi-
de; inoltre, in entrambe le aree sacre la dea è raffigurata nell'aspetto di
una divinità triplice, come Ecate che struttura il culto cumana.
Il sistema di corrispondenze finora evocato rivela lo sforzo operato
dalle fonti greche e latine di interpretare la realtà cultuale etrusca e indi-
gena e può sembrare frutto del gioco combinatorio di una tradizione
erudita, ma è convalidato dalla cultura materiale.
A Capua si sviluppa alla fine del VI secolo una produzione locale di
vasi a figure nere che dura fino al 480-70 a.C. (TAV. p online). Si tratta di
un'evidenza di modesto valore qualitativo, ma di profondo significato
culturale perché le scene, costruite con un repertorio iconografico di
matrice greca, sono riconducibili a specifici nuclei tematici, tra cui quel-
li riferibili alla sfera dell'apprendistato giovanile, dell'iniziazione e del
conseguimento dello statuto di adulto: gli stessi contemporaneamente
promossi nella Cuma di Aristodemo. È possibile distinguere due serie
figurative, relative al percorso maschile e a quello femminile: quest'ulti-
mo è imperniato sul rito del matrimonio posto sotto la tutela di una dea
raffigurata in trono davanti a un altare: essa reca un bocciolo o un melo-
grano, secondo l'iconografia di Kore-Persefone, la figlia di Demetra che
Ade rapisce per farla sua sposa.
All'interno di questa serie, un vaso raffigura l'episodio raro del sacri-
ficio di Ifigenia, la figlia di Agamennone che, ingannata dalla falsa
promessa di matrimonio con Achille, è condotta al sacrificio per consen-
tire ai Greci di salpare per Troia. L'evocazione del mito rimanda esplici-
tamente alla sfera di Artemide perché nella tradizione mitica la dea, che
ha cura dei giovani e della loro crescita e, al tempo stesso, rifugge il
matrimonio, sostituisce la fanciulla con una cerva, facendola una sua
sacerdotessa.

5.Ì:
Le élites e lenizzate

L'esempio dei vasi campani a figure nere dimostra l'esistenza di una


comunità acculturata, in grado di leggere le scene dipinte sui vasi, iden-
tificandone i soggetti e comprendendone il significato. A un più elevato
livello di committenza questa tendenza si verifica con maggiore chiarez-
za nel caso di sepolture di carattere elitario, dotate di un corredo
contraddistinto dall'uso di pregiati vasi a figure nere e rosse importati da
Atene.
Sull'intero territorio regionale, a cominciare da Cuma e Capua, sono
documentate sepolture caratterizzate dal rituale raro dell'incinerazione,
in cui i resti cremati sono conservati all'interno di un vaso attico figurato,
selezionato anche per il significato delle scene in esso raffigurate. Per

91
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

comprendere la portata dell'operazione e dei suoi contenuti ideologici, i


casi più significativi sono costituiti da un'eccezionale sepoltura di Nola e
da un gruppo di tombe di Fratte.
La prima ha restituito uno dei più importanti vasi a figure rosse
rinvenuti in Occidente: la cosiddetta "Hydria Vivenzio", così denomina-
ta dal cognome dei fratelli che la scoprirono nel 1797. Il vaso è dipinto dal
"Pittore di Kleophrades", uno dei massimi ceramografi attici a cavallo
tra la fine del VI e l'inizio del v secolo a.C.: in esso è raffigurata l'ultima
notte di Troia, culminante con l'uccisione di Priamo e Astianatte da
parte di Neottolemo, figlio di Achille (TAV. 5.3 online). La composizione
della scena non trova confronti, come se fosse stata concepita per una
specifica committenza, ed è molto probabile che la sua unicità abbia
rivestito un ruolo fondamentale per l'acquisizione del vaso da parte di un
membro dell'aristocrazia nolana.
Il prestigio della committenza è confermato dalle notizie del corredo
e del rituale funebre. L' hydn'a era utilizzata come cinerario probabilmen-
te per una sepoltura femminile e al suo interno sono stati rinvenuti, oltre
alle ossa combuste, alcuni balsamari in alabastro. Il vaso era collocato
all'interno di un dolio, sul fondo del quale, grazie a un'intuizione recentis-
sima, sono stati recuperati, dopo più di 200 anni dalla scoperta, i residui
del rogo funebre, selezionati al momento della deposizione e distinti dal
corredo che accompagnava la morta. Frammisti alla terra del rogo si sono
rinvenuti legumi e cerali carbonizzati, alcune foglie, forse, di vite, quattro
conchiglie e una serie di oggetti in frammenti: tra gli altri, spille, coltelli,
un falcetto e due o più strigili in ferro. Questi materiali possono essere
considerati vere o proprie offerte tributate alla defunta durante un ritua-
le funebre che rivela una complessità simile a un atto di culto. A tale
proposito, significative sono le dediche del falcetto e degli strigili: il primo
rimanda alla sfera cerealicola e, probabilmente, al mondo di Demetra e
Kore; gli strigili costituiscono gli strumenti utilizzati per detergere il sudo-
re dopo gli esercizi della palestra e, quindi, sono tipici dell'universo
maschile, ma, al tempo stesso, possono collegarsi alla sfera del matrimo-
nio e, in particolare, al rito del lavaggio del corpo della sposa.
A Fratte la quasi totalità dei vasi attici rinvenuti nella necropoli si
concentra in una zona ristretta del sepolcreto indagata nel 1927 e nel
196T si tratta di esemplari di grandi dimensioni e particolare impegno,
tra cui spicca un dinos su alto sostegno a figure nere (tombe VI-XV del
1967) e, ancora una volta, una hydria a figure rosse del "Pittore di Kleo-
phrades", recante sul corpo una scena di corteggiamento erotico e, sulla
spalla, l'episodio di Eracle derubato nel sonno delle sue armi dai satiri.
Poiché i vasi non sono stati rinvenuti all'interno di strutture tombali, si è
a ragione ipotizzato che essi fungessero in origine da cinerario in sepoltu-
re a cremazione non riconosciute al momento della scoperta.
Un superiore livello di gerarchia esprime in Campania settentriona-
le un esiguo numero di tombe a cremazione documentate a Cuma,

92
5. L'ETÀ DI ARISTODEMO (524-484 A.C.)

Capua, Suessula e Calatia, in cui i cinerari sono costituiti da dinoi di


bronzo, prowisti di coperchio, come nel caso sopra ricordato del "Lebe-
te Barone". Essi erano collocati in sepolture contraddistinte da un' archi-
tettura particolare: veri e propri ricettacoli in tufo di forma parallelepi-
peda (le cosiddette "tombe a cubo"), in cui risultano costantemente
associati a un servizio formato da un'anfora e una coppa attica figurate.
I dinoi rappresentano i prodotti di una o più officine specializzate,
operanti tra Cuma e Capua, riservati a una ristretta committenza aristo-
cratica accomunata dall'esibizione di uno stesso modello ideologico. Sul
labbro e sul corpo sono decorati con fregi di linguette e motivi vegetali,
ma, soprattutto, sono ornati da figurine plastiche applicate sul labbro e
sull'apice del coperchio: giovani atleti (corridori, discoboli, saltatori) e
cavalieri, un offerente che porta sulle spalle un ariete e una fanciulla che
reca il bocciolo, satiri e menadi danzanti, sirene e arpie, in un ricco e
variegato repertorio iconografico che rimanda al mondo giovanile delle
pratiche sportive e dei rituali di passaggio verso la condizione di adulto.
A una stessa prospettiva riconduce la scelta della forma vascolare, in
quanto il dinos costituisce uno dei premi attribuiti negli agoni sportivi,
come provano le dediche commemorative di esemplari in bronzo rinve-
nuti in tombe della Grecia propria.
Ma impressionante è, soprattutto, il contesto di una tomba cumana
in cui al dinos si associava un bacino di bronzo, anch'esso impreziosito
dall'iscrizione che lo connette ai giochi funebri in onore di un nobile
chiamato Onomastos.
È in questa dimensione che acquista un valore paradigmatico la
scena del "Lebete Barone", l'unico che accoglie sul corpo una decorazio-
ne figurata: il tema di Eracle e la mandria di Gerione è inserito all'inter-
no di una rappresentazione più ampia in cui è assimilato a un agone
sportivo, risultando associato a una corsa di carri, alla lotta e al pugilato:
del resto, nella tradizione antica Eracle è l'atleta per eccellenza, fondato-
re dei Giochi olimpici e patrono dei giovani.

93
6

La crisi della città arcaica


(v sec. a.C.)

6.1
Le contraddizioni dello sviluppo.
La chiusura oligarchica

La storia del mondo campano si è finora delineata come un processo in


continua espansione, ma le ragioni stesse del suo sviluppo finiscono per
innescare elementi di contraddizione politica e sociale che alla fine
conducono il sistema alla crisi.
Il territorio campano non è l'unico a essere colpito da una crisi che
si configura come un processo di portata più generale: essa investe anche
il Lazio e !'Etruria meridionale costiera, travolgendo, nel suo insieme, un
mondo accomunato negli assetti economici e sociali, che sin dall'età del
Ferro aveva sviluppato un rapporto di reciproca integrazione, di cui
Aristodemo ha rappresentato l'ultimo e più emblematico interprete.
Basti ricordare che il tiranno, vittorioso per due volte contro gli Etruschi
provenienti dall'Adriatico o al seguito di Porsenna, accoglie a Cuma
Tarquinio il Superbo, l'ultimo re etrusco di Roma, proclamandosi, alla
morte, l'erede dei suoi beni che, invano, tenta di rivendicare nei confron-
ti della nuova Repubblica.
Alla caduta di Aristodemo a Cuma un'aristocrazia conservatrice e
agraria riassume il controllo della città, inaugurando una politica dirigi-
da chiusura che interrompe l'accelerazione produttiva impressa dal
tiranno; l'obiettivo è indebolire le forze sociali che avevano sostenuto
Aristodemo: il ceto urbano intermedio consolidatosi attraverso il fiorire
delle attività artigianali e dei commerci.
La stessa tendenza si verifica a Capua in cui, come si è detto, gli
oppositori di Aristodemo hanno ricevuto ospitalità e sostegno dagli
aristocratici campani: intorno al 470 a.C. si registra l'abbandono del
quartiere del Siepone e della contigua area artigianale dell'Alveo Marot-
ta; contemporaneamente si procede alla costruzione delle mura in cui si
è giustamente riconosciuto il segno dell'isolamento della città rispetto al
territorio. Gli effetti di questa politica di contenimento si riflettono nel
crollo della committenza pubblica, evidente, in primo luogo, nel settore

95
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

dell'architettura sacra, dove non si registrano nuove costruzioni templa-


ri o non si procede alla sostituzione dei tetti: la nuova classe dominante
accumula una ricchezza nascosta, tesaurizzata e non più reinvestita
nell'espansione della città e dei suoi consumi, per non alimentare la
crescita di segmenti sociali antagonisti.

6.2
La seconda battaglia di Cuma

La serrata oligarchica suscita reazioni e lascia un vuoto che nuove e più


dinamiche realtà all'interno del territorio regionale non tardano a col-
mare.
Innanzitutto si muovono gli Etruschi delle città costiere che, nel
tentativo di ripristinare gli antichi circuiti di traffico, nel 474 a.C. attacca-
no Cuma: ormai la città greca non può fare da sola ed è costretta a richie-
dere l'intervento di Siracusa. Così lo storico Diodoro Siculo (Xl, 51) regi-
stra l' awenimento:

lerone re dei Siracusani, essendo venuti presso di lui ambasciatori di Cuma


d'Italia a chiedere alleati contro i Tirreni padroni del mare, inviò in aiuto nume-
rose triremi. I comandanti di queste navi combatterono con le forze locali contro
i Tirreni e, distruggendo molte loro navi, ottennero una grande vittoria. Umilia-
rono i Tirreni, liberarono i Cumani dal terrore e tornarono a Siracusa.

La battaglia navale di Cuma è, dunque, un successo di Siracusa e, in


particolare, del tiranno lerone che a Olimpia dedica con il suo nome
elmi strappati agli «Etruschi da Cuma»: Pindaro (Pyth. I, 71-80) parago-
na lo scontro ad altre epocali vittorie contro i barbari come quelle conse-
guite dallo stesso Ierone contro i Cartaginesi a lmera in Sicilia o dai
Greci nelle guerre persiane.
Se i tentativi etruschi di recuperare il controllo del basso Tirreno
sono ormai definitivamente frustrati, anche il ruolo di Cuma esce molto
ridimensionato: Siracusa impone la sua autorità, lasciando una guarni-
gione a Pitecusa. Si tratta, però, di un'occupazione effimera, che tramon-
ta addirittura prima della morte del tiranno siracusano nel 467 a.C.: è,
allora, Napoli che emerge come la nuova padrona del Golfo.

6.3
Napoli

Della città, come è noto, soprawive ancora l'originario impianto urbani-


stico, scandito dalle strade ortogonali inglobate nel tessuto del centro
storico: esso sostituisce l'antico insediamento di Partenope fondato da
Cuma alla fine dell'vm secolo a.C. sulla collina di Pizzofalcone che da
questo momento diviene la Palepoli (la "Città vecchia") (TAV. 6.1 online).
6. LA CRISI DELLA CITTÀ ARCAICA (V SEC. A.C.)

FIGURA 6.1
Pitecusa: antefissa con testa di gorgone entro nimbo

o 2 4 6 8 10 cm

Napoli assume rapidamente il ruolo prima svolto da Cuma, ripristinando


il controllo di punti cruciali per il controllo della navigazione e dei traf-
fici: Punta della Campanella, Capri e, soprattutto, Pitecusa.
Nel santuario di Punta della Campanella resti dei rivestimenti fittili
attestano una fase architettonica della seconda metà del v secolo; a Capri
una tradizione riportata da Virgilio (Aen. VII, 733 ss.) localizza il leggen-
dario regno di Telon, sposo della ninfa Sebethis: entrambi i personaggi
recano nomi parlanti, con il primo che richiama il termine greco telos
applicato al dazio marittimo e la seconda che evoca in modo trasparente
quello del Sebeto, il fiume di Napoli.
Ancora più interessante è il caso di Pitecusa cui la propaganda napo-
letana assegna il ruolo di vera e propria città madre al posto di Cuma
(Livio VIII, 22, 5): difficile non riconoscere in questa operazione il distac-
co che ormai separa la Cuma oJigarchica dalla "Città nuova" protesa sul
mare e aperta al commercio. E in questa prospettiva che sull'acropoli
dell'isola, a Monte Vico, è eretto alla fine del v secolo un edificio templa-
re, di cui restano solo pochi resti della decorazione architettonica: non a
caso, a essi si associano altri frammenti pertinenti a un più antico rivesti-
mento di età arcaica, a confermare l'appropriazione da parte della città
dell'eredità cumana (FIG. 6.1).
Napoli instaura relazioni privilegiate con Atene che, addirittura, in
una tradizione riportata da Strabone (v, 4, 7) partecipa alla sua rifonda-

97
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

zione. In questi termini è percepita dalle fonti l'ambasceria a Napoli


dell'ammiraglio ateniese Diotima intorno alla metà del v secolo: egli,
seguendo le prescrizioni di un oracolo, istituisce in onore di Partenope
una gara di corsa al lume delle fiaccole.
Atene ha bisogno di Napoli per garantirsi gli approvvigionamenti di
grano di cui ha esigenza crescente soprattutto quando, durante la guerra
del Peloponneso (431-404 a.C.), è costretta a rinunciare allo sfruttamen-
to estensivo del suo territorio agricolo. Napoli assume, allora, una
funzione indispensabile di intermediazione, ponendosi al centro del
processo di scambio: da un lato, raccoglie ed esporta verso Atene le ecce-
denze cerealicole prodotte nel fertile entroterra campano; dall'altro,
smista presso le comunità locali i prodotti artigianali di lusso importati
da Atene, in primo luogo le pregiate ceramiche a figure rosse.
Per alimentare questo complesso sistema di circolazione la città
greca guarda ormai verso la Valle del Sarno e la mesogeia: suo partner
paritario diviene la città di Nola.

6.4
Nola e Nocera:
il processo di "sannitizzazione"
Alla fine del VI secolo il mondo indigeno delle pianure centrali è investi-
to da un profondo rivolgimento culturale e politico. Tale cesura si mani-
festa significativamente a livello linguistico poiché nelle iscrizioni tomba-
li il più antico dialetto paleoitalico è sostituito da testi in lingua sannitica,
ma redatti con l'alfabeto etrusco: essi sono espressione di una compo-
nente italica, la cui presenza è stata connessa al grande movimento di
popolazioni suscitato dalla spedizione contro Cuma del 524 a.C. Come si
è già ricordato, infatti, la coalizione degli Etruschi e dei barbari sembra
penetrare in Campania da sud, attraverso la Valle del Sarno.
Il processo di "sannitizzazione" è registrato nella tradizione storica
che, almeno dalla metà del IV secolo, colloca i Sanniti sulla fascia costie-
ra tra il Golfo di Napoli e il Sele (Pseudo Scilace 11 [GGM I, p. 19]): le
nuove dinamiche del popolamento incidono sulle strutture politiche del
territorio, imprimendo trasformazioni istituzionali riflesse dai nomi
"parlanti" dei principali centri urbani di Nola e Nocera. Entrambi signi-
ficano, infatti, la "Città nuova" nel dialetto osco delle popolazioni itali-
che che, così, rivendicano il primato politico delle origini. Poiché il nome
di Nola è già conosciuto nelle fonti della fine del VI secolo (Ecateo di
Mileto in Stefano di Bisanzio, s.v. Nola), si può supporre che la forma-
zione dei nomi delle due città indigene sia contemporanea e in relazione
diretta con quella di Neapolis, la "Città nuova" dei Greci: rappresenta,
quindi, una formidabile operazione di identità e autonomia, che per la
prima volta si ammanta di colori etnici attraverso l'esibizione della lingua
nazionale.
t>. LA CRISI DELLA CITTA ARCAICA \V SEC. A.C.J

Se valgono come proiezione politica verso l'esterno, le nuove deno-


minazioni urbane servono anche a marcare il salto di qualità rispetto
agli assetti precedenti: in questo senso la "Città nuova" di Nocera
soppianta la precedente organizzazione comunitaria fondata sull'antica
touto documentata dalla ricordata iscrizione paleoitalica della tom-
ba 107 (PAR. 4.5).

6.5
Le città etrusche
Nel clima di tensioni crescenti alimentato dal tramonto del sistema di
cooperazione delle società arcaiche e dalla conseguente affermazione di
nuove realtà politiche e territoriali, anche le città etrusche avvertono per
la prima volta l'esigenza di rivendicare la loro autonomia ancorandola al
paradigma etnico.
A questo periodo potrebbe risalire la formazione del nome di Tyrse-
ta (Filisto, FGrHist 556 F 42) che designa un insediamento da ubicare
probabilmente nell'Agro Picentino: forse Fratte o Pontecagnano. Il
nome è ricalcato su quello degli Etruschi (Tyrrhenoi/Tyrsenoi) e valoriz-
za un principio di designazione che si richiama alla stirpe, sostituendo la
più antica tradizione toponomastica regionale che deriva da nomi genti-
lizi (Amina ... s/Marcina). Si può supporre che la formazione del nome di
Tyrseta si connetta al processo di ristrutturazione urbana che alla fine del
VI secolo investe Fratte e Pontecagnano e che, nel caso di quest'ultimo
centro, contempla un rituale di fondazione che ne valorizza la matrice
etrusca.
La stessa dinamica può riconoscersi per Capua. Si è ricordato (CAP. 2)
il passo dello storico Velleio Patercolo (1, 7) che riporta due tradizioni
sulla fondazione della città etrusca. Mentre la più antica, discussa in
precedenza, rimanda all'orizzonte mitico della guerra di Troia, la secon-
da, attribuita a Catone, la fa risalire a 260 anni prima della conquista da
parte di Roma: al 471 a.C., se si parte dalla data del 2u a.C., quando
Capua, passata ad Annibale, è espugnata e distrutta da Roma.
L'eco di una rifondazione della città nel corso del v secolo si ritrova
in una breve notizia di Livio (1v, 37), secondo il quale nel 423 a.C. «Voltur-
num, città degli Etruschi, che oggi è Capua, è conquistata dai Sanniti ed è
chiamata Capua dal loro comandante Capi o, meglio, dal nome dell'agro
campestre». Sulla cosiddetta "conquista sannitica" di Capua si tornerà
nel capitolo successivo, ma ora è necessario sottolineare come Livio attri-
buisca alla città il nome etrusco di Volturnum al posto di quello più anti-
co di Capua ricordato dalle fonti alla fine del VI secolo e ripristinato dai
conquistatori italici dopo il 423 a.C. Il nome richiama quello della comu-
nità Velthur citato nella Tabula Capuana e lascia intravedere una soluzio-
ne di continuità negli assetti istituzionali della città antica, che la tradizio-
ne addita come un atto di vera e propria rifondazione.

99
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 6.2
Capua: tomba III in località Quattro Santi (disegno ricostruttivo)

In tale cesura può riconoscersi la ristrutturazione della città oligarchica


che imprime un nuovo ordine politico fondato su un rigido controllo
sociale: un perno di tale strategia conservatrice diviene il valore discrimi-
nante attribuito alle origini etrusche per legittimare una ristretta classe
dominante che rifiuta integrazioni e aperture.
Anche per Volturnum l'ideologia del privilegio etnico si accompagna
al rituale religioso della fondazione urbana: il nuovo nome attribuito alla
città è, infatti, collegato dall'erudizione antica (Servio, ad Aen. x, 145) a
quello del vultur, l'avvoltoio che nel mito della fondazione di Roma
rappresenta l'uccello augurale connesso all'auspicio che consente a
Romolo di prevalere su Remo.

l00
6. LA CRISI DELLA CITTÀ ARCAICA (v SEC. A.e.)

Volturnum dunque, si pone come una città realizzata dagli Etruschi


con il consenso divino: il paradigma della sua rifondazione oligarchica è
probabilmente riconoscibile nell'unica tomba a camera dipinta div seco-
lo a.C. rinvenuta nelle necropoli della città antica.
Si tratta della tomba III scoperta in località Quattro Santi sul versan-
te settentrionale della città, lungo la strada verso il Tifata: databile intor-
no al 470 a.C., in essa sono raffigurati due personaggi seduti, concentra-
ti in un gioco simile alla dama alla presenza di due fanciulli (FIG. 6.2).
Le figure sono rappresentate con la dignità e la gravità proprie degli
anziani, impegnati in un gioco che non richiede forza o destrezza ma
capacità di riflessione. La pratica della dama assume in questa prospetti-
va un valore specifico: nella tradizione antica essa è, infatti, assimilata
all'attività del legislatore che pianifica la città e il ruolo dei cittadini con
lo stesso rigore con cui il giocatore muove le pedine sulla scacchiera. I
giocatori della tomba di Capua si caricano, quindi, di un valore emble-
matico: esprimono l'immagine di un ristretto gruppo dominante che si
arroga il compito di pensare per gli altri e di riprogettare la comunità
politica incasellando ciascuno nelle proprie funzioni. Ma questo tentati-
vo di restaurazione è destinato a una vita molto breve, perché non è in
grado di contenere le spinte sviluppate da forze sociali antagoniste all'in-
terno della città e nel territorio della grande pianura.
L'aristocratica Volturnum non lascia segni archeologici ed è ben
presto travolta dalla conquista del popolo italico dei Campani.

l01
7

La conquista italica
(seconda metà v-1v sec. a.C.)

7.1
Il popolo dei Campani e la conquista di Capua e di Cuma
Diodoro Siculo (Xli 31, 1) riferisce senza ulteriori commenti che nel 438
a.C. «si costituì in Italia il popolo dei Campani». Quale avvenimento si
cela dietro questa breve notizia e chi sono i Campani che innovano il
quadro regionale del popolamento? Non si tratta di un invasore esterno
che irrompe improvvisamente sulla scena, ma della formazione di una
nuova realtà politica all'insegna dell'autocoscienza etnica.
I Campani rappresentano le comunità indigene della pianura solca-
ta dal Volturno che da molti secoli hanno imparato a convivere e con-
frontarsi con gli Etruschi e i Greci in una dinamica di interazione che li
ha portati a raggiungere un elevato livello di maturazione politica. Un
mondo periferico ma profondamente integrato nel sistema produttivo
fondato sull'asse Cuma/Capua, che può garantire la disponibilità di
un'ingente riserva di forzalavoro a un'economia a elevato livello di
sviluppo e, al tempo stesso, fornisce un mercato interno alla circolazione
di merci e artigiani. In esso i meccanismi di controllo si concentrano
nelle mani di un ristretto ceto aristocratico insediato nei centri urbaniz-
zati, ,di cui si conservano le ricche sepolture.
E a questa realtà indigena consolidata e complessa che la politica di
chiusura delle città oligarchiche preclude l'accesso alle fonti di ricchezza,
provocandone una reazione che si concreta nella dimensione politica
dell'etnogenesi: l'identità etnica non si coagula intorno a un progenitore
mitico, ma si identifica nella nozione antagonistica del campus, ovvero
della campagna indigena contrapposta alla serrata discriminante delle
comunità urbane greche ed etrusche.
Nel conflitto che inevitabilmente si produce i Campani trovano un
sostegno all'interno delle stesse compagini di Capua e Cuma nell'ampio
serbatoio di manodopera subalterna e nelle forze produttive messe in
crisi dalla restaurazione oligarchica, cosicché la sua affermazione proce-
de con una progressione inarrestabile: nel 423 a.C. i Campani conquista-
no Capua, nel 421 Cuma.

103
GLI ANTICHI POPOLI OEl.l.A CAMPANIA

FIGURA 7.1
Cuma, tomba dipinta (dipinto)

La conquista dell'antica colonia greca ripristina l'unità del sistema terri-


toriale della pianura e del suo sbocco costiero e quando nel 411 a.C. i
Romani hanno bisogno di rifornirsi di grano, si rivolgono ai «Sanniti che
avevano Capua e Cuma» (Livio IV, 52, 6).
È interessante verificare come le fonti storiche descrivano la conqui-
sta dei Campani. Livio (x, 38) ricorda il rituale praticato dall'esercito al
momento di strappare Capua agli Etruschi: un giuramento che impegna
fino all'ultimo sangue «i più nobili per sangue e azioni». Questi formano
il corpo scelto della "legione linteata", che indossa tuniche di lino sull' ar-
matura ed è dotata di «armi sfavillanti ed elmi crestati» per distinguersi
in mezzo alla battaglia. Dunque, un esercito di fanteria in grado di
combattere a ranghi serrati come le falangi oplitiche delle città greche e
le legioni di Roma: ne emerge il quadro di una forza politicamente orga-
nizzata sotto il controllo delle aristocrazie ed è significativo che una possi-
bile raffigurazione della legione linteata sia stata riconosciuta nel registro
superiore di una tomba dipinta a Cuma (fine IV sec. a.C., FIG. 7.1).
7. LA CONQUISTA ITALICA (SECONDA METÀ V-IV SEC. A.C.)

I Campani prendono Capua con l'inganno (Dionigi di Alicarnasso xv,


3, 7; Livio IV, 37, 1-2}: essi dapprima si integrano pacificamente al suo inter-
no per poi impadronirsi a tradimento della città con la violenza; nel caso di
Cuma, invece, la conquista è esplicitamente connessa a una vittoria milita-
re e i nuovi signori sostituiscono gli antichi cittadini impossessandosi delle
loro case e delle donne (Diodoro Siculo XII, 76, 4; Strabone v, 4, 4): un
riflesso archeologico della caduta della città greca è stato riconosciuto nella
generalizzata distruzione alla fine del v secolo dei monumenti dell'agorà,
nella zona della città bassa, alle pendici dell'acropoli. Anche se attraverso
un'ottica tendenziosa che sottolinea la perfidia e l'inaffidabilità dei barba-
ri, gli storici sottolineano come i Campani si inseriscano nelle comunità
urbane senza rovesciarne le strutture organizzative; la nuova aristocrazia
indigena, da lungo tempo partecipe del sistema delle città, prende il posto
di quella esautorata con la forza, recuperando l'antico sistema di coopera-
zione territoriale nel segno di una comune coscienza etnica.
In questa dimensione assume la massima importanza una serie di
emissioni monetali in argento, concentrate tra la fine del v e il primo
venticinquennio del IV secolo, che recano gli etnici delle nuove comuni-
tà indigene, alcune delle quali non sempre immediatamente identificabi-
li: i Campani (TAV. 7.1 online), i Cumani, Nola, gli Hyrietes, i Fenserni,
Allzfae, i Fistelii.
Il dato numismatico riflette la conclusione del processo di ristruttu-
razione del popolamento innescato dalla disgregazione degli antichi
equilibri regionali: nuove e molteplici realtà istituzionali vengono ora alla
ribalta, ciascuna in grado di rivendicare, attraverso l'esibizione del nome,
una propria identità politica. Tale dinamica passa attraverso l'appropria-
zione di un'economia monetaria e, in questa prospettiva, un fondamen-
tale ruolo di intermediazione è svolto da Napoli, alla cui zecca si deve
con ogni probabilità attribuire la coniazione monetale per conto delle
comunità indigene.

7.2
La politica di Napoli

L'apertura nei confronti del mondo campano consente a Napoli di reagi-


re meglio ai grandi cambiamenti che, invece, travolgono le strutture
chiuse di Capua e Cuma. Strabone (v, 4, 7) ricorda che, a causa di contra-
sti interni, i Napoletani ammettono nella cittadinanza un nucleo di
Campani e che questa componente si integra fino a ottenere l'accesso alla
più alta magistratura cittadina, rappresentata dalla carica del demarco.
L'emergere della componente italica all'interno della città è, dunque,
esplicitamente connesso al superamento di una fase di turbolenze socia-
li che conducono infine all'ampliamento del corpo dei cittadini.
Dietro questo dinamica si profila la stessa tensione conflittuale che
altrove produce uno sbocco violento: uno scontro sociale e politico che

105
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

assume il carattere della contrapposizione etnica. Se a Napoli la crisi non


si risolve in modo traumatico, è per la sua peculiare vocazione di città
marittima votata all'intermediazione e al commercio che, priva di un
vasto territorio, sin dall'inizio si apre verso il mondo indigeno per acqui-
sire le risorse indispensabili in termini di prodotti primari e di manodo-
pera. Tra le risorse che la città greca drena dall'entroterra figura proba-
bilmente anche l'arruolamento di truppe mercenarie che, come si vedrà
successivamente (PAR. 7.4), acquista un peso rilevante nelle dinamiche di
ristrutturazione del territorio regionale.
In questa dimensione più favorevole ai fenomeni di integrazione e
mobilità, l'accoglienza dell'elemento campano si inquadra nel rinnova-
mento in senso democratico delle strutture politiche, in un'estensione
del diritto di cittadinanza nonostante le resistenze di una fazione conser-
vatrice.
L'immagine di una compagine dalle molteplici componenti cultura-
li traspare dalle tombe della necropoli urbana di Castel Capuano, con i
corredi che, nella selezione degli oggetti, riflettono l'adesione a forme
rituali atipiche rispetto ai modelli ellenici e piuttosto affini alle manife-
stazioni della Campania indigena. Spicca soprattutto la presenza di un
vaso connesso al simposio come il cratere, utilizzato per stemperare il
vino con l'acqua, poiché la relazione tra la sfera simpotica e la pratica
funeraria è estranea alla mentalità greca, caratterizzando piuttosto i
contesti funebri etruschi e indigeni.

7.3
Gli indicatori archeologici del cambiamento

Proprio perché scaturisce dalle contraddizioni interne al sistema, l'affer-


mazione politica dell'elemento indigeno passa attraverso un rinnova-
mento che si realizza al prezzo di tensioni e cesure, di cui l'evidenza
archeologica lascia traccia. Le dinamiche conflittuali interne ed esterne
e il mutamento del quadro sociale innescano una fase prolungata di
incertezze, segnalata da un'impressionante caduta delle attività artigia-
nali che, anche se in modo non uniforme, investe l'intero territorio regio-
nale fino al termine del v secolo. Essa accompagna la ristrutturazione dei
meccanismi produttivi e delle forme di sfruttamento del territorio,
comportando la ridefinizione di gerarchie e funzioni insediative. La
natura ancora frammentaria della documentazione disponibile impone
di procedere per campioni e l'esempio forse più significativo è costituito
dal caso di Pompei, quale sembra concretarsi alla luce dei risultati delle
ultime scoperte.
La città, che all'inizio del v secolo rinnova il circuito di fortificazione,
intorno alla metà dello stesso subisce un'evidente contrazione segnalata
non solo dalla documentazione delle aree pubbliche, ma anche da feno-
meni di abbandono rilevati in varie zone dei quartieri abitativi. La stasi

I06
7. LA CONQUISTA ITALICA (SECONDA METÀ V-IV SEC. A.C.)

ha effetti prolungati e la ripresa interviene solo nella parte finale del IV


secolo a.C.
La crisi dell'insediamento è imputabile al declino della sua funzione
di scalo marittimo sul circuito delle rotte di età arcaica e riflette un ridi-
mensionamento rispetto alle "città nuove" di Nola e Nocera che, al
contrario, non sembrano risentire di analoghi fenomeni di ripiegamento:
la ridotta occupazione che sembra intravedersi per il centro urbano può
rivelare in negativo una politica di ripopolamento della campagna, con
una riconversione in senso agricolo dell'economia della città. L'immagi-
ne di campagne popolate da agrestes è, del resto, tramandata da Livio (IX,
28 e 38) per i territori di Nocera e di Nola ancora al tempo della seconda
guerra sannitica, alla fine del IV secolo a.C.
Una crisi ancor più radicale investe Fratte, del resto accomunata a
Pompei da una simile propensione verso il commercio e lo scambio:
dalla metà del v secolo la città subisce un progressivo ridimensionamen-
to per essere abbandonata alla fine dello stesso; come a Pompei, una
ripresa interviene solo nella seconda metà avanzata del IV secolo a.C., in
un contesto politico profondamente rinnovato.
Ma una fase di discontinuità sembra attraversare anche la comunità
di Pontecagnano che pure, da tempo, ha riconvertito la propria econo-
mia verso lo sfruttamento del territorio agricolo. I santuari attestano uno
stesso fenomeno di contrazione nel corso del v secolo e nell'abitato,
dopo la fase iniziale dell'impianto, non si colgono interventi di manuten-
zione nel tessuto edilizio e urbanistico fino al passaggio tra il v e il IV
secolo a.C.
Se l'insieme di questi dati riflette "in negativo" le modalità e le cesu-
re dei processi di trasformazione, altri indicatori archeologici testimonia-
no concretamente dalla fine del v secolo l'impatto suscitato dalle nuove
formazioni politiche. Esse continuano a basarsi sul complesso sistema di
funzioni della precedente organizzazione urbana, di cui si affermano
eredi e titolari legittime: non a caso, alla caduta di Cuma, i Campani
subentrano nel possesso delle donne e delle case, fatto che sancisce l'in-
clusione nella cittadinanza.
La stessa dinamica di continuità e rifunzionalizzazione si verifica
nella gestione degli abitati e può essere esemplificata dalla dialettica che
si coglie tra i criteri di occupazione delle necropoli e l'organizzazione dei
santuari. I sepolcreti continuano a sfruttare gli spazi esterni all'abitato,
loro riservati al momento della più antica pianificazione, ma nel tessuto
funerario si riconoscono dinamiche molto articolate di discontinuità sia
nel riuso dei precedenti appezzamenti sia, soprattutto, nell'occupazione
di aree non utilizzate in precedenza.
Un esempio macroscopico è quello di Capua dove le necropoli di IV
secolo utilizzano ex novo un'ampia fascia suburbana a nord e soprattut-
to a est delle mura (FIG. 7.2), ma ugualmente significativa appare la docu-
mentazione di Pontecagnano dove l'analisi sistematica dei contesti

107
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

consente di verificare l'apporto progressivo di nuovi gruppi che utilizza-


no gli antichi spazi sepolcrali o si installano in aree libere ai margini
dell'abitato.
Se attraverso le necropoli si delineano le tappe di un processo di
aggregazione urbana alimentato da correnti di attrazione e mobilità, la
documentazione dei santuari riflette la nuova immagine della comunità
politica. Le aree sacre già fiorenti in età arcaica conservano le proprie
funzioni all'interno dei paesaggi rinnovati della città e del suo territorio
secondo una linea di continuità che evidenzia la sopravvivenza delle
precedenti strategie di pianificazione. Ciò che cambia sono le forme del
culto in cui un pantheon italico sostituisce il sistema religioso della fase
precedente, ereditandone le funzioni.
Ancora una volta conviene iniziare da Capua per l'ampia documenta-
zione storica ed epigrafica disponibile. In precedenza (PAR. 4.7.1) si è ricor-
data l'eminente funzione pubblica rivestita dal santuario extraurbano di
Hamae dove ancora ai tempi di Annibale si svolge la festa solenne connes-
sa al senato federale dei Campani. Una significativa vicenda di continuità
traspare anche nella rifunzionalizzazione del culto a Fondo Patturelli.
A esso si riferisce una serie di piccole stele in terracotta o in tufo iscritte
in osco, denominate iuvilas dal nome di Giove venerato nel santuario con
l'epiteto di "Dio della folgore" (Iuppiter Flagius) (TAV. 7.2 online); le iscri-
zioni, databili tra il ve il III secolo a.C., descrivono lo svolgimento di ceri-
monie connesse a un culto funebre di carattere familiare o gentilizio. Gli
adempimenti rituali sono prescritti all'interno di un calendario liturgico e
prevedono la partecipazione dei magistrati della città (meddices), deline-
ando un quadro cerimoniale sostanzialmente analogo a quello attestato
per Capua etrusca dalla Tabula Capuana: tale relazione è emblematica-
mente riassunta dalla conservazione del sistema calendariale arcaico,
fondato su un anno lunare di dieci mesi. La continuità del culto è, d'altra
parte, assicurata dalla persistenza della dedica delle statue di "madre" che
attraversa tutta la vita del santuario: mentre si sviluppa una ricca produ-
zione parallela in terracotta eseguita a matrice, le statue in tufo esibisco-
no in modo ostentato la funzione materna attraverso la moltiplicazione
dei bambini in fasce in braccio alla madre (TAV. 7.3 online).
Titolare del santuario diviene l'italica Cerere, la dea regina connessa
alla sfera della terra e alla funzione del crescere, che riassume in sé le
competenze del più antico sistema di divinità descritto nella Tabula: la
sostituzione della sfera di Uni/Era con quella di Cerere esemplifica nella
persistenza delle coordinate e delle funzioni di culto le matrici comples-
se d~l passaggio dalla città etrusca a quella campana.
E in questa prospettiva che si può richiamare il contesto del santua-
rio di Atena a Punta della Campanella in cui, come si è già ricordato
(PAR. 4.7.4), un'iscrizione rupestre in osco della prima metà del II secolo
a.C. attesta la presenza dei Meddices Minervii addetti al culto della dea: il
nome di Minerva con cui è designata Atena rivela un processo di assimi-

I08
7. LA CONQUISTA ITALICA (SECONDA META V-IV SEC. A.C.J

FIGURA 7.2
Capua: l'impianto urbano e le necropoli di IV secolo a.C.

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\ Diana TIFATA
Tifatina

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. 1··:----·-,,,
\.. i Fondo'·,...._
\.... j Patturelli '•,,

....... Limiti del]' abitato antico


.
··············----···· •········
Viabilità antica O 100 ljO jOO m
n....r-,
O Necropoli di 1v sec. a.C.

lazione da parte della comunità italica che ha integrato il culto e le sue


funzioni all'interno del proprio paesaggio sacro.
Un indicatore non meno rilevante di cambiamento è costituito dal
rinnovamento del sistema della cultura materiale: in particolare conviene
ricordare lo sviluppo di officine ceramiche a figure rosse, che impiegano
un repertorio di temi e scene funzionali all'immaginario e alle esigenze di
autorappresentazione delle élites locali.
La fabbrica più antica è quella che produce il gruppo cosiddetto "del
Pilastro della Civetta", probabilmente localizzabile a Nola. La produzio-
ne, che sembra compresa tra il secondo e il terzo quarto del v secolo,
presenta punti di contatto con quella, già trattata (PAR. 5.2), dei vasi
capuani a figure nere: essa utilizza un numero ristretto di forme vascola-
ri tra cui, soprattutto, l'anfora a collo distinto, ma, al tempo stesso, si
caratterizza per una ricca varietà dei soggetti iconografici, tratti dal
repertorio della ceramica attica (TAV. 7.4 online).
Sono attestati rari soggetti mitologici, talora resi con soluzioni origi-
nali, come, ad esempio, quello di Eracle che sorregge la volta del cielo

109
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

alla presenza di Era, ovvero scene ricche di simbolismi non facili da scio-
gliere, che alludono a temi propri dell'identità aristocratica: a rituali di
carattere ctonio, al motivo della resurrezione dopo la morte, al mito
dell'autoctonia che acquista un cruciale valore ideologico nel clima di
formazione delle nuove realtà politiche regionali.
Tra le altre, si può citare la scena dipinta su un cratere, raffigurante la
vestizione di un guerriero alla presenza di due donne. La scena riprende
uno schema canonico nella ceramica attica, in cui l'oplita si arma alla
presenza del gruppo familiare, ma sul vaso campano la scena è adeguata
alle coordinate locali: il guerriero indossa una lunga veste e un alto copri-
capo a punta simile a quello calzato da teste votive in terracotta rinvenu-
te nei santuari di Teano e la donna gli porge i calzari al posto dei più
canonici schinieri.
Allo scorcio del v secolo inizia a Napoli una nuova produzione figu-
rata, probabilmente connessa al trasferimento di maestranze attiche: il
fenomeno rientra in quello più ampio della formazione di officine regio-
nali di vasi a figure rosse che dalla seconda metà del v secolo interessa la
Magna Grecia e la Sicilia. La produzione campana si sviluppa per tutto il
corso del IV secolo: essa è stata suddivisa in tre ampie officine localizzate
a Capua e Cuma.
Dopo una fase iniziale in cui nell'iconografia vascolare sono recepiti
complessi temi mitologici, intorno alla metà del IV secolo si consolida un
repertorio figurato più specificamente connesso al patrimonio culturale
locale: predomina allora la celebrazione del guerriero, raffigurato in
combattimento eroico, come cavaliere nello schema del ritorno trionfale
o mentre riceve la libagione funebre appoggiato alla propria stele. Egli
indossa l'armatura sannitica, con l'elmo crestato, il cinturone e la coraz-
za a tre dischi; è accompagnato dalla propria donna che, a sua volta,
veste il costume tradizionale, con velo, copricapo e una mantellina sulle
spalle.
Anche la componente femminile ha, del resto, il diritto alla celebra-
zione della sua immagine: la donna può essere raffigurata come una dea
entro un'edicola sacra, circondata dai segni del suo status e della sua
bellezza.
L'iconografia vascolare esalta, attraverso la valorizzazione dei ruoli,
la centralità della coppia familiare come nucleo portante della famiglia
aristocratica. Secondo una stessa logica, l'ideologia funeraria sottolinea
la distinzione tra sepolture maschili e femminili attraverso il ricorso sele-
zionato nei corredi di marche di genere: gli uomini sono denotati dalle
armi (la cuspide di lancia o di giavellotto, il cinturone e, più raramente, la
corazza) e, in un secondo tempo, da uno strumento come lo strigile,
utilizzato per detergere il corpo dopo gli esercizi della palestra; le donne
ostentano un ricco costume e gli attributi connessi alla cura del corpo:
ornamenti personali, strumenti da toletta come lo specchio, vasi da
cosmesi.

no
7. LA CONQUISTA ITALICA (SECONDA METÀ V-IV SEC. A.C.)

Nel corredo ceramico l'elemento più caratteristico è l'olla acroma, il


vaso utilizzato per conservare il grano, inserito in tomba per evocare una
ricchezza fondata sul possesso della terra; il recipiente, sovente ricoper-
to da una coppa, si trova associato ad altri vasi interamente verniciati o
acromi, utilizzati per l'adempimento del rituale o connessi alla conserva-
zione di derrate e al consumo di cibi e di vino: alla sfera dell'offerta
alimentare o all'ambito del banchetto funebre alludono i resti di porzio-
ni carnee talora rinvenuti all'interno di coppe e piatti.
I vasi figurati ricorrono nel caso delle sepolture eminenti dove
concorrono a rappresentare l'immaginario dei gruppi di vertice; un'ana-
loga proiezione ideologica a un superiore livello di committenza è
connessa al fenomeno delle tombe dipinte che sarà preso in esame nel
paragrafo successivo.

7.4
Mercenari e cavalieri

Il consolidamento di un'ideologia aristocratica suggella l'affermazione di


un nuovo ordine sociale posto sotto il controllo di un'élite dominante
che si connota attraverso il ruolo militare. In questa dinamica assume un
ruolo non secondario il fenomeno del mercenariato.
Il territorio campano costituisce dalla fine del v secolo, probabil-
mente attraverso l'intermediazione napoletana, uno dei principali bacini
di reclutamento per le forze mercenarie che prestano servizio in Magna
Grecia e in Sicilia. Il loro intervento nell'isola è descritto da una nutrita
serie di fonti: essi arrivano ai tempi della spedizione di Atene contro Sira-
cusa, durante la guerra del Peloponneso, e poi combattono insieme a
milizie di altre etnie nelle lotte durissime che oppongono i Greci ai
Cartaginesi: in particolare, costituiscono le truppe scelte dei tiranni di
Siracusa Dionigi I (430-367 a.C.) e Dionigi II (397- dopo il 343 a.C.).
I mercenari campani non prestano servizio solo per la paga giorna-
liera: la remunerazione consiste soprattutto nel diritto alla preda di guer-
ra e nella concessione di vasti appezzamenti di terra, nei quali tendono a
stanziarsi stabilmente, formando comunità politicamente emancipate; la
loro capacità di organizzazione e radicamento è talmente forte che una
propaganda tendenziosa riconosce nella loro permanenza un fattore di
imbarbarimento delle matrici greche dell'isola.
Le fonti applicano alla presenza campana in Sicilia la stessa chiave di
lettura con cui trattano la conquista di Capua e di Cuma: proprio alla luce
di questo rapporto, che mette in evidenza una non dissimile aspirazione
di integrazione politica, non stupisce che anche le comunità mercenarie
avvertano l'esigenza di battere moneta con nomi etnici che richiamano i
loro territori di provenienza: Kampanoi, Tyrrhenoi, Sileraioi, con gli ulti-
mi due che evocano il distretto sannitico della Campania meridionale e la
regione bagnata dal Sele e il primo che si connette alla piana del Volturno.

III
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Un importante documento da correlare alla mobilità mercenaria è


costituito da un tesoretto rinvenuto nel santuario settentrionale di
Pontecagnano che ha restituito un gruzzolo di monete d'argento appar-
tenenti a diverse città magnogreche: si tratta probabilmente della dedica
di una parte del guadagno conseguito da un ingaggio militare.
Perché il fenomeno del mercenariato è così rilevante ai fini della
strutturazione delle comunità italiche della Campania? Per due regioni
distinte e, al tempo stesso, concorrenti: perché, da un lato, fornisce una
valvola di sfogo con cui regolare endemici fattori di squilibrio nella
distribuzione delle proprietà e nell'accesso alle risorse, che mettono a
rischio la stabilità sociale, dall'altro, perché, come dimostra il caso di
Pontecagnano, esso suscita una circolazione di ricchezza che può ricade-
re positivamente sulle comunità di ritorno.
Alla figura del mercenario corrisponde sul versante interno delle
città campane il ceto aristocratico dei cavalieri emblematicamente
rappresentato nelle decorazioni delle tombe dipinte. Queste costituisco-
no un corpus ormai vasto distribuito sull'intero territorio regionale.
Dopo il caso isolato della più antica tomba III in località Quattro
Santi di Capua, la pittura funeraria riprende intorno alla metà del
IV secolo: la produzione si concentra intorno ai centri principali di
Capua, Cuma e Nola, anche se non mancano esemplari rinvenuti nella
pianura campana (Afragola, Atella) o nella Valle del Sarno (Sarno).
Tradizioni diverse riflettono, invece, le tombe rinvenute a Teano e
Alli/ae ai margini esterni della pianura campana e, sul versante opposto,
quelle di Pontecagnano, da avvicinare, pur nella loro peculiarità, alla
serie delle tombe dipinte di Paestum.
Il tipo architettonico più diffuso è quello della tomba a cassa di
lastroni, con le scene di solito collocate alla testata del sepolcro, ma non
mancano le tombe a camera, talora recanti le pareti articolate da nicchie:
in questo caso la decorazione dipinta riproduce un colonnato che scandi-
sce lo spazio tombale, forse a imitazione di un'edicola destinata all'espo-
sizione del morto. L'apparato pittorico riguarda sepolture di ambo i
generi, evocando le funzioni proprie di una tradizionale ripartizione di
ruoli attraverso un repertorio tematico rigidamente selezionato. Lo stile
è rapido e affine a quello della ceramografia: le figure sono rese prevalen-
temente di profilo, con l'uso della linea di contorno e i colori stesi per
campi omogenei; solo in pochi esemplari di qualità migliore si raggiunge
una resa più naturalistica grazie all'impiego di tecniche pittoriche più
colte come il chiaroscuro e le lumeggiature.
Per il mondo maschile lo schema emblematico è quello del ritorno
del cavaliere in armi, che reca appesi alla lancia la tunica insanguinata e il
cinturone strappati al nemico ucciso: egli può essere accolto dalla donna
che gli porge un vaso per libare o una fronda d'alloro per purificarsi e,
talora, è seguito da una figura maschile che trasporta il bottino o regge la
coda del cavallo (FIG. 7-3).

112
7. LA CONQUISTA ITALICA (SECONDA METÀ V-IV SEC. A.C.)

FIGURA 7.3
Capua, tomba dipinta: il ritorno del guerriero (disegno)

Il terna del ritorno del cavaliere accomuna la produzione campana a quel-


la lucana di Paesturn: ciò evidenzia il suo elevato valore ideologico, al di
fuori di qualunque prospettiva realistica. Il cavaliere celebra un trionfo
individuale, conseguito attraverso un duello di sapore eroico in cui si
manifesta il suo valore; egli esibisce i trofei della vittoria innanzitutto
presso la propria famiglia, all'interno della casa, affidando all'immagine
dipinta il compito di perpetuare l'elogio nella dimensione della tomba.
A Nola il terpa assume un respiro narrativo più ampio sviluppando-
si lungo tutte le pareti di due eccezionali tombe, l'una a carnera, l'altra a
sernicarnera. Nella prima il cavaliere, raffigurato su una delle testate
armato di scudo, corazza ed elmo cornuto, è accolto dai gruppi dipinti
sulle pareti laterali costituiti rispettivamente delle donne libanti e da un
secondo cavaliere adulto con tunica e cinturone, seguito da uno scudie-
ro; sulla testata opposta è raffigurato un giovane togato (TAV. 7.5 online).
Nella seconda sepoltura il cavaliere con il trofeo è, ancora una volta,
disposto alla testata mentre in quella opposta figura un tavolo su cui
sono disposti i vasi per il simposio (TAV. 7.6 online); sui lati lunghi è ripe-
tuto il tema dell'accoglienza da parte delle donne libanti che, in un caso,
riguarda un corteo di armati a piedi e a cavallo, raffigurati nello splendo-
re delle loro armature riprodotte fin nei particolari, nell'altro un cavalie-
re vestito di sola tunica e privo di armi (FIG. 7.4).
Nelle tombe di Nola il trionfo del guerriero è, dunque, più esplicita-
mente ricondotto a quello del suo gruppo: sia alla famiglia, evocata nella

113
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 7.4
Nola, tomba dipinta, località Cimitile: ricostruzione della sequenza delle scene

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. . . . . . . . . . . _,_,:,.,. .. .>,...·-~

scansione dei ruoli e della classe di età (le donne, l'adulto, il giovane), sia
al segmento maschile dei cavalieri e dei fanti, la cui specifica identifica-
zione attraverso le armi ricorda la logica di distinzione applicata a propo-
sito della "legione linteata".
Nella celebrazione aristocratica dei valori della famiglia un'altra impor-
tante componente del gruppo maschile è costituita dagli anziani, cui sono
riservate le funzioni di consiglio e governo proprie di una età ricca di
saggezza ed esperienza. Una tomba di Capua raffigura l'anziano come un
magistrato: egli è raffigurato seduto in un atteggiamento grave e solenne,
con i capelli grigi incoronati di alloro; nella mano destra impugna un basto-
ne, nella sinistra mostra un anello d'oro segno della sua alta dignità (FIG. 7.5).
In un altro contesto capuano di poco più recente, costituito da una
tomba a carnera articolata con nicchie e colonne dipinte, l'anziano è
raffigurato stante, avvolto nella toga (TAV. 7.7 online): una donna gli
porge una corona e un vaso per libare mentre lungo le altre pareti sono
rappresentate danzatrici e una suonatrice di flauto e uccelli volteggiano
tra le nicchie. La scena ha perduto ogni riferimento a una responsabilità
politica e sottolinea, piuttosto, la connessione con una dimensione
edonistica e raffinata connessa alla sfera di Dioniso.

114
7- LA CONQUISTA ITALICA (SECONDA METÀ V-IV SEC. A.C.)

FIGURA 7.5
Capua: tomba dipinta del "magistrato" (disegno)


.

Un'atmosfera non dissimile si respira in una tomba a camera integralmen-


te conservata, scoperta di recente a Cuma, databile alla fine del IV seco-
lo a.C. Sulla testata è raffigurata la coppia coniugale a banchetto assistita
da un'ancella, con l'uomo sdraiato sul letto conviviale che impugna una
coppa e la compagna seduta su uno sgabello che gli offe una corona e
melograni (fig. 7.6). Sulla copertura a doppio spiovente sono resi con la
sola linea di contorno e l'uso molto corsivo del chiaroscuro ballerini e
suonatori maschili e femminili sotto una teoria di uccelli in volo.
Nelle tombe femminili la donna è raffigurata secondo i codici di un
immaginario ancor più stereotipato, elaborato in funzione del matrimo-
nio, il rituale di passaggio attraverso cui riceve una piena legittimazione
sociale. Essa può essere ritratta come una fanciulla pronta alle nozze:
vestita nel ricco costume tradizionale, spesso insieme a una compagna o

115
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 7.6
Cuma: tomba dipinta dall'ex Fondo Correale

un'ancella, reca la coppa per libare o la cassetta per cosmetici o gioielli e


impugna con l'altra mano lo specchio o un fiore che alludono alla sua
bellezza. In un secondo schema iconografico la donna è raffigurata nella
dignità acquisita dopo il matrimonio: è allora seduta in trono come una
dea, sovente intenta nella filatura, l'attività più consona allo statuto della
domina (TAV. 7.8 online).
Il repertorio delle tombe dipinte riflette ormai l'immagine di una
società dalle gerarchie consolidate, dominata da un ristretto ceto aristo-
cratico che esercita l'egemonia sulle strutture produttive e sociali della
proP._ria comunità.
E con questa rinnovata classe dominante, che trae la propria consi-
stenza da un legame antico con il territorio, che inevitabilmente si
confronterà l'irresistibile espansione di Roma.

u6
8

L'espansione di Roma
(seconda metà IV-III sec. a.C.)

8.1
Le guerre sannitiche

L'espansione di Roma in Campania inizia con la prima guerra sannitica


(343-41 a.C.). Nel 343 a.C. i Sanniti, allora legati da un vincolo di alleanza
con Roma, invadono il territorio dei Sidicini e, dopo avere sconfitto i
Campani giunti in loro soccorso, cingono d'assedio Capua.
La città richiede l'aiuto di Roma, sottomettendosi con un atto forma-
le di resa (deditio): questo consente ai Romani di ingiungere ai Sanniti,
senza rompere il patto di alleanza, di ritirarsi da un territorio di cui
possono vantare il controllo e, al loro rifiuto, muovono guerra. Lo scon-
tro volge a favore di Roma, ma non è risolutivo in quanto i Sanniti
conservano la possibilità di muovere guerra ai Sidicini, non inseriti
nell'atto di sottomissione stipulato dai Campani. I Sidicini ricevono allo-
ra il sostegno della Lega dei popoli latini, alleata ma insofferente dell'au-
torità di Roma, e dei Campani.
Tocca quindi ai Sanniti richiedere a Roma il rispetto dei patti, bloc-
cando le iniziative ostili avviate da popoli suoi alleati o a essa soggetti e il
Senato impone ai Campani di ritirarsi, senza intervenire contro i Latini
perché formalmente alleati di livello paritario. Tuttavia, i Latini si ribel-
lano alle decisioni di Roma, muovendole guerra e riscuotendo l'alleanza
dei Campani: inizia così la guerra latina (340-338 a.C.), un durissimo
banco di prova per la Repubblica, che assume il sapore di una guerra
civile perché rivolta contro un popolo «che aveva la stessa lingua, stesse
tradizioni, stesso tipo di armamenti» (Livio VIII, 6).
Per quanto riguarda Capua, le fonti storiche (Livio VIII, 11; Dionigi di
Alicarnasso xv, 4, 2) registrano come la decisione di abbandonare la
protezione di Roma divida la comunità, contro di essa schierandosi l'ari-
stocrazia dei cavalieri che nell'appoggio di Roma riconosce la tutela dei
propri interessi. La guerra si conclude con la sconfitta dei ribelli che
subiscono pesanti confische territoriali: Capua perde il controllo
dell'Ager Falernus fino al Massico, distribuito con assegnazioni indivi-
duali a coloni romani.

117
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Al termine della guerra Roma inserisce la Campania settentrionale


all'interno della propria orbita attraverso una sapiente politica di integra-
zione che si avvale del sostegno delle aristocrazie locali. Lo strumento
adottato è la concessione della civitas sine suffragio: la cittadinanza che
equipara i diritti civili senza conferire il diritto di voto e, assicurando
un'ampia autonomia amministrativa alle comunità soggette, impone
l'obbligo di prestare l'assistenza militare.
Il provvedimento è applicato nel 338 a.C. a Capua, Cuma e Suessula e
successivamente è esteso anche ad Acerra (332), ad Atella, presso l' odier-
na Succivo e, forse, a Calatia.
In questa prima fase di espansione si colloca la deduzione di una
colonia a Cales nel 334 a.C. che assicura a Roma il controllo dello sbocco
in pianura dell'antichissimo itinerario interno che collega il Lazio alla
Campania, ripreso e consolidato con la costruzione della via Latina.
Resta Napoli: la città greca del Golfo, dalla spiccata propensione
marittima, il cui controllo è indispensabile per qualunque espansione mili-
tare e commerciale nel basso Tirreno. Come si è visto nei capitoli prece-
denti, Napoli è tradizionalmente legata al mondo campano e, in particola-
re, all'entroterra "sannitico" che vede in Nola il centro principale: la
comunità greca ha integrato all'interno delle proprie strutture civiche l' ele-
mento indigeno che ha potuto perfino accedere alle magistrature.
Napoli si schiera inizialmente dalla parte dei Sanniti e del loro poten-
te alleato, la città di Taranto, la sola in Magna Grecia che poteva soste-
nere il confronto con Roma. Nel 328 a.C. i Napoletani, confidando
sull'appoggio dei Sanniti, compiono azioni ostili contro i Campani e i
Romani residenti nell'Ager Falernus e nella piana del Volturno: un atteg-
giamento aggressivo, dietro cui si intravede la pressione esercitata dagli
strati più poveri della popolazione, le masse cittadine e rurali, che riven-
dicano il diritto alla terra e guardano al fertile territorio della piana
campana come a un ricco serbatoio di risorse.
E in questo clima di forti tensioni che si affrontano a Napoli le dele-
gazioni inviate da Roma e dai suoi avversari - Taranto, i Sanniti di Nola
e la Lega Sannitica - per contendersi l'alleanza della città greca. Lo scon-
tro diplomatico si svolge in due tempi: prima davanti al Consiglio
(baule), l'organo ristretto posto sotto il controllo dell'aristocrazia, dove i
Romani sembrano prevalere, poi di fronte all'assemblea popolare (ekkle-
sia), in cui prendono il sopravvento le forze più radicali che vedono
nell'aiuto dei Sanniti la possibilità di rovesciare equilibri politici interni a
loro sfavore.
I Sanniti promettono, oltre a un sostegno militare, la consegna della
terra dei Campani da attuare mediante la conquista di Cuma e la distri-
buzione della chora apolis, la ricca campagna non urbanizzata che offriva
una prospettiva alle speranze del popolo e che Napoli, priva di un ampio
retroterra, non poteva assicurare.
La città delibera per l'alleanza contro Roma, accogliendo al suo

n8
8. L'ESPANSIONE DI ROMA (SECONDA META IV-Ili SEC. A.C.)

interno un esercito formato da Sanniti e Nolani; nel 327 a.C. Roma


muove guerra, ponendo l'assedio con un esercito che si frappone tra
l'abitato della Neapolis e la Palepoli sulla collina di Pizzofalcone. Napo-
li resiste un anno, poi i maggiorenti decidono di consegnare la città a
Roma, aprendo le porte agli assedianti e provocando con un inganno la
fuga di Sanniti e Nolani.
Le ragioni della resa non sono militari ma politiche: l'aristocrazia, al
cui interno sono cooptati anche elementi campani, intende liberarsi della
scomoda presenza dei Sanniti, il cui sostegno alimenta le rivendicazioni
antagoniste degli strati subalterni: la subordinazione a Roma offre una
sponda più rassicurante agli interessi delle classi dominanti.
Grazie alla resa Napoli ottiene da Roma un "giusto trattato" (foedus
aequum), che ne salvaguarda l'autonomia in cambio del sostegno marit-
timo: la città entra a far parte delle comunità alleate (socii navales),
fungendo da base preziosa per l'espansione romana.
La capitolazione di Napoli non assicura a Roma la definitiva pacifica-
zione della Campania settentrionale, messa a rischio dalle sconfitte delle
Forche Caudine (321 a.C.) e, soprattutto, di Lautulae presso Terracina
(315 a.C.), in seguito alla quale nel mondo campano si profila una rivolta
che coinvolge Capua e altri centri, forse Atella e Calatia. Ma la Repubbli-
ca riesce a superare il momento critico e a esportare le operazioni militari
nelle aree limitrofe alla pianura campana, non ancora pacificate.
Le tappe della conquista segnano una progressione inesorabile, scan-
dita dalla fondazione di colonie che strutturano il controllo militare: il
territorio degli Ausoni a nord del Garigliano è pacificato tra il 312 e il 296
a.C. con la fondazione di Suessa Aurunca (Sessa Aurunca), Minturnae
(Minturno) e Sinuessa (poco a nord di Mondragone, nell'attuale territo-
rio comunale di Sessa Aurunca) e la costruzione della via Appia; a guar-
dia dei varchi appendici del Sannio caudino nel 313 è dedotta la colonia
di Saticula (Sant' Agata dei Goti).
Anche la resistenza della mesogeia e della Valle del Sarno si conclu-
de alla fine del IV secolo: Nola è assediata e conquistata nel 311 a.C. e una
parte del suo territorio è confiscato a favore dei soldati romani; quattro
anni dopo è la volta di Nocera. Per entrambe le città la sottomissione
comporta lo statuto di città federate che, secondo una strategia non dissi-
mile da quella di Napoli, consente di salvaguardare una sostanziale auto-
nomia e la supremazia dei ceti dominanti.

8.2
La romanizzazione: rifondazione politica e urbana
L'espansione di Roma segue il duplice binario della conquista militare
e della riorganizzazione istituzionale e amministrativa. Il processo mira
a destrutturare le antiche forme di aggregazione per imporre un nuovo
sistema di gestione e sfruttamento del territorio regionale, senza, tutta-
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

via, eliminare le strutture tradizionali del potere aristocratico, che


continuano a fornire il supporto su cui si sostiene il nuovo ordine poli-
tico.
Un esempio emblematico di innovazione del quadro istituzionale è
costituito dalla concessione del diritto di cittadinanza alle comunità di
Acerra e Atella, cui è attribuita un'autonomia politica che le distacca dal
più ampio segmento dei Campani, spezzando la coesione politica della
piana consolidatasi sotto il primato unificante di Capua.
La romanizzazione innesca una nuova fase nella storia della Campa-
nia antica, per la profondità delle trasformazioni strutturali che essa
determina. L'inserimento nell'orbita romana assicura condizioni di
stabilità sociale e politica su cui si sostiene una fervida fase di sviluppo. Si
innesca una dinamica impetuosa di investimenti pubblici, che conosce la
sua manifestazione più eclatante nella ristrutturazione del sistema urba-
no regionale, che investe sia la forma degli impianti cittadini sia il loro
territorio, a partire dagli insediamenti che hanno acquisito la civitas sine
suffragio.
Nei decenni finali del IV secolo si diffonde un nuovo modello plani-
metrico e urbanistico che prevede la predisposizione di mura difensive,
un sistema fatto di assi viari ortogonali (i cardini nord-sud e i decumani
est-ovest) e isolati rettangolari e la tendenziale ripartizione dello spazio
abitativo in fasce orizzontali parallele. Nella pianura campana lo schema
si applica a insediamenti antichi e consolidati come Capua e Calatia, ma
anche a centri fondati ex novo come le già ricordate Acerra e Atella per le
quali l'urbanizzazione è direttamente connessa al salto di qualità rappre-
sentato dal diritto di cittadinanza (FIG. 8.1).
All'interno degli abitati l'intervento della committenza pubblica
investe le aree monumentali a carattere religioso e politico, rinnovando-
le profondamente.
Nei santuari si assiste a una ripresa dell'edilizia sacra con la costru-
zione di nuovi edifici e il rinnovamento delle decorazioni architettoniche
in cui si afferma un repertorio decorativo mediato dai grandi centri irra-
diatori dell'Ellenismo in Italia, primi tra i quali Taranto e Napoli.
Alla trasformazione degli assetti monumentali delle aree sacre si
accompagna lo sviluppo di una produzione votiva massificata e a basso
costo, destinata a un'ampia committenza "plebea"; essa consiste soprat-
tutto in vasi a vernice nera di piccole dimensioni, utilizzati nel rito della
libagione o legati all'offerta di primizie, e in ex voto figurati di terracotta
prodotti a matrice: ex voto anatomici, pupi in fasce, teste, busti, statue
maschili e femminili riconducibili alla sfera salutare e della fecondità o ai
rituali di passaggio legati al superamento della condizione giovanile e
all'integrazione nel mondo degli adulti. Gli ex voto rappresentano una
produzione tipica dell'Italia centrale e, in particolare, del mondo etrusco
e laziale, che si diffonde a sud lungo le direttrici dell'espansione di Roma:
essi costituiscono un segno tipico della romanizzazione, intesa come

120
8. L'ESPANSIONE DI ROMA (SECONDA METÀ IV-lii SEC. A.C.)

FIGURA 8.1
Acerra: l'impianto urbano

GD
o 50 100 100m

formidabile processo di integrazione culturale, capace di coinvolgere gli


strati più ampi del popolamento.
Oltre ai santuari, l'intervento pubblico di ristrutturazione urbana
riguarda la definizione di spazi politici che successivamente si trasforma-
no nelle aree forensi: questo fenomeno si intravede per Capua, Calatia e
Suessula, ma soprattutto è evidente nel caso di Cuma, grazie alle esplora-
zioni sistematiche in profondità eseguite nel settore del foro.

121
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA8.2
Sorrento: ipotesi ricostruttiva dell'impianto urbano

L'impianto della piazza risale alla prima metà del III secolo, ma è prece-
duto da una sistemazione monumentale risalente al tempo della civitas
sine suffragio, che introduce un nuovo orientamento e si impernia su un
grande edificio sacro (il cosiddetto "Tempio A") che resta in funzione
solo pochi decenni a causa di un incendio: quando è demolito, i resti
sono scaricati nel podio del nuovo Capitolium che ancora oggi domina
con la sua mole imponente lo spazio forense. L'edificio sacro, di tipo
italico, su podio e con vano frontonale aperto, esibiva un apparato deco-
rativo sontuoso che esaltava i valori della nuova aristocrazia cittadina: nel
fregio dorico in tufo, che sormontava l'architrave, eccezionali metope
dipinte raffigurano una centauromachia (TAV. 8.1 on line), mentre fram-
menti di figure in terracotta maggiori del vero sono, forse, riconducibili
a un gruppo formato da una dea tra i Dioscuri, montato sul tetto in
funzione acroteriale o applicato alla lastra di rivestimento della trave di
colmo. L'eventuale richiamo ai Dioscuri acquisterebbe un preciso signi-
ficato ideologico in quanto i gemelli figli di Giove costituiscono la coppia
divina tradizionalmente protettrice della cavalleria, evocando un para-
digma ideologico connesso alla vittoria militare, che accomuna l'élite
campana dei cavalieri al patriziato di Roma e, come vedremo, all'aristo-
crazia greca di Neapolis.

122
8. L'ESPANSIONE DI ROMA (SECONDA METÀ IV-lii SEC. A.C.)

FIGURA 8.3
Pompei, l'impianto urbano: la ristrutturazione della fine del IV secolo

l L......L......L
o 150m

Non meno rilevanti rispetto agli interventi sul tessuto urbano sono le
politiche di riorganizzazione dello spazio agrario: in concomitanza con il
processo di ristrutturazione urbana, Capua, Ca/atta, Suessula, Acerra e
Atella si dotano di nuovi sistemi di suddivisioni della terra risalenti a un
orizzonte di fine IV-III secolo a.C. Essi segnalano l'avvio di uno sfrutta-
mento intensivo della campagna ad opera di fattorie o piccoli villaggi
agricoli, di cui a volte si conservano i nuclei di necropoli: un'occupazio-
ne diffusa a carattere stabile che implica anche la riorganizzazione dei
rapporti di proprietà.
Le stesse dinamiche di sviluppo marcano l'espansione di Roma verso
sud: al passaggio tra rv e III secolo Pompei, Nocera, Sorrento (FIG. 8.2) e,
forse, anche Avella (FJG. 3.7) sono ripianificate secondo il nuovo model-
lo urbano fondato sulla scansione ortogonale delle strade e degli isolati e
la ristrutturazione degli impianti si accompagna alla costruzione o, nel
caso,di Pompei, al rifacimento della cinta muraria.
E naturalmente Pompei il contesto in cui è possibile leggere con
maggiore chiarezza la portata del processo di trasformazione urbana. La
revisione dell'impianto comporta l'adozione di un orientamento diverso:
esso si impernia sulla via Stabiana che diviene il cardine principale inter-
secato dai decumani di via di Nola e via dell'Abbondanza, lungo i quali
si pianifica il settore orientale dell'abitato meno intensamente urbanizza-
to (FJG. 8.3).

123
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

FIGURA 8.4
Pompei, tempio del Foro triangolare: antefisse con teste di Eracle e Atena

Ma anche nei quartieri del settore occidentale (le Regiones VI e VII), gli
scavi hanno messo in evidenza un'intensa ripresa dell'urbanizzazione
dopo la stasi div e IV secolo a.C.: oltre alle case sono attestate strutture di
carattere pubblico, come un edificio per banchetti e il primo impianto
delle Terme Stabiane immediatamente all'esterno della strada anulare
che delimita l'antico quartiere monumentale.
Dati ancora più significativi provengono dai santuari. Sul terrazzo
sud-occidentale del Tempio di Venere, dopo i precedenti di età arcaica,
è costruito un complesso monumentale articolato in più edifici, uno dei
quali connesso all'uso dell'acqua: la funzione sacra dell'area è assicurata
dalla presenza di materiali votivi e da riti di fondazione che prevedono il
consumo di alimenti carnei e di offerte vegetali. In tale apprestamento è
possibile riconoscere un'area consacrata alla dea che in età romana sarà
assimilata a Venere: probabilmente Mefite o l'italica Herentas. Nell'area
del Foro triangolare è rinnovato il tempio di età arcaica, di cui è comple-
tamente rifatto il tetto.
In questa fase diviene esplicito il riferimento ad Atena e Eracle, titola-
ri del culto, le cui teste sono raffigurate sulle antefisse che decorano i lati
lunghi dell'edificio: mentre l'eroe è rappresentato imberbe e con la testa
ricoperta dalla pelle di leone (/eonte), la dea indossa un elmo di tipo frigio,
dotato di un alto cimiero ricurvo: si tratta di un tipo iconografico che
conosce alla fine del IV secolo un'ampia fortuna nel distretto costiero della
Campania meridionale, divenendo - come si vedrà in un paragrafo
successivo- una sorta di "logo" del processo di romanizzazione (FIG. 8.4).

124
8. L'ESPANSIONE DI ROMA (SECONDA METÀ IV-lii SEC. A.C.)

Atena ricorre anche in una metopa in tufo, unica superstite del fregio
dorico che ornava l'edificio sacro: secondo un'ipotesi recente, la dea è
raffigurata insieme a Efesto e a un terzo personaggio nudo accanto alla
nave Argo, alludendo alla costruzione della mitica imbarcazione degli
Argonauti (TAV. 8.2 online). Essa è, quindi, venerata nel suo aspetto di
protettrice delle attività artigiane e, soprattutto, della navigazione:
un' Atena marina del tutto congruente con la propensione marinara di
Pompei, che riprende vigore dopo l'inserimento nell'orbita di Roma.
Merita, infine, di ricordare una struttura dalla funzione ancora incer-
ta, rinvenuta sotto l'edificio delle Terme Stabiane: si tratta di un ambien-
te sotterraneo che termina in una camera quadrangolare orientata secon-
do i punti cardinali, come se fosse stata costruita secondo il rituale
religioso dell'inaugurazione. Si è supposto di riconoscere in essa un
templum sub te"is, vale a dire, un vano consacrato al culto ctonio, avver-
tito come un fulcro religioso della comunità, un luogo di comunicazione
tra la città e le sue radici sotterranee nell'Aldilà.
Come nei centri della piana del Volturno, anche a Pompei il riasset-
to urbano si riflette nel territorio: sia nei santuari del quartiere portuale,
dove a Fondo lozzino emerge il culto di Cerere-Ecate e Giove Meilichio
e a Sant'Abbondio quello di Dioniso, sia nell'avvio di un più accentua-
to sfruttamento del paesaggio agrario a nord della città, segnalato, ad
esempio, dalle tracce d'uso agricolo risalenti al IV-III secolo nel fondo in
cui in età repubblicana si inserisce la cosiddetta "Villa Regina" di
Boscoreale.

8.3
Le città alleate

Le trasformazioni indotte dall'integrazione nell'orbita di Roma interes-


sano anche le comunità alleate di Napoli e Teano.
La città greca, dopo la stipula del trattato del 326. a.C., diviene un
cardine essenziale per l'espansione romana verso sud, cui assicura, in
particolare, l'apporto della flotta mercantile e militare. Al tempo stesso,
le nuove opportunità innescate dal rapporto con Roma favoriscono lo
sviluppo di manifatture destinate a un consumo di massa e, quindi, più
direttamente rivolte all'esportazione: in particolare, si avvia una produ-
zione di anfore da trasporto e vasi a vernice nera forse realizzati con l' ar-
gilla estratta a Ischia che, come si è detto, rientra nel territorio napoleta-
no. Tale attività si incrementa alla fine del III secolo, quando a Napoli
inizia la produzione della cosiddetta "ceramica campana A", una classe
di vasi interamente verniciati che si diffonde in tutto il Mediterraneo.
È in questo contesto che tra la fine del IV e la prima metà del III seco-
lo si realizza un ampio bacino portuale che abbraccia la zona di piazza
Municipio: un imponente intervento pubblico, che prevede la sistema-
zione dei fondali mediante dragaggi e corrisponde alla necessità di adem-

125
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

piere più efficacemente alle accresciute funzioni assegnate al porto nel


sistema delle relazioni con Roma.
Al tempo stesso, la città è interessata da una sistemazione urbani-
stica che si estende oltre la fascia litoranea: l'intervento più significati-
vo è costituito dal nuovo assetto dell'area pubblica (agorà) che si tra-
sforma in un forum duplex: in uno spazio monumentale suddiviso in
due settori dalle funzioni distinte. Il foro si sviluppa sui due lati del-
l'odierna via dei Tribunali, che riprende il tracciato di una strada della
città greca; il settore a monte è riservato alla sfera religiosa e di rappre-
sentanza pubblica e in esso sorge il tempio dei Dioscuri, annoverati dai
Napoletani tra le loro divinità patrie: l'eminente funzione politica rive-
stita dall'edificio sacro contribuisce a inquadrare quella assegnata al
già ricordato tempio di Cuma nell'ambito del processo di ristruttura-
zione dell'area forense. Il settore del foro a valle della strada è adibito
alla funzione di mercato commerciale: di esso è oggi visibile l'imponen-
te sistemazione di età romana sotto la basilica e il convento di San
Lorenzo Maggiore.
A Teano nella seconda metà del IV secolo a.C. si attua un processo di
aggregazione urbana che assorbe il sistema di villaggi in funzione sin da
età arcaica. Il nuovo impianto integra il nucleo antico della rocca - corri-
spondente all'attuale centro storico - alla città bassa, estendendosi su una
superficie complessiva di quasi 100 ettari: ai tempi di Strabone (v, 4, 10),
l'insediamento costituisce il centro più rilevante nella pianura campana
dopo la "metropoli" di Capua. L'urbanizzazione comporta la costruzio-
ne della cinta muraria lungo l'intero perimetro urbano e la rocca, l'orga-
nizzazione di nuove aree di necropoli e, soprattutto, la pianificazione del
reticolo viario imperniato su grandi strade ancora riconoscibili nel tessu-
to viario moderno, che collegano la rocca alla città bassa (FIG. 8.5).
All'interno del perimetro urbano è inglobato il santuario in località
Loreto, monumentalizzato secondo un impianto scenografico a terrazze.
In questa fase continua a vivere anche il santuario di Fondo Ruozzo,
a marcare con la sua posizione eminente il confine meridionale del terri-
torio.
La fondazione della città costituisce il segno del salto di qualità poli-
tico e istituzionale rappresentato per la comunità locale dall'inclusione
nell'orbita romana: esso dipende, in primo luogo, dalla formidabile posi-
zione strategica dell'insediamento che, insieme alla colonie di Cales e
Sessa Aurunca, garantisce il controllo degli accessi alla pianura campa-
na. Con i due centri Teano condivide anche l'emissione di una serie
monetale in bronzo, databile intorno alla metà del III secolo, in cui i nomi
delle comunità titolari sono scritti in latino (TAV. 8.3 online): questa
produzione coinvolge, oltre alle città campane, altre comunità sannitiche
e realizza una monetazione comune destinata a facilitare gli scambi
commerciali lungo le vie interne di collegamento tra Lazio, Sannio e
Campania.

126
8. L'ESPANSIONE DI ROMA (SECONDA METÀ IV-lii SEC. A.C.)

FIGURA 8.5
Teano: l'impianto urbano

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Legenda: 1. teatro; 2. anfiteatro; 3. rocca; 4. museo archeologico; 5. santuario in località
Loreto; 6. quanieri sulla "Trinitàn.

La portata e le tappe del processo di romanizzazione della comunità


indigena sono emblematicamente riflesse nello sviluppo di un nucleo di
necropoli indagato in località Orto Ceraso, uno degli appezzamenti
sepolcrali organizzati nell'ambito della nuova pianificazione urbana.
La necropoli ha restituito numerose tombe, tra le quali predomina-
no, sin dall'inizio del III secolo, le incinerazioni con i resti combusti
deposti in un'olla in terracotta: si tratta di un rituale estraneo alla tradi-

127
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

zione locale, che testimonia l'introduzione di un costume piuttosto tipi-


co del mondo romano.

8.4
La pax romana: Atena Frigia

Nel riassetto monumentale che investe la rete dei santuari spicca la fortu-
na accordata al tipo iconografico di Atena con elmo frigio. Esso ricorre
con frequenza nel repertorio delle terrecotte architettoniche e, in modo
particolare, delle antefisse, secondo una distribuzione che interessa la
fascia costiera: oltre al contesto, già ricordato, del tempio di Foro trian-
golare a Pompei, l'Athenaion di Punta della Campanella, il santuario di
località Privati a Castellammare di Stabia, Fratte, il santuario di Apollo a
Pontecagnano (TAV. 8.4 online). Un esemplare rinvenuto in una fornace
a Pitecusa lascia supporre una mediazione napoletana nell'elaborazione
del prototipo. Atena Frigia è riprodotta anche in statuette votive dedica-
te a Punta della Campanella, e, a Pompei, nei santuari di Foro triangola-
re e in località Bottaro.
La selezione del tipo iconografico ne assicura una specifica pregnan-
za ideologica. Il particolare tipo di elmo denota la dea come un' Atena
troiana, evocando la tradizione mitica che la vede protettrice di Enea
durante il suo viaggio verso il Lazio: è in onore di Atena che l'eroe isti-
tuisce il sacrificio a capo coperto, tipico del mondo romano. L'immagine
della dea rimanda, quindi, alla tradizione delle origini troiane di Roma:
una tradizione che trova un'eco importante in Campania dove, come si è
visto (CAP. 2), sin dal VII secolo a.C. si ambienta una delle tappe della
navigazione di Enea in Occidente e, soprattutto, Capua vanta una fonda-
zione troiana.
Al tempo dell'alleanza sancita dalla civitas sine suffragio la città
campana elabora una propaganda che valorizza le comuni origini con
Roma: secondo la testimonianza di Dionigi di Alicarnasso (1, 73, 3) si
forma una tradizione secondo la quale le due città sono fondate da due
fratelli, Romolo per quando riguarda Roma e Romo per Capua, che
prende nome da Capys, padre di Anchise. Questa tradizione chiarisce le
condizioni politiche e ideologiche su cui si fonda l'elaborazione del tipo
di Atena Frigia in Campania: evocando il paradigma propizio di Enea
negli anni in cui Napoli è integrata tra gli alleati navali di Roma, esso
celebra la dea nel suo rapporto con il mare e la navigazione ed è adotta-
to nella rete dei santuari costieri che scandiscono la rotta verso sud, ora
ripristinata nel quadro di un nuovo ordine politico e militare.
In questa prospettiva acquista una cruciale centralità il culto cele-
brato sul promontorio di Punta della Campanella dove, come si è già
ricordato (PAR. 4.7-4), ancora nel 172 a.C. Roma adempie a un solenne
sacrificio di espiazione in onore di Minerva affinché protegga la flotta
militare.

128
8. L'ESPANSIONE DI ROMA (SECONDA METÀ IV-lii SEC. A.C.)

8.5
Dinamiche di destrutturazione: l'Agro Picentino
Il comparto meridionale dell'Agro Picentino reagisce in modo diverso
alle spinte della romanizzazione.
Anche i centri di Fratte e Pontecagnano sono coinvolti dalla ripresa
che si manifesta nella seconda metà del IV secolo: non diversamente dal
resto del territorio regionale la documentazione archeologica mostra un
riassetto delle strutture urbane, come pure la ricezione di modelli cultu-
rali provenienti dall'Italia centrale, esemplificati dalla presenza nei
santuari di entrambi i centri di votivi di tipo medio-italico.
Ciò che differenzia la vicenda insediativa di questo comparto è il
carattere effimero della ripresa: l'abitato di Fratte è abbandonato intor-
no alla metà del lii secolo in favore di una diversa strategia insediativa che
privilegia la zona dell'attuale centro storico di Salerno, presidiata prima
da un centro fortificato (castrum) e poi da una colonia fondata nel
194 a.C. (Livio XXXII, 29, 3-4 e XXXIV, 45, 1-2; Strabone v, 4, 13); a Ponteca-
gnano l'antico centro etrusco-sannitico è sostituito dall'insediamento di
Picentia fondato nel 268 per accogliere una parte della tribù adriatica dei
Picentini deportata dal Piceno ad opera dei Romani.
Le ragioni di questa discontinuità risiedono nella debolezza del
tessuto politico e istituzionale che caratterizza entrambi i centri e non
consente alle comunità locali di superare l'impatto dei processi di
trasformazione.
Il breve rifiorire di Fratte, dopo la prolungata stasi tra il ve il IV seco-
lo, si deve, come in passato, alla sua posizione strategica, a controllo
dello snodo di passaggio costituito dalla Valle dell'Imo, ora rivitalizzato
nel sistema dell'espansionismo romano per garantire le comunicazioni
verso sud e l'interno della Campania. L'importanza della via fluviale è
comprovata dalla ristrutturazione dell'area sacra nella città bassa, alla
confluenza del torrente Grancano con l'Imo, da cui provengono antefis-
se, un modellino di tempio e statue in terracotta riferibili al culto di
Atena.
Il centro è dominato da un ristretto ceto dominante che continua a
valorizzare il sito dell'acropoli, collocando alle sue pendici le proprie
sepolture monumentali. Il fulcro dell'identità culturale e politica del
gruppo è costituito da un edificio con funzioni sacre collocato sulla
sommità della collina, decorato con terrecotte architettoniche dedicate a
Eracle e alle sue imprese: l'elemento più rilevante è costituito da un disco
acroteriale di grandi dimensioni in cui l'eroe strangola il leone nemeo
(TAV. 8.5 online). L'esaltazione di Eracle rappresenta un motivo tradizio-
nale dell'ideologia aristocratica, ma è ulteriormente valorizzato nel
mondo sannitico dove l'eroe diviene oggetto di culto: attraverso le
imprese vittoriose egli funge da modello mitico di un'ideologia incentra-
ta sulle nozioni del valore e della vittoria militare.

129
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Intorno alla metà del III secolo l'abitato entra in una crisi irreversibi-
le: le case sono distrutte e i materiali di risulta gettati in fosse di scarico:
qualche decennio dopo è fondata Salernum, per domare definitivamen-
te un territorio che si era ribellato a Roma al tempo delle guerre di Anni-
bale (219-202 a.C.).
Una non dissimile traiettoria riflette la vicenda di Pontecagnano.
Nella seconda metà del IV secolo si assiste a una serie di interventi
pubblici nell'area dell'abitato dove si procede al rifacimento della forti-
ficazione ad aggere e alla sistemazione dei due santuari. Ma il modesto
livello della cultura materiale che trapela dalle strutture abitative, dalle
offerte e dalle strutture architettoniche all'interno dei santuari e dal tono
delle necropoli esprime l'avvenuto ripiegamento della comunità antica:
la piana costiera del Picentino appare ormai un'area marginale rispetto
alle più vitali correnti di sviluppo, legata a una produzione agricola di
sussistenza e destinata a costituire un serbatoio di manodopera che
alimenta la corrente del mercenariato italico.
Una concreta testimonianza di tale dinamica è offerta dalla tomba
8057, databile al terzo quarto del IV secolo: la sepoltura appartiene a un
adulto che presentava nel corredo due cinturoni di bronzo, uno indossa-
to e l'altro deposto come trofeo, e conservava in bocca, come un vero e
proprio "obolo di Caronte", una moneta d'argento battuta per la comu-
nità sannitica dei Pitanati, ricordata dalle fonti storiche (Strabone v,
4, 12) come una guarnigione mercenaria che presta servizio in favore di
Taranto.
Nella stessa prospettiva è stato ipotizzato che provenissero dall'Agro
Picentino i gruppi di mercenari trapiantati in Sicilia, che coniano mone-
te in bronzo con i nomi dei Tyrrhenoi e dei Sileraioi: il primo, più che
all'etnico degli Etruschi, rimanda alla nozione geografica di Tyrrhenia
che designa la fascia costiera sannitizzata tra il promontorio di Sorrento
e il Sele; il secondo si connette al nome greco del Sele, evocando l'area di
origine del gruppo militare.
Ai Sanniti "tirrenici" stanziati sul Sele può riferirsi, del resto, anche
un frammento del filosofo Aristosseno di Taranto (Fr. 124 Wehrli), ascri-
vibile a un orizzonte di seconda metà del IV secolo a.C., in cui i Tyrrhe-
noi sono considerati, insieme ai Romani, responsabili della "barbarizza-
zione" di Poseidonia: a questo livello cronologico è, infatti, impossibile
che l'etnico possa riferirsi agli Etruschi che, da tempo, non costituisco-
no più la componente culturalmente predominante del popolamento.
La comunità di Pontecagnano entra in crisi nei primi decenni del III
secolo: nell'abitato si registra un generalizzato fenomeno di abbandono
esteso anche al quartiere artigianale e ai santuari. Questi ultimi sono
intenzionalmente smantellati e la loro chiusura è sancita da rituali di
espiazione, segnalati dalla deposizione di offerte votive e dalle tracce delle
cerimonie di desacralizzazione (TAV. 8.6 online). Nel santuario di Apollo
questo passaggio prevede un rito di consacrazione al mondo ctonio che

130
8. L'ESPANSIONE DI ROMA (SECONDA METÀ IV-lii SEC. A.C.)

riutilizza una cisterna, avvertita come un vero e proprio ingresso verso


l'Aldilà che è necessario richiudere per sancire una definitiva separazione
con l'area sacra. Sul fondo della cisterna sono deposte due teste votive in
terracotta, l'una maschile e l'altra femminile, protette da una coppia di
lastroni in pietra (TAV. 8.7 online); accanto è collocata una giovane scrofa,
offerta prediletta agli dei sotterranei e, al di sopra, è gettato un accumulo
di terra ricca di semi. Infine, la cisterna è colmata fino alla bocca da un
deposito votivo in cui predominano ex voto anatomici.
La destrutturazione dell'insediamento implica il trasferimento del
territorio di Pontecagnano sotto il controllo amministrativo di Roma e
prelude alla fondazione di Picentia nel 268 a.C.: la fine del centro matura
negli anni compresi tra la terza guerra sannitica (298-90 a.C.) e la guerra
contro Pirro (280-274 a.C.), in seguito alla quale Roma si impadronisce
della piana del Sele, deducendo nel 273 una colonia a Paestum.
La fondazione di Picentia comporta sia una nuova ripartizione dello
spazio agrario, che, comunque, ristruttura un sistema di suddivisione in
funzione con l'insediamento precedente, sia una ridefinizione degli
assetti urbanistici che è possibile cogliere solo a partire dalla seconda
metà del III secolo a.C.: a quanto è possibile verificare dagli scavi finora
intrapresi, il nuovo abitato sembra sostanzialmente conservare gli stessi
orientamenti dell'impianto più antico ma, rispetto a esso, presentare una
dimensione minore.

131
Fonti iconografiche

FIGURA 1.1. Carta della Campania. Fonte: rielaborazione da L. Cerchiai, I Campa-


ni, Milano 1995, fig. 1.
FIGURA 2.1. Capua: il perimetro dell'abitato e le necropoli dell'età del Ferro e dei
secoli VI-V a.C. Fonte: rielaborazione da N. Allegro, E. Santaniello, L'abita-
to della prima fase di Capua, Pisa-Roma 2008, p. 16.
FIGURA 2.2. Pontecagnano: estensione dell'abitato antico con distribuzione delle
aree di necropoli. Fonte: M. Viscione, Percorsi stradali e nuclei di sepolture
dalle indagini lungo il tracciato autostradale, in "AION ArchStAnt", n.s., 11-12,
2004-2005, p. 264.
FIGURA 2.3. Carta storica recante al centro il Lago Piccolo e, poco più in basso, la
laguna dell'Arenosola o Lago Grande. Fonte: G. A. Magini, Principato Citra
(1620), in T. Cinquantaquattro, Pontecagnano, II. 6. L'Agro Picentino e la
necropoli di località Casella, Napoli 2001.
FIGURA 2.4. Cuma: planimetria dell'abitato. Fonte: L. Cavassa, Lucius "outricide"
sur une lampe de Cumes?, in "AION ArchStAnt", n.s., 9-10, 2002-2003, p. 246.
FIGURA 2.5. La Valle del Samo. Fonte: rielaborazione da A. D'Ambrosio, G. Di
Maio, C. Scala, La necropoli protostorica di Striano. Gli scavi dal 1983 al 1994,
Pompei 2009, p. 220.
FIGURA 2.6. Pontecagnano: un settore della necropoli della seconda fase dell'età
del Ferro. Fonte: S. De Natale, Pontecagnano, II. La necropoli di S. Antonio:
Prop. ECI, 2. Le tombe della Prima Età del Ferro, Napoli 1992, fig. 131.
FIGURA 2.7. San Valentino Torio planimetria della necropoli. Fonte: G. Gnoli,J.-P.
Vemant (a cura di), La mort, /es morts dans le sociétés anciennes, Cambrigde
1982, p. 227.
FIGURA 2.8. La necropoli di Gricignano (con le tracce delle fasi precedenti
dell'eneolitico e dell'età del Bronzo). Fonte: E. Laforgia, Il museo archeolo-
gico dell'Agro Atei/ano, Napoli 2007, p. 52.
FIGURA 3.1. Capua, Fondo Patturelli: tazza cultuale. Fonte: M. Minoja, "Ciotola di
/orma insolita": una nuova /orma ceramica nella fase iniziale del santuario di
Fondo Patturelli a Capua, in Studi di protostoria in onore di Renato Peroni,
Borgo San Lorenzo 2006, fig. 3.
FIGURA 3.2. Pontecagnano: l'iscrizione etrusca della tomba 3509. Fonte: C. Pelle-
grino, G. Colonna, Pontecagnano. Tomba 3509, scavo del 5/JolI979, in "Studi
Etruschi", LXV-LVIII, 2002, p. 386.
FIGURA 3.3. Pontecagnano: l'area di capanne nel settore meridionale dell'abitato.

133
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Fonte: A. Comella, S. Mele (a cura di), Depositi votivi e culti dell'Italia anti-
ca dall'età arcaica a quella tardo-repubblicana, Bari 2005, p. 578.
FIGURA 3.4. Pontecagnano: necropoli di piazza Risorgimento. Fonte: C. Pellegri-
no, La scrittura e l'onomastica in una comunità etrusca di frontiera, in La
colonizzazione etrusca in Italia, Roma 2008, p. 459.
FIGURA 3.5. Pontecagnano: la tomba 926. Fonte: Italia omnium terrarum alumna,
Milano 1988, p. 584.
FIGURA 3.6. Pontecagnano: la tomba 2465. Fonte: M. Cuozzo, Reinventando la
tradizione. Immaginario sociale, ideologie e rappresentazione nelle necropoli
orientalizzanti di Pontecagnano, Paestum 2003, tav. IV.
FIGURA 3.7. Avella: estensione dell'abitato antico con distribuzione delle aree di
necropoli. Fonte: rielaborazione da T. Cinquantaquattro, Rituale funerario e
dinamiche di genere nel mondo indigeno della mesogeia campana: il caso di
Avella, in "AION ArchStAnt", n.s. 13-14, 2006-2007, p. 113.
FIGURA 3.8. Calatia: estensione dell'abitato antico con distribuzione delle aree di
necropoli. Fonte: rielaborazione da E. Laforgia (a cura di), Donne di età
orientalizzante. Dalla necropoli di Calatia, Napoli 1996, p. 21.
FIGURA 3.9. Calatia, tomba 194: il corredo ceramico di tipo greco. Fonte: E. Lafor-
gia (a cura di), Il Museo Archeologico di Calatia, Napoli 2003, p. 150.
FIGURA 3.10. San Marzano, tomba 928: la decorazione dell'olla. Fonte: G. Greco,
F. Mermati, Pitecusa, Cuma e la Valle del Sarno. Intorno ad un co"edo fune-
rario della necropoli di San Marzano sul Sarno, in Across frontiers. Etruscans,
Greeks, Phoenicians and Cypriots. Studies in honour ofDavid Ridgway and
Francesca Romana Se"a Ridgway, London 2006, p. 203.
FIGURA 4.1. Capua: il quartiere arcaico del Siepone. Fonte: V. Sampaolo, La peri-
metrazione di Capua e l'abitato arcaico. Nota preliminare, in La città murata
in Etruria, Pisa-Roma 2008, p. 475.
FIGURA 4.2. Minturno, santuario di Marica: ricostruzione del tetto della prima
fase del tempio. Fonte: C. Rescigno, L'edificio arcaico del santuario di Mari-
ca alle foci del Garigliano: le te"ecotte architettoniche, in "AION ArchStAnt",
XV, 1993, fig. II.
FIGURA 4.3. Calatia, tomba 22: il corredo ceramico in bucchero. Fonte: E. Lafor-
gia (a cura di), Il Museo Archeologico di Calatia, Napoli 2003, p. 171.
FIGURA 4.4. Capua, tomba in località Quattordici Ponti: ipotesi ricostruttiva del
carro. Fonte: V. Bellelli, La tomba principesca dei Quattordici Ponti nel
contesto di Capua arcaica, Roma 2006, tav. XXVII.
FIGURA 4.5. Cales: l'impianto urbano. Fonte: F. Sirano (a cura di), In Itinere.
Ricerche di archeologia in Campania, Cava de' Tirreni 2007, p. 327.
FIGURA 4.6. Pompei: l'impianto urbano con la distribuzione dei rinvenimenti
arcaici. Fonte: F. Pesando, M. P. Guidobaldi, Pompei, Oplontis, Ercolano,
Stabiae, Roma-Bari 2006, p. 19.
FIGURA 4.7. Pompei, tempio di Apollo: ricostruzione del sistema decorativo.
Fonte: S. De Caro, Saggi nell'area del tempio di Apollo a Pompei. Scavi stra-
tigrafici di A. Maiuri nel 1931-32 e 1942-43, Napoli 1986, tav. XXXII.
FIGURA 4.8. Pompei: pianta del tempio del Foro triangolare. Fonte:]. De Waele (a
cura di), Il tempio dorico del Foro tnangolare di Pompei, Roma 2001, p. 130.
FIGURA 4.9. Punta della Campanella: l'iscrizione rupestre. Fonte: M. BonghiJovi-
no, Mitici approdi e paesaggi culturali. La penisola so"entina prima di Roma,
Castellammare di Stabia 2008, p. 43.

134
FONTI ICONOGRAFICHE

FIGURA 4.10.Fratte: alpe della tomba 26/r963. Fonte: A. Pontrandolfo, Un'iscri-


zione poseidoniate in una tomba di Fratte di Salerno, in "AION ArchStAnt",
IX, 1987, fig. 20.
FIGURA 4.n. Pontecagnano: dediche ad Apollo e Manth (santuario meridionale) e
iscrizione amina[- -]s (santuario settentrionale). Fonte: rielaborazione da
G. Colonna, Pontecagnano, in"StEtr", LXIII, 1999, p. 405, e G. Bailo Mode-
sti, Lo scavo dell'abitato antico di Pontecagnano e la coppa con iscrizione
AMINA [--], in "AION ArchStAnt", VI, 1984, fig. 36.
FIGURA 4.12. Pontecagnano: l'impianto urbano. Fonte: L. Cerchiai, La Campania:
i fenomeni di colonizzazione, in La colonizzazione etrusca in Italia, Roma
2008, p. 418, fig. I.
FIGURA 4.13. Teano, santuario di Fondo Ruozzo: ricostruzione dell'elevato del
tempio. Fonte: I. Edlund-Berry, G. Greco,}. Kenfield (eds.), Deliciae Ficti-
les 3- Architectural terracottas in ancient Italy, Oxford 2006, p. 336.
FIGURA 6.1. Pitecusa: antefissa con testa di gorgone entro nimbo. Fonte: I culti
della Campania antica, Roma 1988, tav. xxx.
FIGURA 6.2. Capua: tomba III in località Quattro Santi (disegno ricostruttivo).
Fonte: L. Cerchiai, I Campani, Milano 1995, tav. XXXIII, 1.
FIGURA 7.1. Cuma, tomba dipinta (disegno). Fonte: L. Pulci Daria (a cura di),
L'incidenza dell'antico. Studi in memoria di Ettore Lepore, 2, Napoli 1996,
p.326.
FIGURA 7.2. Capua: l'impianto urbano e le necropoli di IV secolo a.C. Fonte: riela-
borazione di N. Allegro, E. Santaniello, L'abitato della prima fase di Capua,
Pisa-Roma 2008, p. 17.
FIGURA 7.3. Capua, tomba dipinta: il ritorno del guerriero (disegno). Fonte:
R. Benassai, La pittura dei Campani e dei Sanniti, Roma 2001, p. 189.
FIGURA 7-4- Nola, tomba dipinta, località Cimitile: ricostruzione della sequenza
delle scene. Fonte: R. Benassai, La pittura dei Campani e dei Sanniti, Roma
2001, p. 200.
FIGURA 7.5. Capua: tomba dipinta del "magistrato" (disegno). Fonte: R. Benassai,
La pittura dei Campani e dei Sanniti, Roma 2001, p. 24.
FIGURA 7.6. Cuma: tomba dipinta dall'ex Fondo Correale. Fonte: L. Cerchiai et
al., Città greche della Magna Grecia e della Sicilia, Arsenale, S. Giovanni
Lupatoto 2007, p. 54.
FIGURA 8.1. Acerra: l'impianto urbano. Fonte: S. Quilici Gigli, Uomo, acqua e
paesaggio, Roma 1997, p. 228.
FIGURA 8.2. Sorrento: ipotesi ricostruttiva dell'impianto urbano. Fonte: C. Resci-
gno, F. Senatore, Le città della piana campana tra IV e m sec. a. C., in M. Osan-
na (a cura di), Verso la città. Forme insediative in Lucania e nel mondo itali-
co tra rve m sec. a.C, Venosa 2009, p. 436.
FIGURA 8.3. Pompei, l'impianto urbano: la ristrutturazione della fine del IV seco-
lo. Fonte: S. De Caro, Lo sviluppo urbanistico di Pompei, in Archeologia in
Magna Grecia. Omaggio a Paola Zancani Montuoro, numero monografico di
"AttiMGrecia", 1992, tav. v, 1.
FIGURA 8-4- Pompei, tempio del Foro triangolare: antefisse con teste di Eracle e
Atena. Fonte: J. De Waele (a cura di), Il tempio dorico del Foro triangolare di
Pompei, Roma 2001, p. 235.
FIGURA 8.5. Teano: l'impianto urbano. Fonte: F. Sirano, Teatro di Teanum Sidici-
num, Teano 2009, p. 4.

135
Bibliografia

La rassegna bibliografica è suddivisa in due sezioni: nella prima sono citati in


ordine cronologico le opere generali e gli atti di convegno da cui può partire un
lettore interessato ad approfondire gli argomenti trattati nel volume; nella secon-
da sono inseriti gli studi più direttamente connessi ai temi dei singoli capitoli: si
è preferito rimandare ai contributi più recenti per non appesantire eccessiva-
mente l'apparato bibliografico.
Le abbreviazioni utilizzate per le riviste, le fonti antiche e le raccolte di fonti
sono sciolte qui di seguito.

RIVISTE

"AION ArchStAntn Annali dell'Università degli studi di Napoli "L'Orientalen.


Dipartimento di studi del mondo classico e del Mediterraneo antico. Sezio-
ne di Archeologia e Storia antica.
"AttiMGrecia" Atti e Memorie Società Magna Grecia
"BA" Bollettino di Archeologia
"CronCatania" Cronache di archeologia e storia dell'arte, Università di Catania
"DialArch" Dialoghi di Archeologia
"MJ;FRA" Mélanges d'archéologie et d'histoire de l'École française de Rome.
Antiquité.
"MonAnt" Monumenti Antichi dei Lincei
"QuadAE.1" Quaderni del Centro di Studio per l'archeologia etrusco-italica
"RM" Mitteilungen des Deutschen Archaologischen lnstituts, Romische
Abteilung
"StEtr" Studi Etruschi

FONTI ANTICHE

Var. Hist. Eliano, Storie varie


Pyth. Pindaro, Le Pitiche
NH Plinio (il Vecchio), Storia naturale
Schol. ad Aug., C. D. Scholia ad Augustinum, De Civitate Dei
adAen. Servio, Commento all'Eneide
Punica Silio Italico, Le gue"e puniche
Aen. Virgilio, Eneide

137
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

RACCOLTE DI FONTI

FGrHist F. Jacoby, Die Fragmente der Griechischen Historiker, Berlin 1923-58.


FHG C. Miiller, Fragmenta Historicorum Graecorum, Paris 1841-70.
GGM C. Miiller, Geographi Graeci Minores, Paris 1855-61.

Opere generali
SINTESI STORICHE

FREDERIKSEN M., Campania, a cura di H. Purcell, Oxford 1984.


LEPORE E., Origini e strutture della Campania antica, Bologna 1989.
MELE A., Le popolazioni italiche, in Storia del Mezzogiorno, I, 1, Napoli 1991,
pp. 237-300 (sulla tradizione storica del popolamento indigeno).

SINTESI ARCHEOLOGICHE

D'AGOSTINO B., La civiltà del Ferro nell'Italia meridionale e nella Sicilia e Il


mondo periferico della Magna Grecia, in Popoli e civiltà dell'Italia antica, II,
Roma 1974, pp. 11-91 e 179-271.
D'AGOSTINO B., Le genti della Campania antica, in Italia omnium terrarum alum-
na, Milano 1988, pp. 531-89.
COLONNA G., Le civiltà anelleniche, in G. Pugliese Carratelli (a cura di), Storia e
civiltà della Campania. L'evo antico, Napoli 1991, pp. 293-410.
D'AGOSTINO B., L'incontro dei coloni greci con le genti anelleniche in Campania, in
AA.W., I Greci in Occidente, catalogo della mostra (Venezia, 1996), Milano
1996, pp. 553-40.
BONGHI JOVINO M., L'espansione degli Etruschi in Campania, in M. Torelli (a cura di),
Gli Etruschi, catalogo della mostra (Venezia, 2000), Milano 2000, pp. 157-67.
D'AGOSTINO e., Gli Etruschi in Campania, in G. Camporeale (a cura di), Gli Etru-
schi fuori d'Etruria, Verona 2001, pp. 236-51.
A queste sintesi si aggiunga: CERCHW L., I Campani, Milano 1995; ID., La Campania
antica dalle origini al JII sec. a.C., in F. Pesando (a cura di), L'Italia antica.
Culture e forme del popolamento nel I millennio a.C, Roma 2005, pp. 181-202.

ATTI DI CONVEGNO

La Campania tra il VI e il /Il sec. a. C., Atti del XIV Convegno di Studi Etruschi e
Italici (Benevento, 1981), Galatina 2002.
La presenza etrusca in Campania meridionale, Atti delle giornate di studio (Saler-
no-Pontecagnano, 1990), Firenze 1994.
Strategie di insediamento fra Lazio e Campania in età preistorica e protostorica,
Atti della XL riunione scientifica dell'Istituto Italiano di Preistoria e Proto-
storia (Roma-Napoli-Pompei, 2005), Firenze 2007.
Gli Etruschi e la Campania settentrionale, Atti del XXVI Convegno di Studi Etru-
schi e Italici (Caserta, Santa Maria Capua Vetere, Capua e Teano, 2007), in
corso di stampa.
BIBLIOGRAFIA

Bibliografia ragionata per capitoli


I. LA GEOGRAFIA DELLA CAMPANIA ANTICA

Sulla geografia della Campania antica: GRECO E., Campania, s.v. Latium et Campa-
nia, in Enciclopedia dell'Arte Antica, secondo supplemento, 111, 1995, pp. 291-97.

2. IL POPOLAMENTO NELL'ETÀ DEL FERRO (IX-VIII SEC. A.C.)

2. I. Le dinamiche del popolamento e


2. 2. Le forme di organi:a.azione sociale.
La prima fase del!' età del Ferro
Sui caratteri del Villanoviano in Campania è interessante la discussione in Stra-
tegie di insediamento fra Lazio e Campania (cit. in CAP. 1), pp. 857-61, ripresa da
D'AGOSTINO B., Gli Etruschi e gli altri nella Campania settentrionale, in Gli Etru-
schi e la Campania settentnonale (cit. in CAP. 1); sull'insediamento villanoviano di
Capua: ALLEGRO N., SANTANIELLO E., L'abitato della prima fase di Capua, Pisa-
Roma 2008; sulla necropoli della prima età del Ferro: JOHANNOWSKY w., Aggior-
namenti sulla prima fase di Capua, in "AJON ArchStAnt", n.s., 2, 1996, pp. 59-65;
COLOMBO D., STANISLAO 1., Lo scavo della necropoli capuana in loc. Parisi (Nuovo
Mattatoio), in Gli Etruschi e la Campania settentrionale (cit. in CAP. 1); per l'oc-
cupazione del territorio tra il Volturno e l'Agnena: GUANDALINI F., Il te"itorio ad
ovest di Capua, in Carta archeologica e ricerche in Campania. Fascicolo 2: comuni
di Brezza, Capua, S. Prisco, Roma 2004, p. 56.
Sull'insediamento villanoviano di Pontecagnano e sul porto: ROSSI A., Conte-
sto ambientale e dinamiche insediative tra l'Età del Fe"o e l'Età arcaica e BONIFA-
CIO G.,Il porto di Pontecagnano, in" AJON ArchStAnt", n.s., 11-12, 2004-05, rispet-
tivamente pp. 225-34 e pp. 235-44. Sul paesaggio costiero fino al Tusciano: DE
FILITTO M., DE FILITTO F., I misteri dell'Aversana, Battipaglia 2006; LA GRECA F.,
VALERIO v., Paesaggio antico e medievale nelle mappe aragonesi di Giovanni Ponta-
no. Le te"e del Principato Citra, Acciaroli 2008, pp. 54-5. Sulle necropoli: D'AGO-
STINO B., GASTALDI P. (a cura di), Pontecagnano, II. La necropoli del Picentino, 1. Le
tombe della Prima Età del Ferro, Napoli 1988; DE NATALE s., Pontecagnano, II. La
necropoli di S. Antonio: Prop. ECI, 2. Le tombe della Prima Età del Fe"o, Napoli
1992; GASTALDI P., Pontecagnano, II. 4. La necropoli del Pagliarone, Napoli 1998.
Su Suessula: GIAMPAOLA D., ROSSI A., Suessula. I nuovi rinvenimenti, in Gli
Etruschi e la Campania settentrionale (cit. in CAP. 1).
Sull'insediamento indigeno di Cuma: D'AGOSTINO B., L'insediamento opico, e
BRUN J.-P., MUNZI P., Le recenti indagini nella necropoli preellenica, in F. Zevi et al.
(a cura di), Museo archeologico dei Campi Flegrei. Catalogo generale 1. Cuma,
Napoli 2008, rispettivamente pp. 99-100 e pp. 101-12; sulla necropoli: NIZZO v.,
Nuove acquisizioni sulla fase preellenica di Cuma e sugli scavi di E. Osta, in MEFRA
119, 2007, pp. 483-502.
Sull'insediamento della prima età del Ferro a Pompei e Poggiomarino:
ROBINSON M., La stratigrafia nello studio dell'archeologia preistorica e protostorica
di Pompei, e CICIRELLI c., ALBORE LIVADIE c., Stato delle ricerche a Longo/a di
Poggiomarino: quadro insediamentale e problematiche, in P. G. Guzzo,

139
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

M. P. Guidobaldi (a cura di), Nuove ricerche archeologiche nell'area vesuviana


(scavi 2003-06), Atti del convegno internazionale (Roma, 2.007), Roma 2.008,
rispettivamente pp. 12.5-38 e pp. 474-87; BARTOLI c., L'insediamento di Poggioma-
rino nell'ambito della prima età del/erro della Campania centro-occidentale, in
Strategie di insediamento fra Lazio e Campania (cit. in CAP. 1), pp. 82.7-36; sulle
necropoli di San Marzano e San Valentino Torio: GASTALDI P., Le necropoli proto-
storiche della Valle del Sarno: proposta per una suddivisione in/asi, in "AION
ArchStAnt", 1, 1979, pp. 13-57; su Striano: D'AMBROSIO A., DI MAIO G., SCALA c., La
necropoli protostorica di Striano. Gli scavi dal 1983 al 1994, Pompei 2.009.
Sul villaggio di Monte Petrina: CRIMACO L., MONTUORO v., SPINELLI E., Il
Villaggio dei Ciclamini: un insediamento preistorico in loc. Monte Petrina,
Mondragone (Caserta), in Strategie di insediamento fra Lazio e Campania (cit. in
CAP. 1), pp. 837-50.

2.3. L'incontro con i Greci.


La seconda fase del!' età del Ferro

Sulle più antiche ceramiche di importazione greca: BAILO MODESTI G., GASTALDI P.
(a cura di), Prima di Pithecusa. I più antichi materiali greci del Golfo di Salerno,
Napoli 1999; D'AGOSTINO B., I primi Greci in Etruria, in M. BonghiJovino (a cura
di), Tarquinia e le civiltà del Mediterraneo, Milano 2.006, pp. 335-46.
Su Pitecusa, dopo la monumentale edizione della necropoli di San Montano
di BUCHNER G. et al., Pithekoussai 1, in "MonAnt", serie monografica 4, 1993, è
fondamentale la raccolta di studi pubblicata in Apoikia. Scritti in onore di
G. Buchner, in "AION ArchStAnt", n.s., 1, 1994; per un quadro di sintesi: JANNEL-
LI L., Ischia e Cuma, in E. Greco (a cura di), La città greca antica. Istituzioni, socie-
tà e forme urbane, Roma 1999, pp. 303-2.8. Per alcune proposte di lettura delle
necropoli: CERCHW L., I vivi e i morti. I casi di Pitecusa e Posezdonia, in Confini e
frontiera nella Grecità d'Occidente, Atti del XXXVII Convegno di studi sulla
Magna Grecia (Taranto, 1997), Taranto 1999, pp. 658-70; NIZZO v., Ritorno ad
Ischia. Dalla stratigrafia della necropoli di Pithekoussai alla tipologia dei materia-
li, Napoli 2.007.
Sul caso di Sulcis: RENDELI M., Condivisioni tirreniche, 2, in Aequora, jam,
mare ... Mare, uomini e merci nel Mediterraneo antico, Atti del convegno inter-
nazionale (Genova, 2.004), Borgo San Lorenzo 2.006, pp. 2.38-45.
Sui rapporti tra Cuma e Pitecusa: D'AGOSTINO B., Pitecusa e Cuma tra Greci
e indigeni, in La colonisation grecque en Méditerranée occidentale, Actes de la
rencontre scientifique (Rome-Naples, 1995), Roma 1999, pp. 51-62.; ID., Pithecusae
e Cuma all'alba della colonizzazione, in Cuma, Atti del XLVIII Convegno di studi
sulla Magna Grecia (Taranto, 2.008), in corso di stampa.
Sulla necropoli di Gricignano: DE CARO s., L'Orientalizzante a Gricignano
d'Aversa, in Gli Etruschi e la Campania settentrionale (cit. in CAP. I); una prima
presentazione si trova in LAFORGIA E., Il museo archeologico dell'Agro Atellana,
Napoli 2.007.
Sul territorio di Pontecagnano e, in particolare, sui siti in località Casella e
sul colle di Monte Vetrano: CINQUANTAQUATTRO T., Pontecagnano, II. 6. L'Agro
Picentino e la necropoli di loc. Casella, Napoli 2.001; CERCHIAI L., NAVA M. L., Uno
BIBLIOGRAFIA

scarabeo del Lyre-Player Group da Monte Vetrano, in "AION ArchStAnt", n.s., 15-
16, 2008-09, pp. 97-104.
Sulle fibule da parata campane: CERCHW L., Le fibule da parata di Capua e
Suessula, in L. Pietropaolo, Sformate immagini di bronzo. Il carrello di Lucera tra
VIII e VII sec. a.C., Foggia 2002, pp. 143-7.
Sulla necropoli di Campomarino: DE BENEDITIIS G., Prima dei Sanniti? La
Piana di Bojano dall'Età del Ferro alla Guerre sannitiche attraverso i materiali
archeologici, Campobasso 2005.

3. LA CAMPANIA DEI PRINCIPI


(FINE VIII-VII SEC. A.C.)

3- I. Il sistema delle gentes e le dinamiche poleogenetiche

Sui principi: D'AGOSTINO B., I principi dell'Italia centro-tirrenica in età orientaliz-


zante, in P. Ruby (a cura di), Les princes de la protohistoire et l'émergence de
l'État, Actes de la table ronde internationale (Naples, 1994), Naples-Rome 1999,
pp. 81-8.
Sulle tazze monumentali dall'area di Fondo Patturelli: MINOJA M., "Ciotola
di forma insolita": una nuova forma ceramica nella fase iniziale del santuario di
Fondo Patturelli a Capua, in Studi di protostoria in onore di Renato Peroni, Borgo
San Lorenzo 2006, pp. 650-6.

3. 2. Le città tirreniche:
Pontecagnano e Capua
Sull'iscrizione della tomba 3509: PELLEGRINO c., COLONNA G., Pontecagnano.
Tomba 3509, scavo del 5/rolr979, in "StEtr", LXV-LXVIII 2002, pp. 384-8 n. 84; DE
SIMONE c., La nuova iscrizione etrusca di Pontecagnano. Quali "atlanti del dono",
e in che senso la più antica menzione (Rasunie) del nome degli Etruschi, in "L'In-
cidenza dell'Antico", 2, 2004, pp. 73-96; sulle iscrizioni etrusche di età orienta-
lizzante: CINQUANTAQUATTRO T., Un nuovo alfabetario dall'Etruria campana:
testimonianze di uso della scrittura a Pontecagnano nel periodo orientalizzante, in
"AION ArchStAnt", n.s., u-12, 2004-05, pp. 155-65.
Sul processo di ristrutturazione dell'abitato di Pontecagnano e delle necro-
poli: Contesto ambientale e dinamiche insediative tra l'Età del Ferro e l'Età
Arcaica (cit. ai PARR. 1.1 e 1.2); PELLEGRINO c., Continuità e discontinuità nelle
necropoli di Pontecagnano, in "AION ArchStAnt", n.s., 6, 1999, pp. 35-49; cuoz-
zo M., D'ANDREA A., PELLEGRINO c., L'insediamento etrusco-campano di Ponteca-
gnano. Metodi di indagine ed elementi di topografia della necropoli e dell'abitato
di età orientalizzante, in Papers o/ Italian Archaeology, 6. Communities and
settlement /rom the neolithic to early medieval period. Proceedings o/ the &h
Con/erence of the Italian archaeology held at the university of Groningen, 2003,
Oxford 2005, pp. 78-85; sull'area di mercato di età orientalizzante: BAILO MODE-
STI G. et al., I santuari di Pontecagnano, in COMELLA A., MELE s. (a cura di), Depo-
siti votivi e culti dell'Italia antica dal'età arcaica a quella tardo-repubblicana, Atti
del convegno (Perugia, 2000), Bari 2005, pp. 575-95 (in part., p. 576: contributo
di A. Lupia).
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Sulla necropoli di piazza Risorgimento: PELLEGRINO c., Pontecagnano: la


scrittura e l'onomastica in una comunità etrusca difrontiera, in La colonizzazione
etrusca in Italia, Atti del xv Convegno internazionale di Studi sulla Storia e l' Ar-
cheologia dell'Etruria (Orvieto 2007), Roma 2008, pp. 423-63; sulle tt. 926 e 928:
D'AGOSTINO B., Tombe principesche dell'Orientalizzante antico da Pontecagnano,
in "MonAnt", serie miscellanea 11, 1, 1977, pp. 9-110; sulla t. 4461: CERCHIAI L., Una
tomba principesca del pen·odo orientalizzante antico a Pontecagnano, in "StEtr",
LIII, 1985, pp. 27-42; sulla necropoli di Sant' Antonio: cuozzo M., Reinventando la
tradizione. Immaginario sociale, ideologie e rappresentazione nelle necropoli
orientalizzanti di Pontecagnano, Paestum 2003.
Su Eboli: CIPRIANI M., Eboli preromana: i dati archeologici. Analisi e proposte
di lettura, in M. Tagliente (a cura di), Italici in Magna Grecia. Lingue, insedia-
menti e strutture, Atti del convegno (Acquasparta, 1986), Venosa 1990, pp. 119-
60; sulla t. 66 di Bisaccia: BAILO MODESTI G., Oliveto-Cairano: l'emergere di un
potere politico, in G. Gnoli,J.-P. Vemant (a cura cli), La mori, les morts dans le
sociétés anciennes, Cambrigde 1982, pp. 241-56.
Su Capua: SAMPAOLO v., Necropoli e abitato a Capua: evidenze dalle ricerche
recenti, in Gli Etruschi e la Campania settentrionale (cit. in CAP. 1); sulla necropo-
li: JOHANNOWSKY w., Materiali di età arcaica dalla Campania, Napoli 1983; sulla
t. 722: D'AGOSTINO B., La tomba 722 di Capua, !oc. Le Fornaci e le premesse
dell'Orientalizzante in Campania, in Corollan'. Scn'tti di antichità etrusche ed itali-
che in omaggio all'opera di Giovanni Colonna, in corso cli stampa.

3-3. La strutturazione della mesogeia:


Calatia, Nola, Avella

Su Nola la sintesi più recente è costituita da un breve catalogo redatto in occasio-


ne dell'inaugurazione del museo storico-archeologico: Nola: la "Città Nuova"
della Campania antica, Napoli 2000; su Avella: CINQUANTAQUATTRO T., Rituale
funerario e dinamiche di genere nel mondo indigeno della mesogeia campana: il
caso di Avella, in "AION ArchStAnt", n.s., 13-14, 2006-07, pp. 111-34; su Calatia:
LAFORGIA E., L'età orientalizzante, in Id. (a cura di), Il Museo Archeologico di
Calatia, Napoli 2003, pp. 90-181 (per il cratere della t. 194: n. 52, pp. 152-54, figg.
75, 123: contributo di R. Berriola).

3-4. La Valle del Sarno


Sui rapporti tra Pitecusa e le comunità della Valle del Sarno: D'AGOSTINO B.,
Società dei vivz; società dei morti: un rapporto difficile, in "DialArch ", n.s., 3, 1985,
1, pp. 47-58; sulla circolazione di ceramica greca e il cratere della t. 168: ID., Le
necropoli protostoriche della Valle del Sarno. Le ceramiche di tipo greco, in "AJON
ArchStAnt", 1, 1979, pp. 59-75; sulla tomba 928 di San Marzano: GRECO G.,
MERMATI F., Pitecusa, Cuma e la Valle del Sarno. Intorno ad un corredo funerario
della necropoli di San Marzano sul Sarno, in AA.W., Across /rontiers. Etruscans,
Greeks, Phoenicians and Cypriots. Studies in Honour of David Ridgway and
Francesca Romana Se"a Ridgway, London 2006, pp. 179-214.
BIBLIOGRAFIA

4. LA CAMPANIA DELLE CITTÀ (VI SEC. A.C.)

4. I. Il processo di urbanizzazione:
pianificazione degli spazi e nuovi assetti edilizi

Sugli scavi nelle aree del "Siepone" e dell'Alveo Marotta: SAMPAOLO v., La peri-
metrazione di Capua e l'abitato arcaico. Nota preliminare, in La città murata in
Etruria, Atti del xxv Convegno di Studi Etruschi e Italici (Chianciano Terme-
Sarteano-Chiusi 2005), Pisa-Roma 2008, pp. 471-80; REGIS c., L'abitato arcaico di
Capua: Santa Maria Capua Vetere, loc. "Siepone", scavi 2003-05, in Gli Etruschi e
la Campania settentrionale (cit. in CAP. 1); ALLEGRO N., Insediamento arcaico e
necropoli sannitica presso l'Alveo Marotta in Santa Maria Capua Vetere, in
"StEtr", LII, 1986, pp. 514-7.

4.3- L'architettura sacra

Sull'architettura sacra: RESCIGNO c., Tetti campani. Età arcaica. Cuma, Pitecusa e
gli altri contesti, Roma 1998; D'AGOSTINO B., CERCHIAI L., I Greci nell'Etruria
campana, in G. M. Della Fina (a cura di), I Greci in Etruria. La colonizzazione
etrusca in Italia, Atti del XI Convegno internazionale di Studi sulla Storia e l'Ar-
cheologia dell'Etruria. (Orvieto, 2003), Roma 2004, pp. 272-7.

4.4. La città come sistema di consumo, produzione e scambio

Sulla produzione del bucchero: cuozzo M., D'ANDREA A., Proposta di periodiv.a-
zione del repertorio locale di Pontecagnano tra la fine del VII e la metà del v sec. a. C.
alla luce della stratigrafia delle necropoli, in "AION ArchStAnt", XIII, 1991, pp. 47-
114; MINOJA M., Il bucchero del Museo provinciale campano. Ricezione, produzione
e commercio del bucchero a Capua, Pisa 2000; per un inquadramento metodologi-
co allo studio della ceramica comune: CERCHIAI L., Introduzione, in D. Frère (a
cura di), Ceramiche fini a decoro subgeometrico del VI secolo a.C. in Etruria meri-
dionale e in Campania, Atti del seminario (Roma, 2003), Roma 2007, pp. 1-5.
Sulla bonifica di Aristodemo: CERCHIAI L., Il cerchio di Aristodemo, in "AION
ArchStAnt", n.s., 7, 2000, pp. 115-6; sui paesaggi agrari di Suessula, Calatia e
Pontecagnano: GIAMPAOLA D., Appunti per la storia del paesaggio agrario di Acer-
ra, in S. Quilici Gigli (a cura di), Uomo, acqua e paesaggio, Atti dell'Incontro di
studio (Santa Maria Capua Vetere, 1996), Roma 1997, pp. 225-38; Il Museo
Archeologico di Calatia (citato al PAR. 3.3), pp. 11-25 (contributi di S. Quilici Gigli,
C. Rescigno et al.); SANTORIELLO A., ROSSI A., Aspetti e problemi delle trasforma-
zioni agrarie nella piana di Pontecagnano (Salerno): una prima riflessione, in
"AION ArchStAnt", n.s., 11-12, 2004-05, pp. 245-57.
Sui rapporti tra Cuma e i centri etruschi della Campania: D'AGOSTINO B.,
Appunti su Cuma. L'Etruria e l'etruscità campana, in Etruria e Italia preromana.
Studi in onore di Giovannangelo Camporeale, Pisa-Roma 2009, pp. 281-4; sulle dina-
miche del commercio: CERCHW L., Stili e tendenze del commercio corinzio nel basso
Tirreno, in Corinto e l'Occidente, Atti del XXXIV Convegno di Studi sulla Magna
Grecia (Taranto, 1994), Taranto 1995, pp. 614-22; sulla tomba in località Quattordi-
ci Ponti: BELLELLI v., La tomba principesca dei Quattordici Ponti nel contesto di

143
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Capua arcaica, Roma 2006; sul concetto di cultura "meticcia": D'AGOSTINO B., La
Campania e gli Etruschi, in Magna Grecia, Etruschi e Fenici, Atti del XXXIII Conve-
gno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 1993), Taranto 1994, pp. 431-48.

4. 5. La città come dimensione politica

Sui nomi di Marcina e Volcei: DE SIMONE c., in "Glotta", LIII, 1975, p. 178; COLON-
NA G., L'Etruscità della Campania meridionale alla luce delle iscrizioni, in La
presenza etrusca in Campania meridionale (cit. in CAP. 1), p. 360; sull'iscrizione
della t. 26 di Fratte: PONTRANDOLFO A., Un'iscrizione poseidoniate in una tomba
di Fratte di Salerno, in "AION ArchStAnt", IX, 1987, pp. 55-63.
Sulla Tabula Capuana: CRISTOFANI M., Tabula Capuana. Un calendario /esti-
vo di età arcaica, Firenze 1995.
Sull'alfabeto paleoitalico di Nocera e l'iscrizione della t. 107: COLONNA G., Le
iscrizioni di Nocera e il popolamento pre- e paleosannitico della Valle del Sarno, in
Italia ante romanum imperium. Scritti di antichità etrusche, italiche e romane (19y8-
1998), III, Pisa-Roma 2005, pp. 1753-72; RUSSO M., Sorrento. Una nuova iscrizione pale-
oitalica in alfabeto "nucerino" e altre iscrizioni dalla Collezione Fluss, Capri 2005.

4. 6. Il processo di etruschizzazione

Per una sintesi sull'uso dell'etrusco in Campania: Pontecagnano: la scrittura e


l'onomastica in una comunità etrusca di frontiera (cit. al PAR. 3.2).

4-7- I centri urbani

4.7.1. Su Capua e il territorio, oltre alla bibliografia cit. al PAR. 4.1: SAMPAOLO v.,
Osservazioni sul sistema viario a nord di Capua, in "eA", 39-40, 1996, pp. 1-6; ID.,
Organizzazione dello spazio urbano e di quello extra-urbano di Capua, in La
Forma della città e del territorio, Roma 1999, pp. 139-46; sul santuario di Fondo
Patturelli: GRASSI B., SAMPAOLO v., Terrecotte arcaiche dai nuovi scavi di Fondo
Patturelli a Capua. Una prima proposta interpretativa, in I. Edlund-Berry, G.
Greco,]. Kenfield (eds.), Deliciae Fictiles 3. Architectural Terracottas in Ancient
Italy. New Discoveries and Interpretations. Proceedings o/ the International
Con/erence held at the American Academy o/ Rome, Novembre 2002, Oxford
2006, pp. 321-30; sulle più antiche statue di "madre": M.W., Matres Matutae dal
Museo di Capua, Milano 1989, in part. pp. 107-8; sui culti a Fondo Patturelli e
presso i santuari di Diana Tifatina e Hamae: CERCHIAI L., I santuari, in Gli Etru-
schi e la Campania settentrionale (cit. in CAP. I).

4. 7.2. Su Suessula: Suessula e i nuovi rinvenimenti (cit. ai PARR. 1.1 e 1.2); su Cala-
tia: Il Museo Archeologico di Calatia (cit. al PAR. 3.3); su Cales: I Santuari (cit. al
PAR. 4.7. 1).

4.7.3. Su Nocera: JOHANNOWSKY w., Nuovi rinvenimenti a Nuceria Al/aterna, in


La Regione sotterrata dal Vesuvio. Studi e prospettive, Atti del Convegno interna-
zionale (Napoli, 1979), Napoli 1982, pp. 837-8; su Pompei: PESANDO F., GUIDOBAL-
DI M. P., Pompei, Oplontis, Ercolano, Stabiae, Roma-Bari 2006; Nuove ricerche

144
BIBLIOGRAFIA

archeologiche nell'area vesuviana (cit. ai PARR. 2.1 e 2.2); sulla laguna portuale
CURTI E., Il tempio di Venere Fisica e il porto di Pompei, in Nuove ricerche archeo-
logiche nell'area vesuviana, pp. 47 -60; Io., Spazio sacro e politico nella Pompei
preromana, in M. Osanna (a cura di), Verso la città. Forme insediative in Lucania
e nel mondo italico tra IV e III sec. a. C., Atti delle Giornate di studio (Venosa
2006), Venosa 2009, pp. 49 7 -511.
Sul tempio di Apollo: DE CARO s., Saggi nell'area del tempio di Apollo a
Pompei. Scavi stratigrafici di A. Maiuri nel 1931-32 e 1942-43, Napoli 1986; sul
tempio del Foro triangolare: DE WAELE J. (a cura di), Il tempio dorico del Foro
triangolare di Pompei, Roma 2001 (in particolare: D'AGOSTINO B., Le terrecotte
architettoniche arcaiche, pp. 133-96, per quanto riguarda la ricostruzione dei tetti
delle prime due fasi); sulla documentazione da località Bottaro: o'AMBROSIO A.,
La stipe votiva in !oc. Bottaro (Pompei), Napoli 1984.

4.7,4, Su Vietri sul mare: D'AGOSTINO B., Marcina?, in "DialArch", 2, 1968,


pp. 139-51; sul santuario di Atena: RUSSO M. et al., Punta della Campanella. Epigra-
fe osca e reperti vari dell'Athenaion, in "MonAnt", LII, 1990, pp. 183-285; AA.W., Il
santuario di Punta della Campanella, in "A!ON ArchStAnt", XIV, 1992, pp. 151-241;
sul popolamento della penisola sorrentina: BONGHI JOVINO M., Mitici approdi e
paesaggi culturali. La penisola so"entina prima di Roma, Castellammare di Stabia
2008; su Stabiae: SENATORE F., Stabiae: storia dell'insediamento, in D. Camardo,
A. Ferrara, Stabiae dai Borbone alle ultime scoperte, Castellammare di Stabia
2001, pp. 23-38.

4.7.5. Su Fratte: GRECO G., PONTRANDOLFO A., Fratte: un insediamento etrusco-


campano, Modena 1990; PONTRANDOLFO A. (con la coll. di SANTORIELLO A.), Il
complesso monumentale arcaico, Salerno 2009; sui santuari di Pontecagnano:
I santuari di Pontecagnano (cit. al PAR. 3.2); BAILO MODESTI G. et al., I santuari di
Pontecagnano: paesaggio, azioni rituali e offerte, in M. L. Nava, M. Osanna (a
cura di), Lo spazio del rito. Santuari e culti in Italia meridionale, Atti delle Gior-
nate di studio (Matera, 2002), Bari 2005, pp. 193-214; BAILO MODESTI G. et al., Le
acque intorno agli dei: rituali e offerte votive nel santuario settentrionale di Ponte-
cagnano, in M. Bonghi }ovino, F. Chiesa (a cura di), Offerte dal regno vegetale e
dal regno animale nelle manifestazioni del sacro, Atti dell'incontro di studio
(Milano, 2003), Roma 2005, pp. 37-60; le iscrizioni a Luas e ad Apollo sono
pubblicate in SCHIANO DI COLA c., COLONNA G., Picentia (Pontecagnano). a)
Santuario settentrionale, in "StEtr", LXXII, 2007, pp. 355-61) sull'impianto urbano
di Pontecagnano: CERCHIAI L., La Campania: i fenomeni di colonizzazione in La
colonizzazione etrusca in Italia (cit. al PAR. 4.6), pp. 401-21; su Manth: COLONNA G.,
Pontecagnano, in "StEtr", LXIII, 1999, pp. 405-7, n. 33.

4.7.6. Su Teano e il popolamento indigeno della Campania settentrionale: SIRA-


NO F., Identità culturali nella Campania settentrionale: un aggiornamento, in
C. Corsi, E. Polito (a cura di), Dalle sorgenti alla foce. Il bacino del Liri-Gariglia-
no nell'antichità: culture, contatti, scambi, Atti del convegno (Frosinone-Formia,
2005), Roma 2008, pp. 37-59; Io., Teano. La scoperta del santuario di luno Pop/u-
na, in Id. (a cura di), In itinere. Ricerche di archeologia in Campania, Cava de'
Tirreni 2007, pp. 69-95; la stele di Montanaro di Francolise è pubblicata in

145
Gli ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

ZEVI F., Da Dicearchia a Puteoli: la «città del governo giusto», in F. Zevi, Puteoli,
Napoli 1993, pp. n-2, FIG. p. 149; per i confronti cumani: Museo archeologico dei
Campi Flegrei. Catalogo generale I. Cuma (cit. ai PARR. 2.1 e 2.2), pp. 163-7 (contri-
buto di C. Rescigno); sui santuari in area ausone: I santuari (cit. al PAR. 4.7.1); su
Literno: GARGIULO P., Liternum. Materiali dall'abitato, in P. Miniero, F. Zevi (a
cura di), Museo archeologico dei Campi Flegrei. Catalogo generale 3. Liternum,
Baia, Miseno, Napoli 2008, p. 29.

5. L'ETA DI ARISTODEMO (524-484 A.C.)

5. I. La tradizione storica

Sulla tradizione storica di Aristodemo: MELE A., Aristodemo, Cuma e il Lazio, in


M. Cristofani (a cura di), Etruria e Lazio arcaico, Atti dell'incontro di studio
(Roma, 1986), in "Quad.AEI", 15, 1987, pp. 155-77; Io., Cuma tra VI e v secolo, in Gli
Etruschi e la Campania settentrionale (cit. in CAP. 1); sulla nozione di Campi
Flegrei: VALENZA MELE N., Eracle euboico a Cuma, La Gigantomachia e la Via
Heraclea, in Recherches sur les cultes grecs et l'Occident, 1, Cahiers du Centre ]ean
Bérard, v, Napoli 1979, pp. 19-51.

5.2. Un sistema integrato: miti e tradizioni cultuali

Sul sistema di propaganda del tiranno: I Greci nell'Etruria campana (cit. al PAR.
4.3), pp. 277-9; sul paradigma trionfale di Apollo ed Eracle: D'AGOSTINO B.,
CERCHIAI L., Aspetti della funzione politica di Apollo in area ti"enica, in I culti
della Campania antica, Atti del Convegno internazionale di studi in ricordo di
Nazarena Valenza Mele (Napoli, 1995), Roma 1988, pp. n9-28.
Sulla ceramica a figure nere di Capua: FALCONE L., !BELLI v., La ceramica
campana a figure nere. Tipologia, sistema decorativo, organizzazione delle botte-
ghe, Pisa-Roma 2007.

5.3. Le élites ellenizzate

Sull'Hydria Vivenzio di Nola: CERCHW L, L'hydria Vivenzio di Nola, in F. Giudi-


ce, R. Panvini (a cura di), Il greco, il barbaro e la ceramica attica, Atti del conve-
gno internazionale di studi (Catania, Caltanissetta, Gela, Camarina, Vittoria,
Siracusa, 2001), III, Roma 2006, pp. 39-45; CASTALDO F., La sepoltura dell'"Hydria
Vivenzio", in" AION ArchStAnt", n.s., 13-14, 2006-07, pp. 173-84.
Sulle tombe a incinerazione di Fratte: PONTRANDOLFO A., Costume funerario
e circolazione di beni, in Fratte (cit. al PAR. 4.7.5), pp. 276-80.
Sulla produzione dei dinoi di bronzo e i contesti delle tombe "a cubo":
BENASSAI R., Sui dinoi bronzei capuani, in Studi sulla Campania preromana, Roma
1995, pp. 157-205; sulla recente scoperta di tombe "a cubo" da Calatia: LAFOR-
GIA E., Maddaloni - Calatia. I nuovi scavi della necropoli nord-orientale, in Gli
Etruschi e la Campania settentrionale (cit. in CAP. 1); sul "Lebete Barone":
CERCHW L., Le tombe "a cubo" di età tardoarcaica della Campania settentrionale,
in D'AGOSTINO B., CERCHW L., Il mare, la morte, l'amore. Gli Etruschi; i Greci e
l'immagine, Roma 1999, pp. 163-70.
BIBLIOGRAFIA

6. LA CRISI DELLA CITTÀ ARCAICA (V SEC. A.C.)

6. I. Le contraddizioni dello sviluppo.


La chiusura oligarchica

Sul concetto di crisi come "involuzione" oligarchica: TORELLI M., Storia degli
Etruschi, Roma-Bari 1990, pp. 183-214.

6.3- Napoli
Sulla fondazione di Napoli: GIAMPAOLA D., D'AGOSTINO B., Osservazioni storiche e
archeologiche sulla fondazione di Neapolis, in W. H. Harris, E. Lo Cascio (a cura
di), Noctes Campanae. Studi di storia antica ed archeologia dell'Italia preromana e
romana in memoria di Martin. W. Frederiksen, Napoli 2005, pp. 49-80; sulla
tradizione storica neapolitana: MELE A., Atene e la Magna Grecia, in E. Greco,
M. Lombardo (a cura di), Atene e l'Occidente. I grandi temi, Atti del convegno
internazionale (Atene, 2006), pp. 239-67; ID., Tra subcolonia ed epozkia: il caso di
Neapolis, in M. Lombardo e F. Frisone (a cura di), Colonie di colonie, Atti del
convegno internazionale (Lecce, 2006), pp. 183-201; sugli edifici sacri di Punta
della Campanella e Pitecusa: RESCIGNO c., Tetti campani di età classica, in I culti
della Campania antica (cit. al PAR. 5-2), pp. 129-41.
Sul pr~cesso di sannitizzazione di Nola e Nocera: Le iscrizioni di Nocera e il
popolamento pre- e paleosannitico della Valle del Sarno (cit. al PAR. 4.5).
Sulla crisi delle città etrusche: La Campania: i fenomeni di colonizzazione
(cit. al PAR. 4.7. 5).

7. LA CONQUISTA ITALICA
(SECONDA METÀ V-IV SEC. A.C.)

7.r. Il popolo dei Campani e la conquista di Capua e di Cuma

Sulla formazione del popolo dei Campani: MUSTI D., Per una valutazione delle
fonti classiche sulla storia della Campania tra il VI e il III secolo, e D'AGOSTINO B.,
Greci, Campani e Sanniti: città e campagna nella regione campana, in La Campa-
nia tra il VI e il III sec. a.C. (cit. in CAP. 1), rispettivamente pp. 31-46 e pp. 73-83;
LEPORE E., La tradizione storica delle entità regionali in Italia meridionale, in E.
Campanile (a cura di), Lingua e cultura degli Oschi, Atti del convegno (Pisa,
1984), Pisa 1985, pp. 55-65.
Sulla tomba dipinta di Cuma, con la possibile raffigurazione della legio
linteata: VALENZA MELE N., Una nuova tomba dipinta a Cuma e la Legio Linteata,
in L. Breglia Pulci Doria (a cura di), L'incidenza dell'antico. Studi in memona di
Ettore Lepore, 2, Napoli 1996, pp. 325-60.
Per il livello di distruzione nell'abitato di Cuma: RESCIGNO c., La città prero-
mana, in Museo archeologico dei Campi Flegrei. Catalogo generale 1. Cuma (cit. ai
PARR. 2.1 e 2.2), pp. 157-64.
Sulle emissioni monetali delle comunità campano-sannitiche: CANTILENAR.,
La moneta tra Campani e Sanniti nel IV e III sec. a. C., in Studi sull'Italia dei Sanni-
ti, Roma 2000, pp. 82-9; CRISTOFANI M., Sulla origine della scrittura osco-greca, in

147
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

"StEtr", LXII, 1996, pp. 275-9; PARISE N., Era LAcinia in Campania, in I culti della
Campania antica (cit. al PAR. p), pp. 87-96.

7.2. La politica di Napoli

Sulla necropoli di Castel Capuano: PONTRANDOLFO A., D'AGOSTINO B., Greci,


Etruschi e Italici nella Campania e nella Lucania ti"enica, in Crise et trans/orma-
tion des sociétés archai'ques de l'Italie antique au V siècle av.]. C., Atti della tavo-
la rotonda (Roma, 1987), Roma 1990, pp. 101-6.

7-3. Gli indicatori archeologia' del cambiamento

Sulla crisi di Pompei: COARELLI F., Il settore nord-occidentale di Pompei e lo svilup-


po urbanistico della città dall'età arcaica al Ili sec. a. C., in Nuove ricerche archeolo-
giche nell'area vesuviana (cit. ai PARR. 2.1 e 2.2), pp. 173-6 e l'importante discus-
sione a pp. 504-7; sulla nozione di agrestes: LEPORE E., Origini e strutture della
Campania antica (cit. in Opere generali), pp. 159-64.
Sull'organizzazione delle necropoli di Capua: Necropoli e abitato a Capua:
evidenze dalle ricerche recenti (cit. al CAP. 3.2); sulle necropoli di Pontecagnano:
CERCHIAI L., I Sanniti del Tirreno: il caso di Pontecagnano, in M. Cipriani, F.
Longo (a cura di), Poseidonia e i Lucani, Napoli 1996, pp. 73-74; Sulle iuvilas:
FRANCHI DE BELLIS A., Le iovile capuane, Firenze 1981; PROSDOCIMI A. L., Le religio-
ni degli Italici, in Italia omium terrarum parens, Milano 1989, pp. 537-39.
Sul gruppo del "Pilastro della Civetta": PONTRANDOLFO A., Iconografie
anomale dal mondo italico: rappresentazioni rituali?, in I. Colpo, I. Favaretto,
F. Ghedini (a cura di), Iconografia 200,. Immagini e immaginari dall'antichità
classica al mondo moderno, Atti del convegno internazionale (Venezia, 2005),
Roma 2006, pp. 41-9; sull'inizio della produzione regionale a figure rosse:
PONTRANDOLFO A., Le prime esperienze dei ceramografi sicelioti e le altre officine
tirreniche, in I vasi attici ed altre ceramiche coeve in Sicilia, Atti del convegno
internazionale (Catania, Camarina, Gela, Vittoria, 1990), Il, "CronCatania", 30,
1991, pp. 35-49; sulla ceramica campana a figure rosse: TRENDALL A. D., Red Figu-
red Vases o/South Italy and Sicily, London 1989, pp. 157 ss.
Sul costume funerario delle comunità indigene (in ordine geografico):
BENASSAI R., S. Prisco. LA necropoli capuana di Ne III sec. a.e, in Carta archeologi-
ca e ricerche in Campania (cit. ai PARR. 2.1 e 2.2), pp. 73-235 (Capua); LAFORGIA E.,
L'età arcaica e sannitica, e BERRIOLA R., LA ceramica nei contesti tombali dal VI al
Ili sec. a.e, in Il museo archeologico di Calatia (citato al PAR. 3.3), pp. 183 ss. (Cala-
tia); VALENZA MELE N., LA necropoli di Cuma. Il superamento della comunità primi-
tiva, in Italici in Magna Grecia. Lingue, insediamenti e strutture (cit. al PAR. 3.2),
pp. 23-33; RESCIGNO c., La necropoli di epoca sannitica e la pittura funeraria, in
Museo archeologico dei Campi Flegrei. Catalogo generale I. Cuma (cit. ai PARR. 2.1
e 2.2), pp. 264-5 con schede pp. 269 ss. (Cuma); D'HENRY G., GIAMPAOLA D., Le
necropoli del!' entroterra, in Napoli antica, catalogo della mostra (Napoli, 1985-
1986), Napoli 1985, pp. 300-32 (Napoli); ROMITO M., Le necropoli di Nuceria nelle
raccolte di Musei della Provincia di Salerno, in A. Pecoraro (a cura di), Nuceria
Al/aterna e il suo te"itorio. Dalla fondazione ai Longobardi, 1, Nocera Inferiore
1994, pp. 209-29 (Nocera); ID., Le tombe del N sec. a.e, in Fratte: un insediamen-
to etrusco-campano (cit. al PAR. 4.7.5), pp. 281-90 (Fratte); SERRITELLA A., Ponteca-
BIBLIOGRAFIA

gnano, II. 3. Le nuove aree di necropoli del IV e lii sec. a.C., Napoli 1995;
VISCIONE M., Percorsi stradali e nuclei di sepolture lungo il tracciato autostradale,
in "AJON ArchStAnt", n.s., 11-12, 2004-05, pp. 263-72 (Pontecagnano).

7.4. Mercenari e cavalieri

Sul mercenariato: TAGLIAMONTE G., I figli di Marte. Mobilità, mercenari e merce-


naria/o italici in Magna Grecia e in Sicilia, Roma 1994; lo., Tra Campania e Sici-
lia: cavalieri e cavalli campani, in Guerra e pace in Sicilia e nel Medite"aneo anti-
co (vm-lll sec. a. C.): arte, prassi e teoria nella pace e della gue"a, Atti delle quinte
giornate internazionali di studi sull'area elima e la Sicilia occidentale (Erice,
2003), Pisa 2006, pp. 463-81.
Sul tesoretto di Pontecagnano: CANTILENAR., Un gruz.zolo di monete d'argen-
to da Pontecagnano: l'offerta votiva di un mercenario?, in "L'Incidenza dell' Anti-
co", 6, 2008, pp. 183-203.
Sulla pittura tombale campana: BENASSAI R., La pittura dei Campani e dei
Sanniti, Roma 2001; PRISCO G., VALENZUELA M., Tecnica esecutiva di un gruppo di
tombe dipinte da Capua antica, in "Bollettino dell'Istituto Centrale del Restau-
ro", n.s., 1, 2000, pp. 28-48; sulla tomba cumana con scena di simposio: CAPU-
TO P., Una nuova tomba osca dipinta dalla necropoli di Cuma (Po1.1.uolilNA):
rapporto preliminare, in In itinere (citato al PAR. 4.7. 6), pp. 25-33; lo., in Museo
archeologico dei Campi Flegrei. Catalogo generale 1. Cuma (cit. ai PARR. 2.1 e 2.2),
pp. 265-8; sulle tombe dipinte di Pontecagnano: MANCUSI M., SERRITELLA A., La
tomba 37u: indizi per un rituale di passaggio, in "AION ArchStAnt", n.s., 11-12,
2004-05, pp. 273-300.

8. L'ESPANSIONE DI ROMA (SECONDA METÀ IV-III SEC. A.C.)

8. 1. Le guerre sannitiche

Sulle guerre sannitiche: FREDERIKSEN M., Campania (cit. in Opere generali),


pp. 180-220; sulla guerra napoletana: LEPORE E., La comunità cittadina del IV seco-
lo a.C. tra Sanniti e Campani, in Storia di Napoli, I, Napoli 1967, pp. 228-40.

8.2. La romanizzazione: rifondazione politica e urbana

Per una messa a punto delle coordinate storiche e archeologiche del processo di
romanizzazione: RESCIGNO c., SENATORE F., Le città della piana campana tra IV e fil
sec. a.C., in Verso la città. Forme insediative in Lucania e nel mondo italico tra IV
e m sec. a.C. (cit. al PAR. 4.7.3), pp. 415-62.
Sulla produzione votiva di tipo medio-italico: COMELLA A., Il messaggio delle
offerte dei santuari etrusco-italici di periodo medio- e tardo-repubblicano, in Depo-
siti votivi e culti dell'Italia antica dal!' età arcaica a quella tardo-repubblicana (cit.
al PAR. 3. 2), pp. 47-59.
Sulla ristrutturazione urbana di Cuma, il Foro e il Capitolium: ZEVI F., RESCI-
GNO c., La città di età sannitica: un grande tempio dall'area del futuro foro, in
Museo archeologico dei Campi Flegrei. Catalogo generale 1. Cuma (cit. ai PARR. 2.1
e 2.2), pp. 247-8 con schede alle pp. 249-63.

149
GLI ANTICHI POPOLI DELLA CAMPANIA

Sulla ristrutturazione di Pompei e Nocera: DE CARO s., Lo sviluppo urbanisti-


co di Pompei, in Archeologia in Magna Grecia. Omaggio a Paola Zancani Montuo-
ro,, numero monografico di "AttiMGrecia", 1992, pp. 67-90; PESANDO F., Case di
età medio-sannitica nella Regio VI: tipologia edilizia e apparati decorativi, in Nuove
ricerche archeologiche nell'area vesuviana {cit. ai PARR. 2.1 e 2.2), pp. 159-72 (con
discussione pp. 508-13); sull'edificio per banchetti e le Terme Stabiane: Pompei,
Oplontis, Ercolano, Stabiae (cit. al PAR. 4.7.3), pp. 77-81 e 210; per il complesso
monumentale nella terrazza del Tempio di Venere si rimanda alla bibliografia
cit. al PAR. 4.7.3; sulla fase sannitica del tempio di Foro triangolare: SCATOZZA
HORICHT L. A., Il sistema di rivestimento sannitico e altre serie isolate, in Il Tempio
Dorico del Foro T nangolare di Pompei {cit. al PAR. 4. 7 .3), pp. 223-3rn; sull'edificio
sotterraneo al di sotto delle Terme Stabiane: Spazio sacro e politico nella Pompei
preromana {cit. al PAR. 4.7.3), pp. 506-9; sul santuario di Sant'Abbondio: BIEL-
FELDT R., Der Liber-Tempel in Pompeji, Sant'Abbondio. Oskisches Vorstadtheilig-
tum und Kaiserzeitliches Kultlokal, in "RM", 113, 2007, pp. 317-71; sul paesaggio
agrario di Pompei: DE CARO s., Urbanistica e architettura, in F. Zevi (a cura di),
Pompei, I, Napoli 1991, pp. 44-5.

8.3. Le città alleate

Su Napoli: GIAMPAOLA D., CARSANA v., Le nuove scoperte: la città, il porto e le


macchine, in Eureka! Il genio degli Antichi, catalogo della mostra (Napoli, 2005),
Napoli 2005, pp. 47-91; FEBBRARO s., GIAMPAOLA D., Scarti di ceramica comune di
età ellenistica dallo scavo di Piazza Nicola Amore a Napoli, in M. Pasqualini (a
cura di), Les céramiques communes d'Italie et de Narbonnaise, Actes de la table
ronde (Naples, 2006), Napoli 2009, pp. 117-32; GIAMPAOLA D., L'area archeologica
di San Lorenzo. Il Forum Duplex e Il mercato di Neapolis. La sistemazione più
antica, in San Lorenzo Maggiore. Guida al museo e al complesso, Napoli 2005,
rispettivamente pp. 4-7 e 9.
Sulle emissioni monetali di Cales, Teano e Sessa Aurunca: CANTILENAR., La
monetazione di un centro campano alleato di Roma. Riflessioni su Teanum,
Proceedings XII International Numismatic Congress, Berlin 1977, Berlin 2000, pp.
252-60.
Sul processo di urbanizzazione di Teano: SIRANO F., Teanum Sidicinum.
Contributi per la conoscenza di un centro italico dall'Ellenismo al Tardo Antico,
in L. Mascilli Migliorini (a cura di), Terra di Lavoro. I Luoghi della storia, Avelli-
no 2009, pp. 57-79; sulla necropoli di Orto Ceraso: MIELE F., Le stele funerarie ad
edicola delle necropoli in località Orto Ceraso e Gradavola di T eanum Sidicinum,
in D. Caiazza (a cura di), Italica Ars. Studi in onore di Giovanni Colonna per il
premio I Sanniti, Piedimonte Matese 2005, pp. 507-66.

8. 4. La pax romana: Atena Frigia

Sul tipo di Atena Frigia: CERCHW L. (a cura di), L'iconogra/za di Atena con elmo
frigio in Italia men"dionale, Atti della Giornata di studi (Fisciano, 1998), Napoli
2002.
BIBLIOGRAFIA

8.5. Dinamiche di destrutturazione: l'Agro Picentino

Su Fratte: PONTRANDOLFO A. et al., Materiali di una/ossa di scarico dall'abitato di


Fratte: /rammenti di vita quotidiana, in "Apollo", XIII, 1997, pp. 15-50; PONTRAN-
DOLFO A., Atena Frigia: un'immagine polisemica, in L'iconografia di Atena con
elmo frigio in Italia meridionale (cit. al PAR. 8.4); TOMAY G., Per una definizione
delle aree sacre di Fratte: nuovi documenti fittili dal!' abitato, in "Apollo", XVIII,
2002, pp. 3-22.
Su Pontecagnano: ALFANO o. et al., Pontecagnano tra Etruschi; Sanniti e
Romani. Gli scavi dell'Università di Salerno e dell'Università di Napoli "L'Orien-
tale" lungo l'autostrada SA-Re, in Verso la città. Forme insediative in Lucania e nel
mondo italico tra IVe III sec. a.C. (cit. al PAR. 4.7.3), pp. 463-96; sulla moneta dei
Pitanati: CANTILENAR., CERCHIAI L., PONTRANDOLFO A., L'immagine di Eracle in
lotta contro il leone nella documentazione del IV sec. a. C., in M. Caccamo Calta-
biano, D. Castrizio, M. Publisi (a cura di), La tradizione iconica come fonte di
storia. Il ruolo della numismatica negli studi di iconografia, Atti del I Incontro di
studio del Lexicon Iconographicum Numismaticae (Messina, 2003), Reggio Cala-
bria 2004, pp. 131-50 (in part. pp. 135-42: R. Cantilena); sui rituali di chiusura dei
santuari: CERCHIAI L., Cerimonie di chiusura nei santuari italici dell'Italia meridio-
nale, in G. Greco, B. Ferrara (a cura di), Doni agli dei. Il sistema dei doni votivi
nei santuari, Atti del seminario di studi (Napoli, 2006), Pozzuoli 2008, pp. 23-6.
Su Picentia: CINQUANTAQUATTRO T., Pontecagnano (Salerno). Saggi stratigra-
fici nell'abitato antico, in "BA", 28-30, 1999, pp. 121-71; GIGLIO M., Picentia, fonda-
zione romana?, in" AION ArchStAnt", n.s., 8, 2001, pp. 119-31.

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