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ISBN978-88-15-07650-2

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Come leggere le fonti

Nuova edizione


ISBN 978-88-15-07650-2

Copyright © 1996 by Società editrice il Mulino, Bologna. Nuova edizione 2000.

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Introduzione: La storia antica oggi, di Lellia Cracco Ruggini p. 9

1 . Perché e come si studia oggi la storia del mondo antico 9


1 . 1 . Storia: significato e funzione 9
1 .2. La conoscenza storica: non strumento, ma necessità 11
1 .3. Il passato interpretato e l'obiettività possibile 14
1 .4. Selezione e generalizzazione, procedimenti legittimi 15
1 .5. <<Cause>> e <<modi>> del divenire storico 17
2. Le novità emergenti nello studio attuale della storia antica 21
2 . 1 . Fonti <<monumentali>> e fonti <<documentarie>> 21
2.2. Le innovazioni tecniche nella ricerca specialistica 24
2.3. Nuovi orientamenti tematici 28
3 . Bibliografia 32

I. Geografia e topografia storica, di Giusto Traina 37

1 . Premessa 37
2. Paesaggio reale, paesaggio inunaginario: vicende e contrad­
dizioni di una realtà da rileggere 38
2 . 1 . Pace d'Arcadia o sudore di schiavi? 38
2.2. Tirannia dd documento storico? 40
2.3 . Logiche del paesaggio antico 41
2.4. Visibilità del paesaggio antico 42
2.5. Selezione degli eventi: le calamità naturali 43
2.6. Selezione della realtà geografica: i paesaggi <<marginali>> 45
2.7. Selezione della realtà antropica: la demografia e le tec-
niche 46
2.8. Miti da sfatare 49
3. Discipline e tendenze di ricerca 51
3 . 1 . La geografia storica del mondo antico 51
3 .2. La topografia storica 52
3 .3 . Lessicografia e toponomastica 54
3 .4. Sismologia storica 55
4. Bibliografia 56
6 INDICE

II. Le fonti archeologiche, di Maria ]osé Strazzulla p. 6 1

1. Premessa 61
2. La nascita dell'archeologia 62
3. Dal tesoro al coccio. La ricerca delle certezze 66
4. Archeologia e storia nel mondo contemporaneo. La scuola
di <<Les Annales>> e la ricerca in Francia 70
5. La <<Nuova Archeologia>> 74
6. Archeologia come storia. L'esperienza italiana 78
7. Archeologia e storia: un nuovo rapporto 81
7 . 1 . Archeologia e storia istituzionale: la nascita di Roma 82
7 .2. Archeologia e storia economica: produzione, mercati e
scambi 84
7 .3. Archeologia e storia sociale: le arti figurative 86
8. Un caso particolare: dall'archeologia cristiana all' archeolo-
gia tardoantica 90
9. La pratica archeologica: ricognizione e scavo 91
9 . 1 . La ricognizione archeologica 91
9.2. Lo scavo stratigrafico 94
10. L'archeologia subacquea 105
11. L'archeometria: scienze applicate e archeologia 106
12. Archeologia e informatica 109
13. Conclusioni 109
14. Bibliografia 1 12

III. Le fonti letterarie, di Rita Lizzi 121

1 . Premessa 121
2 . Le origini della storia e i suoi primi sviluppi in Grecia 122
3 . I Romani e la loro storiografia 133
3 . 1 . Le origini 133
3 .2 . Dai Gracchi alla fine della repubblica 138
3.3. La storiografia latina e greca di età imperiale: dall'età
giulio-claudia ai Flavi 147
3 .4. Dall'impero illuminato all'età <<ferrea>> 154
3 .5. La storiografia tardoantica: pagani e cristiani fra Orien-
te e Occidente 160
4. Bibliografia 166
5 . Appendice 1 83

IV. Le fonti epigrafiche greche, di Giacomo Manganaro 203

1 . Culture e scritture nella prima età greca: la documentazione


in Lineare B dei Micenei 203
2. La scrittura alfabetica dei Greci: origine e sviluppo 207
3 . L'epigrafia: archivio storico della civiltà greca fino al tardo
impero cristiano 218
4. Per un buon metodo epigrafico 222
5 . Una epigrafia <<cristiana>>? 226
6. Bibliografia 23 1
INDICE 7

V. Le fonti epigrafiche latine, di Sergz'o Roda p. 241

1 . La civiltà dell'epigrafe 241


2. La storia dell'epigrafia 243
3 . Il <<Corpus Inscriptionum Latinarum>> e le altre principali
raccolte epigrafiche 244
4. Alfabeto e scritture 246
5. L'officina lapidaria e la struttura delle iscrizioni latine 248
6. Lettura, integrazione e datazione delle epigrafi 249
7. L'onomastica latina 25 O
8. Classificazione delle iscrizioni 252
9. I <<cursus>> epigrafici 254
10. Epigrafia cristiana 256
1 1 . Bibliografia 25 8
12. Appendice 260

VI. Le fonti papirologiche, di· Danz'ele Foraboschz' 287

1. Introduzione 287
2. Il concetto di papirologia 288
3. Papirologia letteraria 290
4. Papiri storici 291
5. Tra storia e microstoria 293
6. L'Egitto dopo i faraoni 297
7. Economia e società 298
8. Archivi 300
9. Vita privata 301

VII. La numismatica, di Ermanno Arslan 309

1. Valore e moneta coniata 309


2. Metalli , pesi e misure 311
3. Aspetti giuridici 316
4. Zecche 320
5. Tipi, leggende e simboli accessori 326
6. Materiali paramonetari, tessere, medaglie, pesi monetali,
contraffazioni 33 9
7. La dinamica della circolazione monetaria 341
8. Le collezioni numismatiche. La schedatura 359
9. La doc11111entazione n11111ismatica come fonte storica 362
10. Cronologia essenziale 363
11. Bibliografia 364

Indice dei nomi 37 1


1 . Perché e come si studia oggi la storia del mondo antico

1 .1 . Sto ria: significato e funzione

Perché si fa storia? Quale funzione le si deve riconoscere?


Dal punto di vista conoscitivo, già si fa storia nel momento in cui
si dà inizio a una ricerca di carattere storico: prima ancora, quindi,
che tale indagine si realizzi in un qualsivoglia risultato. Se tuttavia la
storia si limitasse a questo sarebbe ben poca cosa, si esaurirebbe in
mera, precaria <<curiosità>> . <<Avere raggiunto la conoscenza senza la
capacità di comunicarla è come non averla raggiunta affatto>> , già
scriveva il più grande storico della grecità, Tucidide (La guerra del
Peloponneso 2, 60, 6): si ha dunque storia quando la ricerca si espli­
cita in una forma di comunicazione, concretandosi in un'opera scrit­
ta, in una conferenza, in un insegna1nento, anche in una semplice ve­
rifica/discussione del sapere storico su detern1inate realtà e problemi
del passato (leggi: esame di storia).
Ma, innanzi tutto, che cosa è la storia?
Il termine viene dal greco antico, dove historia (o historie, nel
dialetto ionico degli scritti più antichi) significò in primo luogo <<ri­
cerca>>: una esplorazione, dunque, degli elementi utili a ricostruire
eventi del passato. Per conseguenza, presso i Greci stessi il vocabolo
si estese ben presto anche al risultato di tale indagine, ossia alla me­
moria che si conservava degli avvenimenti del passato e al loro rac­
conto, compattati in un corpo Wlitario di conoscenze. Histor, in
Omero (Iliade, 18, v. 501 e 23, v. 486), era stato l'arbitro che giudica­
va nelle liti, con la capacità riconosciuta di vagliare le ragioni e le
prove di entrambe le parti; ma nel V secolo a.C. Erodoto (2, 113) già
testimonia l'avvenuto trasferimento del termine e concetto dal lin­
guaggio della controversia giuridica a quello dell'attività storica, con
la sua caratteristica ambivalenza (historéo indica l'indagare, mentre
historia è il frutto di tale ricerca). Benché a tutt'oggi si usi spesso
10 IN'I.RODUZIONE

parlare di storia identificandola con gli avvenimenti, sembra in realtà


ben difficile separare l'oggetto dell'indagine - un accadimento irripe­
tibile, che non esiste più e di cui si è preservato il ricordo solo in
grazia di una selezione a monte, da parte di chi lo ha registrato e di
chi lo ha via via trasmesso - dalla conoscenza, e quindi dalle inter­
pretazioni, che ne sono state date.
Che cosa ha spinto l'uomo, fin da tempi antichissimi, a interessar­
si di storia? Si tratta di un campo molte volte arato ma ancora in­
gombro di molti luoghi comuni, che è utile chiarire o rimuovere, al-
meno 1n parte.

Aveva in sostanza ragione H.St.J. Bolingbroke quando, ai primi


dcl-Settecento, scril!eva: che <<l'amore per .la storia sembra essere con­
naturato nell'uomo, perché connaturato nell'amore per il proprio io>>
(the love o/ History seems inseparable /rom human nature, because it
seems inseparable /rom sel/ love, in Letters on the Study and Use o/
History, 1725). Si era nel grande secolo dei Lumi, pochi anni prima
che, sempre in Inghilterra, nascesse uno storico del mondo antico fra
tutti grandissimo, Edward Gibbon, autore della Storia della decaden­
za e caduta dell'impero romano (1776-1788): un momento in cui un
grande impero come quello britannico poteva confrontarsi con natu­
ralezza con quello di Roma, interrogandosi inquieto anche sulle ra­
gioni che, a un certo punto, ne avevano innescato un processo d'i­
narrestabile declino. La rivoluzione industriale sarebbe iniziata sol­
tanto a fine secolo (e se ne sarebbero visti i frutti ancora più tardi,
verso la metà dell'Ottocento), scavando per la prima volta un abisso
incolmabile, nel settore tecnico, fra la civiltà moderna e quella greco­
romana. Di questa si erano finallora nutrite tutte le culture venute
dopo, diverse certo, ma com' essa plasmate sui ritmi pressoché immu­
tabili di un'economia essenzialmente agraria. La stessa cultura tecni­
ca, fino all'Ottocento, era stata intrisa di classicità. Leonardo da Vin­
ci, per molti progetti delle sue macchine del futuro, si era ispirato a
un trattatello composto verso la metà del IV secolo d.C., l'Anonymus
de rebus bellicis. Nel Cinquecento gli agronomi ancora rielaboravano
i trattati di agricoltura romani scritti da Catone (II secolo a.C.), da
Columella (I secolo d.C.) , da Palladio (IV secolo d.C.); e del resto,
sul continente americano, ancora al tempo di George Washington
(1732-1799) le traduzioni inglesi degli agronomi antichi circolavano
come opere ad uso degli agricoltori. Lo scartamento delle rotaie nelle
nostre ferrovie ancora corrisponde alla misura del carro romano. A
Colonia il primo ponte permanente sul Reno, dopo quello romano,
venne costruito nel 1859. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
Nella cultura postmoderna, la svalutazione della rigidità con la
quale erano state formulate le <<leggi>> delle diverse scienze - specie
nell'avanzato Ottocento, sull'onda degli entusiasmi scientisti e del
Positivismo -, affiancandosi all'innegabile permanere d'influenze cul­
turali classiche negli ambiti più disparati, ha senza dubbio concorso a
rafforzare quel bizzarro, ambiguo senso di persistente familiarità che
ancora oggi suscita la storia del nostro più remoto passato, pur nel
LA STORIA ANTICA OGGI 11

momento stesso in cui se ne constata la lontananza, la diversità ri­


spetto alle realtà del presente. Prodotti culturali come i fumetti satiri­
ci di Asterix (espressione illustrata di revanscismo e di antimperiali­
smo, inventata negli anni Cinquanta dal soggettista René Goscinny e
dal disegnatore Albert Uderzo), o i cartoni animati dei Flintstones, o
il romanzo scherzoso (ma non troppo) del giornalista inglese Roy Le­
wis su Il più grande uomo scimmia del Pleistocene (1992 The Evo­
=

lution Man, 1960) sottintendono riflessione storica e un'intuizione


più seria di quanto a prima vista si potrebbe credere: quella di poter
proiettare sentimenti e problemi di oggi tra gli uomini delle Gallie al
tempo di Cesare o, addirittura, nelle fasi più remote della preistoria.
Se rettamente inteso, tutto ciò indica che i difensori d'ufficio del­
la storia non hanno torto quando sottolineano l'importanza di non
rinnegare le proprie radici troncando i lega1ni con il passato: l'attuale
livello di sviluppo materiale e civile rinvia, a ritroso nei secoli, alle
prime tappe della civiltà, che pertanto diventa non solo utile ma an­
che necessario conoscere. <<L'11111anità è fatta più di morti che di
vivi>>, già lo aveva detto superbatnente Giustiniano.

1 .2. La conoscenza storica : non strumento , ma necessità

Non è tuttavia sola111ente per questo che si studia storia, storia


antica nel nostro caso.
Si è ripetuto spesso che dimenticare il passato significa anche ri­
peterne gli errori: è l'apologia della storia come <<maestra di vita>> (hi­
storia magistra vitae: Cicerone, De oratore 2, 36) che già leggiamo ne­
gli autori classici, vuoi che essi pensassero a una utilità pratica della
stessa attraverso i suoi esempi e le sue <<leggi>> (come Polibio) , ovvero
- più sottilmente - ne apprezzassero l'utilità intellettuale (<<acqttisi­
zione perenne>>, ktéma es aéi, alla maniera di Tucidide 1, 22, fondata
sulla immutabilità della natura umana) .
'

E d'altra parte noto come, ancora in un passato recente - e a


quanto sembra pure oggi, in taluni contesti culturali giovanili affa­
scinati dal multimediale -, non pochi abbiano preteso di negare peso
e valore alla cultura storica in quanto disciplina sterile, superata, per­
fino dannosa. Già nel Seicento le dispute religiose avevano fatto irru­
zione nella storia con le loro passioni di parte, suscitando quindi di­
scredito e diffidenza per quest'ultima: <<Non c'è truffa più grande di
quella che può farsi sui monumenti storici>>, ebbe a scrivere nel 1882
il protestante Pierre Bayle nella sua Critique générale de l'histoire du
Calvinisme (<<l'illustre Bayle che insegna così bene a dubitare>>, anno­
tava a fine Settecento il barone enciclopedista Paul d'Holbach, con
ammirazione per il suo corrosivo spirito critico) . Nel medesimo sen­
so, ancora in Paul Valéry leggiamo che <<la storia è il prodotto più
pericoloso che la chimica dell'intelletto abbia elaborato [ . . . ] . La sto­
ria giustifica ciò che si vuole. Essa non insegna rigorosamente nulla,
perché contiene tutto>> (Regards sur le monde actuel, Paris, 1931, pp.
12 INTRODUZIONE

63-64). Accentuata appare soprattutto l'insofferenza nei confronti


delle età più lontane; considerate irrimediabilmente estranee: l'ego­
centrismo è infatti una tendenza naturale dell'uomo (che in teologia
lo ha portato a figurarsi le divinità a propria immagine e somiglianza;
in poesia ad attribuire le proprie emozioni anche agli oggetti fisici; in
astronomia a supporsi il centro dell'universo) : ma è appunto un com­
pito della storia quello di attenuare tale miopia, insegnando ad ap­
prezzare anche l'alterità, il diverso.
Sembra in ogni caso trattarsi di ripulse destinate poi a contrad­
dirsi. Un Henry Ford (1863-1947) - che pur condannava la storia
come ingannevole e insensata (a bunk) - creò un museo dell'automo­
bile, ossia una raccolta di monumenti-documenti sui quali fondare
una storia della quale egli stesso era destinato ad essere eroe protago­
nista. Al tempo della rivoluzione culturale cinese ci si illuse di ripar­
tire da zero spazzando via per sempre il ciarpame di un passato ideo­
logicamente respinto (in Cina, di fatto, la conoscenza storica era stata
finallora concepita come strumento del potere, storia della dinastia
imperiale precedente commissionata per meglio far risaltare la gran­
dezza presente a confronto con gli errori dei predecessori, che non
dovevano più essere ripetuti); ma è dello stesso Mao Tze-tung lo slo­
gan <<Fa' che il passato serva al presente>>: nel presupposto che ogni
società ha bisogno di una sua storia per sopravvivere.
A quanto sembra, dunque, atteggiamenti di accettazione o di ri­
pulsa come quelli fin qui ricordati non fanno che sottolineare la rile­
vanza della storia e la sua necessità, pur riflettendo - più o meno
consciamente - mondi ideologici opposti. I negatori della storia
sono, in genere, coloro che rifiutano una tradizione nella quale, per
una ragione o per l'altra, non si riconoscono e nella quale, talvolta,
addirittura avvertono uno strumento mistificante di oppressione e di
abuso, che intendono annullare. I difensori della storia, a loro volta,
spesso si abbarbicano al passato non tanto come a una realtà che
merita di essere indagata e conosciuta, ma come a uno strumento che
sancisce e giustifica esemplar111 ente - con <<prove>> ritenute obiettive,
con testimonianze giudicate decisive - certi diritti e privilegi (di un
ceto, di un gruppo sociale o etnico, di una cultura assunta a parame­
tro di tutte le altre): non per caso la storiografia filonazista per de­
cenni si incentrò sui problemi etnico-culturali che esaltavano la supe­
riorità della <<razza>> ellenica/ariana; non per caso - dopo tanti secoli
di cultura <<colonizzata>>, nata dal colonialismo, con il colonialismo e
per il colonialismo - lo strutturalismo di Claude Lévi-Strauss reagì
negli anni Sessanta mediante una fuga all'indietro, rivalutando il pri­
mitivo e il selvaggio con atteggiamento palingenetico, quasi espiato­
rio; mentre, con parallelo rovescia111 ento delle gerarchie e delle scelte
operanti nella ricerca storica precedente, il marxismo diede un im­
pulso decisivo (e perciò non meno gerarchizzante) alla storia di mas­
se finallora ignorate e <<silenti>> nelle loro svariate forme di dipenden­
za e di emarginazione (schiavi, coloni, ceti subalterni, gruppi etnica­
mente e/o culturalmente minoritari): si pensi allo storico marxista di
LA STORIA ANTICA OGGI 13

Ca1nbridge Eric J. Hobsbawm. Troppo spesso, invero, si è guardato


al passato come a un magazzino di accessori per far funzionare mac­
chine ideologiche di ogni specie: il che, peraltro, evidenzia una volta
di più l'importanza di conoscerlo in modo corretto.
La coesione di una società - già lo dicevano i filosofi greci - na­
sce da un senso di comunanza che a1nalgama gli elementi disparati
dai quali essa è costituita. E tale sentimento si fonda in gran parte
sulla coscienza di avere un passato in comune, oltre che attese in un
comune futuro; il presente è soltanto la soglia sulla quale passato e
futuro s'incontrano, destinata a spostarsi in avanti senza interruzione:
<<Tutto ciò che [ . . . ] ora sembra antichissimo [ . . ] un tempo fu nuo­
.

vo; e anche le novità di oggi, un giorno, appariranno antiche>>, già


a111moniva Tacito nel celebre discorso messo in bocca all'imperatore
Claudio in senato (Ann. 1 1 , 24). Anche i paesi o le comunità sprov­
visti di una tradizione storica propria (andata smarrita) cercano d'in­
ventarsene una, talvolta a prezzo di falsità palesi, ma dettate dall' esi­
genza di sviluppare un senso della comunità che serva a compattare
realtà ancora disomogenee. Anni or sono, nel neonato stato del Gha­
na - ove si avvertiva la necessità di rafforzare un orgoglio nazionale
che superasse le mtÙtiformi, frammentate tradizioni tribali preesisten­
ti - vennero dipinti <<murali>> che mostravano come proprio nel Gha­
na fossero stati inventati l'alfabeto e la macchina a vapore. Arretran­
do nel tempo, vedia1110 come, nella nuova Turchia di Mustafà Kemal
Atatiirk (t 1938), nelle scuole si insegnasse che i Turchi discendeva­
no dagli antichi S11111eri. Al tempo della rinascita cittadina dopo il
Mille ogni città italica che volesse riaffermare la propria importanza e
autonomia rivendicava origini <<troiane>>, in gara con l'antica Roma.
Nell'avanzata età imperiale i pagani convertiti al giudaismo o al cri­
stianesimo inventarono una storia nuova, che incominciava con l'An­
tico Testa111epto; per converso, i rivoluzionari a111ericani, nei loro di­
scorsi storici, sostituirono gli eroi biblici con quelli - riscoperti - del­
la classicità. Insomma, come procla1nava il dittatore di George Or­
well in Nineteen eighty-/our ( 1 949) <<chi controlla il passato [ . . ] .

controlla il futuro; e chi controlla il presente controlla il passato>>.


L'uomo, insopprimibilmente, è un <<animale storico>>, in quanto
individuo inserito in una collettività che serba memoria del proprio
passato attraverso le tracce che esso ha lasciato. Ricordiamo anche
quanto scrisse Cesare Pavese: <<Quando un popolo non ha più il sen­
so vitale del suo passato, si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una
riserva di passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia>>.
Ma se della storia non si può fare a meno, e se lo storico, pur stabi­
lendo con l'oggetto della propria indagine un rapporto personale, ri­
flette sempre - consapevohnente o meno - l'epoca nella quale vive e
della quale è egli stesso un prodotto, come pervenire a una ctÙtura
storica che, pur rimanendo funzionale alle esigenze essenziali della
società, si sottragga al degrado dell'ideologia, del moralismo, della
gerarchizzazione dei valori, dell'apologia?
14 IN'J'RODUZIONE·

1 .3. Il passato interpretat o e l ' obiettivit à possibile

Occorre innanzi tutto essere consapevoli che nessun fatto del


passato - quindi, nel nostro caso, dell'antichità - è conoscibile se
non attraverso le interpretazioni che il passato stesso ne ha dato: sic­
ché, paradossalmente, il concetto di storia (res gestae) tende a dissol­
versi in quello di storiografia (bistorta rerum gestarum) .
Non è in verità possibile fare ricerca storica senza storiografia, os­
sia senza valutare con attenzione e sottigliezza il filtro attraverso il
quale la registrazione di un fatto storico ci è giunta, senza domandar­
si quale sia stato, in ogni tipo di fonte di cui s'intende avvalersi, il
ruolo svolto dal ripensa111ento dello scrittore, dagli intenti del compi­
latore di un documento, dalle richieste dell'eventuale committente,
dalla pressione esercitata dalle aspettative e prevedibili reazioni del
pubblico cui l'opera è destinata e, più in generale, dalla mentalità
dell'epoca e del paese. La tradizione riveste, a sua volta, un ruolo
dina111ico e creativo. Né si può fare storia senza valutare storiografi­
camente anche le interpretazioni che gli studiosi hanno dato via via
di un certo problema: il quale, nelle diverse epoche, è stato conside­
rato da angolature differenti, enucleando, per così dire, virtualità di­
verse nei fatti storici considerati. Conoscerle e guardarle con il dovu­
to distacco (e - perché no? - anche rispetto) significa quindi non
soltanto evitare l'accettazione supina e acritica di tali interpretazioni
rendendosi conto dei loro limiti, ma anche arricchire la propria co­
noscenza del passato, scoprendo le <<molle>> che hanno condotto i di­
versi studiosi alla scelta - inevitabilmente soggettiva - di certi temi di
ricerca piuttosto che altri.
È stato un merito soprattutto dello storicismo tedesco l'avere sot­
tolineato che la conoscenza storica - in quanto conoscenza dell'uomo
attraverso l'uomo - è tanto più ricca quanto più ricca è l'esperienza
umana dello storico (vita magistra histortae, scrisse un grande storico
dell'antichità greca e romana, Gaetano De Sanctis): dunque rifiutan­
do l'etichetta di storico autentico a chi scelga la ricerca come <<torre
d'avorio>> nella quale isolarsi dalla realtà che lo circonda (a111biente
:;ociale, politico, nazionale, culturale) . Quando Benedetto Croce af­
fermava che ogni storia è storia contemporanea intendeva appunto
dire che fare storia consiste essenzialmente nel guardare al passato
con gli occhi del presente.
Ciò non deve peraltro condurre allo scetticismo sulla possibilità
di raggiungere una qualsivoglia obiettività storica (già i filosofi scetti­
ci greci, nel V secolo a.C. , avevano ritenuto che nessuna verità fosse
possibile e che tutto fosse soltanto doxa <<opinione>>). Edward H.
Carr - studioso ben noto di storia diplomatica europea, della rivolu­
zione bolscevica e della Russia sovietica - in What is History? (sei
<<lezioni di storia>> tenute nell'Università di Cambridge e pubblicate
per la prima volta nel 1961) si è avvalso di un paragone forse ovvio,
ma di grande efficacia, osservando che una montagna, per quanto
possa apparire di forma differente a seconda del punto dal quale la
LA STORIA ANTICA OGGI 15

si guarda, nondimeno possiede una sua fo1111a oggettiva; ogni visuale


di essa sarà soltanto parziale, ma parzialmente vera. Così ogni storico
che selezioni, con onestà e disinteresse pratico immediato, i dati rile­
vanti attinenti al proprio tema può raggiungere una verità almeno
parziale, <<neutrale>> seppure certamente non neutra, <<critica>> (il ter­
mine deriva per l'appunto dal greco krinein, che vuol dire <<giudica­
re, discernere>>). Già Tucidide - 1 , 22 - metteva in guardia contro i
rischi non soltanto della tendenziosità, ma anche della soggettività:
<<raccogliendo infor111azioni [ . . . ] non come pareva a me, [ . . . ] per
quanto possibile>>; e lo stesso evangelista Luca (un Greco) inizia il
terzo Vangelo con una dichiarazione di metodo <<tucididea>>, affer­
mando che <<poiché molti hanno posto mano a raccontare gli avveni.­
menti che si sono compiuti fra noi, come li hanno tramandati coloro
che sono stati sin dall'inizio testimoni oculari (aut6ptai) e ministri
della Parola, ho deciso anch'io, egregio Teofilo, dopo avere vagliato
tutto sin dall'inizio con senso critico (akrib6s), di scrivertene ordina­
tamente, affinché tu conosca la certezza (asfdleia) degli insegnamenti
che hai ricevuto>>. Tuttavia, nella storiografia antica sia pagana sia poi
cristiana - eminentemente politica, apologetica, polemica e quindi
ideologizzata - spesso si rinnegò, anche aperta111ente, il significato
originario della storia come memoria e <<ricerca del vero>>, privilegian­
do piuttosto la sua funzionalità alla prassi, la sua utilità per fornire
modelli di comporta111ento (di una tale preferenza per la pseudosto­
ria si leggono giustificazioni teoriche in Sempronio Asellione nel II
secolo a.C. - framm. 2 Peter - e in Livio al tempo di Augusto -
Praef 10 come pure, quattro secoli dopo, nella Storia contro i paga­
-

ni di Paolo Orosio) .
Lo storico, oggi, non pretende di arrivare a una conoscenza
obiettiva, esauriente e definitiva del passato, ben conscio che l'indagi­
ne conoscitiva è in continuo sviluppo, anche se <<Valida in quanto .
vera>> e <<criticamente elaborata sulla base delle testimonianze perve­
nute>>. <<Lungi dal fideismo arbitrario, l'atto di fede dello storico è
razionalmente fondato, ha i suoi preambula fidei>> (così, nel 1962,
Cinzio Violante - grande medievista del nostro tempo - nell'intro­
durre La conoscenza storica di Henri-Irenée Marrou - antichista no­
tissimo -, pubblicata per la prima volta in francese nel 1954).

1 .4. Selezione e generalizzazione , procedimenti legittimi

Poco sopra ho parlato di <<selezione>> dei dati rilevanti, non a


caso. Fare storia presuppone infatti introdurre legittimamente, alme­
no in una certa misura, procedimenti di generalizzazione. Nel passa­
to, contrapponendo la ricerca storica - scienza <<umana>> - alle scien­
ze <<esatte>> con le loro astrazioni e leggi, si ritenne che la prima fosse
destinata a indagare soltanto l'individuale. Il desiderio di attribuire
forza creatrice al solo genio dell'individuo aveva già caratterizzato le
fasi iniziali della consapevolezza storica: così, per esempio, i Greci e i
16 IN1'RODUZIONE

Romani tesero ad attribuire ogni realizzazione importante del più re­


moto passato a eroi eponimi come Romolo, a grandi legislatori come
Licurgo o Servio Tullio, a poeti leggendari come Omero, e così via.
Ma oggi non si concepisce più la storia come· <<biografia dei grandi
uomini>>, secondo una for111 ula che fu tipica di uno storico-letterato
dell'Ottocento come Thomas Carlyle, ma che ancora oggi - seppure
con tonalità diverse - si potrebbe forse applicare a studiosi di forma­
zione anglosassone come Ronald Syme - la cui fama resta legata a un
sottile e fin troppo personalizzato uso della prosopografia delle élites
nella storia di Roma -, o come Peter Brown, storico raffinato e sotti­
le di individualità di vertice ( Origene, Agostino, Giovanni Crisosto­
mo, Gregorio di Tours, ecc.) rilette come testimonianze e modelli di
comportamento in una società trasmutante, fra classicità e Medioevo.
Quanto meno - hegelianamente - si ritiene oggi che <<grande uomo
sia colui che è in grado di esprimere la volontà del proprio tempo>>.
Insistere sul fatto che la storia si occupa soltanto dell'individuale
- di per sé irrepetibile - significa anche negare che si possa imparare
qualcosa dalla storia e, d'altro canto, escludere la legittimità teorica
di adottare un qualsivoglia criterio selettivo tra i <<fatti>> raccolti. Ma
uno storico non può essere un arido catalogatore di dati sconnessi,
per quanto accertati con cura. Già il bizantino Agathias nel VI seco­
lo d.C . , nell'introdurre la propria opera storica, osservava che <<se
nella storia ci fosse il racconto dei fatti, semplice e privo d'interpre­
tazione, esso correrebbe il rischio [ ] di non essere molto migliore
. . .

dei fatterelli raccontati nelle riunioni delle donne quando filano>>


(Storie 1 , 7). Attività essenziale dello storico sarà dunque quella d'in­
dagare e di selezionare gli elementi utili alla propria indagine cercan­
do ciò che, nell'irrepetibile, ha un carattere generale; ed è in questo
senso che egli opera le proprie scelte fra i dati che gli si offrono. La
storia ha pertanto qualcosa in comune con le scienze in questo uso
di generalizzazioni, che consiste nel cogliere denominatori comuni tra
fenomeni in sé non ripetibili (per esempio nel definire <<rivoluzione>>
- come fece Edward Gibbon nel Settecento - tanto l'avvento del
Cristianesimo quanto la nascita dell'Islam). Ciò peraltro non compor­
ta affatto, sia ben chiaro, che la storia debba occuparsi soltanto del
collettivo e del seriale, trascurando l'individuale.
La generalizzazione non può nemmeno essere spinta al punto da
formulare <<leggi>> storiche, come un tempo si credeva e ci si illudeva
di poter fare, addirittura tentando di costruire grandi sistemi storio­
grafici sulla base di teorie generali come quelle - di matrice aristoteli­
ca - della <<ciclicità>> e <<circolarità>> (da Polibio a Vico, con i connessi
miti dell' <<eterno ritorno>>); ovvero la teoria di una lineare translatio
imperii della tradizione giudaica - Daniele 2 , 3 1 ss. , verso il 160 a.C.
- rifluita, dal III secolo d.C. in poi, nell'apocalittica e nella teologia
politica cristiane (essa fu larga111ente presente nel Medioevo soprat­
tutto dal XII secolo in avanti, e venne ancora adottata in pieno seco­
lo XVI da Filippo Melantone, che divise la storia universale secondo
una successione di quattro monarchie) ; o la teoria <<biologica>> - clas-
LA Sl'ORIA ANl'ICA OC,GI 17

sica e cristiana -, che ravvisava nella vita degli stati (o dello stesso
mondo, come in Agostino) uno sviluppo organico attraverso un suc­
cedersi d'infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia e morte, come negli
esseri 11111ani; o quella della <<eliminazione dei migliori>> (die Ausrot­
tung der Besten), una formula divenuta celebre, che Otto Seeck ela­
borò a cavallo fra Otto e Novecento nello spirito scientistico del Po­
sitivismo, ritenendo di poter spiegare il progressivo cammino dell'im­
pero romano verso il collasso grazie al trasferimento in a111bito socio­
logico dei principi evoluzionistici affe1111 ati da Charles R. Darwin nel­
la biologia (On the Origin o/ Species, 1858), ribaltati in un secolare
processo selettivo degli elementi più deboli e bastardi della società -
quelli che sanno salvarsi nelle circostanze difficili perché mai si sa­
crificano -, fino alla catastrofe conclusiva e alla successiva inversione
di tendenza attraverso l'innesto vivificante dei popoli ger111 anici, vigo­
rosi e giovani (un discorso foriero di sviluppi razzisti soprattutto nel­
la Germania fra le due guerre).
Lasciati alle spalle il feticismo positivista per i <<fatti accertati>> ,
per il <<come sono andate realmente cose>> (was eigentlich gewesen ist,
secondo un'espressione celebre di Leopold von Ranke, grande stori­
co tedesco del secolo XIX ), e quindi anche l'illusione di poter tra­
sformare la storia in scienza, si assiste oggi da una parte a un avvici­
namento della storia alle scienze esatte e sperimentali grazie ali' ado­
zione di tecniche d'indagine e metodologie da queste mutuate: pro­
cedimenti informatici complessi, assemblaggio di dati in serie quanti­
tative e statistiche, analisi chimiche, petrografiche, polliniche e antro­
pometriche (sui resti umani nelle sepolture) , profili climatologici,
prospezioni elettriche e magnetiche, formulazioni matematiche intese
a definire nuovi approcci demografici e modelli socioculturali e so­
ciopolitici, archeoastronomia e astronomia culturale (alle importanti
connessioni fra ricerche archeologiche e astronomiche nel 1995 è sta­
to dedicato un Convegno dell'Accademia Nazionale dei Lincei): in­
somma, tutto il bagaglio messo a profitto soprattutto dalla tecno-ar­
cheologia e dall'archeologia sperimentale (si veda infra, il paragrafo
2.2). Per converso, d'altra parte, le scienze si sono avvicinate alle
scienze sociali mettendo a partito la comparazione etnografica, stu­
diando la relazione fra culture ed ecosistemi ecc.; e si sono avvicinate
anche alla storia con l'ammissione del principio d'incertezza e d'inde­
terminazione: Einstein ha vanificato il culto ottocentesco per le <<leggi
di natura>> .

1 .5. ••Cause•• e ••modi•• del divenire storico

Questo ci porta a discorrere brevemente anche della causalità


nella storia: un problema che già nel V secolo a.C. si poneva Erodo­
to - il <<padre della storia>> -, quando nel prologo delle sue Storie ( 1 ,
1) dichiarava di voler tramandare le cause della lotta fra i Greci e i
barbari. Tucidide ( 1 , 22-23 ) aveva fondato la conoscenza storica nel-
18 INTRODUZIONE

l'accertare l'attendibilità dei fatti narrati attraverso la raccolta e la cri­


tica delle testimonianze, inserendole in un sistema spaziale e tempo­
rale coerente e in uno sviluppo <<causale>> tale da conferire ai fatti
stessi il loro più probabile significato. Poi era arrivato Polibio (II se­
colo a.C. ), a distinguere fra cause immediate e occasionali e cause
più generali e profonde degli accadimenti (per la sua idea di come si
debba fare storia cfr. spec. 1 , 4; 3 , 3 1 e 32, oltre a tutto il libro 12).
Oggi predomina invece una diffusa ripugnanza a parlare di <<cause>>,
quasi che ciò implichi una concezione deter111inistica del divenire sto­
rico, un rigido concatenarsi di cause e di effetti; spesso si preferisce
perciò parlare di <<modi>>, sostituendo un'impostazione funzionale a
quella causale: si vedano, per tutti, gli scritti del grande storico del-
1' Antichità Santo Mazzarino, scomparso da non molti anni. Nondi­
meno si tratta, a mio avviso, di un falso problema, nato dalla polemi­
ca sviluppatasi fra le due guerre contro la filosofia della storia di He­
gel e di Marx, che spiegando le azioni umane in termini di causa ed
effetto avrebbe negato il libero arbitrio. Ma anche ogni azione vo­
lontaria (la psicologia lo insegna) risulta condizionata da motivazioni
profonde più o meno immediate; e il fatto che esistano certi condi­
ziona111 enti ambientali, psicologici, sociologici, ecc. non abolisce af­
fatto la libertà e la responsabilità delle azioni e delle scelte compiute.
Superata ormai anche la crisi dello storicismo idealista, demitizzata e
ripensata in profondità la maniera tradizionale di fare storia, siamo
dunque ancora autorizzati a parlare di cause alla maniera di Erodoto
e di Polibio, seppure con spirito differente.
In conclusione, è dovere di chi fa storia:
a) raccogliere e selezionare con deliberata imparzialità, fra i dati
disponibili e accertabili, quelli che interessano l'oggetto della propria
ricerca, senza dogmatismi, preconcetti e accentuazioni unilaterali; e
senza mai dimenticare che anche il sorvolare o il tacere possono esse­
re strumento tendenzioso (come ben sa chiunque legga giornali <<di
tendenza>>, e come già sottolineava nel IV secolo d.C. l'ultimo impe­
ratore pagano Giuliano nella sua invettiva contro gli Antiocheni, il
Misop6gon);
b) raggruppare e classificare questi fatti stabilendo fra essi gerar­
chie e nessi di causalità (ogni storico si caratterizza, per l'appunto, a
seconda del tipo di cause alle quali si richiama) ;
e) dare quindi una certa interpretazione (ovviamente cauta, atten­
ta a evitare arbitrii e anacronismi), che potrà anche fornire indicazio­
ni utili per i problemi del presente attraverso quel processo che ab­
biamo chiamato di generalizzazione. Di conseguenza, non potrà che
essere limitato l'interesse di chi fa storia per i fatti accidentali e per i
miti delle grandi personalità, perché i casi irripetibili non consentono
alcuna generalizzazione né conducono ad alcuna conclusione. Ciò
non vuol dire affatto, si capisce, trascurare nella ricostruzione e nel­
l'esposizione storica il ruolo dell'individuale e neppure gli avveni­
menti - politici, diplomatici, militari, ecc. - che, nella loro diacronia,
LA STORIA ANl'ICA OGGI 19

costituiscono la spina dorsale stessa e il contenitore entro il quale le


sincronie istituzionali e le microindagini si ricontestualizzano.
La storia <<immobile>> non può esistere, se non a rischio di dissol­
versi in strutturalismo deformato, totalmente astorico. La <<longue
durée>> (formula notissima coniata da Fernand Braudel), <<lunga dura­
ta>> nel cui arco è possibile attuare per la prima volta ricerche su fe­
nomeni non percepibili sul breve periodo (come la scuola delle <<An­
nales>> ha avuto il merito di mostrare), non può tuttavia implicare
l'abbandono di un'articolazione temporale dei fenomeni e delle loro
mutazioni, né escludere un'evoluzione nelle strutture stesse, sia pure
in fasi lunghe, prive al loro interno di mutazioni significative. Anche
i meccanismi che in taluni casi rallentano la variazione meritano di
essere indagati.
Allo stesso modo, l'interesse sviluppato dalle <<Annales>> (Mare
Bloch, Lucien Febvre, Fernand Braudel e loro allievi, dagli anni
Trenta in avanti) per molteplici e ancora inesplorati aspetti del quoti­
diano vissuto, del cost11111e, della mentalità e del folklore non auto­
rizza - innanzi tutto a livello didattico - a fraintendimenti che privi­
legino siffatte ricerche fino al punto di accantonare la storia <<politi­
ca>> nel suo significato più alto. Il ruolo del politico va oggi, in que­
sto senso, riacquistando forza: la consapevolezza di che cosa signifi­
carono la conquista-lampo di sterminati paesi dell'Asia da parte di
Alessandro Magno o quella delle Gallie da parte di Giulio Cesare -
con tutte le conseguenze non soltanto politiche, ma anche culturali,
che ne discesero per secoli e che sono a tutt'oggi percepibili - re­
steranno sempre più rilevanti di tante brillanti indagini condotte, nel
solco segnato dalla storiografia francese di quegli anni, sulle motiva­
zioni storiche a monte di fenomeni come I.;arcobaleno nel XIII secolo,
Il grande massacro dei gatti nella Francia del Settecento, La distribu­
zione geografica del!'ernia nella Francia del primo Ottocento, Gli spaz­
zacamini come mediatori simbolici, e così via discorrendo. L' <<esplosio­
ne>> degli orizzonti d'indagine nel frammentismo della microstoria
(ove ogni minimo aspetto finisce col rivestire pari rilevanza, sfocian­
do nel livellamento: Paul Veyne), così come l'utopica aspirazione a
fare <<storia totale>> in senso assoluto (à part entière, sempre nel lin­
guaggio delle <<Annales>>, una storia che Jacques Le Goff - critican­
dola - ha definito <<bulimica>>) non possono che afflosciarsi nella di­
sillusione e nell'impotenza, con una perdita di ruolo e d'identità da
parte dello storico, con un sentimento di precarietà del proprio sta­
tus professionale. Ed è di fatto questo un aspetto non trascurabile
della crisi che certe correnti della ricerca storica stanno oggi vivendo.
L'avvento del <<Nuovo Storicismo>> - ha osservato Lawrence Stone,
spiegando in questa chiave il recente ritorno dei New Historians al
politico e al narrativo-descrittivo, nonché allo studio dei testi nel loro
contesto geografico, temporale, sociale - ha segnato la fine di un'era,
quella in cui si credeva alle spiegazioni <<scientifiche>>, strutturali,
quantitative della storia. Il problema di quali siano i fatti <<degni di
20 INTRODUZIONE

storia>> (axiol6goi) è del resto connaturato con la ricerca stessa, dal


tempo di Erodoto, Tucidide e Senofonte sino a quello attuale, pur
nell'incessante trasmutare dei modelli e dei criteri di scelta.
Come si tende a rifiutare le ideologie e le strutture che hanno
finora gerarchizzato uomini e popoli, discriminando fra paesi ricchi e
paesi poveri, fra culture civili e culture arretrate, inventando razzismi
e ghetti, così si rifiuterà anche uno studio del passato che si risolva
in scelte perentorie e traditrici (un periodo <<migliore>> di un altro, un
personaggio più <<importante>> di un altro, una cultura più <<avanzata>>
di un'altra, la Romanità razionale e civile preferibile alla barbarie di­
sordinata e ferina o la barbarie giovane e sana preferibile a un'antica
civiltà decadente e corrotta, il <<buon selvaggio>> meritevole di mag­
giore interesse del borghese acculturato, ecc.). Essenziale sarà piutto­
sto sentire il proprio rapporto con il passato in termini di uguaglian­
za e di pari dignità, assumendolo totalmente (in senso qualitativo,
non già quantitativo, s'intende) in quanto succedersi di strutture: ciò
che non significa affatto progresso o regresso, bensì incessante varia­
zione attraverso molteplici processi di stratificazione culturale, sim­
biosi di forme, metabolismo di contenuti, owero discontinuità (hi­
storia /acit saltus non diversamente dalla natura, come oggi sappia­
mo) .
'

E in questo senso che studiare una struttura del passato significa


arricchire anche la propria esperienza del presente, accrescere la ca­
pacità di comprendere (e quindi d'influenzare) l'andamento del no­
stro attuale sistema. Già Benedetto Spinoza (Baruch d'Espinosa), il
grande filosofo fiammingo tanto amante dello spirito di libertà e d'in­
dipendenza, ebbe a scrivere nel suo Tractatus politicus incompiuto,
uscito postumo nel 1677: <<Mi sono fatto uno studio di non ridere né
piangere sulle azioni umane, e nemmeno di detestarle, ma di com­
prenderle>> (Pref, § 4, trad. it. a cura di A. Droetto, Torino, 1958, p.
152: Seduto curavi humanas actiones non ridere, non lugere neque de­
testarz: sed intelligere). E Witold Kula, in un bilancio pronunciato a
Varsavia in occasione del suo sessantesimo compleanno (1976) , di­
chiarò a sua volta: <<Lo storico deve essere un interprete che traduce
i valori di altre civiltà nella nostra lingua [ . . . ] ; egli rende la società
consapevole della propria individualità e, allo stesso tempo, rende
questa individualità comprensibile agli altri. Comprendere gli altri:
ecco il compito che lo storico deve prefiggersi. Non è facile averne
'

uno più difficile. E difficile averne uno più bello>> (La mia educazione
sentimentale, a cura di M. Hering Bianco, in <<Rivista storica italia-
na>>, 99, 1987, pp. 674-695 ).
·

Accettare e sforzarsi di capire senza ripulse né fanatismi tutte


quante le strutture del passato - anche le più remote e in apparenza
estranee alle realtà che ci circondano - è una grande lezione etica di
tolleranza: senza dubbio ragione non ultima della legittimità e utilità
di fare storia.
LA STORIA ANTICA OGGI 21

2. Le novità emergenti nello studio attuale della storia antica


2.1 . Fonti ••monumentali•• e fonti ••documentarie••

A partire dal dopoguerra i punti di riferimento sono molto cam­


biati; soprattutto con le fonti si è instaurato un rapporto profonda­
mente diverso.
Assai discutibile a me pare la distinzione - ancora oggi peraltro
corrente, soprattutto nella manualistica - tra fonti <<primarie>> e <<se­
condarie>>: identificando con le prime i <<documenti>>, ossia quei testi
(per lo più scritti) nei quali un fatto storico appare testimoniato nella
sua immediatezza (iscrizioni, papiri, monete, atti pubblici e privati,
leggi, ecc.); e con le seconde quei <<monumenti>> in cui il fatto storico
è invece presentato al pubblico attraverso un ripensa111ento dell'auto­
re, destinato a influenzare più o meno surrettiziamente il pubblico
cui si rivolge. Si tratta di una distinzione che ha radici nell'Umanesi­
mo, allorché un Giorgio Merula o un Flavio Biondo identificavano la
testimonianza del documento d'archivio con la Verità, nutrendo per
esso quella venerazione acritica che già avevano abbandonato invece
nei confronti della tradizione narrativa. Ma anche una fonte cosiddet­
ta <<primaria>> può rivelarsi tendenziosa, in quanto filtrata attraverso il
diaframma umano di chi l'ha posta in essere. Se, per esempio, acco­
stiamo due monete auree coeve (solidi), appartenenti a serie coniate
nel 425 d.C. rispettivamente a Roma e a Costantinopoli per celebrare
la proclamazione ad Augusto, con il beneplacito della corte di Co­
stantinopoli, del giovane Valentiniano III figlio di Galla Placidia, ci
rendia1110 subito conto che esse testimoniano sì il medesimo evento,
ma da punti di vista opposti: in Occidente propagandando la parità
fra i due Augusti Valentiniano III (allora seienne) e Teodosio II (di
dieci anni maggiore), regnanti sulle due parte!; l1nperii e raffigurati di
pari altezza, nell'Oriente enfatizzando invece la subordinazione del­
l'imperatore occidentale a quello bizantino attraverso la sua rappre­
sentazione con statura inferiore.
Si tratta, del resto, di una contrapposizione tra fonti <<storiche>>
(letterarie) e <<antiquarie>> che affonda le sue radici nel tardo Umane­
simo e poi nel Settecento, al tempo della controversia sul valore delle
testimonianze storiche: allorché un grande giurista spagnolo come
Antonio Agostino (Augustinus) affe1111ava: <<lo do più fede alle meda­
glie, alle tavole e alle pietre che a tutto quello che dicono gli scritto­
ri>> (Dialogos de medallas, inscriciones y otras antiguedades, Tarragona,
1587, p. 377); mentre uno scettico (<<pirronista>>) moderato come Gil­
bert Charles Le Gendre, nel suo Traité de l'opinion ou Mémoires
pour servir à l'histoire de l'esprit humain (quattro edizioni fra il 1735
e il 1758) nutriva dubbi sul valore delle stesse testimonianze archeo­
logiche: <<Il marmo e il bronzo, qualche volta, mentono>>.
Occorrono invero alcuni chiarimenti - sulla linea magistralmente
proposta da Jacques Le Goff (1978) - circa il significato di monu­
mento/documento. Monumento si collega alla radice indoeuropea men
22 INTRODUZIONE

(come mens, <<mente>>, e memoria), e dal punto di vista filologico de­


signa qualsiasi traccia del passato che serva a perpetuarne il ricordo
(monere significa <<far ricordare, istruire>>), vuoi che si tratti di atti
scritti (Cicerone per esempio - Philippicae 14, 4 1 - si avvalse del ter­
mine per indicare i decreti del senato) ovvero di opere monumentali
(arco di trionfo, colonna, trofeo, memoria funebre, ecc.). Il latino do­
cumentum - derivante da docere, <<insegnare>> - evolvette piuttosto
(specie nel linguaggio giuridico) nel significato di <<testimonianza>>
certa, di <<prova>> obiettiva, contrapposta alla intenzionalità celebrati­
va del <<mon11111ento>>. Di qui il culto per il documento avviato dal­
l'Umanesimo e culminato con il Positivismo.
Ma se a fine Ottocento, in uno storico francese della Grecia e
Roma antiche e della Francia merovingia come N. Denis Fustel de
Coulanges, nettissima appare la contrapposizione fra <<documenti>> e
<<monumenti>> (includendo tra questi ultimi la stessa, celebre Colle­
zione dei Monumenta Germaniae Historica, che aveva preso avvio a
cura dell'Accademia di Berlino fra il 1 824 e il 1 826 e che, a suo
modo di vedere, era espressione erudita del patriottismo tedesco
piuttosto che opera di vera scienza) , questa marcia trionfale del do­
c11111ento sul monl1111 ento non fu rettilinea né unifor111e: basti pensare
alle varie Collezioni di <<Monumenti>> di storia patria o regionale pro­
mosse nell'Ottocento da Società e Deputazioni in varie città d'Italia
(Torino, Modena, Napoli, Romagna, Venezie, Sicilia, ecc.), sulla scia
dell'uso estensivo delle testimonianze archeologiche già promosso
dalle Accademie italiane nel Settecento, sotto l'impulso conferito al
n1etodo antiquario dai rinascenti patriottismi locali.
In seguito, soprattutto per sollecitazione dei padri fondatori delle
<<Annales>>, ci si è resi conto con crescente chiarezza che qualsivoglia
documento è anche, al tempo stesso, <<monl1111ento>>, e che, in quanto
tale, dev'essere fatto oggetto di un vaglio critico attento e sottile, per
mettere in luce non soltanto le falsificazioni o le manipolazioni deli­
berate, ma anche l'influenza determinante esercitata sul suo stesso
porsi in essere da chi lo ha voluto, da chi lo ha redatto e dall' <<incon­
scio culturale>> che ha orientato un apprendimento, una conoscenza,
un certo modo di presentare le cose (il discorso si applica, in qual­
che misura, anche ai <<resti>> muti - ossia a tracce del passato come
gli avanzi di costruzioni, strade, tombe, toponimi, usi popolari - che
ancor di recente - 1992 - Marta Sordi ha considerato una terza cate­
goria a parte, garante di maggiore oggettività informativa) . Paul
Zumthor ( 1 960) ha scoperto che ciò che cambia il doc11111ento in mo­
numento è il suo utilizzo da parte del potere. Michel Foucault, stori­
co innovatore delle devianze - follia, mondo carcerario - e della ses­
sualità, ha patrocinato un vero e proprio <<processo al documento>>
(1969) . Esso, infatti, non è per nulla neutro e neppure innocuo, ben­
sì il risultato di un montaggio più o meno inconscio. In sostanza,
oggi si è d'accordo sul fatto che non esiste alcun documento-verità, e
che è compito primario dello storico analizzare le condizioni che
hanno portato alla produzione di un documento strutturato in un
LA STORIA ANTICA OGGI 23

certo modo, adeguandosi ai formulari della categoria cui appartiene e


ai condizionamenti mentali e linguistici tipici dell'epoca e dell' am­
biente. Doc11111enti scritti fra i più antichi, come la lista regale sume­
rica del 2000 a.C. circa, gli archivi reali di Mari (XIX secolo a.C. ), di
Ugarit a Ras Sa111 ra e di Hattusa a Bogazkoy (XV-XIII secolo) , o gli
Annali di Lou e il Chou King in Cina - veri e propri mosaici di do­
cumenti - rivelano nel Medio Oriente la preoccupazione di perpe­
tuare la gloria regale attraverso avvenimenti datati, e invece quella di
servire da talismano - piuttosto che da <<prova>> - in Estremo Orien­
te (com'è stato messo in luce da Jacques Gemet) . In questo senso -
che certamente non è quello antico - appare accettabile la celebre e
tanto discussa definizione ciceroniana della storia come genere lette­
rario facente parte della rettorica (opus oratorium . . . maxime, in ogni
caso con forte attenzione ai contenuti politici: Cicerone, De legibus l,
5; per non parlare di Quintiliano - Institutio oratoria 10, 1 , 3 1 - che
accentuò a tal punto le affinità stilistiche fra ,storia e poesia da defini­
re la prima quodam modo carmen solutum). E infatti necessario tribu­
tare sempre la dovuta attenzione al rapporto forma-contenuto nell' af­
frontare qualsiasi tipo di scrittura storica, documentaria, letteraria,
così come in ogni rappresentazione monumentale: le convenzioni
espressive - ossia le <<retoriche>> - variano da settore a settore, <<ma­
nipolando>> i contenuti stessi a livello subliminale.
Operazioni di smontaggio siffatte comportano anche - necessaria­
mente - il superamento della maniera critica tradizionale di accostar­
si al documento. Non si tratta più - come fecero i grandi eruditi dal
Quattrocento in avanti - di discernere un doc11111ento autentico da
uno falso, per ributtare quest'ultimo nell'inferno o nel limbo dei re­
ietti: pensiamo alla dimostrazione - per quei tempi rivoluzionaria -
compiuta dal fiorentino Lorenzo Valla nel 1440 circa la falsità della
pretesa <<donazione>> dello stato pontificio a papa Silvestro da parte
di Costantino, basandosi sul fatto che la lingua usata non poteva risa­
lire al IV secolo d.C., bensì a quattro o cinque secoli più tardi; pen­
siamo, nel Seicento, all'opera fondamentale del benedettino Jean Ma­
billon, De re diplomatica ( 1681), che pose i fondamenti della scienza
diplomatica e paleografica, consentendo di distinguere i documenti
d'archivio autentici (pubblici e privati) da quelli falsi con il supporto
degli aspetti formali; oppure, sempre nel Seicento, al rigoroso lavorio
critico-erudito intrapreso dai Gesuiti con la pubblicazione degli Acta
Sanctorum, grazie soprattutto all 'opera dei padri Jean Bolland - da
cui prenderà il nome la Società dei Bollandisti - e Daniel Papen­
broeck. Si può dunque dire che si è ormai realizzata non soltanto la
conversione del documento in monumento, ma anche quella del mo­
numento in documento: pure un falso costituisce infatti una testimo­
nianza preziosa, non su ciò che avrebbe voluto far credere, ma sull' e­
poca, il movente e la mentalità che stanno a monte dell'opera del
falsario.
Merita peraltro segnalare che, nel nostro secolo, si avvertì per
tempo il bisogno di ampliare il concetto di <<documento>> ben al di là
24 INTRODUZIONE

delle frontiere del testo scritto. Lo stesso Fustel de Coulanges era


pervenuto ad ammettere che <<là dove alla storia mancano i monu­
menti scritti [ . . ] essa deve scrutare le favole, i miti, i sogni della
.

fantasia [ . . ] . Dove è passato l'uomo, dove ha lasciato qualche im­


.

pronta della sua vita e della sua intelligenza, là sta la storia>>. Ma fu


soprattutto merito della Scuola delle <<Annales d'histoire économique
et sociale>> (rivista fondata nel 1929) quello di avere imposto in modo
decisivo questa accezione a111pliata:

La storia si fa con i documenti scritti, certamente. Quando esistono. Ma


la si può fare, la si deve fare senza doc11111enti scritti se non ce ne sono. Con
tutto ciò che l'ingegnosità dello storico gli consente di utilizzare per pro­
durre il suo miele se gli mancano i fiori consueti. Dei segni. Dei paesaggi e
delle tegole. Con le forme del campo e delle erbacce. Con le eclissi di luna
e gli attacchi dei cavalli da tiro. Con le perizie su pietre fatte dai geologi e
con le analisi di metalli fatte dai chimici. Insomma, con tutto ciò che, ap­
partenendo all'uomo, dipende dall'uomo, serve all'uomo, esprime l'uomo,
dimostra la presenza, l'attività, i gusti e i modi di essere dell'uomo. Forse
che una parte, e la più affascinante, del nostro lavoro di storici non consiste
proprio nello sforzo continuo di far parlare le cose mute, di far dir loro ciò
che da sole non dicono sugli uomini, sulle società che le hanno prodotte, e
di costituire finalmente quella vasta rete di solidarietà e di aiuto reciproco
che supplisce all a mancanza del documento scritto? (Lucien Febvre, Vers
une autre histoire [ 1 949] , in Id., Combats pour l'histoire, Paris, 1 953 , p.
428.)

2.2. Le innovazioni tecniche nella ricerca specialistica

Sotto il profilo tecnico-metodologico il lavoro dello storico antico


è oggi facilitato (ma, se vogliamo, per certi versi anche complicato: in
ogni caso arricchito) dal convergere di procedimenti che scaturiscono
da una molteplicità di discipline nuove o, comunque, in via di acce­
lerato sviluppo, che consentono importanti allarga111enti della ricerca
in estensione e in profondità (già vi abbiamo fatto cenno: si veda il
paragrafo 1 .4).
Da una parte, discipline un tempo considerate ausiliarie (<<ancel­
le>>) della storia antica hanno rivendicato una propria identità e auto­
nomia sia nell'oggetto dell'indagine, sia nelle metodologie loro speci­
fiche. Peraltro archeologia, n11111ismatica, sfragistica (o sigillografia:
studio dei sigilli e delle gemme lavorate), filologie ed epigrafie (greca,
latina, semitica, ecc.), papirologia, diplomatica, onomastica (studio
dei nomi propri), toponomastica (studio dei nomi di luogo), proso­
pografia (studio di personaggi noti del passato), iconografia (descri­
zione e classificazione dei soggetti artistici e dei loro riscontri lettera­
ri) , iconologia (interpretazione del significato - simbolico, dogmatico,
mistico, psicoanalitico, ecc. - delle opere d'arte e quindi della rela­
zione tra parola e immagine da una parte, valori culturali e sociali
del loro contesto storico dall'altra) sono andate accentuando la pro­
pria fisionomia di scienze storiche; e buona parte delle problematiche
LA STORIA AN1'ICA OGGI 25

cui esse cercano di dare risposte - sempre più attendibili e precise


grazie a tecnologie via via più sofisticate - rispondono a domande
che sono essenziali anche per gli storici. Si gettano quindi nuovi, soli­
di ponti fra le varie discipline storiche, senza che ciò sconfini nell'u­
topia dell'interdisciplinarità (ché ogni disciplina fa uso di un linguag­
gio suo proprio).
D'altra parte, nella ricerca storica antichistica si mettono oggi a
partito anche i progressi delle scienze sociali (antropologia culturale,
sociologia, sociolinguistica, psicologia delle masse, storia orale, etolo­
gia, semiologia e scienze della comunicazione, ecc.) per focalizzare
specificità - nel tempo e nello spazio - di fenomeni socioculturali per
i quali la documentazione tradizionale (fonti scritte) non è disponibi­
le, o è insufficiente, o non è stata ancora sfruttata in tutte le sue po­
tenzialità (come per esempio nel caso dell'agiografia - letteratura sul­
le vite dei santi, con studi critico-filologici correlati -, che può venire
utilizzata anche quale cassa di risonanza di comportamenti e di men­
talità, oltre che come miniera d'informazioni sul costume e gli usi
domestici nel quotidiano vissuto, grazie a suggestioni come quelle
esercitate da Michel Foucault in Le souci de soi, Paris, 1984). In que­
sto modo si possono recuperare alla storia, almeno in certa misura,
periodi di <<azzeramento>> culturale altrimenti inattingibili, strati so­
ciali o gruppi etnici primitivi del passato le cui tradizioni si sono affi­
date alla sola trasmissione orale di memorie e di miti. In particolare
lo studio della preistoria molto si è giovato della paletnologia e del­
l'archeologia preistorica - sempre più avviate a trasformarsi in scien­
ze sociali attraverso procedimenti conoscitivi comuni alla storia an­
tropologica - per raggiungere un'a111pia comprensione di sistemi so­
cioculturali antichissimi, spiegandone i processi di fo1111azione e di
trasfo1111azione.
Si fa ricorso all'etnologia, alla demografia e climatologia storiche,
all'antropometria, alla paleozoologia, alla paleobotanica, alla paleopa­
tologia, alle prospezioni elettriche, magnetiche, meccaniche e soni­
che, a fotografie aeree e da satellite, alle risorse più aggiornate delle
indagini chimiche, fisiche, medico-biologiche, geologiche, ecologiche,
storico-geografiche, ecc., per rifondare con tutti gli attributi delle
scienze esatte e sperimentali sia la ricerca archeologica (la cosiddetta
<<New Archaeology>> , il cui atto ufficiale di nascita risale al 1968, fiera
di operare come in una sorta di laboratorio: si rimanda qui al para­
grafo 5 del capitolo II, infra, pp. 74 ss.), sia l'indagine topografica,
papirologica, epigrafica.
Forti di questi e di altri stru111enti nuovi, in archeologia si tende a
determinare con crescente rigore il sistema dei rapporti fra la natura
del terreno, la stratigrafia e il monumento (la regola ha del resto una
portata più generale: qualsivoglia doc11111ento, per essere pienan1ente
utile, deve infatti essere studiato nel suo contesto, evitando d'isolarlo
dall'insieme di cui fa parte). Si è in grado di sondare i fondali marini
per rintracciare relitti di antiche navi affondate con i loro carichi di
merci, o strutture portuali sommerse per bradisismi. Si attuano rico-
26 INTRODUZIONE

gnizioni del terreno in profondità mediante carotaggi. Ci si avvale del


radiocarbonio per attribuire datazioni assolute ai materiali. Grazie al­
i' analisi chimica delle pietre e degli impasti delle anfore si può de­
terminarne la provenienza, ricavando risposte utilissime sui commerci
dei marmi per uso monumentale, delle sculture, delle ceramiche e
delle merci trasportate nei vari tipi di contenitori fittili, sui <<Viaggi>>
delle iscrizioni (queste ultime trovandosi talvolta su blocchi riutilizza­
ti in seguito come zavorra di navi) . Sempre attraverso analisi chimi­
che sui resti materiali si precisa la composizione di antichi profumi,
cosmetici e alimenti, tecniche di lavorazione e leghe, in certi casi sve­
lando falsi cla1norosi (come quello, che sembra or111ai dimostrato,
della fibula Praenestina, la cui iscrizione in latino arcaico era riguar­
data sino a pochi anni or sono come esempio linguistico fra tutti ve­
tustissimo) , talaltra contribuendo a mettere a fuoco fenomeni econo­
mici di grande rilievo come l'inflazione monetaria e i connessi proce­
dimenti, pubblici e privati, di adulterazione della moneta. Si analizza­
no anche i tessuti (pensiamo alla Sindone, sulla cui datazione la di­
scussione rimane tuttora aperta) . Si leggono papiri carbonizzati. Si
rintraccia la struttura di vigneti sepolti sotto cenere e lava dall' eruzio­
ne del Vesuvio nel 79 d.C. (mi riferisco al volume di Wilhelmina Jas­
hemski, The Gardens o/ Pompeiz� Herculaneum and the Villas De­
stroyed by Vesuvius, New York, 1979, 19952). Si mostra che è possi­
bile istituire un rapporto preciso fra strutture insediative e paesaggio
(paleoecologia) , ricostruire - con l'ausilio della pedologia (scienza del
terreno) e delle analisi polliniche (paleobotanica) - interi sistemi di
colture antiche, dina111iche di dissodamento, disbosca111ento, coloniz­
zazione, impaluda111ento, abbandono. Si tracciano profili di cicli cli­
matologici secolari attraverso il variabile spessore degli anelli di cre­
scita nel tronco sezionato delle gigantesche sequoie californiane,
traendone considerazioni circa la possibile influenza climatica sulle
migrazioni dei popoli, in varie fasi dell'evo antico. La dendrocronolo­
gia consente di datare con precisione antiche costruzioni lignee con­
servate (per esempio la motte fortificata di Douai al 965 d.C.). Con
l'ausilio della toponomastica, dell'aerofotografia e delle immagini da
satellite si ricostruiscono cartograficamente le divisioni agrarie dell' e­
tà magnogreca e romana. Ci si appella a mezzi chimici per stabilire
parentele fra individui fossili, nonché la loro eventuale provenienza
da altre regioni o località (paleodemografia) ; si controllano l'entità
del fattore denutrizione sugli scheletri rinvenuti nelle antiche sepoltu­
re, e le malattie che hanno afflitto quegli individui da vivi, nonché le
tare congenite dovute a matrimoni consanguinei nelle società germa­
niche (paleopatologia). L'esemplificazione potrebbe continuare anco­
ra a lungo: ma qui importa precipua111ente sottolineare che si tratta
di risposte sempre più ricche e precise a interrogativi inconsueti, di
estremo interesse per lo storico del mondo antico. Com'è ovvio, la
precisione ed esaustività delle analisi è realizzabile soprattutto per
campionature, che soltanto con il tempo potranno venire assemblate
in quadri adeguati e rinnovati.
LA STORIA ANTICA OGGI 27

Soprattutto a partire dagli anni Sessanta si è dunque assistito a


quella che è stata definita una <<rivoluzione doc11111entaria>>, in senso
quantitativo non meno che qualitativo. L'interesse della ricerca ha
cessato, per conseguenza, di concentrarsi esclusivamente sugli avveni­
menti politici in senso stretto (la deprecata concezione <<eventocrati­
ca>> della storia tradizionale), sugli aspetti diplomatici e militari, sulle
grandi personalità, sui luoghi del potere. Come già si è accennato,
molte gerarchie si sono rovesciate, sono cambiati i protagonisti insie­
me con i documenti ai quali ci si rivolge per allargare l'indagine sto­
rica a tutti gli uomini, compresi i ceti emarginati o minoritari (quindi
anche alle donne - seppure con accentuazioni <<femministe>> talora
deleterie -, ai bambini, agli eretici, ai folli, ai banditi; e inoltre ai po­
poli remoti nel tempo e nello spazio, alle culture contadine, o indige­
ne, o primitive - in precedenza giudicate sottoculture -, ecc.). Si è
accantonata l'idea di privilegiare soltanto il documento scritto fino al
punto di legare la nascita stessa della storia con quella della scrittura.
Invero, oralità e scrittura, quasi ovunque, sono sempre coesistite, an­
che se l'avvento della scrittura ha senza dubbio costituito una tappa
decisiva nello sviluppo di una società, per il ruolo da essa svolto nel­
la diffusione delle conoscenze all'interno di questa. Altre, multifo1·111i
categorie di documenti possono concorrere alla ricostruzione della
storia di una società anche nelle sue zone più dimenticate e <<silenti>>
(silenziose per assenza di doc11111enti scritti). A queste forme di obli­
terazione inconscia o di eliminazione intenzionale Michel de Certeau
ha dedicato un'analisi sottile; e Jacques Le Goff è andato oltre, pro­
clamando l'utilità di fare l'inventario degli <<archivi del silenzio>>, de­
gli <<spazi bianchi della storia>>, interrogandosi sui perché.
Ma è stato in particolare l'avvento del computer - con le straor­
dinarie possibilità dischiuse dall'informatica - che ha condotto a un
dilatarsi della memoria storica ai dati seriali e quantitativi, i quali
hanno comportato anche un'organizzazione differente dei dati stessi,
immagazzinandoli in corpora all'interno d'un patrimonio culturale di
cui tendono a rivoluzionare la fisionomia e la cronologia in determi­
nate sequenze storiche: questo, per lo meno, è il programma che si
prefiggono coloro che maneggiano le banche dati, sebbene il cammi­
no da percorrere per un utilizzo storico critica111ente corretto e profi­
cuo appaia ancora assai lungo. Si vanno oggi costruendo serie stati­
stiche dei fenomeni più svariati: tabelle di prezzi; indici di produttivi­
tà, d'inflazione e di deflazione; curve di durata media della vita in
diverse regioni e a seconda dei sessi e delle età, in base ai dati forniti
dalle recensioni a tappeto di iscrizioni e papiri (esemplari gli innume­
revoli studi quantitativi sulle vicende finanziarie ed economiche del
Principato prodotti da Richard Duncan-Jones). In ogni caso - merita
sottolinearlo - è pur sempre l'ottica dello studioso a muovere le fila
di questo difficile gioco informatico, programmando le domande in
vista di risposte adeguate.
28 INTRODUZIONE

2.3. Nuovi orientamenti tematici

Per quanto si riferisce agli orienta1nenti tematici nella ricerca an­


tichistica, le novità emergenti si ricollegano, almeno in parte, al rin­
nova111ento del quadro teorico-metodologico, a sua volta connesso
con le innovazioni tecniche. Spiccano pertanto, nelle indagini stori­
che attuali, le convergenze disciplinari e, quindi, anche la tendenza a
una crescente cooperazione a livello internazionale.
Si va in primo luogo irrobustendo il collega111ento fra discipline
storiche e archeologiche, in una prospettiva soprattutto territoriale e
in senso tanto sincronico quanto diacronico. Gli studi sul territorio
rappresentano senza dubbio un settore privilegiato delle indagini an­
tichistiche più innovatrici e significative degli ultimi anni (ma ancora
in progress) : territorio anatomizzato - a livello sia microterritoriale,
sia regionale, sia sovraregionale - specialmente nelle sue strutture
produttive, nei suoi aspetti insediativi non soltanto urbani ma anche
rurali, nei modi di sfruttamento della terra, nei condiziona111enti geo­
morfologici; meno, per ora, nelle specificità socioculturali, nella mo­
bile dialettica delle relazioni 11111ane circoscritte entro una ben defini­
ta area antropologica (le loro tracce nella cosiddetta <<cultura mate­
riale>>, nelle fonti scritte, nelle tradizioni orali presentano infatti non
poche difficoltà di adeguata lettura). In ogni caso, la prospettiva re­
gionalistica tende sempre a integrarsi con una visione diacronica. Dai
nuovi approcci discendono rinnovate interpretazioni anche nella sto­
ria più propria111ente politica.
Emerge, in sostanza, l'esigenza di ristrutturare la ricerca sull'Anti­
chità fornendole una piattafor111a documentaria nuova o del tutto rin­
novata, indispensabile per colmare tanti vuoti della storia sociale,
agraria, finanziaria, culturale (in quanto storia delle culture locali e
anche del quotidiano vissuto: si pensi, per quest'ultimo, alla recente
Storia della vita privata coordinata da Paul Veyne). Soltanto ricerche
<<sbriciolate>> su aree circoscritte sembrano, di fatto, consentire di
raggiungere prospettive innovatrici (seppur parziali) rispetto a quelle
proposte sia dalla storiografia filologica dell'Ottocento, sia da quella
di stampo idealistico fra le due guerre. Storia locale, dunque, ma
come <<grande storia>> alla lente, come microanalisi per controllare o
correggere su campioni geograficamente limitati la validità di quadri
teorici generali spesso assurti a dogma, nell'attesa di ricomporre i ri­
sultati settoriali in sintesi più a111pie, rimodellate e sfumate secondo
nuovi punti di riferimento.
Non pare che il rinnovato interesse nei confronti della cosiddetta
<<cultura materiale>> - per quanto certo sollecitato, specie nel suo pri­
mo ger111ogliare, dal marxismo - si colori oggi di una precisa ideolo­
gia. Un orientamento del genere, specialmente in Italia, è stato invero
promosso soprattutto da una reazione più o meno consapevole a una
storiografia da troppo tempo nutrita di idee astratte e di prospettive
alta111ente ideologizzate, esprimendo dunque l'esigenza di una storia
dell'Antichità più neutrale, <<oggettiva>>, confrontata con il concreto,
LA STORIA ANl'ICA OGGI 29

fondata su documentazione il più possibile libera da mediazioni in­


terpretative, da strumentalizzazioni sia antiche (fonti scritte) sia mo­
derne (storiografia) . Ma oggi, nella crisi generale delle ideologie, i di­
versi approcci a livello sia metodologico sia tematico tendono a inte­
grarsi, piuttosto che a contrapporsi.
In una prospettiva affine sono state fatte oggetto di un'attenzione
fino a ieri inusitata anche le antichità paleostoriche, ittite, fenicio-pu­
niche e semitiche (pensia111 0 alla grande scuola di Sabatino Moscati),
anatoliche, africane, nonché le tematiche già <<ghetto>> dell'aneddotica
o del folklore quali la storia della donna e dei ceti analfabetizzati,
delle superstizioni e della magia, della cucina, della moda, della salu­
te, delle applicazioni tecniche (messe in relazione con gli avanzamenti
dei saperi scientifici a livello teorico), degli atteggiamenti di fronte
alle cala111ità naturali, alla malattia, alla morte, alla vecchiaia, alla ses­
sualità, alla contraccezione e ali' aborto, ecc. Non soltanto questi
comportamenti sociali e questi sistemi di valore di un remoto passato
sono ora più accessibili grazie a tecniche di ricerca sofisticate, ma
esercitano il fascino dei territori ancora inesplorati, della <<periferia>>
geografica e culturale.
Un'altra novità emergente negli orienta111enti tematici della ricer­
ca storica antichistica è costituita dal superamento della partizione
tradizionale fra storia greca e storia romana (spesso artificiale e di
puro comodo, dal punto di vista accademico ovvero politico) . Ci si
orienta or111 ai verso una prospettiva unitaria della storia antica: e per
rendersene conto è sufficiente scorrere i titoli della serie Universale
Laterza <<Il mondo degli Antichi>>, monografie di alta divulgazione
ma affidate a studiosi affermati, che parlano ad esempio de La mone­
ta in Grecia e a Roma (M. Crawford), La tecnica in Grecia e a Roma
(G. Pucci) , Il diritto in Grecia e a Roma (M. Bretone e M. Talaman­
ca) , La popolazione in Grecia e a Roma (K. Hopkins) , La cultura let­
teraria in Grecia e a Roma (G. Cavallo), La filosofia in Grecia e a
Roma (G. Cambiano), ecc. Opere recentissime come la Storta di
Roma (4 voli. in 7 tomi, dal 1989) e I Greci. Storia cultura arte società
(dal 1996, in corso di pubblicazione) - edite a Torino presso Einaudi
e frutto di cooperazione specialistica internazionale -, ovvero Lo spa­
zio letterario di Roma antica (5 voli., dal 1989) e Lo spazio letterario
della Grecia antica (5 voli., 1992-1996) - realizzate da specialisti tutti
italiani presso l'Editore Salerno, Roma - sono esempi eloquenti di
come, oggi, la ricerca tenda a considerare globalmente il complesso
intreccio delle vicende politiche, culturali ed economiche mediterra­
nee, ad associare in proficue sinergie percorsi di storia letteraria, sto­
ria artistica, storia economica e storia tout court, nel contempo non
dimenticando di tributare la dovuta attenzione anche ad altre com­
ponenti e mediazioni che furono essenziali nella nascita e nel succes­
sivo, secolare sviluppo del pluralismo culturale nella civiltà greco-lati­
na e poi romano-bizantina (soprattutto orientali: siriache, giudaiche,
ecc.). Fenomeni di interpenetrazione e di acculturazione siffatti ac­
quistarono particolare visibilità a partire dal III secolo d.C. In tale
30 INTRODUZIONE

direzione, peraltro, ha pesato non poco anche il rinnovato interesse


per la grecità coloniale, da cui hanno tratto vantaggio sia le ricerche
su tutta la fase arcaica della storia mediterranea (greca, italica, iberi­
ca, gallica, ecc.; si veda l'imponente Bibliografia topografica della colo­
nizzazione greca in Italia diretta da Giuseppe Nenci e da George Val­
let in corso di pubblicazione a partire dal 1977 ), sia il riattivarsi del-
1' attenzione per la storia ellenistica e tardoantica in quanto luoghi
d'interazione culturale (Arnaldo Momigliano, Santo Mazzarino) .

Le più recenti acquisizioni metodiche e problematiche della ri­


cerca in ambito antichistico, cui si è andati fin qui accennando, han­
no comportato ripensamenti, spesso radicali, nelle periodizzazioni
tradizionali, grazie anche alla ravvivata attenzione per le età di transi­
zione (nel passato altra trascurata <<terra di nessuno>>).
Una scoperta sensazionale come quella della Missione Archeolo­
gica Italiana in Siria diretta da Paolo Matthiae negli anni Settanta,
che ha fatto rinascere la cultura raffinata e complessa di Ebla (Tell
Mardlkh nell'alta Siria) - capitale antichissima, distrutta dagli Hittiti,
d'un impero del quale si era pressoché smarrito il ricordo già tremila
anni or sono -, grazie alle circa 17 .000 tavolette iscritte degli archivi
reali ha consentito, per il Medio Oriente, il recupero di un millennio
di storia, fra il 2400 e il 1600 a.C. Il ritrovamento, a Creta e nel
Peloponneso, di archivi palaziali con tavolette in lineare B, la cui de­
cifrazione ha rivelato che la lingua allora usata era il greco (si veda
qui il capitolo IV), nell'ultimo cinquantennio ha dischiuso prospetti­
ve affatto nuove sulla civiltà del II millennio a.C., nel quale viene
ormai a collocarsi l'inizio della storia greca (benché, di fatto, sia so­
prattutto la <<filologia micenea>> a occuparsi di questa fase culturale
tuttora sprovvista di articolazioni <<evenemenziali>>, data la particolare
natura della documentazione acquisita).
Già si è detto come la storia greca non costituisce più un mondo
a sé, separato da quello degli Etruschi, degli Italici e di Roma (ciò
che in passato dava quasi l'impressione - specie a livello didattico -
che essa rappresentasse una fase precedente alle altre due, anziché
uno fra gli elementi di un medesimo crogiuolo).
Anche nell'analisi e nella valutazione dei fattori interni ed esterio­
ri che portarono alla mutazione del Tardoantico e quindi all'inizio
del Medioevo (nell'Occidente latino, ma anche nell'Oriente bizanti­
no) gli annosi dibattiti sulla periodizzazione si sono andati affievo­
lendo e relativizzando. La civiltà antica declinò insieme con la <<deca­
denza>> delle forme artistiche al tempo di Costantino, come già aveva
proposto Giorgio Vasari in un suo celebre scritto ( 1568) ? O con la
proletarizzazione dei ceti medi cittadini già consumata alle soglie del
IV secolo, come pensava Mikhail I. Rostovtzev dopo la sua personale
esperienza della rivoluzione bolscevica ( 1 926)? O l'impero fu <<assas­
sinato>> attorno al 382, quando Teodosio I acconsentì a stipulare con
i Goti un accordo <<Vergognoso>> che ne sanciva l'insediamento nei
Balcani (così, con accenti di patriottismo vissuto, André Piganiol nel
LA STORIA ANTICA OGGI 31

1947 )? O forse fu decisiva la svolta istituzionale del 476, allorché fu


costretto ad abdicare l'ultimo imperatore d'Occidente, Romolo Au­
gustolo, e in cui Ferdinand Gregorovius ( 1 857) collocò la crisi risolu­
tiva di un impero da secoli putrescente, cui si sarebbero presto so­
stituiti <<il sangue giovane>> e i principi di libertà del germanesimo? O
si può arrivare fino al VII secolo (avvento di Foca sul trono bizanti­
no nel 602, o riforma <<thematica>> del suo successore Eraclio, t 64 1 ) ,
secondo la proposta di storici attenti anche alle vicende dell'Oriente
mediterraneo? O dobbiamo seguire Alfons Dopsch (1918- 1 93 0) e
scendere fino a Carlo Magno, ovvero Henri Pirenne (1937) e indivi­
duare l'elemento decisivo di frattura nell'espansione araba nel Medi­
terraneo? La fine sopravvenne dunque per <<assassinio>> cruento o per
prolungata <<malattia>>? Fu colpa del cristianesimo <<che apriva il cielo
ma portava a perdizione lo stato>> (come pensarono Voltaire e Ed­
ward Gibbon nel secolo dei Lt1111i, e in termini più sfumati ancora
Arnaldo Momigliano ai giorni nostri) , o di un inquinamento <<razzia­
le>> progressivo (Otto Seeck, 1 895 ss.), o di eccessiva pressione fiscale
con connessa crisi socioeconomica (Arnold Hughes Martin Jones,
1964) , aggravata dalla corruzione e dalla perdita di controllo da parte
dello stato (Ramsay MacMullen, 1988)? I grandi temi, le grandi in­
terpretazioni del Tardoantico - recenti e meno recenti, ma in un
modo o nell'altro tutte fortemente segnate dalla tradizione storico­
letteraria antica che stava loro a monte in posizione di assoluto privi­
legio - si misurano oggi in concreto con le nuove anatomie di situa­
zioni geografiche e antropologiche più definite e circoscritte, attente
a tenere conto delle disparità non meno dei denominatori comuni.
Quasi tutti gli studiosi sono 01111ai alieni dall'appellarsi a un solo
ordine di motivazioni; e, soprattutto, sono disposti a riconoscere che
lo spartiacque cronologico può variare a seconda dei settori e delle
aree geografiche, nonché degli indicatori di continuità e discontinuità
di volta in volta privilegiati (sebbene non s'usi più appellarsi a una
monocausa, e si preferisca mettere a fuoco una molteplicità di feno­
meni reciproca111ente interagenti). Se, per esempio, l'installarsi dei
Longobardi in Italia costituì per molti aspetti un'effettiva cesura nella
storia della penisola nel contesto del mondo mediterraneo, il proble­
ma si pone in te1111ini differenti per i Balcani (ben più precocemente
ger111 anizzati), per la Spagna visigota, per la Gallia franca, per la Sici­
lia e per l'Africa (prima bizantine e poi musulmane) , per Bisanzio
vacillante sotto i colpi delle rovinose invasioni persiane nel VII seco­
lo, mutilata della Siria e dell'Egitto divenuti arabi fra il 630 e il 650.
L'età del passaggio fra Antichità e Medioevo si è andata quindi collo­
cando fluida111ente tra il IV e il VII secolo, fra Teodosio il Grande e
Gregorio Magno: ossia quando, in sostanza, gli antichi stessi - i quali
neppure si accorsero del 476, data poi emblematica nella manuali­
stica ma di assai tardivo successo - presero coscienza che l'impero di
Roma era orn1ai tra111ontato. Occorre ricordare che la storia di que­
sto tramonto è parecchio lunga: in Oriente si protrasse fino alla ca­
duta di Costantinopoli, <<nuova Roma>>, nel 1453 . E ancora oggi si
32 INTRODUZIONE

continua a parlare di Roma: anche la storia dell'idea e perfino del


mito di Roma nei secoli moderni è uno dei temi su cui spesso si eser­
cita l'attuale storiografia.
Vorrei concludere le riflessioni fin qui esposte con le stesse parole
di Eric J. Hobsbawm in The Socia! Function of the Past (in <<Past &
Present>>, 55, 1972, p. 17): <<Noi nuotia1no nel passato come i pesci
nell'acqua, e non possiamo farne a meno. Ma le nostre diverse ma­
niere di vivere e di muoverci in questo elemento richiedono analisi e
discussione. L'obiettivo del presente contributo è stato quello di sti­
molare entrambe>>.
LELLIA CRACCO RUGGINI
Torino, luglio 1996

3. Bibliografia

La bibliografia qui riportata vuol fornire solo un primo orienta­


mento sui contributi più significativi sulle questioni toccate nel testo.
Ringrazio la prof. Enrica Culasso Gastaldi dell'Università di Torino
per alcune utilissime indicazioni attinenti al mondo greco.

N. Abbagnano, voce Storia, in Grande Dizionario Enciclopedico, Tori­


no, 19914, voi. XIX, pp. 422-423 .
Actes du XVIIIe Congrès International des Sciences Historiques (Mon­
tréal, 27 Aout - 3 Septembre 1995), Montréal, 1995 (utile per ren­
dersi conto dei più recenti orientamenti tematici nella storiografia
generale) .
·

J. Agirreazkuenaga et al. , Storia locale e microstoria: due visioni a con­


fronto, Zaragoza, 1993 .
M. Amelotti, Tardo Antico, Basso Impero, Impero Bizantino, in Atti
dell'Accademia Romanistica Costantiniana. X Conv. Int. in on. di
A. Biscardi (Spello-Perugia-Gubbio, 7- 1 0 ott. 1991), Napoli, 1995 ,
pp. 25-32 .
Archeologia e astronomia: Esperienze e prospettive future. Conv. Int.
(Roma, 26 nov. 1994), Atti dei Conv. Lincei 12 1 , Roma, 1995 .
N. Assorodobraj, Le raie de l'histoire dans la prise de conscience na­
tionale en Afrique Occidentale, in <<African Bulletin>>, 7 ( 1 967),
pp. 9-47 .
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tirreniche, diretta da G. Nenci e G. Vallet (Scuola Normale Su-

periore di Pisa, Ecole Française de Rome), Pisa, 1966 ss.


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tentrionale in epoca tardoantica e nell'Alto Medioevo (V-VII sec.).
Fonti� metodo, prospettive, in <<Archeologia Medievale. Cultura
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M. Bloch, Apologia della storta o mestiere dello storico, Torino, 1950,
196o/ (dall'ed. Paris, 1949).
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<<We swim in the past as fish do in water, and cannot escape
from it. But our modes of living and moving in this medi11111 re­
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to stimulate both>>.
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Capitolo 1

1 . Premessa

Nelle università italiane la storia del paesaggio antico non costitui­


sce materia autonoma, e tuttavia è campo d'interesse primario per
cultori di varie discipline dell' antichistica, dalla geografia alla topogra­
fia storica all ' archeologia. Gli storici aperti a prospettive di <<lunga du­
rata>>, in primo luogo i medievisti, studiano il paesaggio antico come
elemento di confronto, per ossel'Vare divergenze e continuità. Lingui­
sti e glottologi se ne occupano per la toponomastica, mentre sempre
più stretto è il rapporto con le discipline dell'area scientifica.
Oggi sarebbe quanto mai ambizioso (e senz'altro prematuro) defi­
nire una sintesi, anche generica, dei problemi del paesaggio nel Medi..
terraneo antico. In realtà, la storia del paesaggio non va considerata
tanto come una disciplina a parte, quanto come un aspetto fonda­
mentale della storia. Mai come in questo caso lo storico, il geografo e
l'archeologo possono giovarsi delle rispettive esperienze. Dati gli svi­
luppi di queste discipline, è però evidente la difficoltà di giungere a
una visione d'insieme del Mediterraneo antico nel suo sviluppo stori­
co; di conseguenza, sembra quanto mai lontano l'obiettivo di ripro­
porre in maniera aggiornata le due mirabili sintesi di storia economica
e sociale (sull'impero romano e sul mondo ellenistico) elaborate nella
prima metà di questo secolo dal grande storico Michail Rostovtzev.
Un novello Rostovtzev, se mai ci sarà (ma è più ragionevole pen­
sare a uno o più gruppi di ricerca) , dovrà necessariamente impostare
la propria sintesi partendo da criteri geografici e topografici: un po'
come aveva fatto lo storico moderno Fernand Braudel, per la sua
grande thèse sul Mediterraneo nell'epoca di Filippo II. All o stato at­
tuale, però, tra storici e archeologi spesso mancano sia dialogo sia
convergenza su questi problemi, e non è facile giungere a un accordo
anche sui criteri di base. Pertanto, in questa sede saranno affrontati
gli aspetti più propria111 ente storici, mentre per i temi legati all' ar-
38 GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA

cheologia, come l'urbanistica e le metodologie del survey, si rimanda


al capitolo di M.J. Strazzulla.
In questo capitolo si è insistito soprattutto sulla v i s i b i 1 i t à
dei paesaggi. No1111 almente, una sintesi tende a presentare, e magari
a elevare a centro delle indagini passate e future, i dati conosciuti e
conoscibili. Tuttavia, per una realtà sfuggente come quella del pae­
saggio antico, questa operazione sarebbe controproducente: se è già
difficile ottenere una visione d'insieme della storia antica, a causa
della selezione dei dati che ci sono giunti, i suoi paesaggi sono ancor
più nascosti, quasi come la punta di un iceberg. In un mondo essen­
zialmente cittadino, le campagne non prendono che una parte mini­
ma, mentre molti fenomeni restano pressoché invisibili. La parte più
evidente è rappresentata dall'agricoltura, che in effetti costituiva il pi­
lastro dell'economia antica; tuttavia il paesaggio agrario costituisce
una realtà riduttiva rispetto al paesaggio, che invece occorre conside­
rare nel suo insieme, vale a dire nei suoi aspetti sia spaziali sia terri­
toriali. Per questa ragione, buona parte del nostro discorso si occu­
perà degli aspetti <<invisibili>> del paesaggio, vale a dire di ciò che
non può essere indagato in base a criteri tradizionali.
Beninteso, con ciò non si intende dire che il mondo antico avesse
più paludi che campi coltivati, e che i territori marginali fossero più
importanti dei territori coltivabili; tuttavia, non si può trascurare
l'importanza di realtà geografiche spesso dimenticate, come anche le
montagne o le isole, in modo da considerare più oggettivamente un
paesaggio i cui caratteri appaiano falsati a causa di un duplice filtro:
anzitutto quello della mentalità moderna che suggerisce analogie non
sempre valide, ma anche quello delle fonti antiche con le loro conno­
tazioni ideologiche ruotanti su concetti basilari come la città o la ter­
ra. In definitiva, indicare ciò che non è visibile può permettere alme­
no di capire ciò che può essere ancora visto.

2. Paesaggio reale, paesaggio immaginario: vicende e contraddi­


zioni di una realtà da rileggere

2 . 1 . Pace d 'Arcadia o sudore di schiavi?


'

E quasi ovvio immaginare il paesaggio degli antichi come un pae-


saggio <<mediterraneo>>. Ci è familiare pensare a uno scenario di cal­
ma pastorale o marina, comunque <<solare>>, che caratterizzerebbe
l'Evo antico in contrapposizione a un Medioevo proverbialmente
freddo e tetro. Et in Arcadia ego: a questo ideale romantico di un' an­
tichità calma e inerte, dall' aspetto rassicurante, si ispirano molti libri
di divulgazione e, naturalmente, i media: dai film <<peplum>> ai più
seri doc11111entari scientifici, fino alle campagne pubblicitarie di vari
paesi mediterranei, meta annuale di un grand tour di massa.
Questo ideale paesistico non è solo il frutto di proiezioni moder­
ne: descrizioni compiute di paesaggi si hanno già a partire da Omero
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA 39

ed Esiodo, e ritrovia1no in molte opere letterarie e artistiche il gusto


per la bellezza del paesaggio e della natura: tipico esempio è il boz­
zetto dell'estate a Lesbo nel romanzo pastorale di Longo (II-III seco­
lo d.C.):

Si era ormai alla fine della primavera e cominciava l'estate, tutto era in
pieno rigoglio: gli alberi carichi di frutti, i campi ricchi di messi. Dolce il
canto delle cicale, soave il profumo della stagione dei frutti, piacevole il be­
lar delle greggi. Era come un canto il placido scorrer dei fiumi, un suono di
flauto lo spirar dei venti tra i pini e pareva che i pomi cadessero a terra
innamorati, e che il sole amante invitasse tutti a spogliarsi (Longo I, xxiii, 1
s., trad. di L. Migotto) .

Al modello <<bucolico>> del paesaggio antico, caro ad artisti e let­


terati, si affianca però un altro modello, dia111etralmente opposto, più
familiare agli archeologi e agli storici, che potremmo definire <<geor­
gico>>: quello di un paesaggio antico a misura d'uomo, razionalizzato
e stretta111ente dipendente dalla città, con i suoi ca111pi solcati da gri­
glie e linee divisorie, al di là del quale resistono le zone marginali e
incolte. In questa ottica, Greci e Romani (e, già prima di loro, Egizi
e Babilonesi) lasciano la siringa bucolica per impugnare utensili e
strumenti di misurazione: li immaginiamo così prosciugare intere pa­
ludi, disboscare, creare un modello di paesaggio che ad alcuni è sem­
brato recare i ger111i della modernità. In realtà, se proprio voglia1110
trovare degli elementi di comparazione tra antico e moderno, questo
modello si avvicina piuttosto alle piantagioni di cotone o tabacco nel
Sud degli Stati Uniti.
Virgilio fu il cantore più ispirato di questo mondo di solerti
agricoltori:

Che dire di colui che appena seminato segue


i solchi e rompe i cumuli di terra infeconda,
poi induce un corso d'acqua con i suoi ruscelli nel maggese,
e, quando il campo riarso brucia di erbe morenti,
ecco attira a sgorgare l'acqua dal ciglio d'un sentiero
in declivio? Quella cadendo tra sassi levigati solleva
un mu1111ure roco, e ristora con zampilli l'arida campagna.

E di colui che sarchia il superfluo del grano in erba,


non appena il seminato eguaglia l'altezza dei solchi.
E di colui che devia l'acqua paludosa sulla suggente sabbia?
Specialmente se in mesi variabili il fiume in piena straripa
[ . ]
. .

(Virgilio, Georgiche I, 104 ss., trad. di L. Canali)

Il testo virgiliano, fin dal Medioevo, è stato considerato come un


modello di precettistica rurale; l'immagine di una ca111pagna antica
ordinata e popolata da assidui coloni è molto forte nella coscienza
storica moderna. In effetti, nell'Italia romana si sviluppò un sistema
produttivo fondato su un'unità particolarmente efficiente, la villa
schiavistica, che influì sul modello di conduzione rurale in altre aree
40 GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA

mediterranee, e fu destinata a lasciare il segno anche nell'economia


rurale dei secoli successivi.

2.2. Tirannia del documento storico?

Va da sé che entra111bi i modelli - l'uno primitivista, l'altro mo­


dernizzante - non sono utili ai fini della ricerca storica. Il mondo
mediterraneo presenta troppe varietà regionali e climatiche per con­
sentire affrettate generalizzazioni. Certo, i testi antichi potrebbero
suggerire questa illusione: in effetti, la grande forza unificatrice della
cultura greco-romana ha posto sotto una sola oikouméne, ovvero or­
bis terrarum, le terre conosciute, affidando alle loro letterature il
compito di descriverle secondo un codice omogeneo.
Ma, in realtà, la Padania di Virgilio non era l'Arcadia, le centuria­
zioni romane in Italia non avevano le stesse caratteristiche delle boni­
fiche mesopota111iche, e le foreste della Gallia in cui gli asceti cri­
stiani cercavano il <<deserto>> non somigliavano affatto alle solitudini
d'Egitto in cui si rifugiava sant'Antonio. Possia1110 concedere ancora
una dimensione realistica, e sempre entro certi limiti, alle descrizioni
letterarie del periodo arcaico, come per la Beozia di Esiodo; e, co­
munque, si tratta di descrizioni limitate a paesaggi circoscritti. Per
quanto attiene alla cultura classica propriamente detta, il paesaggio
resterà un'incognita fino alla tarda antichità, quando comincerà a far­
si strada una mentalità più interessata alle realtà paesistiche.
La parzialità e la selettività delle fonti - ulteriormente decimate
dal naufragio di gran parte della letteratura classica e dei documenti
d'archivio - determinano così il ruolo chiave dell'archeologia e del­
l'indagine microstorica, grazie a cui possiamo verificare molti singoli
casi territoriali. In effetti, quando si tratta di paesaggio, la lettura del­
le fonti si presta facilmente a equivoci. Il lavoro dello storico del
paesaggio è particolar111ente delicato, poiché non è sempre facile con­
siderare gli aspetti materiali e geografici del territorio, gli aspetti sto­
rici generali (politici ed economici), e sop1·attutto i tranelli della ter­
minologia che nascondono for111 e di mentalità non sempre decifrabili
alla luce del comune buonsenso. Questo, però, non deve portare al­
i' abbandono delle fonti scritte, partendo dal presupposto che il do-
cumento storico e <<tiranno>>.
. .
'

Quindi, per lo studio di questi fenomeni, è fondamentale definire


il rapporto fra immagine e realtà, ovvero fra il polq storiografico ar­
cheologico-economico e quello ideologico-politico. E quasi superfluo
dire che la relativa esiguità e i limiti della doc11111entazione scritta
sono il grande handicap degli antichisti; ma proprio per questo, a
maggior ragione, non è utile selezionare ulteriormente l'approccio ai
testi. In realtà, l'aspetto ideologico dei testi è imprescindibile da
un'analisi del paesaggio antico.
Certo, per le civiltà preistoriche, o in genere per le situazioni
scarsamente documentate da testi scritti, le metodologie archeologi-
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA 41

che costituiscono il solo modo per analizzare le strutture del paesag­


gio; ma per il mondo mediterraneo, dal periodo arcaico fino alla tar­
da antichità, la situazione è più complessa. Infatti, la sopravvivenza
di numerosi testi scritti ci mette in grado di valutare non solo le tipo­
logie degli insedia111enti, ma anche le ideologie che influenzavano,
spesso in modo decisivo, la scelta degli insediamenti e l' organizzazio-
,

ne dello spazio geografico. E quindi importante, anche per l' archeo-


logo, recuperare la documentazione scritta e rifuggire dagli sterili tec­
nicismi, dalla settorialità: non esistono un paesaggio degli storici e un
paesaggio degli archeologi (o un paesaggio dei geografi, intesi nell'ac­
cezione restrittiva accademica) , bensì un paesaggio tout court, terreno
d'incontro per le varie esperienze. di ricerca.

2.3. Logiche del paesaggio antico

Va da sé che queste esperienze devono tener conto della peculia­


rità dei testi antichi, che non si possono interpretare in modo inge­
nuo o modernizzante. Paul Veyne ha opportuna111ente osservato
come il paesaggio e la geografia letteraria dei testi classici si riferi­
scano a un codice che non può ricondursi immediata111 ente a elemen-
tt pos1t1v1.
• • • •

La poesia dei nomi di uomini e di luoghi è uno dei punti di forza della
poetica greco-romana; quando un poeta narra una leggenda, quando la rias­
sume, quando semplicemente vi allude, c'è almeno un particolare che non
omette mai: il nome dei personaggi e del luogo dell'azione [ . . . ] Del resto,
la lettura di una qualsiasi carta geografica basta ad immergerci in una fanta­
sticheria senza fondo, se si recitano come in una litania i nomi di paesi
sconosc1ut1.
• •

Presso gli antichi, popoli, paesi e insedia111enti facevano parte di


un bagaglio mnemonico che poteva scomporsi a piacere, senza bada­
re a localizzarli: fin dall'età ellenistica compaiono repertori con elen­
chi di fiumi, città, isole, ecc., suddivisi per sezioni tematiche. Tutto
rientrava nell'ambito dell' oikouméne.
La <<geografia degli antichi>> in senso lato si limitava quindi a un
elenco di toponimi a uso del poeta e del retore. Vi era anche una
geografia in senso tecnico, i cui cultori approntavano itineraria e
mappe; ma questa era rigida111ente controllata dalle autorità al pote­
re, e quindi non era alla portata di tutti. Vi è forse un legame tra
questo atteggia111ento e il ruolo ridotto della geografia nel moderno
insegnamento degli studi classici, di cui parleremo più avanti. Lo
spazio dei geografi appare separato dallo spazio dei classicisti, la ca­
tegoria del tempo prevale su quella dello spazio. Ciò non è del tutto
ingiustificato, dato che oggi prevale la tendenza a interpretare i testi
in base alle loro logiche, anziché a classificarli secondo criteri mo­
derni.
42 GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA

Le mappe e i mappamondi dell'antichità non rispondevano alle


stesse esigenze di precisione che domandia1no a una carta geografica
moderna: nondimeno, questi itinerari davano sufficienti punti di rife­
rimento perché il viaggiatore immaginario, almeno in linea di massi­
ma, vi si potesse orientare. Un itinerarium non era una vera e pro­
pria guida, come un periplo non era un vero e proprio portolano:
nondimeno questi strumenti suggerivano al lettore la direzione del
percorso. Gli autori antichi, legati a una dimensione urbana, poteva­
no esaltare la campagna a parole, magari apprezzando le virtù della
sobria vita contadina; in realtà, dell'agricoltura si at11avano i guada­
gni, ma al tempo stesso si tendeva a fuggirne la <<rusticità>>. Già Pla­
tone metteva in bocca a Socrate queste parole: <<né la ca111pagna né
gli alberi mi pern1ettono di apprendere nulla, ma soltanto gli uomini
nelle città>> (Fedro 230 b ss. ) . E un genere come la poesia bucolica
non era che finzione letteraria.
Il paesaggio delle · fonti classiche è molto spesso il frutto di una
costruzione ideologica. Un testo come le Georgiche di Virgilio, che
costituisce una fottna peculiare di trattato agronomico, non può esse­
re considerato come lo specchio della realtà agraria dell'età augustea,
ma, come è più probabile, la commistione di consuetudini relative a
paesi diversi. Lo stesso può dirsi per molti altri testi, che difficilmen­
te potrebbero essere considerati di per se stessi come documentazio­
ne <<positiva>>, senza previa analisi del loro retroscena culturale.

2.4. Visibilità del paesaggio antico

L'equivoco dei critici della <<tirannia del documento storico>> con­


siste nel sottovalutare il ruolo della selezione dei dati nella cultura
antica. Certo, il contrasto più evidente è quello fra la relativa scarsità
di fonti e la molteplicità dei paesaggi: senza un'intensa attività ar­
cheologica avremmo una doc11t11entazione inadeguata sui territori bri­
tannici o spagnoli, che oggi, battuti a tappeto dai surveys, possono
mettersi quasi sullo stesso piano degli scenari tradizionali dell' archeo­
logia classica: l'Italia, la Grecia, l'Asia Minore e l'Egitto. Tuttavia, il
bagaglio teorico dell'archeologo del Mediterraneo classico è verificato
sì sul campo, ma concepito a tavolino. E gli interrogativi che si pone
a tavolino non possono trascurare quanto già conosciamo delle cultu­
re antiche. L'applicazione di metodologie proprie della geografia e
dell'antropologia non è, ovviat11ente, sconsigliabile a priori; ma la ri­
cerca geografica e antropologica si occupa solitamente di situazioni
attuali, e quindi verificabili realmente sul terreno. Viceversa, le civiltà
scomparse presentano troppe lacune.
Quanto è realmente <<Visibile>> del paesaggio antico? Alcuni ele­
menti saltano subito agli occhi, come la viabilità o le divisioni territo­
riali greche e romane, osservabili sulle foto aeree o tramandatesi sul
terreno nei secoli, per una sorta d'inerzia che caratterizza le civiltà
agricole. In questi casi, il territorio costituisce un vero e proprio pa-
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA 43

linsesto. Ma non sempre questi dati sono così leggibili; in alcuni casi
più recenti, grazie all'uso di sofisticate tecniche aerofotografiche, si
sono individuate presunte tracce di divisioni territoriali senza una
conferma effettiva sul ca111p o. La stessa ricognizione sul terreno, af­
fidata alla casualità degli affioramenti, non pe1111ette sempre di rico­
noscere la natura degli insediamenti. Quando il sito non è stato sca­
vato, e non affiorano in superficie che fra111menti cera111ici e laterizi,
si rischia di contenere una situazione territoriale complessa entro
una tipologia ridotta: basandosi su simili tracce affioranti è arduo
distinguere una fattoria da un santuario rurale, o anche da un se­
polcreto, né è sempre possibile distinguere la limitatio romana da
catastazioni più recenti. In definitiva, il dialogo tra storici e archeo­
logi non può limitarsi alla sfera superficiale del confronto dei risul­
tati finali, e necessita di continui stimoli sia sul piano generale che
nei particolari.

2.5. Selezione degli eventi : le calamità naturali

Una confe1111a di queste ipotesi si ha dallo studio delle cala111ità


naturali (il termine <<catastrofe>> non è corretto) come i terremoti, le
inondazioni o le siccità. Poiché gli antichi vivevano questi fenomeni
con inevitabile fatalismo, non ritenevano importante la registrazione
di tutti gli eventi in opere storiografiche come cronache e annali. L' e­
lenco dei terremoti o delle inondazioni che può raccogliersi dalle
fonti scritte è quindi il frutto di una selezione in parte casuale, e non
è detto che venissero selezionati gli eventi realmente distruttivi.
Nel mondo greco, entrarono nella memoria storica quegli eventi
che in qualche modo avevano interferito con l'attività umana. Non
deve quindi stupire se, accanto a eventi realmente calamitosi, si regi­
strarono anche terremoti di scarsa importanza, magari perché aveva­
no impedito l'avanzata di un esercito nemico che si era ritirato di
fronte al cattivo presagio (Erodoto V, lxxxv, 2 ; Senofonte, Elleniche
III, ii, 24) , o perché aveva interrotto lo svolgimento di un'assemblea
(Tucidide IV, lii, 1 ) . L'elemento prodigioso era deciso, secondo le esi­
genze del momento, dai sacerdoti che interpretavano il fenomeno; si
poteva restare indifferenti davanti a crolli con vittime, e al contrario
prostrarsi di fronte a fenomeni <<miracolosi>>.
Un esempio interessante è la lista dei terremoti nell'Italia del pe­
riodo repubblicano. Autori come Livio, Dionigi di Alicarnasso e Cas­
sio Dione (oltre al fonda111entale Liber prodigiorum di Giulio Osse­
quente) hanno tramandato l'elenco dei prodigia riscontrati in territori
interni (ma anche esterni) alla confederazione romano-italica. Come
ha osservato B. MacBain, i prodigi avevano indubbia funzione di
messaggio ideologico-religioso e, inoltre, costituivano un <<Veicolo per
comunicare messaggi caricati politica111ente tra Roma e i suoi alleati,
che tendeva a fondere la comunicazione in un'unità psicologica>>.
44 GEOGRAFIA E "fOPOGRAFIA STORICA

Prendiamo una di queste indicazioni. Ossequente riporta, per il


100 a.C., un terremoto distruttivo avvenuto nel Piceno, con crollo di
domicilia (Obs. 45) : <<Nel Piceno un terremoto fece crollare e abbatté
delle abitazioni; alcune, scosse, rimasero inclinate al loro posto>>. Qui
l'aspetto prodigioso non sta tanto nel crollo avvenuto, ma nel fatto
che alcune abitazioni, minate alle fondamenta per lo sconvolgimento
del suolo, rimanessero in bilico. Il significato prodigioso non era ne­
cessariamente applicato a tutti i disastri sismici. Infatti non dobbiamo
dimenticare che a ogni prodigio riconosciuto come tale andava corri­
sposta un'adeguata cerimonia espiatoria. Il fatto che un terremoto si
verificasse - fatto abbastanza usuale per l'Italia - non poteva di con­
seguenza bastare: il sisma doveva presentare caratteristiche che lo
rendessero <<anor111 ale>>.
Certamente scioccante dovette essere la vista di quelle abitazioni
che, pur resistendo al crollo, si erano inclinate a causa dello sconvol­
gimento delle fonda111 enta. Secondo le categorie dell'immaginario an­
tico, lo spettacolo di edifici rimasti in bilico tra la posizione stabile e
il crollo definitivo doveva sembrare la realizzazione di un adynaton,
un evento impossibile: quindi un evento ben più impressionante e
ansiogeno del crollo in sé, che tutto sommato faceva parte degli in­
convenienti della vita quotidiana. Ora, i prodigia registrati per l'Italia
repubblicana si riferiscono essenzialmente a eventi di questo genere.
Le case in bilico del Piceno, oppure un fenomeno registrato frequen­
temente quale l'oscillazione delle lance di Marte nella Regia a Roma,
furono senz'altro eventi sismici di intensità minore rispetto a quelli
che accadono di solito nel territorio italiano. Il valore statistico di
questi terremoti, ai fini di compilare un moderno catalogo sismico, è
decisar11ente limitato, visto che i Romani tendevano a registrare un
terremoto negli annali non tanto per i suoi effetti distruttivi, quanto
per il suo carattere anomalo. Un /remitus o un mugitus terrae erano
registrati come fenomeni ben più degni di nota di un <<banale>> ter­
remoto.
In età più tarda, alcuni di questi eventi assunsero importanza
epocale a causa del contesto politico e religioso in cui accadevano;
quindi non bisogna incorrere nel frequente errore di attribuire loro
un effettivo valore epocale. Due esempi tipici, e spesso portati a
esempio di <<catastrofe>> epocale, sono il terremoto <<universale>> del
2 1 luglio 365 d.C. e la grande inondazione che investì l'Italia setten­
trionale nel 589 d.C. Nel primo caso si trattò, in effetti, di un mare­
moto di grandi dimensioni, accompagnato da grandi crolli in varie
aree del Mediterraneo orientale; altri eventi sismici, avvenuti a breve
distanza di tempo, confermarono già negli autori del tempo l'idea
che si trattasse di un sisma <<universale>>. In realtà, quando san Giro­
lamo parlava di un <<terremoto universale>> (Continuazione della Cro­
naca di Eusebio a. 365 ) , non intendeva certo dire che il 2 1 luglio 3 65
la furia del sisma si era scatenata in tutto il Mediterraneo, dalla Siria
fino al Marocco; l'aggettivo universalis (in greco kosmik6s), da lui
utilizzato, indicava semplicemente che il terremoto aveva causato dei
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA S'fORICA 45

danni talmente estesi e gravi da interessare la dimensione pubblica


(impero visto come universo) e non solo quella delle a111ministrazioni
locali.
Il secondo caso riguarda un'inondazione <<universale>>, narrata da
Paolo Diacono con toni apocalittici:

In quel tempo, sui territori della Venezia, della Liguria e di altre regioni
d'Italia si scatenò un diluvio di cui non si ritiene esserci stato l'eguale dai
tempi di Noè. Terrèni e fattorie diventarono sassosi magredi. Ci fu gran mo­
ria sia di uomini sia di animali. Strade e sentieri vennero cancellati. E tanto
crebbe allora il livello dell'Adige che a Verona sfiorava le finestre superiori
della basilica del beato Zenone martire, fuori mura (Storia dei Longobardi
3 .23 , trad. di E. Bartolini).

Questi moduli descrittivi ricorrono in realtà in molti altri testi


tardoantichi per episodi del genere; inondazioni di questa portata
sono tuttora ricorrenti, anche se, in effetti, si rivelano così disastrose
dove vi è disinteresse e incuria per il territorio, come poteva essere il
caso dell'Italia dopo i gravi eventi del VI secolo (ma anche di regioni
come la Provenza, la Liguria e il Piemonte, come mostrano gli eventi
degli ultimi anni). La <<rotta di Paolo Diacono>> divenne però una ca­
la111ità epocale: i moderni studiosi hanno finito per attribuire a questa
inondazione un valore di dra111matico <<spartiacque>> cronologico per
gli insediamenti della pianura padana. I mutamenti territoriali sono
stati più di una volta ricondotti a questo unico evento, senza tener
conto delle oggettive difficoltà di riscontro sul piano archeologico.
Ciò è dovuto più a suggestioni moderne che alla realtà storica: dato
il particolare frangente - il passaggio <<ufficiale>> tra antichità e Me­
dioevo - l'inondazione di Paolo Diacono è stata evidenziata per se­
gnare ancor più la discontinuità (in realtà, non sempre condivisibile)
fra le due epoche.

2.6. Selezione della realtà geografica : i paesa ggi ••marginali••

I concetti espressi dai testi classici per designare le varie realtà


del paesaggio - più che dei modelli ideali (Idealtypen), secondo la
definizione di Max Weber, degli archetipi - non sono adeguatamente
formalizzati, com'è il caso di concetti ben strutturati come quelli filo­
sofici o giuridici, bensì generici. Spazi marginali come le foreste, le
paludi, le isole o anche le aree montane rimasero esclusi non solo
dalle descrizioni letterarie, ma anche dai documenti amministrativi.
In realtà, anche le paludi e le foreste contribuivano all'economia di
una città o di un territorio: le canne e le altre vegetazioni palustri, il
legname o le ghiande dei boschi, oppure il sale degli stagni costieri,
avevano una parte non indifferente nel ciclo di produzione.
Il regime misto (o, se vogliamo, <<di sussistenza>>) fu un e�mento
fondamentale dell'economia antica; la documentazione al riguardo è
peraltro scarsa. Infatti, la marginalità dei suddetti territori era più
46 GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA

ideologica che economica. Le ideologie <<classiche>> dell'antichità con­


tribuirono a emarginarli: la polis greca tendeva ad autorappresentarsi
come un organismo senza il quale il territorio agricolo non poteva
sussistere (ma, in caso di carestia, avveniva piuttosto il contrario) ,
mentre l'ideologia agraria romana puntava alla colonizzazione, spesso
forzata, di territori non sempre adeguati, cioè privi di <<Vocazione>>
alla romanizzazione.
Ragionando in te1111ini più generali, la povertà del greco o del la­
tino nell'esprimere la terminologia del paesaggio marginale mostra la
tendenza degli stessi antichi a rifiutarne la dimensione. Prendia1110 il
caso del deserto: un abitante dell' ecu111ene mediterranea lo chia111ava
con un unico termine, in greco iremos e in latino solitudo. Agli occhi
di un beduino del tempo, o di un nomade berbero, ciò sarebbe sem­
brato bizzarro, perché con il generico concetto di <<deserto>> si indi­
cava una serie di realtà geografiche ben più complesse e differenzia­
te, ognuna delle quali aveva un nome preciso e distinto.
Questo appiattimento terminologico non si limitava alle realtà ef­
fettivan1ente marginali, ossia di frontiera, ma si estendeva anche alle
aree di marginalità, per così dire, interna. Così, un uomo di media
cultura dell'antichità definiva una palude come <<palude>>, senza di­
stinguere se si trattasse di uno stagno, di un acquitrino o addirittura
di un lago dalle rive limacciose. In greco, con limne si designavano
indifferentemente la palude e il lago, con il risultato che, dovendo
tradurre in latino il nome greco dell'odierno Mar d'Azov, Maiotikè
limne, si è creata l'espressione Maeotis palus, <<palude Meotide>>, an­
cora in auge in età moderna; l'espressione è scorretta sul piano geo­
grafico, ma gli antichi mostrarono di preferirla in quanto designava
un territorio posto al confine tra Europa e Asia, e in un certo senso
ai confini dell' ec11111ene. Una palude, ossia un territorio marginale,
appariva adatta per designare una regione marginale rispetto al mon­
do conosciuto. Anche se gli autocrati e i condottieri greci e romani
sapevano bene che, al di là dei loro territori, non vi erano sempre
deserti popolati da belve (hic sunt leones) , ovvero gelidi ghiacciai e
paludi <<infami>>, ricettacolo di barbari infidi, nondimeno, la mentalità
geografica <<cittadina>> alimentava volentieri le pretese dell'uomo me­
diterraneo di trovarsi al centro del mondo. Per un uomo simile, tutto
ciò che si trovava ai margini diventava automatica111ente <<invisibile>>.
Magari quando spazi del genere erano vicinissimi e tangibili.

2.7. Selezione della realtà antropica: la demografia e le tecniche

Lo studio del paesaggio antico non può limitarsi all'inquadramen­


to cartografico dello spazio e all'analisi degli equilibri insediativi in­
terni, ma coinvolge anche altri aspetti di una certa importanza per il
discorso dello storico. Il mondo antico, con la sua realtà sommersa o
nascosta, produce una sorta di supplizio di Tantalo: se ne può avere,
infatti, l'impressione di una civiltà dai caratteri molto simili a quelli
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA 47

attuali, senza però avere gli strumenti statistici per analizzarla con
moderni criteri.
In realtà, gli antichi erano diversi da noi, anche se alcuni aspetti
del loro mondo possono presentare in embrione caratteri analoghi.
L'approccio alle loro civiltà non può quindi essere del tutto <<moder­
nista>>, attribuendo magari a Greci e Romani una mentalità economi­
ca simile alla nostra, ma neanche <<primitivista>>: gli antichi non ave­
vano una mentalità da <<capitalisti>>, ma non per questo vivevano in
un mondo stagnante, dove le ca111pagne non potevano far altro che
ali1nentare le città <<parassite>>.
L'economia antica è stata interpretata in vari modi, talora diver­
genti. Da questa varietà di interpretazioni dipendono le analisi demo­
grafiche, che dovrebbero aver tanto peso nella storia del paesaggio,
ma in realtà non possono fornire indicazioni precise, a causa della
mancanza di dati n11111erici analizzabili statisticamente. Di fatto, ab­
bia111 0 a disposizione una serie di dati raccolti da vari autori, la cui
analisi è però falsata in partenza dal rischio ricorrente per le cifre
riportate dai manoscritti antichi: di fatto, non è mai possibile fidarsi
del tutto di questi dati.
Ma a prescindere dalla validità o meno di questi dati (il cui prin­
cipale denigratore fu il <<primitivista>> M.I. Finley), il problema prin­
cipale sta nella valutazione del popola111ento delle campagne. Nel
mondo greco, l'antitesi fra Greci e Barbari portava a ignorare la pre­
senza di questi ultimi nelle descrizioni storiografiche e letterarie, e
questa mentalità si è perpetuata nei secoli, ben oltre i fasti delle p6-
leis; ancora in età bizantina, si è potuto ritenere che l'Anatolia me­
dievale fosse <<spopolata>>, quando in realtà il dato si riferiva alle città
cristiane, e non certo agli invasori turchi, nomadi ma anche cittadini !
I Romani erano meno sciovinisti, ma la loro mentalità classista era
ancor più rigida: in un mondo spesso popolato da schiavi, considera­
ti come <<non-persone>>, una campagna in realtà gremita di braccianti
poteva essere considerata come un deserto.
In precedenza, i sistemi <<archeologici>> di calcolo degli abitanti di
una città si limitavano ad accorgimenti arbitrari, quali il conteggio
dei posti a sedere in un edificio di spettacolo; in realtà, un teatro o
un anfiteatro richia111avano anche gli abitanti dei centri limitrofi, e, in
ogni caso, l'edilizia pubblica di una città non coincideva necessaria­
mente con la sua densità demografica. Per quanto riguarda le campa­
gne, i calcoli erano ancor più arbitrari, in quanto si tendeva a fare il
conteggio dei soli campi coltivabili: la varietà del tipo di insediamen­
ti, e la presenza di elementi nomadi anche all'interno di territori
urbanizzati (come nel caso delle transumanze appenniniche, il cui
sviluppo in età imperiale è stato garantito proprio dall'urbanizzazio­
ne) limitano fortemente il valore di questi tentativi di calcolo.
Vi sono, poi, altri fenomeni di popolamento o spopola111ento di
cui è difficile tracciare la storia. In territori meno fertili, come i Bal­
cani, intere popolazioni migravano da una parte all'altra, spinte dalle
carestie. Altri fenomeni sono legati alle guerre, ma anche alle tecni-
48 GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA

che: nelle società dirette da un regime autocratico, per allestire un' o­


pera pubblica si potevano richiamare migliaia di uomini, che si tra­
sferivano sul posto anche per decine di anni, dando vita a insedia­
menti di fortuna. Solo di recente l'archeologia ha cominciato a occu­
parsi di realtà fino ad allora sconosciute, come le bidonvilles, gli inse­
diaI11enti minori e in genere l'edilizia povera.
Un altro aspetto <<invisibile>> del paesaggio antico riguarda la sto­
ria della tecnica. Lo studio delle tecniche agricole o dei sistemi idrau­
lici si basa anzitutto sul confronto tra fonti scritte - in primo luogo
gli agronomi e gli agrimensori - e fonti archeologiche, ma si avvan­
taggia anche di confronti con realtà più recenti. Le attuali tendenze
di ricerca sulla tecnica antica, che favoriscono l'analisi dei manufatti,
hanno per111esso di definire meglio i presupposti teorico-pratici del­
l'architettura e dell'ingegneria degli antichi.
Non tutti gli storici sono però sensibili a questi sviluppi. Inoltre,
vi è un evidente divario tra la grande quantità di studi sui manufatti
e l'esiguo dibattito sui presupposti culturali. Ne consegue la diffusio­
ne generalizzata di alcune idee fortunate: che, ad esempio, i Greci
sarebbero stati più creativi dei Romani in ca111po tecnico, oppure che
la tecnica antica riflette una situazione di quasi totale stagnazione.
Lasciando ad altra sede una discussione su questi problemi, ci li­
mitiamo a osservare che anche in questo caso la relativa <<Visibilità>>
delle situazioni può essere fonte di condizionamenti. L'archeologo
svedese Ò. Wikander ha mostrato i limiti di questo procedimento:
osservando l'insieme della documentazione scritta sul progresso tec­
nico, lo studioso ha mostrato come non sia possibile ritenere ancor
oggi l'idea tuttora corrente che il mulino ad acqua non si fosse affer­
mato in Europa prima del IV secolo d.C.
Gli argomenti in appoggio a questa ipotesi - sviluppata, tra gli
altri, dal grande medievista francese Mare Bloch - sono in realtà
scarsi, e si limitano al dato di fatto che pochi testi letterari enunciano
l'esistenza di queste attrezzature. In realtà, dato che la maggior parte
di esse era installata sul territorio, e dato che buona parte dei testi
antichi si riferisce a situazioni urbane, non vi è ragione di ritenere
che la diffusione dei mulini ad acqua fosse limitata. Basterà, del re­
sto, considerare il seguente epigramma greco della fine del I secolo
a.C., forse proprio inscritto sulla macchina:

Là sulle mole, mugnaie, la mano ! dormite,


anche se il gallo annuncia l'alba, a lungo !
Ecco: impose alle Ninfe la vostra fatica Demetra,
balzando quelle al sommo della ruota
girano l'asse, che imprime coi raggi alla concava massa
delle mole di Nisiro l'impulso.
Siamo tornati di nuovo alle gioie dell'antica età, se davvero
impariamo a godere dei doni di Demetra senza fatica.
(Antipatro di Tessalonica, Antologia palatina IX, 4 18,
trad. leggermente modificata di F.M. Pontani)
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA 49

Il poeta, con evidente trionfalismo, celebrava la vittoria della


macchina sull a fatica, e il ritorno dell'età dell'oro. In una società fon­
data sul lavoro schiavistico, dove generalmente non ci si interessava
ai problemi materiali del lavoro, forse l'enunciato dovette sembrare
ardito; ma non per questo va considerato come una sorta di eccezio­
ne alla regola.

2.8. Miti da sfatare

Non giova, quindi, affidarsi al semplice buonsenso per giustificare


determinate situazioni economiche, spesso rifacendosi ad alcuni testi
più o meno fondamentali e paradigmatici. In buona parte dell' anti­
chistica vi è infatti la tendenza a considerare, almeno in generale, gli
aspetti più materiali di civiltà diverse dalle nostre senza il necessario
approccio <<antropologico>>. Ma non possiamo certo continuare a
proporre sintesi più o meno esaurienti, se continuia1110 ad affidarci a
un quadro generale fondato su luoghi comuni e schematismi geogra­
fici storica111ente insufficienti.
Occorre così ridimensionare il mito diffuso di una ca111pagna ro­
mana perfetta nella sua efficienza, dove le griglie centuriate simbo­
leggiavano l' affranca111ento dai <<luoghi orridi>> silvestri e palustri,
considerati come paesaggi negativi, sterili e malsani. La questione è
basilare anche per l'interpretazione del paesaggio nel Medioevo, dato
che il modello della centuriazione romana, con il suo forte messaggio
di razionalità, costituisce uno dei riferimenti più forti dell'immagine
<<medievistica>> dell'antico, con i conseguenti equivoci a essa connessi.
Il contrasto fra una campagna romana <<civilizzata>> dalla grama e un
alto Medioevo <<barbarico>> dai paesaggi aspri e difficili ha fornito
una giustificazione ideologica all'intuizione di una discontinuità fra
ca111pagne romane e campagne medievali. Certo, in generale, non
possia1110 negare un'oggettiva discontinuità delle strutture agrarie,
perlomeno in Occidente; tuttavia, al tempo stesso non si possono ac­
cettare come universali certe formule schematiche, per non dire roz­
ze, come la fortunata equazione <<villa = centuriazione : palude =

incolto>>, legata più agli sviluppi della moderna politica agraria che
alla riflessione storica sulle campagne antiche. Di questa suggestiva
immagine, nata dal dibattito ill111ninistico, sarebbe utile studiare la
storia, dal Muratori alla letteratura sulle bonifiche, fino alle sue attua­
li propaggini, in campo archeologico e topografico. In ogni caso, allo
stato attuale si tratta di un'immagine superata, e uno dei suoi vi·zi
maggiori è quello di separare ulterior111ente il campo epistemologico
antichistico da quello medievistico.
Ora, anche alla luce della forte ripresa degli studi sulla tarda anti­
chità, sembra che proprio per il paesaggio non si possa parlare di
taglio netto fra antichità e Medioevo, dato che le sopravvivenze non
sono poche, e spaziano dai resti materiali alla toponomastica alla
stessa mentalità; e tuttavia non si tratta di una continuità trainante
50 GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA

dell'antico, bensì <<sotterranea>>. Mai come in questo caso va an1messa


la compresenza di più <<percezioni>> differenziate. Vale quindi la pena
di insistere sulle categorie del paesaggio, puntualizzando ulteriormen­
te la questione delle fonti scritte e della loro selezione o, se voglia1110,
della loro <<Visibilità>>.
Certo, dal punto di vista dell'agricoltura, i territori marginali pos­
sono apparire oggettiva111ente irrilevanti; la <<triade>> della produzione
agraria, costituita da grano, olivo e vite, richiedeva terreni adeguati,
sgombri e asciutti, da coltivare e <<bonificare>>. L'errore sta altrove:
infatti, il paesaggio agrario non costituiva il paesaggio nel suo insie­
me. Inutile dire che una certa interpretazione dell'agricoltura antica,
presente nella storiografia economica e divenuta un vero e proprio
luogo comune nella memoria del paesaggio agrario, dipende anche
dall ' analogia con la situazione moderna.
Se è stato possibile a111mettere una dimensione positiva del bosco,
più difficile è stato accettare l'utilità della palude, a maggior ragione
in un territorio come quello italiano, dove si è venuta a creare un'im­
magine del paesaggio agrario moderno, meccanizzato e bonificato,
contrapposta in tutto e per tutto al mondo del passato, esposto a
inondazioni, carestie e malaria. La refrattarietà dei gruppi ecologisti a
concepire un discorso storico adeguato non ha contribuito a miglio­
rare l' atteggia111ento degli storici.
Uno dei modelli più diffusi istituisce una forte analogia tra le si­
stemazioni territoriali greche e romane, ma anche i drenaggi etruschi,
e le grandi bonifiche integrali. Queste opere, attuate in Italia fra Otto
e Novecento, furono sapientemente sfruttate dalla propaganda come
opera di civilizzazione. La memoria popolare si è fissata come luogo
comune anche nel pensiero storico, e ha finito per imporre l'idea del­
la palude come spazio malefico, dimenticando l'utilità economica del­
le saline, della vallicoltura (ossia della piscicoltura nelle valli laguna­
ri), della caccia e delle altre attività economiche connesse alle zone
11111ide.
In realtà, anche quando gli antichi manifestarono il desiderio og­
gettivo di agire sul territorio violandone gli equilibri, non poté mai
trattarsi di trasformazioni radicali. Un passo di Tacito (Annali 1 .79)
sintetizza bene i limiti di azione sul paesaggio antico; quando, sotto
Tiberio, alcuni senatori proposero di modificare l'assetto idrico della
Valle del Tevere per mitigare le frequenti inondazioni che devastava­
no Roma, il progetto fu accantonato. Le ragioni, osserva Tacito, era­
no tre: gli oggettivi limiti tecnici, il parere contrario dei centri minori
(il cui equilibrio ecologico sarebbe stato sconvolto), e infine le inter­
dizioni religiose determinate dai locali culti agrari, idrici e silvestri.
In definitiva, anche se gli sviluppi tecnici degli antichi (specie dei
Romani) possono suggerire un'immagine di efficienza e richia111 are
analogie con i moderni criteri di gestione del territorio, non possia­
mo attribuire loro conquiste moderne come la regolamentazione ra­
zionale del territorio, che avrebbero previsto un vero e proprio cata­
sto. Molte opere pubbliche furono anche ardite, e stupiscono per la
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA 51

quantità di manodopera che vi si dovette impiegare per lunghi anni;


ma si trattava di una perdita calcolata. La maggior parte di queste
opere fu attuata dalle ricche a111ministrazioni locali con la mediazione
del potere politico e militare, oppure dal medesimo potere centrale,
secondo una tradizione già sperimentata nell'Oriente antico (a quan­
to pare, già i Micenei conoscevano il modo di attuare dighe e grandi
drenaggi, come quello del lago Copaide in Beozia) ; tuttavia, nono­
stante la capacità degli antichi di superare enor111i ostacoli a livello
empirico, restava comunque l'incapacità teorica di superare deter111i­
nati problemi. Un esempio proverbiale è quello delle paludi Pontine
(in realtà non intera111ente paludose): trattandosi di un territorio vici­
no a Roma, si sentì ripetutamente l'esigenza di ricavarne terreni colti­
vabili, ma questi tentativi fallirono o rimasero circoscritti a zone limi­
tate. Un territorio come quello pontino, in realtà, non poteva essere
<<bonificato>> in pianta stabile: e anche oggi, a bonifica avvenuta da
più di mezzo secolo, la palude ritornerebbe in pochi giorni se si
bloccasse il funziona111ento delle pompe idrovore.

3. Discipline e tendenze di ricerca

Le discipline principali per lo studio del paesaggio antico si rife­


riscono a due filoni distinti d'insegna111 ento, la geografia storica e la
topografia del mondo antico (le singole università possono presentare
titolarità dalla diversa denominazione, dovute alla tradizione ovvero a
modifiche intercorse per ragioni accademiche).

3. 1 . La geografia storica del mondo antico

L'aggettivo real, in tedesco, significa <<concreto, positivo>>: di qui


la definizione di Real-Encyklopa:die per la grande enciclopedia compi­
lata da Ludwig Pauly e Georg Wissowa, che raccoglie appunto i Rea­
lien, le <<nozioni positive>> del mondo antico, dove la parte del leone
spetta alle voci prosopografiche, etnografiche e geografiche. Ancor
oggi, nelle università tedesche si dà grande importanza allo studio
della geografia storica (la Ernst-Kirsten-Gesellschaft, a cui aderisce
un gran numero di studiosi di tutto il mondo, ha sede a Stoccarda);
un certo interesse, anche se meno spiccato, si riscontra anche in
Francia e Inghilterra, dove allo studio della storia si accompagna per
tradizione quello della geografia.
Al contrario, l'organizzazione degli studi classici in Italia sembre­
rebbe oggi penalizzare la ricerca geografica propria111ente detta. Men­
tre si assiste a un risveglio per la storia della geografia antica e della
personalità dei geografi (lo dimostrano le assidue ricerche sulla carto­
grafia antica e su autori come Strabone e Pausania) , la tradizionale
<<geografia storica del mondo antico>> - per intenderci quella degli
atlanti - resta battuta da qualche geografo e da un numero ristretto
di storici; il suo ruolo nel curriculum degli studi è meno dominante
52 GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA

rispetto a una disciplina come la topografia. Le cause di questa man­


canza, già lamentata da Giorgio Pasquali, non sono state studiate:
fatto sta che oggi, nella patria di Ettore Pais, Gaetano M. Col11111b a
e Plinio Fraccaro (quest'ultimo collaborò a un Atlante storico an­
cora oggi validissimo), un liceale o anche uno studente in lettere
classiche trovano difficoltà a individuare i siti più ovvi su una carta
geografica.
D'altra parte, come ha osservato Philippe Leveau (riferendosi alla
situazione francese) , la geografia storica tradizionale è essenzialmente
filologica, e solo di recente ha potuto avvalersi del duplice stimolo
dell'archeologia e della rinascente geografia 11111ana. Dal nostro punto
di vista la situazione è leggermente differente, poiché non vi è una
tradizione geografica paragonabile a quella d'Oltralpe; il problema
della geografia storica sta comunque nella ripresa di un moderno ap­
proccio delle dimensioni politiche e antropologiche dello spazio uma­
no, senza tuttavia perdere di vista le coordinate geografiche positive;
mentre la topografia si occupa del territorio, delle differenziazioni
territoriali, la geografia dovrebbe quindi riguardare lo spazio, e af­
frontare così tematiche come quelle del rapporto fra centro e perife­
ria, delle isole, dell'occupazione del suolo.

3.2. La topografia storica

La tradizione degli studi topografici nasce nel Rinascimento; gli


umanisti europei raccolsero assiduamente le fonti antiche, compilan­
do sintesi di storia regionale spesso pregevoli. Studiosi come Flavio
Biondo e Cluverio gettarono le basi della ricerca topografica in Italia,
seguiti più tardi da autori di importanti sintesi regionali, come ad
esempio il Latium vetus del secentesco Athanasius Kircher. I viaggia­
tori del Settecento (ma vi sono precedenti più antichi) raccolsero a
loro volta materiali preziosi sui paesi di tradizione non umanistica;
questa tradizione antiquaria fu stretta111ente connessa al recupero del-
la dimensione geografica e topografica del mondo antico. .
Solo nel tardo Ottocento, con la nascita della cartografia moder­
na, si ebbero però le prime effettive ricerche di topografia storica.
Uno degli stimoli più evidenti fu la scoperta delle <<centuriazioni>> ro­
mane, le cui griglie apparivano evidenti anche dalla cartografia mo­
derna, senza bisogno di ricorrere a immagini dall'alto. Di pari passo
con gli studi giuridici sulla proprietà agraria, gli storici interessati al
territorio, coadiuvati da studiosi locali spesso molto validi, si occupa­
rono a fondo dei territori nazionali. Le accademie locali di vecchia e
nuova tradizione (come in Italia), e le società di antiquari e archeolo­
gi dilettanti (come in Francia, Ger111ania e Inghilterra) contribuirono
al fiorire di monografie sulle antichità di varie città e territori.
Nella prima metà del Novecento gli studi topografici in area me­
diterranea condivisero le vicende legate alle missioni di archeologi ed
epigrafisti; la topografia era intesa soprattutto come elaborazione di
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA 53

carte geografiche, e i tedeschi Kiepert e Philippson (il primo costituì


un atlante storico utilissimo ancor oggi) diedero un grande contribu­
to in tal senso, individuando siti e insediamenti fino ad allora ignoti.
In altri casi, invece, le esplorazioni topografiche ebbero carattere
semplicemente antiquario. L'inglese Ramsay fu un pioniere nell'entro­
terra anatolico, anche se le sue opere, farraginose e disorganiche,
possono essere utilizzate più che altro come una miniera di indicazio­
ni utili, ma non come sintesi storiche.
Per l'Europa, la ricerca topografica seguì invece due filoni: uno
più propria111ente archeologico, vòlto all'elaborazione di carte del pa­
trimonio antico e al rilievo dei monumenti affioranti; e uno storico­
topografico, interessato al recupero del paesaggio in funzione storico­
amministrativa. Il caposcuola pavese Plinio Fraccaro, con le sue ri­
cerche sulle centuriazioni romane del Nord Italia, ebbe il merito di
riscoprirne la dimensione storica, aprendo il campo a una serie di
importanti studi condotti dai suoi allievi e seguaci. I due filoni sussi­
stono ancora oggi; nonostante alcuni cultori di topografia antica ab­
biano promosso a loro volta loro scuole, cercando di favorire sia l' a­
spetto storico-geografico sia quello archeologico-antiquario, questa
materia è caratterizzata da una doppia anima, che ne evidenzia le

contraddizioni interne.
Tra il 1920 e il 1950 alcuni pionieri, spesso ufficiali d'aviazione, si
interessarono alle tracce archeologiche riconoscibili dall'alto di aerei
o dirigibili. L'inglese John Bradford analizzò così gli insediamenti
protostorici della Puglia, i francesi Poidebard e Jean-Lucien Baradez
si occuparono rispettivamente del limes siriano e del /ossatum Afri­
cae, mentre il nostro Giulio Schmiedt si dedicò allo studio genera­
lizzato degli insediamenti antichi in Italia. Gli storici, invece, conti­
nuarono a seguire le tendenze già tracciate in precedenza, con l'ecce­
zione del singolare Emilio Sereni, che si dedicò anzitutto alla que­
stione degli insediamenti preromani in Liguria, e successiva111ente ap­
profondì le questioni di storia agraria fino a elaborare, nella sua Sto­
ria del paesaggio agrario italiano, una sintesi fondamentale.
Rispetto a settori come la medievistica o la storia moderna, però,
gli antichisti giunsero agli studi di storia agraria con un certo ritardo;
la tradizione giuridica tendeva infatti a imporre loro un certo for111a­
lismo legato ai testi (come nella Romische Agrargeschichte di Max
Weber) . Ancora oggi, gli storici antichi soffrono di questa difficoltà
di giungere a una sintesi tra gli aspetti archeologico-antiquari e quelli
economico-sociali. E del resto, è patente la difficoltà di collegare la
storiografia politico-istituzionale ai dati tangibili sul territorio.
Solo di recente le nuove metodologie archeologiche hanno per­
messo agli storici di rivedere molti pregiudizi sui problemi territoria­
li. I siti sono oggi registrati a migliaia, e datati in modo soddisfacente
grazie ai reperti ceramici, ciò che ancora trent'anni fa sarebbe stato
impossibile. Resta il problema di adeguare questi nuovi quadri topo­
grafici ad alcune intuizioni forti: ad esempio, senza negare la gran­
dezza di Sereni, la sua sintesi risulta oggi datata, in quanto si appog-
54 GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA

giava alle conoscenze storiche e archeologiche degli anni Quaranta­


Cinquanta. Un uso acritico di Sereni - o, per l'età moderna, di Fer­
nand Braudel - risulta quindi controproducente, in quanto ripropone
i luoghi comuni di una manualistica suggestiva e tuttavia datata (si
veda quanto si è detto sopra, a proposito dei paesaggi marginali) .

3.3. Lessicografia e toponomastica

Se la geografia e la topografia storica costituiscono i punti forti


della storia del paesaggio, esistono altre discipline importanti, il cui
studio può essere consigliato per approfondire una conoscenza non
ingenua del territorio. Per conoscenza <<ingenua>> si intende un ap­
proccio alla realtà territoriale dell'antichità che non tenga conto del-
1' evoluzione del paesaggio. Ricerche come quelle di Sereni sullo svi­
luppo delle tecniche agrarie europee sono il frutto di un approccio
da <<dilettante>>, beninteso nel senso positivo e originario della parola,
e possono senz'altro costituire un modello, se non di metodo (l' o­
dierna specializzazione non lo consente più), certamente di curiosità
e apertura intellettuale.
Si accennerà qui a due possibili prospettive di ricerca allargata,
tenendo comunque conto del fatto che la <<scientificità>> della ricerca
non deriva dal tema prescelto, bensì dalla metodologia applicata in
essa. Una ricerca storica o archeologica non è più <<scientifica>> di
un'altra perché si occupa anche di aspetti legati al ca1npo delle scien­
ze naturali; oggi non possiamo più definire <<interdisciplinare>> una ri­
cerca storica o archeologica che presenti in appendice, o si limiti a
giustapporre i risultati di alcune analisi <<scientifiche>> applicate. In
realtà, in questo tipo di indagini vi è ben poco di <<scientifico>>, so­
prattutto se i risultati vengono poi interpretati empirica111ente. Di fat­
to, nuove prospettive multidisciplinari sono possibili a patto di una
mutua comprensione dei temi in gioco da parte dei singoli specialisti
che collaborano all'attuazione della ricerca.
Le ricerche in questo campo sono generalmente circoscritte alle
singole aree regionali. Oltre alla lessicografia, che pern1ette di miglio­
rare le nostre conoscenze sulle concezioni spaziali e geografiche dei
popoli antichi, è soprattutto la toponomastica (ossia lo studio dei
nomi di luogo) ad attirare l'attenzione di geografi e topografi. Un
primo sguardo al <<palinsesto geografico>> di un territorio come l'Ita­
lia si rivela sorprendente. Infatti, buona parte del tessuto amministra­
tivo agrario è, per così dire, visibile <<a occhio nudo>>. Molti toponimi
prediali romani si sono preservati perfetta111ente nei secoli: ad esem­
pio, un lotto di terra assegnato in età romana a un certo Ursinus,
ovvero /undus Ursinianus, è oggi riconoscibile in un toponimo mo­
derno come Orzignano; e la maggior parte dei toponimi in -ano di­
scendono da una storia analoga.
L'attribuzione di un toponimo antico non è però sempre così
semplice. Ad esempio, nell'Italia settentrionale, i prediali appartenen-
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA 55

ti a famiglie celtiche escono invece in -ago, -igo (ad es. Maniago, Lo­
nigo): ma il nome della città di Rovigo deriva dal più tardo nome
germanico Hrodicus. Va da sé che la ricerca toponomastica non può
mai essere condotta su basi empiriche; è necessario disporre del mag­
gior numero possibile di <<anelli>> della catena che si può definire par­
tendo dal toponimo attuale e risalendo all'indietro, attraverso i docu­
menti d'archivio, fino alla realtà antica. La scienza toponomastica va
studiata caso per caso, tenendo conto dell'evoluzione di ogni singolo
territorio: se i toponimi padani in -ano o -igo sono facilmente con­
trollabili, la situazione è certamente già più complessa per una realtà
come quella siciliana, dove si è acc11111ulata nei secoli una vera e pro­
pria stratificazione di culture. La ricerca toponomastica va quindi af­
frontata con ogni possibile cautela, ma può rivelarsi un indicatore
importantissimo per la ricostruzione delle vicende di un territorio
sulla lunga durata.

3.4. Sismologia storica

Uno degli scopi della sismologia storica tradizionale è stata la co­


struzione di cataloghi sismici, che però hanno spesso utilizzato le
fonti in modo acritico e ingenuo; le recenti esperienze sul Mediterra­
neo antico, attuate da alcuni anni da vari gruppi di ricerca, hanno
mostrato l'esigenza di interpretare le fonti in modo adeguato alla pe­
culiarità del loro linguaggio, e di non appiattire i dati in funzione
della costituzione di un catalogo ai fini meramente statistici, come si
faceva nei cataloghi sismici di tradizione ottocentesca (o nelle liste di
carattere antiquario compilate da qualche storico attratto dal tema) ,
tenendo invece conto delle ripercussioni degli eventi sismici nel loro
contesto sociale e culturale.
Oggi nessuno crede più, come un tempo, che le civiltà antiche
potessero scomparire a causa di una calamità naturale (l'esempio più
lampante è l'eruzione di Thera-Santorini) ; ma questo abbandono del­
le posizioni positivistiche ha determinato anche un minore interesse
per tali tematiche. Allo stato attuale, gli archeologi sembrano più in­
teressati degli storici al problema del terremoto, spinti dal desiderio
di arricchire il contesto di un crollo attestabile su basi archeologiche,
ma privo di appigli storici. In qualche caso si è però cercato di forza­
re la documentazione, collegando arbitraria111 ente dati archeologici e
fonti storiche, pur senza avere appigli reali né storici né scientifici:
anzi, storici e scienziati hanno finito per giustificarsi vicendevolmente
gli errori di valutazione.
Tra gli aspetti più criticabili dei cataloghi sismologici tradizionali
si può osservare il limitato interesse per le potenzialità infor111 ative
delle fonti storiche, in particolare per i periodi più antichi, dove esse
costituiscono in genere l'unica testimonianza sui terremoti. L'esigenza
di creare cataloghi omogenei sul lungo periodo ha fatto sì che, in
56 GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA

molti casi, le info1111azioni degli autori antichi siano state considerate


in modo insufficiente.
Da una parte, infatti, le testimonianze storiche sono state esa111i­
nate con superficialità, concentrandosi sulle coordinate spazio-tempo­
rali del terremoto, ed estrapolando l'infor111azione dal suo contesto
storico e letterario. Al tempo stesso, dalle medesime informazioni si
sono dedotti dati sismologici, opinabili in mancanza di studi appro­
fonditi, sia sui contesti antropici, sia sulla natura delle testimonianze.
Molti cataloghi giungono a proporre con sicurezza l'intensità dei fe­
nomeni. A questo si aggiungono errori più banali: sdoppia111enti di
data, sviste cronologiche e, a volte, anche refusi.
La nuova sismologia storica si orienta su un'analisi più raffinata
dei dati per definire la ricostruzione degli scenari sismici e fissare pa­
ra111etri nuovi rispetto a quelli tradizionali come, ad esempio, l'epi­
centro e l'intensità del terremoto, concentrandosi su aspetti come la
demografia, l'edilizia storica e il <<codice>> delle fonti (come si è visto,
queste ultime non possono certamente essere catalogate in modo in­
genuo e acritico) . Una delle potenzialità più interessanti riguarda il
problema dell'edilizia. Lo studio delle fasi di ricostruzione di monu­
menti e centri urbani, spesso lunghe e complesse, può rivelarsi fon­
damentale per comprendere la storia economica di una regione; e l' e­
sigenza di perfezionare le nostre cognizioni sul tessuto poleografico e
demografico potrà ricevere nuovi impulsi da una più raffinata analisi
dell'edilizia povera e delle forme <<marginali>> di insediamento.

4. Bibliografia

Non si può definire una bibliografia <<ragionata>> dei temi trattati


in questo capitolo senza operare, per forza di cose, tagli ed esclusio­
ni. Il problema metodologico più scottante è senz'altro quello del
rapporto fra storici e archeologi del paesaggio, i cui risultati spesso
sono vicendevolmente ignorati o quantomeno selezionati in senso ri­
duttivo (per una definizione del concetto di paesaggio, cfr. Ch.
Blanc-Panard e J.-P. Raison, Paesaggio, in Enciclopedia Einaudi, Tori­
no, 1980, voi. X, pp. 320-340) . I temi qui affrontati sono stati par­
zialmente accennati o elaborati in lavori precedenti: G. Traina, Mura­
tori e la <<barbarie>> palustre: fondamenti e fortuna di un topos, in
<<L' a111biente storico>>, 8-9 ( 1987), pp. 13 -25 ; Id. , Paludi e bonifiche
del mondo antico, Roma, L'Ernia di Bretschneider, 1988; Id., <<Conti­
nuità>> e <<visibilità>>. Premesse per una discussione sul paesaggio antico,
in <<Archeologia medievale>>, 16 ( 1989) , pp. 683 -693 ; Id. , Ambiente e
paesaggi di Roma antica, Roma, NIS, 1 990; Id. , Una ricca lontananza.
Memoria e ambienti storici, in G. Bonacchi e A. Caracciolo (a cura
di) , Il declino degli elementi. Ambiente naturale e rigenerazione delle
risorse nell'Europa moderna, Bologna, Il Mulino, 1 990, pp. 39-48; Id.,
La tecnica in Grecia e a Roma, Roma - Bari, Laterza, 1994; Id. , Pae­
saggi tardoantichi: alcuni problemi, in La storia dell'alto medioevo ita-
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA 57

Izano alla luce dell'archeologza, Atti del convegno (Siena - Pontignano,


dicembre 1992), Firenze, All 'Insegna del Giglio, 1994 .
Come si è visto, la storia del paesaggio non può e non deve limi­
tarsi a toccare gli aspetti materiali delle realtà territoriali antiche, ma
al contrario deve prendere in considerazione i topoi e le convenzioni
non solo delle culture antiche, ma anche di quelle moderne; queste
ultime, infatti, tendono a distorcere il nostro modo di vedere. Un in­
teresse in tal senso viene dagli studi di geografia e cartografia (a111-
messo che sia mai esistita una cartografia antica propriamente detta) :
importante la monografia di P. J anni, La mappa e il periplo, Roma,
Bretschneider, 1984 . Sui tranelli causati da eccesso di storicismo in
materia letteraria, cfr. G.B. Conte, Virgilio. Il genere e i suoi confini,
Milano, Garzanti, 1984. Sulla terminologia, cfr. U. Finzenhagen, Die
geographische Terminologie des Griechischen, tesi di dottorato, Wiirz­
burg, 1939; M.G. Bruno, Il lessico agricolo latino, Amsterda111, Hak­
kert, 19692 .
Per il mondo romano, un esempio di approccio più aderente alla
realtà economica e sociale è il saggio di A. Giardina, Uomini e spazi
aperti, in Storia di Roma, Torino, Einaudi, 1989, voi. IV, pp. 7 1 -99
(ora in Id., I..:Italia romana. Storie di un'identità incompiuta, Roma -
Bari, Laterza, 1996) . In generale, sugli aspetti letterari del paesaggio
per il mondo greco, cfr. l'antologia di Cl. Préaux, Le paysage grec,
Bruxelles, Presses Universitaires de Bruxelles, 1979. Per l'età romana,
cfr. il saggio, spesso trascurato, di Z. Pavlovskis, Man in an Artificial
Landscape, Leiden, Brill , 1973 . Importante anche l'aspetto <<ecologi­
co>>, connesso a temi letterari e filosofici; cfr. l'antologia di P. Fedeli,
La natura violata. Ecologia e mondo romano, Palermo, Selleria, 1990.
Questi aspetti restano però esclusi dai più recenti sviluppi della topo­
grafia archeologica, su cui si veda il capitolo II.
Non si affronterà qui il complesso problema delle fonti iconogra­
fiche (in generale, cfr. ancora R. Bianchi Bandinelli, Paesaggio, in En­
ciclopedia dell'Arte antica, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
voi. V, pp. 816-828), che del resto non possono utilizzarsi come te­
stimonianze positive dirette: per l'antichità vale, a maggior ragione, il
discorso for111ulato per il Medioevo e l'età moderna da G. Romano,
Studi sul paesaggio, Torino, Einaudi, 1978. Sul paesaggio archeologi­
co propriamente detto si veda, in questo libro, il capitolo II.
Per la geografia, cfr. F. Cordano, La geografia degli antichi, Roma -
Bari, Laterza, 1992 , e il reading di F. Prontera, Geografia e geografi
nel mondo antico. Guida storica e critica, Roma - Bari, Laterza, 1983
(limitato ai geografi di lingua greca; per quelli latini manca una sinte­
si recente) . Per i progressi metodologici in questo campo, cfr. Ch.
Jacob e G. Mangani, Nuove prospettive metodologiche per lo studio
della geografia nel mondo antico, in <<Quaderni di storia>>, 2 1 ( 1 985 ),
pp. 35-70. Sui rapporti tra geografia e topografia, cfr. Ph. Leveau, La
question du territoire et !es sciences de l'Antiquité: la géographie his­
torique, son évolution de la topographie à l'analyse de l'espace, in <<Re­
vue des études anciennes>>, 86 ( 1 984 ), pp. 85 - 1 15. Importanti restano
58 GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA

comunque gli stimoli dell'antropologia: un esempio è l'articolo di


A.M. Bietti Sestieri, Implicazioni del concetto di territorio in situazioni
culturali complesse: le isole Eolie nel!'età del Bronzo, in <<Dial. di
Arch.>>, n.s., 4 (1982) , pp. 3 9-60. Un aspetto importante di questo
approccio è lo studio dei territori di frontiera: cfr. G. Daverio Roc­
chi, Frontiere e confini nella Grecia antica, Roma, L'Erma di Bretsch­
neider, 1988. Per l'impero romano vi è una nutrita bibliografia sul
limes: cfr. la sintesi di C.R. Whittaker, Les frontières de !'Empire ro­
main, Paris, PUF, 1989. Utili stimoli giungono da alcuni medievisti:
cfr. R. Comba, Il territorio come spazio vissuto. Ricerche geografiche e
storiche sulla genesi di un tema di storia sociale, in <<Società e storia>>,
1 1 ( 1981), pp. 1-27 .
Per l'agricoltura, cfr. L. Capogrossi Colognesi (a cura di) , I:agri­
coltura romana. Guida storica e critica, Roma - Bari, Laterza, 1982 ; A.
Carandini, Schiavi in Italia, Roma, NIS, 1985 ; E. Fentress, Agricoltu­
ra, economia rurale e trasformazioni del paesaggio agrario, in S. Settis
(a cura di) , Civiltà dei Romani. La città, il territorio, l'impero, Milano,
Electa, 1990, pp. 139- 152 (limitato di fatto al Maghreb imperiale).
Per i confronti con il mondo moderno è esemplare il saggio di Sereni
sulla tecnica del debbio in E. Sereni, Terra nuova e buoi rossi e altri
saggi per una storia dell'agricoltura europea, Torino, Einaudi, 198 1 ,
pp. 3 - 100; cfr. anche A. Carandini, Schiavitù antica e moderna a con­
fronto, in Id. (a cura di) , Sette.finestre. Una villa schiavistica nell'E­
truria romana, Modena, Panini, 1985 , pp. 1 87-206. Sulle divisioni
agrarie, cfr. O.A.W. Dilke, Gli agrimensori di Roma antica, trad. it. ,
Bologna, Edagricole, 1979; AA.VV. , Misurare la terra. Coloni e centu­
riazione nel mondo romano, Catalogo della mostra, Modena, Panini,
1983 ; E. Gabba, Per un'interpretazione storica della centuriazione ro­
mana, in <<Athenaeum>>, n.s., 63 ( 1 985 ), pp. 265-284. A questo pro­
posito sono importanti le precisazioni metodologiche di F. Castagno­
li, Sulle più antiche divisioni agrarie romane, in <<Rend. Lincei>>, s.
VIII, 3 9 ( 1 985 ), pp. 24 1 -257 . Si vedano inoltre i recenti volumi a
cura di L. Quilici e S. Quilici Gigli, Interventi di bonifica agraria nel­
!'Italia Romana, Roma, L'Erma di Bretschneider (Atlante tematico di
topografia antica, 4), 1996, e Id. , Agricoltura e commerci nell'Italia
antica, Roma, L'Erma di Bretschneider (Atlante tematico di topogra­
fia antica, supplemento n. 4), 1995 .
Per una maggiore comprensione del paesaggio non possiamo tra­
scurare l'aspetto demografico. I maggiori studi sulla demografia anti­
ca si devono a J. Beloch, su cui cfr. ora L. Polverini (a cura di) ,
Aspetti della storiografia di Giulio Beloch, Napoli, ESI, 1990. Alcuni
archeologi cominciano ora a interessarsi agli insediamenti <<minori>>:
si vedano, come esempio di <<demografia sommersa>>, le bicocche po­
ste ai margini delle città romane (magalia); cfr. la bibliografia in M.P.
Guidobaldi, I magalia di Sinuessa e gli ostaggi cartaginesi, in <<Ostra­
ka>>, 2 ( 1 993 ) , pp. 73 -80.
Per la sismologia storica, cfr. il vol11me a cura di E. Guidoboni, I
terremoti prima del Mille. Storia archeologia sismologia, Bologna,
GEOGRAFIA E TOPOGRAFIA STORICA 59

SGA, 1 989 (2a edizione accresciuta, in inglese, Bologna, SGA, 1 994 ) .


Si veda inoltre M. Sordi (a cura di) , Fenomeni naturali e avvenimenti
storici nell'antichità, Milano, Vita e Pensiero, 1 989. Per la citazione di
B. MacBain cui si fa riferimento a p . 43 , si veda Id. , Prodigy and
Expiation. A Study in Religion and Politics in Republican Rame,
Bruxelles, Coll. Latomus, p. 80. Un'interpretazione storica analoga a
quella delle calamità naturali potrebbe farsi per la climatologia; ma la
mancanza dei dati statistici rende estremamente complessa una ricer­
ca in tal senso, in mancanza di una banca dati adeguata (di qualche
utilità, nonostante i limiti geografici e cronologici, è la raccolta di
G.G. Panessa, Fonti greche e latine per la storia dell'ambiente e del
clima nel mondo greco, Pisa, Scuola Normale Superiore, 1 99 1 ) . Per la
toponomastica, cfr. G. Gasca Queirazza, C. Marcato, G.B. Pellegrini,
G. Petracco Sicardi e A. Rossebastiano (a cura di) , Dizionario di to­
ponomastica, dei nomi geografici italiani, Torino, Utet, 1990.
Capitolo 2

1 . Premessa

Il primo compito di questo capitolo è chiarire che cosa si intenda


per archeologia. Per sua stessa definizione in Tucidide, che per primo
ne fece uso denominando in tal modo l'introduzione alla propria
opera, il ter1nine stava a indicare <<un discorso sulle cose antiche>>. A
guisa di una scatola cinese, )'<<archeologia>> generale di Tucidide con­
teneva anche un riferimento più specifico a quella che comunemente
si considera l'archeologia in senso stretto: lo storico ricorda infatti
come Fenici e Cari fossero i pirati i quali abitavano antica111 ente la
maggior parte delle isole dell'Egeo e adduce come prova il fatto che,
quando nel corso della guerra del Peloponneso gli Ateniesi purifica­
rono l'isola di Delo togliendone tutte le tombe, <<oltre la metà delle
salme apparvero essere di Cari, riconoscibili dall'armatura sepolta
con essi e dal sistema col quale seppelliscono ancora adesso>> (I, 8,
1 ) . L'episodio, a ragione spesso citato come il capostipite di tutti gli
scavi archeologici, serve assai bene ad illustrare l'oggetto e le finalità
della futura disciplina, il reperimento di resti materiali prodotti dal-
1' azione dell'uomo nel passato, effettuato mediante lo scavo, e la loro
interpretazione in chiave storica. Da ciò in sostanza deriva l'inestrica­
bile ambivalenza che conferisce all'archeologia una duplice anima: da
un lato quella di attività pratica esercitata sul campo, dall'altro di
speculazione intellettuale sul significato delle proprie scoperte. Nella
nostra epoca, attraverso un processo di lunga durata, il campo con­
cettuale della materia si è enormemente dilatato, al punto che, oggi,
sembra più opportuno parlare di <<archeologie>>: aree disciplinari
molto diverse tra loro, distanti e ben distinte sul piano accademico, a
seconda dei periodi e dei materiali oggetto della loro attività. Nelle
pagine seguenti ci si propone, più che di offrire una trattazione si­
stematica nella storia della disciplina, di definire l'itinerario, le forn1e,
i limiti e i vantaggi che segnano il rapporto tra l'archeologia e la sto­
ria antica. Se infatti l'asserzione che l'archeologia costituisce un'im-
62 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

portante fonte documentaria per lo studio della storia antica può es­
sere considerata per molti versi assiomatica, è allo stesso tempo vero
che tale assunto è stato, in tempi recenti, sottoposto a tutta una serie
di vagli e di critiche che hanno contribuito a modificare nella sostan­
za i termini della questione: la ragione risiede essenzialmente nell' e­
voluzione che, a partire dall'ultimo dopoguerra e soprattutto nel cor­
so dell'ultimo trentennio, hanno subito le due discipline, ciascuna
delle quali, con tempi e con modalità diverse, ha sottoposto a revisio­
ne i propri obiettivi, ridefinendo il campo di ricerca e, di conseguen­
za, mettendo in discussione anche quello che sembrava un reciproco
rapporto consolidato e sicuro. Le nuove domande degli storici ri­
guardavano essenzialmente il metodo storico e la definizione degli
oggetti della storia, con l'introduzione di nuove tematiche, sociali,
economiche e culturali, accanto alle tradizionali questioni di carattere
istituzionale e politico. D'altro lato l'archeologia, sia pure con un cer­
to ritardo, ha attraversato un lungo periodo di travaglio, non scevro
da scissioni interne, da incomprensioni e da vere e proprie crisi d'i­
dentità. Ancora oggi non tutti i problemi sono stati risolti e non a
tutti gli interrogativi è stata data una risposta esauriente. Come in un
matrimonio ben riuscito, la scossa si è rivelata però salutare e i due
partner possono ora guardarsi con nuovi occhi e gettare le basi per
un futuro più costruttivo.

2. La nascita dell'archeologia

Prima di definire il ruolo che l'archeologia classica riveste attual­


mente nel quadro dell'indagine storica sul mondo greco e romano,
sembra indispensabile dedicare alcuni brevi cenni alla sua nascita e al
suo sviluppo. Recenti studi hanno affrontato in fo1111 a sempre più
analitica ed esaustiva lo svolgersi, spesso tortuoso, di tale ca111mino, il
cui tracciato riporta assai indietro nel tempo. La profonda frattura
che era stata provocata in Occidente dalla caduta di Roma e dall' e­
mergere alla ribalta della storia di nuove popolazioni, cui la cultura
classica era sostanzialmente estranea, deter111inò infatti, soprattutto
nella penisola italiana, una complessa situazione: a un'esteriore imma­
gine di continuità, dovuta alla sopravvivenza fisica di molti monu­
menti antichi, si accompagnarono la generale perdita di memoria cir­
ca il loro significato originario e la radicata coscienza della loro ap-
partenenza a un passato 01111 ru remoto.

I primi atti di un approccio <<archeologico>> ai materiali antichi


sono dunque costituiti dai n11111erosi casi di ries11111azione, talvolta a
scopo di un banale riutilizzo in chiave utilitaristica, altrove dettati da
un più consapevole impulso di carattere ideologico, mirante al recu­
pero dei lega111i con un'eredità carica di gloria.
Solo nel Quattrocento si verifica una prima svolta verso un atteg­
gia111ento conoscitivo più sistematico, con la nascita di una disciplina
<<antiquaria>> che integra la riscoperta delle fonti letterarie classiche
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 63

con un interesse più organico per il manufatto antico. Molti ad esem­


pio riconoscono, in questo periodo, un vero e proprio padre fonda­
tore dell'archeologia nell'umanista Ciriaco de' Pizzicolli di Ancona.
Questi, tra il 1412 e il 1447 , aveva effettuato una serie di viaggi com­
merciali in Italia, Grecia e Oriente, riportandone fitti album di ap­
punti e disegni delle antichità incontrate nel corso delle sue ricogni­
zioni. Gran parte dell'importanza che Ciriaco riveste nella storia del-
1' archeologia è senza dubbio dovuta alla sua conoscenza diretta del
mondo greco, nella quale egli ebbe pochi precursori e poç_hissimi se­
guaci, soprattutto a causa della conquista turca del 1453 . E certo co­
munque che il suo approccio enciclopedico e l'interesse rivolto indi­
stintamente a opere d'arte, monumenti architettonici, testi iscritti e
perlustrazioni sul terreno, ravvivati dal confronto costante con le fon­
ti scritte (basti pensare alla corretta identificazione da lui operata del
Partenone di Atene) ne fanno il precursore di una moderna figura di
antichista, destinata per lungo tempo a restare priva di successori.
Il gusto proprio delle corti rinascimentali spostò infatti l'interesse
sull'opera d'arte antica, intesa come oggetto da collezione e dunque
isolata dal suo contesto: sarà questa la strada prevalentemente imboc­
cata dalla disciplina antiquaria, al cui interno incontriamo personalità
assai diverse per valore e per metodo di ricerca, ma che, in genere,
restano confinate al livello di un atteggiamento erudito e di tentativi
non sistematici di classificazione.
Bisognerà attendere il Settecento, il secolo dei Lumi, perché l' ar­
cheologia divenga oggetto di un più serio interesse scientifico: all'in­
terno di un generale quadro di fervore degli studi antichistici spicca­
no ora nuove interessanti personalità di antiquari, come Bernard de
Montfaucon o A.C. Philippe de Caylus che con le loro opere enci­
clopediche (rispettiva111ente I.:antiquité expliquée et representée en fi­
gures, Parigi, 17 19, in dieci vol11111i, e Récueil d'antiquitées égyptien­
nes, étrusques, grecques et romaines, Parigi, 1761- 1767, in sei volumi)
mostrano i segni di nuove aperture e di un nuovo approccio metodo­
logico. Ma la personalità più nota e certo più significativa sul piano
del progresso intellettuale è quella dello studioso tedesco Johann Joa­
chim Winckelmann ( 17 17- 1768). Con la sua Storia delle arti del dise­
gno presso gli Antichi (Geschichte der Kunst des Altertums, 1764) il
concetto di archeologia si definisce come studio privilegiato dell'arte
classica, intesa per la prima volta come <<storia>>: volta cioè alla ri­
cerca di una periodizzazione degli stili e di uno sviluppo cronologico
da un lato, e indagata dall'altro al fine fondamentale di coglierne l' es­
senza artistica, sulla base di criteri estetici neoclassici che negli scrit­
tori antichi, in particolare Plinio il Vecchio, cercavano supporto e
conferme. A partire da quel momento, e per molto tempo, oggetto
dell'archeologia sarebbero rimaste ancora soltanto le singole opere
d'arte, soprattutto sculture e pitture, mentre ne sarebbero stati ban­
diti i documenti meno appariscenti, i quali costituiscono l'insieme di
quella che oggi viene definita la cultura materiale: nella medesima
temperie in cui Winckelmann aveva maturato il proprio itinerario in-
64 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

tellettuale vennero effettuate anche le prime indagini archeologiche


sul campo, gli scavi di Ercolano e Pompei, le città ca111pane rimaste
sepolte sotto l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., condotti sotto il pa­
trocinio dei sovrani di Napoli, ancora una volta prevalentemente allo
scopo di reperire opere d'arte per le collezioni di corte a scapito del­
l'interesse per la conoscenza della topografia e della storia dei due
centri.

La fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento segnano il mo­


mento . dell'incontro diretto con l'arte greca (le opere che Winckel­
mann conosceva e considerava greche erano, viceversa, copie di età
romana) e con la doc11111entazione archeologica delle altre antiche ci­
viltà del bacino mediterraneo. Il recupero delle antichità egiziane nel
corso della spedizione militare di Napoleone (fra le quali la famosa
stele bilingue di Rosetta) e, tra il 1803 e il 1812, l'arrivo a Londra
dei marmi del Partenone, smontati e acquistati ad Atene da lord El­
gin, rappresentano l'inizio di un secolo di intensissime ricerche e di
esplorazioni nei maggiori siti antichi, in Grecia e in Italia, così come
nei vasti territori dell'impero ottomano. In perfetta sintonia con la
mentalità dell'epoca che li aveva prodotti, la maggior parte degli sca­
vi di questo periodo veniva effettuata con un atteggiamento di tipo
colonialistico, mirato al recupero di opere d'importanza quantificabi­
le dal punto di vista estetico e monumentale, e il più delle volte si
traduceva in autentiche spoliazioni a vantaggio delle collezioni mu­
seali dei paesi di provenienza delle spedizioni archeologiche, Francia,
Gran Bretagna, Ger111ania o Austria. Allo stesso tempo, però, nell' ap­
proccio al sito e al monumento archeologico scattava il gusto roman­
tico dell'epoca per la riscoperta delle vetuste civiltà sommerse dall' o­
blio del tempo e conosciute attraverso i testi letterari, antichi come la
Bibbia o come i poemi omerici. E fu così che, nutrito dalla lettura
delle gesta degli eroi greci e troiani nell'Iliade, il tedesco Heinrich
Schliemann, un ricchissimo commerciante autodidatta per for111azio­
ne, realizzò la più straordinaria scoperta archeologica di tutti i tempi,
la localizzazione del sito dell'antica Troia nella piana di Hissarlik in
Turchia, e ne intraprese lo scavo. Fece seguito l'esplorazione, altret­
tanto fortunata, di Micene, dove si rinvennero le ricchissime tombe
di personaggi reali, che egli credette di identificare con gli stessi eroi
omerici. La critica più recente ha sottoposto a un nuovo vaglio la
vicenda e la personalità di Schliemann, mettendo in luce le numerose
contraddizioni e le vere e proprie manipolazioni della realtà da lui
perpetrate nel proporre un modello autobiografico chiaramente co­
struito a posteriori. Se inoltre non va taciuta la rozzezza dei suoi me­
todi di scavo, già oggetto di aspre critiche da parte degli archeologi
ufficiali del suo tempo (i quali, peraltro, spesso operavano con meto­
di non dissimili), resta il fatto che gli eccezionali risultati delle sue
scoperte furono determinanti nel fissare, nell'immaginario collettivo,
l'immagine di un'archeologia intesa come favolosa caccia al tesoro
per spiriti avventurosi. Gli scavi condotti in seguito nell'area dimo­
strarono che Schliemann si era clamorosamente sbagliato nell'indivi-
LE FONTI ARC�IEOLOGICHE 65

duazione del livello in corrispondenza del quale identificava la Troia


omerica: ciò nonostante i ritrovamenti di Troia e di Micene - così
come più tardi quello del palazzo minoico di Cnosso effettuato da sir
Arthur Evans nell'isola di Creta - segnarono una svolta fondamentale
nella storia dell'archeologia, in quanto rivelarono per la prima volta
l'esistenza di una civiltà preistorica sino ad allora sconosciuta e pro­
posero con forza un duplice problema: il rapporto tra archeologia e
storia e, nell'ambito di quest'ultima, la validità da attribuire alla tra­
dizione letteraria con il suo patrimonio mitico e leggendario.
L'ultimo trentennio del XIX e gli inizi del XX secolo sono con­
trassegnati dalle grandi spedizioni archeologiche nei maggiori siti
classici, quali Atene, Delfi, Olimpia, Efeso e Pergamo, e dalla cont�­
stuale scoperta delle civiltà mesopotamiche - sumerica, ittita, assiro­
babilonese. Nel frattempo nuovi interessi erano venuti affacciandosi
alla ribalta: già nella parte iniziale del secolo nei paesi nord-europei,
con lo studio della geologia e con le prime raccolte di manufatti liti­
ci, sotto la spinta di profonde trasformazioni territoriali, legate a fat­
tori quali il processo di industrializzazione inglese o la rifor111a agra­
ria danese, erano state poste le premesse degli studi preistorici. Que­
sti ricevettero un primo inquadran1ento organico nel sistema delle tre
età (della pietra, del bronzo e del ferro) elaborato dal danese Chri­
stian Jiirgensen Thomsen, per trovare quindi un terreno fertilissimo
nella teoria dell'evoluzionismo biologico di Charles Darwin, che, tra­
sposta in campo antropologico, avrebbe condotto all'elaborazione di
un metodo di studio e di una terminologia la cui validità è ancora
oggi r1conosc1uta.
• • •

Anche se in molti casi i confini tra storia e preistoria non posso­


no essere tracciati in maniera netta, la problematica inerente a que­
st'ultima esula, in linea di massima, dal campo della nostra esposizio­
ne. Ciò nonostante è necessario sin d'ora ricordare - e più volte sarà
utile farlo in seguito - l'enorme debito di cui l'archeologia classica
risulta tributaria nei confronti di tale disciplina: la difficoltà di ci­
mentarsi con un materiale muto e con periodi in relazione ai quali
non possedia111 0 alcun documento scritto ha costituito per gli studio­
si della paletnologia l'incentivo ad affrontare nuovi tipi di ricerca, a
rendere più rigoroso il proprio metodo di lavoro, sia sul terreno sia
nell'analisi del materiale, e a cercare alleati in altri campi, quali le
scienze naturali, l'antropologia e l'etnologia. Molti risultati acquisiti
in campo preistorico sono, di riflesso, divenuti parte integrante e in­
sostituibile della metodologia dell'archeologo classico: in campo prei­
storico, soprattutto in a111 bito anglosassone, è nata e si è evoluta la
tecnica dello scavo stratigrafico, con l'individuazione e l'analisi dei
vari strati presi singola1111ente e con la raccolta e la descrizione inte­
grale dei ritrovamenti distinti strato per strato; ed è sempre nel me­
desimo campo che si è sviluppato il concetto di <<tipologia>>, vale a
dire la classificazione ragionata e sistematica per tipi e fo1111e delle
diverse classi di reperti.
66 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

3. Dal tesoro al coccio. La ricerca delle certezze

Nonostante la sostanziale indifferenza per i documenti della cul­


tura materiale, gli scavi ottocenteschi avevano portato a un enorme
accumulo di reperti e ne rendevano indilazionabile una classificazio­
ne. Nel campo dell'archeologia classica una delle figure fondamentali
per lo sviluppo di questa nuova forma mentis è rappresentata da
Heinrich Dressel ( 1 845- 1 920), uno studioso italo-tedesco cui spetta il
merito di avere gettato le basi per uno studio sistematico dell'immen­
sa raccolta della suppellettile romana d'uso comune, ormai parte non
irrilevante della documentazione archeologica. Personaggio di straor­
dinaria cultura, Dressel attese per lunghi anni alla stesura della sua
opera fondamentale, il XV volume del Corpus Inscriptionum Latina­
rum, applicando le proprie competenze di topografia, di epigrafia e
di numismatica all'analisi dell' instrumentum iscritto, ceramica, lucer­
ne, anfore, bolli laterizi, organizzandone una classificazione per tipi e
per fo1111e e proponendone, in alcuni casi, una datazione. Nelle ricer­
che di Dressel si poneva, in forma diretta ed elementare, il nodo del
rapporto tra fonte archeologica e fonte scritta: la capacità di raccor­
dare filologicamente i dati dell'epigrafia con quelli del suo supporto
(ovvero l'esame di un oggetto dal punto di vista della forma, del ma­
teriale, degli elementi decorativi) appartiene a una concezione <<anti­
quaria>> nel senso più elevato del termine, già in grado di valutare
<<storicamente>> il dato archeologico e il suo contesto di scavo. Fertile
centro di tali interessi era stato in quegli anni l'Istituto Archeologico
Germanico di Roma, che, non a caso, costituì una delle tappe fonda­
mentali nella formazione del grande storico dell'economia antica Mi­
chail Rostovtzev, il primo, e per lungo tempo anche l'unico, ad aver
compreso l'enorme potenzialità delle fonti archeologiche per lo stu­
dio dei fenomeni economici e sociali nell'antichità e ad averne fatto
ampio uso.

Col procedere del tempo si affermava sempre più il concetto che


la tipologia costituiva il tramite indispensabile per ottenere un inqua­
dramento cronologico e che la ceramica, materiale non, deperibile e
quindi più abbondante, ne costituiva l'elemento guida. E in realtà si­
gnificativo che un siffatto approccio antiquario investa prima lo stu­
dio della ceramica romana (con le classi e della <<terra sigillata>> e in
particolare dell' <<aretina>>, una produzione caratterizzata da un'argilla
estremamente depurata rivestita da una vernice rosso brillante) e non
quella greca, un campo a lungo dominato, e in un certo senso soffo­
cato, dall'interesse formale per l'opera d'arte. Solo a partire dagli
anni Trenta del nostro secolo nell'ambito dell'archeologia greca si sa­
rebbero conseguiti risultati concreti in tal senso, con le grandi classi­
ficazioni della ceramica figurata, corinzia e attica. La produzione va­
scolare attribuita a Corinto, sulla base di elementi inconfondibili qua­
li il colore dell'argilla, le fo1111e , il repertorio decorativo e i caratteri
alfabetici delle iscrizioni, deve il definitivo inquadra111ento a H. Pay­
ne. In un volume edito nel 193 1 , Necrocorinthia, egli organizzò il ma-
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 67

teriale in due grandi gruppi (protocorinzio e corinzio), a loro volta


ripartiti, sulla base di una minuziosa distinzione di for111e e motivi
decorativi, in fasi cronologiche (antico, medio e tardo) che dall'ulti­
mo quarto dell'VIII giungevano sino alla metà del VI secolo a.C. e
trovavano supporto nelle date di fondazione delle colonie greche di
Occidente (vedi infra, pp. 68 ss.). L'intera classificazione della cera­
mica attica spetta a una singola personalità, lo studioso britannico
.Tohn D. Beazley, il quale, sorretto da una prodigiosa memoria visiva
e da una straordinaria sensibilità, organizzò l'intero blocco della pro­
duzione vascolare a figure nere e a figure rosse, isolando al suo inter­
no le mani di singoli cera111ografi, di botteghe e di scuole, e dispo­
nendole in una sequenza fondata essenzialmente su criteri di ordine
stilistico. Per quanto ciò possa sembrare incredibile, il sistema così
costruito, salvo minime modifiche e approfondimenti, ha retto alla
prova del tempo e continua ancora oggi a costituire il principale
strumento di classificazione e di datazione a fronte dell'affluenza di
'

nuovi dati di scavo. E necessario però aver ben presente che esso
rappresenta un <<evento>>, assai raro a verificarsi nella storia di una
disciplina, legato vuoi all'unicità del materiale, vuoi all'eccezionale
personalità dello studioso, nella cui ricerca risulta difficile scindere
l'apporto oggettivo da quello basato su criteri soggettivi e in larga
misura non teorizzabili: esso rimane quindi per molti versi irripetibile
e, soprattutto, non può costituire un metodo applicabile con i mede­
simi risultati ad altre classi di materiale.
La cronologia è a lungo stata - e continua ad essere - uno dei
principali campi di esercizio dell'applicazione archeologica. Si esami­
ni un vaso o una statua, si analizzi un monumento architettonico, si
perlustri un sito, si indaghi una sequenza stratigrafica o si ricostruisca
un contesto (vale a dire il quadro d'insieme in cui si inserisce ogni
singolo ritrovan1ento), il corretto inquadramento cronologico costitui­
sce senza dubbio un momento del tutto indispensabile nel procedi­
mento: in maniera estrema111ente semplificata si potrebbe dire che,
allo stesso modo dell'articolazione di un discorso, in archeologia le
classificazioni del materiale rappresentano la struttura verbale di
base, l'attribuzione cronologica quella grammaticale e la ricomposi-
,

zione dei contesti quella sintattica. E necessario pertanto guardare


con estremo rispetto alle raccolte di materiali, alle serie classificazioni
tipologiche e ai tentativi di stabilire cronologie, relative e assolute,
perché questi restano il fondamento filologico di ogni ricostruzione
archeologica. L'importante è non dimenticare che la validità di un di­
scorso è strettamente connessa ai concetti che esso esprime. Si tratta,
in poche parole, di non confondere i mezzi con il fine: la definizione
di una cronologia è un contributo di estrema importanza, ma il lavo­
ro dell'archeologo non si deve arrestare soltanto a ciò.
I termini della questione non sono sempre così chiari. Per molto
tempo, e troppo spesso, il problema di un'esatta definizione cronolo­
gica ha contribuito ad alimentare un equivoco rivelatosi condizionan­
te nell'interpretazione storica di un documento archeologico e, come
68 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

un serpente che si morde la coda, tale da offrire il destro per una


reciproca strumentalizzazione. Salvo rari casi, come quello sopra ri­
cordato di Rostovtzev, i contatti fra i rappresentanti delle due disci­
pline sono stati spesso occasionali e in larga misura improntati alla
reciproca ricerca di sicurezze stÙ piano strettamente <<evenemenzia­
le>>. Gli archeologi chiedevano agli storici datazioni puntuali cui an­
corare i ristÙtati delle loro scoperte, mentre gli storici domandavano
alla documentazione archeologica di fornire le conferme tangibili ai
dati riportati dalle fonti letterarie - guerre, battaglie, distruzioni, fon­
dazioni di città o cambiamenti istituzionali. Come avremo modo di
vedere in seguito, si tratta di risposte che l'archeologia, per la natura
stessa della sua documentazione, non è in grado di dare, se non mol­
to di rado, e che derivano d'altra parte da una concezione assai tra­
dizionale della storia, interessata soprattutto a indagare gli aspetti
istituzionali o politici in senso tradizionale dell'antichità. Gli esempi
di un siffatto modo di procedere sono numerosi e purtroppo inclu­
dono casi di vera e propria cattiva archeologia in cui il riferimento
alla situazione storica altro non è se non un comodo espediente volto
a mascherare la carenza di rigore metodologico e la povertà delle
idee. Accanto ad essi esistono tuttavia tentativi molto più seri e di­
gnitosi, in quanto condizionati dall'impostazione storiografica dell'e­
poca in cui venivano redatti oppure dall'eccessiva fiducia riposta in
una documentazione in seguito rivelatasi parziale.
Uno dei casi più emblematici del modo in cui dati documentari e
fonti letterarie sono stati sca111bievohnente utilizzati alla ricerca di
certezze reciproche è rappresentato dal problema della colonizzazio­
ne greca in Occidente. Come è noto, Tucidide (VI, 2-5) ci ha lasciato
un vasto quadro della colonizzazione greca della Sicilia nell'VIII e
nel VII secolo a.C. e in molti casi . ha fornito una data assai precisa
per la fondazione di alcune città. Tali punti di riferimento vennero
utilizzati da Payne per ancorare a una cronologia assoluta la sua clas­
sificazione della ceramica protocorinzia e corinzia. Il ragionamento
dello studioso era molto semplice e si fondava stÙ presupposto che la
più antica cera111ica ritrovata in una colonia fosse contemporanea alla
sua fondazione: con questo criterio l'inizio della produzione protoco­
rinzia veniva fatto coincidere con le date di fondazione di Siracusa
(733 a.C.) e di Megara Iblea (727 a.C.), nelle cui necropoli erano sta­
te trovate lt; prime attestazioni di materiale protocorinzio arcaico,
mentre la fondazione di Gela (688 a.C.) segnava il passaggio alla fase
del protocorinzio medio. Inoltre, dal momento che a Selinunte, fon­
data nel 628 a.C., non ristÙtano attestati se non in misura insignifi­
cante frammenti del protocorinzio, e che quelli attestati rientrano co­
munque in una tipologia molto tarda, Payne ne concludeva che la
data di fondazione della città segnasse la fine della produzione proto­
corinzia e, a sua volta, l'inizio di quella corinzia vera e propria. Il
sistema cronologico così costruito ha dato origine a un lungo dibatti­
to metodologico circa la validità dei criteri adottati. In particolare,
venne contestato il rapporto troppo stretto istituito fra una classe di
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 69

materiale e un'unica testimonianza scritta, della quale non è noto con


esattezza a quali fonti attingesse le proprie informazioni. Le date for­
nite da Tucidide non sono le uniche pervenuteci attraverso la tradi­
zione letteraria e sarebbe bastato accettare un sistema di datazione
più alto di alcuni decenni, come quello fornito da Diodoro Siculo
per la fondazione di Selinunte, o mettere in discussione la priorità di
Siracusa rispetto a M�gara Iblea perché tutta questa costruzione cro­
nologica si sfaldasse. E stato dunque necessario sottrarre il problema
al ristretto a111bito della colonizzazione greca d'Occidente, dove ri­
schiava di rimanere prigioniero all'interno di un circolo vizioso, e ri­
cercare confe1111e esterne in una serie di dati incrociati, i quali uti­
lizzassero i materiali provenienti da altri siti e punti di riferimento
cronologico più sicuri: gli scavi di Sa111aria, distrutta nel 7 19 a. C.; la
tomba n. 102 di Pithecusa (Ischia), dove in associazione con cerami­
ca protocorinzia è stato rinvenuto un sigillo del faraone egizio Boc­
choris, il cui regno aveva avuto la breve durata di quattro anni, dal
7 19 al 7 15 a.C. ; o gli strati intatti, contenenti ceramica corinzia, della
distruzione di Smirne, databili tra il 618 e il 613 a.C. Tale verifica ha
conferito maggior forza e validità al sistema elaborato da Payne, il
quale tutto sommato ha retto assai bene alla prova del tempo, sia per
la successione relativa delle varie fasi, sia per le datazioni assolute
che ne erano state proposte e che negli scavi effettuati in seguito
hanno trovato ulteriori confer111e.
In altri casi l'eccesso di fiducia nella possibilità di desumere da
una documentazione parziale risposte sicure in campo istituzionale è
stato causa di fraintendimenti e di interpretazioni che con il tempo si
sono rivelate inesatte. Sempre in tema di colonizzazione, tale tenden­
za può essere esemplificata da due casi nei quali gli esiti sono stati
opposti, e che pertanto si possono considerare in un certo senso spe­
culari tra loro.
La comparsa, alla fine degli anni Cinquanta, di un volume dedi­
cato alla presenza di ceramica di età micenea sulle coste italiane, in
Sicilia, in Puglia e in Campania, aveva fatto sì che tra gli studiosi
prendesse corpo l'ipotesi di una vera e propria precolonizzazione mi­
cenea: essa avrebbe lasciato traccia di sé nella tradizione mitica dei
viaggi e delle peregrinazioni (i n6stoi) degli eroi omerici reduci dalla
guerra di Troia, come Diomede o Nestore, e avrebbe preceduto la
colonizzazione <<storica>> dell'VIII secolo a.C., viceversa ricordata in
maniera esplicita nelle fonti scritte. Anche in questo caso a un dato
materiale circoscritto - la presenza di una classe cera111ica omogenea
- veniva fatto corrispondere un avvenimento ben localizzato e defini­
to. Il successivo a111pliamento delle indagini archeologiche ai contesti
di provenienza del materiale e la dimostrazione che, comunque, si
trattava di insediamenti indigeni hanno consentito di elaborare una
chiave di lettura molto più articolata, nella quale il fenomeno della
<<precolonizzazione>> viene assumendo una dimensione storica e cro­
nologica certo meno puntuale, ma sicura111ente di maggiore spessore
realistico. La cera111ica micenea deve essere considerata il frutto di
70 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

una frequentazione, sia pure intensa, delle coste italiane alla ricerca
di materie prime, soprattutto metalli, ma non ha nulla a che vedere
con fondazioni di carattere coloniale. L'esame dei contesti delle ne­
cropoli etrusche (ad esempio a Veio) e campane (a Cuma, a Capua e
a Pontecagnano) della fine del IX e degli inizi dell'VIII secolo a.C.
ha ugualmente rivelato nel corredo di tombe aristocratiche, insieme a
bronzi, armi e gioielli, la presenza di cera111iche greche di fabbrica­
zione euboico-cicladica, e ha così dimostrato che, una volta crollato
il mondo miceneo, le medesime rotte erano state riprese da nuove
generazioni di cercatori e mercanti, i quali avevano anticipato e get­
tato le basi per la successiva, autentica colonizzazione.
Che tuttavia non si debba procedere con troppa facilità a genera­
lizzazioni, in un senso o nell'altro, è dimostrato dall'opposto caso di
Marsiglia, l'antica Massalia, fondata alle bocche del Rodano dai Focei
dell'Asia Minore. Il ritrovamento nei primi scavi di una quantità, sia
pur ridotta, di ceramica greca e orientale, confermando al 600 a.C. la
cronologia tràdita dell'insediamento, aveva fornito lo spunto per
un'interpretazione in chiave <<emporica>>: che la città, cioè, fosse nata
con una netta vocazione commerciale, quale centro di ridistribuzione
delle preziose importazioni greche verso il retroterra celtico e quale
punto di arrivo per la via dello stagno, proveniente dalla lontana Bri­
tannia. Gli scavi successivi hanno però modificato i ter111 ini della
questione: calcoli quantitativi effettuati su basi più ampie, relativi ai
primi cinquant'anni di vita della città, ridimensionano la portata del
flusso di ceramica orientale rispetto alle produzioni locali, evidenzia­
no una notevole presenza di anfore vinarie etrusche, destinate al con­
sumo interno e soprattutto non lasciano scorgere traccia di un parti­
colare ruolo distributivo ricoperto in tale periodo da Marsiglia: que­
sta sarebbe pertanto nata come colonia di tipo tradizionale, con fina­
lità produttive di sussistenza, legate allo sfruttamento agricolo e, in
misura secondaria, alla pesca.

4. Archeologia e storia nel mondo contemporaneo. La scuola di


ccles Annales>> e la ricerca in Francia

Gli esempi portati sino ad ora intendevano soprattutto evidenzia­


re i rischi insiti nel voler trarre conclusioni troppo definitive dalle
fonti archeologiche. Nello stesso tempo, però, essi servono anche a
dimostrare quanto la dialettica con il dato documentario e la pro­
gressiva, continua verifica delle ipotesi forn1ulate alla luce delle nuo­
ve acquisizioni possano giovare all'ampliamento della prospettiva sto­
rica. Per giungere a siffatti risultati sono necessarie chiare premesse
metodologiche e la consapevolezza, da parte sia degli archeologi sia
degli storici, dell'esistenza di reciproci interessi, che consentono di
porre domande precise, da un lato, e di indirizzare il senso della ri­
cerca dall'altro. In un articolo del 1967, una studiosa inglese, Sally
Humphreys, stilava un elenco delle possibili domande che, in relazio-
LE FONTI ARCt!EOLOGICHE 71

ne alla storia economica e sociale e a un ambiente preciso, la Grecia


del V e IV secolo a.C., si sarebbero dovute porre all'archeologia: esse
riguardano il rapporto città-ca111pagna, la storia degli insediamenti e
del popolamento rurale, lo sviluppo urbanistico e le sue implicazioni
economiche, istituzionali, sociali e demografiche (desumibili dalla
pianificazione urbanistica, dalla costruzione dei singoli edifici, dalla
loro dedica e financo dalle loro dimensioni e apparato decorativo).
Inoltre la circolazione di determinate merci può rivelarsi illuminante
non solo per la definizione delle correnti commerciali, su piccola,
media e vasta scala, e della loro dina111ica nel corso del tempo, bensì
anche per comprend�re fenomeni di acculturazione nei rapporti tra
popolazioni diverse. E chiaro che tali esempi non esauriscono la casi­
stica delle possibili domande, e che queste possono moltiplicarsi al­
l'infinito, estendendosi alla sfera dell'ideologia politica e religiosa (ad
esempio attraverso lo studio delle necropoli, degli edifici pubblici in
rapporto alla loro committenza, dei santuari e dei , loro culti nella
doppia chiave della religiosità ufficiale e popolare) . E altrettanto im­
portante però che, nel tentativo di fornire delle risposte, si eviti di
forzare le fonti archeologiche, dilatando le conclusioni parziali di uno
scavo a una realtà più estesa. Una semplice ipotesi non deve trasfor­
marsi in assioma, così come un singolo dato non può essere elevato a
regola generale: la presenza di uno strato d'incendio su un unico pia­
no pavimentale non costituisce la prova di una catastrofe generale,
né l'incrocio di due strade dimostra, da solo, l'esistenza di una piani­
ficazione urbanistica. Conclusioni attendibili di più ampia portata si
possono ricavare soltanto da una buona campionatura statistica dei
dati archeologici.
Caduto in parte nel vuoto al momento della sua formulazione,
l'appello di Sally Humphreys veniva a coincidere, forse non casual­
mente, con la fine di una fase precisa nei rapporti tra archeologia e
storia e con l'apertura di nuove direzioni verso le quali si è mossa la
ricerca degli ultimi trent'anni.
Uno sguardo sugli orienta111enti dell'archeologia nella storiografia
contemporanea deve necessariamente avere come punto di partenza
le esperienze della ricerca francese: non tanto per un ruolo particola­
re nel campo specifico archeologico, quanto piuttosto per la larga in­
fluenza esercitata nell'ambito generale della metodologia storica, dalla
quale nessuna delle nuove strade percorse dall'archeologia, in diversi
settori o in diversi ambienti, può dichiararsi immune: la scuola di
pensiero che viene collegata al nome della rivista <<Annales>>, fondata
nel 1929 da Mare Bloch e Lucien Febvre, rappresenta, per gli anti­
chisti come per gli storici in genere, un punto di riferimento al quale
si ricollegano, in misura più o meno diretta, le esperienze maturate
ovunque negli ultimi decenni. Le radici della scuola possono essere
rintracciate nella crescente importanza degli studi sociali, i qu�i, già
nel XIX secolo in Francia, avevano indirizzato l'interesse conoscitivo
verso norme di pratica sociale che, in ca111po antichistico, contraddi­
stinguono gli orientamenti francesi rispetto a quelli della grande tra-
72 LE FONTI ARClfEOLOGICHE

dizione filologica predominante in Germania nell'intero campo degli


studi classici. Tale specifico interesse, mantenutosi ancora ai nostri
giorpi, si era perfezionato attraverso i metodi della ricerca sociologica
di Emile Durkheim e dei suoi allievi: è da siffatte premesse che la
scuola delle <<Annales>>, prendendo le distanze dai modelli tradiziona­
li della ricerca, basata sostanzialmente sugli avvenimenti di carattere
politico e istituzionale (la cosiddetta <<histoire événementielle>>), spo­
sta la propria attenzione sulle problematiche economiche e sociali.
L' a111bito evenemenziale può essere superato in for111 a organica, collo­
cando i singoli avvenimenti entro un quadro congiunturale più am­
pio, a sua volta inserito in un processo di lunga durata. Solo una
visione ordinata di continuità e di cambiamento, sia nel tempo sia
nello spazio, consente un giudizio sistematico dei fenomeni storici.
Di particolare rilievo per i risvolti in campo archeologico appare
la risonanza data, all'interno della scuola, al concetto di <<cultura ma­
teriale>>, un'espressione già diverse volte citata nelle pagine preceden­
ti: i cui presupposti si erano progressivamente formati nel corso della
seconda metà del XIX secolo in seno alle grandi correnti di pensiero
(dal materialismo storico di Marx e Engels alla sociologia di Dur­
kheim) ed erano maturati soprattutto nell'ambito degli studi preisto­
rici. Il concetto aveva trovato però una prima formulazione esplicita
nella fondazione dell'Istituto di Storia e Cultura Materiale, creato da
Lenin nel 19 19, agli albori dello stato sovietico. Raccolto e diffuso
nella cultura occidentale per il tramite delle <<Annales>> sin dalla fon­
dazione della rivista, esso si è radicato col tempo nel campo storico,
per i suoi particolari legami con la sfera economica: in anni più re­
centi Femand Braudel ( 1 967) , dal canto suo, ha teorizzato gli ele­
menti che ricollegano, e insieme distinguono, vita materiale e vita
economica, riconoscendo nella prima la base e il terreno naturale su
cui si imposta la seconda.
La cultura materiale focalizza la propria attenzione sugli oggetti
<<materiali>>, concreti, che appartengono soprattutto alla sfera della
quotidianità nella vita umana. Il suo studio tende quindi a privilegia­
re da un lato le manifestazioni collettive e ripetitive (in opposizione
al fatto singolo o all'avvenimento isolato), dall'altro i fenomeni infra­
strutturali dell'economia e delle forme della produzione. Il rapporto
con la materialità dell'oggetto ha fatto sì che campo privilegiato dive­
nisse proprio l'archeologia attraverso l'elemento trainante di una
nuova area disciplinare, l'archeologia medievale. Una forte spinta in
tal senso è nata in Polonia: motivata dall'esigenza di controbattere
sulla base di evidenze documentarie l'espansionismo politico tedesco,
il quale tendeva a dimostrare su fondamenti teorici l'appartenenza
dell'area all'impero germanico, l'archeologia medievale ha conosciuto
un particolare sviluppo in questo paese, per divenire in seguito un
fertile campo di ricerca anche nel resto dell'Europa.
Rispetto alla rigidità dei metodi filologici e antiquari, la particola­
re metodologia storica perseguita in seno alle <<Annales>> non appari­
va incompatibile con grandi disegni basati su modelli interpretativi,
LE FON1'1 ARCHEOLOGICHE 73

come quello di Karl Marx o di Max Weber, e si è collegata via via ad


altre tendenze, influenzatesi in maniera reciproca: al punto che la ri­
cerca francese ne risulta attualmente per111eata, senza che spesso sia
possibile distinguere tra loro l'entità dei singoli apporti. L'antichisti­
ca, soprattutto la storia antica, e di riflesso l'archeologia, hanno ri­
sentito dell'influsso dell'impostazione storica delle <<Annales>>: da un
lato utilizzando i concetti di breve, media e lunga durata elaborati da
Femand Braudel, quali categorie entro le quali inserire le proprie ri­
costruzioni, dall'altro perseguendo orienta111enti del tutto nuovi, nati
in seno alle varie metodologie. La psicologia storica, originata dalla
collaborazione di psicologi, di sociologi e di storici in un laboratorio
comune (il Laboratoire de Psychologie, fondato da Ignace Meyer­
son) , si occupa soprattutto della coscienza collettiva: nati in seno a
tale esperienza, gli studi di Jean-Pierre Vemant e della sua scuola
hanno dimostrato che anche i documenti artistici antichi potevano
prestarsi alla ricostruzione di una mentalità collettiva, espressa attra­
,·erso la pratica sociale. Lo strutturalismo, legato al nome di Claude
Lévi-Strauss e basato sui modelli della linguistica, ha proposto meto­
di per l'analisi del mito, rivelatisi particolar111ente efficaci nella ricer­
ca sull'antichità, intesa come epoca mitica per eccellenza, e destinati
a loro volta a sollecitare la ricerca sulle rappresentazioni figurate del

mito stesso. Il cerchio dell'influsso reciproco delle varie metodologie


si chiude con l'assunzione dei metodi comparativi tratti dalla sociolo­
gia di sta111po durkheimiano. La conseguente predisposizione ad as­
s11111ere i risultati acquisiti dall'antropologia sociale in campo teorico
e pratico si è concretizzata soprattutto nello studio delle società ar­
caiche. Nell'a111bito del metodo comparativo va ricordata infine l'ope­
ra di George Dumézil sulle strutture fondamentali e sull'ideologia tri­
partita dei popoli indoeuropei.
All ' archeologia e ai resti materiali dell'antichità che ne costitui­
scono il ca111po sono state formulate così nuove domande. Il singolo
oggetto o una serie di ritrovamenti, sia accostati fortuitamente sia
provenienti da un contesto ben definito, sono stati inseriti in una
struttura allo stesso tempo diacronica e sincronica, allo scopo di arri­
vare a definirne il significato sociale. Una nuova introduzione alla re­
ligione greca, ad esempio, prende le mosse dalla diversità del ruolo
sostenuto, in quell'ambito , dalle rappresentazioni figurate in generale,
e in particolare dalle immagini degli dei. Per i Greci gli dei non sono
estranei al mondo, bensì sono stati creati essi stessi come gli uomini
e appaiono onnipresenti a livello di immagine nella vita quotidiana.
La for111a di rappresentazione dominante, quella antropomorfica, non
è l'unica, né costituisce un punto di arrivo nel tempo: ne esistono
varie, contemporanee tra loro, che vanno dallo x6anon infor·111e al
kouros, dall'er111a alla maschera. La scelta di ciascuna for111a, così
come quella degli attributi che caratterizzano le singole divinità op­
pure dell'ordine che presiede al loro raggruppamento nelle scene mi­
tologiche di vasi o frontoni, obbedisce a una logica precisa, non dis-
74 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

sociabile dall 'uso e dal rituale, la cui comprensione appare indispen­


sabile per delineare l'immaginario della polis.
Analoga111ente, lo studio effettuato da F. Lissarague sulla ricca
imagerie femminile che compare sui vasi attici del VI e del V secolo
a.C. costituisce la spia per chiarire la posizione della donna nella so­
cietà greca dell'età classica. I modelli sono sempre quelli dell'univer­
so maschile cui in massima parte spettava la fruizione del vaso: nelle
scene di matrimonio, così come nei diversi rituali - funerali, feste,
sacrifici - la donna è un oggetto per l'uomo che guarda, destinata a
riflettere i valori che la caratterizzano agli occhi di questo, quali la
sottomissione e la fedeltà allo sposo, la bellezza, la seduzione e la
dedizione. La sua vita pubblica si esprime collettivamente, mentre
quella privata è situata in uno spazio diversificato tra l'interno dell' oi­
kos - scene di toeletta, di attività al telaio, più rara111ente legate alla
maternità - e ambiente esterno, senza che si venga a stabilire una
meccanica opposizione tra le due sfere, corrispondente a quella tra i
due sessi. Se la trasgressione a tale ordine tutto maschile è pensata
solo facendo ricorso a modelli mitici, quali le Menadi o le Amazzoni,
le raffigurazioni dell'intero mondo femminile oscillano in un gioco
continuo tra immaginario e realtà, con il passaggio spesso inavvertibi­
le dal piano della scena quotidiana a quello del mito.

5. La ccNuova Archeologia>>

Nella storia del nostro secolo il 1968 sarà ricordato come l'anno
della grande contestazione. Un movimento di protesta, nato in seno
alle università americane e rapidamente propagatosi su scala mondia­
le, sottoponeva a una critica impietosa il sistema globale dei valori
etici, politici ed economici che costituivano il fondamento del mondo
occidentale post-bellico. Anche l'archeologia non rimase immune da
tale terremoto culturale. Non sembra infatti una coincidenza che il
1968, con l'edizione contemporanea di due libri concepiti in forma
indipendente l'uno dall'altro, New Perspectives in Archaeology del­
l'americano Lewis Binford e Analytical Archaeology dell'inglese Da­
vid L. Clarke, rappresenti l'anno ufficiale di nascita di una corrente
di studi ribattezzata dagli stessi fondatori con il nome di <<New
Archaeology>>.
Il terreno in cui affondano le radici della New Archaeology è co­
stituito essenzialmente dal diffuso senso di disagio venutosi a deter­
minare nelle scienze umane a seguito dello sviluppo delle scienze
esatte e sperimentali e, più in particolare, dall'atteggiamento ambiva­
lente di dipendenza e di rifiuto manifestato dall'archeologia nei con­
fronti di tutte le tecnologie che ne costituivano il supporto. Ci si po­
neva allora il problema di trasfor111are anche questa in una scienza
esatta, attribuendole un ca111po specifico della conoscenza e un meto­
do adeguato, tale da consentirle di abbracciare il proprio ca111po in
forma precisa e rigorosa. L'attributo di <<nuova>>, con cui la disciplina
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 75

etichettava se stessa, era concepito in aperta polemica con i metodi e


con le finalità dell'archeologia tradizionale. A questa veniva sostan­
zialmente rivolta l'accusa di essere descrittiva, di accumulare i propri
dati in maniera indifferenziata e di accostarli tra loro in una sorta di
puzzle, sulla base di un procedimento induttivo, da cui deriverebbe­
ro conclusioni di carattere soggettivo, prive di fondamento scientifico
e poggianti in larga misura sull'autorevolezza e sulle capacità del sin­
golo ricercatore. A tale pessimistico panorama i nuovi archeologi op­
ponevano l'ottimismo di un quadro teoretico rigorosa111ente imposta­
to sulla filosofia della scienza, il cui programma metodologico può
essere sintetizzato, in forma alquanto semplificata, nei seguenti termi­
ni: esso è fondato sulla fortnulazione di ipotesi derivate dai dati ar­
cheologici, selezionati con criteri quantitativi e statistici in base a
procedimenti di carattere deduttivo, e sulla convalida delle ipotesi
mediante esperimenti analoghi a quelli messi in atto nelle scienze
sperimentali - con il fine ultimo di giungere, invece che alla rico­
struzione storica, alla formulazione di leggi generali relative al com­
portamento culturale. Una verifica a tali leggi è fornita dall'analogia
con paralleli etnografici e antropologici. Al concetto di sviluppo sto­
rico i nuovi archeologi oppongono una visione della cultura che si
articola in <<sistemi socioculturali>>, formati dalla somma di sottosiste­
mi diversi (religioso, economico, sociale, della cultura materiale, ecc.)
in costante interazione con il <<sistema ambientale>> esterno (a sua
volta ripartito nei sottosistemi di fauna, flora, clima e geologia) , i rap­
porti col quale costituiscono il campo dell'ecologia culturale. L'insie­
me dei rapporti operanti tra i sistemi socioculturali e tra questi e il
sistema ambientale costituisce il <<processo culturale>>.
Non è certo questa la sede per soffer111 arsi ulteriormente sugli
sviluppi teoretici e pratici che hanno caratterizzato la storia della
Nuova Archeologia nel quarto di secolo intercorso tra la sua nascita
e i giorni attuali: un vivacissimo dibattito interno ha messo in discus­
sione, riveduto e in parecchi casi superato le posizioni degli iniziato­
ri. In linea di massima, però, esso ha contribuito a sospingere la di­
sciplina verso posizioni sempre più astratte e distaccate da un reale
riscontro con la pratica archeologica. A tale obiezione, mossa da gran
parte di coloro che non condividono i presupposti della New Ar­
chaeology, si è aggiunta un'oggettiva difficoltà di comunicazione, de­
terminata dal linguaggio complesso, ispirato a quello delle scienze
matematiche e statistiche, spesso sconfinante nell'astrusità, salvo rare
eccezioni fatto proprio dai seguaci della scuola. Dal nostro punto di
vista sarà viceversa utile esaminare più da vicino l'impatto che la
Nuova Archeologia ha avuto sugli studi dell'antichità classica e, in
particolare, il problema del netto rifiuto che essa ha espresso nei
confronti della storia, considerata un fattore di strumentalizzazione
dell'archeologia, la quale ne sarebbe risultata bloccata nel processo di
trasformazione in disciplina autonoma.
Se le critiche della Nuova Archeologia erano rivolte al modo di
procedere di quella tradizionale nella sua interezza, è indubbio che
76 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

gli strali più acuti furono indirizzati verso l'archeologia del mondo
classico. La principale accusa rivolta a quest'ultima era di aver dete­
nuto un ingiustificato primato all'interno del complesso della disci­
plina, monopolizzandone in modo immeritevole la maggior parte del­
le energie, nonostante essa si occupasse di un'area alquanto ristretta
(il bacino del Mediterraneo) e di un periodo abbastanza limitato nel
quadro complessivo di uno sviluppo mondiale. In tale settore, più
che in ogni altro, si sarebbe verificato l'asservimento dei dati archeo­
logici alla storia: la costante domanda di confern1e e di certezze, ri­
volta dalla seconda ai primi, avrebbe fatto sì che le sintesi degli ar­
cheologi si presentassero alla stregua di <<storie di imitazione>>, con
esposizioni che della narrazione storica assumevano il taglio e l' aspet­
to esteriore e si i·isolvevano nel tentativo di spiegare sia il verificarsi
di un determinato avvenimento, sia il come e il quando ciò fosse av­
venuto. In sintesi, per ricordare una citazione di David L. Clarke, di
recente ripresa e accettata anche da un archeologo <<tradizionale>>
come Antony Snodgrass,
il pericolo della narrazione storica come veicolo per risultati archeologici ri­
siede nel fatto che essa risulta appagante grazie alla sua copertura scorrevole
e alla sua apparente finalità; viceversa i dati sui quali essa si basa non sono
mai completi, mai in grado di sostenere un'interpretazione univoca e pog­
giano su probabilità complesse. I dati archeologici non sono dati storici e
pertanto l'archeologia non è storia.

Sull'essenza del problema torneremo più avanti, limitandoci per il


momento a osservarne le conseguenze sul piano pratico. Il drastico
ridimensionamento nell'importanza dell'archeologia classica all 'inter­
no del quadro globale della disciplina è in larga parte imputabile al­
i' ottica tipicamente norda111ericana che aveva contraddistinto i primi
passi della Nuova Archeologia e riflette sotto molti aspetti una vo­
lontà di emancipazione e un atteggia111ento non molto diverso da
quello con cui oggi, nell' a1nbito delle arti visive e della comunicazio­
ne, ci si rivolge alle contemporanee, minoritarie esperienze di am­
biente europeo. Per gli archeologi di Oltreoceano campo di azione
sono tanto le civiltà precolombiane quanto le culture native d' Ameri­
ca, così come in ambito nordeuropeo le culture preistoriche e proto­
storiche rappresentano il terreno più comune, nel quale la disciplina
trova la propria applicazione. Dal punto di vista teoretico, resta diffi­
cile sottrarsi all'impressione che, a monte del disprezzo nutrito dalla
New Archaeology nei confronti dell'archeologia classica, giacesse il
rifiuto di sottoporre le leggi che questa veniva elaborando al confron­
to e al controllo di documenti esterni, quali le fonti scritte. Comun­
que stessero le cose, il tutto si risolse in un'incomunicabilità presso­
ché totale tra i due schieramenti, che il tempo non è riuscito a col­
mare: ancora oggi il manuale ricco di intelligenti stimoli scritto da
uno dei più brillanti nuovi archeologi, Colin Renfrew, si limita a de­
dicare rari e occasionali accenni al mondo greco e romano, mentre la
rapidissima carrellata dedicata alla storia dell'archeologia in apertura
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 77

del volume altro non sembra che una sorta di processo teleologico
preludente al vero della nuova scienza.
Chiunque non sia interessato solo a una difesa aprioristica delle
proprie posizioni potrà valutare la sostanziale sterilità di tale dissidio.
Lo stimolo intellettuale esercitato dalla Nuova Archeologia nei con­
fronti di quella tradizionale è stato aperta111ente accolto da alcuni dei
più sensibili esponenti di quest'ultima. Anche quando ciò non è stato
dichiarato in forma esplicita, il lungo dibattito metodologico operato
in seno alla disciplina non ha mancato di far sentire i propri influssi
nell'ampliamento delle problematiche, soprattutto per quanto riguar­
da l'approccio di carattere antropologico al materiale archeologico;
nella ricerca di procedimenti più rigorosi in sede teorica, con la riaf­
fer111azione indiscussa della nozione di contesto; nell'applicazione più
attenta delle tecniche legate al reperimento dei materiali; nello spazio
sempre maggiore concesso alle scienze applicate, intese come non se­
condario strumento di carattere conoscitivo. Dall'altro lato, è soprat­
tutto per il suo atteggiamento nei confronti della storia che la Nuova
Archeologia ha mostrato i propri limiti di fondo e ha ricevuto le più
serie obiezioni, sia dall'esterno che all'interno del movimento, dove
non sono mancati richiami recenti (ad esempio da parte di Ian Hod­
der) a che essa recuperasse il tradizionale rapporto con quella disci­
plina. Chiusa nel suo universo, la Nuova Archeologia ha guardato
solo occasionalmente a quanto avveniva al di fuori e alle nuove espe­
rienze che maturavano altrove.
Un esempio che, viceversa, dimostra a qual punto stimolanti e
proficui possano rivelarsi i contatti tra i due mondi è dato da una
serie di studi che hanno per oggetto le necropoli e l'ideologia funera­
ria: il tema, com'è noto, costituisce uno dei principali ca111pi cui la
Nuova Archeologia ha rivolto il proprio interesse e nel quale ha svol­
to le proprie riflessioni. In un volume dove si tratta della nascita del­
lo stato greco, Ian Morris ha ricostruito il processo di formazione
della polis sulla base di un'analisi sistematica ed estremamente sofi­
sticata delle necropoli attiche, dal periodo sub-miceneo (il cosiddetto
medioevo ellenico, iniziato intorno al 1 100 a.C.) sino a tutto il perio­
do arcaico (fine del VI secolo a.C.) , seguendone le fasi cronologiche
scandite dall'evoluzione degli stili della cera111ica geometrica, protoat­
tica e a figure nere e rosse, e registrando tutte le modificazioni strut­
turali verificatesi in tale periodo nel costume funerario: la tipologia
della sepoltura, l'uso di segnacoli, l'ubicazione topografica dei cimite­
ri e il loro rapporto con l'abitato, l'alternanza del rito dell'inumazio­
ne e dell'incinerazione, la posizione del cadavere nella tomba e gli
elementi caratterizzanti del corredo. Il presupposto teorico di un sif­
fatto tipo di ricerca risiede nella convinzione che esista una stretta
relazione tra società e sepoltura e che quest'ultima altro non sia se
non l'espressione a livello rituale della struttura sociale: per <<struttu­
ra sociale>> si intende il modello ideale e mentale di riferimento se­
condo il quale gli individui si collocano nel mondo, ben diverso dun­
que dall'<<organizzazione sociale>> che rappresenta il livello, assai più
78 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

variegato, delle esperienze empiriche distribuite nella vita quotidiana.


Nella sepoltura il defunto si presenta in veste di <<persona sociale>>,
un'espressione presa a prestito dall'antropologia a indicare l'insieme
dei valori sociali che egli deteneva in vita e che vengono riconosciuti
come appropriati per la sua rappresentazione dopo la morte. La limi­
tata varietà delle <<persone sociali>> presenti nelle tombe dei cimiteri
attici, nel periodo compreso tra il 1050 e il 750 (ovvero dal sub-mi­
ceneo al geometrico recente), significa che soltanto una parte dei de­
funti riceveva una sepoltura formale e archeologica111ente individua­
bile, mentre ne rimaneva esclusa una consistente parte della popola­
zione, riflesso di una società stratificata di agath6i detentori del pote­
re e di kak6i non partecipi di questo. Il netto a11111ento delle deposi­
zioni verificatosi intorno al 750, piuttosto che essere messo in relazio­
ne con l'ipotesi di un'impressionante crescita demografica, viene spie­
gato con l' allarga111ento della base sociale ammessa alle sepolture for­
mali, con ogni probabilità in seguito alle rivendicazioni dei kak6i e,
di conseguenza, segnerebbe il momento della nascita della polis, inte­
sa nel senso di comunità di cittadini di pieno diritto. Al salto di qua­
lità registrabile nelle necropoli corrispondono significative trasforma­
zioni nelle pratiche religiose, con la comparsa di aree sacre e quindi
di edifici templari veri e propri. Il processo subisce una battuta d' ar­
resto intorno al 700 a.C . , quando sembra riemergere una struttura
analoga a quella più antica, e riprende in for111a graduale nel corso
del VI secolo, per concludersi alla fine del medesimo in concomi­
tanza con le riforme di Clistene (508/7 a.C .). Gli strumenti di indagi­
ne adottati in questo caso sono gli stessi che i nuovi archeologi ave­
vano predicato e messo in atto, ma se ne discostano radicalmente la
costante necessità di riferire le interpretazioni della documentazione
archeologica al contesto storico della Grecia arcaica e il ruolo attri­
buito alla fonte scritta, non più intesa come mero strumento per la
verifica della validità di leggi elaborate a proposito del comportamen­
to umano. Le critiche mosse dai nuovi archeologi nascevano in ulti­
ma analisi da un modo errato di concepire la storia. In realtà il com­
pito dello storico, proprio come quello dell'archeologo, consiste nel
porre domande ai dati e nel trattarli in modo tale da suscitare rispo­
ste. Tra <<processo>> e storia esiste solo una falsa dicotomia e il <<pro­
cesso>> delle tendenze economiche e sociali altro non è che il ca111po
principale della riflessione storica.

6. Archeologia come storia. L'esperienza italiana

La solida cultura antiquaria affermatasi in Italia sullo scorcio del


XIX secolo aveva attecchito sul terreno di una situazione archeologi­
ca del tutto particolare, sia per la ricchezza della documentazione sia
per la complessità delle problematiche che venivano via via emergen­
do. Accanto allo studio delle antichità romane fiorivano altri interes­
si, riguardanti le civiltà preromane dell'Italia antica, con uno spazio
LE FONTI ARCliEOLOGICHE 79

assai rilevante occupato, in quest'ambito, dalla civiltà etrusca. Il filo­


ne dell' <<etruscologia>>, che ben presto sarebbe stato ufficialmente isti­
tuzionalizzato mediante la creazione di cattedre universitarie ad esso
intitolate, ha costituito sin d'allora un ca111po disciplinare privilegiato
dell'archeologia italiana e particolarmente fecondo per il suo svilup­
po in senso storico. Ponendo l'accento sulla specificità della penisola,
contraddistinta da una situazione storica e culturale non univoca (al
contrario di quella ellenica) , il più illustre studioso del settore, Massi­
mo Pallottino, ha sempre insistito sul valore storico dei doc11111enti
archeologici e sull'indispensabilità del loro ruolo per la ricostruzione
e la verifica dei processi di acculturazione delle popolazioni italiche.
Nettamente superiori ai documenti scritti sul piano quantitativo, essi
sono a questi paritari sul piano qualitativo e rappresentano, in ogni
caso, l'unica testimonianza diretta di una civiltà che altrimenti cono­
sceremmo solo attraverso le menzioni di alcuni scrittori greci e latini
già mediate all'origine.
L'ideologia nazionalista del ventennio fascista svolse il ruolo di
brusco elemento di frattura su un solido terreno culturale, strumen­
talizzando l'archeologia, cui venne affidato il ruolo di portavoce di
un'immagine vacua e retorica della romanità - peraltro sostenuta e
diffusa anche da storici del livello di Ettore Pais - e di un'arte italica
intesa in forma autarchica e patriottarda. La disciplina risultò ghettiz­
zata dall'interruzione dei rapporti di continuità storica che la legava­
no al mondo della cultura internazionale. Non a caso in quegli anni
si perpetuarono i peggiori comporta111enti in materia di scavo e i più
gravi interventi sul terreno: la storia urbanistica di Roma dimostra
che non si esitava a procedere a sventramenti e a distruzioni, a sa­
crificare intere chiese medievali per il recupero dei resti di un tempio
romano (ad esempio nell'area di largo Argentina) . D'altra parte, il
ruolo subalterno dell'archeologia era provato dal fatto che anch'essa
doveva cedere di fronte a interessi superiori o ritenuti tali: è il caso
clamoroso dei Fori imperiali, spezzati nella loro continuità dalla co­
struzione della grande arteria destinata alle parate militari del regime,
e da allora mai più indagati scientificamente.
Il divario culturale determinatosi con il fascismo era difficile da
colmare e con estrema fatica la disciplina ufficiale nel dopoguerra
poteva recuperare il pesante attarda111 ento che la separava dalle pun­
te più avanzate della cultura europea. Per far ciò era necessario un
ripensamento globale sul piano tematico e metodologico. Gli esempi
di studiosi impegnati con serietà in questo campo non mancano: ba­
sti pensare alla figura di Nino Lamboglia, il primo, dopo il Boni, ad
aver perseguito con tenacia l'applicazione di una rigorosa metodolo­
gia stratigrafica nei cantieri di scavo e ad aver introdotto in Italia tec­
niche di avanguardia come l'archeologia subacquea. Il merito mag­
giore nel superamento di tale situazione spetta però a un'affascinante
figura di intellettuale, Ranuccio Bianchi Bandinelli, e all'attività da lui
esercitata nel ca111po dell'insegna111ento universitario e della politica
di quelli che sarebbero stati definiti in seguito i Beni Culturali. A
80 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

vent'anni di distanza dalla morte è ancora opportuno sottolineare il


ruolo svolto da Bianchi Bandinelli nella storia dell'archeologia italia­
na, . un ruolo che va ben al di là dei suoi contributi specifici, per
quanto brillanti. Nel proprio approccio alla disciplina egli fu fonda­
mentalmente uno studioso di storia dell'arte, convinto assertore che
l'autonomia di quest'ultima dovesse restare incentrata sulla lettura
formale dell'opera d'arte antica, l'unica in grado di svelarne il conte­
nuto e la posizione all'interno dello svolgimento delle arti figurative.
La novità della sua posizione, partita dall'idealismo crociano per ap­
prodare con il passare degli anni al materialismo marxista, risiedeva
però soprattutto nella forte esigenza di superare il piano pura111ente
. '

estetico e di ancorare con fermezza il discorso artistico alla storia. E


proprio nella ricerca di una storia globale che si deve rawisare la
matrice della sua opera di sollecitazione intellettuale, tradottasi nel
coagulo di una serie di energie intorno a problematiche nuove e agli
aspetti pratici dell'archeologia sul terreno, pur tanto distanti dai pro­
pri personali interessi. Risultato concreto fu, nel 1967 , la fondazione
di una rivista, <<Dialoghi di Archeologia>>, il cui manifesto progra111-
matico intendeva fornire un punto d'incontro per giovani studiosi di
antichità di varie discipline, concordi sulle linee metodologiche di
fondo. La prospettiva archeologica era vista come parte integrante di
una scienza storica al cui interno confluissero gli apporti di diversi
settori disciplinari non meccanicamente giustapposti, bensì maturati e
intrecciati nel corso d'indagini e dibattiti svolti in comune. Una com­
ponente non trascurabile nella costituzione del gruppo era costituita
dal fondamento teorico e ideologico di ispirazione marxista, che lo
conduceva a privilegiare nella ricerca archeologica l'interazione dei
rapporti economici, ideologici e culturali nelle società antiche, men­
tre si traduceva nell'impegno, esplicita111ente dichiarato, a un'operati­
va azione di politica culturale. L'attività di <<Dialoghi>>, soprawissuta
alla scomparsa del suo fondatore nel 1975 , si è conclusa formalmente
nel 1992 : è in larga parte frutto di tale esperienza se l'archeologia
italiana può oggi esibire una propria fisionomia specifica in ambito
internazionale, legata all' avere fatto del rapporto tra archeologia e
storia il campo principale della riflessione e all'avere unificato la so­
stanza delle domande e le modalità delle risposte nel nome di un'in­
terdisciplinarità globale. L'esperienza appare tanto più importante
nell'attuale situazione italiana, nella misura in cui, mentre sul piano
della ricerca risulta ormai talvolta difficile distinguere la figura pro­
fessionale dell'archeologo e dello storico, il progressivo moltiplicarsi
delle titolarità a livello accademico sta riawiando un processo di
frantumazione specialistica, con il rischio di compromettere un'unità
faticosamente raggiunta. Può essere istruttivo seguire le tappe di tale
itinerario culturale attraverso alcuni temi chiave, di grande rilevanza
e di notevoli implicazioni, che ne hanno costituito il banco di prova
sul lungo periodo: la nascita della città o la società romana in epoca
repubblicana (argomento che l'enfatizzazione retorica sulla Roma im­
periale aveva a lungo tenuto in ombra) , il cui recupero è passato at-
LE fONl'I ARCHEOLOGICflE 81

traverso un ampio riesa1ne della documentazione archeologica, al du­


plice livello delle manifestazioni storico-artistiche e della cultura ma­
ceriale. Si pensi, ad esempio, al filone aperto e frequentato nello stu­
dio dell'arte ufficiale di età repubblicana e soprattutto dello sviluppo
urbanistico e monumentale di Roma a partire dal III secolo a.C. Vi si
dimostra che la costruzione di templi e di edifici pubblici si riconnet­
teva in maniera inestricabile alla strategia politica della classe dirigen­
te romana e delle singole famiglie al suo interno: la religione assurge­
va a un ruolo ideologico e il culto risolveva sul piano del rito i con­
trasti più propriamente legati alla lotta per il potere, mentre l' affer­
mazione del classicismo nel settore artistico risultava stretta1nente
connessa e funzionale all'espansionismo politico di Roma nel bacino
del Mediterraneo, in modo tale che la stessa utilizzazione di dete1n1i­
nati artisti servisse a esprimere l' affer111 azione di un potere egemo-
ruco.

Dove l'intreccio delle discipline e la collaborazione degli studiosi,


storici, archeologi, filologi, giuristi, hanno avuto modo di manifestarsi
ancor meglio è stato nel seminario/convegno che ebbe come esito la
pubblicazione dei tre volumi su Società romana e produzione schiavi­
stica. Nell'atnbito della storia più specificamente economica e sociale
è stato possibile allora mettere a fuoco il sistema affermatosi a Roma
in concomitanza con il suo imporsi nel bacino del Mediterraneo a
livello di potenza mondiale. Tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C.
emerge, si sviluppa e infine entra in crisi un sistema economico basa­
to sul modo di produzione schiavistico e incentrato sull'unità base
fondiaria della villa rustica (e solo in misura assai inferiore sul lati­
fondo e sulle manifatture urbane). In questo caso l'indagine archeo­
logica costituiva l'indispensabile tra111ite per ricostruire il panora111a
storico della topografia degli insedia111 enti umani nel territorio, visti
nella loro entità e nelle relazioni reciproche, e, ancor più, il quadro
della produzione e circolazione delle merci, soprattutto della cerami­
ca (vasi, anfore, lucerne) e dei materiali edilizi, che costituivano l'og­
getto dello scambio di cui si sostanziava l'intera economia del_ bacino
del Mediterraneo in quel periodo.

7. Archeologia e storia: un nuovo rapporto

Seguendo itinerari molto diversi, ma non perciò scevri da contatti


e scambi reciproci, gli studiosi delle varie scuole, nel corso dell'ulti­
mo quarto di secolo, hanno progressiva111ente maturato la consapevo­
lezza del fatto che tutto il materiale archeologico, senza eccezione di
sorta, può e deve essere pensato e ordinato in maniera storica. Alcu­
ni temi chiave servono a illustrare il processo di integr�zione delle
diverse metodologie in un comune dibattito che, a livello internazio­
nale, ha per oggetto soprattutto i campi della storia istituzionale, eco­
nomica e sociale.
82 LE FONTI ARCHEOLOG!Cf{E

7 . 1 . Archeologia e storia ist ituzionale: la nascita di Roma

Assai significativo è stato nel trascorrere del tempo il progressivo


coinvolgimento di studiosi di varia estrazione su un tema di portata
globale quale il problema delle origini della città di Roma. Sul piano
storiografico, è opportuno ricordare che le fonti scritte relative a quel
periodo consistono principalmente, oltre che in scarsi frammenti de­
gli annali e delle leggi delle Dodici Tavole, nelle <<storie>> redatte in
età augustea, i primi libri di Tito Livio e dello scrittore greco Dionigi
di Alicamasso. Nei testi di entrambi gli autori la narrazione si pre­
senta disposta in un quadro cronologico coerente, citando nomi, luo­
ghi, avvenimenti, notizie di carattere istituzionale e religioso organiz­
zati secondo la tecnica di una vera a propria sequenza storica. Al di
sotto di questo aspetto ineccepibile nella forma, il racconto degli al­
bori della città - dalle origini albane dei gemelli Romolo e Remo alla
data tradizionale della fondazione (il 753 a.C.), sino alla serie di sette
re conclusasi nel 509 a.C. con la cacciata del secondo Tarquinio da
Roma - ha sempre posto alla storiografia moderna la questione della
sua veridicità, dividendola a lungo tra posizioni fideistiche (che ten­
devano a riconoscerne in blocco la verità storica) e atteggiamenti di
estremo scetticismo (valga soprattutto l'esempio di Ettore Pais) : il
racconto dei primordia altro non sarebbe se non un insieme di nozio­
ni leggendarie, formatesi progressivamente nel corso dell'età repub­
blicana sulla spinta di motivazioni ideologiche e propagandistiche, da
non prendersi alla lettera e in cui riconoscere, al massimo, l'involucro
confuso, annegato nella cornice nebulosa del mito, di una serie di
concetti staccati di carattere giuridico, religioso e istituzionale. Le te­
stimonianze archeologiche, susseguitesi con crescita esponenziale per
tutto il secolo, nell'area della città come in numerosi centri del Lazio,
i colli Albani, Lavinia, Castel di Decima, Gabi e altri ancora, hanno
viceversa restituito vitalità al tema, strappandolo dal limbo della leg­
genda in cui sembrava destinato a rimanere relegato per sempre. Il
punto di partenza venne dato, ai primi del Novecento, dagli scavi
stratigrafici condotti da Giacomo Boni nel Foro, nell'area del Comi­
zio, dove si rinvennero una pavimentazione in pietra nera, il cosid­
detto Lapis Niger, e, al di sotto, un altare arcaico con un cippo iscrit­
to menzionante la parola <<re>>. All'epoca il ritrovamento, oltre ad
aver dato il via a vere e proprie follie interpretative, generò entusia­
smi di tipo fideistico, traducendosi in una sorta di fondamentalismo
archeologico (<<Livio mai non erra>>) non diverso da quello che, a più
riprese, si verifica in Israele con il rinvenimento di evidenze archeolo­
giche ascrivibili al periodo delle narrazioni contenute nei libri storici
della Bibbia. In realtà, furono necessari anni, l' appo1·to di numerose
altre fonti documentarie, l'uso di una tipologia più rigorosa e, di
conseguenza, di una cronologia più precisa, di un approccio storico
ben più critico e raffinato perché l'inquadramento del periodo delle
origini di Roma avvenisse in tutta la sua articolazione. Alcuni fram­
menti di ceramica dell'età del Bronzo media (XVI secolo a.C.), ri-
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 83

trovati alle pendici del Campidoglio, nella zona archeologica che


prende il nome dalla chiesa di S. Omobono, costituiscono i docu­
menti più antichi della presenza umana nell'area della città, mentre,
già dal XIII e con maggiore intensità dal X secolo a.e., compaiono le
prime tracce archeologiche nel Foro e sul Palatino, sotto for111a di
gruppi di tombe e quindi di fondi di capanna che sembrano indicare
una progressione spaziale dell'abitato verso est. A partire da tale mo­
mento i resti testimoniano un'occupazione continuativa, con piccoli
villaggi stabili sulle cime dei colli e le necropoli ad essi relative, per
giungere sino alle prime tracce di una definizione urbanistica della
città nel VII secolo, con la prima pavimentazione del Foro e i primi
edifici pubblici e sacri, documentati da strutture, offerte votive e de­
corazioni in terracotta. L'interpretazione dei dati non era certo sem­
plice né univoca ed è stata necessaria una lunga permanenza nella
<<fase filologica>> per definirne la cronologia, che ha oscillato tra posi­
zioni ribassiste e rialziste, con la finale affermazione della seconda,
formulata dall'archeologo tedesco Miiller Karpe e basata, all'interno
del più a111pio quadro dell'archeologia laziale, su un preciso sistema
di associazioni statistiche del materiale in relazione a ciascun conte­
sto. L'esito di tale processo è stata la definizione delle caratteristiche
proprie del sito della futura Roma, come luogo privilegiato dal con­
correre di fattori quali la presenza del fiume e l'esistenza di un guado
in corrispondenza dell'attuale isola Tiberina, la disposizione strategi­
ca dei colli, la viabilità naturale, ma anche l'importanza del controllo
delle saline sulla riva destra del Tevere, in corrispondenza dell' odier­
na Ostia. I dati che emergono dalla dislocazione delle necropoli,
inoltre, hanno messo in relazione il formarsi di differenti <<comunità>>,
il cui primo stadio di aggregazione, politico e religioso, attorno a
punti divenuti nel tempo dominanti, il colle Palatino e la Velia, è in­
dicato secondo alcuni dalla tradizione relativa alla festa del Septimon­
tium. Si è venuto così a conformare un quadro storico di lunga dura­
ta, all'interno del quale la dinamica effettiva della <<nascita>> di Roma,
identificata nelle fonti narrative con la fondazione da parte di Romo­
lo, restava in ombra, mascherata dalle diverse ipotesi di formazione
urbana per <<sinecismo>>, vale a dire per l'unione paritaria di unità
diverse tra loro, oppure per espansione progressiva di un abitato uni­
co. Il quadro ricostruttivo di questo processo plurisecolare resta però
tutto sommato valido ed è al suo interno che debbono essere valuta­
ti, sul piano storico, anche alcuni recentissimi ritrovamenti, quali l' e­
clatante scoperta alle pendici del Palatino di una palizzata e di un
muro di fortificazione, che la stratigrafia consente di datare con esat­
tezza poco dopo la metà dell'VIII secolo a.e. , e che, di conseguenza,
sembrerebbe collegabile con il dato storico del <<pomerio romuleo>> e
alla fattualità della <<nascita>> di Roma.
Anche la storia dei sette re di Roma, la loro cronologia e le loro
gesta, tra111andate nelle fonti narrative, devono essere ovvia111ente
considerate ancora con estrema cautela metodologica. Peraltro appa­
re ormai assodato che la tradizione relativa al periodo in cui Roma,
84 LE FONTI ARCHE<)LOG!CHE

tra la fine del VII e la fine del VI secolo a.e. , venne governata dai re
etruschi - Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo -
concordi in larga misura nelle linee generali con quanto ci rivela la
documentazione emersa nel corso della ricerca archeologica. Valga
per tutti l'esempio dell'area sacra ritrovata a S. Omobono, dove il
convergere dei dati topografici, epigrafici (n11111erosi documenti di
lingua etrusca) e figurativi (la ricca decorazione in terracotta) indica
l'esistenza di un complesso sacro con una fase databile al secondo
quarto del VI secolo a.e. e sicuramente identificabile con quello che
le fonti ci dicono dedicato a Fortuna (e a Mater Matuta) , una divini­
tà strettamente associata alla politica religiosa di Servio Tullio.
Ad attestare la progressiva integrazione e l'aumentata coesione
del metodo di lavoro degli storici e degli archeologi è intervenuta in
questi ultimi anni un'impresa editoriale, la Storia di Roma pubblicata
dall'editore Einaudi e nata sotto l'egida di uno storico quale Arnaldo
Momigliano: erede esemplare di una tradizione storiografica di ma­
trice strettamente filologica, per così dire <<avvolto>> in un progetto
all'interno del quale entrano a pieno titolo gli studiosi protagonisti
del rinnovamento nel metodo della ricerca archeologica, fondato sul­
l'intrinseca interazione fra fonti narrative e materiali archeologici.

7.2. Archeologia e storia economica: produzione , mercati e scambi

Per ammissione concorde, uno dei settori nel quale sia possibile
ricavare dalle fonti archeologiche illuminanti evidenze documentarie
è il campo della storia dell'economia antica: l'esperienza maturata
con il procedere degli scavi ha mostrato, al di là di ogni ragionevole
dubbio, la sterminata casistica delle possibili letture in chiave econo­
mica di tutta una serie di dati che, in forma più immediata, sem­
brerebbero prestarsi essenzialmente a valutazioni di ordine sociale e
ideologico, dalla composizione dei corredi in una necropoli all' accu­
mulo di beni che si riflette nel materiale votivo recuperato dai san­
tuari. Gli esempi potrebbero continuare all'infinito: basti pensare al­
l'importante settore che riguarda il reperimento e la lavorazione delle
materie prime, legno, metalli, pietre e argilla, le indagini topografiche
nelle miniere antiche, le ricerche sulle tecniche e sugli strumenti di
lavorazione dei manufatti, per giungere all'individuazione, a livello
urbanistico, dello spazio riservato ai quartieri artigiani nell'ambito di
una cttta.
. '

'

E comunque innegabile che un ruolo preponderante in tale ambi-


to sia riservato alla produzione ceramica. Più volte, nel corso dell'e­
sposizione, si è fatto riferimento alla ceramica, sia per le possibilità di
inquadramento cronologico che offre, quale documento guida attra­
verso le varie epoche, sia per la ricostruzione delle caratteristiche del­
la produzione e del commercio cui si presta. Poche classi di materia­
le presentano infatti come questa una massa imponente di documenti
che consentano di proporre calcoli di tipo quantitativo, non altri-
LE f'ONl'I ARCHEOLOGIC:HE 85

menti registrati nelle fonti scritte, applicabili sia nel breve che nel
lungo periodo e per raggi di estensione molto diversi tra loro. Tali
considerazioni sono senz'altro valide tanto per la ceramica greca
quanto per quella romana, anche se la storia degli studi, almeno a
uno sguardo generale, registra una sorta di divaricazione tra i due
ca1npi: nel caso della ceramica greca vi è stata senza dubbio una
maggiore accentuazione delle implicazioni sociali insite nella produ­
zione e nella diffusione del manufatto e, in ambito stretta111ente eco­
nomico, una predilezione per l'analisi di fenomeni di vasto raggio;
nel caso di quella romana, come conseguenza della minor appetibilità
degli oggetti sotto il profilo artistico, l'indagine si è precocemente
estesa anche ai fenomeni di piccolo e medio raggio, alla produzione
domestica e a quella fondiaria, alle classi di uso comune, ai conteni­
tori per derrate ali111entari, utilizzando con anticipo approcci di tipo
etnologico e interventi archeometrici: valga per tutti il caso della ce­
ra111ica comune recuperata dalla missione britannica negli scavi di
Cartagine, ripartita in categorie e tipi, quindi sottoposta a raffinate
analisi petrografiche che ne definissero la provenienza in ambito re­
gionale e valutata anche dal punto di vista quantitativo sulla base del
peso. Dal <<modernismo>> di Rostovtzev alla reazione drastica111ente
ridimensionatrice di Finley, sino alla <<nuova ortodossia>> impersonata
da studiosi come Keith Hopkins, la ceramica romana è divenuta
dunque un campo di dibattito privilegiato per la storia dell'economia
antica, la quale, sia pure con ottiche e posizioni spesso contrastanti
tra loro, ha potuto recuperare attraverso il suo studio un' a111pia gam­
ma di situazioni non istituzionali, ignorate dalle fonti scritte.
Un posto particolare, nell'ambito della ceramica antica, è occupa­
to dalla classe delle anfore, contraddistinte dalla caratteristica unica
di esistere solo in quanto predisposte a ricevere e a trasportare derra­
te alimentari (come olio e vino) e quindi indissolubilmente legate alla
storia agraria e commerciale dei prodotti di cui erano il contenitore.
Al giorno d'oggi la conoscenza delle anfore è giunta a un livello di
definizione molto elaborato per quanto riguarda l'evoluzione tipolo­
gica delle for111 e, la distinzione topografica e cronologica e la diffu­
sione geografica. A ciò si aggiunga che l'analisi delle caratteristiche
fisiche delle argille consente ormai di determinare, con un' approssi­
mazione assai attendibile, i luoghi medesimi della fabbricazione degli
esemplari in esame. Considerate inoltre nella loro valenza di fonte
storica inoltre, le anfore sono dotate di un'altra eccezionale preroga­
tiva, quella di essere un doc11111ento archeologico parlante, nella mi­
sura in cui ristÙtano spesso corredate da un bollo o da un'iscrizione
dipinta che fornisce date precise e nomi. Grazie al sommarsi di que­
sti elementi, le anfore rappresentano un documento insostituibile: la
loro presenza nei contesti di scavo delle ville rustiche ci informa cir­
ca la produzione agricola di un territorio, nel breve come nel lungo
periodo; il loro ritrova111ento nei relitti delle navi affondate testimo­
nia le rotte seguite dai flussi commerciali; la complessa storia dell'im­
ponente approvvigiona111ento alimentare di una città come Roma è
86 LE FONTI ARCIIEOLOGICHE

documentata dall'esistenza di un'altura artificiale, il Testaccio (ovvero


mons testaceus, il monte delle anfore), for111atasi progressivamente
per l'accumulo di oltre quaranta milioni di detriti delle anfore conte­
nenti i prodotti importati e consumati nella capitale tra gli inizi del I
e la metà del III secolo d.C. Non mancano, nella valutazione dei
dati, margini di oscillazione anche a111pi, ad esempio nel caso degli
elementi onomastici, per i quali si discute ancora se identifichino i
produttori piuttosto che i destinatari delle merci contenute in una
determinata anfora. Parimenti il livello assai sofisticato raggiunto dal­
la discussione relativa alla geografia agricola e commerciale dell'Italia,
nel corso dell'età imperiale, può allineare posizioni spesso divergenti
per quanto riguarda il ruolo svolto dalle produzioni di vino locale,
dalle qualità pregiate rispetto a quelle destinate al consumo corrente,
dalla concorrenza delle province nei confronti della penisola: consi­
derati da alcuni come un sintomo dei limiti e dell'inadeguatezza della
documentazione, tali contrasti e incertezze denotano, viceversa, un
orientamento positivo, estremamente vitale e dina111ico della ricerca
che, nella sua stessa provvisorietà, si trova a porsi nuove domande, a
rettificare le proprie prospettive e ad allargare di continuo i propri
or1zzont1.
• •

7 .3. Archeologia e storia sociale: le arti figurative

L'accento posto da alcuni sui limiti intrinseci derivanti alla docu­


mentazione archeologica dalla sua incompletezza e sostanziale parzia­
lità può trovare risposta nella constatazione che molto rara111ente lo
storico ha la fortuna di disporre di documenti esaustivi e che gran
parte della sua opera consiste proprio nel saper procedere per ap­
prossimazioni e nel saper ricondurre a un quadro valido nella breve
o nella lunga durata fenomeni fra111mentari e isolati gli uni dagli altri.
Le stesse riserve che valgono per la documentazione archeologica si
possono applicare anche a gran parte della documentazione scritta
pervenutaci dall'antichità, consistente soprattutto in fonti secondarie,
spesso formatesi sulla base di tradizioni orali rielaborate in maniera
disinvolta dagli stessi autori. Tale consapevolezza delle carenze nella
tradizione narrativa sta alla base della visione sostanzialmente pessi­
mistica che della storia antica aveva uno dei suoi esponenti più criti­
ci, Moses Finley: pur convinto assertore della complementarità di
fonti scritte e archeologiche quali tipi differenti ma integrabili di do­
cumenti storici del passato, e pur riconoscendo a queste ultime la
capacità d'illuminare campi specifici come la tecnologia e l'economia,
Finley ne individuava il limite nell'impossibilità di arrecare contributi
sostanziali per la storia sociale del mondo antico. Come esempio egli
citava il caso della costruzione dell'Eretteo, sull'acropoli di Atene,
cui avevano atteso sia uomini liberi sia schiavi, senza che nulla nei
resti materiali lasciasse trasparire tale distinzione. Senza il fortunato
ritrovatnento di un'epigrafe, tutto ciò sarebbe stato dunque destinato
LE FONTI ARCHEOLC)GICHE 87

a sfuggirci per sempre. Ugualmente, il ritrovamento di un singolo pa­


piro di Ossirinco era bastato a chiarire ciò che un'intera generazione
di studiosi di ceramica non era riuscita a fare, il rapporto all'interno
di un'officina tra proprietario, affittuario e forza lavoro. L'esame degli
oggetti materiali - egli concludeva - non consente, da solo, di ricava­
re una conoscenza completa dell'assetto sociale e delle istituzioni, de­
gli atteggiamenti e delle convinzioni degli antichi: la documentazione
archeologica è, per sua natura, irrimediabilmente muta.
Per quanto senza dubbio fondate, le riserve di Finley non do­
\'Tebbero essere prese troppo alla lettera. Per dirla con una sorta di
apologo, l'importante è che, nel difficile dialogo tra un muto e un
cieco (le fonti archeologiche e quelle scritte) , l'intermediario, owero
lo storico antico, non faccia la parte del sordo. Nessuna fonte ar­
cheologica può rivelarci l'estrazione sociale degli esecutori dell'Eret­
teo, è vero; ma è solo grazie alla lettura dell'apparato figurativo che
siamo in grado di cogliere il messaggio ideologico in un tempio come
il Partenone, l'edificio forse più famoso, certo quello meglio cono­
sciuto di tutta l'antichità. Attraverso le fonti scritte, letterarie ed epi­
grafiche, del Partenone possediamo il nome del committente e degli
artisti ideatori, le date di esecuzione e persino i costi. Sono però le
immagini, pervenute in un raro stato di conservazione, che ci consen­
tono di arrivare alla comprensione del monumento, quale massima
espressione della società ateniese nell'età di Pericle e del suo totale
riconoscersi nell'ideologia politica del difmos, in un momento di asso­
luto equilibrio e consonanza tra l'arte, la letteratura e le altre espres-
,

sioni della società. E stato giustamente osservato che i valori espressi


nell' epitdphios l6gos pronunciato da Pericle per i caduti nella guerra
del Peloponneso (Tue. II, 35 ss.) trovano un esatto corrispettivo nella
processione panatenaica raffigurata sul fregio che correva all'esterno
della cella del tempio. Come ha dimostrato Luigi Beschi, la duplice
teoria di cavalieri, carri e figure sacrificali che in un'atmosfera atem­
porale si snoda lungo i lati del tempio, per ricongiungersi sulla fronte
davanti al consesso delle divinità, risponde a una strutturazione con­
cepita con estremo rigore compositivo e con un sapiente gioco di ri­
spondenze e di intrecci: essa riflette nelle scansioni nu111eriche i due
diversi ordinamenti giuridici e amministrativi che costituivano il fon­
damento della polis, quello anteriore alle riforme democratiche di
Clistene delle quattro tribù e delle dodici fratrie sui lati occidentale e
meridionale, e quello delle dieci tribù introdotte da Clistene sul lato
settentrionale.
Il caso del Partenone e le implicazioni di carattere ideologico e
sociale individuate nell'analisi del monumento ci portano ad affronta­
re un nodo fondamentale: il riconoscimento del fatto che ancora
oggi, nonostante le critiche e i tentativi di ridimensiona111ento, la sto­
ria dell'arte antica occupa un importante spazio all'interno dell' ar­
cheologia e dunque la necessità di definirne il ruolo e la funzione ai

fini di un discorso storico.


88 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

Bifronte per natura, la storia dell'arte antica ha percorso un lun­


go itinerario, che da un lato è passato attraverso una ridefinizione
più a111pia della disciplina storico-artistica in generale e il ripensa­
mento al suo interno del rapporto tra antico e moderno, mentre dal-
1' altro non è rimasta immune dall'aggiornamento dei metodi e delle
problematiche in campo più strettamente archeologico. Anche l' ap­
proccio storico-artistico si presenta dunque rinnovato in profondità e
in grado di apportare sostanziali contributi al processo conoscitivo
del mondo antico. Un ruolo di primaria importanza in tale a111bito
spetta alla lettura contenutistica dell'opera d'arte: nel solco tracciato
dagli studi di Aby Warburg e di Erwin Panofsky la semplice analisi
filologica delle immagini, l'iconografia, deve essere integrata dall 'ico­
nologia, un'interpretazione più a111pia, a spiegarne il significato alla
luce del contesto sociale, politico o religioso dell' a111biente storico
che l'aveva prodotta. Al tentativo di lettura del fregio partenonico,
esemplare in tal senso, se ne possono accostare molti altri, che ci
consentono di cogliere in forma assai penetrante il messaggio insito
in un monumento, nel rapporto tra l' atnbiente e la struttura archi­
tettonica da un lato, tra questa e il suo apparato decorativo dall'altro.
Il caso della Colonna Traiana a Roma è, sotto molti aspetti, analogo a
quello del Partenone greco, un monumento noto da sempre e perve­
nutoci pressoché intatto nella sua collocazione originaria. La recente
rilettura di Salvatore Settis ne ha messo in luce, in tutti i suoi parti­
colari, la sapiente costruzione architettonica, iconografica e iconologi­
ca: il racconto delle due ca1npagne in Dacia che, come in una lunga
pittura trionfale accuratamente impaginata, avvolge in spirali il corpo
della colonna, non rappresenta soltanto una narrazione storica, bensì
definisce un programma politico incentrato sull'immagine del princi­
pe - quale egli stesso aveva costruita e voluta - a esprimere un si­
stema di valori etici volti a farlo divenire esempio perpetuo. Gli scavi
più recenti hanno potuto accertare che, contrariamente a quanto si
pensava in passato, la colonna, preceduta da un grande propileo, co­
stituiva l'ingresso e non il settore terminale del Foro di Traiano. Con
la sua probabile destinazione funeraria, essa veniva dunque a rappre­
sentare il preambolo di un itinerario che, attraverso la piazza e i suoi
monumenti, finiva per concludersi di fronte al tempio dedicato al­
l'imperatore divinizzato, da ricercarsi sul lato opposto, punto di arri­
vo in un percorso allo stesso tempo architettonico e biografico.
Non solo l'iconografia, ma anche lo stile può essere però recupe­
rato a fini storici: nella grande tradizione dell'archeologia <<filologica>>
tedesca, che tanto peso aveva avuto nella formazione di Bianchi Ban­
dinelli, si è a sua volta innestata la lezione storicistica dello studioso
italiano. L'importanza del livello formale, quale espressione collettiva
di a111pi gruppi sociali e di interi ambiti e periodi culturali, è stata
ribadita nello studio dell'arte ufficiale romana da Tonio Holscher.
L'importanza storica dell'arte romana risiede nell'aver saputo creare
un sistema semantico, ovvero nell'aver coniato, mediante l'assunzione
di modelli greci, un linguaggio figurativo destinato a fungere da mez-
LE l'ONTI ARCHEOLOGICHE 89

zo di comunicazione visiva, utilizzabile per la trasmissione di conte­


nuti omogenei e comprensibile su scala universale. Il cosiddetto
•eclettismo>> che la contraddistingue va inteso nel senso di una sele­
zione operata in base ai concetti da comunicare. Le forme stilistiche
che nell'arte greca si erano succedute diacronica111ente (dallo stile ar­
caico a quello severo, al classicismo e quindi all'ellenismo) potevano
essere assunte in forma sincronica a seconda del contenuto che dove­
,·ano trasmettere: la concitazione e il pathos ellenistico servivano per
le scene di battaglia, il decor e la maiestas del classicismo per le rap­
presentazioni ufficiali della vita politica e religiosa, come nell'Ara Pa­
cis augustea, le forme arcaizzanti per personificazioni astratte, poste
al di sopra del tempo storico. A questa scelta, filtrata da criteri se­
mantici, si sovrappone, quale elemento unificante, lo stile di ciascuna
epoca, strettamente connesso ai gusti e alle aspettative dominanti nel­
la committenza. Massima espressione dello stile dell'epoca è lo Zeit­
gesicht (<<ritratto dell'epoca>>), il fenomeno artistico secondo il quale i
ritratti privati di un determinato periodo tendono a modellarsi su
quello dell'imperatore corrispondente, non soltanto per quanto ri­
guarda lo stile, ma nella stessa fisionomia: esprimendo, nell'omologa­
zione fisica all'immagine del principe, la propensione di una società
ad accettare e a interiorizzare i valori politici, etici e ideologici che le
venivano proposti. Come già nell'Atene di Pericle, così nella Roma di
Augusto è possibile cogliere al massimo grado il convergere di più
fattori in un processo che ha, come risultato, una consonanza assolu­
ta tra arte, letteratura e le altre espressioni della società. Significato
delle immagini e valori formali costituiscono i due momenti inscindi­
bili nella lettura che Paul Zanker ha fornito delle manifestazioni figu­
rative di età augustea: alla for111azione di un vasto repertorio icono­
grafico corrisponde il progressivo definirsi di uno stile, ed entrambi
accompagnano le tappe di un processo politico, partito dalla crisi
delle lotte civili che avevano dilaniato la società romana nel I secolo
a.C. e culminato con la definitiva vittoria di Ottaviano sui suoi avver­
sari: il sistema da questi fondato, destinato a trasformare radicalmen­
te la struttura dello stato romano, passa attraverso il recupero dei va­
lori tradizionali della res publica restituta, di cui solo il princeps, nella
sua veste di pater patriae, può costituire il garante. La realizzazione
di un siffatto programma politico, mirante a ristabilire l'ordine socia­
le attraverso il consenso delle varie classi, richiedeva il supporto di
una ponderatissima propaganda, che affidava alla letteratura, ai mo­
numenti e soprattutto al linguaggio visivo il compito di effettuare
una massiccia opera di persuasione. La restaurazione religiosa trova
così il proprio corrispettivo nella costruzione o nella ristrutturazione
degli edifici sacri, mentre il costituirsi di una politica dinastica si con­
cretizza in complessi architettonici come il foro di Augusto o in mo­
numenti come l'Ara Pacis. L'enorme processo di divulgazione dei
modelli risponde all'espressione del consenso nei confronti dei valori
proposti dal principe e trova l'esempio più concreto nell'eno1111e dif­
fusione del ritratto di Augusto, attestata dai n11111erosissimi esemplari
90 LE FONTI ARCl1EOLOGICHE

ritrovati nel vasto arco di tutto l'impero romano, tutti ispirati al me­
desimo prototipo ufficiale. Non è probabilmente un caso se, dopo
l'enfatizzazione ricevuta a fini imperialistici sotto il fascismo e dopo
la svalutazione reattiva di uno storico dell'arte come Bianchi Bandi­
nelli, l'arte augustea abbia nuovamente catturato l'interesse della no­
stra epoca, così sensibile al problema della trasmissione dei modelli
culturali al grande pubblico e al potere delle immagini, qui per la
prima volta sapientemente utilizzate come media per esprimere tutta
la carica di suggestione di cui erano portatrici.

8. Un caso particolare: dall'archeologia cristiana all'archeologia


tardoantica

Un settore disciplinare che, in alternativa, merita di essere citato


come esempio di <<resistenza>> all'integrazione in una prospettiva sto­
rica ad a111 pio spettro è rappresentato ancor oggi dall'archeologia cri­
stiana. Nella sua formazione, la conoscenza delle antichità legate allo
sviluppo e all'affermarsi del cristianesimo segue in linea di massima
le medesime tappe cronologiche dell'archeologia classica, con un'in­
tensa fase di scoperta delle catacombe romane e di avvio degli studi
epigrafici nel corso del XVI e del XVII secolo, con una concreta af­
fermazione dell'interesse per i resti monumentali nel XIX, e infine
con una più decisa definizione dell'autonomia della disciplina nella
seconda metà del medesimo secolo: il tutto contrassegnato da un in­
teresse spiccatamente dogmatico e apologetico.
Il fondamento confessionale che sta alla base dell' autodefinizione
della materia è lo stesso che, nell' a111 bito della storia delle religioni
del mondo antico, tende a dare la preminenza al giudeo-cristianesi­
mo. Oggetto dell'archeologia cristiana sono tutte le evidenze archeo­
logiche e monumentali, comprese in un arco cronologico che dal II
secolo d.C. giunge sino all'epoca alto-medievale, isolabili sulla base
della loro pertinenza alla religione e al culto e solo in via subordinata
ricondotte a un più ampio contesto: seguendo tale criterio, un sarco­
fago, se appartenuto a un defunto di religione cristiana, viene consi­
derato in primis un sarcofago cristiano, e so1a111ente con uno scarto
successivo viene riaccostato alla classe generale dei sarcofagi del me­
desimo periodo e stile. Tale esempio chiarisce il limite maggiore del
settore disciplinare, il quale troppo spesso tende a circoscriversi en­
tro confini sostanzialmente arbitrari rispetto al contesto della società
di appartenenza e allo sviluppo globale del processo storico. Non si
intende con ciò negare né sminuire l'importanza del ruolo svolto dal
cristianesimo nel quadro intellettuale, sociale e politico dell'epoca
tardoantica, bensì ribadire che l'ottica con cui si muovono lo storico
e l'archeologo impegnati nello studio di tale periodo deve essere mol­
to diversa, e volta soprattutto a mettere a fuoco tutti gli elementi di
un'epoca assai complessa e articolata, nella quale la compagine politi-
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 91

ca e sociale riusciranno profondamente rinnovate nel passaggio ali' e­


poca medievale.
Uno dei casi nei quali appare più evidente la necessità di una vi­
sione unificata del problema è l'analisi del difficile rapporto tra arte
ufficiale e arte privata e del per111anere, in quest'ultima, di un lin­
guaggio figurativo in prevalenza legato al repertorio tradizionale. Gli
studi più avvertiti hanno agevolmente spiegato il fenomeno col fatto
che la popolazione, pagana o cristiana che fosse, continuava a usu­
fruire di un apparato decorativo e iconografico ancora legato ai temi
della mitologia classica e della cultura pagana, spesso riutilizzati attri­
buendo loro nuovi e diversi significati, senza che i contemporanei ve­
dessero in ciò alcun motivo di contraddizione intrinseca, come vice­
versa fanno taluni archeologi del nostro tempo. Parimenti, la costru­
zione di nuovi edifici di culto, quali chiese e oratori, si pone all'inter­
no di una linea di continuità nel contesto dell' evergetismo di ambito
urbano, così imperiale come privato, le cui radici rimontavano ben
indietro nei secoli. Altrettanto indicativa infine appare la ridefinizione
della vita cerimoniale nelle città e nella corte imperiale, nella quale si
innesta ora la liturgia della Chiesa, in concomitanza col suo costituir­
si quale istituzione all'interno dello stato.

9. La pratica archeologica: ricognizione e scavo

L'evoluzione teorica nei settori di ricerca che abbiamo sino a que­


sto momento descritto non deve far passare in secondo piano il fatto
che la definizione dell'archeologia come disciplina autonoma resta
pur sempre legata al dato materiale e che gli aspetti opera,tivi costi­
tuiscono un elemento irrinunciabile della sua fisionomia. E dunque
giunto il momento di esaminare il volto pratico della disciplina, nella
convinzione che esso non ne costituisce un aspetto secondario o sem­
plicemente un passaggio obbligato, strumentale al reperimento di
nuovi dati, bensì rappresenti il mezzo conoscitivo primario, indispen­
sabile al suo presentarsi come scienza storica.
Momenti fondamentali su tale versante sono le attività archeologi­
che sul campo, in particolare lo scavo stratigrafico, cui tuttavia, sem­
pre più frequentemente, si va affiancando un'altra for111 a di indagine,
la ricognizione sul terreno dotata di una metodologia precisa e di
una propria autonomia. Le implicazioni di carattere tecnico che cia­
scuno di questi settori comporta hanno inoltre fatto sì che in tali
ca111 pi si avviasse un processo di collaborazione e confronto sempre
più stretto con le scienze sperimentali, dando vita alle nuove aree di­
scliplinari archeometriche.

9 . 1 . La ricognizione archeologica

In Italia i primi passi della ricognizione archeologica risalgono


alla seconda metà dell'Ottocento, quando alcuni tra i più validi ar-
92 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

cheologi dell'epoca, Angelo Pasqui, Francesco Cozza e Francesco


Ga111urrini avviarono il progetto di una Carta Archeologica d'Italia,
mirante a riportare, su una cartografia a 50.000, tutte le emergenze
dei centri antichi e dei territori a essi pertinenti. Quasi contempora­
nea111ente l'archeologo e fotografo inglese Thomas Ashby compiva
nel Lazio una serie di ricognizioni destinate a divenire esemplari. Fu
soltanto nel secondo dopoguerra però, per merito della Scuola bri­
tannica e del suo direttore John Ward Perkins, che venne realizzata
una delle più importanti ricerche sistematiche sull'archeologia del
paesaggio, la ricognizione nel territorio dell'Etruria meridionale, inte­
grata da una serie di scavi in siti etruschi, romani e medievali, e cor­
redata da studi sull'evoluzione dell'ambiente e da ricerche di caratte­
re documentario.
Può persino apparire superfluo il sottolineare l' eno1111e utilità, an­
che dal punto di vista pratico, di un simile tipo di ricerca sul terreno,
soprattutto in paesi archeologica1nente ricchi come l'Italia, dove con
urgenza sempre maggiore si fa sentire la necessità di realizzare una
politica di programmazione territoriale che sappia coniugare le natu­
rali esigenze dello sviluppo economico con l'impostazione di un serio
piano di tutela e di valorizzazione delle emergenze antiche. Va preci­
sato però che limitare gli scopi della ricognizione a tali indiscutibili
vantaggi di carattere funzionale potrebbe comportare il rischio di
uno svilimento della ricerca al livello di una semplice elencazione pa­
trimoniale. Gli interventi più sostanziali nel settore sono andati ov­
viamente ben oltre: soprattutto per merito del dibattito teorico e del­
le esperienze sul campo dell'archeologia anglosassone nell'ultimo do­
poguerra, la ricognizione sul terreno ha saputo guadagnarsi col tem­
po la dignità di disciplina autonoma, in grado di elaborare una meto­
dologia valida ai fini della ricostruzione dei modelli di insediamento
su scala territoriale.
Nella pratica, il field survey consiste in un'indagine capillare sul
terreno, operata da un' équipe di ricercatori di varia for111azione (oltre
ad archeologi, anche geologi e sedimentologi, esperti di fauna e vege­
tazione, ecc.), allo scopo di individuare l'esistenza di uno o più siti
archeologici e di definirne i rapporti reciproci. L'operazione prevede
la raccolta preliminare di tutti i dati riguardanti l'area interessata
(fonti scritte e topografiche, emergenze già note, fotografia aerea e
satellitare e prospezioni) e la valutazione di tutti i fattori caratteriz­
zanti, quali l'aspetto geo-morfologico, la vegetazione, gli interventi
umani, il grado di <<Visibilità>> del materiale e così via. Dal punto di
vista operativo, si inizia quindi col delimitare l'estensione dell'area,
ripartendola in unità di lavoro, i cosiddetti <<transetti>>, in genere ret­
tangoli di forma stretta e allungata, all'interno dei quali la ricognizio­
ne viene effettuata da persone che, disposte a intervalli regolari, per­
lustrano a piedi l'intera unità, con raccolta di ca1npioni significativi
di materiale. In alcuni casi l'alta densità dei documenti può rendere
necessarie indagini di tipo ancor più intensivo, con la scelta di proce­
dere a una campionatura statistica, che in genere può consistere nella
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 93

raccolta totale del materiale in un settore corrispondente a un deci­


mo dell'intero <<transetto>>.
Questo metodo, qui descritto nei suoi termini generali, anche se
ovviamente comporta variazioni e adattamenti alle esigenze dei singo­
li casi, presenta alcuni indiscutibili vantaggi, che talvolta lo rendono
un'alternativa rispetto alla più consueta attività di scavo: molto meno
costoso, esso non apporta nessuna alterazione al tessuto archeologico
indagato, fornendo peraltro una serie d'infortnazioni che interessano
un'area assai più estesa sotto il profilo spaziale e che, in genere, si
dispongono entro un arco cronologico molto più a111pio. Spesso esso
può condurre inoltre a risultati altamente sofisticati: la densità dei re­
perti consente infatti di individuare sulla superficie del territorio tan­
to i siti, intesi come concentrazione ben definita di resti archeologici,
quanto i <<non siti>>, caratterizzati da una frequentazione umana più
sporadica e legata a interventi diversi, quali la caccia, l' alleva111ento,
le attività agricole, e di definirne il rapporto reciproco. In sintesi, la
ricognizione archeologica costituisce un metodo assai valido per rico­
struire la fisionomia del paesaggio nell'antichità. In particolare è stato
privilegiato lo studio del paesaggio agrario, con l'attenzione riservata
alla centuriazione, la divisione della terra coltivabile, un argomento
di cui non può sfuggire l'importanza ai fini della ricostruzione della
storia economica e sociale, e di supplire in tal modo alla reticenza
delle fonti letterarie greche e romane, che ad esso avevano sempre
dedicato uno spazio assai ridotto. Un esempio assai significativo in
tal senso è fornito dalla ricognizione effettuata con l'applicazione di
metodi intensivi dalle università di Bradford e di Cambridge nella
Beozia centro-occidentale. Questa ha rivelato, nell'area indagata, l'e­
sistenza di oltre un centinaio di piccoli siti identificati come fattorie,
databili tra l'età arcaica e quella ellenistica, ben definiti dall'improvvi­
so aumento della densità dei reperti (soprattutto cera111ica e tegole) e
da un <<alone>> di presenze che nella maggior parte dei casi circonda­
va il nucleo centrale dell'insediamento, mentre una fitta serie di inse�
diamenti minori appariva indicativa di una frequentazione occasiona­
le. Il numero dei siti declinava nel periodo successivo (200 a.C. 200 -

d.C. ) , dato questo che sembra essere in accordo con quanto sappia­
mo da alcuni accenni di autori antichi come Polibio, Strabone e Pau­
sania, i quali parlano del declino della produzione agricola in Grecia
nel II secolo a.C. e dello spopolarsi progressivo delle città nel corso
dell'epoca romana. L'interesse della ricognizione non si è però limita­
to alla definizione dell'antico paesaggio agrario: essa ha interessato
anche alcune aree che anticamente corrispondevano a insedia111 enti
urbani, consentendo l'individuazione di almeno tre siti di proporzio­
ni ben più rilevanti, identificabili con le tre città di Thespiai, di Ha­
liartos e di Askra. Conosciuta soprattutto per essere stata la patria
del poeta Esiodo, quest'ultima è stata localizzata, grazie al ritrova­
mento di un'epigrafe, nei pressi del colle di Pyrgaki, dove sono anco­
ra visibili i resti di un'antica torre, forse la medesima vista nel II se­
colo d.C. nel centro ormai deserto dallo scrittore e viaggiatore Pausa-
94 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

nia. La campionatura effettuata ha in effetti confermato che il sito


era abitato sin dagli inizi dell'VIII secolo a.C., che era dotato di una
produzione di ceramica locale e che aveva continuato a vivere sino
agli inizi dell'età imperiale, per essere poi abbandonato. Se, come
sembra, l'identificazione si rivelasse esatta, ne scaturirebbero anche
interessanti considerazioni circa il rapporto che legava Esiodo al pro­
prio villaggio, da lui non amato e maledetto (Opere e giorni 640)
come kak6s (<<esiziale>>) in inverno e argaléos (<<penoso>>) durante l'e­
state: tutto sommato forse esagerava, visto che in realtà il sito, posto
a circa 500 metri sopra il livello del mare, gode attualmente di un
clima così temperato da far apparire ingiustificate le lamentele del
poeta.

9.2. Lo scavo stratigrafico

L'ottimismo con cui i sostenitori della ricognizione topografica


guardano ai risultati della propria attività non può far sottovalutare
l'importanza dello scavo come mezzo di conoscenza più esauriente e
più definitivo di una determinata situazione archeologica. Forzata­
mente assai più limitato nella sua estensione, il moderno scavo strati­
grafico presenta però l'insostituibile vantaggio di leggere in profondi­
tà le vicende di un sito o di un monumento nella successione ordina­
ta degli avvenimenti che ne costituiscono la storia, dalla nascita alle
diverse fasi di vita sino all'abbandono e alla distruzione. Per ripren­
dere una metafora cara agli archeologi, la chirurgia sta alla medicina
come lo scavo sta all'archeologia e, senza nulla togliere alla validità
della diagnostica e dei diversi tipi di terapie, vi sono casi in cui solo
la prima può essere vera111ente risolutiva.
Più volte nel corso di questo testo si è fatto riferimento al pro­
gredire della tecnica dello scavo, non a caso andato di pari passo con
l'affinarsi della problematica archeologica in genere: gli scavi effettua­
ti da Fiorelli a Pompei nella seconda metà del XIX secolo si erano
per la prima volta posti come obiettivo non tanto il frammentario
recupero di opere d'arte quanto la conoscenza e la ricostruzione del­
la storia della città, attraverso la sua urbanistica e lo studio dei suoi
monumenti, affrontando di conseguenza anche il problema della cor­
retta metodologia da applicare a un siffatto tipo di indagine. Spetta
però alla preistoria, e soprattutto alle sue esperienze in a111biente bri­
tannico, il merito di aver gettato in forma più sistematica le basi del­
le moderne tecniche, grazie a pionieri come il generale Augustus H.
Pitt Rivers, il primo ad aver fatto ricorso a metodi quali la ricogni­
zione, la documentazione grafica e fotografica, la raccolta completa
del materiale e soprattutto la tecnica stratigrafica, trasferendo alla ri­
cerca archeologica la propria esperienza di militare. La stratigrafia
rappresenta senza dubbio la conquista più importante dell' archeolo­
gia sul campo. Fondata su principi tratti dalla geologia, secondo i
quali l'azione degli agenti naturali, mediante processi di erosione e di
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 95

accumulo, determina la formazione di strati nel terreno e nelle rocce,


essa parte dalla constatazione che l'uomo, nel corso della propria sto­
ria, ha provocato effetti analoghi, ma assai più complessi, mediante
interventi artificiali sull'ambiente: tali interventi, siano essi stati di ad­
dizione o di sottrazione, di costruzione o di distruzione, hanno co­
munque lasciato traccia di sé nel terreno in strati antropizzati, ca­
ratterizzati dalla presenza dei documenti materiali che costituiscono il
prodotto diretto dell'attività umana. La stratificazione archeologica
altro non è dunque se non la sequenza degli strati acc11111ulatisi nel
corso del tempo per effetto di tali interventi, con momenti di pausa,
corrispondenti alle fasi di vita di un insediamento o di un singolo
edificio, e rappresenta, come tale, uno specchio oggettivo della sua
storia. Di qui il profondo ribaltamento concettuale determinato negli
studi archeologici dall' affer111arsi del procedimento stratigrafico, in
virtù del quale oggetto della ricerca cessa di essere il recupero di un
singolo monumento o di un complesso antico, per divenire viceversa
la ricostruzione della storia dell'attività 11111ana che attraverso quello
stesso monumento s1 esprlffi e .
• •

L'evoluzione dello scavo stratigrafico nel corso del nostro secolo


rispecchia i tentativi di conferire a tale procedimento un'attendibilità
sempre maggiore e di assicurargli la dignità di metodologia scientifi­
ca, maturata empiricamente attraverso la diretta esperienza sul ca111-
po. Al metodo elaborato negli anni Quaranta da Mortimer Wheeler,
che consisteva nella ripartizione dello scavo in quadrati regolari, se­
parati da porzioni di terreno non scavate (i cosiddetti <<testimoni>>) e
che privilegiava il riconoscimento della sequenza stratigrafica attra­
verso sezioni verticali, si preferiscono oggi nuove strategie, quali lo
scavo per grandi aree, escogitato e codificato nei suoi fonda111enti
teorici da Edward Harris, basato su un'indagine estensiva delle strati­
ficazioni orizzontali e applicabile con successo sia alle complesse si­
tuazioni di archeologia urbana sia agli insediamenti nel territorio.
Secondo i principi dello scavo, componenti fondamentali della
stratificazione archeologica sono le unità stratigrafiche, concrete o
immateriali, positive o negative che siano: le positive rappresentano
la testimonianza concreta di un processo di accumulo o di costruzio­
ne (un muro, un tetto, un mucchio di riempimento); le negative, ben
riconoscibili anche se impalpabili, sono fo1111ate dall'uso e dalla di­
struzione (ad esempio dallo scavo di una fossa o dall'erosione, natu­
rale o artificiale, subita da una struttura) . Compito di chi scava è sta­
bilire l'esatta sequenza della stratificazione acc11111ulatasi nel tempo,
prima distinguendo fra loro le varie unità e quindi ponendole in rela­
zione le une con le altre. All'atto pratico è necessario procedere al­
l'individuazione di ciascuna unità e asportarla, a partire dalla più re­
cente (quella cioè che ricopre tutte le altre senza essere coperta da
nessuna) sino alla più antica, ricostruendo così a ritroso il succedersi
delle vicende del monumento o del sito sottoposto all'indagine. Biso­
gna dunque saper riconoscere, attraverso i ca111 biamenti di colore e
di consistenza del terreno, i limiti dell'unità, per poterla isolare e sca-
96 LE FON'fl ARCHEOLOGICHE

vare, dopo averla accurata111ente documentata: è questa la maggiore


difficoltà oggettiva nella tecnica di lettura orizzontale, e la sua realiz­
zazione positiva dipende in larga misura dall'esperienza e dall'atten­
zione che l'archeologo ripone in tale operazione. Raccolta del mate­
riale e doc11111entazione rappresentano due aspetti fondamentali nella
pratica di scavo, sui quali sarà necessario insistere a lungo: ciascuno
scavo, quanto più se ben fatto, rappresenta infatti un intervento radi­
cale che distrugge in maniera irreversibile una situazione forn1atasi .
storicamente e che è indispensabile perciò registrare con la massima
cura possibile, attraverso la documentazione sia scritta "'.""" ovvero con
la redazione di schede predisposte per un'elaborazione informatica -,
sia grafica (piante, sezioni e prospetti), sia fotografica. Il materiale
contenuto in un'unità stratigrafica, in particolar modo la ceramica,
costituisce la fonte d'infortnazione primaria circa la cronologia relati­
va della singola unità e la cronologia assoluta della stratificazione e,
per tale ragione, deve essere · raccolto in forma integrale e sistematica.
Alla fase analitica di documentazione, di asportazione e di raccolta fa
seguito, attraverso vari passaggi, q�ella sintetica: in una prima tappa
le singole unità andranno considerate nella loro relazione fisica (che
può essere di sovrapposizione, di correlazione oppure di non rappor­
to) e temporale (di anteriorità, di contemporaneità o di posteriorità) :
in questa fase è consigliabile far uso di un <<diagramma stratigrafico>>,
detto matrix, elaborato da Harris allo scopo di visualizzare in for111a
schematica la sequenza stratigrafica, mediante la riduzione a simbolo
numerico delle singole unità e il loro collegamento reciproco per li­
nee orizzontali o verticali, come in una specie di albero genealogico.
Ciascuna unità costituisce l'equivalente di una singola azione e una
serie di azioni coordinate tra loro corrisponde a un'attività. La se­
conda fase prevede pertanto il raggruppamento di più unità solidali
tra loro in <<attività>>, espresse in un diagramma ancor più sintetico e
riferibili a un evento particolare, di cui sarà possibile stabilire una
cronologia assoluta, partendo da quella relativa dei singoli strati. La
terza fase, che contempla la sintesi delle <<attività>> in un <<periodo>> o
in un <<avvenimento>>, dovrà alla fine condurre alla ricostruzione
completa degli eventi succedutisi nel sito e potrà a questo punto av­
valersi dell'integrazione con altre fonti, epigrafiche e letterarie, che ci
aiutino a definirli storica1nente.
La nuova coscienza con cui gli archeologi affrontano il proprio
ruolo rende prioritaria la consapevolezza delle ragioni in base alle
quali si effettua uno scavo. La decisione di intervenire sul terreno è
spesso dettata da esigenze di tutela, allo scopo di procedere al salva­
taggio di un deposito in procinto di essere distrutto - come di fre­
quente si verifica con i cantieri edilizi in ambito urbano oppure a
seguito delle attività agricole in ambiente rurale. Altre volte, e sono i
casi più fortunati, lo scavo può essere progra111mato: vale a dire rea­
lizzato senza limiti di tempo e con un adeguato sostegno finanziario,
e prolungato sino al raggiungimento di una conoscenza totale del sito
sottoposto all'indagine. In un siffatto caso, è più che mai necessario
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T_\ \' . 1 . H. Dressel, La tipologia delle anfore ( CIL XV, 2, tav. II ) .


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TAv. 2 . Pithekusa. Necropoli di San Montano. Tomba 168. La kotyle 9 ( nota come <<coppa di Nestore>> ) reca l'iscrizione riprodotta
al cap . IV, tav. 7 .

Fonte : D. Ridgway, L 'alba della Magna Grecia, Milano, Longanesi, 1 9922, fìg. 8.
T.\v. 3. Lékythos a figure nere: scene di tessitura. New York, Metropolitan Museum of Arts.

Fon(e: G. Duby, M. Perrot e P. Schmitt Pantel (a cura di), Storia delle donne. I: I.:Anti­
d:Jità, Roma - Bari, Laterza, 1 99 1 , fig. 35.
FA U N A

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TA v . 4. Modello di un sistema socioculturale di Clarke.

Fonte: A. Guidi, Storia della paletnologia, Roma - Bari , La terza , 1 988, fìg. 1 6 .
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T .-\ V . 5 . Roma: Foro Romano. Lapis Niger. Disegno r1costrutt1vo.


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Fonte: F. Coarelli, Il Foro Romano . I : Il periodo arcaico, Roma, Quasar, 1983 .



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TAv . 6. Tipologia di alcune forme della sigillata italica.

Fonte: Enciclopedia dell'arte antica. Atlante delle forme ceramiche, Roma, Ist. dell'Enciclope­
dia Italiana, 1982, vol. II, tav. CXXVII.
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TA v , 7 . Il diagramma stratigrafico di Harris .

Fonte: E. Harris, Principles o/ Archaeological Stratigraphy, London, Academic Press, 1989, fìg. 21.
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LE FONTI ARCHEOLOGICHE 105

partire dalla fo1111ulazione di un problema storico preciso. L'iniziativa


internazionale patrocinata dall ' Unesco a Cartagine, con il coinvolgi­
mento contemporaneo di équipes di scavo provenienti da diverse na­
zioni, aveva come scopo non soltanto riportare alla luce le vestigia di
un 'antica metropoli, ma soprattutto di riaffrontare su più a111pie basi
la conoscenza di un centro politico di estrema importanza nella sto­
ria del mondo mediterraneo, del quale le fonti letterarie ci fornivano
una rappresentazione parziale e per molti versi tendenziosa. Gli in­
terventi non si sono pertanto limitati all'indagine nel centro monu­
mentale né a un particolare momento storico, bensì, abbracciando un
ampio spettro cronologico che dalla città punica giungeva alla colo­
nia romana, hanno interessato anche le strutture portuali, l'edilizia
privata, i santuari e l'assetto del territorio con le sue attività produtti­
\'e. In Italia, lo scavo pilota condotto dall' équipe di Andrea Carandini
nella villa di Settefinestre, nel territorio della colonia latina di Cosa,
si proponeva d'indagare l'evolversi di una struttura rurale in rappor­
to alle vicende di un centro urbano già ben conosciuto dal punto di
vista archeologico e, soprattutto, di analizzare attraverso un modello
ca111pione il sistema di produzione agricolo nella regione tirrenica,
con il passaggio dalla piccola proprietà terriera, che contraddistin­
gueva l'impianto coloniale, alla grande proprietà basata sullo sfrutta­
mento schiavistico e caratterizzata - a livello di paesaggio agrario -
dalla diffusione della villa rustica. Questa esperienza è stata il punto
di riferimento per tutta una serie di indagini successive condotte con
i medesimi criteri: recentissima è l'edizione della Meta Sudans, la fon­
tana che sorgeva a Roma accanto ali' arco di Costantino, il cui scavo
ha fatto nuova luce sulle complesse vicende urbanistiche anteriori e
posteriori all'incendio neroniano.
A queste for111e di intervento si affiancano gli scavi nelle aree ur­
bane, tanto più complessi in quanto si trovano a dover affrontare e
risolvere in maniera equilibrata la convivenza, spesso assai difficile,
tra l'emergenza monumentale antica e il contesto moderno e contem­
poraneo. Caratteristica dell'archeologia urbana è soprattutto l' atten­
zione rivolta a tutti i momenti di vita del monumento, procedendo a
ritroso da quelli più recenti a quelli più antichi: l'esperienza esem­
plare condotta a Roma con lo scavo della Crypta Balbi, un porticato
annesso al teatro eretto in epoca al1gustea da Gaio Balbo, ha portato
all a luce la stratificazione bimillenaria di un'area che da sempre aveva
fatto parte del centro urbano e ha reso necessario il coinvolgimento
di numerosi specialisti, architetti e urbanisti, studiosi di storia e ar­
cheologia medievale, esperti di topografia nell'ambito di un progetto
di lettura e valorizzazione globale di un monumento della città.

1 0. L'archeologia subacquea

Una menzione merita anche l'archeologia subacquea, un settore


che nel corso degli ultimi decenni ha conosciuto un rilevante incre-
106 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

mento, soprattutto in Francia e in Italia, e si è guadagnato un'ampia


popolarità in quanto protagonista di alcuni spettacolari recuperi di
opere d'arte: ad esempio la nave naufragata nel mare greco ad Anti­
citera, con un prezioso carico di sculture databili a partire dal IV
secolo a.e., o le due ormai famosissime statue bronzee di Riace. Al
di là di questi episodi, l'importanza dello scavo archeologico sotto­
marino risiede nella sua fisionomia particolare di tecnica volta al re­
cupero di giacimenti sommersi. In molti casi può trattarsi di siti che
un tempo erano alla luce del sole e che per effetto di eventi naturali
sono stati poi ricoperti dall'acqua, per insabbiamento, nel caso delle
strutture portuali di Ostia o di Marsiglia, per bradisismo a Baia, nei
pressi di Napoli, oppure per calamità quali esplosioni vulcaniche e
terremoti, come quello che nel 373 a.e. annientò l'intera città di Eli­
ke in Acaia. Uno dei principali capitoli dell'archeologia subacquea ri­
guarda però il recupero dei relitti delle navi naufragate, un documen­
to di eccezionale interesse per la storia economica e, in subordine,
per la storia della tecnologia antica. Un relitto rappresenta infatti un
giacimento chiuso e determinato nel tempo, giustamente definito
come una sorta di foto ricordo che ha <<cristallizzato al momento del
naufragio un processo economico in movimento>>. La maggior ca­
pienza delle navi e il minor costo rendevano il trasporto marittimo
netta111 ente competitivo, malgrado i rischi, rispetto a quello terrestre.
Lo scavo di un relitto ci consente dunque di seguire le antiche rotte
commerciali e di esaminare il quadro complessivo delle merci tra­
sportate nei vari periodi: oltre agli oggetti che costituivano l' equipag­
giamento della nave e alle armi, spesso utilizzate dagli stessi marinai
per difendersi dalla pirateria, le merci andavano dalle opere d'arte,
legate al fenomeno del collezionismo antico, ai materiali architettoni­
ci, dai prodotti esotici alle derrate alimentari - grano, olio e vino. Le
anfore entro le quali i prodotti venivano trasportati costituiscono il
documento guida che consente sia l'individuazione del carico sul fon­
do marino, sia la sua datazione e, allo stesso tempo, l'elemento per
l'acquisizione di preziosi dati cronologici e quantitativi, di cui si è già
menzionata l'importanza dal punto di vista economico.

1 1 . L'archeometria: scienze applicate e archeologia

Il netto salto di qualità verificatosi nei metodi della ricognizione


topografica e nelle tecniche dello scavo stratigrafico ha determinato
anche rilevanti conseguenze di carattere generale nella definizione di
un nuovo concetto di archeologia: è proprio in tale campo che si è
avviato un processo di superamento della tradizionale frattura fra
scienze umane e scienze sperimentali, attraverso la collaborazione di
archeologi operanti sul terreno con ricercatori scientifici. Una seria
indagine topografica non può infatti prescindere dallo studio dei suo­
li, delle formazioni geologiche e dei sedimenti che definiscono un
paesaggio, così come lo studio dei manufatti può essere enormemen-
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 107

te arricchito da una serie di analisi chimiche e fisiche che ne rive­


lassero la composizione, la provenienza e, in alcuni casi, la datazione.
Si è venuto dunque sviluppando un nuovo tipo di disciplina che ab­
braccia l'insieme delle ricerche scientifiche applicate all'archeologia,
definita <<archeometria>>, un termine comprensivo di tutti i metodi ar­
cheologici basati su dati misurabili.
L'archeometria si occupa tanto dei fenomeni derivanti da cicli na­
turali che esistono a prescindere dall'attività umana, come le trasfor­
mazioni climatiche, geologiche e biologiche, quanto dei manufatti,
ovvero degli oggetti direttamente prodotti dall'uomo. In entrambi i
casi ci si trova di fronte a sterminate possibilità di applicazione, solo
in parte riassumibili, e di cui è facile comprendere l'importanza ai
fini della ricostruzione storica, soprattutto dal punto di vista econo­
mico e sociale.
Come si è ripetuto più volte, la definizione dell'esatta cronologia
di un manufatto costituisce un indispensabile punto di partenza per
la ricomposizione di un contesto e ha sempre rappresentato una
componente primaria nella ricerca archeologica. Non fa dunque me­
raviglia se il campo degli interventi che consentissero di addivenire
alla datazione sia di reperti naturalistici, come legni carbonizzati o
ossa animali, sia dei manufatti, sia stato uno dei primi cui gli archeo­
logi abbiano rivolto la propria attenzione. Le prime analisi effettuate
nel ca111po, quelle con il radiocarbonio 14, si sono rivelate però di
scarsa utilità per i reperti di epoca storica, in quanto i risultati pre­
sentavano margini di oscillazione cronologica ( ± 100) superiori a
quelli che si potevano raggiungere con i più tradizionali metodi di
datazione tipologica e stilistica dei reperti medesimi. Possibilità di ri­
sultati più precisi sono offerte attualmente dall'archeomagnetismo,
fondato sul calcolo della perdita di intensità magnetica che un ogget­
to subisce a partire dal momento della sua fabbricazione: con un' o­
scillazione di ± 10 o al massimo di ± 25 anni, a seconda delle varia­
zioni subite dall'intensità del ca111po magnetico nelle varie epoche o
in diverse regioni. Un metodo di recente applicazione è, infine, la
dendrocronologia che, basandosi sullo studio degli anelli di accresci­
mento degli alberi, per111ette di stabilire il periodo durante il quale
un albero è vissuto e addirittura di precisare l'anno e la stagione in

cui è stato abbattuto. Ciò ha consentito di elaborare serie dendrolo­


giche ad ampio spettro, distinte per tipi di vegetazione e per aree
geografiche, che offrono datazioni precise, qualora sia possibile anco­
rare anche un solo elemento a un punto di riferimento cronologico
assoluto, oppure cronologie relative, provvisoria111ente sostenute da
altri metodi di datazione. Sinora, almeno in Italia, il metodo si è rive­
lato alquanto fruttuoso nel campo dell'archeologia preistorica e di
quella medievale, dove l'analisi di legname proveniente da edifici da­
tati con estrema precisione ha fornito elementi sicuri per risalire al­
l'indietro anche nelle datazioni di serie anulari vecchie di secoli. Le
1 08 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

sue potenzialità sono destinate ad a111nentare in progressione geome­


trica con l'estendersi della sua applicazione al maggior numero possi­
bile di reperti e con le conferme derivanti dal sovrapporsi dei singoli
dati.
Le possibilità di intervento delle ricerche archeometriche non si
limitano però, com'è ovvio, alla sola definizione cronologica. L'ar­
cheozoologia, attraverso l'esame osteologico dei reperti ossei, fornisce
importanti dati di carattere economico, relativi alle specie animali e,
di conseguenza, all'allevamento e alla quantità di carne consumata in
deter111inate aree. Informazioni circa l'alimentazione degli antichi ci
vengono anche dalla paleobotanica, dalla quale si possono inoltre de­
durre notizie sulle condizioni climatiche, sull ' ambiente e sul paesag­
gio agrario di una regione. L'analisi degli scheletri t1111ani è in grado
di informarci sul sesso, sull'età e sulla conformazione fisica di un in­
dividuo, sulle malattie che lo avevano colpito e addirittura, nei rari
casi in cui le indagini lo abbiano consentito, sulla detern1inazione del
gruppo sanguigno: tutti elementi di straordinario interesse, che apro­
no campi di ricerca impensabili sino a poco tempo fa, con la possibi­
lità di fornire dati di prima mano a una storia della medicina antica
o di allargare il panora111 a della storia economica a temi come il po­
pola111 ento demografico o la storia dell' ali111entazione.
Un ulteriore ca111po d'indagine è costituito dalle analisi di labora­
torio praticate sui manufatti antichi, al fine di deter111inarne la prove­
nienza o la tecnica di fabbricazione. Tali analisi sono spesso in grado
di seguire la storia di un oggetto, dall'estrazione delle materie prime
necessarie alle tecniche usate nella sua fabbricazione e alle alterazioni
subite in seguito al suo interro. Si è potuto constatare che in genere
gli antichi erano in grado di effettuare una scelta ottimale del mate­
riale rispetto alle risorse di un territorio e di mettere in atto sofi­
sticati accorgimenti tecnici per ottenere risultati di estrema raffina­
tezza: è il caso della diversa colorazione ottenuta in fase di cottura da
alcuni tipi di ceramica, come il bucchero etrusco o la ceramica greca
a figure nere e rosse. Si tratta di procedimenti basati su conoscenze
empiriche, maturate e tramandatesi nel corso di millenni, prima di
essere spazzate dalla rivoluzione industriale del secolo scorso, in mol­
ti casi definitiva111ente. Altre analisi, come la fluorescenza RX, l' atti­
vazione neutronica o la microsonda, ci rivelano con estrema precisio­
ne le aree di provenienza delle cera111iche, non altrimenti determina­
bili su base tipologica o stilistica, e gettano così ampi squarci di luce
sui flussi commerciali antichi. Uno degli esempi più interessanti in
tale ambito è costituito dai vasi in ceramica <<aretina>>. Nel caso di un
ceramista di nome Ateius, l'analisi delle argille ha consentito di ac­
certare il luogo di fabbricazione dei vasi contrassegnati da questo
marchio: si è potuto così stabilire che Ateius, intorno al 25 d.C., ave­
va trasferito la propria fabbrica da Arezzo in Galli a, nel sito di La
Graufesenque, e che possedeva inoltre succursali a Pisa e Lione.
LE FONTI ARC�1EOLOGICHE 1 09

1 2. Archeologia e informatica

Resta infine da accennare all'incontro tra scienze dell'antichità e


informatica, un tema che, nel corso degli ultimi anni, è andato pro­
gressiva 111ente incrementando il proprio sviluppo e conosce ormai
ca111pi di applicazione assai diversificati. In linea generale è ormai ac­
quisito come l'uso del computer faciliti l'ordinamento e la messa in
relazione di grandi masse di dati, con il veloce calcolo di frequenze,
di ricorrenze e di distribuzioni. In campo archeologico l'organizza­
zione delle informazioni attraverso banche-dati si è rivelata di gran­
de utilità soprattutto per quanto riguarda l'ordinamento dei dati di
scavo (analogamente a quanto, in ca111pi disciplinari affini, è stato fat­
to per gli archivi delle fonti classiche, epigrafiche, ecc.). Grazie a si­
stemi in grado di recepire contestualmente i dati alfan11111erici, quelli
grafici e le immagini, si è oggi in grado di gestire in modo rapido,
razionale ed efficiente l'enorme massa di informazioni prodotte da
uno . scavo archeologico. Ottimi risultati si sono ottenuti inoltre per
ciò che attiene alla topografia, soprattutto nel caso dello studio dei
centri antichi (a partire da quelli di Atri o di Cerveteri) con l' elabo­
razione di una cartografia analitica in combinazione con la fotogra111 -
metria, nella redazione della Carta Archeologica d'Italia. Ancora uti­
lissima si è rivelata l'informatica per le seriazioni cronologiche per
classi specifiche, ad esempio le anfore commerciali romane o gli sky­
phoi protocorinzi. In brevissimo tempo dunque le discipline informa­
tiche sono divenute uno strumento indispensabile per ogni forma
progra111mata di conoscenza e di fruizione del patrimonio archeologi­
co, la cui ricaduta iI11111ediata, nel caso dell'analisi di un'unità territo­
riale, può tradursi in interventi di tutela più esaustivi ed efficaci: con­
dizione base è però l'adozione di un linguaggio infor111atico inter­
sca111biabile e di una metodologia comune di reperimento dei dati.
D'altro lato, il rapidissimo sviluppo di sistemi di comunicazione in­
formatica attraverso Internet sta radicalmente trasfo1mando anche le
forme di divulgazione e di sca111bio dei dati archeologici su scala in­
ternazionale.

1 3. Conclusioni

Se il quadro che è stato sinora tracciato ci ha presentato una di­


sciplina dina111ica, in atto di interrogare se stessa e di scoprire ogni
giorno nuove frontiere con cui misurarsi, è pur vero che esso merita
un breve bilancio finale. L'esplosione tecnologica dei nostri tempi,
traumatica per chiunque si sia trovato generazionalmente a cavallo di
un'epoca balzata di botto dal pennino al computer, si è rivelata bru­
sca soprattutto per la figura dell'archeologo, for111atosi nel familiare
alveo delle discipline umanistiche e trovatosi all'improvviso ad af­
frontare il continuo affinarsi dell'archeologia sul piano tecnico, l'im­
patto con le discipline scientifiche e con il loro bagaglio teorico o,
1 10 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

ancora, il confronto con le più agguerrite scienze sociali. Il processo


di definizione di una nuova identità professionale è stato tutt'altro
che indolore e ancora oggi non può dirsi del tutto risolto. Esso pre­
suppone infatti una duplice presa di coscienza, interna ed esterna: la
prima che consenta di rispondere alla domanda fondamentale relati­
va alle ragioni per le quali si faccia dell'archeologia e quali siano gli
obiettivi della disciplina; la seconda che permetta di definire le nor­
me di comporta111ento da seguire nei rapporti che esso va di volta in
volta instaurando con i diversi campi disciplinari, rispettandone l' au­
tonomia, accettandone i vantaggi, fissando i reciproci limiti.
Il problema è di particolare attualità per quanto riguarda i rap­
porti con l'informatica e con le scienze esatte. La mancanza di fami­
liarità col linguaggio scientifico non deve costituire un pretesto per
negare la validità dell'utilizzo di siffatte procedure, allo stesso modo
in cui, viceversa, i risultati spesso mirabolanti che si ottengono per
loro tramite non devono indurre a facili trionfalismi. Per quanto ri­
guarda l'uso dell'informatica, la questione fondamentale sta nel valo­
re da attribuire ai modelli interpretativi da essa prodotti, se applicati
a una determinata realtà. I computer non pensano e sarebbe dunque
errato riporre un'eccessiva fiducia nelle capacità predittive dei sistemi
di intelligenza artificiale. Le più raffinate elaborazioni matematiche e
statistiche non suppliscono necessariamente ai limiti dei modelli stes­
si, i quali, in definitiva, non fanno altro se non seguire i successi e i
fallimenti dei modelli interpretativi della storia o della vita elaborati
dalla mente umana.
Per quanto riguarda l'archeometria, è necessario innanzi tutto te­
nere conto di alcuni ostacoli oggettivi, determinati, soprattutto in Ita­
lia, dalla carenza di figure professionali e di un'adeguata programma­
zione, nonché dai costi proibitivi di attrezzature e di procedimenti,
che rendono utopistico pensare a una loro applicazione estensiva.
Anche in questo caso però bisogna avere ben presenti i limiti intrin­
seci della disciplina: l'archeometria non fa altro che offrire dati tecni­
ci, resi attendibili solo dalla serietà con cui l'analisi è stata effettuata,
e di per sé non fa storia. Spetta all'archeologo prendere atto dei ri­
sultati, riportarli al contesto archeologico da cui provengono e sapere
estrarre le risposte di tipo storico che da essa si possono ricavare.
Più complessi sono i problemi connessi con lo scavo stratigrafico,
una questione <<interna>> alla materia, nella misura in cui l'archeologo,
pur confrontandosi di volta in volta con altre figure professionali, ne
resta l'indiscusso responsabile e protagonista. Il grosso sforzo di in­
quadramento teorico affrontato in tale settore, con l'elaborazione di
norme rigorose di comportamento e di vere e proprie leggi della
stratigrafia, ha senza dubbio dato i suoi frutti e oggi lo scavo rispon­
de a principi generali in grado di assicurargli il valore di disciplina
<<filologica>>. Se è bene che esso parta dalla formulazione di domande
precise, è altrettanto importante non attendersi risposte precostituite:
l'indagine costituisce una fonte di conoscenza autonoma, tale da por­
re problemi interpretativi al pari di una fonte scritta, e accade spesso
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 111

che i dati da essa tratti pongano a loro volta ulteriori quesiti, spesso
del tutto divergenti dai presupposti iniziali.
La crescente attenzione rivolta al contesto ha fatto sì che anche la
classificazione tipologica del materiale raggiungesse con il tempo alti
parametri di validità, trascinando con sé una definizione sempre più
articolata della cronologia.
Si sono venute in tal modo definendo nell' a111 bito della disciplina
alcune <<aree di oggettività>>, individuate, all 'esterno, nell'apporto del­
le scienze esatte e, all'interno, nella metodologia dello scavo, nella ti­
pologia e in alcune datazioni assolute, sulle quali appare opportuno
esercitare un'adeguata riflessione. Nessuna tecnica, per quanto raffi­
nata, può infatti vantare un'oggettività assoluta: l'attendibilità dei dati
archeometrici dipende essenzialmente dalla serietà con cui l'analisi è
stata effettuata. La neutralità delle scienze è un'illusione, tanto più
forte nel ca111 po dell'archeologia, la quale resta, e deve sempre re­
stare, una disciplina umana, senza permettere che il pur indispensa­
bile aspetto tecnico, con le garanzie di scientificità che sembra pro­
spettare, arrivi a condizionare gli indirizzi di fondo della ricerca. Non
si intende con ciò mettere in dubbio la validità né la sostanziale au­
tonomia di queste aree disciplinari; ricorrendo a un gioco di parole,
è necessario trovare l'equilibrio volto a impedire di strumentalizzare
quelli che comunque devono rimanere solo strumenti di lavoro. Tali
cautele toccano anche il versante interno dell'archeologia. L'esperien­
za ha dimostrato che una tipologia può essere continua111 ente modifi­
cata e una cronologia, per quanto precisa, può essere continuamente
rimessa in discussione. Per quanto riguarda la stratificazione, è chiaro
che essa costituisce di per sé un dato oggettivo e rappresenta una
fonte primaria di informa?ione sull 'antichità, non inferiore per valore
a un documento scritto. E altrettanto vero però che essa non riflette
in maniera meccanica la società e le vicende che l'hanno prodotta.
Come nella lettura di un racconto, il letteralismo non va sostituito
all'interpretazione: con la fonte scritta la stratificazione condivide la
duplice ambiguità derivante da un lato dalle dinamiche della propria
formazione, dall'altro dalla soggettività dell'occhio di colui al quale
spetta il compito di leggerla e interpretarla.
In conclusione, tocca tornare alla questione di base, vale a dire
alla presa di coscienza delle ragioni per cui si pratica la disciplina
archeologica e i risultati che ci si attende da essa. Quando si parlava,
nelle pagine precedenti, di regole da instaurare nel rapporto tra ar­
cheologia e discipline esterne, non si è fatta menzione della storia an­
tica. L'omissione era voluta, nella misura in cui si ritiene che tale rap­
porto costituisca un problema squisitamente interno all' ant!chistica, e
ne rappresenti sotto ogni aspetto il nucleo fondamentale. E pertanto
necessario liberarsi dalla pregiudiziale secondo cui esistono discipline
<<ausiliarie>> della storia antica e l'archeologia è tra queste. In realtà
esistono soltanto fonti diverse, letterarie, documentarie e materiali,
ciascuna delle quali deve essere utilizzata seguendo la metodologia
più congeniale, senza che nessuna debba vantare primati di tipo ago-
1 12 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

nistico: <<paradossalmente>>, per citare Ettore Lepore, <<una visione


diacronica o sincronica dei fatti non appartiene né all'una né all'altra,
se singolarmente prese>>.
Accomunate nei medesimi fini, fonti archeologiche e fonti scritte
condividono limiti che, almeno in parte, sono propri di qualunque
ricerca storica. Lo storico di età medievale o moderna potrà disporre
di una documentazione più ricca, di fonti più dirette e di archivi più
completi, ma ciò non comporta che· sia in grado di fornire certezze e
il compito di far parlare i dati passa, anche nel suo caso, attraverso
un'ottica che rimane pur sempre soggettiva, personale, influenzata
dalla scuola di pensiero e dalle problematiche tipiche dell'epoca in
cui egli vive. Le medesime considerazioni valgono per lo storico del-
1' antichità, con l'aggravante che a questi tocca misurarsi con una do­
cumentazione assai più rarefatta e lacunosa, una sorta di mosaico
dove molte tessere sono andate perdute. Il fatto che oggi l' archeolo­
gia si trovi nelle condizioni privilegiate di supplire in misura crescen­
te nuovo materiale da sottoporre alla riflessione storica non le confe­
risce peraltro alcun primato epistemologico. L'importante è soltanto
che le domande di tipo storico e i tentativi di risposta ad esse forniti
rimangano all'interno di una comune area di ricerca, dando per
scontato che ogni nuovo apporto alla doc11111entazione, da qualsiasi
fonte esso giunga, possa intervenire a modificare i presupposti da cui
si era partiti: la diversità tra le figure istituzionali dello storico e del-
1' archeologo non deve portare a una frant11111azione della disciplina
che mantiene una problematica comune. Importante è avere ben pre­
sente a quale tipo di storia ci si intende rifare: non più storia di fatti,
bensì storia della sfera più generale dei comporta111 enti 11111ani, siano
essi di tipo sociale, economico, ideologico o più semplicemente isti­
tuzionale.

1 4. Bibliografia

In generale, per la storia dell'archeologia e i suoi rapporti con la


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ford, Clarendon Press, 1947 (per quest'ultima classe di materiale si
veda anche M. Martelli (a cura di), La ceramica degli Etruschi. La pittura
vascolare, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1987) . Per il flusso
commerciale della ceramica greca, J. Boardman , The Greeks Overseas.
Their Early Colonies and Trade, London, Thames & Hudson, 1980,
trad. it. I Greci sui mari. Traffici e colonie, Firenze, Giunti, 1986.
Per una discussione globale sui problemi della colonizzazione
greca in Occidente, si vedano essenzialmente gli atti dell'incontro di
studi di Napoli - Ischia (29 febbraio - 2 marzo 1968) in <<Dialoghi di
Archeologia>>, 3 ( 1 969), pp. 1-234; inoltre, Les céramiques de la Grèce
de l'Est et leur di/fusion en Occident, Centre Jean Bérard, 6-9 luglio
1976, Paris - Napoli (Colloques CNRS, 569), 1978; i due volumi
Contribution à l'étude de la société et de la colonisation eubéennes,
Napoli (Cahiers du Centre Jean Bérard, 2), 1975 , e Nouvelle contri­
bution à l'étude de la société et de la colonisation eubéennes, Napoli
1 14 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

(Cahiers du Centre Jean Bérard, 6), 198 1 . Per la precolonizzazione e


per le presenze micenee in Italia, al vol11111e di W. Taylour, Mycenean
Pottery in Italy and Adiacent Areas, Cambridge, Cambridge Universi­
ty Press, 1958, ha fatto seguito una nutritissima serie di studi, per i
quali si vedano essenzialmente L. Vagnetti (a cura di) , Magna Grecia
e mondo miceneo (XXII Convegno di Taranto, 1982), Taranto, 1983 ; i
contributi di M. Marazzi e A.M. Bietti Sestieri in <<Dialoghi di Ar­
cheologia>>, s. III, 6 ( 1988), pp. 5-5 1 ; L. Vagnetti, Mycenaean Pottery
in Italy: Fifty Years o/ Study, in C. Zerner, P. Zemer e J. Winder (a
cura di), Wace and Blegen, Amsterdam, Gieben, 1992 , pp. 143 - 154;
Ead., Espansione e diffusione dei Micenei, in S. Settis (a cura di), I
Greci. Storia, Cultura, Arte, Società, II, 1 , Torino, Einaudi, 1996, pp.
133 - 172. Per la colonizzazione di Marsiglia, F. Villard, La céra!flique
grecque de Marseille. Essai d'histoire économique, Paris (BEFAR,
1 85), 1960, seguito da numerosi studi, per cui si veda, da ultimo, Id.,
La céramique archaique de Marseille, in Marseille grecque et la Caule,
in <<Études Massaliètes>>, 3 ( 1 992 ), pp. 163- 170, con gli altri contribu­
ti nel medesimo volume.
Nell'a111bito della sterminata bibliografia che riguarda la scuola
delle <<Annales>>, si vedano ad esempio J. Le Goff (a cura di), La
nuova storia, trad. it., Milano, Mondadori, 1980 (Paris, 1979); J. Le
Goff e P. Nora, Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia,
trad. it. Torino, Einaudi, 1989 (Paris, 1974). Per il concetto di cultu­
ra materiale, R. Bucaille e J .M. Pesetz, voce Cultura materiale, in
Enciclopedia Einaudi, Torino, Einaudi, 1978, voi. IV, pp. 27 1 -305 .
Per gli sviluppi in ambito archeologico, si vedano in particolare il
numero monografico dedicato all'archeologia dalla rivista <<Annales
ESC>>, 37 ( 1982). Fondamentale il lavoro di L. Gernet, Anthropolo­
gie de la Grèce antique, Paris, Maspero, 1970, trad. it. Antropologia
della Grecia antica, Milano, Mondadori, 1983 , seguito dai numerosi
contributi di J. -P. Vernant della sua scuola. In particolare, sulle for­
me di rappresentazione figurata, si vedano in particolare AA.VV. , La
cité des images. Religion et Société en Grèce antique, Paris, Nathan,
1984 ; L. Bruit Zaidrnan e P. Schrnitt Pantel, La religione greca,
Roma - Bari, Laterza, 1992 , pp. 189-204. Per lo studio delle immagi­
ni sulla pittura vascolare si veda ad esempio C. Bérard, Ch. Bron e
A. Pomari (a cura di), Images et société en Grèce ancienne, Lausanne
(Cahiers d'archéologie romande, 3 6), 1987 ; a tale terna si è dedicato
in particolar modo F. Lissarrague, del quale si vedranno le seguenti
opere: Un flot d'images. Une esthétique du banquet grec, Paris, Biro,
1987 , trad. it. I:immaginario nel simposio greco, Roma - Bari, La­
terza, 1989; Uno sguardo ateniese, in G. Duby, M. Perrot e P.
Schrnitt Pantel (a cura di) , Storia delle donne in Occidente. I: I:anti·­
chità, Roma - Bari, Laterza, 1990, pp. 179-240; Id. , I:autre guerrier,
Paris - Roma 1990.
New Archaeology: l'impostazione generale si riflette nel recente
manuale di C. Renfrew e P. Bahn, Archaeology. Theories, Methods
and Practice, London, Tharnes & Hudson, 199 1 , trad. it. Archeologia,
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 1 15

Bologna, Zanichelli, 1 995 . Una puntualizzazione critica dei risultati e


delle posizioni attuali del movimento in U. Bezerra de Meneses, La
<<New Archaeology>>: l'archeologia come scienza sociale, in <<Dialoghi di
Archeologia>>, s. III, 1 ( 1 983 ) , pp. 1 1 - 19; I. Hodder, Reading the Past,
Ca111bridge, Cambridge University Press, 1986, trad. it. Legg,ere il
passato. Tendenze attuali dell'archeologia, Torino, Einaudi, 1992 . Una
esauriente panoramica sulla sua nascita ed evoluzione in A. Guidi,
Storia della paletnologia, Roma - Bari, Laterza, 1988, in particolare pp.
160 ss. L'impostazione generale della corrente e la stretta interazione
tra archeologia e antropologia sono alla base dei programmi scientifi­
ci del <<Ca111bridge Archaeological Joumal>>, edito a partire dal 1991.
I rapporti tra la New Archaeology e l'archeologia classica sono di­
battuti in C. Renfrew, The Great Tradition Versus the Great Divide:
Archaeology as Anthropology, in <<American Journal of Archaeology>>,
84 ( 1 980), pp. 287-298; S. Dyson, A Classica! Archaeologist's Re­
sponse to the New Archaeology, in <<Bulletin of American Schools of
Orientai Researchs>>, 242 ( 1 98 1 ) , pp. 7-13 ; A.M. Snodgrass, The New
Archaeology and the Classica! Archaeologist, in <<American Journal of
Archaeology>>, 89 ( 1 985 ) , pp. 3 1 -37 . All'approccio antropologico ed
etnologico è dedicata un'annata della rivista <<Dialoghi di Archeolo­
gia>>, s. III, 3 ( 1 985 ) , pp. 7-88 (si vedano in particolare i contributi di
B. D'Agostino, A. Bottini, A. Schnapp e F. Lissarrague per il campo
dell'archeologia classica) . Per i riflessi della metodologia nello studio
delle necropoli, si vedano soprattutto G. Gnoli e J.-P. Vernant (a
cura di) , La Mort, les Morts dans les Sociétés anciennes, Cambridge,
Cambridge University Press, 1982 ; I. Morris, Burial and Ana·ent So­
a·ety. The Rise o/ the Greek City State, Cambridge, Ca111bridge Uni­
versity Press, 1987 ; Id., Death-Ritual and Socia! Structure in Classica!
Antiquity, Cambridge, Cambridge University Press, 1992 ; B. D'Ago­
.
stino, Soci età dei vivz: comunità dei morti: un rapporto difficile, in
<<Dialoghi di Archeologia>>, s. III, 1 ( 1 985) , pp. 47-58; Id. , Problemi
d'interpretazione delle necropoli, in R. Francovich e D. Manacorda,
Lo scavo archeologico: dalla diagnosi all'edizione. III ciclo di lezioni
sulla ricerca applicata in archeologia, Firenze, All'Insegna del Giglio,
1990, pp. 40 1 -420. Di estremo interesse l'approccio complessivo, ri­
guardante sia l'analisi iconografica delle pitture sia l' esa111 e analitico
dei corredi, in A. Pontrandolfo e A. Rouveret, Le tombe dipinte di
Paestum, Modena, Panini, 1993 .
Archeologia italiana: per le tendenze in epoca fascista, D. Mana­
corda e R. Tamassia, Il piccone del regime, Roma, Curcio, 1985 ; D.
Manacorda, Cento anni di ricerche archeologiche italiane: il dibattito
sul metodo, in <<Quaderni di Storia>>, 16 (1982 ) ; M. Barbanera, Lar­
cheologia degli Italiani, Roma, Editori Riuniti, 1998.
Etruscologia: sempre valida la consultazione del manuale di M.
Pallottino, Etruscologia, Roma, Hoepli, 19847; Id., Le culture dell'Ita­
lia preromana, Roma, Jouvence, 1 98 1 ; M. Cristofani (a cura di) , Gli
Etruschi. Una nuova immagine, Firenze, Giunti Martello, 1984.
Espressamente storico nell'impostazione M. Torelli, Storia degli Etru-
1 16 LE FONTI ARCHEOLOGICHE

schi, Roma - Bari, Laterza, 19852; AA.VV., Rasenna. Storia e civiltà


degli Etruschi, Milano, Scheiwiller, 1986. Per Ranuccio Bianchi Ban­
dinelli e l'attività di <<Dialoghi di Archeologia>>, si consultino soprat­
tutto le annate 1967-1 992 della rivista. Per le ricerche a proposito
della cultura figurativa a Roma in età repubblicana: F. Coarelli, Revi­
xit ars: arte e ideologia a Roma. Dai modelli ellenistici alla tradizione
repubblicana, Roma, Quasar, 1996, con i riferimenti ai suoi preceden­
ti lavori; E. La Rocca, Linguaggio artistico e ideologia politica a Roma
in età repubblicana, in Roma e l'Italia. Radices Imperii, Milano, Schei­
willer, 1990, pp. 289-495. Intorno all'Istituto Gramsci hanno gravita­
to le ricerche concretizzatesi con la pubblicazione dei volumi a cura
di A. Giardina e A. Schiavone (a cura di) , Società romana e produzio­
ne schiavistica, Roma - Bari, Laterza, 198 1 , e Società romana e impero
tardoantico, Roma - Bari, Laterza, 1986.
Fondazione di Roma: F. Coarelli, Il Foro Romano. I: Il periodo
arcaico, Roma, Quasar, 1983 ; Id., Il Foro Boario, Roma, Quasar, 1988;
A. Momigliano e A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma. I: Roma
in Italia, Torino, Einaudi, 1988; M. Cristofani (a cura di) , La grande
Roma dei Tarquini, Catalogo della Mostra, Roma, L'Er111a di Bretsch­
neider, 1 990; A. Carandini, La nascita di Roma: dèz: lari: eroi e uomi­
ni ali'alba di una civiltà, Torino, Einaudi, 1997. Per altri centri, M.
Torelli, Lavinio e Roma. Riti iniziatici e matrimonio tra archeologia e
storia, Roma, Quasar, 1 984.
La storia economica del mondo antico e la ceramica: oltre ai la­
vori già citati, è indispensabile, per la cera111 ica romana, consultare le
voci relative alle singole classi cera111iche sino a ora pubblicate nell'A­
tlante delle forme ceramiche, edito dall 'Enciclopedia dell'Arte antica,
voi. I, Roma, 198 1 , e voi. II, Roma, 1985 ; si vedano inoltre i con­
tributi a proposito delle anfore e della sigillata in Società romana e
produzione schiavistica, cit., e Società romana e impero tardo-antico,
cit. Inoltre, J.W. Hayes, Late Roman Potte� London, 1972 ; J.-P. Mo­
rel, La céramique campanienne, Roma (BEFAR, 244 ), 198 1 ; D.P.S.
Peacok, Pottery and Early Commerce, London - New York - San
Francisco, Academic Press, 1977; Id., Pottery in the Roman World:
An Ethnoarchaeological Approach, London - New York, Longman,
1982, trad. it. La ceramica romana tra archeologia e etnografia, Bari,
Edipuglia, 1997; N. Cuomo di Caprio, La ceramica in archeologia.
Antiche tecniche di lavorazione e moderni metodi di immagine, Roma,
L'Er111 a di Bretschneider, 1985 ; K. Greene, Economy /rom the
Archaeology, London, 199 1 ; Y. Orton e A. Vince, The Pottery in
Ancient World, London, 1992 .
Per le anfore greche: V.R. Grace, Amphora and the Ancient Wine
Trade, Princeton, American School of Athens, 196 1 ; AA.VV. , Recher­
ches sur les amphores grecques, in <<Bulletin de Correspondence Helle­
niqùe>>, suppi. XIII, 1986; I.K. Whitbread, Greek Transport Amphorae:
a Petrological and Archaeological Study, Exeter, Tue Short Run Press,
1995 . Sulle anfore r-0mane: E. Rodriguez Almeida, Il monte Testaccia,
Roma, Quasar di Tognon, 1984; D.P.S. Peacok, J.A. Riley e D.F. Wil-
LE FONTI ARCHEOLOGICHE 1 17

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Française de Rome, 1 14), 1989.
Archeologia e storia dell'arte antica: E. La Rocca (a cura di) , /;e­
sperimento della perfezione. Arte e società nell'Atene di Pericle, Mila­
no, Electa, 1 988; S. Settis (a cura di) , Memoria dell'Antico nell'Arte
italiana, 3 voll., Torino, Einaudi, 1984-1986; Id. (a cura di) , La co­
lonna Traiana, Torino, Einaudi, 1988; P. Zanker, Augustus und die
Macht der Bilder, Miinchen, Beck, 1 987, trad. it. Augusto e il potere
delle immagini, Torino, Einaudi, 1989; T. Holscher, Romische Bild­
sprache als semantisches System, Heidelberg, Winter, 1987 , trad. it. Il
linguaggio dell'arte romana. Un sistema semantico, Torino, Einaudi,
1993 ; Id., Staatsdenkmal und Publikum. Vom Untergang der Republzk
bis zur Festigung des Kaisertums in Rom, Kostanz, Univ. Verlag, 1984,
trad. it. Monumenti statali e pubblico, Roma, L'Erma di Bretschnei­
der, 1994.
Le posizioni tradizionali per il concetto di archeologia cristiana
sono sintetizzate in F.W. Deichmann, Archeologia cristiana, Roma,
L'Erma di Bretschneider, 1993 . Per un approccio diverso, si vedano
essenzialmente K. Weitzmann (a cura di) , Age of Spirituality. Cata­
logue of the Exhibition at the Metropolitan Museum of Art. 1977-78,
Princeton - New York, Princeton University Press, 1 979; P.R.L.
Brown, Art and Society in Late Antiquity, in Age of Spirituality. A
Symposium, Princeton - New York, Princeton University Press, 1980,
pp. 17-28; Id. , The World of Late Antiquity. From Marcus Aurelius to
Muhammad, London, Thames & Hudson, 197 1 , trad. it. Il mondo
tardo antico. Da Marco Aurelio a Maometto, Torino, Einaudi, 19925 ;
G. Sena Chiesa (a cura di) , Milano capitale dell'Impero. 286-402 d. C. ,
Catalogo della Mostra, Milano, Pizzi, 1990; G. Sena Chiesa e E.A.
Arslan (a cura di) , Felix Temporis Reparatio, Atti del Congresso mar­
zo 1990, Milano, ET, 1 992; C. Pietri, La Roma cristiana, e La cri­
stianizzazione dell'impero, in Storia di Roma. III, 1 : Uetà tardoantica.
Crisi e trasformazioni, Torino, Einaudi, 1993 , pp. 697-72 1 e 845-876.
Per le ricognizioni archeologiche un'ampia sintesi delle metodo­
logie sperimentate è in M. Rendeli, Città aperte. Ambiente e pae­
saggio rurale organizzato nell'Etruria meridionale costiera durante l'e­
tà orientalizzante e arcaica, Roma, Gei, 1993 . Si vedano inoltre A.
Snodgrass, La prospection archéologique en Grèce et dans le monde
méditerranéen, in <<Annales ESC>>, 37 (1982), pp. 800-812; S. Ma­
cready e F.H. Thompson, Archaeological Field Survey in Britain and
Abroad, London, Society of Antiquaries, 1985; J. Bintliff e A.
Snodgrass, Mediterranean Survey and the City, in <<Antiquity>>, 62
(1988), pp. 57-7 1 ; S. Coccia e G. Barker, La ricognizione archeolo­
gica e la sua documentazione: recenti esperienze di ricerca della Bri­
tish School at Rome, in M. Pasquinucci (a cura di) , La cartografia
archeologica, Pisa, Amministrazione Provinciale, 1989, pp. 3 9-52;
118 LE f()Nll ARCHEOLOGICHE

M.G. Celuzza e E.B. Fentress, La ricognizione di superficie, in R.


Francovich e D. Manacorda, Lo scavo archeologico: dalla diagnosi
ali'edizione. III ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in archeologia,
Firenze, cit., pp. 141 ss. ; A. Guidi, I metodi della ricerca archeolo­
gica, Bari - Roma, Laterza, 19992; F. Cambi e N. Terrenato, Intro­
duzione all'archeologia dei paesaggi, Roma, NIS, 1994 .
L'esperienza della Carta Archeologica d'Italia, edita dall'Istituto
Geografico Militare, è integrata dalla pubblicazione dei volumi della
Forma Italiae, a cura della sezione di Topografia dell'Università di
Roma, La Sapienza: P. Sommella, Forma Italiae: un progetto scientifi­
co e uno strumento operativo, in M. Pasquinucci (a cura di) , La carto­
grafia archeologica, cit., pp. 15-24 , 291-305 .
Scavo stratigrafico: Ph. Barker, Techniques of Archaeological Exca­
vation, London, Batsford, 1979, trad. it. Tecniche dello scavo archeo­
logico, Milano, Longanesi, 198 1 ; E.C. Harris, Princi'ples o/ Archaeolo­
gical Stratigraphy, London, Academic Press, 1979, trad. it. Principi di
stratigrafia archeologica, Roma, NIS, 1983 ; R. Francovich e D. Mana­
corda, Lo scavo archeologico: dalla diagnosi ali'edizione. III ciclo di le­
zioni sulla ricerca applicata in archeologia, cit.; A. Carandini, Storie
della terra. Manuale di scavo archeologico, 3 a ed. , Torino, Einaudi,
1996. Ostia: Ostia I-IV, Roma, 1968- 1978 (Studi Miscellanei, 13 , 16,
2 1 , 29). Per l'esperienza di Settefinestre: A. Carandini e A. Ricci (a
cura di), Sette.finestre: una villa schiavistica nell'Etruria Romana, Mo­
dena, Panini, 1985 . Per l'archeologia in aree urbane, P. Hudson, Ar­
cheologia urbana e programmazione della ricerca: l'esempio di Pavia,
Firenze, All 'Insegna del Giglio, 198 1 ; D. Manacorda, Archeologia ur­
bana a Roma: il progetto della Crypta Balbi, Firenze, All'Insegna del
Giglio (Biblioteca di Archeologia medievale) , 1982 ; B. D'Agostino,
Le strutture antiche del territorio, in Storia d'Italia, Annali, Torino,
Einaudi, 1985 , voi. VIII, pp . 3-50; C. Panella (a cura di) , Meta Su­
dans I. Un'area sacra in Palatio e la valle del Colosseo prima e dopo
Nerone, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1996.
Archeologia subacquea: F.G. Bass, A History o/ Sea/aring Based
on Underwater Archaeology, London, Thames & Hudson, 1972, trad.
it. Navi e civiltà, Milano, Fabbri, 1974 ; P.A. Gianfrotta e P. Pomey,
Archeologia subacquea. Storia, tecniche, scoperte e relitti, Milano,
Mondadori, 198 1 ; C. Moccheggiani Carpano, Archeologia subacquea.
Note di viaggio nell'Italia sommersa, Roma, Palombi, 1986.
Scienze in archeologia: una buona panoramica in T. Mannoni e
A. Molinari, Scienze in archeologia. II ciclo di lezioni sulla ricerca ap­
plicata in Archeologia. Certosa di Pontignano (Si) 7-1 9 Novembre
1 988, Firenze, All'Insegna del Giglio, 1990; U. Leute, Archaeometry.
An Introduction to Physical Methods in Archaeology and the History
of Art, Weinheim - New York, UCH, 1987 , trad. it. Archeometria.
Un 'introduzione ai metodi fisici in archeologia e in storia dell'arte,
Roma, NIS, 1993 ; G. Olcese, Manuale di archeometria, Firenze, Al­
l'Insegna del Giglio, 1995 .
LE FONTI ARCHEOLOG ICHE 1 19

Archeologia e informatica: A. Bietti, Tecniche matematiche nel!'a­


nalisi dei dati archeologici, Roma (Contributi del Centro Linceo In­
terdisciplinare di Scienze Matematiche e loro applicazioni, 6 1 ) , 1982 ;
F. D'Andria (a cura di) , Informatica e archeologia classica, Galatina,
1987 ; P. Moscati, Archeologia e calcolatori, Firenze, Giunti, 1987 ; L.
Bobbio, Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna, Il Mulino,
1992 , in particolare pp. 169- 177 sulla catalogazione informatizzata;
A. Grottarelli (a cura di) , Sistemi informativi e reti geografiche in ar­
cheologia: GIS-internet, VII Ciclo di Lezioni sulla Ricerca applicata in
Archeologia, Certosa di Pontignano 1 1 - 1 7 Dicembre 1 995, Firenze, Al­
l'Insegna del Giglio, 1997 ; F. D'Andria (a cura di) , Metodologie di
catalogazione dei Beni Archeologici� Quaderni I, 1 . 2, Lecce - Bari,
Martano - Edipuglia, 1997 . Si vedano inoltre le annate della rivista
<<Archeologia e calcolatori>>, edita a partire dal 1990, con ampia rac­
colta bibliografica.
Capitolo 3

1 . Premessa

Per scrivere storia, e generare un testo, lo storico deve in primo


luogo interpretare altri testi. Il procedimento si compie attraverso
una serie di atti soggettivi complessi e seguendo un criterio d'indagi­
ne guidato da un metodo. Nella sua attività er111eneutica, infatti, lo
studioso di storia antica sarà spinto a leggere i testi secondo il codice
culturale entro cui egli opera e di cui subisce inevitabili influenze: è
questa componente che sfugge a ogni classificazione o descrizione e
garantisce la mutevolezza delle opinioni storiche e delle diverse inter­
pretazioni. C'è tuttavia anche una componente più oggettiva nella
sua attività, frutto di una critica delle fonti che gli pern1ette di valu­
tare la natura delle testimonianze fornite. Non si tratta di fasi crono­
logiça111ente successive, ma di aspetti diversi di un processo esegetico
unico. In tali tern1ini, la distinzione tradizionale fra fonti primarie
(monumenti archeologici, documenti e scritti legati a circostanze con­
temporanee all'autore, che fornirebbero testimonianze dirette e quin­
di obiettive) e fon ti secondarie (le opere letterarie e quelle degli sto­
rici le cui informazioni passerebbero, invece, attraverso il diaframma
della valutazione soggettiva dell'autore) risulta inadeguata a esprime­
re realmente il lavoro compiuto sulle fonti per valutare la natura del­
le informazioni che esse presentano. Sia fonti primarie sia fonti se­
condarie possono infatti conservare testimonianze spontanee, o vice­
versa riflesse, indifferenti oppure volute, immediate oppure tenden­
ziose. L'operazione di critica storica, volta a discernere la credibilità
dei dati offerti, deve perciò inevitabilmente venire applicata sia a una
fonte primaria sia a una fonte secondaria.
All 'interno delle cosiddette fonti secondarie, tenendo conto della
complessità dei modi cli formazione delle notizie e della critica che
dev'essere comunque esercitata su ogni grado e forma cli testimo­
nianza, qualunque testo letterario può essere usato come fonte stori­
ca. Indipendentemente dalla validità e dal significato delle notizie che
122 LE FONTI LE'J-l'ERARIE

vuol riferire, ogni tipo di materiale letterario vale come documento


storico: i modi della narrazione, le tecniche di stile, l'ideologia
espressa dall'autore riflettono non solo una particolare personalità,
ma anche uno specifico contesto sociale e cronologico, un ambiente
storico e culturale che l'opera in questione può aiutare a ricostruire.
Nelle pagine che seguono, non potremo certo tener conto di tutti i
tipi di fonti letterarie che lo storico dell'antichità ha a sua disposizio­
ne. Nel tracciare, però, un rapido profilo di storia della storiografia
antica, terremo conto anche di quella letteratura (poesia, oratoria, te­
sti personali, letteratura tecnica e letteratura cristiana) che, pur aven­
do nell'intenzione degli autori finalità differenti da quelle storiche,
può essere impiegata a fini storiografici; di volta in volta esaminere­
mo i termini di tale utilizzo e le categorie entro cui esso appare le-
g1tt1mo.
• •

Per quanto riguarda, poi, i testi storiografici, è evidente che ri­


spetto ad opere di altra natura essi app aiono di più diretta fruibilità,
in quanto forniscono intenzionalmente una certa serie di notizie e di
dati su fatti più o meno vicini all 'autore, di cui lo studioso moderno
può giovarsi. Anche per il loro uso, tuttavia, bisogna tenere conto
d'una serie di fattori che influirono sulla natura dell'opera e sulla sua
attendibilità come fonte storica. Lo svolgimento della storiografia an­
tica non fu né lineare né omogeneo, anche se i vari filoni presentano
connessioni reciproche. I singoli autori, seguendo l'uno o l'altro indi­
rizzo storiografico, si rivolsero a differenti categorie di lettori e, ri­
spondendo a esigenze diverse, composero i loro testi secondo princi­
pi per nulla omogenei. Le notizie che questi diversi tipi storiografici
conservano sono perciò di valore spesso diseguale e non comparabi­
le. Lo studioso di storia, che si awicini a una testimonianza letteraria
antica còn intendimenti storiografici, dovrà dunque comportarsi
come un regista capace di far interagire nella giusta proporzione
quattro protagonisti principali: gli attori degli awenimenti del passa­
to, con i loro valori, le loro intenzioni, le loro giustificazioni e i loro
atti; la struttura sociale che quelle azioni, quei pensieri e quei senti­
menti ha cooperato a for111 are e riflette; le fonti che registrano atti ed
emozioni degli attori, ma hanno anche fini propri; i lettori, alle cui
esigenze e ai cui gusti lo storico reagiva e per i quali interpretava una
realtà passata o contemporanea.

2. Le origini della storia e i suoi primi sviluppi in Grecia

La dimensione storica dell'uomo fu già presente, in forma impli­


cita, nella poesia greca del VII secolo a.C. Nella coscienza, riflessa
nell'opera di Omero e di Esiodo, di un passato eroico o mitico come
origine del presente si esprimevano due componenti fondamentali
del pensiero storico: il senso della diversità e la consapevolezza della
continuità. Già i Greci e i Romani, tuttavia, sapevano che storia e
poesia epica si differenziavano almeno in due aspetti fondamentali:
LE FONTI LETTERARIE 123

nel fatto che la storia era scritta in prosa e non in poesia, e perché il
suo fine, nella ricostruzione del passato, era quello di separare i fatti
dalla fantasia. In tale impostazione si collocano i problemi di fondo
della storiografia antica: il nesso causale fra passato e presente; la ri­
cerca della verità o del verosimile come attività fondamentale dello
storico.

Se si esamina il modo in cui venne affrontato dall 'antica storio­


grafia greca il problema delle cause degli avvenimenti storici, emer­
gono chiare due linee di tendenza: per Erodoto (V secolo a.C.) la
leggenda della guerra di Troia è presa come punto di riferimento
centrale della sua narrazione, capace di per sé di motivare la contesa
fra Greci e Persiani. L'accettazione di Omero come fonte storica e il
collegamento con il mondo omerico di tutto il patrimonio mitico gre­
co ebbero un forte peso sulla prima opera storica. In Tucidide, seb­
bene anch'egli creda alla realtà storica della guerra troiana, la ricerca
della <<causa vera>> (anche se taciuta o nascosta) dello scontro del Pe­
loponneso è attività ben più problematica e di tutt'altro spessore in­
tellettuale. Il suo discorso sulla verità, il verosimile, il probabile ri­
conduce il problema storiografico alla tematica propria dell' eloquen­
za giudiziale (da cui poté essere influenzato), nel senso che lo storico
come l'oratore doveva ricostruire lo svolgimento dei fatti sulla base
di testimonianze ed elementi di prova che convalidassero l' attendibi­
lità della tesi esposta. Esemplari, in tal senso, sono i suoi criteri di
ricerca della verità. Ricordando l'attenzione con cui aveva vagliato
tutte le informazioni ricevute sui fatti relativi alla guerra, egli riflette­
va sulla laboriosità e sulla fatica che comporta tale tipo di indagine
in quanto le memorie non coincidono mai perfettamente e i resocon­
ti che ne derivano sono diversi. Nonostante ciò, egli ribadisce che la
sua storia non indulgerà mai al fiabesco, anche a rischio di suonare
scabra all'orecchio. Ciò che importa, infatti, è che la stimino <<utile>>
quanti vogliono penetrare il senso reale delle vicende avvenute e, sul­
la base di queste, capire anche le future. Kt!ma es aéi (<<possesso pe­
renne>>) intende essere la sua storia, non un recital eseguito solo per
ottenere un successo immediato davanti al pubblico. In poche linee,
con una lucida esposizione dei metodi usati o dei fini che la sua nar­
razione si proponeva di raggiungere, Tucidide gettava le basi di quel­
l'indirizzo storiografico che più tardi, nel II secolo a.C., Polibio defi­
nì apodittico.
Criteri analoghi erano già stati parzialmente perseguiti dalla filo­
sofia ionica, che fornì alla prima storiografia greca la base di riflessio­
ne filosofica e metodologica sul reale. C'è un lega111e ideale, infatti,
fra Erodoto, Ecateo e Senofane. Mettendo in dubbio le concezioni
correnti sulla divinità, quest'ultimo rese possibile una ricerca sulla
zona di confine fra dei e uomini. Ecateo (VI-V secolo a.C.) intra­
prese tale ricerca paragonando tradizioni greche e tradizioni orientali,
focalizzandosi su alcuni interessi scientifici quali la struttura della ter­
ra e le leggende del passato mitico; la conoscenza di paesi stranieri
ali111entò il suo scetticismo sulle tradizioni greche, che definì <<molte e
124 LE FONTI LEITERARIE

ridicole>>. Erodoto derivò da lui l'interesse per la geografia, la passio­


ne per i viaggi, l'attenzione al mito non greco. Benché più debole di
Ecateo in ter111 ini di razionalismo (egli intendeva recuperare <<omeri­
camente>> quella tradizione greca che Ecateo liquidava come mitica),
accolse tuttavia molti suoi suggerimenti, quali la tendenza ad attenua­
re il meraviglioso e ad affidare la historie alla personale esperienza e
r1cogn1z1one.
• • •

L'ideale dell'esperienza diretta, anzi dell'esperienza oculare (au­


topsia) delle cose descritte fu in gran parte comune a Erodoto e Tu­
cidide: abbandonata da storici come Duride di Samo (IV-III secolo
a.C.), l'autopsia fu poi polemica111ente ribadita da Polibio. Anche fra
Erodoto e Tuci(li lle, tuttavia, ci sono molte differenze su questo pun­
to. Per l'estensione cronologica dei fatti narrati e per l'ampiezza geo­
grafica del suo campo di osservazione, Erodoto dovette molto spesso
ricorrere a molteplici e contrastanti l6goi (racconti preesistenti). Di
fronte a questi, la miglior forma di oggettività gli parve consistere nel
riferirne il maggior numero possibile. Fra gli esempi classici si po­
trebbe citare la descrizione della battaglia di Salamina (VIII, 83 -96),
somma non organizzata di episodi narrati allo storico da testimoni in
gran parte oculari, con un continuo spostarsi e mutare del punto di
vista sul complesso dell' awenimento. In tal senso, la trama del suo
metodo si componeva di autopsia, ricerca di tradizioni orali, discerni­
mento critico; quest'ultimo, però, si risolveva spesso nel lasciare al
lettore la scelta fra numerose ed eterogenee versioni.
Riducendo l'estensione del nucleo narrativo, Tucidide (V secolo
a.C.) poté adottare criteri più severi per lo studio della tradizione
orale, conferendo maggiore incidenza al canone dell'esperienza diret­
ta e accettando informazioni di testimoni fidati, su cui fosse possibile
esercitare un vaglio rigoroso. Che Tucidide abbia rappresentato una
svolta significativa è largamente riconosciuto; meno chiare sono le
motivazioni di tale cambia111ento. L'ipotesi tradizionale secondo cui
Tucidide visse in un 'epoca che vide finalmente l'affer111 arsi della ra­
zionalità nel pensiero umano si muove ancora sul piano di un'inge­
nua contrapposizione fra mentalità mitica e dimensione logica come
momenti progressivi dell'evoluzione del pensiero: sono ipotesi oggi
sempre meno sostenibili sulla base delle moderne ricerche etnologi­
che e antropologiche. Di recente, la spiegazione è stata cercata nel-
1' a111bito della tecnologia della comunicazione, in rapporto cioè al
passaggio dalla cultura orale a quella della comunicazione scritta, che
si verificò proprio nell'età di Tucidide. Nei fra111menti di Ecateo
come nelle Storie di Erodoto si riscontrano facilmente componenti
tipiche di opere composte per pubbliche audizioni: la tecnica di
scrittura mira a predisporre, per figurazioni paratattiche e non ipo­
tattiche, atteggia111enti di pensiero che siano immediata111ente perce­
pibili dall'uditorio e lo incatenino all'ascolto. È qualcosa che diffi­
cilmente si può applicare al metodo analitico e razionale voluto da
Tucidide nel suo discorso storico. La sua prosa, infatti, è densa, ten-
LE FONTI LEI"l'ERARIE 125

dente a contrarre più che a esplicitare il pensiero, info1111ato a serrata


concatenazione logica.
I ter111ini della svolta sono dunque da cercarsi proprio nel passag­
gio fra due tecniche di scrittura aventi diverse funzioni, come risulta
evidente da molti suoi propositi metodologici. Egli contrappose al
fine edonistico del racconto orale l'utilità della propria opera, non
composta per la breve durata di una declamazione pubblica, ma de­
stinata a essere una perenne acquisizione intellettuale perché affidata
allo scritto e alla meditata lettura. Questo è il senso dell'espressione
ktima es aéi, in cui ktima non è solo metafora, ma serba il significato
di proprietà in senso concreto, riferibile a qualsiasi oggetto il cui
possesso sia duraturo e inalienabile. La sua immediata traduzione la­
tina è monumentum, opera in pietra o in bronzo, od opera letteraria
nella materialità della sua redazione scritta. La polemica di Tucidide
richia111a quella che, negli stessi anni, anche Euripide faceva sua con­
tro la poesia del passato, quella poesia che B. Brecht definì <<gastro­
nomica>>; essa è anche analoga a quella portata avanti da Platone, che
esprimeva in campo filosofico le medesime esigenze della nuova cul­
tura della comunicazione scritta. Essi, dunque, sono portatori di un
identico messaggio culturale: tutti e tre pongono al centro il contra­
sto fra l' o/éllimon del discorso razionale e il piacere della performance,
un contrasto o antinomia fra utilità e diletto destinato a rimanere ca­
rattere tipico della cultura occidentale.
Erodoto e Tucidide furono, in un certo senso, i rappresentanti di
due indirizzi storiografici diversi, varia111ente rielaborati nel corso dei
secoli. Le opere dell'uno e dell'altro hanno in comune la narrazione
di una guerra; ma la storia erodotea estende i suoi confini al di là
delle guerre persiane per farsi descrizione, tendenzialmente integrale,
di costumi e istituzioni, di paesaggi geografici e della stessa economia
di popoli e città, di genealogie, delle vicende di interi popoli e di
singoli individui. Al confronto, l'opera di Tucidide appare ispirata da
maggiore selezione: la guerra come movimento e conflitto fra diverse
realtà politico-militari, il mondo delle città e dei diversi gruppi in
azione hanno il predominio rispetto all'interesse per i popoli barbari
o i personaggi specifici. In tal senso, Erodoto e i logografi ionici pos­
sono essere considerati i fondatori del genere etnografico e antropo­
logico; Tucidide di quello politico-militare, caratterizzato dal concen­
trarsi su vicende essenzialmente contemporanee. Rispetto, infatti, alla
storia <<quasi contemporanea>> o anche <<moderna>> (come S. Mazzari­
no la definisce) di Erodoto, quella di Tucidide introduce una costan­
te del pensiero storico antico, ciò che A. Momigliano chiama la <<su­
premazia della storia contemporanea>>. Essa fu anche all'origine del
cosiddetto <<ciclo storico>>, il rifarsi cioè di ogni autore al proprio
predecessore per continuare l'opera da dove quello l'aveva inter­
rotta.
La nascita della storiografia con Erodoto e Tucidide fu comun­
que, indipendentemente dalla diversa natura delle loro narrazioni, un
fatto rivoluzionario, in quanto il principio epico della conservazione
126 LE FONTI LETTERARIE

del ricordo degli eventi fu integrato con quello critico del vaglio del­
le tradizioni. Rispetto alla poesia omerica o a quella arcaica del VII
secolo a.C., il valore attribuito all'indagine autoptica e la problemati­
ca scaturita intorno al giudizio sulle testimonianze per valutarne la
qualità, come pure lo sforzo di costruire una cronologia unitaria che
fondesse in un unico quadro tradizioni <<nazionali>> diverse, provoca­
rono una profonda cesura con il modo di ricostruire il passato o di
descrivere la realtà contemporanea proprio dell'epica o della poesia
esiodea. Peraltro, anche questo tipo di produzione letteraria si rivela
inesauribile miniera di dati utilizzabili a livello storico. Considerando
che già il filologo alessandrino Eratostene contestava la legittimità di
servirsi di Omero come fonte storica e che secoli di studi hanno per­
suaso della necessità di accantonare la ricerca nei poemi omerici del­
l'eventuale realtà storica degli accadimenti narrativi, dalla loro analisi
tuttavia lo storico può ricavare molte info1·111azioni su vari aspetti del­
la vita sociale, politica e familiare, sulle istituzioni, le norme, il mon­
do religioso della tarda età micenea e del periodo finale dell'VIII se­
colo a.C. Ancor più si lascia individuare la società di Esiodo, con
contorni economici e culturali sufficientemente nitidi e ben differenti
da quella omerica, a una lettura in chiave sociale ed economica de Le
Opere e i giorni e della stessa Teogonia. Dal testo esiodeo tralucono,
infatti, complesse problematiche economiche e sociali: la compresen­
za di una vasta proprietà aristocratica e di una più piccola proprietà
agraria, con la duplice spinta verso una prospettiva autarchica dell' a­
gricoltura e insieme verso la commercializzazione dei surplus agricoli,
realizzata mediante il possesso di navi e di ciur111e.
Più in generale, il mondo della lirica greca (e lo stesso vale per
quella latina) , proprio perché caratterizzato da forti spinte individua­
listiche e da una enorme ricchezza di riferimenti personali e ambien­
tali, offre spesso buone possibilità allo storico moderno per ricostrui­
re alcune situazioni storiche locali: così la poesia di Alceo per la Le­
sbo del VI secolo, quella di Callino per la storia delle invasioni dei
Cimmeri in Asia Minore nel VII secolo a.C. (in tal senso fu utilizzata
già da Strabone) , quella di Tirteo per la storia spartana dello stesso
periodo. I carmi di Solone, poi, sono stati studiati come precisa te­
stimonianza documentaria di storia costituzionale e socioeconomica
ateniese; gli stessi carmi furono la base per la biografia soloniana di
Plutarco e, in definitiva, anche per la ricostruzione storica moderna.
Pur mancando, dunque, opere storiche in senso stretto fino alla nar­
razione tucididea della guerra del Peloponneso, lo studioso di storia
greca ha molto materiale letterario da utilizzare per la ricostruzione
di quei secoli.
Riducendo la storia a storia contemporanea, Tucidide favorì im­
plicita1nente lo sviluppo parallelo della cosiddetta antiquaria, che co­
minciò infatti a essere coltivata da alcuni circoli sofistici sotto forma
di analisi di specifici aspetti del passato attraverso la tradizione scrit­
ta. Nacque, così, la lista dei vincitori di Olimpia preparata da Ippia,
la monografia sui nomi delle nazioni, lo studio delle varie costituzioni
LE FONTI LETTERARIE 127

di Crizia. Mentre la storiografia di Tucidide fu di soggetto politico, si


curò di grandi eventi seguiti in ordine cronologico, s'incaricò di spie­
gare e di a1nmaestrare, la ricerca erudita su religione, arte, costumi,
onomastica, avvenimenti di città, fu aliena dal seguire un ordit1e cro­
nologico e non ebbe pretese letterarie o retoriche. Si preoccupò, in­
vece, di raccogliere e riportare documenti di archivio, di descrivere
statue ed edifici, d'interpretare lingue straniere. L'elemento unifican­
te, e storiografica111ente significativo, di questa grande quantità di
raccolte di tipo erudito è rintracciabile, secondo Momigliano, nella
comune organizzazione del discorso in forma sistematica anziché nar­
rativa. In tal senso la ricerca antiquaria antica può essere considerata
un modello storiografico alternativo a quello rappresentato da Erodo­
to e Tucidide e non sarebbe illegittimo cercare in essa, come in effet­
ti si è tentato di fare, gli incunaboli della moderna sociologia.
Avendo Tucidide fissato un criterio davvero ristretto di attendibi­
lità storica, egli favorì anche la distinzione fra storia e biografia che,
rimasta implicita fino al II secolo a.C. , si esplicitò in modo definitivo
solo nel momento in cui il metodo tucidideo fu ripreso e precisato
da Polibio. Narrazioni biografiche o autobiografiche sono attestate in
Grecia fin dal VI-V secolo come biografie mitiche (Pisandro di Ca­
miro avrebbe narrato una Storia di Eracle poco dopo il 550 a.C.) o
Vite dei più fa111osi poeti (a Teagene, rapsodo della seconda metà del
VI secolo, è attribuita una biografia di Omero; nel corso del V seco­
lo nacquero le biografie di Archiloco, di Saffo, di Alceo; in seguito
ne furono composte di Solone e di Euripide) . Oltreché da queste
forme letterarie, cui si dovrebbero aggiungere le memorie personali
di viaggi (quale quello compiuto da Scilace di Caronda sulle coste
indiane per ordine di Dario I), la cui tradizione confluì nell'Anabasi
di Senofonte, la vera e propria biografia si sviluppò da forme come il
discorso apologetico (per esempio di Socrate; o l'Antidosis di Isocra­
te) ed encomiastico (l'Evagora di Isocrate, l'Agesilao di Senofonte) e
rimase sempre in posizione ambigua fra realtà e immaginazione: per
la biografia la veridicità non divenne mai una questione preminente
come lo fu per la storiografia. In tal senso, anche a Roma i due gene­
ri rimasero teorica111ente distinti in rapporto alle diverse funzioni che
si attribuivano al biografo e allo storico: mentre la storia fu concepita
come storia di azioni e non di in qividui, si preferì elogiare a parte, in
opere separate, persone singole. E quanto fece Senofonte (IV-III se­
colo a.C.) che, pur avendo dedicato varie parti delle sue Elleniche ad
Agesilao, di costui scrisse a parte un encomio ispirato all'Evagora di
Isocrate. E se nell'Anabasi egli diede solo l'abbozzo dei caratteri di
alcuni contemporanei (Ciro, Clearco, Prosseno, Menone) , evitando
però toni encomiastici, con la Ciropedia trasmise la biografia più ela­
borata della letteratura greca classica. La natura di quest'opera, che
più che un racconto di fatti reali volle essere un romanzo pedagogico
capace di trasmettere un messaggio filosofico, sottolinea la strada
presa dalla biografia nel IV secolo, con accentuazione del carattere
celebrativo ed encomiastico.
128 LE FONTI LE'J"l'ERARIE

Accanto alla storia, all'antiquaria, alla biografia, la cultura lettera­


ria greca espresse in questi secoli molti altri generi utilizzabili a li­
vello storico. La posizione ufficiale della tragedia nella polis ateniese
rende quasi ovvio un suo carattere politico. La scelta di temi e miti
particolari e ancor più le prese di posizione del tragediografo di
fronte alle grandi tematiche religiose o morali, allora in discussione,
riflettono quasi sempre specifiche posizioni culturali e altrettante
scelte politiche: rara111 ente, però, queste ultime sono decifrabili con
sicurezza. Allo stesso modo è spesso azzardato vedere dietro ai per­
sonaggi mitici rappresentati precise personalità del tempo. La stessa
caratterizzazione politica dei tre grandi tragici del V secolo deve es­
sere considerata con cautela, anche quando la loro partecipazione
alla vita politica ateniese sia accertata, come nel caso di Sofocle. In
generale, dunque, nella trasfigurazione fantastica del mito che fu
componente essenziale della tragedia, è sempre un'operazione com­
plessa ritrovare i riflessi delle condizioni sociali ed economiche con­
temporanee, che rappresentano, invece, il necessario sfondo della
commedia. In tal senso, l'utilizzazione storiografica della commedia
antica è più immediata e può avvenire in vari modi. In primo luogo,
nella scelta stessa del tema si deve presupporre una consonanza d'in­
tenti fra l'autore del testo e il popolo molto più diretta che per le
rappresentazioni tragiche. La stessa libertà di parola, a volte la licen­
ziosità, con cui certe tematiche politiche erano trattate, conferma
questa sostanziale unità fra autore e cittadinanza. La commedia anti­
ca, per questo, non poteva nascere che in un periodo di regime de­
mocratico avanzato quale fu quello dell'età di Pericle e della guerra
del Peloponneso, per la quale essa reca significativa testimonianza.
Avendo infatti accompagnato lo svolgersi della storia ateniese nella
seconda metà del V secolo, la commedia consente allo storico di se­
guire le svariate reazioni popolari di fronte alle diverse scelte politi­
che e di misurare il coinvolgimento popolare in tutti gli aspetti della
vita della polis e in tutti i problemi messi in discussione. Inoltre, la
necessità, nella commedia come genere, d'inserire l'irrealtà fiabesca
dei contenuti in un quadro sociale preciso e realistico ne rende lecita
l'utilizzazione per ricostruire le realtà sociali ed economiche che essa
riflette. Tali testi contengono dunque una miniera inesauribile di dati
e caratteri, che molti studiosi di storia greca hanno saputo perfetta­
mente valorizzare.
Come la commedia e la tragedia, anche il fiorire dell'oratoria nel­
le poleis greche e a Roma fu in stretta connessione con lo svilupparsi
di forme di governo democratico che prevedevano anche una parti­
colare organizzazione del sistema giudiziario. L'arte del persuadere,
per gli uomini politici che vivevano in questi tipi di regime, fu stru­
mento fondamentale di competizione politica in quanto permetteva
loro d'incidere direttamente sulla creazione di una pubblica opinio­
ne. Questa manifestazione letteraria ebbe dunque un prevalente ca­
rattere pubblico, come è provato dal fatto che la maggioranza delle
orazioni giudiziarie ad Atene e a Roma riguardarono processi politici
LE FONTI LE l"l'ERARIE 129

o che comunque proprio in tale ambito ebbero larghe ripercussioni.


Per questo motivo, molto di quanto conosciamo del diritto attico
proviene in massima parte dalle orazioni forensi. Lo stesso vale per il
pensiero giuridico e la pratica giudiziaria nella tarda repubblica ro­
mana, ricostruiti per lo più solo grazie alle numerose orazioni di Ci­
cerone. In tale contesto di ampia fruibilità storica di quasi tutta l'ora­
toria antica, compresa quella epidittica nonostante le sue finalità di­
chiarata111ente pedagogiche e culturali, alcuni elementi si pongono
ruttavia a ostacolo. La mancanza delle orazioni della parte avversa
impedisce a volte di cogliere in senso compiuto la vera natura del
dibattito: spostamenti del punto centrale in discussione, il silenzio su
aspetti fonda111entali del problema, lo stravolgimento polemico dei
\'eri fini della parte contraria possono occultare dati storici importan­
ti. Anche a non voler tener conto dell'entità di tali possibili deforma­
zioni, resta il problema della pubblicazione dei discorsi giudiziari e
della trasmissione di testi, che spesso non corrispondono a quelli real­
mente pronunciati. Nell'oratoria giudiziaria attica, poi, una complica­
zione maggiore è data dalla non chiara relazione fra il committente e
l'oratore consulente o <<logografo>> (<<scrittore di testi>>). Nonostante
questi limiti, di cui lo storico deve tenere conto allorché si serve di
tale tipo di letteratura, è evidente che la pubblicazione delle orazioni
rappresentò uno dei modi più efficaci per la diffusione delle idee e
che dunque esse aiutano bene · a ricostruire la formazione di ideolo­
gie, o <<correnti>>, entro le p6leis.
Le opere di storia restano, tuttavia, le fonti che meglio e più di­
rettamente riflettono il progressivo articolarsi della vita politica anti­
ca. Teopompo e l'autore delle Elleniche di Ossirinco scelsero di farsi
continuatori di Tucidide. Quest'ultimo, tuttavia, agì più come stimolo
che come rigido modello, sia per le opere sulle singole guerre, sia per
quelle <<sui fatti dei Greci>>. Così Teopompo (IV secolo a.C. ), che in
gioventù aveva gareggiato con Senofonte scrivendo egli stesso Helle­
'1ikd, si rese conto che l'intervento di Filippo il Macedone aveva in­
trodotto un elemento fortemente personale nella politica greca. Egli
rrasfo1111ò gli Hellenikd in Philippikd. Il cambiamento non sarebbe
stato possibile senza un contemporaneo sviluppo dell'arte della bio­
grafia; ma la sua opera conservò gli elementi principali di una mono­
grafia storica. D'altra parte, il nome di Filippo riassumeva tutto quel­
lo che della storia politica greca del IV secolo non avrebbe mai potu­
to entrare negli schemi dell'opera tucididea: nuove forze agenti e
personalità sovrastanti; panellenismo ed espansione in Oriente e in
Occidente. Questi fattori non potevano che contrastare con l'orienta­
mento tucidideo. La sua storia, come d'altronde quella di Erodoto,
era nata in un'atmosfera intellettuale caratterizzata dalla fede nelle
imprese collettive, che reagiva fortemente alla fiducia nelle azioni in­
dividuali valorizzate, invece, nella precedente età tirannica.
Già nel concludere le Elleniche, Teopompo mostra di avere supe­
rato i due limiti di fondo della storiografia tucididea: una visione ri­
stretta della storia greca e della personalità umana. Il contrasto degli
130 LE FONTI LE'l"J'ERARIE

imperialismi tebano e spartano (proseguito dal 4 1 1 alla battaglia di


Cnido del 394, in cui Sparta era stata fiaccata nella sua forn1a egemo­
nica) vi appariva ormai risolto in un ideale panellenico che ridava
valore a tutto ciò che i Greci sentivano storia comune, dalla guerra
di Troia al conflitto con i Persiani; la personalità umana era guardata
con occhio attento per scoprire la ragione intima delle sue grandezze
e debolezze, secondo i dettami di quella nuova filosofia avviata alla
ricerca dell'anima e dominata dal conflitto fra verità superiore e infe­
riore. Nel superare Tucidide, Teopompo fu influenzato da Erodoto.
Sappiamo che egli aveva composto un'epitome della storia erodotea
proprio all'inizio della sua attività con lo scopo di redigere, per così
dire, una trilogia, anteponendola alla sua e a quella di Tucidide. E
leggendo Erodoto egli dovette rimanere affascinato da quella conti­
nua curiosità che lo aveva spinto a fissare cost11111i lontani, ritratti di
uomini e aneddoti in lunghi excursus. La storia di Erodoto non cono­
sceva, è vero, i problemi politici quali Tucidide aveva raccontato, ma
nella ingenua esaltazione della vittoria greca contro il Persiano era in
germe il panellenismo caro a Teopompo. In un certo senso, questi
trovò in Erodoto quegli ideali che, antiquati in Tucidide, tornavano a
rifiorire nel IV secolo a.C.
In tale atmosfera s'inserisce bene anche la tendenza a trasformare
la monografia tucididea in una rassegna comprensiva della storia gre­
ca dalle origini. Per quel poco che è conservato da Diodoro, Eforo
di Cuma (IV secolo a.C.) concepì tale estensione geografica della sua
storia semplicemente allargando la dimensione dei capitoli iniziali
dell'opera tucididea. L'ambizione di Eforo dovette essere di non limi­
tarsi a particolari antiquarii, bensì di fornire un resoconto completo
degli avvenimenti politici e militari passati di tutta la Grecia. Polibio
considerò infatti Eforo come proprio predecessore per avere scritto
di storia con una visione universale (ma Polibio stesso ebbe un'idea
limitata di storia universale) . Eforo fu piuttosto il fondatore di un
tipo peculiare di <<storia nazionale>>, in cui l'universalità era persegui­
ta solo sotto for111 a di excursus subordinati alla storia greca; fu que­
sta, peraltro, l'impostazione accolta sostanzialmente dagli annalisti ro­
mani, sui quali Eforo esercitò sicuramente qualche influenza. Comu­
ne a Eforo e a Teopompo, oltreché una minore oggettività e un'ideo­
logia più conservatrice (nel caso di Teopompo perfino @oligarchica),
fu la rilevanza assunta nelle loro opere dal tono moraleggiante e da
una certa tendenza allo psicologismo.
Soprattutto per questo entrambi furono criticati da Duride di Sa­
mo (III-II secolo a.C .), il quale si mostrò convinto che fine dello sto­
rico doveva essere quello di stabilire un rapporto stretto d'immedesi­
mazione simpatetica con il suo pubblico. La verità storica, infatti,
scaturiva da una sorta di rapporto mimetico ed emozionale, non si
enucleava come volevano gli isocratei attraverso un'astratta valutazio­
ne morale di persone e di eventi. Duride, in tal senso, affiancò all'esi­
genza della mimesis quella dell'hedoné, cioè del piacere da produrre
nel fruitore dell'opera storica. Quanto lo stesso Aristotele attribuiva
LE FONl'I LE'JTERARIE 13 1

alla composizione drammatica, come mezzo teso a provocare la ca­


tarsi, Duride considerò funzionale al dettato storico senza seguire le
distinzioni fatte nella Poetica fra chi ha il compito di raccontare il
generale e chi è volto al particolare. Per Duride la storia rientrava
nella categoria del generale, intesa come concentrazione drammatica
delle passioni umane.
Ha colpito gli storici il fatto che Duride, di formazione peripate­
tica in quanto allievo di Teofrasto, capovolgesse la distinzione aristo­
telica di poesia e storia in una sorta di assimilazione delle funzioni e
dei fini dei due generi. H. Strasburger suggerì d'interpretare il feno­
meno come espressione di <<continuità nel mutamento>>. Per quanto
la tesi sia suggestiva, c'è tutta�ia da chiedersi con F.W. Walbank se
l'hedoni prospettata da Duride fosse proprio assimilabile alla catarsi
che Aristotele si attendeva dalla rappresentazione di una tragedia e
se invece con il termine mimesis, che inevitabilmente indicava <<la
rappresentazione del particolare>>, egli volesse intendere tutt'altro. La
perdita di manuali circolanti in ambiente peripatetico, come quello di
Teofrasto Sulla storia, ha gravemente pregiudicato le nostre possibili­
tà di conoscere e comprendere le origini della cosiddetta storiografia
<<tragica>>. L'uso della storia individuato da Duride aveva, però, pro­
fonde motivazioni nella realtà culturale del IV-III secolo a.C. Esso
trovava precise rispondenze con le tendenze espressionistiche dell' ar­
te figurativa (esemplare è il ritratto di Alessandro nel mosaico di
Pompei), nella quale emergevano in potente concentrazione dramma­
tica le reazioni emotive e psicologiche dei singoli personaggi, e con
quelle della nuova musica, in cui si affe1111ava il canto a solo astrofico
rispetto a quello corale tipico del V secolo. D'altra parte fu anche il
periodo in cui, per la contaminazione fra storiografia <<tragica>> e mo­
nografia storica, anche la biografia trovò il suo pieno sviluppo: le me­
morie di due generali (Tolomeo e Ieronimo di Cardia) furono le fonti
principali per la storia di Alessandro e quella dei suoi successori.
Continuatore dell'indirizzo storiografico di Duride fu Filarco (se­
conda metà del III secolo a.C.), della cui opera conosciamo l'impo­
stazione metodologica grazie alle feroci critiche mossegli nel II secolo
a.C. da Polibio. Citando come esemplare il suo drammatico racconto
della battaglia di Mantinea, egli enucleò i principali aspetti teorici
che caratterizzavano il lungo dibattito sulla storia come mimesi. Alle
nozioni di compartecipazione emozionale, illusione, verosimile, piace­
re, momentaneità, cui era data grande importanza nella narrazione di
Filarco, egli contrappose il concetto di vero, di utile, di perenne della
ricerca storica, la quale doveva in primo luogo sollecitare l'impegno
intellettuale del lettore. Eppure, come abbiamo visto, la storiografia
u1i111etica aveva in sé profonde esigenze di ordine etnologico e psico­
logico o, in termini moderni, sociologico. Polibio, però, era conscio
del pericolo rappresentato dal sensazionalismo di quel tipo di narra­
zione, e dell'impossibilità di perseguire con tale impostazione storica
quel fine politico-morale che apparve l'unico vera111 ente legittimo a
chi si accingesse a scrivere storia nella Roma del II-I secolo a.C.
132 LE FONTI LETTERARIE

Nel delineare il proprio metodo d'indagine, Polibio si contrappo­


neva non solo a Duride-Filarco e alla storiografia <<tragica>>, ma anche
all'indirizzo storiografico di ascendenza isocratea. Nel proemio del
IX libro, egli ribadì il suo rifiuto delle inserzioni antiquarie nella nar­
razione storica, anche qualora riguardassero genealogie o fon dazioni
di colonie. La sua intendeva essere una storia pragmatica, limitata
agli avvenimenti politici, con esclusione di qualsiasi argomento etno­
grafico e antropologico. Erano altri, dunque, i caratteri principali del­
l'indirizzo da lui criticato. Contro uno storico, in particolare, egli
concentrò la sua polemica, quel Timeo di Tauromenio (356-260 a.C.)
che aveva scritto una Storia siciliana in 3 8 · libri fino alla presa di po­
tere di Agatocle e un'opera Su Pirro in cui aveva seguito gli avveni­
menti fino all'inizio della prima guerra punica. Restando di Timeo
solo frammenti, anche ciò che sappiamo di lui lo dobbiamo parados­
salmente a Polibio che, dopo un secolo, sentiva ancora l'urgenza di
scalzare l'autorità del predecessore per affer111 are se stesso come sto­
rico. La novità nella scelta del soggetto, non nel metodo, caratterizza
per noi questo storico siciliano, che scrisse la storia politica e cultura­
le dell'Occidente mentre era esule in Atene alla fine del IV secolo
a.C. La sua opera, fondata su uno studio preliminare di cronologia
olimpica, era costruita secondo le esigenze dell'erudizione coeva. Il
suo metodo si evince dalla notizia che egli vantava di aver speso
somme cospicue per comprarsi i libri necessari a scrivere il capitolo,
per esempio, su Tiro. Ma proprio lui, che si era a�teggiato a portavo­
ce e teorico di una storiografia erudita, venne serrata111 ente attaccato
da Polibio, per il quale il vero storico doveva analizzare accurata­
mente i doc11111enti (per non lasciare filtrare errori) e non nasconderli
per tendenziosità; doveva visitare i luoghi citati (autopsia) e non sub­
ordinare l'indagine reale a una raccolta di materiali libreschi. Al di là
della critica polibiana, tuttavia, Timeo dovette essere dotato di parti­
colare acume storico. Con grande precocità, infatti, egli riuscì a indi­
viduare il campo di osservazione che sarebbe divenuto privilegiato
per gli storici futuri. Nello strano simbolismo della coincidenza da
lui istituita fra la fondazione di Roma e di Cartagine (814 a.C.) si
celava una scoperta storica di primaria importanza: l'elevarsi di Roma
a grande potenza dell'Occidente, capace di contendere con Cartagi­
ne. Lic6frone, un poeta tragico fiorito ad Alessandria intorno al 280
a.C. circa, potrebbe contendere a Timeo il primato di tale scoperta.
In un passo oscuro dell'Alessandra, egli presentò la guerra contro
Pirro come una vendetta dei Romani, discendenti dei Troiani, contro
i Greci. Non sappiamo, però, chi dei due avesse influenzato l'altro.
Quanto a Timeo, comunque, il fatto che, accortosi di Roma, ne se­
guisse le vicende fino al 264 mostra che egli non solo aveva capito
l'importanza della guerra di Pirro, ma che aveva chiara anche la con­
catenazione tra quella e la prima guerra punica.
Le felici intuizioni di cui Timeo aveva dato prova dovettero esse­
re uno dei motivi più o meno consci che scatenarono l'acrimonia di
Polibio. Altro motivo fu la vasta influenza che egli dovette esercitare
LE FONTI LE'J"l'ERARIE 133

sullo scenario storiografico di Roma arcaica. Essendo il primo storico


greco ad aver trattato in modo non marginale la storia di Roma, a lui
evidentemente si rifecero quei primi scrittori romani che scrissero in
greco la storia del proprio popolo. Per suo tramite, dunque, aveva
trovato un favorevole terreno d'incubazione nella cultura e nella sto­
riografia romana di epoca arcaica proprio quella storiografia isocra­
tea, caratterizzata da didascalismo e psicologismo moralistico, contro
cui Polibio avanzò più tardi le proprie riserve.

3. I Romani e la loro storiografia

3.1 . Le origini

Con la cultura storica greca, la produzione letteraria romana pre­


senta alcune analogie e molte differenze. Dal III secolo a.C., quando
cominciarono ad apparire i primi libri di storia romana, fino al I d.C.
circa, Roma rappresentò l'unico centro di elaborazione e diffusione
di cultura letteraria, mentre Atene non ebbe mai questo ruolo esclu­
sivo. Mentre, inoltre, la letteratura attica fu scritta per lo più da Ate­
niesi, quella latina nacque per opera essenzialmente di immigrati pro­
\'enienti da varie parti dell'Italia e poi dell'impero. Struttura e ideolo­
gia dell'antica respublica spiegano molte altre differenze e aiutano a
capire alcune peculiarità delle prime opere storiche prodotte a Roma.
Quando queste comparvero, nel III secolo a.C., la città era governata
da una nobilitas senatoria patrizio-plebea, la cui configurazione era
frutto di oltre due secoli di lotte per il potere politico. L'ideologia
scaturita dalla fine della contrapposizione violenta fra le due compo­
nenti principali di quella società ruotava intorno al principio dell'uni­
tà della civitas, un ideale che rimase poi costante in tutta la civiltà
romana. Suoi elementi centrali furono l'avversione per la fo1111a di
governo monarchica e la paura che essa potesse riaffermarsi se uno
dei nobili per potere e prestigio superasse gli altri, trovando · sosteni­
tori nelle aspirazioni economiche e politiche dei meno ricchi. Di qui
il bisogno di tenere sempre vivo e vigile nel dibattito politico e nella
cultura l'odio della tirannide e di arginare entro certi limiti le diffe­
renze fra le grandi fa111iglie; di qui anche la propaganda di un valore
tipicar11ente latino, la concordia, il principio cioè che tutte le parti
della società dovessero collaborare per la libertà, per la gloria milita­
re e per la prosperità comune. La civitas e tutti i valori su cui si rite­
neva fondata la sua morale rimasero, in sostanza, il principale oriz­
zonte dello storico romano, molto più di quanto non avesse rappre­
sentato la polis per gli storici greci. La cultura storica romana, dun­
que, nacque come una cultura dell'integrazione e della conservazione
e tale rimase anche nei secoli dell'impero.
Né poteva essere altrimenti, essendo stata la nobilitas (prima
quella patrizia, poi quella patrizio-plebea) a produrre i primi testi
scritti: testi di leggi, Joedera, elenchi annuali di magistrati (fasti) , ero-
134 LE FON'J'J LETIERARIE

nache annuali o annales. In certi casi, i testi erano iscrizioni esposte


al pubblico, in fori o templi; in altri casi i documenti erano custoditi
in archivi all'interno dei santuari. Forse già nel V secolo a.C. il pa­
trizio che rivestiva la carica di ponti/ex maximus raccoglieva per
iscritto elementi di una cronaca annuale: nomi dei magistrati, prodi­
gi, avvenimenti militari con date precise, leggi approvate, decreti del
senato, consacrazioni di templi, carestie, grossi mutamenti dei prezzi.
Più tardi, alla fine di ogni anno, tale cronaca fu esposta in pubblico,
scritta su una tavola imbiancata (tabula dealbata). Negli archivi dei
pontefici massimi c'erano probabilmente anche cronache più partico­
lareggiate di quelle esposte al pubblico, magari con una sorta di
Commentarii. Si può supporre che proprio in base a questa cronaca
allargata fossero compilati sotto il pontificato di Publio Muzio Scevo­
la (130- 1 14 a.C.) gli Anna/es Maximi in 80 libri. Sotto il suo pontifi­
cato, con la compilazione di questa opera monumentale, dovette an­
che finire la consuetudine di esporre la tabula dealbata.
Oltre al materiale relativo allo stato, anche molte famiglie nobili
disponevano di documenti di eccellente valore per la storia più anti­
ca della città: in casa, o anche esposte al pubblico, conservavano
iscrizioni, specialmente funebri, che ricordavano la carriera politica e
le gesta militari di membri della propria gens che erano stati perso­
naggi più o meno rilevanti nelle vicende della respublica (celebri gli
elogi degli Scipioni, di cui il più antico risalente al III secolo a.C.);
elogi funebri (laudationes) pronunciati in occasione dei funerali erano
talvolta conservati negli archivi di famiglia. Accanto alle più antiche
memorie di Roma registrate negli archivi dei magistrati dai collegi sa­
cerdotali, furono queste le altre fonti a cui i primi storici latini pote­
vano ricorrere: d'altra parte, già i Romani sapevano quanto docu­
menti del genere fossero poco affidabili a causa di esagerazioni e fal­
sificazioni. Molte notizie erano tramandate anche per via orale attra­
verso i carmina convivalia, poemetti epici che celebravano i miti rela­
tivi alle origini delle città e anche di gesta più o meno storiche delle
famiglie nobili. Nonostante la somiglianza con la trasmissione della
tradizione orale presso i Greci, non conosciamo per i latini una pro­
duzione epica come quella degli aedi greci o dei bardi celtici. Questa
doc11111entazione familiare e la sua critica da parte dei pochi espo­
nenti di famiglie non illustri, che riuscirono a spezzare il monopolio
politico dell'aristocrazia (come Catone) , costituirono uno dei filoni di
rilievo della storiografia.
Ciò che caratterizzò la tradizione romana, dunque, fu prima di
tutto la sua connotazione aristocratica e la sua forte politicizzazione.
Senatori erano i pontefici che scrivevano gli Annali, senatorie le fami­
glie che avevano interesse a conservare la loro storia, aristocratica in­
fine era anche la componente <<popolare>> della tradizione, cioè i car­
mi conviviali. Nessuna meraviglia, dunque, che fosse un uomo della
nobilitas, Fabio Pittore, il primo a dare il via a quell'indirizzo storio­
grafico noto con il nome di <<Prima Annalistica>>. La nobiltà, che di­
sdegnava di scrivere poesia, non ritenne affatto ignobile dedicarsi alla
LE FONTI LE'I"l'ERARJE 1 35

narrazione storica e per oltre un secolo essa rimase suo appannaggio.


L'analogia è molto forte con la giurisprudenza che, come la storio­
grafia, fu in origine riservata ai pontefici e che almeno fin verso la
metà del I secolo a.C. restò un'attività nobiliare in grado di conferire
'

anche molto prestigio. E significativo che la prima opera scritta di


giurisprudenza, i Tripertita, fosse dovuta a Sesto Elio, un contempo­
raneo di Fabio Pittore, console nel 198 a.C. L'esempio di Fabio Pit­
tore, uomo politico non di primo piano, ma appartenente alla nobiltà
patrizia e partecipe alla seconda guerra punica, fu seguito da altri
membri dello stesso gruppo dirigente. Scrissero Annali in greco Lu­
cio Cincio Alimento, pretore nel 2 1 O; Gaio Acilio, senatore e inter­
prete presso il senato in occasione dell' atnbasceria dei filosofi greci a
Roma nel 155 ; Aulo Postumio Albino, console nel 15 1 e ambasciato­
re in Grecia nel 146, anno della distruzione di Corinto. Da una noti­
zia di Cicerone (Brut. 77) pare che anche il figlio dell'Africano mag­
giore, padre adottivo dell'Africano minore, avesse scritto una storia
in greco, in stile particolarmente gradevole.
L'estrazione sociale dei primi storici romani, oltre ai caratteri già
elencati, significò per la prima annalistica una forte impronta politica,
nonché competenza giuridica e militare. A motivazioni di natura po­
litica è riferibile probabilmente anche la scelta del greco come lingua
di queste prime opere. Non avendo la cultura latina ancora elaborato
una prosa letteraria, poté certo sembrare troppo difficile passare dal­
la rozza cronaca annalistica a una prosa che fosse intellettualmente
rispettabile e insieme attraente per il lettore. In primo luogo, tuttavia,
dovette venire l'esigenza politica di offrire a popoli stranieri, Greci e
Cartaginesi che non avrebbero potuto leggere il latino, un'interpreta­
zione romana delle origini leggendarie e della storia di Roma che
controbilanciasse quella polemicamente diffusa dai Greci. In partico­
lare, Filino di Agrigento, secondo Polibio, aveva dato della prima
guerra punica una versione dei fatti opposta a quella di Fabio Pitto­
re; Sosilo di Sparta e Sileno di Calatte avevano descritto la seconda
guerra punica dagli accampa111enti di Annibale. L'impegno politico,
che rimase poi frequente e forte nella storiografia latina, doveva tra­
sparire anche dall'inserimento nella narrazione di parti più propria­
mente autobiografiche, avendo quei primi storici partecipato in mag­
giore o minore misura ad avvenimenti rilevanti della repubblica. Da
Livio (XXII, 57 , 5 ) , ad esempio, sappiamo che Fabio Pittore era sta­
to mandato a consultare l'oracolo di Delfi dopo il disastro di Canne,
per chiedere con quali sacrifici i Romani potessero placare gli dei e
dare termine alle gravi sventure abbattutesi sul loro stato. Si è giu­
sta111ente pensato che il particolareggiato racconto liviano di tale mis­
sione e dei suoi risultati provenisse dall'opera stessa di Fabio. In
egual modo, doveva risultare da Fabio la sua partecipazione alla
guerra contro i Galli del 225 a.C. Anche Lucio Cincio Alimento rife­
riva nella sua opera di essere stato prigioniero di Annibale nella se­
conda guerra punica (Livio XXI, 38, 2).
136 LE FONTI LE'l"l'ERARIE

Per quanto alcuni abbiano sopravvalutato l'incidenza che in que­


ste prime opere di storia dovette avere l'esperienza politica e militare
dei loro autori, è tuttavia innegabile che affari di stato, problemi giu­
ridici, operazioni militari avessero un ruolo predominante. Erano
questi gli argomenti messi in primo piano nella cronaca pontificale
da cui tali storici attingevano; e tale caratteristica costituì una condi­
zione favorevole al futuro incontro con la storiografia pragmatica gre­
ca. In Fabio Pittore, peraltro, sembra fosse viva anche l'attenzione
per i riti religiosi e per i costumi, cosicché il materiale da lui utilizza­
to andava al di là della cronaca pontificale. Essendo tuttavia l'inte­
resse di tale storiografia sostanzialmente politico, da essa furono eli­
minati gli elementi antiquarii e quelli relativi alla divinazione. Il pri­
mo a inserirli fu Catone. La prima annalistica rappresentò pertanto
una forte soluzione di continuità rispetto a quella tradizionale, so­
prattutto sotto il profilo della leggibilità: da una cronaca riservata di
archivio si passava infatti a un racconto fruibile da un pubblico am­
pio di lettori. Rivolta anche ed essenzialmente al mondo greco, cui
voleva presentarsi nel modo migliore, questa annalistica doveva esse­
re dominata da forte spirito propagandistico e dalla storiografia greca
derivava alcune tendenze peculiari, destinate a incontrare esigenze e
gusti della classe che la produceva: molta importanza era data agli
avvenimenti militari, agli esempi morali, ai culti religiosi ufficiali.
Come quella greca, inoltre, era essenzialmente storia delle origini
e storia contemporanea, con un salto sulle vicende intercorse fra
l'una e l'altra. Così almeno indurrebbe a credere la testimonianza di
Dionigi di Alicamasso (Ant. Rom. I, 6, 2), secondo cui Fabio e Cin­
cia Alimento narravano nei particolari i fatti che conoscevano per
esperienza e sommariar11ente, invece, gli eventi antichi <<successivi alla
fondazione della città>>. Del resto anche le Origines di Catone, nono­
stante le molteplici differenze rispetto a questa prima annalistica, do­
vettero essenzialmente occuparsi delle origini di Roma, dell'età regia,
della fondazione delle varie città italiche per poi passare alla storia
contemporanea. Tale schema, tuttavia, non fu dovuto a una delibera­
ta volontà di alterare, anche col celarli, fatti della prima repubblica,
come alcuni hanno creduto, bensì a un complesso di fattori: una rea­
le mancanza di fonti per quel periodo, perché i Greci, da cui gli sto­
rici latini massima111ente dipendevano per ciò che non fossero le ori­
gini leggendarie, avevano cominciato a interessarsi di Roma solo
quando essa era divenuta rilevante per la Magna Grecia; la colloca­
zione sociale dei primi storici, che erano uomini politici, protagonisti
di molti degli eventi che narravano; l'interesse del pubblico, attratto
evidentemente più dall'attualità che dal mito, proprio come in Gre­
cia. Il focalizzarsi dell'indagine storica su questi due poli (passato mi­
tico e contemporaneità) cooperò anche a provocare quel senso di de­
cadenza e quel pessimismo che rimarranno poi caratteristici della sto­
riografia romana: né poteva essere altrimenti, se il confronto era tra
un passato mitico e la crisi morale del presente. Notevole fu tuttavia
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 137

il fatto che tale pessimismo non escluse mai, anzi s'integrò perfetta­
mente, con la fede salda nei destini di Roma.
Le caratteristiche appena rilevate nella prima annalistica rimasero,
nelle linee generali, invariate anche quando, con la sconfitta di Antio­
co III di Siria ( 1 90 a.C.) , essendo Roma divenuta la potenza egemo­
ne del Mediterraneo, dovette essere molto meno forte l'esigenza di
natura propagandistica e diplomatica, così da far abbandonare il gre­
co come lingua dell'opera storica e adottare il latino. Un modello si­
gnificativo in tal senso fu Marco Porcio Catone (234- 149 a.C.), che
con le sue Origines rinnovò e rr1odificò l'iniziale schema annalistico.
Oltre all'uso del latino, altra novità dell'opera fu l' a111plia111ento del­
l'orizzonte storiografico, per cui Catone ritenne necessario narrare
non solo le origini di Roma, ma anche delle altre città italiche entrate
in relazione con lei. Tale tipo di scelta, come pure quella di indicare i
protagonisti con i loro titoli ufficiali invece che con i loro nomi e di
dare risalto alle azioni di umili combattenti (comprese quelle di un
valoroso elefante) , suggeriscono nel loro complesso una cosciente po­
lemica con la letteratura senatoria allora dominante e, forse, verso
quell'impostazione biografica che essa aveva derivato dalla storiogra­
fia ellenistica. La sua storia, del resto, fu pressoché contemporanea a
quella di Polibio dove, con altri mezzi, erano egualmente criticati i
medesimi indirizzi storiografici. Il titolo dell'opera, in realtà, si addi­
ceva solo ai primi tre dei sette libri di cui si componevano le Origi­
nes, quelli in cui erano illustrate le origini di Roma (I) e la nascita
delle città d'Italia (II e III). I Greci, d'altra parte, avevano già offerto
esempi di opere intitolate dal tema iniziale (così l'Anabasi di Seno­
fonte) e Catone si sarà sentito legittimato da tali esempi illustri. Dai
frammenti dei primi tre libri si ha qualche indizio dell'interesse di
Catone anche per caratteri e costumi di popoli diversi da quelli d'Ita­
lia. L'attenzione fu probabilmente stimolata anche dalla lettura dello
storico siciliano Timeo, dal quale pare che Catone abbia attinto qual­
che notizia.
Ma le Origines non erano un'opera di erudizione. Degli altri
quattro libri, il IV narrava la prima guerra punica e parte della se­
conda almeno fino a Canne; il V andava dalla seconda guerra punica
fino al 167 circa; il VI e il VII cornprendevano gli altri eventi politici
sino alla campagna del pretore Servio Galba contro i Lusitani del
149 a.C. La disposizione del materiale nei singoli libri confer111 a che
pure Catone, come i primi annalisti, dava spazio maggiore alla storia
contemporanea, dove le sue accese convinzioni politiche potevano
esprimersi meglio. L'opera era stata scritta dopo decenni di lotte po­
litiche in cui egli aveva cercato di eliminare il prestigio di personalità
carismatiche che rompevano la rel ativa uguaglianza della nobilitas al
suo interno, e di rendere innocua l'influenza della cultura greca che
minacciava di spezzare la tradizior1 e morale romana. Contro il fascino
di uomini come Scipione l' Africru io, egli fece valere una concezione
che è stata definita storicistica: l'idea cioè che la respublica romana, le
sue istituzioni, la sua grandezza nl1n erano frutto delle innovazioni di
138 LE f'ONTI LE I"I'ERARIE

grandi personalità, bensì del lavoro lungo e tenace di generazioni vo­


tate al bene dello stato. L'eliminazione dei nomi, indicati solo attra­
verso le cariche ricoperte, era un modo paradossale di combattere il
fascino degli eroi; come c'era da aspettarsi, la proposta non ebbe
seguito.

3.2. Da i Gracchi alla fine della repubblica

Dopo Catone il latino si affermò definitivamente come lingua cor­


rente anche per la storiografia. Lucio Cassio Emina, Gneo Gellio e
Lucio Calpumio Pisone Frugi continuarono l'annalistica secondo lo
schema tradizionale. Intorno al 146 a.C., il primo pubblicò alcuni li­
bri di Annali (ne sono citati quattro, e tanti probabilmente ne scris­
se), di cui i primi due arrivavano all'incendio gallico e alla guerra di
Pirro, e gli altri due erano dedicati alle vicende contemporanee: lo
spazio di tempo coperto era dunque il solito, come pure i vuoti e le
lacune sul IV-V secolo a.C. Poiché in alcuni frammenti compaiono
interpretazioni evemeristiche (Saturno era un uomo; Fauno era un
indovino proclamato dio da Evandro), dovremmo pensare che Cassio
Emina accogliesse quelle infiltrazioni di razionalismo nell'interpreta­
zione di religione e miti che dal pensiero greco cominciavano a tra­
passare nella cultura latina. Come Fabio Pittore, anch'egli sembra
fosse attento a curiosità relative alla storia dei costumi e delle istitu­
zioni. Analoghi interessi condivideva anche Gneo Gellio, dei cui An­
nali sono conservati alcuni frammenti sugli inventori delle arti, dalla
scrittura alla lavorazione dei metalli. Dalle citazioni dei suoi libri ne­
gli autori più tardi, sembra che la sua opera avesse una straordinaria
ampiezza (l'ultimo libro citato è il novantasettesimo) e che, per la
prima volta, il vuoto del V-IV secolo a.C. fosse colmato.
Simile a111piezza rimase però eccezionale in questo periodo. Lucio
Calpurnio Pisone Frugi, tribuno della plebe nel 149 a.C., console nel
133 , anno del tribunato di Tiberio Gracco del quale fu avversario,
censore tanto austero da meritarsi l'appellativo di Frugi (<<Frugale>>),
tornò all'ampiezza allora consueta per le opere di storia: sette libri di
Annali, la cui impostazione ideologica doveva ricordare le Origines
catoniane. Ugualmente impegnati nelle turbolente vicende di quegli
anni furono altri due scrittori di Annali: Quinto Fabio Massimo Ser­
viliano, console nel 142 a.C., combattente in Spagna contro Viriato, e
Gaio Sempronio Tuditano, console nel 129 a.C., che ottenne il trion­
fo per la vittoria sulla popolazione illirica degli lapidi. Delle loro
opere abbiamo troppo pochi frammenti per farcene un'idea precisa.
Con sicurezza, invece, le lotte dei Gracchi erano trattate nell'opera di
Gaio Fannio, sulla cui identificazione con il Gaio Fannio oratore, ge­
nero di Lelio, prima alleato di Gaio Gracco di cui condivise il conso­
lato n�l 122 e poi suo avversario, si era incerti già al tempo di Cice­
rone. E· ovvio che a seconda della soluzione data al problema proso­
pografico cambierebbero anche le congetture da farsi per l'imposta-
LE FONTI LE'I"I'ERARIE 139

zione dell'opera. Dai pochi frammenti sembra tuttavia che essa non
fosse faziosa, benché la storia contemporanea occupasse, al solito, il
posto p1u a111p10.
. ' .

Fattore determinante per tale evoluzione era stata la pubblicazio­


ne, intorno al 120 a.C. , degli Annali massimi da parte dell'ex console
Publio Mucio Scevola, console nel 13 3 , alleato e collaboratore di Ti­
berio Gracco, del quale giustificò tuttavia l'uccisione allorché questi
uscì dalla legalità. Divulgando la versione <<ufficiale>> del periodo ar­
caico, l'edizione degli Annali pontificali, ne rendeva ormai superflua
la trattazione in opere di storia generale e, diffondendo una versione
fin allora non accessibile al pubblico, faceva sì che potessero occu­
parsene anche i non senatori. Questi elementi, insieme ad altri legati
alle trasformazioni della società romana della seconda metà del II se­
colo a.C., contribuirono a una forte maturazione della storiografia ro­
mana. Quanto alla Storia della seconda guerra punica in sette libri di
Lucio Celio Antipatro (probabilmente uno dei più antichi storici
<<letterati>>), essendo l'argomento più ristretto, essa doveva essere ca­
ratterizzata da maggiore accuratezza nella ricostruzione storica di
quella parte della storia romana che già allora appariva la svolta più
importante nei destini di Roma repubblicana. Dai fra111menti perve­
nuti (soprattutto quelli sui sogni di Annibale, sui prodigi e presagi
che si accompagnarono ai funesti eventi militari, sulle scene grandio­
se con cui si voleva scuotere il lettore), pare che Celio avesse intro­
dotto nella storiografia latina procedimenti tipici della storiografia
<<tragica>> greca, quel tipo di storia che proprio in quegli anni, e forse
per l'influsso esercitato nello scenario letterario romano, Polibio ave­
va messo in ridicolo.
Nella stessa età di Catone, di cui era poco più giovane, Polibio
(200- 120 a.C.) tentò nella sua opera una valutazione della rapida
espansione avuta da Roma in meno di un cinquantennio. Questo sto­
rico greco che, nell'esposizione del suo metodo (rigorosa ricerca sui
fatti della storia politico-militare contemporanea) aveva polemizzato
con la storiografia <<tragica>> di tipo mimetico ed emozionale e con
quella di sta111po isocrateo, pose al centro della propria opera una
tesi da dimostrare; e fu il primo a porsi il problema dell'imperialismo
romano, che dalla prima metà del II secolo a.C., a seguito della rapi­
da espansione successiva alla vittoria su Cartagine, era divenuto cen­
trale. La storiografia polibiana si articola infatti entro questo doppio
filone: la volontà di fornire un insegnamento pratico, ponendosi
come una lezione di fatti vissuti e subiti che costituisce il corollario
didascalico e moralistico dell'opera, e insieme la necessità di provare
la validità di un'ideologia apertamente dichiarata. Il primo carattere
ben si comprende come naturale conseguenza delle vicende biografi­
che dell'autore, che era stato direttamente coinvolto nelle azioni che
portarono rapidamente Roma a dominare su tutto il Mediterraneo.
Figlio di uno dei capi della lega Achea ed egli stesso capo della ca­
valleria, fu portato a Roma come ostaggio insieme con un migliaio di
giovani greci in seguito all ' atteggia111ento ambiguo tenuto dagli stati
140 LE FONTI LE'I"J'ERARIE

greci nella guerra contro il re di Macedonia Pérseo, vinto da Lucio


Emilio Paolo a Pidna nel 168 a.C. Da allora in poi, egli visse per
quasi tutta la vita lontano dalla patria, legato da forte a111icizia con
membri eminenti della famiglia degli Scipioni protagonisti, in quegli
anni, della vita politica romana. Accompagnando l'Emiliano nelle sue
campagne, Polibio poté viaggiare dall'Africa alla Gallia, alla Spagna e
osservare da vicino il funzionamento delle istituzioni elaborate da
Roma per il funzionamento del nuovo impero organizzato sui domini
dell'Occidente. Un simile ampliamento di orizzonti geografici si ri­
fletté nell'esigenza, espressa come carattere tipico della storiografia
pragmatica, di una prospettiva sovranazionale per cogliere i nessi che
legavano i singoli fatti storici.
Per spiegare e conferire legittimità all'imperialismo romano, Poli­
bio disponeva invece di un'esperienza non diretta, ma culturale,
quella propria della cultura greca. I Greci per primi avevano elabora­
to un'ampia discussione sulla for111 azione dei grandi organismi politi­
ci, avendo essi stessi avuto esperienza diretta della nascita e della in­
voluzione di vari imperi, da quello persiano a quello di Alessandro
Magno. Platone e Aristotele si erano infatti posti il problema d'indi­
viduare quale forma di stato potesse raggiungere la perfezione ed evi­
tare la decadenza: una questione, dunque, costituzionale e morale,
nel senso che era lecito giustificare la supremazia di uno stato, in
quanto essa dipendeva dalla bontà dei suoi ordinamenti. Applicando
tali principi alla realtà romana, Polibio ritenne che l'impero romano
traesse la sua forza dalla sua costituzione mista, la stessa indicata
come la migliore da Aristotele e dalla sua scuola: essa si fondava sul­
la compresenza delle tre fonda111entali for111e di governo, la monar­
chica (i consoli) , l'aristocratica (il senato) e la democratica (le assem­
blee popolari), a garanzia della propria bontà. Nella teoria costituzio­
nale greca, tuttavia, era implicita anche la considerazione che ogni
tipo di governo, per quanto ottimo, raggiunto il momento di maggior
perfezione era destinato a decadere secondo una vicenda ciclica.
Neanche Roma, secondo Polibio, sarebbe sfuggita a tale destino, che
sarebbe conseguito al prevalere di un elemento sugli altri. Lo stesso
recentemente era accaduto a Cartagine, ugualmente retta dalla costi­
tuzione mista, allorché era divenuto predominante il potere dell' as­
semblea popolare.
Non sappiamo se tale visione pessimistica dei destini di Roma,
fortemente in contrasto con l'impostazione di fondo dell'opera poli­
biana (tesa a esaltare e a giustificare ideologica111ente la saldezza del­
l'impero romano) , più che derivare dalle considerazioni filosofiche
greche sulla inevitabile decadenza degli stati, fosse sopraggiunta nello
storico verso la fine della vita in seguito alle vicende graccane, che
avevano reso manifesti i primi segni della crisi implicita nello stesso,
grandioso processo di espansione. In ogni caso, la valutazione positi­
va dell'imperialismo che Polibio riuscì a dare non fu tale da superare
il sostanziale pessimismo della concezione generale. Fu Cicerone, a
un secolo circa di distanza, ad accorgersi delle contraddizioni impli-
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 141

cite nella teoria polibiana dell'anakjklosis (teoria <<ciclica>>) e a va­


riarne sensibilmente lo schema quando, nei primi due libri del suo
De re publica, riprese il problema della migliore for111a di governo.
Anche per Scipione Emiliano, nell'opera chiamato a parlare sull'argo­
mento, la costituzione che unisce principio monarchico, aristocratico
e democratico è di gran lunga migliore delle tre costituzioni semplici.
La sua bontà tuttavia, come mostra l'esempio di Roma nel II libro,
più che alla mescolanza è dovuta al fatto che essa si era ar111onizzata
attraverso tre secoli di storia grazie all'opera di praestantes viri. In tal
senso, la migliore giustificazione dell'imperialismo romano non venne
da Polibio ma da Cicerone, che in una visione più dinamica e co­
struttiva riprese e approfondì da Catone quella concezione storicisti­
ca dello sviluppo di uno stato, che è considerata frutto profonda­
mente originale del pensiero romano: la respublica non è creazione di
un solo uomo o di una sola età, ma di molte generazioni e come tale
ha una saldezza e una possibilità di progresso. Prima che il pensiero
storiografico giungesse a tale maturità di indagine, però, altri generi
di ricostruzione storica furono sperimentati.
Nella seconda metà del II secolo a.C. , l'inizio della crisi politico­
sociale dete1111inata dalla troppo rapida espansione di Roma coinvol­
se tutta la classe dirigente in una lotta aspra, che si combatté senza
esclusione di colpi anche sul piano personale. I protagonisti di tale
lotta ne diedero valutazioni opposte, sia servendosi di strumenti già
collaudati come l'annalistica, sia ricorrendo alla pubblicazione di me­
moriali, di autobiografie, di monografie su periodi significativi di sto­
ria contemporanea. Gli schemi storiografici si rinnovarono, dunque,
per adeguarsi alle esigenze del conflitto politico.
Uomini politici attivi verso la fine del II secolo a.C. si orientarono
verso un tipo di letteratura che gli antichi ponevano al di sotto della
storia vera e propria: i Commentarii, una raccolta di notizie sulla pro­
pria vita politica, per lo più con forte intonazione polemica; senza
particolare elaborazione stilistica. Il primo a scrivere Commentarii de
vita sua in tre libri fu Marco Emilio Scauro, console nel 1 15 , princi­
pe del senato, coinvolto in tutte le vicende più clamorose del tempo,
dalla guerra giugurtina alla questione mitridatica, protagonista di nu­
merosi processi. Dai vari frammenti a noi pervenuti, è evidente che
la sua opera era in sostanza un'apologia delle proprie azioni militari e
politiche. Ancora più tendenzioso era il libro Sul consolato e le pro­
prie gesta di Quinto Lutazio Catulo, uno dei primi a Roma che si
dilettasse anche di poesia leggera, componendo epigrammi erotici di
gusto alessandrino e raccogliendo intorno a sé altri uomini di cultura.
Publio Rutilio Rufo, esiliato a Smirne nella provincia d'Asia in segui­
to a un'accusa (probabilmente falsa) di concussione, scrisse un De
vita sua in almeno 5 libri, in cui si presume tentasse di scagionarsi
dalle accuse lanciategli dai publicani, accettate come vere dalla giuria
allora formata da persone appartenenti al ceto equestre, lo stesso de­
gli appaltatori d'imposte. Commentarii rerum gestarum scrisse anche
Lucio Cornelio Silla, il dittatore dall'82-81 all'80, aiutato oltre che da
142 LE FONTI LE'I"J'ERARIE

Lucullo, l'amico fidato cui i 22 libri furono dedicati, anche dal pro­
prio liberto greco Epicadio. Per l'importanza dell'autore e per la ric­
chezza del materiale, essi dovettero avere ampia influenza sulla fortu­
na di un genere autobiografico con caratteristiche nuove, che a Roma
sarà coltivato da personaggi come Lucullo e Augusto. Questa auto­
biografia, nata probabilmente come estensione dei promemoria com­
pilati dai magistrati (che di simili appunti si servivano poi per le loro
relazioni al senato) , ma stimolata da modelli greci - in particolare
dagli hypomnémata o libri di memorie redatti da politici come Pirro
o Arato di Sicione -, si era evoluta con caratteri tipica111ente romani
come biografia <<carismatica>>, tale da rispondere alle esigenze autoce­
lebrative dei nuovi capi politici di Roma.
Quanto alla storiografia vera e propria, nel periodo immediata­
mente precedente e successivo all'esperienza sillana non pare che
essa sia stata particolarmente fiorente. Due storici, tuttavia, vanno ri­
cordati per il loro rilievo: Sempronio Asellione (che scrisse fra il 90 e
1'80 a.C. sugli avvenimenti contemporanei, fino al 9 1 o all'83 a.C.) e
Lucio Cornelio Sisenna (che fra il 70 e il 60 a.C. descrisse gli atroci
avvenimenti che colpirono l'Italia dallo scoppio del bellum sociale
alla morte di Silla) . Entrambi, quindi, scelsero di compiere una sele­
zione, puntando decisa111ente sulla storia contemporanea e riservando
forse al passato solo rapidi cenni nell'introduzione. I propositi meto­
dologici di Polibio sembrano aver influenzato Sempronio Asellione
non solo per il taglio cronologico: in alcuni frammenti del proemio,
egli rimprovera l'annalistica precedente di essere solo cronaca e trala­
sciare quanto egli considerava invece più importante: ricercare nello
sviluppo degli avvenimenti la loro causa e il loro fine. Più delle ope­
razioni militari o delle date precise e dei trionfi gli appariva quindi
importante render conto dei dibattiti e delle deliberazioni in senato,
delle leggi approvate o rifiutate dal popolo. Il diverso metodo corri­
spondeva a una diversa funzione della storiografia, che era quella
esaltata da Tucidide e Polibio, di formare l'uomo politico. Anche l'o­
pera di Lucio Cornelio Sisenna, in almeno 23 libri, era rivolta alla
storia contemporanea, con un'introduzione sull'archeologia degli av­
venimenti recenti d'impianto tucidideo. Nuova dunque, per i latini,
questa organizzazione strutturale della storia; nuova doveva altresì
apparire la ricerca stilistica impiegata per arricchire le scene, che do­
vevano essere numerose, patetiche e in generale denotanti il gusto
per la storiografia <<tragica>>. L'impostazione polibiana di Sempronio
Asellione rimase peraltro, nella storiografia dell'epoca, un fatto total­
mente isolato, mentre s'avviava ad avere grande fortuna un tipo di
storia che poteva essere considerata, alla stregua della novellistica o
della poesia, letteratura d'intrattenimento.
L'annalistica di questo periodo, invece, conservò impianto com­
positivo e stile tradizionali: furono nuovamente composte storie gene­
rali di Roma dalle origini fino all'età contemporanea, in cui il raccon­
to delle origini era trascurato o ridotto al minimo. Degli annalisti
Claudio Quadrigario e Valerio Anziate sappiamo pochissimo, né il
LE FONTI LETIERARIE 14 3

nome che essi portavano garantisce di per sé un reale lega111e con le


gentes dei Claudii e dei Valerii. Apparteneva invece alla nobilitas
Gaio Licinio Macro, tribuno della plebe nel 73 a.C . , pretore nel 68
a.C., suicida nel 66 a.C. nel mezzo di un processo per concussione in
cui Cicerone era accusatore. Era padre dell'oratore e poeta Licinio
Calvo. La sua opera in 16 libri, rispetto agli almeno 75 di Valerio
Anziate, non era delle più ampie, anche se egli fu in seguito conside­
rato un'autorità per la parte in cui trattava dalle origini fino al III
secolo a.C. Sembra infatti che egli fosse attento ai problemi istituzio­
nali e costituzionali, ricorrendo anche a documenti inconsueti come i
libri lintei (una cronaca scritta su tela di lino). Ancora più difficile è
ricostruire le caratteristiche dell'opera di Elio Tuberone, di famiglia
senatoria, amico di filosofi greci e di Varrone. Ai suoi Annali in 1 4
libri Cicerone attribuiva un'intonazione tucididea, con la quale egli
avrebbe rielaborato il materiale disponibile dell'ultima annalistica.
Benché la storiografia di questo periodo abbia costituito, per la parte
non trattata da Polibio, la base più importante della futura storio­
grafia (quella che Livio si trovò di fronte e adottò), essa è giudicata
in genere un racconto sostanzialmente inattendibile. Nella storiogra­
fia latina non si era mai affe1111ato il metodo critico adottato da Poli­
bio per la sua Storia e la ricerca dell'obiettività rimaneva scarsa. Mol­
te deformazioni erano stimolate in questa seconda annalistica dal rin­
novato culto per le tradizioni gentilizie, che avevano contato molto
nel periodo della reazione aristocratica sillana e nell'ultimo cinquan­
tennio della repubblica. Oltre a ciò, altri errori e arbitrarie interpre­
tazioni erano provocati dalla tendenziosità politica dei vari autori:
per lo più la storia dei primi secoli della repubblica, trattata somma­
riamente dalla prima annalistica, venne ampliata attraverso la proie­
zione nel passato delle lotte politiche contemporanee, dalla guerra
degli alleati italici a quelle civili fra Mario e Silla .
Negli ultimi decenni della repubblica, dominati ancora dalle
guerre civili, dalla lotta per la supremazia fra Pompeo e Cesare, men­
tre la crisi dello stato giungeva al culmine, anche la storiografia, se­
guendo forme e tradizioni diverse, produsse i risultati più alti. Conti­
nuò in primo luogo il costume di scrivere commentari sulla propria
azione politica o su quella del personaggio politico cui si era legati. Il
capolavoro di tale letteratura memorialistica fu rappresentato dai due
Commentarii di Cesare, il De bello gallico e il De bello civili. Il primo
fu scritto nel vivo della guerra per la conquista della Gallia dal 58 al
52 a.C.; il loro completamento fino al 50 a.C., ultimo anno di guerra,
si deve a un legato di Cesare, Irzio. Anche il De bello civili, che co­
pre in 3 libri gli anni 49 e 48 a.C., fu completato da Irzio con la
trattazione della guerra combattuta da Cesare ad Alessandria contro
il fratello di Cleopatra Tolomeo: la sua redazione è collocata dopo la
definitiva vittoria sui pompeiani a Munda nel 45 a.C.
Accanto al genere memorialistico prosperò anche quello biografi­
co, che era entrato nella cultura latina al tempo delle lotte graccane:
Gaio Gracco aveva scritto una biografia del fratello Tiberio, utilizzata
144 LE FONTI LE'I"I'ERARIE

poi da Plutarco. Negli ultimi anni della repubblica furono i collabo­


ratori di uomini politici importanti a scrivere biografie dei propri pa­
troni: Tirone ne scrisse una di Cicerone; Gaio Oppio di Cesare; Lu­
cio Calpurnio Bibulo di Bruto. Iniziarono anche raccolte di biografie
di uomini illustri, delle quali le parti rimaste del De viris illustribus di
Cornelio Nepote ( 1 00 a.C. - 3 1 a.C.) rappresentano l'unico esempio
di tutta la produzione biografica prima di Svetonio. Dei 16 libri ori­
ginari, è conservata la sezione sui duci stranieri (altre sezioni riguar­
davano re, storici, poeti, oratori) e le vite di Catone il Censore e di
Tito Pomponio Attico, tratte dalla sezione relativa agli storici latini.
In mancanza di confronti significativi è difficile giudicare i caratteri
di quest'opera, di cui era forse nuovo il disegno complessivo di af­
fiancare in ciascuna sezione una serie di biografie romane e una di
biografie greche.
Anche gli studi di cronologia e di antiquaria produssero in que­
st'epoca opere complessive caratterizzate da maggiore dignità scienti­
fica. Tali dovevano essere i Chronica di Nepote, i tre libri di Storia
universale, e il Liber Annalis di Attico. Varrone poi produsse nume­
rose opere di antiquaria, dagli studi giovanili sulla lingua latina (lo
studio sul lessico comprendeva di solito anche quello st1 istituzioni e
cost111ni antichi) alle opere De gente populi Romani o De vita populi
Romani composti al tempo di Cesare.
In questi medesimi anni un'altra fonte essenziale, anche se non
propriamente storica, è costituita da gran parte dell'opera letteraria
di Cicerone: il De re publica e il De legibus, ad esempio, hanno un
valore eccezionale come testimonianza della concezione politica cice­
roniana. Le teorie di governo presentate, benché mutuate in gran
parte da fonti greche (Platone, Panezio, Polibio e altri), riflettevano
largamente anche la realtà politica romana ed ebbero notevole in­
fluenza nel dare base ideologica e propagandistica al principato di
Augusto. Il De re publica, in particolare, come s'è notato parlando di
Polibio, riprendeva uno dei temi che ebbero più spazio nella cultura
greca: la riflessione sulle forme costituzionali degli stati antichi, la
loro eccellenza e possibilità di durata. Anche orazioni ed epistolari
rappresentano un documento fonda1nentale per la storia di questo
periodo, gettando luce sulle traversie politiche di personaggi .di pri­
mo piano nella vicenda della fine della repubblica. Naturalmente la
possibilità di utilizzare questa produzione in senso storico varia in
relazione ai fini diversi che l'autore si prefiggeva con l'uno o l'altro
genere. Per le orazioni vale quanto s'è detto a proposito dell'oratoria
greca (pp. 128- 129). Più difficile è il giudizio sulle le�tere private, che
presupponevano come lettore il solo destinatario. E vero che esse,
specialmente se di contenuto politico, avevano di solito una circola­
zione più ampia, a volte erano registrate in atti ufficiali e, come tali,
potevano pure essere inserite in opere storiche (così fece Sallustio nel
De coniuratione Catilinae). Cicerone era cosciente del valore dei suoi
testi epistolari, tanto da prevederne la pubblicazione antologica. Indi­
pendentemente dal criterio adottato nella selezione e dalle modifiche
LE FONTI LETl'IòRARIE 145

apportate all'opera prima della pubblicazione, nelle sue oltre 900 let­
tere, che coprono il periodo dal 68 al 43 a.C., attraverso i riflessi
della crisi della repubblica si colgono tutti i temi più importanti della
vita politica e sociale del tempo: il suo epistolario fornisce perciò un
prezioso riscontro a opere d'impostazione differente quali quelle di
Cesare e di Sallustio. Altrettanto può dirsi del suo De o/ficiis, giudi­
cato per secoli un modello di idealità 11111ane, civili e sociali, ma in
primo luogo leggibile come doc11111ento della polemica anticesariana
(fu scritto alla fine del 44 a.C.) e di propaganda per un tipo di stato
oligarchico-senatorio del quale si prospettano i fini e gli ideali attra­
verso i comportamenti dei suoi cittadini politicamente impegnati.
Seppure utilizzabile come fonte storica, l'opera di Cicerone non
includeva tuttavia nessun testo di storia in senso proprio, benché nel
dialogo messo in scena nel De legibus (I, 5 ss. ) sia rappresentato Atti­
co che fa pressioni su di lui perché si dedichi alla storia. Negli ultimi
anni della repubblica, infatti, nei circoli colti della capitale era pro­
gredita la consapevolezza della forte inferiorità della storiografia ro­
mana rispetto a quella in lingua greca. Il problema era posto in ter­
mini letterari, tanto è vero che la prospettiva avanzata da Cicerone
era di estendere alla storiografia il livello raggiunto dall'oratoria (De
orat. II, 55 ) . Di fatto, si trattava non soltanto di un'immaturità stili­
stico-letteraria, ma soprattutto di un mancato approfondimento della
metodologia storica, dei fini e degli intenti che la storiografia doveva
proporsi. A tutto ciò rispose Gaio Sallustio Crispo con le due mono­
grafie Sulla congiura di Catilina e Sulla guerra contro Giugurta, com­
poste nei torbidi anni che seguirono alla morte di Cesare. Concepen­
do l'attività storiografica come frutto della virtus, dotata di un impor­
tante compito politico in quanto contribuiva alla formazione morale
del cittadino, Sallustio considerò lo scrivere storia come l'unico im­
pegno perseguibile dal cittadino allorché, per il deteriorarsi della si­
tuazione politica, non pareva esistere più spazio per un'attività politi­
ca onesta e utile allo stato. La scelta della storia si configura, dunque,
per Sallustio come una risposta alla crisi dello stato e della società, di
cui si vuole dare un'interpretazione. Tale, infatti, è l'impostazione del
racconto nelle sue opere, che scelgono due periodi peculiari della
storia della repubblica, corrispondenti a due fasi acute della degene­
razione morale della nobilitas e in generale di tutto il corpo cittadino.
Esse selezionavano un tema specifico; ma questo era talmente con­
nesso con una serie di problemi sociali, economici, politici, che ri­
mandava costantemente a un'interpretazione generale della storia re­
cente e passata. Tale funzione di raccordo era affidata specialmente
all'introduzione e agli excursus centrali, mentre nell'insieme entrambe
le opere mostra\rano un'organicità di riflessione che rappresentava
una novità rilevante nella storiografia latina. Il primo punto di riferi­
mento per il pensiero e lo stile di Sallustio fu infatti Tucidide; con
forte consapevolezza Sallustio rifiutava invece l'impostazione e i ca­
ratteri dell'opera di Sisenna: gravitas in luogo di grazia e raffinatezza
lessicali, perché la nuova storiografia non voleva essere un genere
146 LE FONTI LE'J"J'ERARJE

d'intrattenimento, ma intendeva porsi al livello della migliore storio­


grafia greca. Naturalmente anche la strada imboccata da Sallustio
presentava alcuni limiti: la storia pragmatica tucididea, ornata con
coloriture tragiche, era aliena dagli interessi propri dell'antiquaria e
finiva per eliminare, accanto a curiosità inutili, anche spunti interes­
santi per l'etnografia e la geografia. Ciò che la storia guadagnava in
solidità e profondità perdeva in varietà e vivacità, con forte limitazio­
ne dei propri orizzonti.
Gaio Asinio Pollione (75 a.C. - 4 d.C.), uomo politico anch'egli di
estrazione italica, compose un'opera di a111bizione e respiro quasi
pari a quella di Sallustio, pochi anni dopo la morte dello storico sa­
bino: i suoi libri di Historiae, purtroppo perduti, dovevano coprire
tutta la fase delle guerre civili, dal cosiddetto primo triumvirato fino
alla battaglia di Filippi. Si trattava di un periodo al centro di inter­
pretazioni contrastanti, per il quale il compito di offrire un racconto
spassionato e rigoroso poteva risultare molto arduo. Egli diede pro­
babilmente molto spazio alla storiografia <<tragica>> e rappresentò per
questo un anello di congiunzione di notevole importanza nella storia
della storiografia latina. .
La storiografia di Sallustio e di Pollione, con le loro piccole sezio­
ni di storia recente analizzata con propositi di attendibilità e impar­
zialità, al momento non trovò seguito. Come nella vecchia annalistica,
Tito Livio (59 a.C. - 17 d.C. circa) ritornò a un impianto compositivo
di grande respiro. In 142 libri di Annales (di cui restano i libri 1 - 10
e 2 1 -45 ), egli trattò la storia completa di Roma dalle origini mitiche
fino al 9 a.C., anno della morte di Druso: un'impresa mon11111entale,
iniziata probabilmente nell'anno del nuovo assetto politico augusteo
(27 a.C.) o negli anni fra Azio e il 27 a.C., e terminata con la morte,
forse nello stesso anno in cui la narrazione si arrestava. La struttura
generale dell'opera non è perspicua, benché sia opinione tradizionale,
sulla base dei vari proemi e di avvenimenti che si possono considera­
re discriminanti, che la narrazione si sviluppasse per gruppi di cin­
que o dieci libri. L'interesse dei lettori era principalmente rivolto ai
tempi recenti, e Livio ne tenne conto dando un'ampiezza maggiore
alla narrazione relativa ai fatti dalla distruzione di Cartagine del 146
a.C. in poi (a partire dal libro LI, essa occupava i due terzi dell'ope­
ra). Ciò nonostante, egli non trasct1rava i tempi più remoti, sia per­
ché, come dice nella prefazione, proprio in quelli trovava esempi illu­
stri che pe1111ettevano all'opera di assolvere alla sua funzione pedago­
gica, sia perché la visione del nobile passato di Roma consolava il
suo animo stornandolo dai mali del presente (Prae/ 4-5 ; 1 1 ). Per
quanto, dunque, dai riassunti (periochae) dei libri perduti non ci si
possa fare un'idea dell'interpretazione che Livio dava della crisi della
repubblica, dalla prae/atio è evidente che di quella egli avesse una
coscienza molto chiara e dolorosa, che sembra superare qualsiasi pos­
sibile entusiasmo per la restaurazione augustea. La coscienza della
crisi, però, riguarda la fiducia nel futuro di Roma, non intacca l' am­
mirazione per il grande passato e per la fondazione di un impero le
LE FONTI LETTERARIE 147

cui basi sono religiose e morali: come nell'Eneide di Virgilio, la sua


fo1111azione avviene col favore degli dei e si accresce per la combina­
zione tra fortuna e virtù. In tal senso la sua opera è stata considerata
un anello essenziale tra la riflessione tucididea su tyche e gnome e la
riflessione 11111anistica e machiavellica su fortuna e virtù. In generale,
dunque, Livio riprese la tradizione annalistica repubblicana svilup­
pandone le spinte verso un regime dell'ordine fondato sui ceti ricchi.
Per questo, se il <<pompeiano>> Livio (come scherzosamente lo definì
Augusto) non nutrì un vero culto per l'erede di Cesare, lo spirito
filorepubblicano che lo storico mostrava era perfettamente compati­
bile con il nuovo regime perché, pur legata alla visione tradizionale
di Roma, la sua concezione storiografica aveva profonde consonanze
con il nuovo clima augusteo.

3.3. La storiografia latina e greca di età imperia le: dall 'età giulio-clau­
dia ai Flavi

Diverso fu l'atteggiamento di quanti, all'interno della vecchia


classe dirigente, fecero del concetto di libertas il centro della loro
produzione storiografica e libellistica, contrapponendola al regime di
uno solo. Benché quasi tutta perduta, questa letteratura <<d'opposi­
zione>> alimentata di stoicismo è importante per comprendere non
solo la situazione culturale agli inizi del principato, ma anche la pre­
senza, ancora a un secolo di distanza, di una storiografia come quella
tacitiana, entro cui confluì molto del suo spirito critico. Significativo
fu il tono dell'opposizione e il destino delle opere di storici come
Tito Labieno o di retori come Cassio Severo. I libri del primo, so­
prannominato Rabienus per la sua aggressività, davano spazio alla
storia contemporanea e osavano denunciare la corruzione dell'élite di
governo, che formalmente predicava la restaurazione morale e reli­
giosa; essi furono fatti bruciare da Augusto nel 12 d.C. mentre l'au­
tore, per il dolore, si lasciava morire chiuso nella tomba degli antena­
ti. Cassio Severo, che aveva ugualmente preso di mira l'ambiente di
corte, aveva imparato a memoria l'opera dello storico e, dopo la sua
morte, dichiarò che per distruggere l'opera di Labieno bisognava
bruciare anche lui: fu confinato a Creta dove morì nel 32 d.C. Nel
secondo periodo augusteo, successivo all'opera di Virgilio e Orazio
I lo stesso in cui cade la relegazione di Ovidio a Tomi sul Mar Nero),
l'appannarsi della finzione della repubblica restaurata e l'emargina­
zione di un abile intermediario come Mecenate avevano reso più dif­
ficili i rapporti tra intellettuali e regime, il quale non riuscì a elimina­
re questo filone storiografico <<repubblicano>>, che divenne anzi più
forte nel corso del I secolo d.C. Ricollegabile ad esso è anche l'opera
di uno storico proveniente da Alessandria, Timagene: condotto a
Roma come prigioniero nel 55 a.C ., di contro all'ostilità di molti no­
bili ottenne infine protezione da Asinio Pollione. Sembra che egli ab­
bia avuto un'influenza determinante su Pompeo Trogo, vissuto anche
148 LE FONTI LE'l"l'ERARIE

lui in età augustea, proveniente dalla Gallia Transalpina e autore di


Historiae Philippicae in 44 libri, di cui è conservata solo l'epitome
redatta da Marco Giuniano Giustino fra II e III secolo d.C. La novi­
tà dell'opera era che al centro di quella storia universale non era po­
sta Roma, bensì l'impero macedone, cui erano dedicati 33 libri; solo
gli ultimi due trattavano di Roma, della Gallia e della Spagna. Ri­
spetto, inoltre, alla impostazione politica della storiografia preceden­
te, quella di Pompeo Trogo sembrava dare maggiore spazio all'etno­
grafia, rispondendo a un interesse per i popoli stranieri proprio dei
ceti colti più ill11111inati, che l'annalistica tradizionale aveva trascu­
rato.
In larga parte determinate dal clima di pace e dal respiro ecume­
nico dell'età nuova furono, infatti, le compilazioni di storia universale
come quelle di Diodoro Siculo e di Nicolao Damasceno, che soddi­
sfacevano alla curiosità per i popoli non romani dell'ecumene, senza
per questo essere mosse da alcun intento antiromano. Diodoro scris­
se la Biblioteca in 40 libri (di cui sono sopravvissuti i libri I-V e Xl­
:XX) , in cui raccontava parallelamente la storia greca e quella roma­
na; Nicolao di Damasco, precettore dei figli di Antonio e Cleopatra,
storico di corte di Erode il Grande almeno fino al 14 a.C., pubblicò
fra l'altro una Storia universale in 144 libri, dalle monarchie dell'O­
riente all'età augustea. Strabone, nato ad Apamea in Asia Minore in­
torno al 64 a.C., membro di una famiglia che era stata legata a Mi­
tridate ed era poi passata ai Romani, scrisse una Geografia del mon­
do conosciuto, il cui dichiarato proposito era quello di fornire ai ceti
dirigenti uno strumento utile al governo dell'impero. Dello stesso
Strabone è perduta, invece, una Storia dopo Polibio, in 47 libri, che
copriva il periodo dal 146 a.C. ad Augusto. L'atteggiamento politico
dell'autore è comunque rilevabile anche dall 'opera geografica, per­
corsa da attestazioni di a111 mirazione per Roma. Una storiografia di
questo tipo si teneva fuori dall'area controllata o ispirata dalla restau­
razione augustea e questo bastava per renderla sospetta di spiriti an­
tiromani (non per caso, dunque, essa è andata in gran parte per­
duta).
Contemporaneamente, peraltro, l'impero trovava i suoi fautori in
storici che, ripercorrendo la storia romana, individuarono nei modi
di sviluppo del suo dominio i motivi di un'adesione senza riserve ai
valori del nuovo ordine politico. La cultura greca, in particolare, si
avviò ad assumere una funzione fondamentale nella costruzione della
nuova ideologia politica di Roma imperiale. Si riproponeva, in una
diversa temperie culturale, il problema già polibiano di capire il per­
ché della vittoria e del potere romano. L'idea stoica risalente proba­
bilmente a Panezio, ma operante soprattutto negli scritti di Posido­
nio di Apa111ea, secondo cui utile e onesto si identificano nell'azione,
aveva fornito la base per una valutazione morale positiva dell'impe­
rialismo, legittimando il potere dei migliori. In età augustea, una
nuova giustificazione, più concreta e tangibile, portò il mondo greco
a una totale adesione al dominio romano: la pax romana augustea,
LE FONTI LE'l"I'ERARIE 149

per il mondo greco, era pace sociale e i Romani furono accettati in


quanto garanti del mantenimento di potere delle élites locali. Rispec­
chia totalmente questa linea di pensiero Dionigi di Alicarnasso. Nel
suo De antiquis oratoribus indicava in Roma e nel suo dominio il mo­
dello culturale e politico che avrebbe per111esso il ritorno alla tradi­
zione greca più genuina; con la sua Archeologia Romana (7 a.C.) in
20 libri (di cui restano interi i primi 10 e una parte dell'XI) sembra
voler convincere i lettori che vera111ente i Romani erano i migliori.
Da una parte, manipolando i miti relativi alle origini di Roma, egli
cercò di dimostrare la teoria della grecità dei Romani, con cui si su­
perava il grosso problema della conquista della Grecia; dall'altra, so­
stenne che il loro impero non sarebbe stato soggetto a decadenza
perché essi avevano accantonato ogni pregiudizio etnico e avevano
chiamato popoli di diversa origine e natura a far parte dell'impero
con concessione sapiente della cittadinanza. Quest'ultimo punto è
davvero centrale nella visione politica e nella concezione storiografica
di Dionigi, soprattutto perché anticipava con notevole preveggenza
quella che sarebbe stata la linea operativa e ideologica vincente del­
l'impero, l'assimilazione al governo dei ceti provinciali. Se però Dio­
nigi aveva in mente un allarga111ento del n11111ero dei migliori che ri­
guardasse diretta111ente le élites greche, egli dovette rimanere deluso
della lentezza con cui Roma concedeva i suoi privilegi, dal momento
che un sostanziale allargamento della cittadinanza romana fra i Greci
si verificò solo da Traiano in poi e anche allora solo molto lenta­
mente.
L'opposizione senatoria manifestatasi con Labieno e Cassio Seve­
ro continuò ancora sotto i Giulio-Claudii. Lo strumento fu spesso la
storia delle guerre civili, che consentiva prese di posizione ideologi­
che e atteggiamenti critici verso i regimi personali. Cremuzio Cordo,
nei suoi Annali dalla guerra tra Cesare e Pompeo fino al 1 8 a.C.,
esaltava i cesaricidi e non Augusto; messo sotto processo nel 25 d.C.,
preferì il suicidio, mentre i suoi libri venivano bruciati. Una copia,
salvata dalla figlia (la Marcia cui Seneca dedicò una Consolatio), fu
ripubblicata sotto Caligola e utilizzata da Seneca padre, da Plinio il
Vecchio e Tacito che, ricordandone la fine negli Annali, ironizzò sul­
la vana illusione dei potenti di poter distruggere persino la memoria
dei fatti.
Intanto, diversa prospettiva elaboravano esponenti più diretta­
mente legati al nuovo assetto politico-sociale dell'impero e in partico­
lare a singoli prìncipi. Durante il regno di Tiberio, che non seppe
organizzare un consenso della cultura come quello realizzato da Au­
gusto, si registrarono valutazioni del suo regno molto diverse. Velleio
Patercolo, proveniente da Aeclanum (una modesta città dell'Irpinia) e
discendente da una famiglia nota per il suo lealismo verso Roma, era
stato per otto anni ufficiale e legato di Tiberio, divenendone infine
questore e pretore nel 15. La sua Storia romana in due libri, pub­
blicata nel 30 e dedicata al console Marco Vinicio suo conterraneo, è
costituita da una sorta di compendio della storia antica (58 capitoli
150 LE FONTI LETIERARIE

dalla guerra di Troia al consolato di Cesare), che fa da introduzione


alla storia contemporanea (91 capitoli da Cesare al tempo dell'auto­
re) . Il fulcro ispiratore dell'opera è nell'adesione incondizionata di
Velleio all 'impero e, in particolare, a Tiberio, il capo sotto cui l'ex
ufficiale aveva servito in guerra per lunghi anni e che aveva promos­
so politicamente e socialmente il notabile irpino fino alla pretura. Di
fatto, l'attenzione alle fortune degli homines navi sotto Tiberio è una
caratteristica della sua opera che rappresenta in un certo senso la
voce dei nuovi ceti, l'ufficialità e la burocrazia, legati at11 piamente al­
l'imperatore. Per quanto scialbe, rappresentano una novità in un'ope­
ra di storia le varie digressioni letterarie, le quali mostrano un nuovo
interesse per la storia della cultura e per i problemi del suo sviluppo
e della sua decadenza.
Valerio Massimo pubblicò poco dopo Velleio i suoi 9 libri di Fat­
ti e detti memorabili, una galleria di episodi e personaggi ricavati da
opere storiche latine e greche scelti con un certo gusto dei paralleli­
smi, nonostante lo spazio di gran lunga maggiore riservato alla tradi­
zione romana. Egli intendeva fornire esempi storici a retori e oratori,
offrire esempi di virtù e vizi, dilettare il lettore rispondendo alla sua
curiosità. Per il tono moraleggiante e il recupero della tradizione
esemplare classica, la sua opera ebbe larghissima influenza nel tardo
impero, quando fu epitomata nel IV e V secolo.
Altri storici di questo periodo rimasero quasi dimenticati dalla
storiografia successiva. Anche Seneca retore scrisse Historiae dall'ini­
zio delle guerre civili fino alla sua vecchiaia, che si servivano come
canone d'interpretazione del parallelo, risalente forse a Varrone, fra
l'evoluzione storica e quella biologica: la monarchia era stata l'infan­
zia di Roma, l'adolescenza fino alla fine delle guerre puniche, la gio­
vinezza fino alla massima espansione dell'impero, infine la vecchiaia.
Se lo schema fosse veramente rispettato (ma l'opera è perduta, per
cui è meglio non azzardare congetture), il quadro dell'età augustea e
tiberiana doveva essere molto meno luminoso che in un Velleio.
Claudio, il futuro imperatore, fu indirizzato verso la storia da Livio
ma, avendo iniziato una Storia delle guerre civili, venne convinto a
lasciarla incompiuta dalla madre e dalla zia, preoccupate che egli si
compromettesse con una materia così scottante. Si dedicò allora a
una Storia del principato di Augusto in 4 1 libri, che doveva distin­
guersi per l'erudizione. Compose anche, in greco, 20 libri di Storia
degli Etruschi e 8 libri di Storia di Cartagine, in cui l'amore per le
vicende di popoli diversi dai Romani, seppur resi interessanti per
l'incidenza che avevano avuto sul destino di Roma, si coniugava al
nuovo entusiasmo per l'antiquaria. Tale aspetto era altrettanto evi­
dente negli Annales di Fenestella, collocabile forse verso la fine del
principato di Tiberio, i cui fra111menti, pur riferibili a una narrazione
storica, sembrano mostrare una prevalenza di interessi antiquari: in­
troduzione del calendario, magistrature, introduzione degli elefanti
negli spettacoli, introduzione a Roma delle perle e altre notizie pro­
prie della storia del costume.
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 151

Più originale e più robusto di Velleio e di Valerio Massimo, Cur­


zio Rufo scrisse una Storia di Alessandro Magno in 10 libri, in un
periodo incerto alla fine della dinastia giulio-claudia o di quella fla­
via. Il soggetto scelto mostrava come nella parte di pubblico meno
vicina agli affari politici affiorassero curiosità che la storia tradiziona­
le non soddisfaceva; infatti l'impresa di Alessandro era un'avventura
grandiosa, che poteva dare spazio alla fantasia con l'inserimento di
particolari esotici e paesi lontani. Nello stesso tempo, volendo Curzio
essere comunque uno storico serio, è presente nell'opera una rifles­
sione sull'esercizio del potere soprattutto laddove, accanto all ' ammi­
razione per il condottiero di eserciti, molte riserve morali sono avan­
zate sul comporta111ento di Alessandro verso i collaboratori. Era ine­
vitabile dunque che, pur trattando un tema non contemporaneo, nel-
1' opera si riflettessero problematiche attuali per chi ormai non poteva
più attestarsi su una sterile opposizione al regime e riconosceva che
con questo bisognava venire a patti.
Analogo atteggia111ento fu quello di Flavio Giuseppe, protagonista
di primo piano dell'insurrezione giudaica del 66 d.C., che fornì con
la Guerra Giudaica e le Antichità Giudaiche la visione dei ceti elevati
giudaici nei confronti di Roma, mostrando come fosse possibile colla­
borare con il vincitore pur mantenendo la propria ineliminabile indi­
vidualità. Intorno al 70 d.C., egli aveva scritto una prima storia di
quella guerra in aramaico, per i suoi connazionali abitanti del regno
partico (questa stesura è oggi perduta) ; solo successivamente, quando
fu portato a Roma da Tito, ne scrisse una seconda in greco per i ceti
elevati giudaici della Diaspora, ai quali '{Oleva presentare una propria
interpretazione di quel tragico evento. E evidente che, cambiando il
destinatario cui la sua opera era rivolta, anche l'intonazione doveva
differire notevolmente. Le Antichità Giudaiche, composte verso la
fine del secolo in un rinnovato periodo di operosità, si indirizzano a
un pubblico più vasto, volendo l'autore far conoscere a tutti i popoli
interessati le ragioni e i modi di convivenza fra Ebrei e pagani. Si
trattava di un problema squisitamente politico, dal momento che,
dopo Persiani, Macedoni, Tolomei, Seleucidi, la realtà allora domi­
nante era costituita dai Romani. L'insistenza con cui l'autore funzio­
nalmente ripropone il tema del rispetto e del riconoscimento del po­
tere imperiale è sintomo di dubbi, incertezze, malcontenti, che egli
sentiva serpeggiare fra i suoi connazionali, gli stessi che avevano con­
dotto alla rivolta della Diaspora sotto Traiano.
Per quanto il caso delle opere di Flavio Giuseppe sia sintomatico,
tuttavia esse non costituiscono una singolarità: in ogni opera lettera­
ria che abbia una pur piccola idealità è possibile rintracciare, nella
scelta e nella rielaborazione degli argomenti e dei dati, o nel modo di
organizzare la narrazione, una precisa linea interpretativa per la rico­
struzione del passato; di conseguenza tutte presentano un maggiore o
minore livello di deformazione. Sembrerebbe dover fare eccezione la
cosiddetta letteratura tecnica, legata in genere ai risultati dell'indagine
specialistica, rivolta a una classe di lettori molto limitata (quelli capa-
152 LE FONTI LETIERARIE

ci di intendere e applicare simili testi), non vincolata da esigenze di


tipo artistico-letterario e pres11111ibilmente neppure di carattere pro­
pagandistico. Significative, in tal senso, sono le opere di gromatica,
trattati di agrimensura a destinazione probabilmente scolastica, ricchi
di dati di geometria e di diritto funzionali ai processi di riorganizza­
zione dei contesti agrari, che sono fonti essenziali per la romanizza­
zione in Italia e nelle province. Anch'essi, tuttavia, proprio come i
testi medici, scientifici, poliorcetici (o più in generale militari), in
quanto rispondevano alle esigenze attuali della società e degli am­
bienti cui erano rivolte, riflettono più o meno diretta111ente vari con­
diziona111enti ideologici. Molti dei testi medici del corpus Hippocrati­
cum, testimonianza vivace del rinnova111 ento della cultura greca dalla
seconda metà del V secolo a.C. , pur contenendo preziose indicazioni
di carattere sociale, sono quasi sempre difficili da usare per la rico­
struzione storica del periodo. Le opere di tecnica poliorcetica ossia
di assedio (da quelle di Enea Tattico della metà del IV secolo a.C. a
quelle di Filone di Bisanzio verso la fine del III a.C.) dicono molto
sui problemi di ordine sociale e politico che travagliavano le p6leis
greche, ma vanno sempre utilizzate accanto a opere più propria111en­
te storiche. Lo stesso discorso vale per la ben più tarda Epitoma rei
militaris di Vegezio (età di Teodosio I), per giudicare la quale non si
può non tener conto del fatto che essa era rivolta all'imperatore, o
per il testo quasi contemporaneo dell'Anonimo de rebus bellicis, in­
farcito di invenzioni tecnologiche in campo militare, le cui finalità di
riforma economica e fiscale sono variamente rapportabili a certi am­
bienti sociali valorizzati in età valentiniana. Pure le fonti giuridiche
ufficiali (esemplarmente il Codex Theodosianus, la cui compilazione
fu voluta dall'imperatore Teodosio II (43 8 d.C.) o il Codex Iustinia­
nus redatto per volontà di Giustiniano) erano sostenute da finalità
specifiche: i modi con i quali le commissioni volute dagli imperatori
operarono la scelta dei testi ed elaborarono i materiali prescelti con­
dizionano molto la nostra possibilità di utilizzare i dati che fornisco­
no sull'apparato amministrativo dello stato, sulla storia economica,
militare, giuridica dell'impero. Infine, fra i trattati tecnici con più for­
te valore ideologico, va ricordata l'opera Sull'architettura di Vitruvio,
che si colloca, non a caso, in un momento storico quale quello augu­
steo, in cui giunse a conclusione un lungo processo di sviluppo edili­
zio e urbanistico. La stessa organizzazione interna del testo mostra
l'incidenza che ebbero sulla sua redazione priorità di ordine politico
e sociale e, nella prae/atio del libro I, è esplicitamente indicato quale
fosse il programma anche propagandistico cui l'opera rispondeva.
In alcuni periodi storici, del resto, per la vivacità della lotta poli­
tica, anche il livello propagandistico della produzione letteraria subì
un forte incremento. Così accadde nell'età augustea e in quella im­
mediatamente successiva, in cui tutti i generi letterari (si pensi solo
alla poesia di Virgilio, Orazio e Ovidio) risultano condizionati e va­
riamente riflettono i decisivi ca111bia111enti istituzionali della società
romana. Non è un caso, dati i caratteri per i quali esso si differenziò
LE FONTI LETTERARIE 153

sempre dalla storia, che riprendesse a fiorire in questo periodo anche


il genere biografico. Augusto stesso aveva scritto un De vita sua in 13
libri, che arrivava fino alla guerra cantabrica (27-24 a.C. ), di tono
fortemente apologetico e costellato di sogni, prodigi, presagi che do­
vevano sottolineare la natura provvidenziale del principe. Esso rien­
trava nel tipo di autobiografia che è stata definita carismatica e diffe­
riva alquanto con l'impostazione delle sue Res gestae, la grande iscri­
zione composta per il proprio monumento funebre, in cui l'imperato­
re si presentava come il magistrato al servizio della res publica, supe­
riore agli altri per auctoritas, non per potestas. Commentari autobio­
grafici scrissero anche Marco Vipsanio Agrippa, il più efficiente colla­
boratore di Augusto, e Marco Valerio Messalla Corvino, tra i pochi
che potessero pern1ettersi una cauta autonomia politica e culturale
tanto da esaltare, nell'opera autobiografica, la memoria di Cassio. Di­
verse da queste biografie d'intonazione politica erano quelle di Gaio
Giulio Igino, liberto di Augusto, direttore della biblioteca da lui fon­
data nel 28 a.C. accanto al tempio di Apollo Palatino, che si rifaceva­
no all'impostazione biografica di Cornelio Nepote.
Si trattava, però, di un caso sporadico: anche sotto Tiberio fiori­
rono commentari autobiografici di uomini politici il cui intento era
quello di tramandare ai posteri le proprie gesta: Tiberio scrisse un
De vita sua; Claudio ne compose uno in 8 libri; persino Agrippina, la
madre di Nerone, scrisse dei Commentari che erano un atto di accu­
sa contro Tiberio e furono usati da Tacito insieme con quelli compo­
sti da Gneo Domizio Corbulone, il generale che aveva guidato ca111 -
pagne vittoriose contro i Germani sotto Claudio e contro i Parti sot­
to Nerone. Stessa impostazione doveva avere il commentario scritto
dall'imperatore Vespasiano, in cui parte notevole aveva la guerra giu­
daica, probabilmente la più raccontata fra quelle descritte nel I seco­
lo d.C.: un'opera De Iudaeis scrisse anche Marco Antonio Giuliano,
procuratore della Giudea nel 70, che aveva assistito alla conquista di
Gerusalemme e al dibattito sull a distruzione del tempio. Ricollegabi­
li, infine, al filone storico d'ispirazione <<repubblicana>> furono le bio­
grafie di uomini come Catone l'Uticense, che vennero presentati
come grandi figure morali, capaci di mantenere vivi ideali esaltanti.
Una vita del martire di Utica scrisse Trasea Peto, filosofo stoico dei
tempi di Nerone, amico di Persio, ucciso nella repressione neroniana
del 66; quando il regime dei Flavi s'inasprì con Domiziano e l' oppo­
sizione mai sopita degli intellettuali stoici si riaccese, fu Giunio Aru­
leno Rustico a scrivere una biografia di Trasea Peto, prima di cadere
anch'egli vittima della tirannia; ne ricevette a sua volta una diffama­
toria a opera di Marco Aquilio Regolo, un oratore di talento che agì
però come sinistro delatore degli oppositori del regime.
Il largo interesse suscitato dalle Vite si rifletté nella composizione
di opere d'impostazione biografica, ma di più vasto respiro, e a ope­
ra d'intellettuali di largo calibro. In età flavia, compose Vite parallele
Plutarco di Cheronea, autore greco che visse quasi sempre nel suo
ambiente cittadino dove diresse una scuola e lasciò una mole copiosa
154 LE FONTI LETI'ERARIE

di opere su svariatissimi argomenti. Le Vite sono costituite da 23


coppie di biografie di uomini illustri greci e romani narrate seguendo
le affinità fra i soggetti e chiuse a coppia da un paragone conclusivo,
più 4 Vite isolate. In esse è evidente lo sforzo di apprezzamento dei
personaggi romani trattati, sebbene il motivo dominante sia la dimo­
strazione della vitalità della cultura e della civiltà greca, che non solo
può reggere il confronto con Roma, ma esserle addirittura superiore.
La difficoltà di un uso appropriato dei contenuti <<storici>> plutarchei
è evidente. Come Plutarco stesso ribadisce all'inizio di varie biogra­
fie, la differenza fra il genere biografico e quello storico gli consenti­
va di scegliere, fra gli eventi storici connessi con il personaggio, solo
quelli utili ai suoi fini (delineare il carattere morale del personaggio
biografato, raffigurare i tratti essenziali della sua vita) , trascurando
tutti gli altri, dunque anche fatti molto rilevanti se giudicati in rela­
zione all'opera di recupero compiuta dallo studioso moderno che uti­
lizza i suoi testi. Oltreché negli Scritti morali, 83 opuscoli di vario
argomento e di varia estensione, l'atteggiamento politico di Plutarco
è ben evidente in un'opera tarda, i Consigli politici. Essi contengono
le riflessioni di un intellettuale sui comportamenti che i giovani greci
dell'età di Traiano avrebbero dovuto tenere per conciliare la loro gre­
cità con la presenza imperiale romana: amministrare la propria città,
non · affrontare la potenza romana or111 ai superiore, ma non solleci­
tarne l'intervento per risolvere i propri problemi. Il recupero della
dimensione locale non era più un modo di affer111are la propria auto­
nomia contro l'imperialismo egemone, ma era pur sempre una difesa
contro l'assorbimento totale dei propri valori.

3.4. Dall ' impero illuminato all'età ccferrea••

Di poco più giovane di Plutarco, originario però dell'Italia o del-


1' Africa, anche Gaio Svetonio Tranquillo coltivò essenzialmente il ge­
nere biografico. Grammatico di professione, era entrato nella carriera
amministrativa riservata agli equestri e arrivò a rivestire l'incarico di
magister memoriae (s�gretario) di Adriano; molti suoi lavori eruditi
non sono pervenuti. E rimasto, invece, il De vita Caesarum, le bio­
grafie dei primi dodici imperatori da Cesare fino ai Flavi. Pur rima­
nendo nel genere biografico, si trattava di un'opera nell'impostazione
e nei fini molto diversa da quella realizzata da Plutarco, a mostrare
quanto la struttura letteraria della biografia antica potesse variare.
Egli dà largo spazio alla parte relativa alla descrizione del carattere e
riferisce i fatti secondo che rientrino in questa o in quella rubrica; la
sezione <<ritrattistica>> separa due parti che seguono un filo cronologi­
co (dalla nascita alla maturità e la morte) . Il suo incarico a corte do­
vette offrirgli senza dubbio l'opportunità di accedere agli archivi im­
periali e della loro utilizzazione è traccia nelle prime Vi'te. Le ultime,
più rapide, risalgono probabilmente ali' epoca in cui fu allontanato da
corte col prefetto del pretorio Septicio Claro (al quale l'opera bio-
LE l'ONTI LEl'fERARIE 155

grafica è dedicata) perché accusato di eccessiva familiarità con l'im­


peratore. Benché anche per Svetonio l'uso di doc11111enti non sia un
fatto primario, in confronto con Plutarco la sua informazione sembra
essere relativamente accurata. Inoltre, pur non essendo esente da esi­
genze moralistiche, queste non sono schiaccianti e prevale in lui la
volontà di sviluppare la biografia come piacevole genere d'intratteni­
mento. La sua rappresentazione è in genere precisa, ricca di partico­
lari, colorita di aneddoti e detti arguti. Pressoché contemporaneo di
Tacito, Svetonio fornisce dunque un modo tutto diverso di fare la
storia del principato; e, come Plinio il Giovane, riflette un calo di
quella tensione ideale che caratterizzò invece tutta l'opera del più
grande storico altoimperiale conservatoci.
Tacito cominciò la sua attività di storico nel 98 d.C. con una bio­
grafia del suocero. L'Agricola, pur rispettando i canoni del genere,
mostra già in Tacito lo storico futuro: la struttura di base è biografica
ma, seguendo un filo cronologico come in Plutarco (e diversamente
da Svetonio) , dà ampio spazio alla storia, e nell'epilogo (gli attuali tre
ultimi capitoli) risente molto nel tono encomiastico della laudatio /u­
nebris; lo stile inoltre è quello alto, proprio della narrazione storica,
non quello dimesso confacente alla biografia. Indipendentemente dal­
la struttura, l'Agricola è essenziale per capire lo storico futuro anche
nel tipo di messaggio che contiene. La fine del principato tirannico
di Domiziano nel 96 d.C., a opera di una congiura di corte, era stata
traumatica, e il pericolo di nuove guerre civili come nel 69 era stato
evitato solo grazie alla prudenza di Nerva e del senato, il quale aveva
capito quanto fosse essenziale riconoscere l'importanza 01·111ai assunta
dall'esercito. Il trauma era stato tuttavia grande e spinse a una ri­
flessione appassionata sul periodo dei Flavi; cosicché nella storiogra­
fia ebbero di nuovo grande rilevanza la storia contemporanea e le
vicende recenti. Attraverso l'elogio funebre del suocero, un valente
generale impegnato dal 78 all'84 nella conquista e nell' amministrazio­
ne della Britannia, Tacito sferrò un violento attacco all'imperatore
defunto, accennando persino al sospetto che egli fosse stato respon­
sabile nella fine misteriosa del generale. L'esecrazione del tiranno
(dopo la sua rovina) non era di per sé un tema originale. Più pro­
blematica, tuttavia, era la valutazione degli uomini politici che aveva­
no collaborato, facendo carriera sotto il tiranno. Nel giudizio che, at­
traverso l'elogio di Agricola, egli riservava in generale al tipo di
uomo politico capace di vivere operosamente al servizio dello stato
evitando gli estremi sia del servilismo che della ribellione sterile, è
anticipata gran parte della struttura ideologica che anima le due più
grandi opere storiche. L'avvento della /elicitas temporum con Nerva
sottintendeva il ritorno alla libertas e la fiducia che essa potesse coe­
sistere anche con il principato, non solo in uno stato repubblicano;
l'apprezzamento dell'attività di Agricola, inoltre, rendeva implicita la
condanna dell'opposizione sterile dei filorepubbliç_ani morti inutil­
mente in nome di un ideale non più perseguibile. E evidente che in
questo tipo di giudizio era implicita la giustificazione non solo di
156 LE rONTI LETTERARIE

Agricola, ma anche di se stesso, che aveva incominciato la propria


carriera sotto Vespasiano come pretore nell'88 ed era stato a stretto
contatto con gli ambienti politici più vicini alla corte sia di Tito sia
di Domiziano, e forse di colui che sarebbe succeduto a Nerva, Traia­
no, il quale aveva fatto a sua volta carriera sotto il tiranno.
Forse nello stesso 98, con la Germania, Tacito si avvicinò alla sto­
ria rifacendosi invece alla tradizione etnografica. La descrizione dei
cost111ni dei Ger111ani, tenuto conto dei limiti dell'informazione, è se­
ria e attendibile; e nella idealizzazione di quei popoli primitivi dai
costumi incorrotti, nemici di Roma, è continuamente implicito il con­
fronto con i troppo civili Romani, la cui decadenza nell'esercizio del­
le virtù è motivo di debolezza, al punto che solo le divisioni interne
del nemico sono garanzia di sicurezza. Centrale dunque, nello storico
preoccupato del destino di Roma, è la presenza del problema ge1111a­
nico come problema di sicurezza dell'impero: in tal senso l'opuscolo
aveva una matrice politica non meno viva di quello dell'Agricola. Il
Dialogo sugli oratori, datato nei primi anni del regno di Traiano,
quando Tacito riprese l'attività politica (come console suffecto nel 97
e proconsole d'Asia intorno al 1 12- 1 13 ) e quella retorica, presenta un
discorso più complesso, dal momento che l'analisi delle cause della
decadenza dell'eloquenza è stretta111ente connessa con il problema
della libertas politica come condizione indispensabile per il dibattito:
quando è uno solo a decidere, ogni discussione si annulla.
Alla storia nel senso più proprio e più a111pio Tacito si dedicò
pochi anni dopo: nel 105 alcuni libri delle Historiae erano già com­
posti e pubblicati, ma il lavoro durò ancora per alcuni anni. L'opera
comprendeva probabilmente 12 libri e andava dalle guerre civili del
69 alla morte di Domiziano nel 96 (sono rimasti i primi 4 libri e una
parte del V). Nella introduzione alle Historiae, egli traccia un rapido
quadro per indicare <<quale era la situazione di Roma, quale l'animo
degli eserciti, quale il comportamento delle province, che cosa c'era
di sano e di malato nell'intero mondo>> (I, 4 , 1 ) . Esso riflette adegua­
tamente l'ossatura sia delle Historiae che degli Annales, la cui com­
posizione impegnò lo storico dopo il ritorno dal proconsolato d'Asia
fino ai primi anni del principato di Adriano. La sua opera dunque, al
culmine della tradizione storiografica latina, di cui rappresenta il ca­
polavoro, è in essa profonda111ente radicata e ne conserva quell'ottica
fondamentalmente romanocentrica che ne costituisce il limite, anche
se Roma appare in Tacito al centro di un vasto organismo, di cui
ormai non è possibile non tenere conto. Il punto focale, tuttavia, re­
sta per lui la storia politica del potere centrale, mentre le province
(specie quelle orientali) restano in ombra e le minoranze (religiose e
sociali) vengono o ignorate o investite dal disprezzo dello storico se­
natorio. Anche il ritmo annalistico, cui egli intendeva restare fedele
all'interno della limpida architettura scelta per le due opere (divise
come gli Annales di Ennio o l'Eneide in gruppi di sei libri: due grup­
pi per le Historiae e tre per gli Annales) , era talvolta inadeguato a
esprimere la nuova realtà. La storia dell'impero non era più solo sto-
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 157

ria di una città e la semplice successione cronologica dei fatti non


poteva più esprimere compiutamente gli a111pi scenari in cui, al di là
del centro del potere, si decideva della sorte dello stato. Queste il1-
terne contraddizioni, però, sono risolte in modo geniale grazie all'in­
serimento ora di una digressione, ora di un discorso, in generale at­
traverso uno stile serrato e asciutto, capace di ricreare la concatena­
zione di eventi e concause dietro ogni singolo avvenimento. Con tale
i111postazione, ciò che Tacito ha voluto narrare è la storia di un pro­
gressivo deteriora111ento nell'esercizio del potere assoluto e della pa­
rallela decadenza dell'aristocrazia senatoria. Se dunque, anche per
Tacito, il governo monarchico è il solo a poter garantire la coesione,
la fedeltà delle province e dell'esercito - ossia, in sostanza, la soprav­
vivenza stessa dell'impero -, tutto ciò avviene a prezzo di una grossa
perdita, la perdita della libertas, sopportabile solo a patto che chi go­
verna sia capax imperii. Per raccontare questo tipo di storia, Tacito
usa un metodo narrativo che è un po' una sintesi fra quello di Sallu­
stio e quello di Livio, cioè fra storiografia pragmatica e <<tragica>>. <<Il
capolavoro della storiografia latina>>, come è stato recentemente sug­
gerito, <<è una nuova sintesi di robusta gravitas e di tensione tragica.
Nessuno storico ha superato Tacito come poeta tragico delle passioni
politiche>> (A. La Penna) .
Molto della società urbana del I secolo d.C . , nei suoi aspetti quo­
tidiani e nei comporta111enti di alcune classi sociali in rapida espan­
sione, è conoscibile non solo attraverso l'opera di Tacito, ma anche
da un testo apparentemente frivolo e disimpegnato quale la Vita di
Trimalcione di Petronio. Vi è narrata l'ascesa sociale di uno schiavo
asiatico, erede in morte del senatore di cui era stato tesoriere. Costui
liquida dapprima il patrimonio terriero del padrone, tentando un ar­
ricchimento rischioso con il commercio marittimo e reinveste poi in
terre l'immensa fortuna ottenuta, per presentarsi con i connotati e gli
status symbols del gruppo aristocratico. Attraverso l'esasperazione ca­
ricaturale della realtà sociale dei liberti e anche di quei ceti alti cui i
grandi arricchiti tentavano di omologarsi, è possibile capire vari
aspetti di storia della mentalità e del cost11111e, nonché talune tenden­
ze di fondo dell'economia altoimperiale.
Dopo il fiorire di tante alte forme di letteratura, tutta la cultura
letteraria latina subì un improvviso impoverimento. La storiografia,
in particolare, non riuscì a seguire i modelli precedenti, in quanto
espressione di un ambiente e di un'atmosfera culturale che cambiaro­
no rapidamente dopo Adriano. Mentre l'opera di Tacito sarebbe sta­
ta continuata solo verso la fine del IV secolo e da un autore greco,
Ammiano Marcellino, alla storia di a111pio respiro si sostituirono i
compendi, un genere che avrebbe avuto da allora a•npia diffusione.
Ne compose uno Anneo Floro, identificato con un letterato a111ico di
Adriano, vissuto a Tarragona in Spagna e a Roma. Più che una epito­
me, la sua opera è un breve trattato, che si proponeva di narrare le
guerre dei Romani, con particolare attenzione per quelle di Augusto.
Il titolo con cui essa è tra111andata (Epitoma de Tito Livio bellorum
158 LE f'ONTI LETTERARIE

omnium annorum DCC) non è dunque del tutto esatto, anche perché
non soltanto Livio è usato, ma pure Sallustio, Cesare e altri; e allo
schema annalistico sono giustapposti modi di dividere e disporre la
materia diversi, come quello biologico di Seneca padre. Più vicine al
compendio sono le altre opere di storia, composte in ambiente latino
fra II e III secolo: un misto di riassunti e di excerpta è l'epitome di
Pompeo Trogo a opera di Marco Giuniano Giustino. Di dimensioni
analoghe dovevano essere le Historiae in 40 libri di Granio Liciniano,
basate essenzialmente su Livio, Sallustio e Posidonio, di cui sono sta­
ti scoperti pochi frammenti in un palinsesto. Le Periochae di Livio
(brevi riassunti dei singoli libri) sono di epoca incerta e vennero rea­
lizzate non direttamente su Livio, ma già su un compendio prece­
dente più ampio: data la mole dell'opera liviana, era infatti inevitabi­
le che ne circolassero subito riassunti abbreviati, e che essi avessero
una tradizione e una fortuna quasi più ricca dell'originale.
Sotto gli Antonini, i sovrani illuminati che seppero estendere
pace e benessere a gran parte dell'impero, fu il mondo di cultura
greca a dare i frutti migliori dal punto di vista storiografico. Ciò ha
un significato politico e sociale evidente: dal I secolo d.C., i ceti ele­
vati municipali dell'Oriente romano si erano andati inserendo sempre
più nel governo dello stato; e con il regno degli Antonini loro espo­
nenti erano già in senato e a corte. In questo clima di operante unità
imperiale i Greci seppero valorizzare l'antico ideale filosofico della
monarchia illuminata e riproporlo, secondo schemi maturati già in
età ellenistica, come ideologia fondante il potere imperiale romano.
Significativa in tal senso l'opera di Dione di Prusa, un retore che fu
coinvolto a Roma nella politica di repressione attuata da Domiziano.
Quell'esperienza cooperò ad articolare gli argomenti delle sue orazio­
ni, per lo più centrate sui problemi locali di amministrazione e di
governo cittadini, suggerendogli il tema più generale del monarca
ideale. A Traiano egli indirizzò i discorsi Sulla regalità, nei quali il
sovrano ideale si configura come il migliore fra i migliori, capace di
ottenere l'adesione dei ceti elevati favorendone la partecipazione al
potere. Il tema non era privo di problematicità, perché nelle élites
greche la partecipazione diretta al governo dell'impero non fu mai
vissuta come fatto automatico, ma pur sempre come sofferta opzione
in contrasto con la dedizione alle magistrature locali cittadine: ancora
nel IV secolo d.C., in Libanio e Temistio, si possono registrare opi­
nioni divergenti sull a liceità per un cittadino greco di adire a cariche
non solo municipali, che lo impegnassero nel servizio imperiale. In­
torno alla metà del secolo degli Antonini prevalsero, tuttavia, la vo­
lontà e l'entusiasmo di partecipare alla prosperità di un organismo
politico avvertito come fatto unitario. Nell'Encomio a Roma di Elio
Aristide trapela la coscienza, ormai matura presso i ceti colti elleniz­
zati, di dover superare l'esclusiva fedeltà alle gloriose tradizioni locali
nella considerazione che l'impero è patria comune.
La partecipazione al governo dell'impero divenne dunque espe­
rienza non soltanto culturale, ma reale, negli storici delle generazioni
LE FONTI LE'I"I'ERARIE 159

i11u11ediata111ente successive, esponenti dei nuovi gruppi di governo


nell'Oriente greco. La consapevolezza che l'interesse dell'impero
coincideva con quello delle nobiltà cittadine è infatti ugualmente pre­
sente, seppure in maniera diversa, in Arriano, Appiano, Cassio Dio­
ne. Arriano (nato a Nicomedia di Bitinia, console nel 129 e legato in
Cappadocia nel 13 1 - 13 7, seguace del filosofo stoico Epitteto e ammi­
ratore di Senofonte) ebbe una storia personale alquanto complessa.
Brillante uomo politico valorizzato per le sue doti sotto Adriano, si
ritirò - forse dopo la morte dell'imperatore - nella città di Atene
dove, presa la cittadinanza ateniese, ricoprì cariche esclusivamente lo­
cali come l'arcontato e il sacerdozio di Demetra. Anche la sua pro­
duzione sembra risentire di questa evoluzione (ma si tratta di una
congettura, essendo in gran parte perduta). Agli anni dell'impegno
politico e militare dello storico risalgono infatti il lavoro di geografia
sul Periplo del Ponto Eusino, la Tattica, I fatti a/anici; dopo il ritiro
ad Atene, egli compose la Storia Bitinica, l'Anabasi di Alessandro e i
Parthzkd, passando da temi nazionalistici a una glorificazione di Ales­
sandro Magno (molto sospetta, nel momento in cui Lucio Vero af­
frontava la spedizione partica) e a un resoconto delle gloriose guerre
partiche di Traiano, che doveva contenere un implicito e altrettanto
poco onorevole confronto con l'azione condotta dal fratello di Marco
Aurelio.
Più lineare fu la posizione di Appiano, un Greco nativo di Ales­
sandria, cavaliere romano, procuratore di Augusto sotto Antonino
Pio. La sua Storia dell'Impero, largamente debitrice all'annalistica del­
la tarda repubblica e ad Asinio Pollione per il racconto delle guerre
civili, è originale solo nel modo in cui è ordinata la materia: i fatti
della storia di Roma sono narrati con criterio etnografico, riuscendo­
gli difficile - per sua ammissione - tener dietro a tanti eventi storici
in disparati teatri di azione. Storico mediocre, ma utilissimo per il
materiale conservato, Appiano mostra di aderire senza problemi al
principio monarchico. Riflettendo l'atmosfera dell'età degli Antonini,
egli appare convinto di vivere in un'età aurea.
Con Cassio Dione, che ottenne il consolato ordinario sotto Seve­
ro Alessandro nel 229, abbiamo invece una Storia Romana in cui è
già evidente che molte illusioni createsi sotto gli Antonini erano ca­
dute, mentre la pace veniva minacciata all'esterno e all'interno (egli
stesso dovette fronteggiare sommosse a Perga1110 e a Smirne nel 2 18).
Un segno del mutato clima politico è dato dal delinearsi nella narra­
zione di suggerimenti per la difesa dell'impero quale quello della
guerra preventiva, dettato dalla fredda ragion di stato che, secondo
Dione, aveva guidato tutta la politica romana assicurandone il succes-
,

so. E singolare che proprio un antico motivo polemico, da sempre


rinfacciato a Roma dai popoli sottomessi, venisse ora innalzato dallo
storico greco a criterio necessario e giusto. Il cambia1nento è da spie­
gare col fatto che Cassio Dione, in realtà, era ormai un cittadino ro­
mano di origine greca più che un Greco, e la difesa dello stato roma­
no era la sua difesa. In tal senso, la concessione della cittadinanza
160 LE FONTI LE'f"l ERARIE

romana a tutto l'impero nel 2 12, che appare per molti versi un fatto
epocale, era per lui una disposizione così ovvia e naturale da apparir­
gli un provvedimento di natura soltanto fiscale.
Problemi molto diversi, in un impero in difficoltà evidenti, riflette
l'opera di Erodiano, un Greco nativo forse dell'Asia Minore, autore
di una Storia dopo Marco Aurelio redatt'a intorno alla metà del III
secolo, probabilmente negli anni di Filippo l'Arabo. Le invasioni dei
barbari e la tensione sociale fra esercito, contadini, aristocrazia sena­
toria e ceti urbani, messa in luce durante il regno di Massimino il
Trace, costituiscono i temi centrali intorno a cui ruota la sua narra­
zione. Soluzione unica a tale scompaginamento politico e sociale è
per lo storico la supremazia dei migliori, garantita dal governo impe­
riale. Quasi contemporanea111ente l'Ateniese Dexippo, negli Skythikd.
(dal 238 ad Aureliano), trattò il problema delle invasioni di stirpi
<<scite>> (ossia di Goti) nella fase centrale del III secolo: la sua opera,
di cui abbia1110 soltanto fra111menti, doveva conservare molto materia­
le utile, dal momento che fu larga111ente utilizzata dagli storici bizan­
tini, a cominciare da Zosimo.

3.5. La sto riografia tardoantica : pagani e cristiani fra Orie nte e Occi­
dente

La storiografia del tardo impero, che espresse le nuove e varie


componenti che articolarono la società del IV secolo (spaccatura fra
Oriente e Occidente, invasioni barbariche e nuove difficoltà econo­
miche, opprimente fiscalismo, il porsi del cristianesimo come proble­
ma politico), è estremarnente complessa e difficile da sintetizzare.
Schematica111ente si può dire, tuttavia, che essa fu caratterizzata dal-
1' affermarsi di un duplice filone: accanto a quello tradizionale mono­
polizzato dai pagani, se ne affiancò uno riservato ai soli cristiani, che
si crearono una propria cronologia, una propria storia e un tipo di
biografia, l'agiografia, sostanzialmente indipendente dai modelli paga­
ni. Dal momento che i ca111pi rimasero separati, nonostante le inevi­
tabili commistioni e influenze reciproche, essi possono venire esami-
nati distintamente.
·

Nella storiografia latina e greca tardoantica fu fortemente operan­


te la forza della tradizione sia nella ripresa di determinati modelli, sia
nel modo in cui si tentò di recuperare ideologie e costumi che si cre­
deva avessero assicurato la grandezza di Roma. Anche i nt1111erosi
compendi di storia romana che vennero pubblicati nel corso del IV
secolo rispondevano a questo mutato clima culturale. Le classi diri­
genti di nuova estrazione, che finora non avevano avvertito l'esigenza
di conoscere anche solo una traccia essenziale e rapida dei fatti del-
1' antica storia di Roma, maturarono nel corso del IV secolo la vo­
lontà di assimilarsi nella cultura, oltreché nei comportamenti e negli
ideali, al vecchio ceto dirigente, condividendone pure la coscienza
del passato. Breviari come quello di Aurelio Vittore nel 361 , di Eu-
LE FONTI LETIERARIE 161

rropio e Rufio Festo, l'Epitome di Livio a opera di Giulio Ossequente


soddisfacevano in parte a queste richieste pratiche di un gruppo so­
ciale ben definito.
Un'altra manifestazione di ripresa di modelli tradizionali è costi­
ruita dalla prosecuzione del genere biografico. Prima della Historia
.4ugusta, vari autori avevano continuato a scrivere biografie. Non si
può dubitare dell'esistenza di Mario Massimo, del quale è stata pro­
posta l'identificazione con Lucio Mario Massimo Perpetuo Aureliano,
prefetto urbano a Roma sotto l'imperatore Macrino, console per la
seconda volta nel 223 . Secondo Ammiano Marcellino la sua opera,
che partiva dal punto in cui Svetonio era arrivato, era la lettura pre­
ferita dai membri dell'aristocrazia senatoria alla fine del IV secolo:
dal suo giudizio sprezzante dovremmo dedurne che, indipendente­
mente dall'accuratezza dell'info11nazione, Mario Massimo puntava
sulla ricchezza e vivacità dei particolari e insisteva sulle coloriture ne­
gative e deturpanti. Un altro biografo citato dalla Historia Augusta
come fonte è Elio o Giunio Cordo, che si sospetta però inventato.
Unico testo pervenuto di questa ricca produzione biografica è la Hi­
storia Augusta, così chia111ata dal grande erudito Casaubon all'inizio
del XVII secolo. Si tratta di una serie di Vite di imperatori, da
Adriano a Carino e N11111eriano (dal 1 17 al 284), e di alcuni usurpa­
tori, con una lacuna fra il 244 e il 25 1 . L'opera pretende di essere
stata scritta da sei autori diversi, che dedicarono i loro testi a Dio­
cleziano e a Costantino; in realtà si tratta di pseudonimi, dietro i
quali potrebbero celarsi uno o più autori; e l'epoca di composizione
della raccolta è quasi sicura111ente posteriore a quella dichiarata, dal
momento che alcuni riferimenti interni sembrano discendere fino ai
primi anni del V secolo, Nonostante il grande incremento di studi
sull'opera, la Historia Augusta si presenta ancora oggi come uno dei
problemi storiografico-letterari più complessi. Gli interrogativi di
fondo continuano a riferirsi al numero degli autori, ai loro intenti
storiografici e ideologici, alle fasi di elaborazione o rielaborazione del
testo, alla data di composizione. A quasi nessuno di tali quesiti è sta­
ta data una risposta certa, anche se è ormai opinione largamente dif­
fusa che l'opera sia stata scritta tra la fine del IV e l'inizio del V
secolo da un autore di tendenza filosenatoria, che reinterpretava la
storia del II-III secolo in funzione propagandistica per appoggiare le
istanze politiche, religiose, economiche dell'aristocrazia tardoimperia­
le. Di fatto, la Historia Augusta rappresenta un deterioramento della
tradizione biografica svetoniana, perdendo qualunque interesse per
l'esattezza dell'infor111 azione, spesso supplita da particolari inventati
che rispondevano semplicemente a quel gusto per il pettegolezzo
che, secondo Ammiano, era assai diffuso presso i senatori di Roma.
Altra (e forse più importante) produzione senatoria è andata per­
duta. Gli Annali di Nicomaco Flaviano, esponente illustre della no­
biltà romana del tardo IV secolo, avrebbero riguardato, al dire di al­
cuni studiosi, la sola storia repubblicana, secondo quel rinnovato cul­
to del passato che caratterizzò l'avanzato IV secolo; ma si tratta di
1 62 LE FONTI LETTERARIE

pura congettura. Ugualmente nulla sappia1110 della più tarda Storia


Romana del suo discendente Q. Aurelio Memmio Simmaco (suocero '

di Boezio), scritta dopo la caduta dell'impero d'Occidente nel 476. E


invece conservata la raccolta epistolare del suo bisavolo Q. Aurelio
Simmaco (morto nel 402), 902 lettere private divise in 9 libri, più un
libro di Relationes, il quale raccoglie i 49 rapporti ufficiali che egli,
in qualità di prefetto urbano dal 384 al 3 85, inviò all'imperatore Va­
lentiniano II, succeduto giovanissimo al fratello Graziano (soppresso
nel 383 dall'usurpatore gallico Magno Massimo) , e a Teodosio I. Pur
non essendo un'opera storica in senso stretto, quella di Simmaco può
essere a111pia1nente utilizzata per ricostruire vari aspetti della società
di fine IV secolo. Naturalmente tale testimonianza è sempre mediata
attraverso l'angolo visuale della vicenda personale dell'autore, spesso
deformata o inficiata da motivi di stretta contingenza. Queste stesse
alterazioni, peraltro, hanno un certo valore documentario in quanto
gettano luce sulla psicologia di un personaggio che condivideva molti
comportamenti e ideali con il gruppo sociale di appartenenza. Dietro
e attraverso Simmaco, cioè, è possibile conoscere meglio la mentalità
e il modo di porsi di fronte ai problemi del proprio tempo della no­
biltà senatoria romana che, pur nel nuovo assetto imperiale, conti­
nuava a rivestire una posizione eccezionale in quanto principale orga­
no di governo di uno dei centri di potere più prestigiosi dell'impero.
Un'attenta e scrupolosa analisi delle lettere di Simmaco non solo ha
permesso di ampliare la conoscenza prosopografica del tardo impero,
ma consente anche di chiarire aspetti istituzionali, economici e reli­
giosi di una società complessa e fino a tempi recenti molto poco
nota.
I dati ricavabili dall'opera di Q. Aurelio Simmaco sono inoltre
confrontabili con le testimonianze di un'altra fonte storica contempo­
ranea, le Res Gestae di Ammiano Marcellino, il quale rappresenta per
noi l'ultimo grande storico in lingua latina. Dei 3 1 libri originari, dal
principato di Nerva alla battaglia di Adrianopoli, sono pervenuti solo
i libri dal quattordice�imo al trentunesimo, ossia dalla sconfitta di
Magnenzio in avanti. E dunque chiaro l'intendimento dell'autore di
continuare l'opera e la tradizione tacitiana (in 30 libri, se si conside­
rano insieme Historiae e Annales), pur non proponendosi Tacito a
modello né dal punto di vista storiografico né da quello stilistico-let­
terario. L'autore non è facilmente collocabile, dal momento che, a
parte una lettera di Libanio (secondo alcuni indirizzata a un altro
Marcellino) e una citazione di Prisciano, Ammiano non è ricordato
da nessuna fonte antica e ciò che egli stesso dice di sé è ben poco.
Proveniva da una fa111iglia rispettabile, forse di rango curiale, ma se
fosse originario di Antiochia ovvero di Alessandria è tuttora contro­
verso. Appartenne al corpo dei protectores domestici (dunque fu un
soldato) e partecipò a spedizioni sul confine danubiano durante il re­
gno di Costanzo II; fu testimone del soggiorno di Giuliano ad Antio­
chia e della sua spedizione in Persia nel 3 62-363 . Otto anni più tardi
(3 7 1 ) lo ritroviamo in Antiochia, da cui mosse per visitare la Grecia;
LE FONTI LETTERARIE 163

attraversò la Tracia, ove vide i segni ancora recenti della strage di


•.\drianopoli e poi, forse poco dopo il 378, arrivò a Roma; lì conobbe
membri influenti dell'aristocrazia senatoria, senza però stringere forti
rapporti con loro. La sua opera, verso la quale per tanti secoli si
sono nutriti pregiudizi analoghi a quelli nei confronti del tardo impe­
ro, è stata oggi molto rivalutata sia per la sostanziale attendibilità del­
le sue infor111azioni, sia per un certo gusto delle rappresentazioni
grandiose e cupe che, insieme con i barocchismi del suo latino, ne
caratterizzano lo stile in modo inconfondibile.
Come contenuto il suo racconto è fedele alla tradizione tacitiana,
riferendo di guerre, assedi, cospirazioni interne; inserisce digressioni
erudite e vividi ritratti di personaggi e caratteri. Manca tuttavia qual­
siasi analisi della crisi dell'impero, pur denunciata attraverso la corru­
zione della corte e degli uomini di potere, i vizi congeniti della plebe,
l'incapacità militare di molti generali; ed è assente anche qualsivoglia
indicazione esplicita di rimedi che vadano al di là dell'auspicata re­
staurazione dei valori etici tradizionali che avevano reso grande
Roma nel passato. In tal senso, dal momento che Ammiano ass11111e
ancora una volta la dimensione etica come canone di giudizio, po­
nendo il passato a modello per il presente, egli appare totalmente fe­
dele alla tradizione classica ed erede dei suoi difetti oltreché della
sua grandezza. Per altri versi, tuttavia, il suo modo di fare storia è
rutt' altro che convenzionale, affrontando temi nuovi, che i contempo­
ranei breviaristi pagani ad esempio evitavano: così il problema della
convivenza con il cristianesimo; il rapporto con i barbari ormai infil­
trati nelle strutture a111ministrative e militari dell'impero, oltre che
prementi ai confini; la fede nell'eternità di Roma, non più scontata
dopo le traumatiche sconfitte subìte. Nei confronti del cristianesimo
sembra peraltro da escludere che fosse cristiano) egli si atteggiò a
rispetto e a deliberata moderazione, in una posizione di equidistanza
fra il silenzio di chi preferiva ignorare il problema e chi invece conti­
nuava a rivolgere contro i cristiani un'acre quanto infruttuosa pole­
mica. Nei confronti dei barbari, anche Ammiano condivise l'univer­
sale avversione antibarbarica maturata nel IV-V secolo fra le classi
colte dell'impero. Come presso la maggior parte degli intellettuali del
tempo, però, anche in lui il pregiudizio antibarbaro aveva matrici di
natura culturale piuttosto che etnico-razziale, cosicché egli era pronto
a considerare con rispetto e a lodare esponenti di nobile stirpe bar­

barica che avessero assimilato i modelli culturali e la religione delle


élites.
Mentre dunque i pagani riprendevano gli antichi modelli storio­
grafici, i cristiani ne elaborarono di nuovi, capaci di esprimere la pro­
pria visione della realtà e della storia e di dare spazio a quelle vi­
cende bibliche che rappresentavano il loro più autentico passato. Già
nel II-III secolo, con Clemente Alessandrino, Ippolito di Roma e al­
tri, si era tentato di costruire una cronografia cristiana che inserisse i
fatti della storia pagana del mondo nel disegno provvidenzialistico
giudaico-cristiano. In tal senso, la formazione della cronografia coin-
164 LE FONTI LE'J"I'ERARIE

cise con la formulazione di una filosofia della storia sin allora estra­
nea alle esigenze storiografiche pagane. Si deve ad I;:usebio, vescovo
di Cesarea dal 3 13 alla morte nel 340, una Cronaca che, nella for111a
attuale, comprende una sezione relativa ai sincronismi delle vicende
dei vari popoli. Una sua parte venne tradotta da Girolamo, il quale
la continuò fino al regno di Teodosio (379). Il genere ebbe fortuna
soprattutto nel mondo latino, dal Cronografo del 354 all'aquitano
Sulpicio Severo, autore, oltreché di una Cronaca, anche dell'impor­
tante Vita di S. Martino. Le cronache cristiane comprendevano liste
di papi, di feste e altri dati importanti per le comunità cristiane;
quanto agli eventi della storia pagana, essi furono desunti per lo più
dai breviari pagani, il cui narrato, privo d'intendimenti polemici
espliciti, poteva essere facilmente assimilato anche dai cristiani.
I due principali elementi costitutivi della cronografia cristiana -
ossia la storia come continuum e la funzione apologetica - rappre­
sentano altrettante componenti strutturali della storiografia ecclesia­
stica, insieme ad alcune importanti novità. Sempre Eusebio fu il pri­
mo a redigere una Storia ecclesiastica che comprendesse la vicenda
della Chiesa cristiana dalla sua fondazione alla vittoria del cristianesi­
mo nell'impero. Svincolata dalle regole della storiografia pagana e
dalla sua impostazione retorica, essa sembrava rispondere a un pro­
getto originale di ricerca attraverso un'ordinata successione cronolo­
gica di testimonianze sia scritte sia orali, ricapitolando le vicende a
livello temporale ed extratemporale. La citazione per esteso di docu­
menti, finalizzata agli scopi dell'opera e sua parte integrante, costitui­
va una grande novità rispetto agli schemi consueti della storiografia
pagana, ma aveva un antecedente nelle Antichità Giudaiche di Flavio
Giuseppe, da cui Eusebio fu senza dubbio influenzato. Era dunque
un tipo di storia completa111ente nuova nell'oggetto (la Chiesa) , nel
tipo di materiali adoperati (documenti, excerpta di testi patristici,
elenchi, testimonianze orali) e anche nella metodologia, guidata dal
criterio provvidenzialistico. Nella nuova filosofia della storia che ne
trapelava era evidente anche una sorta di teologia politica, da Euse­
bio espressa poi più piena111ente nelle opere in lode di Costantino.
Anche in queste, tuttavia, è assente quasi totalmente una dimensione
miracolistica che conferisse enfasi al potere carismatico dell'imperato­
re. La sua Vita di Costantino, un tentativo di ridurre la biografia im­
periale a un genere assimilabile ali' agiografia, non ebbe seguito.
Così, mentre la celebrazione imperiale continuò a essere persegui­
ta nel tardo impero dalla panegiristica, i cristiani elaborarono una
propria biografia, che attraverso l'elogio di santi e martiri si propone­
va di fornire ai fedeli modelli certi di comporta1nento. Atanasio , ve­
scovo di Alessandria di poco più giovane di Eusebio, campione del-
1' ortodossia antiariana a partire dal concilio di Nicea del 325 , compo­
se una Vita di Antonio che, tradotta in latino, ebbe una fortuna ecce­
zionale nel mondo occidentale, suscitando grande entusiasmo presso
i ceti aristocratici convertiti al cristianesimo. La prima biografia cri­
stiana fu la Vita di Cipriano (vescovo e martire a Cartagine a metà
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 165

del III secolo) , attribuita a un suo discepolo, il diacono Ponzio. Ma


solo nel IV-V secolo si moltiplicarono le Vite di santi vescovi (Vita di
Atanasio, Encomio di Basilio, Vita di Ambrogio, Vita di Agostino) e
persino di donne (Vita di Macrina, Vita di Melania) che avevano vis­
suto nell'ascesi e nella mortificazione, acquistando così agli oèchi dei
propri biografi una dignità virile. Attraverso questo tipo di biografia i
cristiani presentavano un'immagine della perfetta vita cristiana che,
vissuta a imitazione di Cristo, poteva diventare come un'icona. Per le
sue molteplici funzioni, integrando pubblico e privato, parlando al
cuore oltreché alla mènte, le Vite dei Santi rappresentarono il feno­
meno più singolare della letteratura cristiana a partire dal IV secolo
m poi.
• •

Un altro genere che ebbe grande parte nella produzione letteraria


patristica greca e latina fu l'omiletica. Rivolgendosi a un pubblico
ampio e non necessariamente colto, i vescovi dovevano avere un'e­
sperienza diretta della vita della comunità cristiana e una partecipa­
zione concreta ai suoi problemi per farsi intendere nei propri ser1110-
ni. Dai loro scritti si può dunque ricostruire la realtà contemporanea
di piccole cittadine, le tensioni provocate dalla progressiva cristianiz­
zazione, la dimensione sociale ed economica dei suoi membri. Le
prediche dei vescovi cristiani possono dunque venire utilizzate come
fonti per la storia sociale, anche se la formulazione dei problemi del
momento in te1111ini morali può talvolta favorire una raffigurazione
della società idealizzata e l'uso di un linguaggio spesso metaforico,
formulare, tendente allo stereotipo, rende ardua la decifrazione dei
dati storici impliciti nei testi.
Pure la storiografia ecclesiatica ebbe la sua fortuna. Dopo Euse­
bio ci fu una rigogliosa fioritura di Storie cristiane sia in Occidente
sia in Oriente. Nel mondo latino la massima concentrazione si verifi­
cò durante l'impero di Onorio, all'inizio del V secolo: Rufino, Sulpi­
cio Severo, Orosio scrissero opere riconducibili in gran parte alla
struttura delle storie ecclesiastiche. Nella parte orientale dell'impero,
invece, l'interesse per questo genere si ridestò al tempo di Teodosio
II, il principe molto pio e molto dotto, amante delle grandi sintesi
compilatorie, come mostra la raccolta di leggi del Codex Theodosia­
nus. Di molti scrittori si sono conservati solo i nomi; di altri, invece,
imponenti opere: così per le Storie ecclesiastiche di Sozomeno, Socra­
te, Teodoreto. Con la morte di Teodosio II (450), e ancora di più
dopo l'assassinio di Valentiniano III in Occidente (455 ), venne meno
l'unità dinastica fra le due parti dell'impero; venne meno anche l'idea
di una politica mondiale in cui la teologia della storiografia ecclesia­
stica si era incardinata. Una conferma viene dal fatto che Storie eccle­
siastiche furono scritte di nuovo solo a partire dal regno di Giustinia­
no, che conferì nuove certezze di universalità all'impero cristiano.
Vennero allora redatte le sinossi tripartite di Teodoro a Costantino­
poli e di Cassiodoro-Epifanio a Vivarium. Evagrio di Antiochia fu
l'ultimo autore di una Storia ecclesiastica, allo spirare del VI secolo.
166 LE FONTI LE'I"I'ERARIE

Frattanto anche la storiografia pagana aveva dato i suoi ultimi


frutti. Il sacco di Roma del 4 1 O, indipendentemente dagli echi lette­
rari che suscitò, fu avvertito come fatto fonda111entale: l'impero cri­
stiano aveva subito ciò che l'impero pagano non aveva mai sperimen­
tato in circa ottocento anni, la caduta della città eterna nelle mani
dei barbari. La reazione pagana s'incardinò nella ricerca di responsa­
bilità, attribuendole alla cristianizzazione dell'impero. La difesa da
parte cristiana fu assunta da Agostino che, contrapponendo città ter­
restre e città celeste, soprattutto nel De civitate Dei si propose di mo­
strare come la Provvidenza divina non si potesse misurare sulla base
dei successi nella storia e nel mondo. Anche al suo allievo Orosio
egli affidò il compito di rispondere alle accuse pagane con un'opera,
la Storia contro i pagani, scritta nel 4 17. Orosio, però, si mostrò assai
più semplicistico di Agostino (e quindi molto più letto e imitato nei
secoli successivi): servendosi di Livio e di Tacito, il prete spagnolo
ritornò infatti ad agganciare successi e insuccessi nella storia a una
precisa verifica provvidenziale, cercando di dimostrare che del sacco
di Roma non erano stati responsabili i cristiani. Il giudizio di Dio,
dal quale dipendevano le catastrofi, divenne con lui la nuova catego-
ria storica.
• •

Nonostante queste opere, tuttavia, tale polemica contro i cristiani


continuò nel corso del V-VI secolo. Una sua traccia si trova nella Sto­
ria Contemporanea o Nuova di Zosimo, da Augusto al sacco di Roma
da parte di Alarico, scritta apparentemente sotto Anastasio I
(498-5 18). Per la sua opera, egli si servì della Storia di Eunapio di
Sardi (345-420) , che aveva raccontato gli avvenimenti dal 270 al 404
(continuando Dexippo) e, a partire dal V libro, di quella di Olimpio­
doro di Tebe, il quale aveva scritto una storia degli anni a partire dal
407 al 425 in 22 libri (a noi giunta in fra111 menti). Zosimo volle esse­
re, per così dire, il Polibio della decadenza; seguendone il modello
per forma e impostazione, come Polibio aveva consacrato la sua sto­
ria a descrivere lo sviluppo straordinario della potenza romana, così
egli si propose di mostrare le cause e la rapidità con cui l'impero si
era dissolto. Con questa impostazione non sono risparmiate accuse a
Costantino, considerato colpevole di aver tollerato il cristianesimo fa­
vorendo quella progressiva cristianizzazione cui si addebitava la rovi­
na dell'impero.

4. Bibliografia

Testi critici. La più completa collezione di testi critici greci e lati­


ni, che comprende anche sillogi e raccolte di frammenti, è la Biblio­
theca scriptorum classicorum graecorum et romanorum Teubneriana,
varata a Lipsia nel 1 849 dalla casa editrice Teubner. I volumi sono
privi di traduzioni e sussidi esegetici, ma dotati di apparato critico.
Caratteristiche analoghe presentano i testi editi nella Scriptorum Clas­
sicorum Bibliotheca Oxoniensis, pubblicata a partire dagli inizi del
LE FONTI LE'I"I'ERARIE 167

1900 dalla Clarendon Press di Oxford, ma tuttora incompleta. La


.:ollana accoglie solo testi conservati in tradizione diretta. Il testo cri­
rico è affiancato dalla traduzione in altre due collane: nella Collection
J'es Universités de France, pubblicata a partire dal 1920 per volontà
dell'Association G. Budé dalla casa editrice parigina Les Belles Let­
rres, ove i testi sono forniti di apparato critico, della traduzione fran­
.:ese, da note esegetiche e da ampie prefazioni sull'Autore e sull' ope­
ra; più breve introduzione, apparato critico ridotto e note essenziali
si affiancano alla traduzione inglese dei testi antichi nella collana The
Loeb Classica! Library, pubblicata in America dalla Harvard Universi­
ry Press, Ca111bridge, Ma.
Non esiste una collezione italiana di testi critici greci e latini al­
trettanto ampia. Quella edita con il patrocinio dell'Accademia Nazio­
'1ale dei Lincei dal Poligrafico dello Stato presenta testi senza tradu­
zione, con apparato critico e prefazione (in latino) , ma ospita poco
più di venti volumi. Stesse caratteristiche presenta il Corpus Scripto­
rnm Latinorum Paravianum, che ospita tuttavia solo testi latini. Il te­
sto critico è corredato di Note al testo con ricca introduzione mono­
grafica e traduzione in italiano nella serie torinese di Classici latini e
Classici greci per l'edizione UTET. Da segnalare per accuratezza di
traduzioni e ricchezza di note esegetiche la serie degli Scrittori greci e
latini pubblicata a partire dal 197 4 da Mondadori (Milano) sotto il
patrocinio della Fondazione Valla. L'Italia, infine, offre anche a111pie
collane tascabili come la Biblioteca Universale Rizzali (BUR), o i
Grandi Libri della Garzanti.
Mentre gli storici greci e latini conservati più o meno integral­
mente sono ospitati alla stregua di altri autori antichi nelle su men­
zionate collane, degli storici greci traditi solo in frammenti esistono
due importanti edizioni: quella di C. e Th. Miiller, Fragmenta Histo­
ricorum Graecorum (FGH) , in 5 volt11ni, pubblicata a Parigi dalla
casa editrice Didot dal 1 84 1 - 1 870, estesa a comprendere il mondo
bizantino e - a cura di V. Langlais - gli autori tramandati in armeno;
e quella di F. J acoby, Die Fragmente der griechischen Historiker
(FGrHist), Berlin, Weidman, voi. I, 1923 ; 2a ed. 1957 ; 3a ed. , Leiden,
Brill, 1958 (incompleta) . I frammenti degli storici latini sono raccolti
in H. Peter, Historicorum Romanorum Reliquiae, Leipzig, Teubner, I,
19 142; II, 1906. I due vol111ni sono stati rista111pati nel 1967 dalla
Teubner di Stoccarda, corredati di complementi bibliografici ad ope­
ra di J. Kroymann e W. Schaub. I testi frammentari degli oratori lati­
ni sono leggibili nell'edizione di E. Malcovati, Oratorum Romanorum
Fragmenta liberae rei publicae, I (Textus), Torino, Paravia, 19764; II
(lndex verborum; a cura di H. Gugel, H. e C. Vretska) , Torino, Para­
via, 1 979.
Importanti autori di età tardoimperiale sono pubblicati nella se­
zione Auctores Antiquissimi dei Monumenta Germaniae historica, Ber­
lin, Weidmann ( 1 877- 19 1 9). Per i testi degli autori cristiani resta in
molti casi insostituita la Patrologia Graeca, Paris, 1857- 1 866 e la Pa­
trologia latina, ivi, 1 844-1855 di J. -P. Migne, in 22 1 grandi tomi e un
168 LE FONTI LEITERARIE

Supplementum a cura di A. Ha111man (I-V), Paris, 1958- 1 974. Per la


sua consultazione, è utile E. Dekkers, Clavis patrum Ltitinorum,
Steenbrugis, 196 1 , che indica per i vari testi anche edizioni successi­
ve. Collezioni incomplete, ma di alto valore, sono quelle del Corpus
Scriptorum Ecclesiasticorum Ltitinorum, Wien (a partire dal 1 866) e
del Corpus Christianorum, Series Ltitina, Turnhout, che in quaranta
anni ha edito circa 150 volumi di autori cristiani antichi e un centi­
naio della Continuatio medievalis (dal 1966). Negli anni Cinquanta,
inoltre, è iniziata anche la collezione greco-latina delle Sources Chré-
,

tiennes, pubblicata a Parigi dalle Editions du Cerf in cui il testo, do-


tato di apparato critico, traduzione francese a fronte e note, è prece­
duto da a111pia introduzione. Gli oltre 350 vol111ni coprono un arco
cronologico che va dall'antichità all'avanzato medioevo. La collana,
inoltre, comprende anche una <<Série annexe de textes non-Chré-
t1ens>>.

Storie letterarie. Di recente sono state pubblicate in Italia delle


opere complessive di grande impegno, che non trattano soltanto del­
la produzione storiografica antica, bensì di tutte le forme letterarie
espresse dalla civiltà greca e romana. Mantiene l'impianto tradiziona­
le di una storia della letteratura, benché nei contenuti sia notevol­
mente innovativa anche nel suo essere comprensiva di mondo greco
e latino, l'opera miscellanea diretta da I. Lana e E. Maltese, Storia
della civiltà letteraria greca e latina, 1-111, Torino, UTET, 1998. Più in
particolare, per il mondo greco, ci si può avvalere dei contributi
pubblicati in Lo spazio letterario della Grecia antica, a cura di G.
Ca111biano, L. Canfora e D. Lanza, in 5 vol11111i, Roma, Salerno Edi­
trice, 1992- 1996. Ancora più recente, e tale da dare adeguato spazio
ai problemi di storia della storiografia antica, è l'opera I Greci, a cura
di S. Settis, in 6 vol11111 i complessivi, 4 dei quali sono già apparsi nel­
la edizione Einaudi ( 1996- 1998).
Per la cultura letteraria latina, limitata111ente alle testimonianze in
prosa, si consulti Lti prosa latina. Forme, autori: problemi, a cura di F.
Montanari, Firenze, NIS, 199 1 , nonché, nel suo vasto impianto, Lo
spazio letterario di Roma antica, a cura di G. Cavallo, P. Fedeli e A.
Giardina, voll. I-V, Roma, Salerno Editrice, 1989-9 1 . Riferimenti alla
produzione storiografica romana e greca di età imperiale si troveran­
no nella Storia di Roma, in 7 vol11111i, nata da un progetto di A. Mo­
migliano, diretta da A. Schiavone, con curatori diversi nei singoli vo­
l11111i, pubblicata a Torino, Einaudi, 1988- 1993 . Un compendio dell'o­
pera, destinato soprattutto alla didattica universitaria, è il volume
Storia di Roma, a cura di A. Giardina e A. Schiavone, Torino, Einau­
di, 1 999.
Un'attenzione specifica alla letteratura tardoantica è data da G.
Polara, Letteratura tardoantica e altomedievale, Roma, Jouvence,
1987. Per quella cristiana si dovranno consultare ancora due opere
classiche: A. Harnack (e E. Preuschen) , Geschichte der altchristlichen
Literatur bis Eusebius, 1/1-2 , Leipzig, Hinrichs, 1893 ; IVl-2, ibid.
LE FONTI LE'l"I'ERARIE 1 69

1897 - 1 904; O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchlichen Literatur,


I-V, Freiburg, Herder, 1913- 1932. Buone sintesi sono quelle di M.
Simonetti, La letteratura cristiana antica greca e latina, Firenze, Sanso­
ni-Accademia, 1969 e di S. D'Elia, Letteratura latina cristiana, Roma,
Jouvence, 1982 . Tradotta in italiano è la Patrologia di B. Altaner e A.
Stuiber, Torino, Marietti, 19777 e di J. Quasten, Patrologia I-II, Tori­
no, Marietti, 1967 - 1 969, arricchita da Patrologia III. I Padri latini (se­
coli IV-V), a cura di A. Di Berardino, Torino, 1 978. Sotto la direzio­
ne di A. Di Berardino è oggi disponibile l'utile Dizionario Patristico e
di Antichità cristiane, I-III, Casale Monferrato, Marietti, 1983 - 1 988.

Storia della storiografia . In questa sezione verranno indicate alcu�


ne opere moderne delle quali alcune, seppure non recentissime, ap­
paiono tuttavia fondamentali per la conoscenza della storiografia an­
tica. Oltre ad alcuni titoli di carattere generale, comprensivi di studi
sia sugli storici greci sia su quelli latini, saranno dati vari riferimenti
bibliografici sui principali autori antichi secondo l'ordine di esposi­
zione del testo.
Di notevole importanza sono i n11111erosi interventi storiografici di
A. Momigliano, per lo più raccolti nei 9 volumi (destinati a divenire
12) di Contributi alla storia degli studi classici (e del mondo antico a
partire dal Terzo Contributo), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
1955 - 1 992 . Dello stesso Autore, si ricordano: Sui fondamenti della
storia antica, Torino, Einaudi, 1 984. Fondamentale è S. Mazzarino, Il
pensiero storico classico, I-II/1-2, Bari, Laterza, 1965 - 1 966. I volt1111i
appena citati sono fonte inesauribile di spunti, indicazioni, suggeri­
menti per l'interpretazione di singoli autori antichi o la ricostruzione
'

delle linee di sviluppo generali della storiografia antica. E inoltre uti-


le il vol11111e miscellaneo AA.VV. , Histoire et historiens dans l'Antiqui­
té, in Entretiens de la Fondation Hardt 4, Vandoeuvres - Genève,
1956 e, fra i n11111erosi contributi di L. Canfora, il suo saggio Totalità
e selezione nella storiografia classica, Bari, Laterza, 1974. Si veda an­
che B. Gentili e G. Cerri, Le teorie del discorso storico nel pensiero
greco e la storiografia romana arcaica, Roma, Edizioni dell'Ateneo,
1975 . Più recenti sono alcuni contributi in lingua straniera: C.W.
Fornara, The Nature o/ History in Ancient Greece and Rame, Berke­
ley-Los Angeles-London, University of California Press, 1983 ; Past
Perspectives: Studies in Greek and Roman Historical Writing (a cura
di I.S. Moxon, J.D. Smart e A.J. Woodman), Cambridge, Ca111bridge
University Press, 1986; A.B. Breebaart, Clio and Antiquity: History
and Historiography o/ the Greek and Roman World, Hilversum, Ver­
loren Pubi. , 1987 ; History as Text (a cura di A. Ca111eron), Chapel
Hill , The University of North Carolina Press, 1 989; Reading the Past
in Late Antiquity (a cura di G. Gi·aeme) , Rushcutters Bay, Australian
National University Press, 1990; 5'torici latini e greci di età imperiale
(a cura di G. Reggi), Lugano, Ed. Università della Svizzera italiana,
1993 .
170 LE FONTI LE'I"l'ERARIE

Sulle origini della storiografia e i suoi sviluppi in Grecia, ancora


da consultare G. De Sanctis, Studi di storia della storiografia greca,
Firenze, La Nuova Italia, 195 1 ; H.T. Wade-Gery, Essays in Greek
History, Oxford, Blackwell, 1958; A. Momigliano, Saggezza straniera,
Torino, Einaudi, 1975; La storiografia greca, Torino, Einaudi, 1982 ;
D. Musti, La storiografia greca, Roma - Bari, Laterza, 1979; K. Mei­
ster, La storiografia greca. Dalle origini alla fine del!'ellenismo (trad. it.
dall'ed. ted. del 1990) , Roma - Bari, Laterza, 1992 .
Sui primi storici greci: L. Canfora, Il <<Ciclo>> storico, in <<Belfagor>>
26 (197 1 ), pp. 653 -670; Erodoto, Tucidide, Senofonte. Letture critiche
(a cura di L. Canfora), Milano, Mursia, 1975 . In particolare, per Ero­
doto e la sua coscienza nell'utilizzo delle fonti, J.A.S. Evans, Six New
Studies on Herodotus, in <<AJPh>>, 1 1 1 ( 1 990), pp . 92-104; H. Erbse,
Fiktion und Wahrheit im Werke Herodots, Gottingen, Vandenhoeck
& Ruprecht, 199 1 ; W. K. Pritchett, The Liar School of Herodotus,
Amsterdam, Graben, 1993 . Sulla concezione della storia di Tucidide e
la sua visione degli eventi, J. de Romilly, Thucydide et l'imperialisme
athénien. La pensée de l'historien et la genèse de l'oeuvre, Paris, Les
Belles Lettres, 195 12; Ead., La costruzione della verità in Tucidide,
trad. it. Firenze, La Nuova Italia, 1995 ; L. Canfora, Tucidide: l'oli­
garca imperfetto, Roma, Editori Riuniti, 1988; Id., Tucidide e l'impero,
Roma - Bari, Laterza, 1992 ; C. Orwin, The Humanity of Thucydides,
Princeton, N.J., Princeton University Press, 1994 ; G. Crane, Thucydi­
des and the Ancient Simplicity. The Limits of Politica! Realism, Berke­
ley, University of California Press, 1998. Sullo sviluppo della biografia
greca, A. Momigliano, Lo sviluppo della biografia greca, Torino, Ei­
naudi, 1974 ; B. Gentili e G. Cerri, Storia e biografia nel pensiero anti­
co, Roma - Bari, Laterza, 1983 ; R. Whittemrope, Pure Lives: the Ear­
ly Biographers I, Baltimore, J. Hopkins University Press, 1988; A.
Dihle, Zur antiken Biographie, in Entretiens de la Fondation Hardt
44, Vandoeuvres - Genève, 1998, pp. 1 1 9- 140. Per Senofonte, fra gli
studi di carattere generale, oltre a A. Momigliano, voce Senofonte in
Enciclopedia Italiana, voi. (1936), pp. 3 87-389, si veda P.J .
Rahn, Xenophon's Developing Historiography, in <<TAPhA>>, CII
( 1 97 1 ) , pp. 497-508; J. Jiménez Fernandez, ]enofonte e! Epigono de
Tucidides, in <<Florentia Iliberritana>>, I ( 1 990) pp. 199-203 ; H.
Wilms, Techne und Paideza bei Xenophon und Isokrates, Stuttgart -
Leipzig, Teubner, 1995 ; J.D. Dillery, Xenophon and the History of
His Time, London - New York, Duckworth, 1995 . Per un inquadra­
mento generale della problematica relativa ali' opera di Teopompo, A.
Momigliano, Teopompo ( 193 1 ) = Terzo Contributo, cit., con Nota bi­
bliografica, pp. 367-392; Id. , voce Teopompo in Enciclopedia Italiana,
voi. III ( 1 937), pp. 532-533 e G. Bonamente, La storiografia di
Teopompo fra classicità e ellenismo, in <<Annali dell'Istituto Italiano
per gli Studi Storici>>, IV ( 1 973 -75 ) , pp. 9-86. Più recenti: P. Pédech,
Trois historiens méconnus: Théopompe, Duris, Phylarque, Paris, Les
Belles Lettres, 1989; M.A. Flower, Theopompus of Chios: Hz'story and
Rhetoric in the Fourth Century B. C. , Oxford, Clarendon Press, 1994.
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 171

Su Eforo, è ancora fondamentale la voce Ephoros di E. Schwartz in


RE, VI (1907), coll. 1 - 16 e di A. Momigliano, !:egemonia tebana in
Senofonte e in Eforo [1935] = La storiografia greca, cit., pp. 204-224 ,
nonché La storia di Eforo e le <<Elleniche>> di Teopompo, in <<RFIC>>,
LXIII ( 1 935), pp. 180-204 = Quinto Contributo, cit., pp. 683-706.
Contributi più recenti: P. Vannicelli, I:economia delle Storie di Eforo,
in <<RFIC>>, CXV ( 1987), pp. 165-191 e L. Breglia Pulci Doria, Eforo
e le tradizioni sugli Egeidi, in <<AION>>, XI (1989), pp. 9-3 0. Su Efo­
ro in Diodoro, L. Pearson, Ephorus and Timaeus in Diodorus. One
Source of Misunderstanding, in The Craft of the Ancient Historian. Es­
says in Honor of Ch.G. Starr (a cura di J.W. Edie e ]. Ober), Lan­
ham, Md. , University Press of America, 1985 , pp. 189- 197 . Sulla sto­
riografia drammatica e Duride, sono essenziali R. Ullman, History and
Tragedy, in <<TAPhA>>, LXX XIII ( 1 942 ), pp. 25-53 e F.W. Walbank,
History and Tragedy, in <<Historia>>, IX ( 1 960) , pp. 2 16-23 4. L. Ferre­
ro, Tra poetica ed istorica: Duride di Samo, in Miscellanea di studi
alessandrini in memoria di A. Rostagni, Torino, Bottega d'Erasmo,
1963 , pp. 68- 100; L. Torraca, Duride di Samo e la maschera scenica
nella storiografia ellenistica, Salerno, Laveglia Stampa, 1988, nonché il
già citato Pédech. Per Filarco, si veda E. Gabba, Studi su Filarco. Le
biografie plutarchee di Agide e di Cleomene, in <<Athenaeum>>,
(1957), pp. 3 -55 e 193-239; Th.W. Africa, Phylarchus and the Spartan
Revolution, Berkeley - Los Angeles, University of California Press,
196 1 . Per Timeo: G. De Sanctis, Ricerche sulla storiografia siceliota,
Paler111 0 , Flaccovio, 1958; T.S. Brown, Timaeus of Tauromenium, Ber­
keley, University of California Press, 1958; A. Momigliano, Atene nel
III secolo a. C. e la scoperta di Roma nelle storie di Timeo di Taurome­
nio [1959] = La storiografia greca, cit., pp. 225-258; M.A. Levi, La
critica di Polibio a Timeo, in Miscellanea A. Rostagni, cit., pp.
195-202 ; V. La Bua, Filino, Polibio, Sileno, Diodoro, Palermo, Flacco­
vio, 1966; R. Vattuone, Ricerche su Timeo: la pueritia di Agatocle, Fi­
renze, La Nuova Italia, 1983 ; Id. , Sapienza d'Occidente: il pensiero
storico di Timeo di Tauromenio, Bologna, Pàtron, 1991.
Sulla preistoria della storiografia romana, sono molteplici gli aspet­
ti da considerare. Per il legame fra il complesso della tradizione orale
e la fase della elaborazione scritta, si vedano: J. Vansina, Oral Tradi­
tion as History, London, Duckworth, 1985 e P. Wiseman, Historiogra­
phy and Imagination, Exeter, Un. of Exeter Press, 1994 . Sugli Anna­
/es Maximi, B.W. Frier, Libri annales pontificum: The Origins of the
Annalistic Tradition, Roma, American Academy in Rome, 1979; R.
Drews, Ponti/ls, Prodigies, and the Disappearance of the <<Anna/es Ma­
ximi>>, in <<CPh>>, L II ( 1 988), pp. 289-299. Sulle leggende relative
alla fondazione di Roma, A. Mastrocinque, Romolo: la fondazione di
Roma fra storia e leggenda, Este, Libreria Editrice Zielo, 1993 . Sul
processo di acculturazione pitagorica di Roma, che si concretizzò
nell'idea di un discepolato di N11111 a da Pitagora, si veda ora A. Stor­
chi Marino, Numa e Pitagora, Napoli, Liguori, 1999. Sui caratteri
della cosiddetta Prima Annalistica in greco e per il processo di le-
172 LE FONTI LE'J"J'ERARIE

gittimazione di Roma, sono fonda111 entali di E. Gabba, Considerazio­


ni sulla tradizione letteraria sulle origini della Repubblica, in Entre­
tiens de la Fondation Hardt 13 , Vandoeuvres - Genève, 1967, pp.
135- 169 e ora Dionigi e la storia di Roma arcaica, [ 1991 ] , Bari, Edi­
puglia, 1996. Restano di grande valore gli interventi di E. Badian,
The Early Historians, in T.A. Dorey (a cura di), Latin Historians,
London, Routdledge & Kegan Paul, 1966, pp. 1-38; S. Mazzarino, Il
pensiero storico classico, cit., Il, 1 , pp. 53 - 1 17 ; E. Rawson, The First
Latin Annalists, in <<Latomus>>, ( 1 976 ), pp. 689 -7 17, nonché il
contributo di A. La Penna, Storiografia di senatori e storiografia di
letterati. Considerazioni generali sulla storiografia latina dell'età repub­
blicana, in Aspetti del pensiero storico latino, Torino, Einaudi, 1978,
pp. 43 - 104. Specifici su Fabio Pittore e gli altri annalisti del III secolo
a. C. , oltre a A. Momigliano, Linee per una valutazione di Fabio Pitto­
re, in Terzo Contributo, cit., pp. 55-68 e Sesto Contributo, cit., pp.
69-75 , si veda G. Manganaro, Una biblioteca storica nel Ginnasio di
Tauromenion e il P Oxyr. 1 24 1 , in <<PP>>, ( 1 974), pp.
3 89-409.
I frammenti delle Origines di Catone, disponibili nelle HRR (12,
pp. 55 -97), sono stati recentemente editi con traduzione francese e
note esegetiche da M. Chassignet (Paris, Les Belles Lettres, 1 986), di
cui si leggerà anche Caton et l'impérialisme romain au Ile siècle av.
]. C. d'après les <<Origines>>, in <<Latomus>>, XLVI ( 1987 ), pp. 285-3 00,
accanto a C. Letta, J;Italia dei mores Romani nelle <<Origines>> di Cato­
ne, in <<Athenaeum>>, LXII ( 1 984), pp. 3-30 e 4 16-439 e ora P. Cugusi,
Il proemio delle Origines di Catone, in <<Maia>>, 46 (1994 ), pp. 263 -272 .
Recente messa a punto, a proposito di Cassio Emina, in U.W. Scholz,
Zu L. Cassius Hemina, in <<Hermes>>, CVII ( 1 989), pp. 167 - 1 8 1 . Il te­
sto si leggerà ora nell'edizione di C. Santini, I /rammenti di Cassio
Emina, Pisa, ETS, 1995 . Per Pisone Frugi: N. Berti, La decadenza mo­
rale di Roma e i viri antiqui: riflessioni su alcuni /rammenti degli An­
nali di L. Calpurnio Pisone Frugi, in <<Prometheus>>, XV ( 1 989), pp.
39-58 e 145- 159. Per Fannio, ancora importante F. Cassola, I Fannii in
età repubblicana, in <<Vichiana>>, XII ( 1 983 ), pp. 84- 1 12. Su Celio An­
tipatro, W. Herrmann, Die Historien des Coelius Antipater. Fragmente
und Kommentar, Meisenheim am Gian, Hain, 1979. Difficile orientar­
si nella vasta bibliografia su Polibio e la sua opera. Ancora fonda­
mentale F.W. Walbank, A Historical Commentary on Polybius, 1-111,
Oxford, Clarendon Press, 1957 - 1979 e fra le traduzioni italiane, Sto­
rie, libri I-XL, trad. di A. Vimercati, intr. di N. Criniti, note, Appen­
dici, indici bibliografici di N. Criniti e D. Golin, Milano, Rusconi,
1987 . Si consulti anche S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, cit.,
II, 1 , pp . 1 17-153 . Due volumi miscellanei, che possono servire a
presentare le molteplici problematiche connesse con Polibio, la sua
opera, l'elaborazione del metodo storiografico, sono quello negli En­
tretiens de la Fondation Hardt 20 (Polybe) , Vandoeuvres - Genève,
1974, e nei WdF (Polybios), Darrnstadt, Wissenschaftliche Buchge­
sellschaft, 1982 . Si veda inoltre D. Musti, Polibio e l'imperialismo ro-
LE FONTI LETIERARIE 173

mano, Napoli, Liguori, 1978 e D.P. Orsi, J;alleanza acheo-macedone.


Studio su Polibio, Bari, Edipuglia, 199 1 . Sul metodo di Polibio in
rapporto ai predecessori: K. Sacks, Polybius on the Writing o/ His­
tory, Berkeley, University of California Press, 198 1 ; P. Derow, Histori­
cal Explanation: Polybius and His Predecessors, in S. Hornblower (a
cura di), Greek Historiography, Oxford, Clarendon Press, 1994 , pp.
73 -90.
Per i Commentarii di Silla, come risultato del genere autobiografi­
co allora coltivato anche da Scauro, Catulo, Rufo, si veda I. Calabi, I
<<Commentarii>> di Silla come fonte storica, in <<RAL>>, s. VIII, III, 5
(1950), pp. 245-302 e, in generale, sulla connessione fra l'affe1111arsi
dell'autobiografia e del ritratto repubblicano, P. Zanker, Augusto e il
potere delle immagini [ 1 987] , trad. it. Torino, Einaudi, 1 989. Sulla
novità delle scelte storiografiche di Sempronio Asellione, si veda M.
Mazza, Sulla tematica della storiografia di epoca si/lana: il Jr. 1 -2 P di
Sempronio Asellione, in <<SicGymn>> XVIII ( 1 965 ), pp. 144-163 e S.
Mazzarino, Sul proemio delle <<Historiae>> di Sempronio Asellione, in
<<Helikon>>, II (1988), pp. 145-168. Su Sisenna, E. Rawson, L.
Cornelius Sisenna and the Early First century B. C. , in <<CQ>>,
(1979), pp. 327-346. Sull'annalistica di età sillana, coltivata da Clau­
dio Quadrigario, Valerio Anziate e Licinio Macro, E. Rawson, Intellec­
tual Li/e in the Late Roman Republic, London, Duckworth, 1985 . Di
Macro, vedi ora la recente edizione critica di S. Walt, Der Historiker
C. Licinius Macer, Leipzig, Teubner, 1997 . Sugli orienta111enti cultura­
li di oratoria, storiografia e filosofia, E. Narducci, Pratiche letterarie e
crisi della società. Oratoria, storiografia e filosofia nel!' ultimo secolo
della repubblica, in Storia di Roma, 2, 1, Torino, Einaudi, 1990, pp.
885-92 1 . Sul concetto di commentarius, in riferimento all'opera lette­
raria di Cesare, si consulti F. Bomer, Der Commentarius. Zur Vorge­
schichte und literarischen Form der Schri/ten Caesars, in <<Her111es>>,
L I (1953 ), pp. 210-250. Sul pensiero storico al tempo di Cesare,
S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, cit., II, 1 , pp. 191-2 1 1 . In
generale sulla sua personalità letteraria, F.E. Adcock, Caesar as a Man
o/ Letters, Cambridge, Cambridge University Press, 1956. Sulla de­
formazione storica prodotta nei commentarii, M. Rambaud, J;art de
la déformation historique dans les Commentaires de César, Paris, Les
Belles Lettres, 19662 e Z. Yavetz, ]ulius Caesar and His Public Image,
Ithaca, N.Y., Cornell University Press, 1983 ; nonché G. Cipriani, Ce­
sare e la retorica dell'assedio, Amsterdam, Gieben, 1987 e K. Welch e
A. Powell (a cura di), ]ulius Caesar as Art/ul Reporter. The War Com­
mentaries as Politica! Instruments, London, Duckworth, 1998. Di L.
Canfora, oltre al capitolo Cesare, in Id. , Studi di Storia della Storio­
grafia romana, Bari, Edipuglia, 1993 , pp. 9-62 , si veda ora Giulio Ce­
sare. Il dittatore democratico, Roma - Bari, Laterza, 19993 con indica­
zione della bibliografia più recente. Sulla pr0duzione biografica di
Nepote, oltre a E. Jenkinson, Nepos. An Introduction to Latin Biogra­
phy, in T. Dorey (a cura di), Latin Biography, London, Routledge &
Kegan Paul, 1967 , pp. 1 - 15 , importante messa a punto in A. La Pen-
174 LE FONTI LETTERARIE

na, Mobilità dei modelli etici e relativismo dei valori: da Cornelio Ne­
pote a Valerio Massimo e alla laus Pisonis, in A. Giardina e A. Schia­
vone (a cura di), Società romana e produzione schiavistica III, Roma -
Bari, Laterza, 198 1 , pp. 1 83 - 1 93 . Alla metà degli anni Ottanta vari
saggi su Nepote indicano il rinnovato interesse per la sua figura: J.
Geiger, Cornelius Nepos and Ancient Politica! Biography, Stuttgart,
Steiner, 1985; E. Narducci, Cornelio Nepote e la biografia romana. In­
troduzione a Cornelio Nepote. Vite dei massimi condottieri, Milano,
Rizzali, 1986, pp. 5-27; A.C. Dionisotti, Nepos and the Generals, in
<<JRS>>, L III, 1988, pp. 35-49; F. Millar, Cornelius Nepos, <<Atti­
cus>> and the Roman Revolution, in <<G&R>>, , 1988, pp. 40-55;
N. Holzberg, Literarische Tradition und politische Aussage in den Feld­
herrnviten des Cornelius Nepos, in <<WJ>>, XV, 1989, pp. 159- 173 ; su
Nepote traduttore degli storici ateniesi, L. Canfora, Cornelio Nepote,
in Id., Studi di Storia della Storiografia, cit., pp. 159- 168. Per il con­
tributo di Varrone alla produzione antiquaria di fine Repubblica, si
vedano le due opere miscellanee: Varron, in Entretiens de la Fonda­
tion Hardt, Vandoeuvres - Genève, 1962 e gli Atti del Congresso inter­
nazionale di Studi varroniani, I-II, Rieti, Centro di studi varroniani,
1 97 6. Utili anche Studi su Varrone, sulla retorica, storiografia e poesia
latina. Scritti in onore di B. Riposati, I-II, Rieti - Milano, Centro di
studi varroniani-Università Cattolica, 1979 e J. Collart (a cura di),
Varron, grammaire antique et stylistique latine, Paris, Les Belles Let­
tres, 1978. Nonostante l'importanza della sterminata produzione di
Cicerone come fonte storica, citeremo solo pochi degli innumerevoli
studi moderni su singoli aspetti del suo pensiero e alcune sue opere.
Ancora significativo, di E. Lepore, Il princeps ciceroniano e gli ideali
politici della tarda repubblica, Napoli, Ist. it. di Studi Storici, 1954 e,
più recentemente, E. Narducci, Modelli etici e società: un'idea di Cice­
rone, Pisa, Giardini, 1989. Sul significato dei suoi interventi come ora­
tore, C.J. Classen, Recht-Rhetorik-Politik. Untersuchungen zu Ciceros
rhetorischer Strategie, Darmstadt, Wissensch. Buchgesellschaft, 1985 .
Sull'epistolario in generale mancano testi d'interpretazione complessi­
va, ma si possono segnalare alcuni interventi sui tre principali corpora
dell'epistolario. Per la figura di Attico e le lettere a lui indirizzate, M.
Labate e E. Narducci, Mobilità dei modelli etici e relativismo dei valo­
ri: il <<personaggio>> di Attico, in A. Giardina e A. Schiavone (a cura
di) , Società romana, cit., pp. 127- 182; per le lettere ad Q. Fratrem e ad
Brutum, P.B. Harvey, Cicero, <<Epistulae ad Q. fratrem et ad Brutum>>:
Content and Comment, in <<Athenaeum>>, L III ( 1 990) , pp.
3 1 9-350 e, nella stessa rivista, II: <<Epistulae ad Brutum et invicem>>,
L ( 1 991), pp. 17-29. Sulle questioni storiche sollevate dal De re
publica, oltre a A. Grilli, I proemi del <<De re publica>> di Cicerone,
Brescia, Paideia, 197 1 , si veda la rassegna bibliografica a cura di P.L.
Schmidt, Cicero <<De re publica>>. Die Forschung der letzen fiinf De­
zennien, in <<ANRW>>, 1 , 4 ( 1 973 ), pp. 262-333 . Sul De legibus, E.
Rawson, The Interpretation o/ Cicero's <<de legibus>>, in <<ANRW>>, 1 , 4
( 1 973 ) , pp. 334-356.
LE FONTI LETIERARIE 175

Pure Sallustio ha ricevuto grande attenzione presso gli studiosi.


Per l'interpretazione del suo pensiero, il metodo storiografico, la fun­
zione della sua opera nello scenario della Roma postcesariana, vanno
ricordati: R. Syme, Sallustio, trad. it. Brescia, Paideia, 1968 e A. La
Penna, Sallustio e la <<rivoluzione romana>>, Milano, Feltrinelli, 1 968.
Si vedano anche i brevi saggi di L. Canfora, Sallustio, in Id., Studi di
storia della storiografia romana, cit., pp. 65 - 155. Nuova e ampia bi­
bliografia, a cura di L. Di Salvo, si troverà nel volume Opere di C.
Sallustio Crispo (a cura di P. Frassinetti e L. Di Salvo), Torino,
UTET, 199 1 . Per il metodo storiografico e gli intenti di Livio, oltre al
volume, or111 ai un po' datato di M. Mazza, Storia e ideologia in Livio .
Per un'analisi storiografica della prae/atio ai Libri <<ab Urbe condita>>,
Roma, Bonanno, 1967, e a quello di E. Pianezzola, Traduzione e ideo­
logia. Livio interprete di Polibio, Bologna, Pàtron, 1969, che dedica
molta attenzione alle fonti di Livio, si vedano P.G. Walsh, Livy and
the Aims o/ <<historia>>: An Analysis o/ the Third Decade, in <<ANRW>>,
II 30/3 (1982 ), e J. Briscoe, Livy and the Senatoria/ Politics, 200- 1 67
B. C. : The Evidence o/ the Fourth and Fifth Decade, in <<ANRW>>, II
30/3 (1982), pp. 1075- 1 12 1 . Più recente, E. Lefèvre e E. Olshausen
(a cura di), Livius. Werk und Rezeption. Festschrift fiir E. Burck,
Miinchen, Beck, 1983 e, specifici sulla utilità di Livio come fonte per
la storia arcaica, J. Fries, Der Zweikampf Historische und literarische
Aspekte seiner Darstellung bei T Livius, Konigstein/Ts., Hain, 1985 ;
L. Canfora, Livio, in Id. , Studi di storia della storiografia romana, cit.,
pp. 173 -201 . Per la produzione storiografica di età tardorepubblicana
e protoimperiale con esplicita attenzione a quella in greco, G.W. Bo­
wersock, Augustus and the Greek World, Oxford, Clarendon Press,
1965 ; E. Gabba, Storiografia greca e imperialismo romano (III-I a. C.),
in <<RSI>>, L (1974 ), pp. 625-642 = Id. , Aspetti culturali del­
l'imperialismo romano, Firenze, La Nuova Italia, 1 993 ; Id. , The His­
torians and Augustus, in F. Millar e E. Segal, Caesar Augustus. Seven
Aspects, Oxford, Clarendon Press, 1984, pp. 533-539. Importanti an­
che i saggi raccolti in AA.VV. , Ricerche di storiografia antica. I. Ricer­
che di storiografia greca di età romana, Pisa, Giardini, 1979.
Tre contributi sul valore di Trago come fonte storica si troveran­
no in <<ANRW>>, II, 30/2 ( 1 982 ): G. Forni e M.G. Angeli Bertinelli,
Pompeo Trago come fonte di storia, pp. 1298- 1362; O. Seel, Pompeius
Trogus und das Problem der Universalgeschichte, pp. 1363- 1423 ; R.
Urban, <<Gallisches Bewusstsein>> und <<Romkritik>> bei Pompeius Tro­
gus, pp. 1424 - 1443 . Più recentemente, J.M. Alonso Nufiez, An Augu­
stan World History: the <<Historiae Philippicae>> o/ Pompeius Trogus, in
<<G&R>>, Il, , (1987), pp. 56-72 . Per Diodoro Siculo, F. Casso­
la, Diodoro e la storia romana, in <<ANRW>>, Il, 30/1 (1982), pp.
724-773 ; K.S. Sacks, Diodorus Siculus and the First Century, Prince­
ton, Princeton University Press, 1 990; E. Galvagno e C. Molé Ventu­
ra (a cura di) , Mito, storia, tradizione. Diodoro Siculo e la storiografia
classica. Atti del Conv. intr. (Catania - Agira, 7-8 dic. 1984), Catania,
Edizioni del Prisma, 1993 ; G. Wirth, Diodor und das Ende des Helle-
17 6 LE FONTI LE'J"J'ERARIE

nismus. Mutmassungen zu einem fast unbekannten Historiker, Wien,


Verlag der Òsterreichischen Akademie de Wissenschaften, 1993 ; D.
Ambaglio, La <<Biblioteca Storica>> di Diodoro Siculo: problemi e meto­
do, Como, New Press, 1995 . Sulla Vita di Augusto di Nicolao Dama­
sceno, la bibliografia fino agli anni Ottanta è accurata111ente registrata
nella edizione a cura di B. Scardigli e P. Delbianco (con trad., introd.
e commento storico), Vita di Augusto, Firenze, Nardini Editore,
1983 . Di nuovo, M. Toher, The Bloç Karaa(Joç of Nicolaus of Dama­
scus. An Historiographical Analysis, Providence, Brown University,
tesi di dottorato, 1985 . Sull'opera geografica di Strabone, si veda F.
Lasserre, Strabon devant l'empire romain, in <<ANRW>>, II, 3 0/1
( 1 982), pp. 867-896 e i saggi raccolti in Strabone. Contributi allo stu­
dio della personalità e del!'opera, I (a cura di F. Prontera) Perugia,
Edizioni scientifiche Italiane (Università di Perugia) , 1984 ; II (a cura
di G. Maddoli), Perugia, Edizioni Scientifiche Italiane (Università di
Perugia) , 1986. Aspetti particolari, soprattutto in relazione alle fonti
utilizzate, in D. Ambaglio, Strabone e la storiografia greca frammenta­
ria, in Studi di storia e storiografia antiche: per E. Gabba, Pavia, 1988,
pp. 73-83 ; D. Musti, Strabone e la Magna Grecia. Città e popoli dell'I­
talia antica, Padova, Studio Editoriale Progra111ma, 1988; A.M. Bira­
schi e G. Maddoli, La Geografia: Strabone e Pausania, in Lo spazio
letterario della Grecia antica, I, 3 , Roma, Salerno Editrice, 1994, e
A.M. Biraschi (a cura di) , Strabone e la Grecia, Napoli, Ed. Scient.
Italiane, 1994.
Su Dionigi di Alicarnasso, interventi n11111erosi di E. Gabba, Studi
su Dionigi di Alicarnasso. I: La costituzione di Romolo, in <<Athe­
naeum>>, III ( 1 960), pp. 175-225 ; Id., Studi su Dionigi di Ali­
carnasso. II: Il regno di Servio Tullio, in <<Athenae111n>>,
( 1 96 1 ) , pp. 98- 12 1; Id., Studi su Dionigi di Alicarnasso. III: La propo­
sta di legge agraria di Spurio Cassio, in <<Athenae11111>>, XLII ( 1 964),
pp. 29-4 1 ; Id., Un documento censorio in Dionigi di Alicarnasso I.
74.5, in Synteleia Vincenzo Arangio-Ruiz, Napoli, Jovene, 1964, pp .
486-493 , da leggersi tutti con il nuovo volume Dionigi e la storia di
Roma arcaica, cit. Si vedano, inoltre, su aspetti specifici dell'opera,
lavori ancora attuali: D. Musti, Tendenze nella storiografia romana e
greca su Roma arcaica. Studi su Livio e Dionigi di Alicarnasso, Roma,
Edizioni dell'Ateneo, 1970 e i vari contributi su Dionigi, oltreché su
Luciano, Plutarco, e Anonimo su Tucidide, in L. Canfora, Teorie e
tecnica della storiografia classica, Bari, Laterza, 1974. Specifico, sull' A­
nonimo, W.K. Pritchett, Dionysius of Halicarnassus on Thucydides,
Berkeley, University of California Press, 1975; A. Hurst, Un critique
grec dans la Rome d'Auguste: Denys d'Halicarnasse, in <<ANRW>>, II,
30/1 (1982 ), pp. 83 9-865; G. Poma, Dionigi di Alicarnasso e la citta­
dinanza romana, in <<MEFRA>>, 101 (1989), pp. 186-205 . Da ultimo,
C. Schultze, Dionysius of Halicarnassus and His Audience, in Past
Perspective, cit., pp. 12 1 - 14 1 e G. Vanotti, I:altro Enea: la testimo­
nianza di Dionigi di Alicarnasso, Roma, L'Er111a, 1995 . Fra gli studi
generali su Velleio Patercolo, si ricorda I. Lana, Velleio Patercolo o
LE FONTI LE'I"I'ERARIE 177

della propaganda, Torino, Pubbl. Fac. Lettere e Fil. Un., 1952 e, foca­
lizzato sulla questione della obiettività di Velleio, R. Syme, Mendacity
in Velleius, in <<A}Ph>>, XCIX (1978), pp. 45-63 . Più recentemente,
sul genere letterario, A.J. Woodman, Questions of Date, Genre, and
Style in Velleius: Some Literary Answers, in <<CQ>>, ( 1 975), pp.
272-306; e R.J. Starr, Velleius' Literary Techniques in the Organization
of His History, in <<TAPhA>>, CX ( 1 980) , pp. 287-3 0 1 .
Un contributo d'insieme su Valerio Massimo è quello di G. Ma­
slakov, Valerius Maximus and Roman Historiography. A Study of the
exempla Tradition, in <<ANRW>>, II, 32/1 ( 1 984), pp. 437-496. Più
nello specifico il contributo di C. Santini, Echi di politica religiosa tz·­
beriana z"n Valerio Massz"mo, in <<GIF>>, ( 1 987), pp. 1 83- 195 .
Si veda, inoltre, W.M. Bloomer, Valerius Maxz"mus and the Rhetorz·c of
the New Nobz"lz"ty, Chapel Hill, University of North Carolina Press,
1992 . Una sorta di rassegna bibliografica fino alla prima metà degli
anni Ottanta su Curzz"o Rufo è il saggio di W. Rutz, Zur Erzà"h lung­
skunst des Q. Curtius Rufus, in <<ANRW>>, Il, 32/4 ( 1 986), pp.
2329-2357 e quello di J.E. Atkinson, Q. Curtius Rufus' Historiae Ale­
xandri Magni·, nel Supplemento all'<<ANRW>>, Il, 32/4 pubblicato in
<<ANRW>> II, 34/4 ( 1997), pp. 3447-3483 . Altri contributi specifici:
W.S. Watt, Szx Notes on Q. Curtz"us, in <<Arctos>>, XXIII ( 1 989) , pp.
249-25 1 e la breve nota di T. Fisher, A proposito di Curzio Rufo 4, 3,
25, in <<RFIC>>, CXVIII ( 1 990), p. 56. Fra le traduzioni italiane com­
mentate delle opere di Flavio . Gz"useppe, si ricordi L. Troiani, Com­
mento storz"co al <<Contro Apzone>> di Gz"useppe, Pisa, Giardini, 1977 e
G. }ossa (a cura di) , Autobiografia , Napoli, D'Auria, 1992 . Fra i nu­
merosi studi dedicati all'uomo e all'opera, L. Troiani, Gtz· Ebrei· e lo
stato pagano z"n Fz"lone e Giuseppe, in Ricerche di storia e storiografia
antica, cit., II, pp. 193 -2 1 8; P. Vidal-Naquet, Il buon uso del tradz·­
mento. Flavio Giuseppe e la guerra giudaz·ca [ 1977], trad. it. (con in­
troduzione di A. Momigliano, Ciò che Flavio Giuseppe non vide)
Roma, Editori Riuniti, 1980; L.H. Feldmann, Flavius ]osephus Revz"si­
ted: the Man, His Writz"n gs and His Signzficance, in <<ANRW>>, II, 21/2
( 1 984 ), pp. 763 -862 ; P. Villalba e J. Vameda, The Historz"cal Method
of Flavius ]osephus, Leiden; Brill, 1986; M. Bohr111 ann, Flavz·us ]osè­
phe, !es Zélotes et Yavné, pour une relecture de la <<Guerre des ]uz/s>>,
Bem, Lang, 1989; S. Schwartz, ]osephus and ]oudaean Polz"tics, Lei­
den, Brill, 1990.
Essenzialmente su Plutarco biografo, B. Scardigli, Dz"e Romerbz"o­
graphien Plutarchs. Ein Forschungsbericht, Miinchen, Beck, 1979 (con
aggiornamenti in Giorn. fil. ferrarese, 1986, pp. 7-59); R. Flacelière,
La pensée de Plutarque dans le Vz"es, in Bull. de l'Ass. G. Budé, 1979,
.
pp. 264-275 ; M. Van Der Valk, Notes on the Composz"tzon and A"an­
gement of the Biographies of Plutarch, in Studi· z"n onore di A. Colon­
na, Perugia, Edizioni Scientifiche italiane (Università di Perugia),
1982, pp. 301-337; A. Pennacini, Strutture retorz"che nelle biografie di
Plutarco e di Svetonio, in <<Sigma>> 17, 1-2 (1984), pp. 103 - 1 1 1 . Il vo­
l11111e di <<ANRW>>, II, 33/6 ( 1 992 ) è monografico su Plutarco e i sag-
178 LE FONTI LE'J"J'ERARJE

gi in esso raccolti vanno tenuti presenti insieme ai contributi dei nu­


merosi Convegni plutarchei organizzati negli ultimi anni: M. Garcia
Valdés (a cura di), Estudios sobre Plutarco: ideas religiosas. III Simpo­
sio intern. sobre Plutarco (Oviedo 1992), Madrid, Ediciones Clasicas,
1994; I. Gallo e B. Scardigli (a cura di), Teoria e prassi politica nelle
opere di Plutarco. V Congr. Intern. (Siena 1993 ), Napoli, M. D' Auria,
1995 ; C. Schrader e V. Ramon e J. Vela (a cura di) , Plutarco y la
Historia. V Simposio espanol sobre Plutarco (Zaragoza 1996), Zarago­
za, Departamento de Ciencias de la Antigiiedad de la Universidad,
1997. Non ancora pubblicati gli Atti dell' VIII Convegno plutarcheo,
tenuto a Pisa nel 1999 su Plutarco e i generi letterari. Utili per la loro
impostazione: V. Ramon, Plutarco y Nepote. Fuentes y interpretaci6n
del mode/o biografico plutarqueo, Zaragoza, Departamento de Cien­
cias de la Antigiiedad de la Universidad, 1992; A. Barigazzi, Studi su
Plutarco, Firenze, Dipartimento di Scienze dell'Antichità <<G. Pasqua­
li>>, 1994. Per una visione d'insieme sull'opera biografica di Svetonio,
dopo la monografia di F. Della Corte, Svetonio, eques Romanus, Fi­
renze, la Nuova Italia, 19672, si possono consultare B. Baldwin, Sve­
tonius, Amsterdam, Hakkert, 1983 ; A. Wallace-Hadrill, Svetonius.
The Scholar and His Caesars, London, Duckworth, 1983 ; R.C. Louns­
bury, The Arts o/ Svetonius. An Introduction, New York - Bem -
Frankfurt a.M. - Paris, Lang, 1987 . Molti contributi sulla sua opera
in <<ANRW>>, II, 33/5 ( 1 99 1 ) , ove per la bibliografia dal 1950 al 1988
si può consultare il saggio bibliografico di P. Galand-Hallyn. Per un
confronto fra Svetonio e Plutarco, L. Piccirilli , I testi biografici come
testimonianza della storia della mentalità, in La biographie antique,
cit., pp. 147- 188. Sulla genesi del genere Vita Caesarum, il saggio di
G.W. Bowersock nello stesso volume, alle pp. 193 -2 10.
Su Tacito e la sua opera, buone e recenti rassegne bibliografiche
esimono dall'elenco di studi generali sull 'Autore e la sua produzione.
In particolare, una selezione bibliografica aggiornata al 1983 in H.W.
Benario, Recent Work on Tacitus: 1974-1 983, in <<CW>>, L
( 1 986), pp . 73- 147 . In aggiunta, si consultino i vari contributi com­
presi in <<ANRW>>, II, 33/2 (1990) ; 33/3 ( 1 99 1 ) ; 33/4 ( 1991) e parte
di 33/5 (pp . 3263 -3574). Nel primo dei volumi citati, bibliografia su­
gli Anna/es di W. Suerbaum, Zweiundvierzig Jahre Tacitus' Forschung:
Systematische Gesamtbibliographie zu Tacitus <<Annalen>> 1939-1 980,
pp. 1032- 1476, poi aggiornata fino al 1986 da H.W. Benario, Six
Years o/ Tacitean Studies. An Analytic Bibliography on the <<Anna/es>>
(1981-1 986), pp. 1477 - 1498. Fino al 1989 arriva l'aggiornamento bi­
bliografico per le Historiae in K. Wellesley, Tacitus, <<Histories>>: A
Textual Survey, 1939- 1989, in <<ANRW>>, II, 33/3 , pp. 165 1 - 1 685 .
Nello stesso volume, notiziario bibliografico sulla Germania di A.A.
Lund, Kritischer Forschungsbericht zur <<Germania>> des Tacitus, pp.
1989-2222 ; 234 1 -2344 ; 2347-23 82 . Su Anneo Flora e l'uso dell'epito­
me nella letteratura latina, M. Galdi, I:epitome nella letteratura lati­
na, Napoli, Federico, 1922; R. Lizzi, La memoria selettiva, in Lo spa­
zio letterario di Roma antica, cit., III, 1990, pp. 647-676. Sull'epitome
LE FONTI LETTERARIE 179

di Floro, in particolare, L. Bessone, Ideologia e datazione del!'<<Epito­


ma>> di Floro, in <<GFF>>, II ( 1 979), pp. 33-57; Id. , Floro un retore
storico e poeta, in <<ANRW>>, II, 34/1 ( 1 993 ), pp . 80- 1 17 e ora, Id. ,
La storia epitomata: introduzione a Flora, Roma, L'Er111a , 1996. Sul
proemio, C. Facchini Tosi, Il proemio di Flora: la struttura concettuale
e formale, Bologna, Pàtron, 1990. Sul fenomeno culturale della II So­
_fzstica, si veda G.W. Bowersock, Greek Sophists o/ the Roman Empire,
Oxford, Clarendon Press, 1969 con le riflessioni di L. Cracco Ruggi­
ni, Sofisti greci nell'impero romano, in <<Athenaeum>>, 49, 197 1 , pp.
402-425 ; e da ultimo, V.A. Sirago, La seconda sofistica come espressio­
ne culturale della classe dirigente del II sec. , in <<ANRW>>, II, 33/1
( 1 989), pp. 36-78. Su Elio Aristide, C.A. Behr, Studies on the Biogra­
phy o/ Aelius Aristides, in <<ANRW>>, II, 34/2 , pp . 1 140- 1233 e, nello
stesso vol111ne, C. Moreschini, Elio Aristide tra Retorica e Filosofia,
pp. 1234- 1247 ; S.A. Sterz, Aelius Aristides' Politica! Ideas, pp.
1248- 1270; D. Librale, I.;elç BaatÀéa dello pseudo-Aristide e l'ideolo­
gia traianea, pp. 127 1 - 13 13 . Su Diane Crisostomo, oltre al classico P.
Desideri, Dione di Prusa. Un intellettuale greco nell'impero romano,
Messina - Firenze, D'Anna, 1979, si veda l'aggiornamento bibliografi­
co di B.F. Harris, Dio o/ Prusa: A Survey o/ Recent Work, in
<<ANRW>> II, 33/5 ( 199 1), pp . 3853 -3 881 e, nello stesso volume, due
saggi di P. Desideri, alle pp. 3882-3959.
Su Arriano, studi di carattere generale sono quelli di P.A. Stadter,
Arrian o/ Nicomedia, Chapell Hill, University of North Carolina
Press, 1980; H. Tonnet, Recherches sur Arrien, sa personnalité et ses
écrits atticistes, I-II, Amsterda111, Hakkert, 1988; A.B. Bosworth,
From Arrian to Alexander. Studies in Historical Interpretation, Ox­
ford, Clarendon Press, 1988; Id., Arrian and Rome: the Minor Works,
in <<ANRW>> II, 34/1 ( 1993 ) , pp. 226-275 e, nello stesso volume, A.
Silberman, Arrien, <<Périple du Pont Euxin>>: Essai d'interprétation et
d'évaluation des données historiques et géographiques, pp. 276-3 1 1 ;
A.M. Devine, Arrian's << Tactica>>, pp. 3 12-3 3 7. Di Appiano vanno se­
gnalati i volumi di testo critico, con introduzione, traduzione e com­
mento, a cura di E. Gabba (I e V libro, Firenze, La Nuova Italia,
1958 e 1970) e D. Magnino (III libro, Firenze, La Nuova Italia,
1984). Sull'Autore e la sua opera, oltre al testo di B. Goldmann, Ein­
heitlichkeit und Eigensta:n digkeit der <<Historia romana>> des Appian,
Hildesheim - Ziirich - New York, Olms-Weidmann, 1988 e ai saggi
elencati nella rassegna bibliografica di K. Brodersen, Appian und sein
Werk, in <<ANRW>> II, 34/1 ( 1 993 ), pp. 339-3 63 , si vedano nello stes­
so vol111ne i contributi di I. Hahn, F.J. G6mez Espelosin, Ch. G.
Leidl, G. Marasco, B.C. McGing, D. Magnino, alle pp. 364-554. Da
ultimo, infine, M. Hose, Erneuerung der Vergangenheit. Die Histori­
ker des Imperium Romanum von Florus bis Cassius Dio, Leipzig,
Teubner, 1994 , pp. 142-355 . Dello stesso Autore, nello stesso saggio,
le pp. 356-452 sono dedicate a Cassio Diane, la cui opera è ora par­
zialmente disponibile in traduzione italiana nella BUR, a cura di G.
Norcio, voll. I-II (libri I-XLIII), Milano, Rizzoli, 1995. Fra gli
1 80 LE FONTI LE'J"J'ERARIE

studi di carattere generale, si vedano E. Gabba, Sulla storia romana


di Cassio Diane, in <<RSI>>, LXVII, 1955, pp. 289-333 e F. Millar, A
Study of Cassius Dio, Oxford, Clarendon Press, 1964. Più recente­
mente, C. Letta, La composizione del!'opera di Cassio Diane: cronolo­
gia e sfondo storico-politico, in Ricerche di storiografia antica, cit., I,
pp. 1 17- 189. Su Dione e Augusto, J.W. Rich, Dio on Augustus, in
History as Text, cit. , pp. 86- 1 10; sul dibattito fra Agrippa e Mecena­
te, D. Fishwick, Dio and Maecenas: the Emperor and the Ruler Cult,
in <<Phoenix>>, XLIV (1990) , pp. 267-275 . Su varii aspetti dell'opera,
A.M. Gowing, The Triumviral Narratives of Appian and Cassius Dio,
Ann Arbor, University of Michigan Press, 1992. Tre interessanti con­
tributi di A.W. Lintott (su Cassio Dione e la storia della Tarda Re­
pubblica), P. M. Swan (sui libri relativi ad Augusto), A.M. Gowing
(su Dione e il regno di Nerone) sono raccolti ora in <<ANRW>> II,
34/3 ( 1997), alle pp. 2497-2590. Dell'opera di Erodiano, si ricordi la
traduzione italiana a cura di F. Cassola, Firenze, Sansoni, 1968. An­
cora utile, per un inquadra111ento generale, G .. Alfoldy, Zeitgeschichte
und Krisenempfindung bei Herodian, in <<Her111es>>, IC (197 1 ) , pp.
429-449; G.W. Bowersock, Herodian and Helagabalus, in <<YCS>>,
( 1 975 ), pp. 229-23 6, ma soprattutto i contributi di H. Side­
bottom, G. Marasco, I. Opelt, in <<ANRW>> II, 34/4 ( 1 997 ), alle pp.
2775-2952.
Vari aspetti della realtà culturale e sociale di epoca tardoantica
sono ben esaminati nei saggi raccolti in A. Giardina (a cura di), So­
cietà romana e impero tardoantico I IV, Roma - Bari, Laterza, 1986
-

(attenzione ai fatti culturali soprattutto nel voi. IV: Tradizione dei


classici: trasformazione della cultura). Per l'influsso operato dal cristia­
nesimo nella società e nelle for111e letterarie, si veda A. Momigliano
(a cura di), Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV
[1963 ] , trad. it. Torino, Einaudi, 1 968 con le importanti riflessioni di
A. Fraschetti, Trent'anni dopo: Il conflitto fra paganesimo e cristianesi­
mo nel secolo IV, in F.E. Consolino (a cura di), Pagani e cristiani da
Giuliano l'Apostata al sacco di Roma, Catanzaro, Rubbettino, 1995,
pp. 5 - 14. Buoni riferimenti alla trasformazione delle for111e letterarie
in A. Ca111eron, Christianity and the Rhetoric of Empire. The Devel­
opment of Christian Discourse, Berkeley, University of California
Press, 1991 e, della stessa autrice, Il tardo impero romano [ 1993 ] ,
trad. it. , Bologna, Il Mulino, 1995 e Un impero, due destini. Roma e
Costantinopoli fra il 395 e il 600 [1993 ] , Genova, Edizioni Culturali
Internazionali, 1996. In ognuna delle opere indicate, si possono tro­
vare riflessioni generali sui mutamenti delle tecniche storiografiche,
ma per ulteriori approfondimenti, sarà importante partire da S. Maz­
zarino, Aspetti sociali del IV secolo, Roma, L'Erma, 195 1 . Per i singoli
Autori, in particolare per Aurelio Vittore, si veda H.W. Bird, Sextus
Aurelius Vietar. A Historiographical Study, Liverpool, Caims, 1984.
Per il Breviarium di Eutropio, si noti che oltre alla recente edizione
di C. Santini, Eutropii <<Breviarium ab urbe co1idita>>, Leipzig, Teub-
LE FONTI LEITERARIE 181

ner, 1979, è appena uscita l'edizione con ampia introduzione e tradu­


zione francese di J. Hellegouarc'h, Eutrope. Abregé d'histoire
romaine, Paris, Les Belles Lettres, 1999. Sui criteri storiografici del­
l'Autore, G. Bona111ente, Giuliano l'Apostata e il <<Breviario>> di Eu­
tropio, Roma, Giorgio Bretschneider, 1986 e la bibliografia generale
che verrà indicata per Festo. Riferimenti all 'epitome di Pesto in E.
Malcovati, I breviarii del IV secolo, in <<AFLC>>, XXI (1942) , pp. 5 - 1 1
e in W. den Boer, Rome à travers trois auteurs du quatrième siècle, in
<<Mnemosyne>>, XX ( 1968), pp. 254-282, nonché Id. , Some Minor His­
torians, Leiden Brill, 1972. Più specifico, B. Baldwin, Festus the His­
torzan, in <<Historia>>, XVII ( 1 978), pp. 192-2 17. Sarebbe impossibile
citare anche solo una parte dei lavori pubblicati recentemente sulla
Historza Augusta. Ottimi i vol11111i dei Banner Historia Augusta Collo­
quia, ove sono raccolti gli Atti dei convegni tenutisi dal 1962 al 1989
sull 'argomento, sotto l'egida dell'Università di Bonn. Dal 1990, i Col­
loqui sono stati organizzati da cinque Università europee (Parigi, Gi­
nevra, Macerata, Barcellona, Bonn) , pubblicati a cura del Centro in­
teruniversitario per gli studi sulla Historia Augusta (Macerata-Perugia)
ed editi da Edipuglia, Bari (a parte il Colloquium Parisinum, distri­
buito da De Boccard, Paris) . I saggi raccolti in questi vol11111i affron­
tano in vario modo i numerosi problemi che l'opera pone, dalla sua
paternità alla datazione, dalle fonti utilizzate alla configurazione delle
singole Vite.
Su Ammiano, dopo i lavori di E.A. Thompson, The Historical
Work of Ammzanus Marcellinus, Ca111bridge, Ca111bridge University
Press, 1947 ; P. Ca111us, Ammien Marcellin, témoin des courants cultu­
rels et religieux à la fin du IVe siècle, Paris, Les Belles Lettres, 1967 ;
R.C. Blockley, Ammianus Marcellinus. A Study of His Historiography
and Politica! Thought, Bruxelles, Latomus, 1975 ; K. Rosen, Ammza­
nus Marcellinus, Da1111stadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,
1982; T.G. Elliott, Ammianus Marcellinus and Fourth Century Histo­
ry, Sarasota, Florida, 1983 , si dispone oggi di un bel lavoro d'insieme
sull'Autore e l'opera: J. Matthews, The Roman Empire of Ammzanus,
London, Duckworth, 1989. Per un più agevole approccio, L. Cracco
Ruggini, Realtà storica, ideologia e convenzioni letterarie in Ammiano
Marcellino, in Storici latini e storici greci, cit., pp. 165- 187; Ead., La
storiografia latina da Ammiano Marcellino a Cassiodoro (e anche più
in là): documenti� relitti e fantasmi reinterpretati, in <<Cassiodorus>>, 3
( 1997), 175-187 ; Ead., Ammzano Marcellino: un intellettuale greco di
fronte all'impero e alla sua capitale, in Cultura latina pagana fra terzo
e quinto secolo dopo Cristo. Atti del Convegno (Mantova 9-1 1 nov.
1995), Firenze, 1998, pp. 2 13 -23 5. Per Vegezio e il De rebus bellicis,
status quaestionis nell'ampio commento e nell'Introduzione ali' edizio­
ne italiana a cura di A. Giardina, Anonimo. <<Le cose della guerra>>,
Milano, Mondadori, 1989. Per l'epistolario, le Relationes e le Orazio­
ni di Q. Aurelio Simmaco, dopo l'edizione di O. Seeck in MGH AA,
1 82 LE FONTI LEITERARIE

VI/1, 1 883 , alcuni libri delle Epistulae sono stati editi da Les Belles
Lettres (voi. I: libri I-II, a cura di J.P. Callu, Paris, 1972 ; II, libri III­
V, Paris, 1 982), le Orationes da A. Pabst (traduzione e commento
dopo ampia introduzione), Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesell­
schaft, 1989. I molteplici problemi letterari e storico-istituzionali che
l'opera di Simmaco consente di affrontare sono largamente discussi
negli ampi volumi di testo, traduzione e commento, editi in Italia da
Giardini, Pisa: libro III (a cura di A. Pellizzari), 1998; IV (a cura di
A. Marcone) , 1987 ; V (a cura di P. Rivolta Tiberga) , 1992 ; VI (a cura
di A. Marcone), 1983 ; IX (a cura di S. Roda) , 198 1 ; Relationes (a
cura di D. Vera), 198 1 .
La produzione letteraria cristiana, nelle sue espressioni di età al­
toimperiale e tardoantica, fino al VI-VII secolo bizantini è ben ana­
lizzata in A. Ca111eron, Christianity and the Rhetoric, cit. Sulle Storie
Ecclesiastiche, inquadramento generale in G.F. Chesnut, The First
Christian Histories. Eusebius, Socrates, Sozomen, Theodoret and Eva­
grius, Paris, Mercer, 19862 • L. Cracco Ruggini, The Ecclesiastica! His­
tory and the Pagan Historiography: Providence and Miracles, in <<Athe­
nae11111 >>, n.s. 55 ( 1 977 ) , pp. 107- 126; Ead., Universalità e campanili­
smo, centro e periferia, città e deserto nelle Storie Ecclesiastiche, in La
storiografia nella tarda Antichità. Atti del Convegno di Erice del 1 9 78,
Messina, 1 980, pp. 161- 168. Si vedano anche i saggi dedicati al tema
da M. Mazza: Lo storico, la fede e il principe. Sulla teoria della storio­
grafia ecclesiastica in Socrate e Sozomeno, ora in Le maschere del pote­
re: cultura e politica nella tarda antichità, Napoli, Jovene, 1986, pp.
225-3 1 8; Id. , Costantino nella storiografia ecclesiastica (Dopo Eusebio),
in G. Bonamente e F. Fusco (a cura di) , Costantino il Grande dal­
l'Antichità all'Umanesimo. Colloquio sul Cristianesimo nel mondo an­
tico (Macerata 18-20 dic. 1990), II, Macerata, 1993 , pp. 559-692 . Su
Agostino, nonostante i molteplici studi pubblicati recentemente sul­
l'uomo e le sue opere, ancora essenziali per un approccio generale i
volumi di P. Brown, Agostino d'Ippona [1967 ] , trad. it. , Torino, Ei­
naudi, 197 1 e Id. , Religione e società nell'età di sant'Agostino [1972 ] ,
trad. it. Torino, Einaudi, 1975 e quello di R.A. Markus, Saeculum:
Hzstory and Society in the Theology of St Augustine, Cambridge,
Cambridge University Press, 19882 , e di J.J. O'Donnell, Augustine:
Confessions, Oxford, Clarendon Press, 1992 . Su Zosimo, una ricca bi­
bliografia è citata nell'edizione dei libri I-II a cura di F. Paschoud
per Les Belles Lettres, Paris, 197 1 . Importante, dello stesso Autore, è
l'articolo Zosimos, in RE, X A ( 1 972), coll. 795-84 1 e Id. , Cinq étu­
des sur Zosime, Paris, Les Belles Lettres, 1976. In rapporto con la
storiografia cristiana, vd. L. Cracco Ruggini, Pubblicistica e storiogra­
fia bizantine di fronte alla crisi dell'Impero romano. (A proposito di un
libro recente), in <<Athenae11111>>, 5 1 ( 1973 ) , pp. 146- 1 83 ; Ead. , Zosi­
mo, ossia il rovesciamento delle Storie Ecclesiastiche, in <<Augustinia­
num>>, 16 ( 1 976) , pp. 23 -33 .
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 183

5. Appendice

5. 1 . Erodoto

[5 , 1 ] Ou--rw µè:v ll é:pcrocl ÀÉ:youcrl ye:vé:cr6ocl, xoct ÙlÒt --r�v 'lÀ[ou &Àwcrlv e:u­
;.iaxoucrl acJ>[al Èoùcrocv T�V ocpx�v T�c; éxOp"t)c; T�c; Èc; --roùc; 'Eì,ÀY)VOCc;. [2] 7tE:pL
1è: '�e; 'loùc; oùx oµoÀoyé:oucrl TI É:pG'!JO"l OUTW <l>o[vlxe:c;' où yocp &p7tocy'{j acJ>é:occ;
ZP'f)O"OCµÉ:vouc; ÀÉ:youcrl OC'(ocy e:'Lv ocÙT�V Èc; A'Cyu7tTOV, OCÀÀ1 wc; Èv --r0 ''Apye:·r: ȵ[­
'T'(ETO --r0 vocuxÀfi pcr T�c; ve:oc;· È7te:L ÙÈ: ɵoc6e: Éyxuoc; Èoùcroc, oc�Ùe:oµÉ:v"fl --roùc;
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' � "\ f I ffi f > I �I
7:XO'Y)l\Oc; ye:V'Y)TOCl. [ 3 ] TOCUTOC µe:v vuv l 1 e:pcrocl TE XOCl 'VOlVlxe:c; l\e:youcrl. e:yw oe:
f - f "\ f

\ \ I ti "I\ tl ì. Ì
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'
'' ) I ( ,..., ) I

-:Òv ÙÈ: oìù:x ocù--ròc; 7tpw--rov U7t6:pç:xv--roc ocù[xwv Épywv Èc; --roùc; ''J<� ÀÀ"f)V:Xc;, TOUTOV
IJ"fi µfivocc; 7tpo�ficroµocl Èc; TÒ 7tp6crw TOU Àoyou, oµo[wc; crµlxpoc XOCL µe:y6:Àoc
icr--re:oc ocv 6pw7tWV È7te:çlWV (Storie, I, 5 , 1-3 ) .

Trad. : [5 , 1 ] . I Persiani affermano che così andarono le cose, e trovano


che nella presa di Troia sta l'origine della loro ostilità verso i Greci. [2] Per
quanto riguarda Io, i Fenici non sono d'accordo con i Persiani; affermano
infatti che non furono loro che, ricorrendo al ratto, la portarono in Egitto,
ma che ad Argo essa ebbe una relazione con il comandante della nave, e
che quando si accorse di essere incinta, vergognandosi dei genitori, essa
stessa di sua volontà si imbarcò insieme coi Fenici per non essere scoperta.
[3 ] Questo dunque narrano Persiani e Fenici. Io per parte mia non starò a
discutere se questi fatti si siano svolti così o in altra maniera, ma, dopo aver
segnalato colui che a quanto io so personalmente fu il primo a dare inizio
ad azioni offensive contro i Greci, andrò avanti nel mio racconto, trattando
ugualmente delle piccole e delle grandi città degli uomini (trad. di A. Izzo
d'Accinni) .

Uno dei problemi di fondo della storiografia antica al suo nascere


fu la ricerca delle cause degli eventi narrati, in seguito alla riflessione
sui nessi casuali che legano passato e presente. In Erodoto è già pre­
sente la distinzione fra le notizie dovute alla personale esperienza e
ricognizione e quelle derivate invece dai l6goi altrui, cui lo storico
non si sentiva obbligato a prestare fede. Nasceva in tal modo la teo­
ria delle cause: pr6phasis (pretesto) , aitia (motivo reale), arché (occa­
sione o momento iniziale). La questione, tuttavia, restò ancora in
Erodoto una proposizione teorica, senza trovare reale applicazione
pratica nella narrazione dei fatti. Nel cercare la causa che dette origi­
ne al conflitto fra Greci e Persiani, ad esempio, egli preferiva riporta­
re le credenze tradizionali sull'argomento senza tentare un'interpreta­
zione personale dei fatti. Egli riteneva, infatti, che la forma migliore
di oggettività potesse consistere nel raccogliere e riferire il maggior
n\1111ero possibile di opinioni, anche se contrastanti. Un altro elemen­
to che emerge dal testo è l'acritica accettazione della realtà storica
della guerra troiana: essa tuttavia non deve stupire troppo in Erodo­
to, dal momento che a tale visione non si sottrasse neppure Tucidide.
Bisognerà attendere, nel III secolo a.C., l'inizio degli studi filologici
alessandrini per trovare in Eratostene una seria contestazione dell'uti­
lizzo di Omero come fonte storica.
1 84 LE FONTI LE'J"J'ERARIE

5.2. Tucidide

[22' 1] Koct ocroc µè:v ÀOYCJ! e:Ì7tOV EXOC<1TOL Ti µÉÀÀOVTe:ç 7tOÀe:µ+icre:LV T, Èv


ocùT0 �Ò"fJ OVTe:ç, x_ocÀe:7tÒV T�V ocxpl�e:LOCV OCÙTY)v TWV Àe:x_6ÉvTWV ÒLocµvr.µove;u­
crocL �V ȵol TE cii v OCÙTÒç �xoucroc XOCL TOLç ocÀÀo6Év 7to3'e:v ȵot OC7tocyyÉÀÀoucrLV0
wç ò' OCV ÈÒoxouv µoL ÉxoccrTOL 7tEpL TWV OCLEL 7tOCpoVTWV TOC ÒÉOVTOC µocÀLcrT' e:L-
7tELV, Èx_oµÉvCJ! oTL Èyy'.JTocToc Tìjç C:uµTioccrr.ç yvwµr.ç Twv ocÀY)6wç Àe:x_6ÉvTwv,
ouTwç e:tp"f]TOCL. [2] TOC ò'epyoc Twv 7tpocx_0ÉvTwv Èv T0 7tOÀɵCJ! 01jx Èx Tou
·

7tOCpocTux_ovToç 7tuv6ocvoµe:voç �C:lwcroc ypoccjle:LV oùò' wç ȵoL ÈÒOXEL, OCÀÀ10Ìç TE


ocÙTÒç 7t0Cp�v XOCL 7tOCpoc TWV OCÀÀWV ocrov ÒuvocTÒV ocxpL�ELCf 7tEpL É:xoccrTOU
"' ' "' '
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E7tEsEAVWV. [3 ] E...7t L7tOvwç '
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crTOLç où TOCÙTOC 7te:pt TWV OCÙTWV EÀe:yov, OCÀÀ1 wç É:xocTÉpwv TLç e:Ùvolocç -1;
µv+iµr.ç EX.OL. [4] Koct Èç µè:v ocxp6occrLV 'lcrwç TÒ µ� µu6wòe:ç ocù-rwv oc-r e:p7tÉ­
crTe:pov cjlocve:LTOCL0 OcrOL ÒÈ: �ouÀ+icroV"t"OCL "t"WV Te: ye:voµÉvwv -rÒ croccjlè:ç crX07tELV
XOCL TWV µe:ÀÀov-rwv 7tOTÈ: oc06Lç XOCTOC -rò ocv6pw7tLVOV TOLOUTWV XOCL 7t0CpOC7tÀ"f]-
I ' ' , I fl ?;:'
' ,, o. ' J. ' ì ' , ' ' "' '\
<1LWV e:cre:crvOCL, w't'e:/\Lµoc xpLVELV OCUTOC ocpxouv-rwç e:se:L. K -rr.µoc Te: e:ç OCLEL µoc/\-
....

ÀOV T, ocywvLcrµoc Èç TÒ 7tOCpocx_p�µoc ocxoue:LV ç1.J yxe:L'rOCL (La guerra del Pelopon­
neso I, 22, 1-4 ) .

Trad. : [22 , 1 ] E quanto ai discorsi che ciascuno pronunciò o nella fase


che immediatamente precedette la guerra o durante il suo svolgimento, era
difficile ricordare puntualmente alla lettera le parole dette: sia per me, rela­
tivamente ai discorsi che io stesso udii, sia per coloro che me li riferivano
attingendo alle varie fonti. I discorsi li ho perciò scritti - attenendomi be­
ninteso al senso generale di ciò che fu effettivamente detto - come a me
pareva che ciascuno avrebbe appropriamente parlato nelle varie circostanze.
[2] Quanto invece ai fatti - i quali costituiscono l'altra categoria di eventi
relativi alla guerra - non ritenni di doverli scrivere attingendo al primo ca­
pitato, né <<come a me pareva>> ma vagliando il più possibile scrupolosa­
mente sia gli eventi di cui ero stato direttamente testimone sia quelli di cui
apprendevo da altri. [3] <<Trovare>> i fatti è stato faticoso, dal momento che
coloro i quali erano stati testimoni di ciascun avvenimento non davano la
stessa versione degli stessi eventi, ma in ognuno interferivano il favore per
una delle due parti nonché la difficoltà di ricordare a distanza di tempo. [4]
Probabilmente il mio racconto risulterà poco dilettevole in una pubblica let­
tura proprio perché privo di finalità artistiche. A me però basterà il fatto
che lo ritengano utile quanti vorranno vedere con precisione i fatti passati e
orientarsi un domani di fronte agli eventi, quando stiano per verificarsi,
uguali o simili, in ragione della natura umana. Ciò che ho composto è una
acquisizione perenne, non un pezzo di bravura mirante al successo imme­
diato (trad. di L. Canfora) .

Dopo i capitoli dedicati all ' archeologia (I, 2-19) che, attraverso
una sintetica ricostruzione delle vicende greche dalle epoche mitiche
alle guerre persiane, hanno lo scopo di dimostrare l'assunto prelimi­
nare, cioè l'incomparabile grandezza della guerra che costituisce l' og­
getto della sua indagine, i capitoli I, 20-22 sono dedicati dallo storico
a delineare il metodo storiografico seguito nella ricerca della verità
sui fatti narrati. Si tratta di una delle pagine più lucide della storio­
grafia antica, con l'esposizione di pochi, essenziali criteri di metodo.
All'assoluto rifiuto di ogni elemento non verificabile critica111ente, che
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 1 85

valorizzava fortemente l'ideale già erodoteo dell'esperienza oculare


(autopsia) degli eventi descritti, si associa l'assunzione dell'idea del­
l'utile come fine ultimo del discorso storiografico. In ciò la polemica
di Tucidide contro la storiografia tradizionale si configura in te1111ini
molto precisi. Le componenti mitiche e favolose, che nella cultura
greca del V secolo svolgevano ancora una parte sostanziale, sono re­
spinte in nome delle verità storiche e l'utilità della propria opera è
contrapposta al fine edonistico dei racconti orali. Per quanto attraen­
te possa apparire dal punto di vista intellettuale, l'impostazione sto­
riografica tucididea mostra tuttavia anche grossi limiti. Questa anti­
nomia fra utile e diletto, teorizzata come inevitabile garanzia della se­
rietà dell'indagine, ad esempio, sarà destinata a rimanere un carattere
tipico della cultura occidentale, impedendo la composizione di due
principi di per sé niente affatto inconciliabili.

5.3. Poli bio

[ 1 ,2] oùx. &.yvow ÒÈ: ÒLoTL cruµ�oc(ve:L T�v 7tpocyµocTe:locv fiµwv itx_e:Lv ocÙcrT'Y)­
p6v TL x.ocì. 7tpÒç EV yÉvoç ocx. poOCTWV olx.e:LoucrElocL x.ocì. x.p(ve:crElocL ÒLOC TÒ µovoe:L­
ÒÈ:ç T�c; cruvToc;e:wc;. [3] o i. µÈ:v yocp ocÀÀOL cruyypoccJ>e:!.'c; crx_e:òòv OC7tocvTe:c;, e:t ÒÈ:
µfi y', o i. 7tÀe:(ouc;, 7tiicrL To!.'c; T-Yjc; i.crToplocc; µÉpe:crL x_pwµe:voL 7tOÀÀoÙc; è:cJ>ÉÀx.ov-
' '' i;' _ ,
I
70CL 7tpoc; E:VTE:U�LV TWV U7toµv'Y)µOCTWV [ . . . ]
[2,4] o ÒÈ: 7tpocyµocTLxÒc; Tpo7toc; è:ve:xplEl1J 7tpWTOV µè: ÒLOC TÒ XOCLV07tOLe:!.'cr0ocL
cruve:x_wc; xocì. xocLv-Yjc; è:ç1Jy+icre:wc; òe:!.'crElocL T<'ì> µ� cruµ�ocTÒv e:ÌvocL To!.'ç &.px_ocloLc;
-rò Tocc; È:7tL'(LvoµÉvocc; 7tp&:çe:Lc; fiµ!.'v è:çocyye:ThocL, [5] Òe:uTe:pov ÒÈ: xocì. ÒLoc TÒ
'itOCVTWV wcJ>e:ÀLµWTOCTOV OCÙTÒV xocì. 7tpÒ TOU µÉv, µocÀLO'TOC ÒÈ: vuv U7tocpx_e:Lv, Tcl>
70Cç È:µ7te:Lp(ocç XOCL TÉx_vocc; È:7tÌ. TOO'OUTOV 7tpOX07t�V e:lÀlJcPÉVOCL x.ocEl' �µiic; WO'TE
7tOCV TÒ 7tocpoc7t!.'7tTOV è:x TWV X.OCLpwv wc; &v e:t µe:EloÒLx.wc; òuvoccrElocL x_e:Lpl�e:LV
-roùc; cPLÀoµocElouvTocc;. [6] ÒLo7te:p �µe:!.'c; oùx. ouTwc; T�c; TÉp�e:wc; crTox_oc�6µe:voL
7WV &.vocyvwcroµÉvwv wc; T-Yjc; wcJ>e:Àe:(occ; TWV 7tpocre:x.6vTwv, TOCÀÀOC 7tocpÉvTe:c; È:7tÌ.
-rouTo TÒ µÉpoc; XOCT1JVÉX.El1Jµe:v. [7] 7te:pì. µè:v o0v TOUTWV oi. cruve:cJ>LcrTiivovTe:c;
È:7tLµe:Àwc; �µwv To!.'c; u7toµvfiµoccrL �e:�ocLoTocToc µocpTup+icroucrL To!.'c; vuv Àe:yoµÉ­
voLc; (Storie IX, Proemio 1,- 2-3; 2, 4-7 ) .

Trad. : [ 1 ,2]. So bene che la mia Storia, dato che è composta di fatti di
un unico tipo, presenta una certa secchezza di stile e riuscirà a conquistarsi
il favore e ad ottenere l'approvazione di una sola categoria di lettori.
[3] . Quasi tutti gli storici, infatti, o per lo meno la maggior parte di essi,
poiché trattano di tutti gli argomenti che rientrano nell'ambito della storia,
riescono ad invogliare molte categorie di persone alla lettura dei loro scritti
[ ... ]
[2,4] Ho invece deciso di scrivere una storia degli avvenimenti contem­
poranei, in primo luogo perché in essi si verificano continuamente delle no­
vità e queste richiedono una narrazione del tutto nuova (visto che gli scrit­
tori antichi non possono raccontarci le vicende successive al loro tempo) ;
[5] secondariamente, perché un tale tipo di storia è stato in passato ed è
soprattutto ai nostri giorni quello che offre i maggiori vantaggi, dato che il
progresso fatto nelle scienze e nelle arti ha raggiunto un livello tale, che gli
studiosi di storia possono trattare si può dire in modo scientifico qualsiasi
186 LE FONTI LETI'ERARIE

avvenimento imprevisto possa capitare. [6] Perciò, dal momento che io non
miro tanto ad offrire svago ai lettori, quanto ad arrecare utilità a coloro che
vogliono seriamente riflettere, ho lasciato perdere tutti gli altri argomenti e
mi sono dedicato a questo tipo di storia. [7] E coloro che seguiranno con
seria attenzione questa mia opera storica saranno testimoni incontestabili
della verità di quanto ora sto dicendo (trad. di A. Vimercati).

Nel proemio del IX libro, Polibio torna a riflettere sul proprio


metodo d'indagine che, in questa sede, egli chiarisce confrontandolo
con quello seguito da altri storici. Rispetto agli sviluppi avuti in Gre­
cia dalla storiografia <<tragica>> e dall'indirizzo di ascendenza isocra­
tea, Polibio si ricollega direttamente a Tucidide. Ribadisce perciò il
suo rifiuto di inserzioni antiquarie nel narrato storico, sia che riguar­
dassero genealogie o miti, o fondazioni di colonie, convinto che la
vera storia dovesse concentrarsi nello sviluppo di un unico soggetto
(nel suo caso, la grande ascesa della potenza romana) , con esclusione
di qualsiasi argomento etnografico o antropologico. La sua intendeva
essere, dunque, una storia pragmatica limitata agli avvenimenti politi­
ci. Delimitare in tal modo il tema trattato avrebbe significato garanti­
re quella serietà d'indagine che egli riteneva mancare nella storiogra­
fia greca contemporanea: e fornire un insegnamento pratico per l'uo­
mo politico al quale il suo racconto, ponendosi come una lezione di
fatti vissuti e subiti, avrebbe indicato la via da seguire nel futuro. La
narrazione storica aveva dunque per Polibio la funzione di permette­
re la previsione storica e politica; per questo l'esigenza di verità, la
ricerca delle cause, la sostanziale sicurezza della documentazione ap­
parivano elementi indispensabili per una corretta valutazione degli
eventi. Il rischio, come per Tucidide, era naturalmente di avere un
pubblico molto limitato, dal momento che non si offriva al lettore
una narrazione capace di provocare diletto, ma dense pagine di nar­
razione <<tecnica>>, fatta di eventi politico-militari, di problemi istitu­
zionali ed economici, su cui riflettere. Anziché causa di preoccupa­
zione, però, proprio la ristrettezza dell' auditorio sembra essere moti­
vo di vanto per Polibio come già per Tucidide: entrambi uomini po­
litici prima che storici, era inevitabile che essi desiderassero rivolgersi
al gruppo limitato, ma specifico, da cui essi stessi provenivano.

5.4. Sallustio

. [ 1 ] Post paucos dies L. Saenius senator in senatu litteras


recitauit, quas Faesulis adlatas sibi dicebat, in quibus scriptum erat
C. Manlium arma cepisse cum magna multitudine ante diem VI ka­
lendas Nouembris. [2] Simul, id quod in tali re solet, alii portenta
atque prodigia nuntiabant, alii conuentus fieri, a1111a portari, Capuae
atque in Apulia seruile bellum moueri.

XX X I . [ 1 ] Quibus rebus permota ciuitas atque inmutata urbis fa­


cies erat. Ex summa laetitia atque lasciuia, quae diuturna quies pepe-
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 187

rerat, repente omnis tristitia inuasit: [2] festinare, trepidare, neque


loco nec homini cuiqua111 satis credere, neque bellum gerere neque
pacem habere, suo quisque metu pericula metiri. [3 ] Ad hoc mulie­
res, quibus rei publicae magnitudine belli timor insolitus incesserat,
adflictare sese, manus supplicis ad caelum tendere, miserari paruos
liberos, rogitare, omnia pauere, superbia atque deliciis omissis sibi
patriaeque diffìdere (La congiura di Catilina , 1-2 ; I, 1 -3 ) .
Trad. : 30. [ l ] Pochi giorni dopo, il senatore L. Senio lesse in senato
una lettera, che asseriva essergli stata portata da Fiesole, e nella quale era
scritto che il 27 ottobre C. Manlio aveva dato avvio alla guerra con un gran
séguito di gente. [2] Contemporaneamente, ed è ciò che di solito avviene in
questi casi, alcuni divulgavan notizie di portenti e di prodigi; altri dicevano
che si tenevano convegni, che si trasportavano armi, e che a Capua ed in
Apulia si fomentava la rivolta degli schiavi.
3 1 . [ 1 ] Tali fatti atterrirono i cittadini e cambiarono l'aspetto stesso
della città. Dall'estremo della spensierata allegria, che la lunga pace aveva
determinato, tutti passarono ad un tratto all ' abbattimento della tristezza;
[2] sempre inquieti, sempre trepidanti, mai sicuri né dei luoghi né delle
persone, non facevan la guerra ma non si sentivano in pace; ciascuno misu­
rava i pericoli in ragione della paura che aveva. [3] Le donne, poi, che, da
tempo si sentivan tranquille per la grandezza e la potenza dello stato, erano
ora prese da un'insolita paura della guerra, si battevano il petto, alzavan
supplichevoli le mani al cielo, compassionavano i figli ancor piccoli, non fa­
cevan che chiedere notizie, trasalivano ad ogni rumore, e, lasciato da parte
ogni pensiero di fasto ed ogni gusto di raffinatezza, disperavan di sé e della
patria (trad. di A. Chiari).

Quando Sallustio si accinse a scrivere storia, negli ambienti intel­


lettuali di Roma era aperto il dibattito sulla funzione e, ancor più,
sullo stile che avrebbe dovuto assumere la storiografia latina per rag­
giungere un livello pur lontana111ente paragonabile a quello della sto­
riografia greca. Cicerone (de orat. II, 55) lamentava questa inferiorità;
Sallustio (Cat. 8) constatava amaramente che la storiografia latina era
un genere ancora da inventare, avendo i Romani preferito l'impegno
pratico a quello intellettuale; Cornelio Nepote (fr. 40 P) condivideva
l'esortazione di Attico a Cicerone (de leg. I, 5) perché egli stesso
s'impegnasse a conferire anche alla storiografia quel livello stilistico
con cui aveva sollevato le sorti dell'oratoria. Sallustio, tuttavia, non
scelse quell'indirizzo isocrateo che Cicerone avrebbe usato per l' ope­
ra storica (se avesse deciso d'impegnarsi in questo genere). Egli pre­
ferì seguire uno stile tucidideo che, sollecitando l'arcaismo in funzio­
ne della gravitas, si conciliasse bene sia con la tradizione arcaizzante
della storiografia latina sia con la sua personale inclinazione verso il
catonismo. Ciò esprimeva una forte volontà di conservazione dei va­
lori politici e morali della tradizione, riflettendo la posizione di poli­
tici e intellettuali dei ceti agiati della penisola che, come Sallustio,
opponevano valori <<catoniani>> sia alla nobiltà corrotta sia alla plebe
tumultuosa della capitale. Il brano riportato, che ricostruisce l'incom­
bere dall'esterno di notizie gravi e contraddittorie dopo il senatuscon-
188 LE FONTI LE'l"J'ERARIE

sultum ultimum in cui Catilina fu dichiarato hostis publicus e ai con­


soli furono conferiti poteri assoluti per salvare lo stato dall'estremo
pericolo, può essere significativo della novità dello stile sallustiano e
della stretta corrispondenza fra le scelte stilistiche e le tendenze ideo­
logiche dell'autore.

5.5. Livio

[4] Res est praeterea, et immensi operis, ut quae supra septigen­


tesimum ann11111 repetatur, et quae, ab exiguis profecta initiis, eo cre­
verit ut iam magnitudine laboret sua; et legenti11111 plerisque haud
dubito quin primae origines proximaque originibus minus praebitura
voluptatis sint festinantibus ad haec nova, quibus iam pridem praeva­
lentis populi vires se ipsae conficiunt; [5] ego contra hoc quoque la­
boris praemi11111 peta111, ut me a conspectu malorum, quae nostra tot
per annos vidit aetas, tantisper certe, dum prisca illa tota mente re­
peto, averta111, omnis expers curae, quae scribentis animum, etsi non
flectere a vero, sollicitum tan1en efficere posset (Dalla fondazione di
Roma, Proemio 4-5 ) .

Trad. : [4] La materia è poi d'immensa mole, poiché risale ad oltre sette­
cento anni addietro, e partita da umili inizi Roma a tal punto è cresciuta,
che già è travagliata dalla sua stessa grandezza; e non dubito che alla mag­
gior parte dei lettori offrirà scarso diletto il racconto delle prime origini e
dei fatti più vicini alle origini, per la fretta di giungere a questi ultimi eventi
in cui le forze del popolo, da lungo tempo dominante, si consumano da se
stesse; [5] per me invece proprio questo sarà il premio che chiedo alla mia
fatica, l'allontanarmi dalla vista dei mali di cui per tanti anni l'età nostra è
stata spettatrice, almeno fino a quando sarò immerso con tutto l'animo nel
ripercorrere quegli antichi tempi, libero da ogni preoccupazione che possa,
anche se non far deflettere dal vero la mente dello scrittore, renderla tutta­
via turbata (trad. di L. Perelli) .

Era costume degli storici antichi premettere alle loro opere


un'introduzione progra111matica al fine di chiarire al lettore l'oggetto,
i criteri, la novità della propria indagine rispetto a quella degli stori­
ci precedenti. Ecateo, Erodoto, Tucidide si servirono del prologo a
questo fine; la storiografia ellenistica consolidò la tradizione proe­
miale attingendo anche alla tradizione retorica; con Isocrate ed Efo­
ro, infatti, la prefazione assunse il carattere di un vero e proprio ge­
nere letterario, deter111inato da precise no1111e retoriche. I Romani
l'accolsero nella propria storiografia attraverso la mediazione di Poli­
bio e Diodoro Siculo, creando notevoli pezzi retorici, come quelli di
Sallustio o quelli usati da Cicerone nelle proprie opere filosofiche e
nelle orazioni. A Cicerone, oltre che a Demostene - i due modelli
prediletti da Livio -, era legata nell'antichità l'esistenza di raccolte
di proemi precostituiti cui attingere all ' occasione. Livio non si di­
stacca esterior111ente dalle for1nulazioni della precettistica tradiziona-
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 189

le. Egli, tuttavia, interviene in modo del tutto personale sostanzian­


do il discorso progra111m atico di storia contemporanea e proponen­
do un'analisi etica delle vicende di Roma. Ascesa e decadenza di
Roma sono seguite interrogando tutte le testimonianze disponibili,
siano esse le poeticae /abulae, sia gli incorrupta monumenta. Allo sto­
rico tardorepubblicano non importa troppo che le fabulae non ri­
flettano con esattezza positiva le reali vicende che furono all'origine
della città. Essenziale è il valore simbolico, etico e pratico della sto­
ria, che possa insegnare agli uomini da quali vizi e da quali pericoli
fuggire nella crisi morale dell'età presente. In tali termini, il passato
è totalmente idealizzato: la grandezza di Roma antica era sostanziata
da precisi mores, sostenuta da figure esemplari (i viri) che indivi­
dualmente ne determinarono la storia, e dalle artes, quello stile poli­
tico che generò e accrebbe l'impero. Erano questi i paradigmi da
mettere in luce e su cui meditare per restaurare i valori persi nei
mali del presente.

5.6. Dionigi di Alicarnasso

(5 , 1 ] Tau'taç ot) 'tàç :rtE:rtAavriµévaç, WO':rtEQ e<j>riv, u:rtoA.Tj1'JELç ÈçEA.éa0aL


'tf)ç OLUvolaç 'toov :rtoA.A.wv :rtgoaLQoilµEvoç xai. ÙV'tLXa'taaxEué:taaL 'tàç àA.rieerç,
:tEQL µèv 'tWv OLXLO'é:tV'twv 'tt)v :rtÒALv, oi'.'tLvEç �aav xai. xa'tà 'tlvaç examoL xaL
goùç O'lJvf)A.0ov xai. 'tlO'L 'tUì(OLç XQllOé:tµevoL 'tàç :rta'tglouç oìxTjaELç èçéA.utov, Èv
'tOU'tTI oriA.waw 'tfl yga<j>fl, OL' �ç "EA.A.rivé:tç 'tE aÙ'to'Ùç OV'taç È:rtLOElçELV U:rtLO'­
xvouµaL xai. oùx Èx 'toov ÈA.axlmwv � <j>auA.o'té:t'twv È0vwv auveA.riA.u0ò'taç.
[2] :rtEQi oè 'tWV :rtgé:tçewv, éì.ç µE'tà 'tÒV OLXLaµòv EÙ0éwç cl:rtEOElçaV'tO, xai. :rtEQL
'tWv È:rtL'tllOEuµé:t'twv, èç c1v ELç 'toaau'triv �yeµovlav :rtQof)A.0ov ol µe't' aÙ'touç,
à:rtò 'tf)ç µE'tà 'tau'triv àgçé:tµevoç àvayga<j>f)ç à<j>riyTjaoµaL, :rtagaA.utwv oùoèv
oari µoL OuvaµLç 'tWV àçlwv LO''tOQlaç, i'.va 'tOLç YE µat>oUO'L 'tt)v àA.Tj0ELUV a
:rtQOaTjXEL :rtEQi. 'tf)ç :rtòA.ewç 'tf)aOE :rtagamfl <j>govEi:v, EL µt) :rtav'té:t:rtaaLv àyglwç
xai. ouaµEvooç OLé:tXELV'tOL :rtgòç aÙ'tTjv, xai. µTj'tE ax0Ea0aL 'tfi U:rtO'té:tçEL xa'tà 'tÒ
ELXÒç yevoµÉVTI (<j>iJOEWç yàQ Ot) vòµoç a:rtaO'L XOLvÒç, ov oÙOEi.ç Xa'taAUO'EL
XQÒvoç, tlQì(ELV clEL 'tWV �'t'tÒV(l}V 'tO'Ùç XQEl't'tOvaç) µTj'tE XO'tl'IYOQELV 'tf)ç 'tuxriç,
wç oùx È:rtL'tllOElcp :rtÒAEL 'tl'IALXOU'tllV �yeµovlav xai. 'tOO'OU'tOV �ori XQÒVOV
1tQOLXa owgriaaµévriç· [3] µa0oual YE ot) :rtagà 'tf)ç LO"tOQlaç, O'tL µuglaç �vEy­
XEV àvogwv ÙQE'tàç eù0ùç èç àgxf)ç µE'tà 'tòv oLxwµòv, wv ou't' EÙae�emégouç
ou'tE OLxaLO'tÉQouç OU'tE aw<j>goauvn :rtA.elovL :rtagà :rté:tv'ta 'tòv �lov XQllOaµévouç
oÙOÉ ye 'tà :rtoA.éµLU XQEl't'touç àywvLmàç oÙOEµla :rtÒALç �vEyxev oU'tE 'EA.A.àç
OU'tE Bé:tg�agoç, EL ot) à:rtÉO"tOL 'tOU A.òyou 'tÒ È:rtl<j>0ovov (Archeologia Romana
I, 5, 1 -3 ) .

Trad. : (5 , 1 ] Tentando di liberare le menti di molti da erronee credenze,


come io le chiamai, e di sostituirle con la verità, mostrerò in questo libro
chi fossero i fondatori della città, in quale periodo i vari gruppi confluirono
insieme e per quale sorte essi lasciarono le loro terre d'origine. In tal modo,
tenterò di provare che essi erano Greci e provenivano da popoli che non
erano né fra i più piccoli, né fra i meno considerevoli. [2] E all'inizio del
prossimo libro tratterò delle gesta che essi compirono subito dopo la fonda-
190 LE FONTI LETTERARIE

zione della città e dei costumi e delle istituzioni in virtù dei quali i loro
discendenti pervennero a così vasta egemonia; per quanto mi sarà possibile,
non ometterò nulla degno di essere registrato dalla storia affinché possa gui­
dare coloro che conosceranno la verità verso una giusta valutazione di que­
sta città, - a meno che essi non abbiano già concepito una forte ostilità
contro di essa - e far sì che essi non provino indignazione per la loro pre­
sente soggezione al potere di Roma. Questa, infatti, è giustificata dalla ragio­
ne, perché per una universale Legge di Natura, comune a tutti e che il tem­
po non può cambiare, da sempre ai migliori è dato governare sugli inferiori.
Essi, dunque, non biasimeranno più la sorte per dover sopportare, soggetti
a una città dalle origini sconvenienti, una grande supremazia da così gran
tempo. [3 ] allorché impareranno dalla mia storia che Roma subito agli inizi,
immediatamente dopo la sua fondazione, produsse infiniti esempi di virtù e
che nessuna città né greca né barbara ha mai espresso uomini superiori a
quelli né per pietà, né per giustizia, né per saggezza mostrata lungo tutto il
corso della vita, né per valore in guerra. Questo è ciò che spero di realizza­
re, se il mio lettore metterà da parte ogni risentimento.

Il brano esprime bene la concezione di fondo che anima l'opera


di Dionigi e il modo in cui egli portò a compimento il processo della
storiografia greca nell'accettazione dell'impero romano. In tal senso
egli chiuse un'epoca, anticipando al tempo stesso una serie di temi
che si presenteranno nella storiografia solo successivamente. Con la
sua operazione culturale, tendente ad accreditare un'origine greca
della città di Roma per liberare i Greci soggetti al suo dominio dal-
1' ostilità verso una dominazione considerata straniera e barbara, egli
aprì la via a un nuovo tipo di riflessione storiografica. Quando gli
storici cominceranno a provenire dalle classi alte imperiali di estra­
zione greca e si faranno scrittori di storia romana o non romana se­
natori e funzionari imperiali, essi seguiranno la prospettiva inaugura­
ta da Dionigi in età augustea. Arriano, Appiano, Cassio Dione, Ero­
diano mostreranno di aver superato totalmente la visione storica taci­
tiana, ancora impastoiata fra i due contrastanti poli della libertà sena­
toria di età repubblicana e del dispotismo del nuovo potere impe­
riale.

5.7. Tacito

[ 1 , 14] inde consilium mihi pauca de Augusto et extrema tradere,


mox Tiberii principat11111 et cetera, sine ira et studio, quor11111 causas
procul habeo [ . . . ]
[2 ,17] Postquam Bruto et Cassio caesis nulla ia111 publica arma,
Pompeius apud Siciliam oppressus exutoque Lepido, interfecto An­
tonio ne Iulianis quidem partibus nisi Caesar dux reliquus, posito
triumviri nomine consulem se ferens et ad tuenda111 plebem tribuni­
cio iure content11111, uhi militem donis, populum annona, cunctos
dulcedine otii pellexit, insurgere paulatim, munia senatus magistra-
LE FONTI LETfERARIE 191

ru11111 leg11111 in se trahere, nullo adversante (Annali 1 , 14- 16; 2 ,


17-24).

Trad. : [ 1 , 14] lo mi propongo perciò di raccontare di Augusto pochi trat­


ti soltanto, dell'ultimo tempo della sua vita; indi il regno di Tiberio e dei
suoi successori, senza rancore o indulgenza, lontano come sono da ogni mo­
tivo di quello e di questa. [2, 17] Venuta meno, dopoché Bruto e Cassio
furono tratti a darsi la morte, ogni forza armata della repubblica; disfatto in
Sicilia Pompeo, spogliato Lepido d'ogni potere, e uccisosi Antonio; nessun
capo del partito di Giulio Cesare sopravvivendo fuor di Ottaviano; questi,
dismesso il titolo di triumviro per quello di console, si dichiarò pago, a dife­
sa della plebe, delle funzioni di tribuno. Indi, adescate con elargizioni le
milizie, il popolino con la distribuzione di viveri, i cittadini in genere con la
dolcezza della pace, andò a grado a grado elevandosi in potenza, assorben­
do in sé, senza opposizione alcuna, l'autorità del senato, dei magistrati, delle
leggi (trad. di C. Giussani) .

L'adesione al principato augusteo della vecchia classe senatoria


non fu esente da critiche e costantemente venata di rimpianto per i
privilegi perduti. La voce degli avversari più decisi di Ottaviano fu
messa in vario modo a tacere in età augustea, ma essa ha lasciato un
segno per noi vivissimo in Tacito che fu capace di riassumerne, a cir­
ca un secolo di distanza, la drammatica sostanza e complessità. La
natura del principato inaugurato da Augusto fu uno dei temi centrali
della sua riflessione storica. Non che egli negasse l'inevitabilità di
quanto era accaduto: nel prologo delle Historiae, egli riconosce come
dato assiomatico la necessità che la suprema autorità dello stato do­
vesse passare nelle mani di uno solo pur di restituire a Roma pace e
stabilità. Tuttavia, nel modo in cui, nel breve excursus degli Annali,
egli racconta come dopo Azio Augusto s'impossessò del potere e im­
pose la coercizione nei modi della legalità è implicita una sofferta cri­
tica verso colui che, avallato dalla Legge e dallo Stato, soffocò le ri­
valità, controllò e modificò gli organi di governo, seppe incanalare a
suo favore il clientelismo sfuggendo a ogni limitazione democratica
del potere. La descrizione della progressiva centralità politica assunta
da Ottaviano nello stato è infatti impostata sul contrasto fra forma e
sostanza: princeps era il nome, imperium il fatto. Stile e tecnica sotto­
lineano i sentimenti dello scrittore. Concisione, rapidità e sapienti
omissioni cooperano a riprodurre un quadro storico della cui veridi­
cità storica si fa fatica a dubitare. Evitando ogni terminologia costitu­
zionale e sorvolando sugli stadi inte1111edi attraverso cui lentamente
Augusto giunse infine a cumulare in sé imperium proconsulare e tri­
bunicia potestas, egli insiste piuttosto sulla simulata moderazione di
Augusto mentre ingrandiva smisurata111ente il proprio potere usur­
pando le funzioni del senato, dei magistrati, delle leggi. Si può sen­
z'altro criticare Tacito per mancanza di chiarezza o intenzionale tra­
scuratezza nella definizione costituzionale del principato. La sua ana­
lisi, però, riflette adeguatamente il vero processo storico che fu, in
192 LE FONTI LE'f"f'ERARIE

definitiva, quello di un consolida111ento del potere, qualunque siano


stati i nomi o le forme usate a tale scopo. •

5.8. Dione Crisostomo

[ 1 ] <l>ixcr[ 7t0TE 'AÀÉ;ixvÙpov �LO)"ÉVe:L cruµ�ocÀe:Lv OÙ 7tOCVU TL crxoÀoc�OVTIX


7tOÀÀ�V OC)" OVTL crxoÀ+iv. fiv yocp 6 µè:v �IXcrLÀe:Ùc; Mocxe:ù6vwv Te: XOCL ocÀÀWV
7tOÀÀwv, 6 ùè: cpuyocc; è:x � LVW7tl)c;. TOCUTIX ùè: ÀÉyoucrL xocì ypoccpoucrL 7toÀÀol, TÒv
'AÀé:;ixvùpov oùx �TTOV Oixuµoc�OVTe:c; XIXL È:7tlXLVOUVTe:c;, OTL TOcrOUT<ùV ocpxwv
XIXL TWV TOTE µé:yLcrTOV Ù•J vocµe:voc; oùx U7te:pe:wpix 7tÉV1)TOc; ocvOpw7tOU cruvoucrlixv
VOUV EXOVTOc; XIXL Ùuvixµé:vou xixpTe:pe:'Lv. [2] (J [ yocp OCVTp<ù7tOL xixlpoucrL cpucre:L
7tOCVTe:c; TLµwµÉ\ll)V opwvTe:c; cppOVl)(JLV U7tÒ T�c; µe:ylcrTl)c; è:çoucrlixc; Te: XOCL Ùuvoc­
µe:wc;, wcrTe: où µo\IOV TtXÀl)O� ÙLl))"OUVTOCL 7te:pì TWV TOLOUTWV, OCÀÀOC XOCL OCÙTOL
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'l'POVLµwv,
oTov xp+iµocTOC XIXL TLµocc; XOCL T�V TOU crwµocToc; ùuvixµLv, 07twc; ÙLOC µ6Vl)\I
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uoc,wcrL TLµixcr�ocL 'rl)V c,, u ve:crLv. [3] wc; oe: e:Lxoc; e:xe:LvoLc; ye:ve:crvixL
' ' C\ Tl)V ;uvou-
crlocv vuv e:'i'. 7toLµ' &v, È:7te:LÙ� XOCL Tuyxocvoµe:v crxoÀY-iv ocyovTe:c; OC7tÒ TWV OCÀÀ<ù\I
1tpocyµocTwv (Sulla regalità IV, 1 -3 ) .

Trad. : [ 1 ] Si racconta che una volta Alessandro s'incontrò con Diogene;


il primo era tutto preso dai suoi impegni, mentre il secondo aveva a di­
sposizione tutto il tempo che voleva: l'uno infatti era re dei Macedoni e di
molti altri popoli, l'altro era esule da Sinope. Molti parlano e scrivono di
quest'incontro, ricavandone motivo di grande ammirazione e lode per Ales­
sandro il quale, pur essendo a capo di tanti popoli e l'uomo più potente di
allora, non avrebbe sdegnato la compagnia di un uomo povero ma intelli­
gente e capace di sopportare le sventure. [2] Infatti gli uomini amano tutti
naturalmente di vedere onorata l'intelligenza dal potere più forte che ci sia,
al punto che non solo raccontano in proposito le cose realmente accadute,
ma se ne inventano da sé con varie esagerazioni, togliendo anche ai saggi
tutto ciò che non appartiene alla loro saggezza, come la ricchezza e gli onori
e la forza del corpo, affinché risulti che sono onorati soltanto in grazia del
loro intelletto. [3 ] lo intendo invece esporre come è verosimile che sia awe­
nuto questo loro incontro, dal momento che mi trovo ad essere libero da
ogni altro impegno (trad. di P. Desideri) .

Mentre alcuni studiosi hanno creduto che anche questo quarto


discorso Sulla regalità fosse indirizzato a Traiano, è più probabile che
appartenga a un periodo precedente. Il suo contenuto ass11111e un va­
lore e un significato davvero perspicui se si riconduce al clima del­
l'opposizione a Domiziano e al periodo dell'esilio di Dione. A questo
alluderebbero la precisazione che Diogene, sotto la cui figura si cela
lo stesso autore, era esule da Sinope e il riferimento, nell'ultima parte
del brano, al suo essere <<libero da ogni altro impegno>>. In tal senso,
il quarto Sulla regalità sarebbe il più antico dei quattro che portano
questo titolo. Esso si configura come una ricostruzione <<verosimile>>
del celebre incontro fra Alessandro e Diogene. Mentre quella storia
era di solito portata ad esempio della magnanimità del sovrano mace­
done, Dione rovescia nel prosieguo del discorso tale impostazione.
LE FON'l.l LETIERARIE 193

L'incontro non è la prova della generosa disponibilità di colui che


detiene il massimo potere politico a dialogare e tenere in considera­
zione i filosofi e gli intellettuali, bensì dell'intrinseca incertezza in cui
rimane il sovrano finché non abbia ricevuto il riconoscimento morale
del proprio potere da parte del :filosofo. Il tema centrale, dunque, è
l'esaltazione del ruolo dell'intellettuale in quanto l'unico a poter ga­
rantire l'accettazione della regalità, riconoscendo la natura divina dei
,·eri re (essi discendono da Zeus, ma solo i veri :filosofi sanno ricono­
scere il segno caratteristico della divinità impresso nei loro animi) e
guidandone l'azione di governo con una diretta azione pedagogica,
che ha la capacità di rendere temperante e moderato un potere di
per sé assoluto. Il discorso è, in tal modo, una stringente parafrasi
dell'azione svolta dalle classi colte greche nel processo di legittima­
zione del potere imperiale romano, cui fornirono una potente base
ideologica.

5.9. Cassio Dione e Agostino

,,.� EVEX.IX x.ixt 'l)wµix[ouc; 7tiiVTIXç 't'OÙc; Èv T?j ocpx:n IX'j't'OU, Àoyy µè:v TLµwv,
"' �\ I ..., \ I � \ \ \ ?::' I
::;;-ry OE 07twc; 7t/\ELW IX'JTY X.IXL EX 't'O\J 't'OLO\JTO'J 7tpOcrL 7l OLIX '!O 't'O\Jc; c.., E VO\Jç '!IX
ti Ì ' ) ...., I \

-::r,ÀÀ� ix•jTwv µ� cruvTEÀELv, oc7tÉÒsLé;sv) (Cassio Dione, Storia Romana


LXX V III, 9,5 ) .

Trad. : Questa fu la ragione per cui rese tutti gli abitanti del suo impero
cittadini romani; fo1111almente era per onorarli, ma di fatto era per incre­
mentare le entrate dello stato con questo mezzo, dal momento che i pere­
grini non erano tenuti a pagare la maggior parte di queste tasse (scii. le
imposte di successione e le tasse sugli affrancamenti di schiavi, di cui aveva
raddoppiato le quote) .

praesertim si mox fieret, quod postea gratissime atque h11111anissime


fact111n est, ut omnes ad Roman11111 imperi11111 pertinentes societatem
acciperent civitatis et Romani cives essent, ac sic esset omni111n, quod
erat ante paucorum; tantu111 quod plebs illa, quae suos agros non ha­
beret, de publico viveret; qui pastus eius per bonos administratores
rei publicae gratius a concordibus praestaretur qua111 victis extorque­
retur (Agostino, La città di Dio V, 17, 1).

Trad. : Soprattutto se si fosse compiuto subito ciò che si compì in seguito


con un provvedimento di grande benevolenza ed t1111anità, quando cioè tutti
i sudditi dell'impero furono associati a Roma e divennero cittadini romani.
Così il privilegio di pochi poteva diventare di tutti e la plebe, che non aveva
propri terreni, poteva vivere dei beni pubblici. In tal modo dei valenti am­
ministratori avrebbero potuto prelevare i mezzi di sostentamento dello stato
da alleati concordi, più facilmente che estorcendoli con violenza dai popoli
Vlfltl.
• •

Il gesto più c]a111oroso di Caracalla, fra il 2 12 e il 2 14, fu l'ema­


nazione di un decreto che estendeva la cittadinanza romana a tutti i
194 LE FONTI LETTERARIE

provinciali dell'impero, eccettuati i dediticii, presumibilmente gruppi


etnici non urbanizzati né romanizzati e comunità viventi ancora allo
stato tribale. Il prowedimento, noto direttamente soltanto attraverso
la testimonianza di un papiro egiziano (P Giessen 40, 1 , 7-9: <<Do la
cittadinanza romana a tutti i peregrini che abitano l'ecumene, conser­
vando il diritto delle città, con l'eccezione dei dediticii>>), rappresentò
il punto di arrivo della politica filoprovinciale già awiata da Settimio
Severo e costituì, in un certo senso, il riconoscimento di uno stato di
fatto già operante, essendo or111ai le province equiparate all'Italia a
tutti i livelli. Benché Cassio Dione, in opposizione al regime dei Se­
veri, insinui nella sua opera che l'unico movente di Caracalla era sta­
to il gretto desiderio di allargare le entrate fiscali aumentando il nu­
mero dei contribuenti, altre fonti riconobbero al prowedimento l'im­
portanza che di fatto ebbe. Esso veniva incontro agli auspici dei giu­
risti del tempo, secondo quanto confe1111a Ulpiano (Libri sull'Editto
XXII = Digesto I, 5, 17) e per i provinciali rappresentò un impor­
tante riconoscimento sociale, come nel IV secolo ebbe a riconoscere
il vescovo d'Ippona Agostino.

5 . 1 O. La Storia Augusta e Erodiano


[2 , 1] Et in prima quidem pueritia fuit pastor, nonnum(quam)


etiam procer et qui latronibus insidiaretur et suos ab incursionibus
vindicaret. [2] Prima stipendia equestria huic fuere. Erat enim ma­
gnitudine corporis conspicuus, virtute inter omnes milites clarus, for­
ma virili decorus, ferus moribus, asper, superbus, contemptor, saepe
tamen iustus. [3 ] Innotescendi sub Severo imperatore prima haec
fuit causa: [4] natali Getae, filii minoris, Severus militares dabat lu­
dos propositis praemiis argenteis, id est armillis, torquibus et balteo­
lis. [5] Hic adulescens et semibarbarus et vix adhuc Latinae linguae,
prope Thraecica imperatorem publice petit, ut sibi daret licentiam
contendendi cum his, qui iam non mediocri loco militarent. [6] Ma­
gnitudinem corporis Severus miratus primum eum cum lixis conpo­
suit, sed fortissimis quibus, ne disciplinam militarem conrumperet.
[7] Tunc Maximinus sedecim lixas uno sudore devicit sedecim acce­
ptis praemiis minusculis non militaribus iussusque militare (Storia
Augusta, I due Massimini 2 , 1 -7).

Trad. : [2 , 1] Nella sua prima fanciullezza fece il pastore, talvolta anche


capeggiando i compagni nell'affrontare i briganti e nel difendere i suoi dalle
loro incursioni. [2] Compì il suo primo servizio militare nella cavalleria. Era
infatti imponente per la sua prestanza fisica, famoso per il suo valore fra
tutti i soldati, bello nel suo aspetto virile, duro nel suo comportamento,
rude, superbo, sprezzante, spesso nondimeno capace di senso di giustizia.
[3] La prima occasione in cui fece parlare di sé sotto l'impero di Severo fu
questa: [4] nel giorno natale del figlio minore Geta, Severo indisse dei gio­
chi militari mettendo in palio come premi oggetti d'argento, quali bracciali,
collane e pendagli da spada. [5] Costui, giovinetto e semibarbaro qual era,
LE FONTI LEITERARIE 195

nonché ancora inesperto nella lingua latina, chiese pubblicamente all'impe­


ratore - parlando praticamente in dialetto tracico - di concedergli il per­
messo di misurarsi con uomini che occupavano gradi militari già elevati. [6]
Severo, colpito dall'imponenza del suo fisico, lo fece cimentare dapprima
con i vivandieri - ma con i più forti fra essi -, non volendo andar contro
alle regole militari. [7] Allora Massimino abbatté di seguito sedici di loro,
guadagnando sedici dei premi minori riservati ai non appartenenti all'eserci­
to, e fu arruolato (trad. di P. Severini) .

[8, 1] �V ÒÉ: 't"lç Èv 1"0 cr't"p1X1"0 �fixE;tµ'ì:voc; ovoµix, 't"Ò µÈv yé:voc; 't"WV ÈvÒo-
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:-:pocr<:pEpoµé:vou ÈxElvou (Erodiano, Storia dell'impero romano dopo Marc'A ure­
!io, VI, 8, 1-3 ) .

Trad. : [8, 1 ] V'era nell'esercito un tale Massimino, nato nell'interno della


Tracia da famiglia in parte barbarica. Si diceva che da fanciullo fosse vissuto
in un villaggio facendo il pastore; da giovane era stato preso nella cavalleria
per la sua eccezionale forza fisica; e poi la fortuna lo aveva fatto a poco a
poco procedere per tutti i gradi della carriera militare, finché gli fu affidato
il comando di un accampamento, e in seguito il governo di una provincia.
[2] A causa dell'esperienza bellica che da ciò risultava, Alessandro aveva
affidato a Massimino il comando di tutte le nuove leve, affinché le adde­
strasse al servizio e le rendesse atte a combattere. Questi adempiva l'incari­
co molto coscienziosamente, e si era guadagnato la simpatia dei soldati, per­
ché non si limitava a insegnar loro ciò che dovevano fare, ma dava per pri­
mo l'esempio in ogni cosa: sicché essi non erano soltanto suoi allievi, ma si
sentivano imitatori ed emuli del suo valore. [3 ] Egli inoltre si procacciava la
loro simpatia con premi e con promozioni. Pertanto i giovani, fra cui erano
in maggioranza i Pannoni, ammiravano il valore di Massimino e schernivano
Alessandro perché dominato dalla madre; dicevano che il governo era di­
retto dall'arbitrio di una donna, e che egli si comportava, nei riguardi della
guerra, da vile e da incapace (trad. di F. Cassala).

L'origine dell'imperatore Massimino (235-23 8) è stato uno tra i


problemi più discussi dalla critica, a causa soprattutto della natura
delle fonti che ne parlano. Erodiano, contemporaneo dell'imperatore,
196 LE FONTI LE'J"J'ERARIE

lo diceva nato in un villaggio all'interno della Tracia, da fa111iglia in


parte barbarica. L'espressione dovrebbe spiegarsi tenendo conto di
quanto lo stesso autore ricorda altrove, allorché sosteneva che Massi­
mino era stato eletto <<da Pannoni e barbari della Tracia>> (VIII, 6, 1),
riferendosi col termine barbari a soldati dell'esercito romano prove­
nienti dalla Tracia. Alla fine del IV secolo, l'Epitome de Caesa._ribus lo
denominava esplicitamente Iulius Maximinus Thrax (25 , 1 ) . E la Hi­
storia Augusta, invece, ad accreditargli con sicurezza un'origine semi­
barbara: pur mantenendone la provenienza de vico Threiciae, infatti,
essa parla di un padre goto, Micca, e una madre alana, Hababa. Se la
notizia fosse vera, dovremmo pensare a una precoce penetrazione
germanica nel mondo romano. Non è improbabile, tuttavia, che l'i­
gnoto autore della Historia Augusta in questo come in molti altri casi
abbia inventato di sana pianta i particolari che fornisce. La tenden­
ziosità del racconto, nella descrizione della vita di Massimino il Trace
e del figlio omonimo associato da lui alla guida dell'impero, aveva
infatti profonde motivazioni ideologiche. Quell'imperatore prove­
niente da regioni periferiche dell'impero, giunto ai vertici del potere
partendo dai gradi inferiori della gerarchia militare, rappresentava
per gli autori della Historia Augusta l'ideale negativo per eccellenza
di imperatore, quello su cui il senato sarebbe stato sempre totalmen­
te inabile a esercitare qualunque tipo di controllo o ascendente. Ac­
clamato dalle truppe, in tre anni di regno, Massimino non si recò a
Roma neppure un giorno, dimostrando così come fosse ormai inutile
mantenere anche solo la finzione di un presunto governo compro­
missorio fra principe e senato. Ed egli fu il primo a compiere un
gesto tanto provocatorio. Conoscendo, dunque, i motivi della forte
ostilità della fonte tarda verso questo imperatore, sarà opportuno ser­
virsene con cautela, confrontandola con tutte le altre testimonianze
disponibili.

5 . 1 1 . Simmaco e Ammiano

[3 ] alii triumphis suis haec dona servassent, ut posita lauro novis


actoribus personarent Pompeiana proscaenia, ut pro captivis tetrar­
chis Indicae currum beluae praevenirent, ut equor11111 longus ordo in­
star gentiu111 duceretur: vester triumphus Arsacidas post tergum re­
vinctos et gazas victae Babylonis accipiet. In magnos quippe animos
non cadit adfectata iactatio, nescitis tribuenda differre; quidquid na­
tionum famulatus obtulerit, statim publicum est (Simmaco, Relazioni
9, 3 ).

Trad. : [3] Altri avrebbero riservato questi doni ai loro trionfi: per anima­
re, dopo la deposizione dell'alloro, le scene del teatro di Pompeo degli atto­
ri più in voga, per fare precedere il carro trionfale da fiere indiane in so­
stituzione dei re vinti e fare sfilare una lunga schiera di cavalli al posto delle
popolazioni sottomesse. Invece, il vostro trionfo esibirà gli Arsacidi con le
mani legate dietro la schiena e i tesori di Babilonia conquistata. Negli spiriti
LE FONTI LEITERARIE 197

magnanimi non v'è posto infatti per ignobili ostentazioni. Voi non siete ca­
paci di fare attendere i vostri doni; tutto ciò che danno i popoli sottomessi
diventa subito proprietà comune (trad. di D. Vera) .

[10,1] Haec d111n per eoas partes et Gallias pro captu tempor11111
disponuntur, Constantius quasi eluso Iani templo stratisque hostibus
cunctis, Romam uisere gestiebat, post Magnenti exiti11111 absque no­
mine ex sanguine Romano triumphaturus [ ... ]
[4] Vt igitur multa quaeque cons11111pta sunt in apparatu regio,
pro meritis cuilibet munera reddita, secunda Orfiti praefectura,
uanscurso Ocriculo, elatus honoribus magnis stipatusque agminibus
for111idandis, tamqua111 acie ducebatur instructa, omni11111 oculis in
e11111 contuitu pertinaci intentis. [5] Cumque urbi propinquaret, se­
natus officia reuerendasque patriciae stirpis effigies ore sereno con­
templans, non ut Cineas ille Pyrrhi legatus, in un11111 coactam multi­
tudinem regum, sed asylum mundi totius adesse existimabat. [6]
Vnde cum se uertisset ad plebem, stupebat qua celebritate omne
quod ubique est hominum genus confluxerit Romam. Et ta111 qua111
Euphraten a1111orum specie territurus aut Rhen11111, altrinsecus
praeeuntibus signis, insidebat aureo solus ipse carpente, fulgenti cla­
ritudine lapidum uariorum, quo micante lux quaeda111 misceri uide­
batur alterna. [7] Eumque post antegressos multiplices alios, purpu­
reis subtegminibus texti circ111ndedere dracones, hastarum aureis
gemmatisque s111nmitatibus inligati, hiatu uasto perflabiles, et ideo
uelut ira perciti sibilantes caudar11111que uol11111ina relinquentes in
uentum (Ammiano, Le Storie XVI , 10, 1 ; 4-7).

Trad. : [ 10,1] Mentre nelle regioni orientali e nelle Gallie si disponevano


questi provvedimenti, richiesti dalla situazione, Costanzo, come se il tempio
di Giano fosse stato chiuso e tutti i nemici annientati, desiderava ardente­
mente visitare Roma, con l'intenzione, senza averne diritto, di celebrare il
trionfo sul sangue romano dopo la morte di Magnenzio ...
[4] Dunque, dopo che furono spesi molti denari per il corteo imperiale
e ciascuno fu ricompensato secondo i suoi meriti, durante la seconda pre­
fettura di Orfito, Costanzo attraversò Otricoli, ed esaltato con grandi onori,
circondato da temibili schiere in armi, avanzava accompagnato dall'esercito
schierato quasi in ordine di battaglia, mentre gli occhi di tutti si fissavano su
di lui con insistente attenzione. [5] Avvicinandosi alla città, contemplava
con espressione tranquilla gli atti di deferenza del senato e le venerabili im­
magini delle famiglie patrizie, e non pensava, come il famoso Cinea, amba­
sciatore di Pirro, di trovarsi alla presenza di un gran numero di re riunitisi
insieme, ma nel luogo che offre ricetto sicuro al mondo intero. [6] Quindi,
volgendo lo sguardo verso il popolo, si meravigliava di vedere con quale
prontezza uomini di ogni parte del mondo fossero confluiti a Roma. E,
come se stesse per atterrire con lo splendore delle a1111i l'Eufrate o il Reno,
preceduto da una parte e dall'altra dalle insegne, sedeva da solo su un car­
pento d'oro, sfolgorante per lo splendore di diverse pietre preziose, al cui
scintillio pareva si levassero insieme guizzi di luce e di diversa intensità. [7]
Lo precedevano n11111erosi reparti e lo circondavano dragoni, tessuti con fili
di porpora, legati alla punta coperta d'oro e di gemme delle aste, sibilanti
198 LE FONTI LETTERARIE

come in preda all'ira per l'aria che attraversava loro la gola e con le grandi
code ondeggianti al vento (trad. di M. Caltabiano).
'

E questo uno dei casi non rari in cui il testo di Ammiano chiari-
sce velati riferimenti di Simmaco, migliorandone la comprensione.
J;incipit della lettera del prefetto urbano all'imperatore Teodosio è
giocato su due motivi complementari: la generosità di Teodosio, che
ha offerto a Roma dei doni che altri imperatori avrebbero conservato
per i propri trionfi; la grandezza del trionfo che Teodosio potrà esibi­
re dopo aver realmente sconfitto i Persiani, mentre molti imperatori
hanno celebrato falsi trionfi, facendo sfilare elefanti e cavalli al posto
dei re vinti e dei prigionieri incatenati. Il tema del falso trionfo, con­
giunto qui a quello della magnanimità di Teodosio verso la c�pitale,
non è di per sé essenziale ai fini encomiastici della Relazione. E dun­
que supponibile che Simmaco, mentre esaltava l'attuale imperatore,
volesse nel contempo colpire un sovrano che nella memoria dej citta­
dini e del senato aveva lasciato un ricordo del tutto negativo. E stato
suggerito di trovare nella celebre descrizione dell'ingresso di Costan­
zo II a Roma nel 357, così come trarnandata da Ammiano, la via per
comprendere l'oscuro riferimento di Simmaco. Lo storico antioche­
no, che nel 357 si trovava in Gallia, per il racconto della venuta a
Roma di Costanzo II dovette basarsi su informazioni colte in loco,
presumibilmente fra i circoli dell'aristocrazia senatoria ancora pagani
e particolarmente ostili verso quell'imperatore cristiano che, per l' oc­
casione, aveva fatto rimuovere l'ara della Vittoria dalla curia. Sono
due, infatti, le accuse che Ammiano rivolge a Costanzo: il trionfo che
egli aveva voluto celebrare a Roma era ingiustificato, non avendo ri­
portato vittorie su nemici esterni; inoltre, il fasto eccessivo della
pompa trionfale, lo splendore degli stendardi e delle ar111 ature dei
soldati, l'atteggiamento ieratico dell'imperatore che sottolineava alcu­
ne sue prese di posizione decisamente autocratiche, anziché impres­
sionare il popolo lo avevano profonda111 ente infastidito. Sia Ammiano
sia Simmaco, tuttavia, sono ben lungi dal trasmettere l'impressione
�sercitata sul popolo dall'imperatore proveniente da Costantinopoli.
E viceversa sicuro che il tema di un certo esibizionismo dei trionfi
imperiali, offensivo delle tradizioni repubblicane di cui l'aristocrazia
senatoria del IV secolo si faceva strenua propugnatrice, fosse oggetto
di dibattito nei circoli senatori di Roma, come mostra anche il lungo
passo della Historia Augusta sull'istrionesco trionfo celebrato dal
malvagio Galliena (Vita di Galliena 8-9).

5. 12. Eusebio

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LE FONTI LETIERARIE 199

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-;:cxpEcrxE•J cxcrµÉvotç 7toptE!:-rcxt -r�v è:v-:-Euçtv ( Vita di Costantino I, 10, 1 -2; 4 ) .

Trad. : [ 10, 1 ] Quanto a me, sebbene mi riesca difficile trovare le espres­


sioni adeguate per parlare della santa vita di Costantino, tanto che tacere
sarebbe senz'altro più sicuro e privo di pericoli, tuttavia reputo necessario
dedicare alla memoria di quell'uomo caro a Dio, ad imitazione dell'umana
arte pittorica, il ritratto che di lui si può tracciare con l'ausilio delle parole:
potrò così evitare l'accusa di ignavia e di pigrizia [ .. ] .

[2 ] del resto, non ci si dovrebbe vergognare del fatto che mentre Nero­
ne e altri empì e sciagurati tiranni, anche di gran lunga peggiori dello stesso
Nerone, ebbero la ventura di essere ricordati da scrittori solerti, che abbelli­
rono con l'eleganza dello stile una sostanza di fatti scellerati, affidandola ad
una quantità enorme di libri di storia, noi invece taciamo, proprio noi ai
quali Dio ha concesso l'onore di imbatterci in un imperatore tale, quale nes­
suna altra epoca ne vantò mai uno simile, ed acconsentì di vederlo, di cono­
scerlo e di frequentarlo? [ . . . ]
[4] Il mio stile, anche se è inadeguato di fronte alla grandezza della ma­
teria di cui mi accingo a scrivere, tuttavia brillerebbe ugualmente anche gra­
zie alla pura e semplice esposizione delle virtuose imprese, e non c'è dubbio
che il ricordo degli eventi cari a Dio renderà la lettura non già inutile, ma
di grande vantaggio a quanti hanno l'anima ben disposta (trad. di L. Tarta­
glia) .

Al centro della teologia politica elaborata: da Eusebio, e destinata


a trasmettersi nella cultura cristiana occidentale fino e oltre il Me­
dioevo, la figura di Costantino assunse una rilevanza eccezionale, es­
sendo stato il primo imperatore a liberare la Chiesa dalla minaccia
costante di persecuzioni e ad assumere, dopo l'accordo di Milano,
una serie di iniziative tendenti a privilegiare le comunità dei cristiani,
pur nell'ambito di un formale rispetto per la religione pagana tuttora
unica religione ufficiale di stato. Costantino decise l'immunità fiscale
ai chierici (un provvedimento che minacciò di divenire gravoso per
l'erario, tanto che si dovette in seguito abolire) , il ricorso al tribunale
del vescovo per questioni che riguardassero membri cristiani della
comunità, se vi fosse il consenso delle due parti in causa, la conces­
sione di altri benefici come la gratuità del trasporto per le gerarchie
ecclesiastiche, equiparate in ciò all'alta burocrazia statale. Seguendo
l'esempio dello stesso Costantino e di sua madre Elena, ben presto
molti membri della corte e dell'aristocrazia convertitasi al cristianesi­
mo incrementarono con cospicue donazioni il patrimonio della Chie­
sa, sollecitata in tal modo a modificare rapidamente le posizioni di
maggiore ostilità verso lo stato. Il gesto di Costantino a ragione, dun-
200 LE f'ONTI LE'l"l'ERARIE

que, fu considerato epocale da Eusebio che, oltre a n11111erose opere


in lode di Costantino, tentò anche di comporne una Vita. Essa dove­
va in certo senso applicare i canoni della nascente agiografia cristiana
al genere di lunga tradizione della biografi.a imperiale. Il tentativo,
però, si risolse in un esperimento isolato. Se Eusebio volle fare della
vita del primo imperatore cristiano una sorta di icona, che i succes­
sori avrebbero dovuto assumere a modello, nessun altro autore dopo
di lui riuscì a fare lo stesso. Dovette risultare estremamente difficile,
infatti, descrivere le gesta regali senza raccontarne gli <<scontri, i con­
flitti armati, i trofei conquistati contro i nemici e i trionfi ottenuti
[ . ] gli ordinamenti legislativi e le riforme a vantaggio dei sudditi>>:
. .

questi gli argomenti programmaticamente esclusi da Eusebio dalla


sua Vita di Costantino, che doveva essere concentrata unicamente su­
gli atti pii dell'uomo. Accertata dopo Eusebio l'impossibilità di uti­
lizzare per un imperatore i canoni sperimentati per i santi dalla na­
scente agiografi.a, la celebrazione imperiale continuò nel tardo impero
con la panegiristica ufficiale, che infatti conobbe una forte ripresa so­
prattutto negli a111bienti delle scuole di retorica della Gallia. I cri­
stiani, invece, preferirono occuparsi dei propri martiri e santi, inau­
gurando un genere di grande fortuna. Pur sfruttando in parte il mo­
dello inaugurato dalla biografia ellenistica dell'uomo <<divino>>, esso
riuscì a proporsi come tipo del tutto nuovo di biografi.a, capace di
trovare il proprio pubblico a un livello vastissimo di lettori, dai sofi­
sticati aristocratici della capitale agli 11111ili e incolti monaci del de­
serto.

5. 1 3. Zos imo

[29' 1] n e:pLcrTiicr'Y]c; Sè: TY,c; 7tiicr"f]c; e:Lc; µ6vov KwvcrTOCV'TLVOV ocpx.Y,c;, oÙxÉ:TL
Ò \ \ \ ,I_ I ' - ' - I L\ >I ' ÒÒ \ ' 'i:' l 'i:' -
/\OL7t0V 'T"f]V XOC'TOC 't'UcrLV e:voucrocv OCUTCf> XOCXOY)VELOCV e:xpU7t'TEV, OC/\/\OC e:ve:oLoOU 'TCf>
xocT ' è:i;oucrlocv OC7tOCVTOC 7tpiiTTe:Lv · È:x_pY,To Sè: È'.TL xoct TOLç 7tOCT ploLc; [e:poLc;, o•J
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ocvocLpe:TLxY,v e:TvocL T"ÌìV Twv XpLcrTLavwv SLe:�e:�aLwcraTo ò61;av xoct TOUTO itx_e:Lv
È:7tiiyye:Àµa, TÒ TOÙç occre:�e:Lç µe:TaÀaµ�iiVOVTOCç OCÙTY,c; 7tiicr'Y]c; ocµapTLIXç zi;w
LE FONTI LE'J"J'ERARIE 201

;-;ocpoczp�µoc xocS(crToccrSoc�. [ 4] LlE!;ocµÉvou Sè: p�crTot TOÙ KwvcrTotvT(vou TÒv


Àoyov xoct occpEµÉvou µè:v TWV 7totTp(wv, µETotcrzovToi; Sè: �V 6 A tyunT�oi; otÙT�
;_i.E7E3(3ou (Storia nuova II, 29, 1 -4 ) .

Trad. : [29 , 1 ] Tutto il potere era nelle mani del solo Costantino, che or­
mai non poté più celare la sua natura malvagia, ma si abbandonò ad ogni
sorta di licenze.
Celebrava ancora le cerimonie tradizionali, non per ossequio, ma per
utilità; per lo stesso motivo dava ascolto anche agli indovini che (i fatti lo
hanno dimostrato) avevano previsto esattamente tutti i suoi successi.
Giunto a Roma pieno di arroganza, pensò di dover dare prova di empie­
tà incominciando ad esercitarla sulla sua famiglia. [2] Sospettava infatti che
il figlio Crispo, elevato, come ho detto, alla dignità di Cesare, avesse una
relazione con la matrigna Fausta: perciò lo uccise, senza curarsi delle leggi
naturali.
Elena, la madre di Costantino, si indignò per un simile gesto e non tol­
lerò l'assassinio del giovane; allora Costantino, quasi per consolarla, cercò di
rimediare al male commesso con un male più grande ancora. Infatti ordinò
di riscaldare un bagno oltre la temperatura normale, vi immerse Fausta e la
tirò fuori quando ormai era cadavere.
[3] Consapevole di avere commesso dei crimini e di non avere rispetta­
to i giuramenti, si presentò ai sacerdoti, chiedendo loro sacrifici espiatori
per le sue colpe; ma essi risposero che nessuna purificazione avrebbe potuto
cancellare simili empietà.
Intanto un egiziano giunto a Roma dalla Spagna era entrato in familiari­
tà con le donne di corte; incontratosi con Costantino gli assicurò che la reli­
gione cristiana annullava qualsiasi colpa e prometteva agli empi che la prati­
cavano di liberarli subito da ogni peccato.
[4] Costantino fu ben lieto di accogliere le sue parole: trascurò i riti
tradizionali per partecipare, invece, a quelli consigliati dall'egiziano (trad. di
F. Conca).

Il capitolo 29 del II libro della Storia Nuova di Zosimo segna un


ca111 bia111ento decisivo nell' atteggia111ento dello storico verso Costanti­
no. Presentato in precedenza come un grande condottiero, superiore
a Massenzio e a Licinio per coraggio e abilità strategica, capace di
atti di benevolenza e umanità come quello manifestato in aiuto del
principe persiano Orsmida (II, 27), a partire dalla narrazione degli
avvenimenti del 326, egli è demonizzato quasi fosse un principe del
male. Fatti assassinare prima il figlio Crispo, poi la moglie Fausta,
secondo Zosimo Costantino avrebbe scelto di abbracciare la religione
cristiana solo per la promessa ricevuta dai suoi sacerdoti che ogni sua
colpa sarebbe stata annullata. Nel tentativo, dunque, di propaganda­
re l'idea di un cristianesimo corruttore dei costumi e della società,
diventa inevitabile per Zosimo descrivere la politica di Costantino
<<convertito>> all'insegna della corruzione e del progressivo sfacelo po­
litico a111ministrativo dello stato. Lo stesso, del resto, farà con Teodo­
sio I accusato, alla stregua del primo imperatore che aveva tollerato
la religione cristiana, di essere sleale, di avere sperperato il denaro
pubblico, di aver sovvertito gli ordina111enti dello stato, indebolito
202 LE FONTI LE'J"I'ERARIE

· l'esercito, sguarnito i confini dell'impero. In essi si identifica sostan­


zialmente l'immagine del principe malvagio descritto in I, 5 , 2-4: tale
è colui che si trasforma in tiranno <<sconvolgendo le magistrature, tol­
lerando i crimini, barattando il diritto con il denaro, considerando
servi i suoi sudditi>>. La rovina di Roma, progressiva fino alla sua ca­
duta in mano ai barbari di Alarico, era iniziata per il pagano Zosimo
con Costantino, allorché cioè il cristianesimo aveva cominciato a
'

scardinare i culti ancestrali di Roma. E evidente il capovolgimento


attuato da tale prospettiva rispetto alla storiografia cristiana, per la
quale la storia dell'impero coincideva con la vicenda storica della sal­
vezza: come la sua creazione, nel provvidenziale sincronismo Augu­
sto-Cristo, ne rappresentava il punto di partenza, così il regno di Co­
stantino coincideva con il raggiungimento della sua perfezione.
Capitolo 4

1 . Culture e scritture nella prima età greca: la documentazione in


Lineare B dei Micenei

Arthur J. Evans, scavando a Cnosso il cosiddetto <<palazzo di Mi­


nosse>> a partire dal 1 899, scoprì cumuli di tavolette di argilla con
segni di scrittura, le quali sarebbero state incise quando erano ancora
crude e che solo l'accidentale incendio del palazzo avrebbe sottopo­
sto a cottura (un particolare che lascia un po' perplessi, se si pensa
che l'argilla, per cuocere, richiede lunghi giorni e un fuoco controlla­
to) . L'illustre archeologo poté distinguere sopra un gruppo di esse un
tipo di scrittura geroglifica diversa da quella rilevata sul disco di Pe­
sto, scoperto da L. Pernier e ora al museo di Candia (lraklion) , la
cui decifrazione a tutt'oggi resiste a ogni tentativo; sopra un altro
gruppo rintracciò altri due tipi di scrittura: una che denominò Linea­
re A e un'altra Lineare B, alquanto diversa. Egli capì che su queste
tavolette erano registrati elenchi di oggetti, uomini, animali anche
con l'impiego di <<ideogrammi>> e di segni sillabici (circa 90 per la
Lineare B), alcuni dei quali egli ritrovava nella scrittura cipriota, di
tipo sillabico, già decifrata da M. Schmidt. Evans pubblicò solo una
piccola parte delle tavolette in Lineare A e B rinvenute a Cnosso: il
grosso del materiale, anche se da lui trascritto, vide la luce solo nel
1952 , per merito di J.L. Myres. Mentre la Lineare A è pressoché
ignota fuori di Creta (attestata negli strati di distruzione del <<primo
palazzo>> di Festo e specie in quelli del <<secondo palazzo>> di Cnosso,
oltre che in alcune isole dell'Egeo e a Troia) , archivi di tavolette in
Lineare B venivano scoperti anche nel continente greco, a Micene,
Tirinto e nel palazzo detto di Nestore a Pylos (Ano Englianos), ac­
canto a iscrizioni dipinte su anfore a staffa a Eleusi, Tebe e Tirinto,
probabilmente importate da Creta.
Tra le due scritture sussistono strette somiglianze per alcuni <<silla ..
bogrammi>>, specie per gruppi di tre e quattro segni, riferibili verosi­
milmente a toponimi o antroponimi. Tuttavia, anche se la Lineare B è
204 LE FONTI EPIGRA!'ICHE GRECHE

stata una filiazione della Lineare A (profonda111 ente variata), non sem­
bra lecito applicare automatica111ente gli stessi valori fonetici ai segni
della Lineare A che si ritrovano nella Lineare B. I tentativi di decifra­
zione, soprattutto per la Lineare B, sono stati molteplici. Decisiva fu la
proposta di una <<griglia sillabica>> presentata da Alice Kober e poi per­
fezionata dall'architetto Michael Ventris, il geniale decifratore della Li­
neare B: un'operazione <<medianica>> e quasi divinatrice, che si concretò
in un famoso articolo pubblicato da Ventris, insieme con il linguista J.
Chadwick, in <<]ournal of Hellenic Studies>>, 73 ( 1 953 ), pp. 84-103 .
Ventris morì prematuramente a soli 34 anni, nel 1956, poche settimane
avanti la pubblicazione del suo libro <<canonico>>, Documents in Myce­
naean Greek, Cambridge, 1956 ( 1 9732).
Ventris, dopo vari tentativi sbagliati, come già l'antagonista di A.
Evans, Sir Alan Wace, si era convinto che la Lineare B fosse un silla­
bario, nel quale era registrato un greco arcaico, del 1400 a.C. circa a
Creta, del 1200 in Grecia. Era così eliminata una incognita basilare:
bisognava stabilire il valore fonetico dei segni, che apparivano anche
a gruppi separati (salvo a fine di riga) da lineette verticali, talora da
puntini o da spazio vuoto, e che perciò indicavano <<parole>>. Con­
frontando alcune <<parole>>, incise in senso destrorso, si rilevava l' ag­
giunta di uno o due segni che ritornavano spesso identici, rivelando
che si trattava di una flessione, ora ad esempio al genitivo, ora al
plurale. Purtroppo mancò l'ausilio di qualche iscrizione bilingue,
come la celebre pietra di Rosetta, che presenta il testo greco accanto
a quello egiziano (in caratteri geroglifici) e a quello demotico, e che
consentì a Champollion di avviare la decifrazione della scrittura gero­
glifica; o come la stele bilingue di Karatepe, che fu preziosa a Bossert
per la comprensione delle iscrizioni ittito-geroglifiche. Anche Ventris,
in ogni modo, arrivò a costruire una griglia, in cui dispose in alto, in
senso orizzontale, le cinque vocali del greco e in senso verticale le
consonanti, formando le sillabe corrispondenti. D'altra parte, nei
contesti in Lineare B, subito dopo le <<parole>> (composte di <<sillabo­
grammi>>, che dovevano segnare una vocale isolata o una consonante
+ vocale, ovvero doppie consonanti iniziali con vocale) si notavano
molti ideogra111m i, alcuni <<naturalistici>> facilmente riconoscibili (tri­
pode, vasi di varia forma, carro, ruota, cavallo, suino, uomo/donna),
altri convenzionali (di difficile identificazione) , oltre a segni che indi­
cavano cifre, pesi e misure.
Ventris presentò - a conclusione d'una serie di tentativi, comuni­
cati ad altri studiosi impegnati con la Lineare B, lavorando con si­
stemi combinatori e comparativi e traslitterando le <<parole greche>>
intuite secondo il sistema di un sillabario - una tabella dei segni de­
cifrati, che qui si riproduce a tav. 1 : per certi aspetti essa non poteva
non lasciare stupefatti e ingenerare dubbi. Ma una tavoletta in Linea­
re B, scoperta a Pylos da C.W. Blegen nel 1953 e perciò non ancora
nota a Ventris e Chadwick, parve a tutti confermare la fondamentale
giustezza della decifrazione. Ne diamo l'apografo (ossia il disegno) a
tav. 2, qui di seguito con la traslitterazione in caratteri latini: (lin. 1)
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 205

Ti-ri-po-de Ai-ke-u ke-re-sz-1·0 we-ke (tripode II) , ti-ri-po e-me po-de


o-wo-we (tripode I) - - - /(lin. 2) - di-pa me-zo-e qe-to-ro-we (vaso I) ,
di-pa-e me-zo-e ti-ri-o-we-e (vaso II), di-pa me-wi10 qe-to-ro-we (vaso
I) I (lin. 3 ) di-pa me-wi10 ti-ri10-we (vaso I) , di-pa me-wi10 a-no-we
(vaso I). Eccone il corrispondente rendimento greco e una traduzio­
ne: Tripode Aigeus Kresios (w)erge (due tripodi Egeo cretese fece) ;
Tripous henì podì oi(w)owes (un tripode su un piede con un orec­
chio-ansa); - -/- depas meizon tetrowes (un vaso maggiore a quattro
anse); depae meizoe triowe (due vasi maggiori a tre anse) ; depas
meion tetrowes (un vaso minore a quattro anse)/ depas meion triowes
(un vaso minore a tre anse) ; depas meion anowes (un vaso minore
senza anse) .
Come appare evidente già da questo esempio, restano grosse dif­
ficoltà fonologiche per un'interpretazione univoca. Sappiamo infatti
che p- può rappresentare p- o ph-, analogamente k- può rappresenta-
,

re k-, g-, kh- e così pure t- vale per t- o th-; inoltre l- e r- sono rese
con un'unica serie sillabica. Queste e altre norme del sistema scritto­
rio miceneo fanno sì che i nomi possano avere due o tre interpreta­
zioni, come nel caso del supposto nome proprio Eu-po-ro = EiJJto­
QOç, EiJcpoQoç, EiJJtwÀoç, ovvero di Ti-qa-10 = Ttcpatoç, E>to�atoç,
�'ttÀ�atoç. Comunque si è costituita una disciplina autonoma, la mi­
cenologia, la quale annovera un'enorme bibliografia, lessici e studi
specialistici (anche italiani) . In Italia sono stati organizzati cong1·essi
internazionali per merito di Domenico Musti.
D'altra parte, anche se è vero che i testi di Cnosso e quelli di
Grecia, specie di Pylos, presentano sostanziali concordanze anche per
gli ideogrammi, sussistono tuttavia notevoli differenze paleografiche,
che hanno consentito di distinguere centinaia di mani di scribi.
In questo settore è emersa una eccezionale novità per Cnosso: J.
Driessen ha dimostrato che non esiste <<una unità degli archivi>>, in
quanto si debbono distinguere tavolette più antiche e altre più re­
centi di almeno cento anni. Ancora nel 1990, a Chanià (Ku-do-ni-ja),
sono state scoperte tre tavolette in Lineare B databili con certezza
nel M(inoico) R(ecente) IIIB (tra 1250- 1200 a.C.) e incise dallo stes­
so scriba (nr. 1 15), alla mano del quale vanno ascritte tavolette di
Cnosso. Ne discende che a Cnosso, ancora nel 1250- 1200 a.C., si
scriveva in Lineare B proprio come nel continente greco.
Il protogreco registrato dalla Lineare B è definibile anzitutto
come <<non-dorico>>, comunque connesso con l' <<arcado-ciprioto>>, e
affine a un protoionico/eolico.
Pertanto, l'annientamento dei palazzi micenei di Grecia, con i
loro archivi in Lineare B, va connesso con una fase della cosiddetta
<<invasione dorica>>, che non può concentrarsi ovunque in un anno
preciso, ma dovette procedere lenta, per inevitabili resistenze (altre
motivazioni, come lotte intestine o catastrofi naturali, sismi owero
siccità e carestie sembrano da escludere). Non diversa dovette essere
la causa che portò alla distruzione, in modo del tutto simile, del <<ter­
zo palazzo>> di Cnosso e di quello (presunto) di Chanià. Invasori
206 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

<<dori>> investirono Creta, mentre altri <<colonizzavano>> isole come


Rodi, Cos e Cnido, quasi in competizione con i profughi Ioni e Eoli
che raggiungevano le coste asiatiche.
Ma, per tornare al momento del trapasso dal mondo minoico a
quello miceneo nell'isola di Creta, la precedente distruzione del <<se­
condo palazzo>> a Cnosso, autenticamente minoico, va invece attri­
buita a gruppi di invasori Achei provenienti dalle isole, parlanti un
dialetto del tipo arcado-ciprioto/eolico, sbarcati per razzie e insedia­
tisi quivi (magari approfittando di sconvolgimenti tellurici), rappre­
sentanti di quella potenza <<Ahhijawa>>, che si faceva notare dal re di
Batti (ne troviamo infatti menzione nei documenti ittiti). Prese inizio
così un dominio <<acheo>> a Creta; e i suoi rappresentanti indussero
gli scribi minoici a riformare la scrittura Lineare A, semplificandola,
in quella che sarà la Lineare B, al fine di adattarla in qualche modo
alla natura fonetica del loro <<greco>> e di potere registrare a loro vol­
ta i beni e le scorte afferenti ai palazzi ricostruiti. Poi, verosimilmente
nella seconda metà del XIII secolo a.C., i palazzi micenei di Cnosso
e di Chanià vennero bruciati e distrutti verosimilmente ad opera di
avanguardie <<doriche>> scese precocemente fino al mare e dirette ver­
so le coste asiatiche. Si elimina così la stranezza di un divario di qua­
si due secoli tra la fine della cultura della Lineare B a Creta e quella
<<micenea>> nel continente. Comunque, la sistemazione della cronolo­
gia <<miceneo-minoica>> resta altamente insicura. Difficilmente causa
della distruzione dei palazzi può essere stato un altro fortissimo ter­
remoto o una rivolta degli indigeni do-e-ro (òo'DÀOL <<schiavi>>), gli
Eteocretesi, menzionati in un famoso passo dell'Odissea ( 1 9, 176):
<<C'è in mezzo del mare colore del vino una terra che è Creta, bella e
feconda, lambita in giro dall'acqua; in essa molti uomini, senza fine,
e novanta città; lì una lingua si mescola ad altre; •1i sono Achei, e vi
sono Ete6cretes anime grandi, e Cicloni, e Dori divisi in tre stirpi, e
divini Pelasgi>>. Degli Eteocretesi probabilmente sopravvissero <<isole
linguistiche>> fino in età ellenistica a Praisos e Dreros, come farebbero
pensare iscrizioni in alfabeto greco ma in lingua sconosciuta, forse
quella della Lineare A.
Come si è visto nel caso della tavoletta di Pylos sopra presentata,
i documenti in Lineare B sono schematiche registrazioni, con una
sintassi concisa, di beni vari, con rare indicazioni di personaggi che
gestivano l'economia del <<palazzo>>: nell'archivio di questo erano an­
nualmente o per stagione agraria depositate le tavolette di argilla cru­
da inscritte, le quali sarebbero state verosimilmente riutilizzate, pre­
vio nuovo impasto nel <<laboratorio>> annesso, e che solo in occasione
dell'incendio che distrusse i locali si sarebbero cotte, spesso sgreto­
landosi. Esse, anche se approssimativamente, fanno pensare agli in­
ventari epigrafici di santuari greci come quello di Delo (certo più ar­
ticolati e continui) , o a tavolette come quella scoperta nell'acropoli di
Atene, contenente l'indicazione dei bronzi raccolti dai <<tesorieri>> di
Atena (VI secolo a.C .).
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 207

Comunque, dall 'interpretazione in chiave greca delle migliaia di


tavolette in Lineare B scoperte nei palazzi micenei, sia a Cnosso sia
in Grecia, si sono potuti ricostruire, non senza ricorso a complicate
elaborazioni linguistiche e alla necessaria fantasia storica, aspetti es­
senziali della burocrazia, della società (che conobbe schiavi e vari ar­
tigiani specializzati) , della organizzazione cultuale e del regime della
terra (specie per Pylos) negli stati micenei. <<Burocrati>> operavano in
relazione a un assetto territoriale, del quale costituivano cellule fon­
damentali le ko-to-na (appezzamenti di terra) , trascritte in greco kt6i­
nai (un ter111ine che trova confronto in iscrizioni di Rodi), e il da­
mos, che evoca naturalmente il greco ddmos, ma con una ambivalen­
za di significato, ora come ripartizione territoriale, ora come organo
<<politico>> (che finisce per prevalere). Le supreme autorità del <<re­
gno>> miceneo, accentrato nel palazzo sia a Cnosso sia in Grecia,
sono: wanax (re), lawagetas (capo dell'esercito), damos (popolo) ;
mentre a livello periferico agiscono korete/porokoréte (vice-korete) a
Pylos e qasireu (basileus <<capo, funzionario>>), secondo una struttura
piramidale.
Se per un quadro esauriente si può rimandare alla Guida di
Gianfranco Maddoli ( 1 9923 ), non va taciuto il tentativo di misurare
le distanze e le connessioni tra <<struttura palaziale>> e <<aristocrazia>>
nell'alto arcaismo, promosso da Domenico Musti ( 1 985 ).

2. La scrittura alfabetica dei Greci: origine e sviluppo

La distruzione dei palazzi micenei in Grecia e a Cnosso, con i


relativi archivi di tavolette in Lineare B di cui si è parlato, fu presu­
mibilmente opera, in anni diversi, di bande ben armate di Greci che
parlavano il dialetto <<dorico>>: questo - pur sempre estrema111ente si­
mile ai due altri dialetti (arcado-ciprioto-eolico e ionico) attribuibili
ai Micenei in una fase ancora non diversificata - coesisteva nell'area
periferica al nord della Grecia. <<L'arrivo dei Dori, archeologica111ente
parlando, è un non-evento>>, rimanendo costoro nella cultura mate­
riale <<totalmente invisibili . . . per la semplice ragione che . . . erano
stati presenti . . . in Grecia lungo il periodo miceneo>> (Chadwick).
Adesso gruppi agguerriti di Dori non si appagavano più di restare
isolati, e <<lasciando Erineo ventosa (arrivarono) all'ampia terra di Pe­
lope>>: così ha cantato il poeta Tirteo (F Gr Hist 580 F 2), dichia­
rando che alla base della storia di Sparta stava la conquista dorica
del Peloponneso ad opera dei discendenti del dio Eracle, gli Eraclidi.
Questi Dori, anzi, <<nell'ottantesimo anno (dopo Troia) con gli Era­
clidi occuparono il Peloponneso>> (Tucidide 1 , 12, 3 ). Gli Eraclidi,
<<prima respinti da tutti i Greci, presso i quali avevano cercato un
rifugio dalla schiavitù dei Micenei>>, sarebbero stati accolti dagli Ate­
niesi (Erodoto 9, 27, 2). Sono echi frastagliati di una tradizione, che
pur partendo dalla cronologia della caduta di Troia (intorno al 1200
a.C.), voleva spiegare l'estraneità dell'Attica al dorismo e serbava me-
208 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

moria di una soggezione <<dorica>> ai Micenei (che non erano natu­


ralmente quelli dei palazzi principeschi). In seguito a questa <<invasio­
ne dorica>>, che annientò la cultura anche scrittoria dei palazzi mice­
nei, la Grecia sarebbe piombata nell'analfabetismo totale per almeno
400 anni ( 12 generazioni alla maniera di Erodoto) e solo l' <<oralità>>
avrebbe caratterizzato la cultura dei sub-micenei e dei Greci del pro­
to-geometrico, finché venne introdotta la scrittura alfabetica, mutuata
dai Fenici con decisive innovazioni.
Nel corso della <<invasione dorica>> del Peloponneso, sfondato or­
mai il <<muro>> sull'Istmo di Corinto, gli abitanti <<achei>> (Ioni) ab­
bandonarono le loro sedi nel continente, ad eccezione di un gruppo
che si ritirò sulle montagne dell'Arcadia, sciamando per le isole fino
alla costa dell'Asia Minore contestualmente con Eoli e Dori, ormai
tutti sub-micenei. Gli Ioni fondarono una dodecapoli in Asia Minore,
<<per il fatto che anche quando abitavano nel Peloponneso essi aveva­
no dodici distretti>> (Erodoto 1 , 145 , 1 ) . Nel santuario Pani6nion, sul
monte Micale, dedicato a Poseidone Eliconio, essi ritrovavano la loro
antica identità patria (Erodoto 1 , 148); undici erano le città degli Eo­
li d'Asia (Smirne era diventata ionica: Erodoto, 1 , 149-150); cinque
quelle dei Dori, che celebravano nel Tri6pion, sul promontorio di
Cnido, agoni in onore di Apollo (Erodoto 1 , 144). E nella Smirneide,
incentrata sulla lotta tra i Lidii di Gige e gli Ioni di Smirne, Mimner­
mo (F Gr Hist 578 F 3) evocò il momento dell'arrivo di Ioni dal
Peloponneso in Asia Minore: <<Abbandonando l'alta città di Neleo,
Pilo, noi sulle navi venimmo nell'Asia mirabile; con forza possente
c'insediammo nell'amabile Colofone, iniziatori di violenza (hybris)
che reca mali>>.
Fu un grande movimento di genti, provocato dalla spinta <<dori­
ca>>, che coinvolse gli stessi Dori, i quali nel contempo raggiunsero
Creta. In conseguenza delle pro.fonde trasformazioni connesse con
tali eventi migratori, i Greci sarebbero piombati nell'analfabetismo.
Sebbene in questi ulti111i decenni sia stato a111pian1ente dibattuto
anche in Italia il problema del ruolo dell' <<oralità>> anche per la for­
mazione dell'epos omerico o della lirica corale (non senza esagerazio­
ni), l' <<oralità>> non può prescindere da un supporto scritto che la
sorregga, specie nel serbare <<memorie storiche>> del genere di quelle
sopra evocate, anche se esse poterono ancorarsi a celebrazioni perio­
diche di gruppi familiari o a rituali religiosi osservati in santuari <<co­
muni>>. D'altra parte, l' <<oralità>> si mantenne fra i Greci anche quan­
do essi possedettero la scrittura alfabetica, concepita pur sempre
quale str11111ento per assicurare perpetua vita alla voce, se è vero che
essi solevano leggere a voce alta (Svenbro).
Comunque, chi scrive è convinto che in Grecia si sia continuato,
anche se da parte di minoranze, a scrivere la Lineare B, forse modifi­
cata (come a Cipro) o semplificata, non più incidendola su tavolette
di argilla cruda (la cui preparazione richiedeva un laboratorio in
strutture palaziali), bensì usando materiale deperibile come pelli con­
ciate di animali (diphtérai: Erodoto 5 , 58, 3 ) tavolette di legno (axo-
,
LE FONl'I EPIGRAFICt!E GRECt1E 209

nes/kyrbeis), se non costosi fogli papiracei di Byblos. Per questo i


Greci, che sapevano scrivere la Lineare B, poterono trasformare più
facilmente l'imperfetto sillabario fenicio in · un alfabeto idoneo alle
esigenze fonetiche della loro lingua, ricca di vocali.
Al pari dei sub-micenei, ancora nel IX secolo a.C. gli Elleni non
hanno raggiunto quel livello di cultura urbana e mon11111entale che
induce a scrivere su pietra: anche il graffito su vasi o la scrittura di­
pinta presuppongono una società <<politica>>, quale compare solo a
metà del secolo VIII in piena età geometrica, nella cui struttura si
impone e nasce il bisogno della comunicazione non eff1111era del pri­
vato a un proprio simile, la necessità di ricordare e di essere ricorda­
to attraverso la scrittura e nel contempo di pubblicare leggi, atti am­
ministrativi della polis, disposizioni religiose, dediche a divinità ed
epigrafi funerarie. Naturalmente interverranno professionisti della
scrittura, ormai alfabetica.
Quest'ultima prese origine dal sillabario fenicio di 22 segni, dopo
averne adattato la for111a delle lettere (rhythmos in Erodoto 5 , 58, 1 )
e avere attribuito a cinque segni sillabici il valore di vocali. A sua
volta il sillabario feniciov era una trasposizione di quello di 30 segni
di Ugarit (odierna Ras Samra, in Siria) : sull'esemplare inciso in cu­
neiforme su di una tavoletta di arg_.illa del XIV secolo a. C. ( tav. 3 ) ,
scoperta da Cl.F.A. Schaffer a Ras Sa111ra, esso appare caratterizzato
da una successione dei segni (tav. 4) nello stesso ordine di quelli del
sillabario di 22 segni fenicio (quest'ultimo attestato dall'ebraico e dal
greco).
Dove e quando si è verificato l'incontro fecondatore tra i Phoini­
kes <<i Rossi>>, come i Greci chia111arono questi mercanti dell'area
-

siriaca portatori del prezioso strumento della scrittura sillabica, nella


quale era in nuce già la soluzione <<Vocalica>> poi attuata dai Greci - e
i Greci stessi, certamente individui sensibili a ogni elemento innova­
tore e assai probabilmente anche capaci di usare il complicato silla­
bario della Lineare B?
Un approccio tra un Fenicio e un Greco, quando si sia istituito
un certo bilinguismo, doveva implicare ad esempio lo spelling dei re­
ciproci nomi personali e il tentativo di scriverli: il Fenicio avrà scrit­
to, forse con il colore rosso, il suo nome, per avventura Abimelech,
impiegando i segni fenici relativi, poi quello dell'interlocutore greco,
Admetos. In ambedue i casi il Greco non ritrovava un segno per la
,

vocale iniziale dei due nomi: ma esso non poteva che essere un aleph.
Un processo analogo comportò la trasformazione in vocali greche dei
segni fenici chet e ayin per eta e omicron, onde scrivere il gre.co
''Aòµflt'Oç. Anche se per approssimazione, il processo può essersi
realizzato in siffatto modo. Nacque così un sistema alfabetico greco,
convenzionale secondo il modello sillabico fenicio, ma anche armoni­
co, in quanto un segno fenicio scelto per un suono greco escludeva
l'impiego degli altri segni fenici di analogo valore fonetico (il caso
della sibilante; vedi la tav. 5).
2 10 LE FONTI EPIGRAFICtlE GREClfE

Nell'incontro tra Fenici e Greci si realizzavano scambi commer­


ciali e una certa comunione di vita, che implicavano il reciproco bi­
linguismo; e le occasioni devono essere state molteplici. Odisseo
(Odissea 13 , 256-286) può inventare di essere andato da Creta all'E­
lide su una nave sidonia, da Creta al Delta e dall'Egitto in Fenicia
e indi in Libje <<per un trasporto di merci>>. Fenici <<famosi per
mare>>, portatori di ornamenti (athyrmata), compaiono nel racconto
di Eumeo, rapito nella natia Syrie e venduto a Itaca (Odissea 15 ,
4 15 s.). Erodoto, iniziando la narrazione delle guerre persiane, af­
fe1111 a che <<i saggi dei Persiani>> (IIEQGÉWV [ . . . ] oi. À.òyLoL) attribui­
vano la responsabilità del contrasto tra Greci e Barbaroi ai Phoini­
kes, i quali <<venuti dal mare chiamato Rosso a questo mare (il Me­
diterraneo) e insediatisi nel territorio che ancora oggi abitano,
. . . subito intrapresero navigazioni a grande distanza e trasportando
mercanzie egizie e assire raggiunsero vari paesi e anche Argo>>. E
qui esposero le lorq mercanzie, che attrassero le donne argive e an­
che la figlia del re Inachos, Io, la quale fu rapita con altre dai Feni­
ci (Erodoto 1 , 1 -3 ) . Fenici avrebbero frequentato le isole greche,
come Tera, allora chiamata Kalliste (Cadmo vi avrebbe lasciato un
suo parente, di nome Membliaros: Erodoto 4, 147 ), Taso (fondan­
dovi un santuario di Eracle: Erodoto 2 , 44) e Rodi, nel cui santua­
rio di Lindos sarebbe stato dedicato da Cadmo un lebéte di bronzo
<<con lettere fenicie>> (Jacoby, F Gr Hist 532 B3 ; 52 1 Fl; Diodoro
5 , 58, 2-3 ) . Anzi, un gruppo di Fenici guidati da Cadmo di Tiro si
sarebbe insediato in Beozia: e vi <<importarono insegnamenti agli El­
leni e anche lettere (grammata) e in seguito cambiarono insieme con
il suono anche la direzione delle lettere>> (Erodoto 5, 58). I vicini
Ioni, accogliendo <<per insegnamento dai Fenici>> le lettere e un
poco modificandone la direzione, le denominarono phoinikéia. Con­
nessi con questi Fenici erano i Gefirei, antenati di A1111 odio e Ari­
stogitone (a proposito dei quali Erodoto apre questo excursus) , pas­
sati da Tanagra ad Atene: viene fatto di pensare che questi Gefirei
fossero bilingui e capaci di scrivere il greco in lettere fenicie. Ero­
doto (5 , 59-61 ) afferma inoltre di aver visto a Tebe nel santuario di
Apollo Ismenio, su tre tripodi, <<lettere cadmee simili a quelle ioni­
che>>: si trattava di tre dediche metriche, una di Amfitrione (con­
temporaneo di Laio, figlio di Labdaco, figlio di Polidoro, figlio di
Cadmo) , una di Scaio (figlio di Ippocoonte contemporaneo di Edi­
po, figlio di Laio) e una terza di Laomedonte, figlio di Eteocle (fi­
glio di Edipo) , sotto il cui regno i Cadmei furono cacciati dagli Ar­
givi. Erodoto offre qui sequenze genealogiche, alla maniera di quel­
la di Her6pythos su una iscrizione di Chio che enumera 14 antenati
fino a un Kyprios, o dello storico Ecateo, che indicava quale sedice­
simo antenato un dio (Erodoto 2, 143 , 4). Considerando Her6pyt­
hos ed Ecateo contemporanei e calcolando alla maniera di Ecateo­
Erodoto cento anni per tre generazioni, si risale all'anno Mille al­
l'incirca: ma la sequenza genealogica segnata nelle tre dediche del
santuario di Apollo Ismenio riferite da Erodoto riporta al XIII se-
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 211

colo, poiché Cadmo, l'introduttore delle <<lettere fenicie>> in Boezia


e indi in Ionia, era padre di Polidoro e bisnonno di Laio, del tem­
po di Amfitrione (padre di Eracle), per cui si arriva almeno a cento
anni prima della caduta di Troia.
Ma questa cronologia di Erodoto appare inaccettabile sul piano
storico: il contatto tra i Fenici e il mondo greco può essersi realizzato
solo dopo la fine dei regni micenei. Giovanni Pugliese Carratelli ha
tentato una storicizzazione della tradizione erodotea, ritrovando im­
plicita111ente nella Boezia e nella mediazione ionica la <<culla dell'alfa­
beto greco>>; Margherita Guarducci e Silvio Accarne hanno tuttavia
espresso in seguito il loro disaccordo.
La prima studiosa sostiene da decenni che l'invenzione dell'alfa­
beto greco, adatta111ento del sillabario fenicio, si sia realizzata nell'i­
sola di Creta; cretese, anzi, ne sarebbe stato l'inventore, <<ignoto be­
nefattore dell'11111anità>> (U. von Wila111owitz-Mollendorff) . La scoper­
ta di una coppa di bronzo con iscrizione fenicia databile nel X-IX
secolo a.C. presso Cnosso (M. Sznyzer, in <<Kadmos>>, 18, 1979, pp.
89-93 ) non ne costituisce conferma. Tuttavia, a parte la stretta somi­
glianza con il modello fenicio di molti segni dell'alfabeto cretese, non
può non lasciare perplessi, che da un modello alfabetico privo di se­
gni <<complementari>> e di aspirate (chi, phi; il chet fenicio è usato
come e lungo aperto) possano essere derivati negli altri centri greci i
rispettivi alfabeti, sempre ricchi di varianti, anche piccole, e più com­
pleti. Margit Falkner aveva invece proposto Rodi come culla dell'al­
fabeto greco, donde, senza segni complementari, esso sarebbe passa­
to a Corinto e indi a Creta.
Di contro, studiosi inglesi sulla linea di T.J . Dunbabin, A.G.
Woodhead e Lilian H. Jeffery hanno additato quale verosimile centro
della elaborazione dell'alfabeto greco Al Mina in zona siriaca.
La ricerca di una precisa località a mio avviso è sterile: va esclu­
sa una <<monogenesi>> dell'alfabeto greco e si deve altresì prendere
in considerazione il rendimento greco della sibilante: nel modello
sillabico fenicio esistevano quattro segni relativi, zayn ( I ) , samek
( f ) , sade ( M ) e shin ( W ) Per le esigenze fonetiche del greco
.

bastavano zayn (zeta) e una sibilante, che in alcuni centri fu mutua­


ta dal sade ( M ) in altri dallo shin ( W ) , rappresentato graficamente
,

con rotazione di 90 gradi ( � ) . Erodoto, parlando dei nomi persia­


ni terminanti in sibilante, aggiunge: <<essa i Dori chiamano san , ma
gli Ioni sigma>>. Tuttavia il sigma finì per imporsi con l'alfabeto
milesio, specie dacché questo venne ufficialmente introdotto in
Atene sotto l'arconte Euclide, secondo la proposta di Archinos, nel
403 a.C. Il san, cioè il sade, in un alfabetario come quello di
Metaponto occupa il posto dello shin; mentre in quello famoso di
Marsiliana d' Albegna (tav. 6) - rinvenuto in una tomba etrusca
databile intorno al 700 a.C. e inciso sul bordo di una tavoletta d'a­
vorio destinata a esercizi di scrittura con lo stilo sulla cera spalmata
- esso si trova quale diciottesima lettera, mentre il sigma ( S ) com­
pare quale ventunesima.
2 12 LE FON'fI EPIGRAFICHE GRECHE

In verità i Greci ritrovavano la genesi del loro alfabeto entro l' o­


rizzonte geografico greco ed erano consapevoli che era un prestito
dai Fenici, anche se trasformato. Da ciò discende che tale prestito
non può essersi realizzato né nel XV secolo a.C. (Dorpfeld), né nel
XIV (A. Mentz) e neanche nel XIII-XII (B.L. Ullman), entro l'epoca
micenea, ma al più intorno al Mille, se non piuttosto nel IX secolo
a.C., come pensava il grande E. Meyer. D'altra parte una datazione
bassa, al 700 a.C., come quella difesa da R. Carpenter, è smentita dai
graffiti del Dipylon e della <<coppa di Nestore>> di Pithekussa (vd. tav.
7, con il testo relativo), oltreché dal recente rinvenimento, nell'area
laziale di Gabii, di un vaso iscritto in greco e databile al 770 a.C.
circa (A.M. Eietti Sestieri, A. De Sanctis e A. La Regina). Sul tema
cronologico si è infine registrato il recente apporto di linguisti d' am­
bito semitico, favorevoli a un generale rialzo della datazione relativa
all'alfabetizzazione nel mondo greco (soprattutto J. Naveh, con ridi­
scussione in R. Wachter e nel volume miscellaneo Phoinikeia Gram­
mata, Namur, 1991).
Dall'incontro e dalla comunione tra Fenici e Greci si realizzarono
alfabetari in cui i segni fenici sillabici erano registrati nel rendimento
greco, con la trasformazione in vocali dei cinque segni fonetica111ente
analoghi: paradigmatico l' alfabetario già sopra menzionato di Marsi­
liana, che, essendo su avorio, implica una collaborazione <<fenicia>>
con un Greco, il quale vi incise le lettere, e che, pur essendo de­
stinato alla società etrusca (il cui alfabeto deriva da quello greco),
costituisce l'<<immagine . . . fedele di un abecedario euboico>>, anche
se presenta <<lettere morte>> (il samekch e il san) (M. Lejeune, in <<Rev.
Philol.>>, 57, 1983 , pp. 8 ss.). Non mancano altri esempi, dipinti su
vasi anche meno antichi (un graffito con alfabetario da Mozia: G.
Falsane e A.G. Calascibetta, in Phoinikeia Grammata, cit., pp.
69 1 -699). Comunque si può affermare che siffatti alfabetari greci, e
certamente moltissimi preparati su materiale deperibile come tavolet­
te di legno o membrane, furono i veicoli della diffusione a livello ele­
mentare della scrittura alfabetica greca, per111ettendone l'apprendi­
mento anche ai Bcirbaroi vicini (ad esempio Frigi, Etruschi e Italici) .
L'ampia diffusione degli abecedari in tutti i centri greci non frenò la
tendenza <<individualistica>> dei Greci a ricreare in ogni polis un pro­
prio sistema di scrittura, che in alcune di esse si stabilizzò o manten­
ne caratteristiche conservatrici. Per esempio a Creta si affidò a una
<<fa1niglia>> l'ufficio di <<mettere per iscritto e registrare nell'interesse
della città gli atti pubblici e profani>>, come nel caso di un tal Spen­
sithios in un'iscrizione forse di Lyttos (vedi ora D. Viviers, in <<Bull.
Corr. Hellen.>>, 1 18, 1994, pp. 229 ss.).
Davanti a tanta varietà di alfabeti, A. Kirchhoff, a conclusione di
una loro classificazione, presentò una carta geografica nella quale
distinse: I) un tipo di alfabeto <<verde>> per Creta, Tera e Melo (che
colorì in verde) , caratterizzato da segni assai simili al modello feni­
cio, ma privo di quelli complementari e della aspirata; Il) un alfa­
beto <<rosso>> diffuso in Occidente, a Rodi e nel continente greco,
LE FONTI EPIGRAI'ICHE GRECHE 2 13

caratterizzato dai segni complementari chi e xi nella f"orma a punta


di lancia ( � ) il primo, a croce ( X ) il secondo; III) un alfabeto
<<azzurro>>, diffuso in Asia Minore e nelle isole prospicienti, oltre
che nell'area corinzio-argiva, nelle isole di Corcira e Léucade, e a
Selinunte in Sicilia (<<azzurro chiaro>> in Attica, piuttosto ibrido) ,
caratterizzato dal chi a croce, dallo psi a punta di lancia, dallo xi
sul tipo del samek fenicio ( I ) e dalle vocali lunghe.

Ogni città greca, pur rispettando le norme comuni ai rispettivi alfabeti,


. '

introdusse lettere caratteristiche. E utile pertanto soffermare l'attenzione


su alcuni segni-chiave. Così il beta, che a Creta si presenta a occhiello r ,
a Tera b' , a Corinto a meandro Lil ovvero a ny rovesciato V1 (così anche
a Megara-Selinunte; v. tav. 8), o a pi con cediglia fl a Bisanzio, ad Argo
C e nelle Cicladi a semicerchio C . Il gamma fu a semicerchio C nell'area
<<rossa>> occidentale, a Rodi, Tera, Arcadia, Acaia (con la forma ad asta I
nelle colonie <<achee>>), a semirombo ( a Megara e nella Locride, mentre
a Creta, nelle Cicladi e anche in Attica e Argo presenta una forma angola­
re simile al classico lambda /\ . Il delta appare panciuto D nell'area occi­
dentale, ma anche in Arcadia, El�de, Beozia, Focide e Locride. La epsilon
� , che in molti centri servì a segnare anche la eta, presenta una strana
variante a beta B.: I B I a Corinto, Megara e anche nelle rispettive colonie. Il
digamma, a Creta f I t< , affine al waw fenicio, in area occidentale e nelle
Cicladi appare [ . La eta nella fo1111a B I 1:1 I H a Creta e nelle Cicladi (a
Cnido a rettangolo O , a Fliunte B ), in molti centri vale come segno dell'a­
spirata. Il theta passa dalla forma a croce inscritta entro un cerchio a
quella, più recente, del punto entro lo stesso. Lo iota presenta tre tratti S
(talora � ) a Corinto e colonie, a Creta, Melo e Tera (anche S), in area
achea e nell'iscrizione del Dipylon. Il lambda presenta la forma milesia /\
(ma anche /\) in quei centri in cui il gamma si differenzia, mentre è rove­
sciato ( \; , detto <<calcidese>>) in Eubea (con rispettive colonie e aree di
influenza), in Attica e anche a Creta. Il mem, a cinque gambette a Creta,
Melo e in Occidente, ben presto si stilizza con quattro tratti M . La xi, il
cui segno tipico è I , in area euboica (rossa) appare a croce X (ma anche
X � , K M ), a punta di lancia � a Creta, Tera e Melo. La omicron appare
a semicerchio C a Cnido e Melo per differenziarsi dalla vocale lunga
(oméga) a cerchio chiuso, mentre a Paro e Taso la omicron è resa con il
segno dell' oméga (Q), questa con il segno a cerchio chiuso. Il pi appare a
Creta simile ad un semicerchio ovvero a occhiello (come anche a Tera,
Egina e area euboica). La sibilante in alcuni alfabeti riporta al sade feni­
cio, detto san in greco, nella forma ortostatica M (per esempio a Creta,
Tera, Corinto e colonie), in altri allo shin girato di 90 gradi � che poi si
,

modifica nella forma triskelés S (in Attica però quest'ultimo è più antico,
e solo intorno alla metà del V secolo diventa tetraskelés). Il koppa in alcu­
ne isole (Creta, Tera, Rodi), in Beozia e a Sicione appare talora simile al
phi. Il rho oscilla tra la forma semplice P, talora con gambetta R , a quella
a delta panciuto (talora con gambetta in area siciliana) ovvero a punta I> ,
a Corinto e Megara. La ypsilon passa dalla forma del waw a forca Y
(anche con tratto obliquo sull'asta) a quella triangolare V. La vocale lunga
omega appare precocemente in area ionica, per poi affermarsi ovunque.
Va lori d i base Omofoni

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TAv . 1 . I segni della Lineare B secondo M. Ventris e J. Chadwick.

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TAv. 2 . La tavoletta dei <<tripodi>> di Pylos rinvenuta da C.W. Blegen (traslitterazione e tradu­
zione, supra, p. 205 ) .
TAV. 3 . La tavoletta in cuneiforme (XIV secolo a. C. ) rinvenuta a Ras Samra da Cl.F .A.
Schaffer.

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T Av . 4. Trascrizione dei segni della tavola 3 .


fenicio greco fenicio greco

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3 gimel 1 gamma 1 4 nftn V\ "' "'


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11 kaf )I kappa I
22 [LltU ta1i T
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T A v . 5 . Tavola di conguaglio tra le lettere fenicie e le lettere greche.

T Av. 6. Alfabetario di Marsiliana d' AJbegna.

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Jo 11: \


"

N Écr'"t'o po e; : [ €v '"t'O t] : e:u7toT[ O\I] : 7tO'"t'Ep LO\I ·

hòc; ò' &'J'"t'oàe: 7tl€crL : 7to"t'€pl [ oJ , : �ù'"t'lx.a. xe'Jov


hlµEpoc; ha.LpEO'E:L : XOCÀÀLO''"t'E[ Cf>cX\I] o j\ <p po3 lT€ç

TAv. 7 . Apografo del graffito della coppa di Nestore rinvenuta a Pithecussa e relativa trascri­
zione in caratteri greci . Si propone qui di seguito una possibile traduzione: <<La cop­
pa di Nestore [era appunto] piacevole a bersi: ma colui che beva da questa coppa,
lui subito prenderà desiderio di Afrodite dalla bella corona>> .
(a)

(b)

[ òL] oc TÒç 3e:òc; To [a] àt vLxovTL 'Tal LtÀLv6v[Tf.o L.]


[òL] oc 'TÒv �le< vLxoµtç xe<t ÒL� 'TÒv <1>6�ov [xe<l]
a [ i&_] ht.pe<xÀÉCI.. Xctl OL' 'ArtoÀÀOVC< K!Xl af.OC fl (o't') ­
e: [ Laii] vcx Ket.L OLOC Tuvàctp lòocç X.C1.. L aL' 'AS[oc] -
5 VC(L(l..V xrxl ÒLOC Ma.J..o r.p6 po\I XC<t ÒLÒ: n ctcrt[x.] -
p<i[ T]Etcxv xctl Òtoc TÒç ocÀÀoç Se:6ç, ÒLoc ò[è] �loc
µocÀ Lcr't'oc. <l>LJ.. l cx[ ç;] òè ya:\loµé:vcxç, Èv x. [ p] ucr-
é:o [ L] €J..oc [q1o]v, 't'OC [µè:v] Ò\luµe<Te< 'TOCU't'e< xoÀ­
c1ycxvT[ocç, Èç] TÒ 'A [rr] oÀÀO\ILOV xoc93é:µe:-
10 v, 't'Ò LlLÒ [ç rtpo]ypci[�]ocv't'e:ç;. 't'Ò ÒÈ X.PUO'LO\I
É�ix.[ov't'oc Te<] ÀcXVTOV [t] µe:v .

(e )

TA v . 8. (a) L'iscrizione di Selinunte consetvata nel Museo archeologico di Palermo. (b) Apo­
grafo corrispondente (JG XIV 268 ) . (e) Trascrizione in caratteri greci . Dell'iscrizione
si propone qui di seguito una possibile traduzione: <<Grazie ( alla protezione di) que­
sti dei vincono in battaglia i Selinuntini . Noi vinciamo grazie a Zeus e a Phobos e a
Eracle e ad Apollo e a Poseidon e ai Tindaridi e ad Atena e a (Demetra) Malopho­
ros e ad (Anemide) Pasicrateia e agli altri dei, ma soprattutto grazie a Zeus. Conclu­
sa la pace, ( si decise che) in oro una cerva, incidendo (su essa) questi nomi, nel
santuario di Apollo fosse dedicata, inscrivendo anzitutto il (nome) di Zeus. L'oro
deve valere sessanta talenti (di argento ))> .
2 18 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

Per esprimere le consonanti aspirate chi e phi all'inizio i Greci,


in molti centri, aggiunsero la spirante laringale 8 alla tenue K I r , e
così per i nessi xi e psi aggiunsero la sibilante alla gutturale e labia­
le, ottenendo K M (9M) e r M . Ma per l'innata tendenza greca al
perfezionismo furono creati precocemente, pare in area euboica, i
segni <<complementari>> per chi e phi, che compaiono nel graffito
del Dipylon ( X ) e in quello di Pithekusa (<P). Tuttavia nell'alfabeto
euboico <<rosso>> il segno X assunse valore di xi, l'altro a punta di
lancia -.!- quello di chi; nell'alfabeto <<azzurro>> orientale si verificò
l'inversione del valore del primo segno come chi, del secondo come
psi. Naturalmente i segni complementari aspirati mancano nell'area
cretese, ad alfabeto <<verde>>.
In conclusione, la scrittura alfabetica greca - nella fase arcaica
ancora sinistrorsa secondo il modello fenicio e talora <<bustrofedica>>
(cioè alternativamente sinistrorsa e destrorsa, con un andamento
simile al girare dei buoi nell'aratura) , caratterizzata spesso da segni
divisori per singole parole (tratti verticali, owero due o tre punti
disposti verticalmente) - specie nella realizzazione <<milesia>> diven­
ta, grazie alla sua semplicità e completa rispondenza alla fonetica
della lingua greca, matrice di tutte le scritture europee. La sequenza
dell'alfabeto milesio venne assunta a sistema numerale, come per
esempio nella edizione <<alessandrina>> dell'epos omerico, in cui
l' oméga segna il libro XXIV. Dall'età imperiale a quella bizantina,
con l'introduzione dello stigma come lettera sesta (sei) , lo iota
indicò il numero 10; indi seguono le decine da kappa a rho ( 100,
mentre il koppa vale 90), e le centinaia fino a oméga (800 ); 900 è
indicato col sampz' T , antico segno anatolico con valore di doppia
sibilante (impiegato per esempio ad Alicarnasso), 1 .000 con alpha
preceduto da un apice.
Ad Atene e in molti centri in epoca classica la serie numerica fu
espressa secondo il sistema <<acrofonico>>, per cui ad esempio r
indicava nÉV'TE, cioè 5; b. il ÙÉxa; H, quale spirito aspro di ÉxaTov,
100; X owiamente XLÀLOL ( 1.000); M µuQLOL ( 10.000 ).

3. L'epigrafia: archivio storico della civiltà greca fino al tardo im­


pero cristiano

Ogni regione raggiunta dalla civiltà greca, poi greco-romana e


tardoromana, ha espresso una propria epigrafia, caratterizzata da al­
cune particolarità, per cui essa va studiata secondo criteri in sostanza
uniformi, ma sempre sorretti da senso critico e storico puntuale, inte­
grati da adeguate nozioni specifiche (ad esempio riguardo ai caratteri
epigrafici, all'impiego di certe abbreviazioni e di certi sistemi di data­
zione, ai formulari tipici).
LE r'ONTI EPIGRAFICHE GRECHE 219

Alcune lettere dell'alfabeto greco impiegate nelle iscrizioni hanno


subito modificazioni genericamente databili, come nel caso del theta
.: dello 6micron/oméga, che nel IV-III secolo a.e. diventano più
;>iccole rispetto alle altre nel contesto; alcune altre, come my, eta,
.'ambda, nella tarda età ellenistica diventano svasate o tendono a
munirsi di apicature agli estremi; nel II-I secolo a.e. compaiono let­
tere <<lunate>> come W , E , e (sigma) . Dal III secolo d.C. si rileva la
rendenza alle lettere <<quadrate>> ( [ = sigma; O = omicron; W =

améga) owero <<angolose>> ( � , O , + = phi; .Q. = oméga; < =

sigma) e le aste delle lettere triangolari si allungano in alto, ad


esempio À , A , M. Dall 'epoca tardoantica cresce la tendenza alle
!igaturae (nessi di lettere) , alle abbreviazioni e alla <<fioritura epi­
grafica>>, forse per influenza della scrittura corsiva o grazie a una
più ampia diffusione dei papiri e dei codici. Quest'ultimo fenome­
no finì per ridurre l'esigenza dell'epigrafia monumentale (ad ecce­
zione di quella fun'eraria, che resta prevalente), essendo nel frattem­
po cambiato anche il contesto sociale.
L'epigrafia è affine alla papirologia (il rinvenimento di documenti
papiracei si concentra in Egitto grazie al clima asciutto che ne ha
permesso la conservazione), dalla quale si differenzia però per l'im­
piego di un diverso supporto scrittorio. D'altra parte l'epigrafe ripete
quasi sempre un testo scritto su papiro o perga111 ena affidato per l'in­
cisione allo scalpellino da un magistrato, se riguarda la vita pubblica,
da un privato in altri casi. Una epigrafe <<pubblica>> va studiata piut­
tosto a confronto, se possibile, con la tradizione letteraria (natural­
mente, qualora si tratti di un epigramma, con altri testi affini): solo
così essa, specie se lacunosa, trova una corretta interpretazione. An­
che lo storico antico, non escluso Tucidide, era convinto dell'impor­
tanza dei documenti epigrafici. Perduti assai spesso gli archivi pub­
blici delle città, le iscrizioni restavano l'unica testimonianza di eventi
importanti, per cui si giunse a confezionare anche iscrizioni false,
come il famoso decreto di Temistocle trovato a Trezene (cfr. SEG
XXII, 1 967 , 274). Si intende pertanto l'opera di un Krater6s di Ma­
cedonia (probabilmente figlio dell'omonimo generale di Alessandro
Magno) , il quale raccolse in almeno nove libri i decreti ateniesi fa­
cendone un commento erudito, o di un P6lemon di Ilio nel II secolo
a.C . , soprannominato stelok6pas (<<ghiotto di stele>>), il quale raccolse
in Grecia materiali epigrafici e artistici, pubblicandoli nell'opera Sulle
iscrizioni delle città, che comprendeva soprattutto le dediche e i mo­
numenti di Delfi, Sparta e Atene. Costoro furono i predecessori idea­
li di un Cola di Rienzo, di un Ciriaco de' Pizzicolli, e poi di un Gru­
terus ( 1603 ), di un Gualtherus e di tanti viaggiatori europei in Gre­
cia e nel Levante che copiarono e raccolsero testi epigrafici. Ma per­
ché si costruisse una scienza epigrafica fu necessario l'intervento di
quello che ne deve essere considerato il fondatore e il patriarca, A.
Bockh. Questi, nel 1 8 15 (quando la Grecia e l'Oriente greco occupa­
ti dai Turchi erano ancora preclusi alla esplorazione scientifica) , ideò
220 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

nell'Accademia di Berlino la preparazione di quello che fu intitolato


Corpus Inscriptionum Graecarum (CJG), tuttora per certe aree da uti­
lizzare e comunque da controllare, in 4 volumi in folio. Il voi. I, ap­
parso nel 1828, e il II (1843 ) furono opera dello stesso Bockh; il III
di J. Franz (il quale aveva pubblicato un trattato di epigrafia: Ele­
menta Epigraphices Graecae, Berlin, 1 840) apparso nel 1853 , vol11111e
che includeva anche Italia e Sicilia; il IV di E. Curtius e di A. Kirch­
hoff, apparso nel 1 859; I'index nel 1877 ad opera di H. Rohl (il IV
voi. contiene anche iscrizioni cristiane e giudaiche, nonché I' instru­
mentum, che include una serie di sigilli bizantini e d'iscrizioni in gre­
co di epoca norn1anna). Si trattò di un'opera immane per l'epoca,
condotta purtroppo sulla sola base di trascrizioni epigrafiche da par­
te di autori vari o eruditi locali, senza la necessaria <<autopsia>> (ossia
un controllo diretto del monumento) .
Con la liberazione della Grecia dal dominio turco la situazione
era mutata, per cui nel 1868 fu concepito a Berlino il nuovo Corpus
Inscriptionum Atticarum (CIA) sotto la direzione di A. Kirchhoff, U.
Kohler e W. Dittenberger (un grande epigrafi.sta, che non uscì mai
dai confini della Germania), edito tra il 1873 e il 1897 in tre volu-
m1.

Uscivano intanto S. Reinach, Traité d' épigraphie grecque, Paris,


1885 , un'opera tuttora da non trascurare per il buon metodo e la
sistematicità, e il volume, essenziale per la storia dell'alfabeto arcaico
greco, di A. Kirchhoff, Studien zur Geschichte des griechischen Alpha­
bets, Giitersloh, 1 887 .
Ben presto il CIA risultò superato, e nel 1902 venne fuori il pro­
getto di una serie di Inscriptiones Graecae (JG) in 15 sezioni, di cui
diamo il prospetto nella bibliografi.a.
La documentazione epigrafica era diventata enorme, continuando
a rivelare aspetti nuovi del mondo antico nei più disparati settori,
anche grazie alla esplorazione di siti.
La scoperta di iscrizioni - a parte le testimonianze archeologiche,
di per sé insufficienti - ha rivelato ad esempio l'esistenza d'insedia­
menti coloniali greci nell'Afghanistan (ad Af Khanoum) e di una pre­
dicazione di fede buddista anche per i Greci installati in Alessandria
di Aracosia (Kandahar, Afghanistan); ha altresì permesso di stabilire,
grazie ad inchieste tra gli abitanti e i contadini, in appoggio allo stu­
dio della circolazione monetale <<locale>>, il nome antico di vari siti
archeologici in Grecia e in Anatolia. Sono stati scoperti testi letterari
nuovi, non solo epigrammi, ma anche trattati filosofi.ci (come nel caso
di Diogene di Enoanda) e oracoli della Theosophia. Anche una più
precisa conoscenza dei dialetti greci deriva soprattutto dalle iscrizio­
ni, come pure quella delle formule onomastiche, alla quale sono state
dedicate opere insostituibili da F. Bechtel, L. Robert, P.M. Fraser e
E. Matthews, O. Masson (che ne cura la rubrica nella nuova redazio-
,

ne nel <<Bulletin Epigraphique>>). L'epigrafia ha inoltre fornito docu-


mentazione precisa sulle istituzioni e sull'organizzazione civica nelle
varie città greche, sul formulario dei decreti, sulle concessioni di pro-
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 22 1

xenia (che non deve essere intesa come un puro titolo <<onorifico>>) ,
asylia e atéleia, su certi modi di vivere la politica (evergetismo, pre­
stiti pubblici e sottoscrizioni per forniture di grano o di olio per i
ginnasi, per opere urbane) , sulla efebia e sui ginnasi.
Le iscrizioni hanno rivelato il ruolo riconosciuto agli stranieri nel­
le città greche, specie dall'età ellenistica in poi; l'impiego degli schia­
vi e la maniera di concedere loro la libertà attraverso la manomissio­
ne; la tendenza all'associazionismo; la diffusione di certi culti con le
relative prescrizioni e dediche sia pubbliche sia private; certe prati­
che magiche larga111ente diffuse, tenacemente resistenti anche quando
si impose come religione ufficiale il cristianesimo. Le <<generosità
pubbliche>> (<<euergesiai>>) e il gusto esagerato per le onoranze tribu­
tate da parte dei cittadini ai <<benefattori>> anche dopo la morte ca­
ratterizzano lunghe iscrizioni dall'epoca ellenistica in poi. Le epigrafi
funerarie spesso sono autentici epigrammi stilati con sapienza lettera­
ria, che talora si accompagnarono a rilievi scultori di pregio.
Anche la vita sportiva trova eco e attestazione in lunghe iscrizio­
ni; e da iscrizioni si sono apprese denominazioni usuali per emissioni
monetali, come nel caso della Stephanoph6ros (drachm�) della Atene
del II secolo a.C . , e la varietà dei calendari e delle <<ère>>. La civiltà
greca e romana può definirsi una civiltà che, priva di ,<<giornali>>, con­
cretizza il rapporto con il pubblico nelle iscrizioni. E solo grazie ad
esse che noi moderni possia111 0 ottenere la vivificazione delle <<realtà>>
antiche e può rafforzarsi in noi la consapevolezza che la storia del
passato (del mondo greco e romano) si fa meglio sulle <<cose>>, impri­
gionate il meno possibile nelle griglie di ideologie e di f11111osi pro­
blemi, che talora possono essere produttivi solo per la storia mo­
derna.
Per quanto ricca, la . documentazione epigrafica richiede quasi
sempre il supporto e l'integrazione della tradizione letteraria, specie
della storiografia antica, anche se talora può modificarne alcuni parti­
colari o indurre a una diversa interpretazione degli eventi. Non deve
essere dimenticato che una massa di iscrizioni, per quanto cospicua e
proveniente dallo stesso sito, non costituisce mai un archivio, alla
stregua di quelli di cui dispone un medievista o uno storico moder­
no: neppure, ad esempio, nel caso della agorti di Atene, dove sono
stati rinvenuti soprattutto n11111erosi frammenti di decreti, che solo la
raffinata perizia degli epigrafisti della Scuola Americana ha potuto in
parte integrare, trattandosi spessissimo di iscrizioni stoiched6n (ossia
con le lettere di ogni rigo collocate esatta111ente l'una sotto l'altra per
ragioni estetiche, senza tenere conto delle divisioni di parole e silla­
be) . I docu111enti d'archivio scritti su papiro o su pergamena si ri­
trovano soltanto in Egitto o a Doura-Europos sull'Eufrate, mentre le
iscrizioni anche <<pubbliche>> sono piuttosto copie o meglio estratti
dei documenti dell'archivio, che la città greca, specie Atene, possede­
va (nel Metr6on o nel Bouleuthérion). Talora dei decreti o di altri
provvedimenti pubblici veniva redatto - per <<essere visto da chiun­
que>>, esponendolo in qualche portico o sulla parete di un santuario
222 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

- un riassunto essenziale scritto a colore (rosso o anche nero) su ta­


vole di legno imbiancate (leuk6mata), vere a/fiches, non destinate a
durare a lungo. Solo per alcuni decreti, di valore politico particolare,
si disponeva la incisione su ma11110 o pietra o su tavole di bronzo, a
spese della città e in più di un esemplare, ma talora anche a spese
dell'individuo che aveva ricevuto privilegi da tutelare.
Anche piccole città avevano organizzato archivi pubblici, destinati
soprattutto a custodire gli originali di atti privati (grdmmata) relativi
a compravendite, obbligazioni come prestiti o depositi, dei quali gli
interessati conservavano copia (anche su tavolette di piombo, come
quelle recentemente emerse in Sicilia) . A Paros avvenne che i funzio­
nari addetti (mnémones) permettessero falsificazioni degli atti origina­
li, per cui si procedette a una rifo1111a, con la prescrizione che <<alla
presenza degli arconti l'apodéktes doveva deporre i doc11111 enti in una
cassa (kibot6s) nel santuario di Hestia>>. Altrove (ad esempio a Tenos
su una grande stele, ora al British Museum a Londra) fu redatto un
registro di vendite immobiliari (terre e annessi, case) e di costituzioni
di doti, attuate in 19 mesi sotto lo stesso arconte, Ameinolas, spesso
con indicazione del prezzo, dei garanti e dei confinanti (IG XII, 5 ,
872).
Se per l'Egitto si sono potute proporre - grazie alla massa omo­
genea dei doc11111enti papiracei (per quanto spesso frammentari) -
statistiche sulla variazione dei prezzi di certi generi o di animali, o
sulla prevalenza di certi prodotti, sulla base del materiale epigrafico
funerario si sono ottenuti solo risultati orientativi circa la durata me­
dia della vita in Roma imperiale o sui <<dati biometrici>> per la Siracu-
sa cr1st1ana.
• •

In realtà, spesso una sola o poche iscrizioni possono suggerire in­


tuizioni fondate, che altre verranno poi a confern1are: se è vero che
<<una rondine non fa primavera>>, essa annunzia una realtà che non
tarderà a rivelarsi. La scoperta, per esempio, di una iscrizione greca
riferibile a un giudeo, in un certo sito sperduto, è già di per sé suffi­
ciente segnale circa la presenza di una comunità giudaica, dato il for­
te senso associativo di questa minoranza: è solo questione di tempo e
di ulteriore ricerca tra il materiale dello stesso sito perché emergano
altre attestazioni. E per il periodo imperiale e tardoantico non va tra­
scurato il complemento delle iscrizioni latine, giacché la società del­
l'impero romano fu bilingue quasi in ogni sua provincia.

4. Per un buon metodo epigrafico

La più semplice iscrizione greca, anche funeraria, che può sem­


brare banale - ma è stato rilevato che banale può essere soltanto il
modo di studiare le iscrizioni (Sauvaget) - diventa una fonte storica
primaria, qualora ne sia nota la provenienza e ne sia stata raggiunta
la giusta lettura. Sono, tutti questi, gli elementi indispensabili per
un'accettabile pubblicazione.
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 223

Ogni iscrizione deve essere immessa in una precisa realtà geogra­


fica e sociale, e altresì in una serie di documenti affini, ricorrendo
all'ausilio di repertori idonei, magari ricercandone alcune espressioni
nell'Index del IV voi. della Sylloge Inscriptionum Graecarum di W.
Dittenberger ( 1 9243 5JG3 ) o di Corpora forniti di indici (un comple­
ta111ento essenziale per gli stessi). Per noi italiani uno strumento uti­
lissimo e riccamente informativo (anche se ogni iscrizione trattata è
priva di apparato critico) è costituito dai quattro volu111i di Epigrafia
Greca ( 1 968-1978) ad opera di Margherita Guarducci. L'epigrafia è
una scienza non agevole, esigendo una larga conoscenza del mondo
antico e specialmente degli aspetti privati, oltre che istituzionali, di
esso e una certa familiarità col metodo epigrafico, che meglio si con­
quista con l'esercizio su iscrizioni presentate con l'apparato (vale a
dire con le proposte di lettura o d'integrazione per ciascun punto
dubbio del testo, distinguendo quelle che sono risultato di ricogni­
zione diretta - <<autopsia>> - da quelle che consistono soltanto in con­
getture o correzioni talora felici: le lettere con un punto sottostante
indicano quelle in parte scomparse sulla pietra e comunque incerte).
Sono pochi i testi epigrafici, specie di una certa lunghezza, giunti
senza lacune. Nel pubblicare una nuova iscrizione - sulla cui autenti­
cità naturalmente non debbono sussistere dubbi - vanno indicati il
luogo di rinvenimento e quello di conservazione: ché, ad esempio,
iscrizioni provenienti dal Sigeo (Troade), da Corfù, da Atene, da
Alessandria d'Egitto (se non piuttosto da Smirne ! ) si conservano
adesso rispettivamente in Corsica, a Roma (provenendo dal Museo
Nani a Venezia) , al Museo di Siracusa e a Dublino, al Museo Maf­
feiano di Verona, solo per indicare alcuni casi di Pierre� errantes, per
le qµali esiste una rubrica nei nt1111eri del <<Bulletin Epigraphique>>
(<<BE>>).
Indi bisogna precisare la natura del supporto (se mar1110, arenaria
locale, stucco dipinto, metallo - bronzo, piombo, ecc. -, mattone o
frammento di vaso, spesso databile) ; e descrivere lo stato di conser­
vazione della pietra con precisione, nonché il tipo (se lastra, base,
cippo rotondo o rettangolare) , anche se questo deve risultare eviden­
te dall'illustrazione corrispondente.
Contestualmente vanno segnate le misure dell'oggetto (altezza/
larghezza/spessore) e anche quelle delle lettere (nel caso anche delle
interlinee) ; devono essere eseguite fotografie a diverse angolature -
preferibilmente con pellicola in bianco e nero, a luce radente da sini­
stra - e possibilmente un calco con la speciale carta (non troppo dis­
simile da quella assorbente) , oppure con il latex (sorta di gelatina
collosa che essica rapida111ente): dopo aver lavato e pulito la superfi­
cie inscritta della pietra, collocata possibilmente supina, si stende ra­
pidamente sulla stessa il foglio di carta bagnata e quindi lo si batte,
iniziando dal centro verso i margini in modo che non si formino bol­
le di aria, con una spazzola di setola (mai di nylon).
Foto e calco non dispensano l'epigrafista dal procedere a una tra­
scrizione in maiuscola (ripetendo la forn1a delle lettere) del testo in-
224 LE f'ONTI EPIGRAFICHE GRECHE

ciso, quasi meccanicamente registrando ogni lettera e anche le lacu­


ne, calcolando magari col metro il numero di lettere scomparse e di
quelle monche, per le prime segnando altrettanti puntini, delle altre
eseguendo un disegnino. Nel caso di iscrizione incisa su ma11110 e
quasi evanita, può giovare l'impiego di un carboncino di legno da
strofinare sulla superficie bagnata, lasciando quindi scorrere il dito
sulle lettere in modo che l'acqua nerastra penetri dentro ai segni inci­
si mettendoli in evidenza e consentendone una migliore lettura. In
casi del genere bisogna essere coadiuvati da una persona che registri
quanto è stato possibile leggere.
Una pietra inscritta può subire deterioramento, specie se esposta
alle intemperie - si preserva meglio se lasciata con la faccia inscritta
sul terreno - o mal trattata, anche se collocata in un occasionale <<an­
tiquario>>: così può avvenire che la lettura fattane da un epigrafista
improvvisato risulti migliore di quella eseguita, a distanza di anni, da
uno specialista che intenda pubblicarla.
D'altra parte, bisogna avere qualche idea del sistema impiegato
dagli antichi per incidere una iscrizione. A meno che non si tratti di
graffiti, tracciati con un chiodo o una punta aguzza, l'iscrizione, spe­
cie se di contenuto pubblico o destinata ad essere esposta, era ese­
guita da una lapicida di professione, che impiegava strumenti adatti
(cesello, scalpello, compasso), preparava la superficie segnando le li­
nee prima di iniziare a incidere il testo che il magistrato o l'interessa­
to gli aveva affidato, scritto su papiro o su pergan1ena. Il suo lavoro
era in genere controllato e sottoposto a revisione: non mancano
esempi di correzioni o di rasura di lettere superflue; e soprattutto per
i decreti di Atene si sono potute distinguere diverse mani di lapicidi.
Le lettere venivano anche dipinte, normalmente in rosso; ma talora si
alternavano linee in rosso con altre in nero. La rubricazione poteva
implicare anche una correzione di errori (così, ad esempio, un lamb­
da poteva essere corretto col pennello in delta o in alpha): tuttavia, se
il testo si è scolorito, il moderno epigrafista può trovarsi in difficoltà,
specie se si tratta di una cifra o di un nome personale.
Comunque bisogna astenersi dal supporre con troppa frequenza
errori del lapicida in seguito a errata lettura del testo affidatogli, lad­
dove più spesso si tratta di una interpretazione non corretta da parte
dell'epigrafista, il "quale deve pertanto avere familiarità con certi feno­
meni fonetici o ortografici del tutto nor111ali per l'epoca dell'iscrizio­
ne considerata. Siffatti particolari, o l'assenza dello iota o la tipologia
delle lettere (su cui si è richiamata l'attenzione più sopra) in mancan­
za di migliori argomenti interni (come ad esempio la menzione di
personaggi altrimenti noti) possono orientare per una datazione di
massima.

La pubblicazione di un'iscrizione deve iniziare con la costituzio­


ne del <<lemma>>, contenente i dati relativi sopra enumerati e la bi­
bliografia pertinente se il testo è già stato presentato e commentato
(includendo tra parentesi anche gli autori che non lo hanno control­
lato diretta111ente) . Si presenta quindi il testo nella sequenza delle
LE f'ONTI EPIGRAFICHE GRECHE 225

linee inscritte (a 4 a 4, per non affaticare il lettore, o a 5 a 5 ) , ovve­


ro in scriptura continua, distinguendo le linee con una sbarra vertica­
le. Si possono impiegare come segni diacritici quelli del <<sistema di
Leiden>>: [ ] indica lacuna integrata; ( ) scioglimento di abbreviazio­
ne; < > variante introdotta dall'editore; { ) eliminazione di lettere;
[[ J] rasura operata dal lapicida; una lettera puntata (ossia con un
punto sottostante) avverte che essa non si legge integralmente sulla
pietra o è incerta; . . . . . indica un numero corrispondente di lettere
non leggibili; ------ lacuna non calcolabile; v ( = vaca!) uno spazio
vuoto sulla pietra. In antiche edizioni e in pubblicazioni francesi
( ) può indicare correzione o aggiunta dell'editore; < > ovvero [[ J]
eli111inazione di lettere; I I ovvero sottolineatura di lettere indica­
no rasura sulla pietra.
Lacune anche piccole non sempre si possono integrare, a meno
di ritrovare un formulario corrispondente: appunto l'epigrafista deve
tentare di togliere la sua iscrizione dall'isola111ento, ipserirla tra altre
simili, possibilmente provenienti dallo stesso sito. E chiaro quanto
siano indispensabili i Corpora delle singole città o le raccolte epigrafi­
che per categoria: tuttavia per le iscrizioni funerarie metriche - a
meno che non si trovino paralleli, ad esempio omerici - non è lecito
all 'epigrafista fare il poeta addictus poetae, sul tipo di W. Peek, che a
suo tempo ( 1 955 ) con le sue integrazioni troppo personali provocò la
critica serrata di L. Robert (<<Gnomon>>, 3 1 , 1959, pp. 1-30 = Opera
Minora Selecta, III, pp. 1 640 ss.).
Per . un testo costellato di lacune è saggio astenersi dal proporre
integrazioni - a meno che non si tratti di formule - e pazientare,
applicando l'ars nesciendi, l'aureo precetto che un maestro dell'epi­
grafia latina quale fu Attilio Degrassi soleva spesso richia111are nei
suoi seminari romani. Un frammento ritrovato in seguito nello stesso
sito o un testo parallelo possono far crollare un'integrazione troppo
avventurosa, completando il testo nella maniera più semplice. La
pubblicazione di un'iscrizione sempre comporta rischi: tuttavia al
primo editore di un'iscrizione, anche se non è riuscito a presentarne
una edizione impeccabile, va riconosciuto se non altro il merito di
avere evitato che essa restasse sepolta nei depositi di un museo o in
una campagna (dove spesso una pietra inscritta finisce per essere ri­
dotta a pezzi e inserita in un muro); e in ogni caso allo stesso può
concedersi <<la priorità dell'errore>>, come ebbe a scrivere Renan.
L. Robert ebbe a rilevare quanto la prima edizione sia insidiosa e
pesi sull'interpretazione di un'iscrizione e quanto utile possa riuscire
<<ripresentarsi tutto il testo in maiuscola>>: ci si libera così dalla sugge­
stione di un'integrazione <<consacrata>>. Credo sia questo il caso di un
punto oscuro nella fa111osa iscrizione che celebra la vittoria dei Seli­
nuntini grazie ali' aiuto di varie divinità e soprattutto di Zeus (IG
XIV 268). Ebbene, come mostra il mio apografo a tav. 8, alla lin. 8
va integrato il nome dell'oggetto in oro dedicato, su cui andavano
incisi i nomi delle divinità sopra enumerate - oggetto che non poteva
non essere indicato, per cui si spiega l'errore <<stimolante>> di G. Pu-
226 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

gliese Carratelli, su cui naturalmente era facile calcare la mano - e


semplicemente Èv XQ'UO I to [L] EÀ.a [cpo]v, 'tà [µèv] Òvuµa'ta, al posto
della frase <<consacrata>> ÈÀ.6.[oa]v'ta [ç xaì,] òvuµa'ta (vedi <<Rend.
Accad. Lincei>>, 1996, pp. 33-38). Il donario consisteva pertanto in
una statua in oro del valore di sessanta talenti di argento raffigurante
un cervo.
Alla corretta lettura di un testo epigrafico, preceduto dal lemma e
con apparato (del genere di quelli presentati in Inscriptiones Grecae
Urbis Romae . =IGUR, I-IV, da L. Moretti) , deve seguire un com­
mento. Si tratta in molti casi di un'operazione complessa, che a parte
gli aspetti testuali - cioè lessicali e filologici - deve concludersi con
un inquadra111 ento storico fuori dell'orizzonte strettamente locale, al­
l'uopo utilizzando altri doc11111enti non solo epigrafici o storiografici,
ma anche numismatici, archeologici o antiquari in senso lato. Imma­
ginazione storica, a111pia info1111azione e buona memoria (l'impiego
del computer spesso la indebolisce) costituiscono le doti fondamentali
di un epigrafista.
Qualche anno fa M. Worrle, Stadt und Fest im Kaiserzeitlichen
Kleinasien. Studien zu einer agonistischen Sti/tung aus Oinoanda
(Miinchen, 1988), ha per l'appunto offerto un esempio magistrale di
come si possa illuminare lo stile di vita di un'antica cittadina licia
nel contesto dell'impero romano, pubblicando un'iscrizione greca di
1 17 linee rinvenuta a Enoanda (Licia), nella quale è registrato un
dossier di doc\1111enti relativi alla fondazione di un <<agone>> con pa­
négyris (festival) . Un notabile della città, Iulius Demosthenes (noto
come procuratore di Sicilia sotto Traiano) , autorizzato dalla città, dal
legato della provincia e dallo stesso imperatore Adriano, nel 124
d.C. si impegnava a finanziare feste pubbliche - Demosthenéia -,
che avrebbero intrattenuto i cittadini per oltre tre settimane con un
progra111ma vario, il quale comprendeva anche agoni artistici (esibi­
zioni di suonatori di tromba, araldi, encomiografi, poeti, musicisti,
attori comici e tragici, citaredi). Il commento relativo, sempre arric­
chito da riferimenti a doc\1111enti paralleli, si sviluppa per 7 capitoli,
illustrando la resistenza delle tradizioni agonistiche greche e la loro
compenetrazione con quelle romane nel segno del culto imperiale e
dell'influenza esercitata dalla personalità e dai gusti artistici dell'im­
peratore Adriano.

5. Una epigrafia «cristiana»?

Nell'ultima sezione del CJG IV, pp. 277 ss., fu presentata in ordi­
ne sparso una messe d'iscrizioni <<cristiane>>, alcune di età tardo-bi­
zantina (dalle funerarie alle magiche, all ' instrumentum); G. Kaibel, in
IG XIV ( 1 890) , per Italia e Sicilia incluse tra le altre anche iscrizioni
cristiane. Con l'allargarsi dell'orizzonte epigrafico - ad esempio nella
serie dei M(onumenta) A(siae) M(inoris) A(ntiqua), fin dal voi. I del
1928 dedicato alla Frigia - le iscrizioni <<cristiane>> risultavano preva-
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 227

lenti. H. Grégoire, che in seguito, a Bruxelles, si rivelerà un grande


bizantinista, presentò un Recueil des inscriptions grecques chrétiennes
d'Asie Mineure, I, Paris, 1922 , ancora oggi utile, anche se alcune
1scr1z1on1 vanno aggiornate.
• • • • •

La massa di iscrizioni greche e latine scoperte nelle catacombe di


Roma indusse G.B. De Rossi a preparare un corpus, le Inscriptiones
Christianae Urbis Romae, septimo saeculo antiquiores (ICUR), Romae,
1857- 1 888 (con Supplementum a cura di I. Gatti, 1915), dal 1922 so­
stituito dalla Nova series delle ICUR ad opera di A. Silvagni e A.
Ferrua, e quindi pervenuto al voi. X ( 1 992) con la collaborazione di
C. Carletti e poi di D. Mazzoleni: oggi le iscrizioni <<cristiane>> di
Roma greche e latine (prevalenti) sono oltre 45 .000.
Al di là delle convinzioni di De Rossi (vd. anche Id., La Roma
sotterranea cristiana, Roma, 1 867 , II, pp. 301 ss.), si instaurò la ten­
denza a considerare una disciplina autonoma l' <<epigrafia cristiana>>,
specie quella latina in Occidente: venne approntata la raccolta uti­
lissima delle I(nscriptiones) L(atinae) C(hristianae) V(eteres) ad opera
di E. Diehl, in 3 voll. (Berlin, 1925- 1 928-193 1 , con indice e supple­
mento ad opera di J. Moreau e H.-I. Marrou, quale voi. IV, 1967), a
riscontro di quella delle I(nscriptiones) L(atinae) S(electae) in 5 voll.
di H. Dessau (Berlin, 1 892- 19 16, con indice magistrale), la quale ave­
va escluso le iscrizioni cristiane. Appariva altresì la silloge preziosa di
C. Wessel, Inscriptiones Graecae Christianae Veteres Occidentis, quale
dissertazione ad Halle, 1936; ad opera di A. Ferrua - cui l'A. (scom­
parso in guerra) aveva affidato nel 194 1 una copia di bozze con ag­
giunte - essa è stata ora ristampata, con l'ausilio di C. Carletti, ar,ric­
chita di tavole di concordanze con ICUR e IGUR (vd. <<Bulletin Epi­
graphique>>, 964, 1990; 656-657 , 1992). Va pure ricordato S.L. Agnel­
lo, Silloge di iscrizioni paleocristiane della Sicilia, Roma, 1953 , che
meriterebbe una nuova edizione riveduta.
Erano stati intanto confezionati i Trattati di epigrafia cristiana di
O. Marucchi (Milano, 19 10), di F. Grossi Gondi (Roma, 1920), di
C.M. Kaufmann (Freiburg, 1917) e di P. Testini (in <<Archeologia cri­
stiana>>, 1, 1 958, pp. 327-543 ), a parte le voci, Inscriptions grecques
chrétiennes .e Inscriptions latines chrétiennes, in Dictionnaire d'Archéo­
logie Chrétzenne et de Lz"turgi·e (DACL) , Paris, 1926, VII, coll. 623 ss.
Sulla stessa linea, ma con la coscienza dell'assurdità di un'autonomia
dell'epigrafia cristiana, si è posta recentemente M. Guarducci, Epi·­
grafia Graeca, Roma, IV, 1978: il sottotitolo Epigrafi sacre pagane e
.
crzstzane rivela l'imbarazzo. Nella seconda parte, pp. 301-556, l'illu­
stre studiosa ha presentato una bella scelta di iscrizioni riferibili al
cristianesimo, a partire dall'Attica fino a Roma, preceduta da una
breve introduzione sulla ricorrenza
. di certi formulari cristiani come
pax (ELQT]Vf] ) , dormi·reldormztz·o (xoLµéia-fi'at/xoLµf]OLç), sui nomz·na
sacra, su simboli quali la croce o monogra111mi, sulla indicazione del­
la data della morte e simili.
Tuttavia una formula come D(is) M(anz"bus) /E>(eotç) K(a"tax.-tto­
vi.oLç) pur tipicamente <<pagana>> - si ritrova all'inizio anche di
-
228 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

iscrizioni funerarie cristiane (essendosi evidentemente smarrito, nei


più, il senso della sigla tradita DM).
L'imbarazzo a11111enta a proposito delle iscrizioni funerarie metri­
che, che impiegano le stesse fo1111ule convenzionali riferendole sia a
cristiani sia a pagani (è il caso degli epigrammi greci del tardo impe­
ro presentati da L. Robert in <<Hellenica>>, IV, 1948). Il fenomeno ap­
pare evidentissimo anche nel settore latino, studiato egregia111ente da
G. Sanders, Lapides memores. Pai'ens et chrétiens /ace à la mort: le
temoignage de l'épigraphie latine, Faenza, 199 1 .
C. Carletti ha proposto una formulazione del problema accettabi­
le, specie per chi non riconosce un'autonomia all'epigrafia cristiana:
questa deve essere definita semplicemente <<epigrafia dei cristiani>> (in
La terza età del!'epigrafia. Colloquio AIEGL-Borghesi (Bologna,
1986), a cura di A. Donati, Faenza, 1988, pp. 1 15 - 135). Pertanto, il
tema del X Congresso internazionale di epigrafia greca e latina (Ni­
mes, 1992), l'<<evergetismo>>, è stato lumeggiato dall'età greca a quella
romana e tardoantica, che è ormai in sostanza cristiana (si veda l'otti­
ma messa a punto di N. Gauthier, J;épigraphie latine chrétienne,
1980-1992, in <<RÉA>>, 94 , 1992 , pp. 46 1 -472 ) .
Persino le epigrafi funerarie rinvenute nelle catacombe - se si
astrae dal contesto archeologico (principio su cui opportunamente ha
insistito C. Carletti, La terza età del!'epigrafia, cit., pp. 1 16 s.) e si
privilegia l'analisi del formulario - risultano in maggioranza <<neutre>>
(all'83 % nella catacomba romana di Priscilla ), ossia non chiaramente
riferibili a cristiani. Le catacombe accolsero di fatto anche defunti di
fede pagana, assicurando quella inviolabilità del sepolcro che fu una
preoccupazione diffusa ovunque, per secoli.
Si rilevano formulari tipici dei cristiani specie nel campo funera­
rio, così come altri caratteristici dei seguaci di certi culti orientali o
generica111ente pagani, in quanto l'epigrafia riflette sempre una socie­
tà che si trasforma nei vari momenti storici senza interrompere il filo
della tradizione. Raccolte di epigrafi secondo <<categorie>> o addirittu­
ra secondo diverse <<confessioni religiose>> sono auspicabili e, anzi,
dovrebbero costituire l'impegno della nuova generazione di epigrafi­
sti. Così ad esempio il compianto V. Vidman ha presentato una Syllo­
ge Inscriptionum Religionis Isiacae et Sarapiacae, Berlin, 1969, con in­
dice (che mai dovrebbe mancare in tale genere di studi) . Recente­
mente G. Petzl, Die Beichtinschrz/ten Westkleinasiens, in <<E(pigraphi­
ca) A(natolica)>>, 22 ( 1 994), ha offerto l'auspicata silloge delle <<stele
di confessione e di espiazione>> riferibili al culto del dio Men, diffuse
in Lidia e nella confinante zona della Frigia e il cui numero è cre­
sciuto in questi ultimi anni. Era 01·111 ai superato il buon lavoro di Fr.
Steinleitner, Die Beicht im Zusammenhang mit der sakralen Rechts­
pflege in der Antike. Ein Beitrag zur na:heren Kenntnis kleinasiatisch­
orientalischer Kulte der Kaiserzeit, Leipzig, 1913 .
Nella Frigia l'epigrafia funeraria presenta un gruppo di documen­
ti caratterizzati dalla formula XQflO"tLavoi XQflO"tLavotç, certamente
<<provocatoria>> e definita di marca <<montanista>>, non senza dissensi
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 229

(ad esempio da parte di A. Ferma); tuttavia a Eumeneia frigia essa è


come attenuata nella for111 ula EO'taL aÙ'tcV JtQÒç 'tÒV 8E6v. Anche
qui, dopo il libro di E. Gibson, The <<Christians /or Christians>> Ins­
criptions o/ Frigia. Greek Texts, Translation and Commentary, Missou­
la (MT) 1978 (Harvard Theol. st. 32), una nuova raccolta e inter­
pretazione delle epigrafi sarebbero auspicabili.
In ogni regione greca e latina brulicano documenti epigrafici di
credenze religiose di tipo orientale, specie riferibili ai culti per le di­
vinità <<egizie>>, per Cibele e Attis, Men, Mithras. Un infaticabile stu­
dioso olandese, M.J. Vermaseren, ha pertanto promosso, anni or
sono, una collezione di corpora dei mon11111enti relativi ai culti orien­
tali - iscrizioni incluse -, con un'esauriente illustrazione e buoni indi­
ci, intitolata É(tudes) P(réliminaires) aux R(eligions) O(rientales) dans
!'Empire romain (ÉPRO), sta111pata a Leiden.
In quasi l'intero oikouméne romano, tanto in città importanti
quanto in siti sperduti, si ritrovano iscrizioni in greco (quelle latine
sono rare) riferibili a comunità giudaiche, specie a partire dal III-IV
secolo d.C.: il Corpus Inscriptionum ]udaicarum (CI]), I-II, di J.-B.
Frey è certamente insufficiente, anche dopo la nuova edizione del
voi. I a cura di B. Lifshitz, New York, 1975. Naturalmente non si
pretende di costituire una <<epigrafia giudaica>> come disciplina auto­
noma: tra epigrafi funerarie giudaiche e cristiane si rivelano infatti
notevoli affinità di formule. Infatti, a parte la circostanza che spesso
giudei e cristiani vivevano gli uni accanto agli altri, la cultura religio­
sa dei primi senza dubbio influenza quella dei secondi, specie nella
superstizione e nel ricorso alle <<maledizioni funerarie>> per la prote­
zione della tomba; il problema preoccupava del resto in eguale misu­
ra anche i pagani, e per le violazioni si fece spesso ricorso alla mi­
naccia di ammende altissime in favore della città, della sinagoga o,
più frequentemente, del fisco imperiale. Il richiamo al giudizio divino
è, invece, soltanto giudaico e cristiano.
Sulla stessa linea delle sopra richiamate raccolte di iscrizioni
<<confessionali>>, anche se la massa documentaria risulta enormemente
maggiore poiché tutta la società dell'impero romano finì per conver­
tirsi al cristianesimo, è lecito preparare raccolte di iscrizioni dei cri­
stiani per le singole regioni.
Se per la Siria e l'Asia Minore esse sono comprese nelle serie di
IGL Syrie e , per la Grecia vanno richiamati N.A. Bees, Cor­
pus der griechisch-christlichen lnschri/ten von Hellas. I: Peloponnes, 1
Isthmos-Korinthos, Athen, 194 1 (senza indice), rimasto senza seguito;
A.C. Bandy, The Greek Christian Inscriptions o/ Crete, Athens, 1970;
D. Feissel, Recueil des inscriptions chrétiennes de Macédoine du !Ile
au Vle siècle, Paris, 1983 e Id., Notes d'épigraphie chrétienne, in <<Bul­
letin de Correspondance Hellénique>>, 100 (1976) , pp. 269-281; 101
( 1977), pp. 209-228; 102 ( 1 978), pp. 545-555 ; 104 (1980) , pp.
459-475; 105 (1981 ), pp. 483 -497 ; 107 ( 1 983 ) , pp. 60 1 -618; 108
(1984 ), pp. 545-579. Non vanno dimenticati R. Canova, Iscrizioni e
monumenti protocristiani del paese di Moab, Città del Vaticano, 1954;
230 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

A. Negev, The Greek Inscriptions /rom the Negev, Jerusalem, 198 1 ; J.


Kubinska, Faras, IV, Inscri'ptions grecques-chrétiennes, Warszawa,
1974.
Per la Sicilia, - se si lascia da parte il Museum Epigraphicum, seu
Inscrz'ptionum Christianarum, quae in Syracusanis catacumbis repertae
sunt . , Pano1111i , 1897 di V. Strazzulla, non valido scientificamente,
. .

nonostante l'interessa111 ento di A. Ferrua (che ancora recentemente,


quasi novantenne, ha compilato Note e aggiunte alle iscrizioni cristia­
ne antiche della Sicilia, Città del Vaticano, 1989) - non è stata ancora
realizzata una raccolta delle epigrafi cristiane: l'impegno di S.L.
Agnello si è esaurito nella Silloge sopra ricordata.
Utilizzando magistralmente il materiale onomastico offerto dal
CIL VI, da IGUR del Moretti e dai vol11111i disponibili di ICUR an­
che nella editio maior, H. Solin ha potuto presentare uno studio sui
nomi greci di persona a Roma (Die griechischen Personennamen in
Rom. Ein Namenbuch, 3 voli., Berlin, 1983 ): risulta evidente che l'o­
nomastica tipica111ente cristiana non appare deter111inante per la
Roma tardoantica, della cui multiforme società si può tracciare una
storia di lunga durata proprio grazie alla doct1111entazione epigrafica.
In conclusione, l'epigrafia dei cristiani, sottratta a un pretenzioso
isolamento, va inserita sul piano doc11111entario nel percorso ritmato
della storia antica, che è storia di una società in continuo divenire. A
un certo momento essa, da pagana che era, si agganciò alla religione
cristiana, senza per questo rinnegare forn1ule e moduli di cultura
precedenti, oppure modificandoli, ma con grande moderazione. L' e­
pigrafia greca deve pertanto essere considerata una disciplina unita­
ria, senza sostanziali discontinuità per oltre un millennio. Pur costi­
tuita da doc11111enti diversi per caratteri intrinseci, secondo i periodi e
le aree, essa impiega un metodo costantemente basato su criteri ra­
zionali. Sono intervenuti cambia111enti strutturali, istituzionali, religio­
si, fonetici, nei fo1111ulari, nel sistema di datazione che è passato da
quello tipico dell'epoca classica basato sulla menzione del magistrato
eponimo (ad Atene il nome dell'arconte) a quello con il nome del
dinasta ellenistico o con l'indicazione dell'anno di una <<èra>> (ad
esempio quella di Silla dall'85 a.C., impiegata in Asia Minore fino al
III secolo d.C.), oppure con la menzione dei consoli romani o del­
l'imperatore romano, o della sola <<indizione>> (ciclo fiscale quinde­
cennale) , che è indicazione piuttosto ambigua (cfr. V. Grumel, La
chronologie, Paris, 1958) . Ma nessuno di questi aspetti autorizza in
linea di principio un settorialismo dell'epigrafia antica, e tanto meno
una dissociazione dell'epigrafia <<cristiana>> da quella <<pagana>>.
Un <<cordone ombelicale>> connette la cultura greca classica con
quella romana e poi tardoantica (pagana e cristiana) e persino bizan­
tina (vd. ora notevole il saggio di G. Cavallo, Le tipologie della cultu­
ra nel riflesso delle testimonianze scritte, in Bisanzio, Roma e l'Italia
nell'Alto Medioevo, in Centro Ital. di Studi sull'Alto Medioevo, Spo­
leto, 1988, vol. 34, 2 , pp. 467-5 16): le innegabili trasformazioni inter­
venute non hanno mai cancellato la continuità con quanto precede.
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 23 1

Appunto, l'epigrafia con la sua molteplicità di doc11111enti, dal VII


secolo a.C. al tardoantico, deve restare la disciplina connettiva che
offre il <<filo rosso>> per la costruzione di ogni storia di <<lunga dura­
ta>>, anche regionale: questa non deve lasciarsi condizionare da una
ideologia, qualsiasi essa sia, che la renderebbe monotona; ma deve
essere vivificata e resa brillante in ogni momento storico grazie ai vari
doc11111enti e tra essi in particolare quelli epigrafici, che inopinata­
mente senza sosta emergono per rivelarci realtà, anche piccole, ma
sempre nuove e ricche di sapore, <<cose>>, le sole che possano conferi­
re al nucleo-dia111ante, che è la <<narrazione storica rettilinea>>, le ne­
cessarie curve e sfaccettature da cui scaturisce luce e vita per l'uomo
moderno che si impegna a ricostruirla. E sempre in via provvisoria.

6. Bibliografia

6.1 . A proposito di problemi s pecifici tr attati nel testo

Sulla scrittura Lineare B cfr. A.J. Evans, Scripta Minoa. I: The


Hieroglyphic and Primitive Linear Classes, Oxford, 1900; A.J. Evans e
J.L. Myres, Scripta Minoa. II: Archives of Knossos, Oxford, 1952 ; M.
Ventris e ]. Chadwick, Documents in Mycenean Greek, Cambridge,
19732; L. Godart, La scrittura lineare A, in <<La Parola del Passato>>,
3 1 ( 1976), pp. 3 0-47 ; A proposito delle e4J'zioni di iscrizioni vascolari
in Lineare B, in <<La Parola del Passato>>, 3 1 ( 1976) , pp. 1 18- 122 ; Le
pouvoir de l'écriture. Aux pays des premières écritures, Paris, 1 990;
!.:invenzione della scrittura. Dal Nilo alla Grecia, Torino, 1992 ; A.
Morpurgo, Mycenaeae Graecitatis Lexicon, Roma, 1963 ; Le origini dei
Greci. Dori e. mondo egeo (Roma, aprile 1983), a cura di D. Musti,
Bari, 1985 ; La civiltà micenea. Guida storica e critica, a cura di G.
Maddoli, Roma - Bari, 19923 , pp. 4-14. Vd. anche J. Chadwick, Li­
neare B: l'enigma della scrittura micenea, Torino, 1959 e Id., Il mondo
miceneo, Milano, 1980; A. Sacconi, I sistemi grafici del mondo egeo
tra la fine del II e l'inizio del I millennio a. C. , in La transizione dal
Miceneo all'alto Arcaismo: Dal palazzo alla città (indi cit. La transz'z. ).
Atti Conv. Intern. (Roma, marzo 1988), a cura di D. Musti e altri,
Roma, 199 1 , pp. 43-52; L. Godart e Y. Tzedakis, La storia della Li­
neare B e le scoperte di Armenoi e La Canea, in <<Rivista di Filologia e
d'Istruzione Classica>>, 1 17 ( 1 989) , pp. 385 -409; Idd. , Les nouveaux
textes en linéare B de La Canée, <<Rivista di Filologia e d'Istruzione
Classica>>, 1 19 ( 199 1 ) , pp. 129- 149.
Per il problema della <<invasione dorica>>, quale graduale infiltra­
zione, vedi L. Godart, La caduta dei regni micenei a Creta e l'invasio­
ne dorica, in Le origini dei Greci, cit., pp. 173 -200; J. Chadwick, Who
were the Dorians?, in <<La Parola del Passato>>, 3 1 (1976), pp.
103 - 1 17.
Sulla <<oralità>>, cfr. G. Ca111 assa, Aux origines de la codification
écrite des lois en Grèce, in Les savoirs de l'écriture en Grèce ancienne,
232 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

Lille, 1 988, pp. 130- 155; vd. pure J. Svenbro, Storia della lettura nel­
la Grecia antica, Bari, 1991.
Per il sillabario di Ugarit, cfr. G. Garbini, Gli <<alfabeti>> semitici
settentrionali, in <<La Parola del Passato>>, 3 1 (1976), pp. 66-81 . Per
l'origine cretese dell'alfabeto, M. Guarducci, !.:epigrafia greca dalle
origini al tardo impero, Roma, 1987 , pp. 17 ss. Per opinioni divergen­
ti, cfr. ad esempio A.G. Woodhead, The Study o/ Greek Inscriptions,
Cambridge, 19812; L.H. Jeffery, The Loca! Scripts o/ Archaic Greece.
A Study o/ the Origins o/ the Greek Alphabet and Its Development
/rom the Eighth to the Fzfth Century B. C. , Oxford, 19902. Sull'iscri­
zione di Gabii voi. A.M. Bietti Sestieri, A. De Sanctis e A. La Regi­
na, Elementi di tipo culturale e doni personali nella necropoli laziale di
Osteria dell'Osa, in <<Scienze dell'Antichità. Storia Archeologia Antro­
pologia>>, 3-4 ( 1 989- 1990), pp. 65-88. Per una recente discussione
sull'origine dell'alfabeto vd. J. Naveh, Early History o/ the Alphabet,
Leiden, 19872; R. Wachter, Zur Vorgeschichte des Griechischen Alpha­
bets, in <<Kadmos>>, 18 ( 1 989) , pp. 19-78; Phoinikeia Grammata: lire
et écrire en Mediterranée. Actes du Colloque de Liège. 15- 1 8 novembre
1 989, a cura di C. Baurain, C. Bonnet e V. Krings, Namur, 199 1 .
Per un'origine mercantile dell'alfabeto greco, cfr. M. Lombardo,
Mercanti: transazioni economiche, scrittura, in Sapere e scrittura in
Grecia, a cura di M. Detienne, Bari, 1989 ( Lille, 1 988) , pp.
=

85-108.
Fondamentale tuttora la classificazione degli alfabeti in A. Kirch­
hoff, Studien zur Geschichte des griechischen Alphabets, Giitersloh,
18874, tav. 1 , ripresa da M. Guarducci, !.:epigrafia greca, cit., pp. 22
ss. Utilissime ed eseguite con acribia le carte degli alfabeti dei vari
centri greci, ibidem, Allegato I-II.
Per l'evoluzione formale della scrittura greca, ricche osservazioni
in M. Guarducci, I.:epigrafia greca, cit., pp. 81 ss. e specialmente Epi­
grafia greca, Roma, voi. I, 1967, pp. 368 ss. Sullo stile stoiched6n, ri­
gorosa111 ente applicato dal V al IV secolo a.C., che ha pe1·111esso inte­
grazioni a 1nmirevoli da parte degli epigrafisti della Scuola Americana,
cfr. St. V. Tracy, The Lettering o/ an Atheni'an Mason, in <<Hesperia>>,
Suppi. 15 , Princeton, 1975. Esiste anche una scrittura <<a pilastro>>
(xtov11è)6v ) : cfr. Guarducci, I.:epigrafia greca, cit., voi. I, pp.
4 15-4 16.
Per le abbreviazioni, fonda111 entale M. Avi-Yonah, Abbreviations
in Greek Inscriptions, in <<Quart. of the Depart. of Antiq. in Pale­
stine>>, London, 1940 e Ares Pubi. , Chicago, 1974, pp. 1 - 125 .
Per le scoperte greche a Af Khanoum, cfr. L. Robert, in <<Com­
ptes Rendus de l' Academie des Inscriptiones et Belles Lettres>>_; 1968,
pp. 416-457 ; per la identificazione di centri antichi, Id. , in <<BE>>, 154
(1954), 179 ( 1 962 ) , ecc.; per Diogene di Enoanda e gli oracoli della
Theosophia, cfr. Id. , in <<BÉ>>, 448 ( 1 973 ) , 655 ( 1 976), 482 ( 1 977), e
ora L. Canfora, Diogene di Enoanda e Lucrezio, in <<Rivista di Filolo­
gia e d'Istruzione Classica>>, 120 ( 1 992 ), pp. 39-66.
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 23 3

Per i sistemi cronologici cfr. A.E. Sa111uel, Greek and Roman


Chronology. Calendars a�nd Years in Classica! Antiquity, �iinchen,
1972 (integrazioni in <<BE>>, 77, 1973 ) ; per le <<ere>>, vedi <<BE>>, Index
III, Les mots /rançais, p. 52, s.v. ère, e ora W. Leschhom, Antike Ae­
ren . Zeitrechnung Politik u. Geschichte im Schwarzmeerraum und in
Kleinasien nordlich des Tauros, Stuttgart, 1993 .
Per le iscrizioni come pallido riflesso degli archivi pubblici, cfr. L.
Robert, Épigraphie, in I.:histoire et ses méthodes, in <<Encyclopédie de
la Pléiade>>, Paris, 196 1 , p. 458, L. Boffo, Ancora una volta sugli <<ar­
chivi>> nel mondo greco: conservazione e <<pubblicazione>> epigrafica, in
<<Athenaeum>>, 83 (1995 ), pp. 9 1 - 130. Per l'archivio di Paros, cfr. W.
La111brinoudakis e M. Worrle, Ein hellenistisches Re/ormgesetz iiber •

das offentliche Urkundenwesen von Paros, in <<Chiron>>, 13 ( 1 983 ),


pp. 283 -368.
Per epigrafia e statistica, vd. per esempio L. Moretti, Statistica de­
mografica ed epigrafia, in <<Epigraphica>>, 2 1 ( 1 96 1 ) , pp. 60-78; M.
Sgarlata, Ricerche di demografia storica. Le iscrizioni tardo-imperiali di
Siracusa, Città del Vaticano, 199 1 , pp. 102 ss.

6.2. Orientamenti generali

Di grande utilità M. Guarducci, Epigrafia greca, 4 voll. , Roma,


1968- 1978; di eno1111e profitto Guide de l'épigraphiste. Bibliographie
choisie des épigraphies antiques et médiévales, a cura di F. Bérard, D.
Feissel, P. Petitmengin, M. Sève et al. , Paris, 19892; e tu}tavia non
può essere trascurata la consultazione approf9ndita del <<BE>>; incluso
nei corrispondenti vol111ni della <<Revue des Etudes Grecques>>, conti­
nuato dal 1938 (per i primi due anni insieme con R. Flacelière) da
Jeanne e Louis Robert fino al� 1984, interrotto per la morte del Mae­
stro il 3 1 maggio 1985 . Il <<BE>> ha ripreso la pubblicazione nel 1987
�d opera di vari compilatori, secondo nuovi criteri (cfr. <<Revue des
Etudes Grecques>>, 99, 1 986, pp. 1 1 7-1 18) in verità non del tutto
soddisfacenti. 01111ai esso presenta diverse sezioni; mancano però
l'ordine geografico, tanto utile, e una certa unità che lo avevano ca­
ratterizzato in precedenza.
D'altra parte si è incrementata la pubblicazione del Supplemen­
tum Epigraphicum Graecum (SEG) , con migliore metodo dal voi.
in poi, a cura di H.W. Pleket e R.S. Stroude, con la partecipa­
zione anche di L. Moretti, giunto al voi. XLI ( 1 9�1).
Per agevolare la consultazione serrata del <<BE>> si è provveduto
alla rista111pa in 10 voll. di tutti i fascicoli dal 193 8 al 1984, con quat­
tro Indices particolareggiati, che riguardano gli anni 193 8- 1977, a
parte il fascicolo Les mots /rançais, Paris, 1975.
Fonda111entali restano i Corpora e le raccolte epigrafiche. Rivelatisi
ben presto superati i voll. delle iscrizioni attiche, IG I-II-III, editio
maior (1873 - 1 897), ad eccezione di JG III, Pars 3 , Appendix: Defixio­
num tabellae, a cura di R. Wiinsch ( 1 897) , si preparò una editio mi-
234 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

nor, IG 12: Inscriptiones Atticae Euclidis anno [403/2 a.C.] anterz'ores,


a cura di F. Hiller von Gartringen ( 1924), ora aggiornata da una edi­
tio tertia, IG 13, 1 (Decreta et Tabulae magistratuum), a cura di D.
Lewis ( 198 1 ) ; 2 (Dedicationes, Catalogi: Termini: Tituli Sepulcrales,
Varia, Tituli Attici extra Atticam Reperti: Addenda), a cura di D. Le­
wis e L. Jeffery + (adiuvante E. Erxleben), Berolini, 1994 .
IG 11/1112, Inscriptiones Atticae Euclidis anno [403 /2 a.C.] posteriores,
a cura di I. Kirchner ( 1913- 1940) .

Pars 1 . Decreta continens.


Fase. 1 , Decreta annorum 40312-230129 (1913).
Fase. 2, Decreta anno 22918 posteriora. Accedunt leges sacrae
( 1916).
Pars 2 . Tabulas magistratuum, catalogos nominum, instrumenta iuris
privati continens.
Fase. 1 , Tabulae magistratuum ( 1927) .
Fase. 2 , Catalogi nominum. Instrumenta iuris privati (193 1 ).
Pars 3 . Dedicationes, titulos honorarios, titulos sacros, titulos sepul­
crales continens.
Fase. 1 , Dedicationes, tituli honorarii: tituli sacri ( 1 935).
Fase. 2, Tituli sepulcrales, tituli memoria/es. Insunt tabulae duae
( 1 940) .
Pars 4. Indices continens.
Fase. 1 , Archontum tabulae. Chronologica. Sermo publicus decre­
torum proprius ( 1 918).

IG IV, Inscriptiones Argolidis, a cura di M. Frankel ( 1 902).


IV2, Fase. 1 , Inscriptiones Epidauri, a cura di F. Hiller von Gar­
tringen ( 1 929).
IG V, Inscriptiones Laconiae, Messeniae, Arcadiae.
Fase. 1 , Inscriptiones Laconiae et Messeniae, a cura di W. Kolbe
( 1913 ).
Fase. 2, Inscri'ptiones Arcadiae, a cura di F. Hiller von Gartrin­
gen ( 1 913 ) .
IG VII, Inscriptiones Megaridis et Boeotiae, a cura di W. Dittenber­
ger (1892) .
IG IX, Inscriptiones Graeciae septentrionalis voluminibus VII et VIII
[Inscriptiones Delphorum, ancora non pubblicate] non comprehensae.
Pars 1 . Inscriptiones Phocidis, Locridis, Aetoliae, Acarnaniae, insula­
rum maris Ionii, a cura di W. Dittenberger ( 1 897) .
Pars 12. Fase. 1 , Inscriptiones Aetoliae, a cura di G. Klaffenbach
( 1 932).
Fase. 2, Inscri'ptiones Acarnaniae, a cura di G. Klaffenbach
( 1 957 ).
Fase. 3 , Inscriptiones Locridis Ocidentalis, a cura di G. Klaffen­
bach ( 1 968).
Pars 2 . Inscri'ptiones Thessaliae, a cura di O. Kern ( 1 908) .
IG X 2, 1 , Inscriptiones Thessalonicae, a cura di C. Edson ( 1 972 ).
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 235

IG XI, Inscriptz"ones Detz·.


Fase. 2 , Inscriptz"ones Delz" lz"berae. Tabulae archontum, tabulae
hz"eropoeorum annorum 3 1 4-250, a cura di F. Diirrbach ( 1 912).
Fase. 3, Tabulae, con note di F. Hiller von Gartringen (1927).
Fase. 4, Inscrzptiones Deli lz"berae. Decreta, foedera, catalogi, dedz·­
catz"ones, varza, a cura di P. Roussel ( 1 9 14).
Intanto dal 1926 l'Académie des lnscriptions et Belles Lettres ini­
ziò la pubblicazione delle Inscrzptz"ons de Délos, per cui IG Xl, fase. 1
fu sostituito da:
1, Périodes de l'amphictyonie ionienne et de l'amphz"ctyonz·e attz"co-dé­
lz"enne. Dédicaces et textes dz"vers écrits dans les alphabets cycladz·­
ques (Nrr. 1-35). Dédicaces, bornes, règlements, d'alphabet ionien
classzque (Nrr. 3 6-70) . Décrets déliens. Ordonnance lacédémonz"en­
ne. Décrets athénz"ens (Nrr. 7 1 -88) , a cura di A. Plassart ( 1 950) .

IG Xl, fase. 3 da:


2, Comptes des hz"éropes (Nrr. 290-3 7 1 ) , a cura di F. Diirrbach
( 1 926).
3 , Comptes des hiéropes (Nrr. 372-498). Lozs ou règlements, contrats
d'entreprz"ses et devzs (Nrr. 499-509), a cura di F. Diirrbach
( 1 929).

IG XI, fase. 4 da:


4, Actes des fonctionnaz·res athénz"ens préposés à l'admz"nzstratz"on des
sanctuaires après 1 66 av. ]. -C. (Nrr. 1400- 1479). Fragments d'actes
dz"vers (Nrr. 1480- 1496) , a cura di F. Diirrbach e P. Roussel
( 1 935).
5, Décrets postérz·eurs à 1 66 av. ].-C. (Nr. 1497- 1524). Dédz"caces po­
stérz"eures à 1 66 av. ].-C. (Nr. 1525-22 19), a cura di P. Roussel e
M. Launey (1937).
6, Dédz'caces postérieures à 1 66 av. ]. -C. (Nrr. 2220-2528). Textes dz'­
vers, listes et catalogues, framents dz"vers postérz'eurs à 1 66 av. ].-C.
(Nrr. 2529-2879), a cura di P. Roussel e M. Launey (1937 ) .

IG XII, Inscrzptz'ones z'nsularum marzs Aegaei praeter Delum.


Fase. 1, Inscriptiones Rhodi, Chalces, Carpathi cum Saro, Casi·, a
cura di F. Hiller von Gartringen ( 1 895 ) .
Fase. 2, Inscrzptz'ones Lesbi, Nesz: Tenedz·, a cura di W.R. Paton
( 1 899).
Fase. 3 , Inscrzptiones Symes, Teutlussae, Telz: Nz'syrz: Astypalaeae,
Anaphes, Therae et Theraszae, Pholegandri, Meli, Cz'moli, a cura
di F. Hiller von Gartringen ( 1 898) . .
Supplementum, a cura di F. Hiller von Gartringen ( 1 904 ).
Fase. 5, Inscriptiones Cycladum, a cura di F. Hiller von Gartrin­
gen (1903 -1909) .
Fase. 7, Inscrzptz'ones Amorgz· et z'nsularum vz·a·narum, a cura di I.
Dela111arre ( 1908).
236 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

Fase. 8, lnscriptiones insularum maris Thraeiei, a cura di C. Fre­


drich ( 1 909) .
Fase. 9, lnscriptiones Euboeae insulae, a cura di E. Ziebarth
( 1915).
Supplementum [ai Fase. 2. 3 . 5 . 7 . 8. 9] , a cura di F. Hitler von
Gartringen ( 193 9).

IG XIV lnseriptiones Sieiliae et ltaliae (additis Galliae, Hispaniae,


,

Britanniae, Germaniae inseriptionibus), a cura di G. Kaibel (Galliae


inscriptiones, a cura di A. Lebègue) ( 1 890) .

Il piano di lavoro proposto nel 1902 da U. Wila1nowitz von Mol­


lendorff (genero di Tu. Mommsen, ideatore del CJL), alla Accademia
di Berlino per una edizione aggiornata delle JG, in /olio, in 15 sezio­
ni, con ridotto commento, ma con ampie introduzioni per ognuna, fu
completato solo per le parti sopra elencate. Le lacune, a parte l'inse­
rimento della editio minor, furono colmate con pubblicazioni autono­
me: così per la sezione IG VI (Elide; Achaia) provvide in parte l'ope­
ra di W. Dittenberger e K. Purgold, Die lnsehri/ten von Olympia,
Berlin, 1896; per JG VIII (Delfi) intervennero nelle Fouilles de Del­
phes (FD) i voll. della sezione III, Épigraphie, Paris, 1929, con le inte­
grazioni III 1 -2-3 -4-5-6 e ancora G. Rougemont, Lots saerées et rè­
glements religieux, Paris, 1977; a integrazione di JG XII, Fase. 1 , per
Rodi si sono acc11111ulate varie pubblicazioni (A. Maiuri, M. Segre, G.
Pugliese Carratelli, V. Kontorini); per IG XII, Fase. 4, che doveva
includere le iscrizioni di Cos e Calymna, bisogna ricorrere a pubblica­
zioni di W.R. Paton e E.L. Hicks, R. Herzog e G. Klaffenbach, M.
Segre; per XII, Fase. 6 (Samo: si è atteso invano il Corpus di G. Dunst)
sopperiscono sparse pubblicazioni (cfr. Guide de l'épigraphiste, cit.,
nrr. 156- 159); per JG XII, Fase. 8 (Taso) si può ricorrere a J. Pouil­
loux, Reeherehes sur l'htstoire et les eultes de Thasos, Paris, 1954-1958,
,

in <<Etudes thasiennes>>, 3 e 5 ; per JG XIII (Creta) si dispone delle


lnseriptiones Cretieae, I (Creta centrale, tranne Gortina, 1935) ; II
(Creta occidentale, 1939); III (Creta orientale, 1942); IV (Gortina,
1950): ogni voi. con introduzione per le singole città e un commento
dei testi, in latino; per JG XV (Cipro) si dispone di pubblicazioni
dell� iscrizioni greche di alcuni centri, ad esempio Kourion e Salamina
[<<BE>>, 889, 1988] , a parte quelle sillabiche raccolte da O. Masson.
Gli aggiornamenti sono stati molteplici: per JG XIV vanno segna­
lati L. Moretti, lnseriptiones Graeeae Urbis Romae (IGUR), 1-111,
1968- 1979; IV, 1990 con ottimi lemmi e apparato critico; nella serie
<<Iscrizioni Greche d'Italia>> sono apparsi G. Sacco, Porto, 1984 e E.
Miranda, Napoli, I, 1990; Il, 1995 ; io stesso preparo il Corpus di Li­
para, mentre resta nei voti quello della Sicilia; cfr. però L. Dubois,
lnseriptiones greeques dialeetales de Sieile, Rome, 1989.
Della serie dei Tituli Asiae Minoris (TAM), a cura della Accade­
mia di Vienna, dove insegnò fino alla morte A. Wilhelm, sono appar­
si i seguenti volumi:
LE f'ON'fI EPIGRAFICHE GRECHE 23 7

I. Tituli Lyeiae lingua Lyeia eonscripti, a cura di E. Kalinka


( 1 90 1 ) .
II. Tituli Lyeiae linguis Graeea et Latina eonseripti:
Fase. 1 , Pars Lyaae oeeidentalis eum Xantho oppido, a cura di E.
Kalinka ( 1 920) .
Fase. 2, Regio quae ad Xanthum flumen pertinet praeter Xant­
hum oppidum, a cura di E. Kalinka (193 0).
Fase. 3 , Regiones montanae a valle Xanthi fluminis ad oram
orientalem, a cura di E. Kalinka ( 1 944).
III. Tituli Pisidtae linguis Graeea et Latina eonscripti:
Fase. 1 , Tituli Termessi et agri Termessensis, a cura di R. He­
berdey ( 1 94 1 ) .
IV. Tituli Bithyniae linguis Graeea et Latina eonscripti:
Fase. 1 , Paeninsula Bithyniea praeter Calehedonem, a cura di
F. C. Dorner ( 1 978).
V. Tituli Lydtae, linguis Graeea et Latina eonseripti:
Fase. 1 ( 198 1 ) ; 2 ( 1989), a cura di J. Keil e P. Her1111ann.

Della serie dei Monumenta Asiae Minoris Antiqua ( ) pos-


sediamo:

I. Eastern Phrygia, a cura di W.M. Calder ( 1 928).


II. Mertamlik und Korykos. Zwei ehristliehe Ruinensta'tten des Rau­
hen Kilikiens, a cura di E. Herzfeld e S. Guyer ( 1 93 0).
III. Denkma'ler aus dem Rauhen Kilikien, a cura di J. Keil e A. Wil­
helm ( 1 93 1 ).
IV. Monuments and Doeuments /rom Eastern Asta and Western Ga­
latta, a cura di W.H. Buckler, W.M. Calder e W.K.C. Guthrie
(1933 ) .
V Monuments /rom Doryleaum and Naeolea, a cura di C.W.M.
Cox e A. Cameron ( 1 937).
VI. Monuments and Documents /rom (Western) Phrygta and (North­
ern) Carta, a cura di W.H. Buckler e W.M. Calder ( 193 9).
VII. Monuments /rom Eastern Phrygia, a cura di W.M. Calder
( 1 956).
VIII. Monuments /rom Lyeaonia, the Pisido-Phrygtan Borderland, Aph­
rodiszas, a cura di WM. Calder, J.M.R. Cormack, con la colla­
borazione di M.H. Ballance e M.R.E. Gough (1962 ).
IX. Monuments /rom the Aezanitis, a cura di B. Levick e S. Mitchell
( 1 988) .
Per , III cfr. ora G. Dagron e D. Feissel, Inseriptions de
Cilieie, in <<Travaux et Mémoires . . . Byzance>>, 4, Paris, 1987.
Va inserito il voi., purtroppo monco della prima parte per la
morte dell'Autore, La Carie, Histoire et géographie historique avee le
reeueil des inseriptions antiques, a cura di L. e J. Robert, II, Le pla­
teau de Tabai et ses environs, Paris, 1954.
Per la Siria, ad aggiornamento di W.H. Waddington, Ins6rtptions
Greeques et Latines de la Syrie, Paris, 1870 (con contributo di Ph. Le
23 8 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

Bas), si annovera la serie delle Inscriptions Greques et Latines de la


Syrie, iniziata a cura di L. Jalabert, R. Mouterde e Cl. Mondésert:

I. Commagène et Cyrrhestique, Paris, 1 929.


II. Chalcidique et Antiochène, Paris, 1939.
III. 1 , Région de l'Amanus, Antioche, Paris, 1950.
III. 2 , Antioche (seguito). Antiochène. Index des tomes I-III, Paris,
1953 .
IV. Laodicée. Apamène. Chronologie des inscriptions datées des to-
mes I-IV, Paris, 1955 .
V. Émésène, Paris, 1959.
VI. Baalbek et Beqa, a cura di J. -P. Rey-Coquais, Paris, 1967 .
VII. Arados, a cura di J.-P. Rey-Coquais, Paris, 1970.
VIII. 3 , Inscriptions d'Hadrien, a cura di J. -Fr. Breton, Paris, 1980.
III. 1 , Bostra, a cura di M. Sartre, Paris, 1982.
XXI . 2 , ]ordanie, a cura di P. -L. Gatier, Paris, 1986.

Merita di essere ricordato G. Mihailov, Inscri'ptiones Graecae in


Bulgaria repertae, 1 958- 1978.

I. Inscri'ptiones orae Ponti Euxini ( 1 956, 197a2).


II. Inscriptiones inter Danubium et Haemum repertae ( 1 958) .
III. Inscriptiones inter Haemum et Rhodopem repertae:
Fase. 1 , Territorium Philippopolis ( 1 96 1 ) .
Fase. 2 , A territorio Philippopolitano usque ad oram Ponticam
(1964).
IV. Inscriptiones in territorio Serdicensi . ( 1 966) .
. .

Per l'Egitto, dopo la magistrale, anche se ormai invecchiata, ope­


ra di A.-J. Letronne, Recueil des inscriptions de l'Égypte, Paris, 1842-
1 848, vanno ricordati J.G. Milne, Greek Inscriptions, in <<Catalogue
général des antiquités égyptiennes du Musée du Caire>>, Oxford,
1 905; E. Breccia, Iscrizioni greche e latine, <<Catalogue général des an­
tiquités égyptiennes du Musée d'Alexandrie>>, Kairo, 191 1 ; gli otto
studi di A. e E. Bernand (cfr. Guide de l'épigraphiste, cit., nrr. 321
ss.).
Per la Cirenaica si vedano il gruppo di iscrizioni in SEG 9 ( 1 944,
pp. 138 ss. ), quelle edite da G. Oliverio, G. Pugliese Carratelli e D.
Morelli, in <<ASA>>, 39-40 ( 196 1-1962) , pp. 2 1 9-3 75 , le varie presenta­
te da J.M. Reynolds e da L. Gasperini, ora tutte tenute presenti in
S.M. Marengo, Lessico delle iscrizioni greche della Cirenaica, Roma,
1991. ,

Nonostante i difetti rilevati da L. Robert (<<BE>>, 24, 1954) , merita


attenzione J.-B. Frey, Corpus Inscriptionum Iudaicarum (CI]) Recueil
des inscri'ptions juives qui vont du IIIe siècle avant ]. C. au VIIe siècle
de notre ère, I. Europe, Città del Vaticano, 1936; II. Asie-Afrique, a
cura di G. Kittel e G. Spadafora, Città del Vaticano, 1952.
LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE 239

La rista111 pa di detto CI] I (New York, 1975) presenta un aggior­


namento di B. Lifshitz, autore di un'opera d'integrazione, non rima­
sta la sola (cfr. Guide de l'épigraphiste, cit., nrr. 753 -755) .
Di grande ausilio la serie di circa 50 voli. delle Inschri/ten griechi­
scher Stiidte aus Kleinasiens (IK), iniziata nel 1972 e portata avanti
con tenacia e abnegazione da R. Merkelbach a Koln, pubblicata a
Bonn. Non tutti i vol11111i, però, sono di eguale acribia e alcuni hanno
suscitato critiche.
Sulla base delle iscrizioni edite sono da tempo costituite sillogi
destinate ad una introduzione istituzionale e a mettere in evidenza
particolari aspetti del mondo greco: scelta di iscrizioni <<storiche>>
presentano Ch. Michel, Recueil d'inscri'ptions grecques, Bruxelles,
1900; W. Dittenberger, Orientis Graeci Inscriptiones Selectae ( OGIS),
2 voli., Leipzig, 1903 - 1905 ; Id. , Sylloge Inscriptionum Graecarum
(SIG), Leipzig, 1915-19243 , 3 voli. + 1 voi. di utilissimi, minuziosi
indices (cit. Syll.3), da integrare con W. Gawantka, Konkordanzen zu
Dittenbergers . . . , Hildesheim, 1977; M.N. Tod, A Selection o/ Greek
Historical Inscriptions, 2 voli., Oxford, 1946- 19482, rinnovato per il V
secolo in R. Meiggs e D. Lewis, A Selection o/ Greek Historical Ins­
criptions, Oxford, 1969, 19882; J. Pouilloux, Choix d'inscriptions grec­
ques, Paris, 1960; L. Moretti, Iscrizioni storiche ellenistiche, 2 voli.,
Firenze, 1967 - 1 976. Non vanno tralasciati, anche se la doc11111entazio­
ne non è esclusiva111 ente epigrafica, Die Staatsvertriige des Altertums,
editi da H. Bengtson. II: Die Vertrage der griechisch-romischen Welt
von 700 bis 338 v. Chr. , a cura di H. Bengtson, con la collaborazione
di R. Wemer, Miinchen - Berlin, 1962 . Per la storia ellenistica resta
indispensabile C.B. Welles, Royal Correspondence in the Hellenistic
Period, New Haven, 1934.
Per vari aspetti della vita e dei cost11111i della società greca sono
proficue opere quali: L. Robert, Les gladiateurs dans l'Orient grec,
Paris, 1940; L. Moretti, Iscrizioni agonistiche greche, Roma, 1953 ;
Sport e agoni, a cura di P. Angeli Bernardini, Roma - Bari, 1988.
Per gli aspetti giuridici e sacrali, R. Dareste, B. Haussoullier e
Th. Reinach, Recueil des inscriptions ;'uridiques grecques, 2 voli., con
testi e traduzione con commento, Paris, 1891- 1904; V. Arangio Ruiz
e A. Olivieri, Inscriptiones Graecae, Siciliae et infimae Italiae ad ius
pertinentes, Milano, 1925; L. Migeotte, /;emprunt public dans les cités
grecques, Québec - Paris, 1984; Id., Les souscriptions publiques dans
les cités grecques, Genève - Québec, 1992 ; I. De Prott e L. Ziehen,
Leges Graecorum sacrae e titulis collectae, 2 voli., Leipzig, 1896- 1906,
da integrare, anche se soggetto a critiche, con F. Sokolowski, Lois
sacrées de l'Asie Mineure, Paris, 1955 ; Lois sacrées des cités grecques.
Supplément, Paris, 1962 e Lots sacrées des cités grecques, Paris, 1969.
Per la superstizione greca, A. Audollent, Defixionum tabellae quot­
quot innotuerunt tam in Graecis Orientis quam in totius Occidentts
partibus praeter Atticas in Corpore Inscriptionum Atticarum [IG III 3 ]
editas, Paris, 1904.
240 LE FONTI EPIGRAFICHE GRECHE

Per i riferimenti a realtà archeologiche e artistiche, cfr. , ad esem­


pio, F.G. Maier, Griechische Mauerbauinschri/ten, 2 voli., Heidelberg,
1959- 196 1 .
Per l' epigra111matica funeraria, e spesso onoraria, cfr. anzitutto G.
Kaibel, Epigrammata Graeca ex lapidibus conlecta, Berlin , 1 878; W
Peek, Griechische Vers-Inschrzften, Berlin. I: Grabepigramme, 1955
(sebbene tenda a ricostruire interi versi secondo formtÙari non sem­
pre giustificati) . Una nuova raccolta di iscrizioni metriche (non solo
funerarie) , ordinata cronologica111ente, è stata iniziata da P.A. Han­
sen, Carmina Epigraphica Graeca. I: Saec. VIII-V a. Chr. n. (CEG 1 ) ,
Berlin - New York, 1983 ; Id. , CEG 2 (Carmina Epigraphica Graeca
saeculi IV a. Chr. n. ), 1989.
L'apporto delle iscrizioni per lo studio dei dialetti greci è stato
enorme: fondamentali le vecchie raccolte di H. Collitz e F. Bechtel,
Sammlung der Griechischen Dialekt-Inschrzften, 4 voli. , Gottingen,
1884- 1915 (GDI); E. Schwyzer, Dialectorum Graecarum exempla epi­
graphica potiora, Leipzig, 1 923 .
Per le iscrizioni greche di epoca romana, anche se invecchiato e
pieno di inesattezze, va tenuto presente R. Cagnat, Inscriptiones
Graecae ad res Romanas pertinentes, voli. I, III, IV, Paris, 1906- 1927;
sistematico, R.K. Sherk, Roman Documents /rom the Greek East. Se­
natus consulta and epistulae to the Age o/ Augustus, Baltimore, 1969.
Per la epigrafia <<cristiana>> in greco si veda la bibliografia essen­
ziale già richia1nata supra, pp. 227-228.
Capitolo 5

1 . La civiltà dell'epigrafe

Nel mondo d'oggi è normale pensare alle lapidi scritte pressoché


esclusiva1nente come a quella parte della tomba a cui è affidata la
commemorazione del defunto. In misura assai più ridotta iscrizioni
lapidarie o in bronzo compaiono nelle nostre città, anche al di fuori
dei recinti dei cimiteri, sulle basi di mon111nenti o sulla facciata di
qualche edificio, a ricordo di avvenimenti importanti o di personaggi
illustri; mentre spesso ai muri è anche affidato il compito di trasmet�
tere, attraverso graffiti o scritte tracciate più o meno rozzamente a
vernice, messaggi politici, sportivi o personali, frutto di una comuni..
cazione <<forte>>, ma marginale e clandestina, che non può (o non
vuole) esprimersi attraverso i canali pubblici più diffusi e consueti.
La trasmissione di messaggi scritti su supporti rigidi, di pietra, mar­
mo o metallo, è dunque ancora presente nella realtà contemporanea,
ma essa appare per lo più confinata, anche materialmente, nell'ambi ..
to cimiteriale, oppure occasionalmente espressa in funzione celebrati­
va, oppure, ancora, affidata alle pulsioni estemporanee dei graffitisti
di strada.
Nel mondo antico, e in particolare nel periodo che va dalla tarda
repubblica a tutto l'alto impero romano, le iscrizioni incise su sup ..
porto lapideo o, più raramente, metallico (bronzeo in p articolare) eb­
bero un uso enormemente più ampio: non a caso v'è chi ha voluto
definire il mondo romano <<civiltà dell'epigrafe>>, così come si su0le
definire l'età contemporanea <<civiltà dell'immagine>>. In effetti, nel­
l'impero di Roma, l'epigrafe svolse un compito di medium di comu ..
nicazione di massa, di veicolo privilegiato di trasmissione di messaggi
pubblici o di messaggi privati, destinati però a un pubblico il più
vasto possibile. Passano così, attraverso lo strumento epigrafico, com­
memorazioni di defunti ed esaltazioni autopropagandistiche, titolatu­
re imperiali e scansioni onorifiche di carriera, ex voto e dediche cul­
tuali, leggi e disposizioni, atti pubblici e atti privati con valore giuri-
242 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

dico, verbali di associazioni e liste magistratuali, indicazioni viarie e


insegne di bottega, ter111ini di confine e delimitazioni di proprietà,
manifesti elettorali e invettive private, diplomi militari e attribuzioni
di opere pubbliche, dichiarazioni di voto e dichiarazioni di at11ore,
maledizioni e sortilegi; senza contare l'ulteriore, infinita varietà dei
micromessaggi, incisi, graffiti o dipinti sugli oggetti di uso quotidia­
no. Possiamo dire, in altri ter111ini, che nella società romana imperiale
le iscrizioni costituivano il mezzo principale di diffusione della comu­
nicazione interpersonale in tutte le forme e le modalità che allora as­
sumeva, e che esse fungevano da tramite mediale, primario e pervasi­
vo, fra area del privato e caduco e area del pubblico e per111anente.
Una destinazione sociale così articolata e multivalente si riflette,
esaltandolo, sul valore doc11111entario che le centinaia di migliaia di
epigrafi latine conosciute esprimono in quanto fonti per lo studio
della storia di Roma. Da questo punto di vista occorre subito osser­
vare come le iscrizioni offrano allo studioso informazioni, delucida­
zioni o riscontri sui grandi eventi o sulle grandi trasfor111 azioni della
storia romana soltanto in una percentuale minima di casi, anche se
l'eno1111e massa di materiale iscritto a noi pervenuto diretta111ente (o i
cui testi ci sono stati tramandati dalla tradizione manoscritta) com­
prende pure alcuni documenti utili e importanti per arricchire le no­
stre nozioni sulla <<grande storia>> evenemenziale, politica e socioeco­
nomica. I.: apporto conoscitivo della documentazione epigrafica si
estende però, in massima parte, ad aspetti diversi e complementari,
ma non per questo meno significativi e importanti, della realtà e della
vicenda storica: i temi di indagine che attengono alla storia socioan­
tropologica, agli aspetti giuridico-istituzionali, alla cultura materiale,
alla valutazione dell'immaginario collettivo, ali' analisi demoscopica e
biometrica, alla scoperta del <<quotidiano>> (attraverso lo studio della
famiglia, del lavoro, della casa, dell'aspettativa di vita, dei sentimenti,
dei modelli sociali di riferimento, degli status symbols), alla religiosità
popolare e ufficiale, alla magia, ai meccanismi di aggregazione del
consenso, alla mobilità sociale, ai fenomeni di assimilazione e resi­
stenza etnoculturale e linguistica trovano tutti nelle iscrizioni (utiliz­
zate singolarmente, o più spesso, come tecnica1nente si suol dire, in
maniera <<seriale>>) un ricco e talvolta ancora non sufficientemente
sfruttato serbatoio di infor111azioni. Informazioni spesso affidabili,
non tanto perché giunte fino a noi, direttamente, compiendo senza
mediazioni un salto di quasi venti secoli, quanto perché la maggior
parte dei messaggi contenuti nelle epigrafi erano sottoposti al vaglio
rigoroso del controllo sociale: chi ad esempio si faceva esporre un' e­
pigrafe onoraria o funeraria poteva eventualmente colorire il testo
epigrafico con aggettivazioni e qualificazioni encomiastiche, ma non
poteva falsificare la propria carriera attribuendosi funzioni o magi­
strature non ricoperte, né poteva assegnarsi una professione o uno
status sociale diverso da quelli che effettivamente esercitava e rive­
stiva, perché in questo caso il falso sarebbe stato immediata111ente
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 243

smascherato ed egli avrebbe sortito l'effetto opposto a quello, auto­


propagandistico, a cui mirava.

2. La storia dell'epigrafia

L'utilizzo delle iscrizioni come fonte storica è noto fin dai tempi
antichi e il ricorso alla docl1111entazione epigrafica fa parte del baga­
glio metodologico anche di scrittori dell'antichità romana come Poli­
bio, Dionigi di Alicamasso o Svetonio: si tratta però di un uso occa­
sionale ed eccezionale, che nemmeno in epoche successive si tradusse
in prassi sistematica e diffusa. Nel corso dei secoli, periodica111ente,
vennero prodotte raccolte di testi epigrafici latini, così come ciclica­
mente l'interesse per le iscrizioni di Roma si ravvivò in coincidenza
con fenomeni ben più generali e complessivi di rinnovata attenzione
verso ogni prodotto o espressione dell'antichità classica. Non è un
caso, ad esempio, che la più antica collazione manoscritta di epigrafi
a noi nota (e conservata nel monastero svizzero di Einsiedeln) risalga
al tempo della cosiddetta rinascita carolingia.
In seguito, dopo un periodo piuttosto lungo di disinteresse e di
incomprensione (che in genere viene imputata alla diffusione nella
scrittura dei caratteri gotici e alla conseguente disabitudine alla lettu­
ra dei caratteri latini) , nuova attenzione fu riservata alle epigrafi ro­
mane nel XIV secolo, con una raccolta di iscrizioni che va sotto il
nome di Cola di Rienzo e con l'esposizione al popolo di Roma, da
parte del medesimo tribuno, della tavola bronzea della !ex de imperio
Vespasiani (la legge, cioè, con cui il fondatore della dinastia flavia fis­
sava per iscritto le prerogative del principe augusteo) . In epoca uma­
nistico-rinascimentale l'attenzione verso le epigrafi, concretatasi nella
produzione di numerose sillogi e raccolte, nella scoperta di nuovi e
fonda111entali testi epigrafici (come i Fasti consulares o come il co­
siddetto Monumentum Ancyranum, rinvenuto appunto ad Ankara e
che contiene inciso il testamento politico-progra111matico - le fa111ose
Res gestae - di Augusto) e nella creazione delle prime collezioni, si
inserisce nel quadro più generale della rivalutazione postmedievale
dell'antichità classica e della venerazione dei modelli artistico-cultura­
li greco-romani. Si tratta di un'impostazione di pensiero che ovvia­
mente portò a privilegiare - nelle sillogi - i doc11111enti epigrafici di
buona qualità estetica e di alto valore ideologico attualizzato (come
nel caso di Cola di Rienzo), più che non quelli di particolare valore
storico-documentario, e che determinò anche una cospicua produzio­
ne di falsi epigrafici, costruiti appunto sotto lo stimolo della sfida
imitativa che opponeva gli l1111anisti ai maestri del passato greco e
romano. Soltanto nel XVII secolo si registrano i primi tentativi di
produrre raccolte sistematiche di iscrizioni latine al fine di mettere a
disposizione degli studiosi strl1111enti di consultazione ordinati (va in
questa direzione il famoso Corpus del Gruter, reso particolar111ente
funzionale dagli indici dello Scaligero) : la vera svolta, che porta a
244 LE FONTI EPIGRAFICf1E LATINE

concepire l'epigrafe nella sua valenza primaria di fonte documentaria


e non in quella di manufatto da considerare soltanto in relazione ai
suoi maggiori o minori pregi artistici, avviene comunque nel XVIII
secolo grazie soprattutto all'attività di personaggi come il veronese
Scipione Maffei, che istituisce nella sua città natale il primo lapidario
pubblico, allestito secondo un'organica classificazione dei reperti, e
che scrive il primo manuale moderno di epigrafia, l'Ars critica lapida­
ria. Tra Settecento e Ottocento si dedicò agli studi epigrafici, secon­
do il nuovo approccio <<scientifico>>, un numero sempre più conside­
revole di studiosi, dal Muratori al Marini, dal Niebuhr al Welcher,
dal Bockh al Gerhard, dal Muller al Ritschl, dal grande Bartolomeo
Borghesi allo Henzen, dal Donati al De Rossi. Il fermento di tali stu­
di fece maturare l'esigenza, nei primi decenni dell'Ottocento, di pro­
durre una raccolta globale ed esaustiva di tutte le iscrizioni latine co­
nosciute: tale raccolta andava redatta però secondo criteri di estremo
rigore scientifico, che escludessero qualsiasi testo sospetto di falso e
riproducessero soltanto le iscrizioni esistenti e quelle perdute di cui
esisteva comunque notizia certa, documentata e fededegna. Si incari­
cò di tale opera l'Accademia di Berlino, che nell'anno 1853 affidò la
direzione e la cura dell'impresa a Theodor Mommsen: nasceva così il
Corpus Inscriptionum Latinarum, il cui obiettivo era appunto quello
di raccogliere in volumi tutte le iscrizioni dell'ec11111ene romana dal­
l'età più arcaica fino al VII secolo d.C.

3. Il ccCorpus lnscriptionum Latinarum>> e le altre principali raccolte


epigrafiche

Il Corpus Inscriptionum Latinarum (comunemente abbreviato, in


sede scientifica, CIL) rappresenta a tutt'oggi la più vasta e importan­
te raccolta di iscrizioni disponibile e lo strumento irrinunciabile per
qualunque lavoro che intenda utilizzare il materiale epigrafico. L' ope­
ra mon11111entale intrapresa da Mommsen è tuttora inconclusa, men­
tre il corso dei decenni imporrebbe ovviamente un costante aggiorna­
mento dei volumi finora pubblicati che solo in parte è possibile com­
piere; ma ciò ben poco toglie - come ripetiamo - al valore indispen­
sabile del CIL.
Il I vol111ne del CIL contiene - ordinate con criterio cronologico
- tutte le iscrizioni di epoca più antica, fino alla morte di Cesare.
Tale scelta dipende dal fatto che l'epigrafia di epoca repubblicana
presenta una percentuale minima di testi rispetto al complesso della
produzione epigrafica romana, che fu fenomeno pressoché esclusiva­
mente di età imperiale. Dal II volume · in poi le iscrizioni sono invece
ordinate secondo un criterio geografico per regioni e per città: per
ciascuna città inoltre le epigrafi sono classificate contenutistica111 ente
partendo dalle iscrizioni sacre, dedicate cioè a divinità, per passare
poi alle iscrizioni in onore degli imperatori, a quelle in onore di ma­
gistrati e funzionari pubblici a livello centrale o locale, alle iscrizioni
LE FONTI EPJGRAFICl1E LATINE 245

di semplici cittadini privi di cariche, ai fra111menti epigrafici, alle epi­


grafi cristiane. Il vol11111e XVI del CIL contiene, nuova1nente in ordi­
ne cronologico, i diplomata militaria. Mentre sono tuttora in prepara­
zione il volume XVII, che conterrà tutte le iscrizioni incise sui milia­
ri, e il volume XVIII, che sarà dedicato ai Carmina epigraphica latina,
cioè alle epigrafi metriche. Ogni volume dispone inoltre di indici
molto articolati, che ne agevolano la consultazione e l'utilizzazione
mirata. Il prospetto generale dell'opera, così come oggi si presenta, è
comunque il seguente:

CIL I Iscrizioni arcaiche fino alla morte di Cesare.


CIL II Iscrizioni della Spagna.
CIL III Iscrizioni dell'Asia, della Grecia e dell'Illirico.
CIL IV Iscrizioni parietali di Pompei, Ercolano, Stabia.
CIL V Iscrizioni della Gallia Cisalpina.
CIL VI Iscrizioni della città di Roma (si tratta del vol11111e più
ampio, per il quale sono disponibili pure da alcuni
anni amplissimi indici sistematici) .
CIL VII Iscrizioni della Britannia.
CIL VIII Iscrizioni dell'Africa.
CIL IX Iscrizioni della- Calabria, dell'Apulia, del Sannio, della
Sabina, del Piceno.
CIL X Iscrizioni dei Bruzzi, della Lucania, della Ca111pania,
della Sicilia, della Sardegna.
CIL XI Iscrizioni dell'Emilia, dell'Etruria, dell'Umbria.
CIL XII Iscrizioni della Gallia Narbonense.
CIL XIII Iscrizioni delle tre Gallie e delle Ge1111 anie.
CIL XIV Iscrizioni del Lazio.
CIL XV Iscrizioni della città di Roma. Instrumentum domesti­
cum (il vol11111e contiene le iscrizioni della città di Roma
non comprese nel CIL VI, e che sono incise su oggetti
di uso comune) .
CIL XVI Diplomi militari.
CIL XVII Miliari (sono finora stati pubblicati soltanto un paio di
fascicoli).

Dopo il CIL sono state prodotte numerose raccolte-supplemento,


che avevano appunto lo scopo di integrare singoli vol11111i (o, più
spesso, singole sezioni geografiche di ciascun volume) , inserendo le
nuove accessioni epigrafiche offerte dal progresso dell'indagine ar­
cheologica, correggendo eventuali errori di lettura evidenziati da
nuove e più accurate autopsie (cioè rilevamenti diretti compiuti sugli
oggetti epigrafici) , aggiornando i dati circa la collocazione e lo stato
di conservazione dei documenti già compresi nei volumi del Corpus.
Indipendentemente dal CIL hanno poi visto la luce altre pubbli­
cazioni complessive di epigrafi, concepite secondo criteri ordinativi o
secondo finalità d'uso diverse. Nel 193 1 , su iniziativa dell'Accademia
d'Italia e in sintonia con il clima montante di esaltazione propagandi-
246 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

stica dell'antichità romana alimentato dal regime fascista, si diede il


via alla raccolta delle Inscriptiones Italiae (abbreviazione comune: ID.
Le motivazioni a-scientifiche originarie fortunatamente non influirono
sui primi esiti dell'iniziativa, che anzi si segnalò subito per il rigore di
impianto, per il ricorso a metodi di trascrizione e analisi critica epi­
grafica più moderni di quelli del CIL e per l'introduzione costante
della doc11111entazione fotografica, che costituisce ancora oggi il com­
plemento necessario di qualsiasi edizione di iscrizione superstite.
Concepite per fascicoli dedicati ciascuno a una città italiana, le Inscri­
ptiones Italiae, nell'arco di sessant'anni, hanno però purtroppo inte­
ressato un numero estrema111ente ristretto di realtà locali: è stata
pubblicata infatti soltanto una dozzina di fascicoli per un n11111ero di
città prese in considerazione di poco superiore. Da qualche anno la
pubblicazione periodica da parte dell'Unione Accademica Nazionale
di nuovi Supplementa Italica ha pern1esso di riprendere, con i più at­
tuali criteri tecnico-scientifici, l'attività di aggiomatnento del patrimo­
nio epigrafico italico in una struttura più agile, meno costosa e di più
rapida elaborazione.
Fra le raccolte epigrafiche vanno pure ricordate le Inscriptiones
Latinae Selectae (abbreviazione comune: ILS), in cinque volt1111i, editi
a Berlino nel periodo 1892-1916 a cura di H. Dessau: sono qui rac­
colte circa 10.000 epigrafi, ordinate contenutisticamente secondo il
più comune criterio di classificazione e scelte in base alla loro emble­
maticità, categoria per categoria. Le ILS costituiscono quindi uno
strumento di approccio anche didattico straordinario per la com­
prensione del linguaggio epigrafico e per una corretta valutazione
della qualità dell'apporto doc11111entario di questo genere di fonte.
Diverso il discorso per le Inscriptiones Latinae Liberae Rei Publi­
cae (abbreviazione: ILLRP), edite da A. Degrassi (Firenze, 1 957-
1963 ) , che di fatto sostituiscono il CIL I; per i Carmina Latina Epi­
graphica (abbreviazione: CLE) , di F. Biicheler (Leipzig, 1885 - 1 897,
1926), che raccolgono i testi di epigrafia metrica; per i Fontes Iuris
Romani Ante;'ustiniani (abbreviazione: PIRA), a cura di più editori e
pubblicati a Firenze nel 1940- 194 1 , che riproducono numerosi testi
di epigrafia giuridica. Da segnalare infine, oltre i consueti repertori
enciclopedici, prosopografici e antiquari cui fanno riferimento tutti
gli studiosi del mondo romano, il Dizionario Epigrafico, promosso da
E. De Ruggiero e da G. Cardinali e giunto oggi alla fine della lettera

L; nonché la rivista annuale parigina <<Année Epigraphique>>, che


anno per anno, a seguito di uno spoglio sistematico delle più impor­
tanti riviste scientifiche di settore storico antico del mondo, registra
tutte le nuove pubblicazioni epigrafiche.

4. Alfabeto e scritture

L'alfabeto latino utilizzato nelle epigrafi di età imperiale, sulle cui


ascendenze tuttora si dibatte anche se appare accertato il rapporto
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 247

con l'alfabeto etrusco e, per via di quest'ultimo, con alfabeti euboici,


è composto di 23 lettere: quelle dell'alfabeto italiano più la K, la X e
Y e meno la U (come è noto, V e U si identificano nella lingua lati­
na) . Soltanto per un brevissimo periodo, all'epoca di Claudio e per
iniziativa dello stesso imperatore, vennero introdotte tre nuove lettere
(digamma inverso, I = = U consonantica; antisigma, :::> = PS o BS;
mezza aspirata, f-- = suono vocalico tra I e U), che però lasciarono
trascurabili tracce nella lingua scritta.
In sede epigrafica l'alfabeto viene usato all'interno di specifiche
tipologie di scrittura. Le scritture epigrafiche per eccellenza sono
quelle cosiddette capitali o monumentali, perché tipiche delle grandi
iscrizioni che comparivano sui principali mon11111 enti: loro caratteri­
stica è la grandezza, la regolarità (in alcuni casi le lettere si inscrivo­
no riga per riga con precisione geometrica in quadrati di egual lato:
si parla in questo caso di scrittura mon11111entale quadrata), la chia­
rezza, la funzionalità ai fini della trasmissione rapida, precisa e agevo­
le dei messaggi. Le scritture attuariali, le cui lettere dalla forma alta e
stretta risultano meno perspicue e curate delle lettere delle scritture
monumentali, sono tipiche delle iscrizioni che contengono testi di
legge, atti (donde la denominazione di <<attuariali>>) pubblici e privati.
Le scritture corsive, infine, sono quelle per lo più graffite a mano
libera con punte di stilo oppure vergate a vernice su muri, pareti,
laterizi, vasi, tavolette di cera di cui si è conservato il supporto ligneo
con tracce di scrittura: eseguite con tratti veloci e irregolari, variabili
quasi quanto le nostre grafie personali, sono spesso di lettura molto
difficile; esse servivano d'altronde, per lo più, alla comunicazione di
messaggi personali di valore e destinazione limitata nel tempo e nello
spazio, e non avevano quindi bisogno di esprimersi con particolare
chiarezza.
Nel corso dei secoli tutte le scritture epigrafiche, e le singole let­
tere all'interno di esse, subirono un processo costante di evoluzione.
In alcuni casi, e in particolare nel caso delle migliori scritture capita­
li, questo processo può essere seguito con una certa precisione. Di
qui la possibilità di datare alcune epigrafi con criteri paleografici: si
tratta cioè di ricavare dalle differenze tra le lettere elementi di data­
zione, più o meno precisa, dell'iscrizione. Questo criterio, un tempo
sopravvalutato, tende oggi a essere utilizzato soltanto come estrema
ratio e sempre in forma dubitativa e approssimativa; troppi elementi
esterni possono infatti determinare una forma di lettera: dal livello di
abilità artigianale del lapicida alla maggiore o minore durezza, con­
formazione o consistenza del materiale su cui si incide, dalle ricor­
renti mode arcaicizzanti alla specificità locale dei modi di scrittura.
In altre parole, non sempre la for111 a delle lettere si motiva in funzio­
ne dell'evoluzione cronologica costante delle scrittur€, ma più spesso
essa è il risultato di un concorso di fattori indipendenti dall'epoca di
mc1s1one.
• • •
248 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

5. L'officina lapidaria e la struttura delle iscrizioni latine

Le fonti in nostro possesso non consentono di conoscere con pre­


cisione ogni particolare circa le modalità operative e l'organizzazione
delle officine lapidarie presenti nelle città romane, dove si produceva
la stragrande maggioranza del lavoro sia di preparazione dei supporti
epigrafici sia di incisione delle epigrafi. In contesti rurali invece - per
ragioni economiche legate alla legge della domanda e dell'offerta - la
produzione lapidaria doveva essere per lo più affidata ad artigiani
improvvisati, che svolgevano saltuariamente tale lavoro, o a lapicidi
itineranti che viaggiavano di borgo in borgo prestando periodica111en­
te la loro opera. Anche sui termini che designavano i lavoratori delle
epigrafi non vi è certezza: ricorrono appellativi come lapicida, qua­
dratarius e marmorarius, ma la peculiarità delle singole mansioni ci è
ignota. Sappia1110 invece che la bottega lapidaria svolgeva su commis­
sione lavori di produzione epigrafica di vario tipo: la creazione ad
hoc del supporto a partire dalla pietra grezza fino alla decorazione e
all 'incisione delle lettere, lavoro che risultava evidentemente più co­
stoso; oppure la semplice incisione di un testo, proposto o concorda­
to con il cliente, su un supporto già preventivamente preparato, di­
sponibile nel magazzino di bottega.
Sian10 altresì abbastanza bene informati sulle fasi dell'incisione
delle epigrafi in scrittura capitale: predisposto il monumento (lastra,
cippo, stele, ara, ecc.) con relative decorazioni, comici, rilievi, figure
o ritratti, si procedeva alla politura della zona della pietra che doveva
contenere l'incisione, il cosiddetto ca111po o specchio epigrafico. Sullo
specchio si tracciavano le linee guida, cioè il reticolato entro cui an­
davano poi sistemate le lettere, quindi si eseguiva una traccia in mi­
nuta del testo da incidere: quest'operazione era definita ordinatio ed
era la più delicata dell'intero lavoro, eseguita probabilmente dagli ar­
tigiani più esperti che operavano nella bottega. Seguiva l'incisione
vera e propria compiuta, secondo tecniche diverse, con scalprum
(scalpello) e malleus (martello) .
Come si è detto, l' ordinatio era l'operazione più delicata: ogni
iscrizione doveva obbedire infatti a un'esigenza primaria di leggibilità
e chiarezza; il messaggio che essa conteneva doveva essere recepito
con estrema facilità dal passante, possibilmente senza che egli fosse
costretto a soffermarsi per leggerlo. Di qui l'importanza fondamenta­
le di un'impaginazione ordinata del testo epigrafico, che giocasse an­
che sull'altezza delle lettere, sull'alternanza di linee più lunghe e più
corte, sulla maggior grandezza delle parole-chiave, sull'opportuna di­
sposizione dei segni di interpunzione (punti quadrati, triangolari o
tondi, frecce o foglie: le hederae distinguentes), sulla presenza di si­
gle, che - oltre ad abbreviare il testo - per il loro ricorrere stereotipo
nel linguaggio epigrafico identificassero immediata111ente il tipo e il
contenuto dell'iscrizione. Ad esempio la sigla DM = D(is) M(anibus),
che - incisa spesso a grandi lettere - costituisce la prima riga di mol­
tissime iscrizioni funerarie, soltanto in origine svolgeva la reale fun-
LE FON'fl EPIGRAFIClfE LATINE 249

zione di dedica sacra alle divinità dei defunti; col passare del tempo
la sua funzione primaria scomparve quasi del tutto, e la sigla - tra­
sformata in una sorta di marchio o di simbolo grafico stereotipo,
comprensibile anche a chi non sapeva leggere - consentì a chiunque,
al primo colpo d'occhio, di qualificare l'iscrizione, davanti alla quale
stava transitando, come sepolcrale (le si ritrova infatti anche in iscri­
zioni cristiane) . Le sigle epigrafiche, come si può evincere dai reper­
tori contenuti in qualsiasi manuale di epigrafia latina, sono n11111ero­
sissime, ma la loro ricorrenza costante nella medesima collocazione e
con il medesimo valore, la loro stretta correlazione con le diverse ti­
pologie epigrafiche, la loro pregnanza di significante e di simbolo si
traduceva in una diffusa e universale comprensione da parte del pub­
blico lettore e fruitore di epigrafi e cioè da parte della stragrande
maggioranza dei cittadini dell'impero.
Chiarezza, perspicuità, rigidità nella scansione degli elementi (so­
prattutto nei cursus, cioè nelle carriere incise, ove quasi mai viene al­
terata la successione gerarchico-cronologica delle funzioni e delle ca­
riche), maggior brevità possibile procedono verso il medesimo obiet­
tivo di rendere il testo epigrafico leggibile e fruibile dal maggior nu­
mero possibile di persone, anche indipendentemente dalla loro vo­
lontà e dalla loro attenzione. La brevità, ottenuta anche attraverso
espedienti come la congiunzione di più lettere in un unico carattere
(nessi: per esempio, lE per AE, A per AT, ecc.), rispondeva pure alla
necessità di contenere i costi elevati della produzione epigrafica. Per
le stesse ragioni economiche si evitò talvolta la correzione degli even­
tuali errori del lapicida o si a111mise l'incisione di lettere anche fuori
del campo epigrafico (ad esempio sulle comici laterali) , oppure anco­
ra l'aggiunta, a incisione conclusa, di lettere dimenticate fra le linee
del testo iscritto.

6. Lettura, integrazione e datazione delle epigrafi

Come si è accennato, le epigrafi giunte fino a noi sono centinaia


di migliaia: un n11111ero notevole, soprattutto se si pensa alla disper­
sione subita da un patrimonio lapideo adatto al reimpiego edilizio e
in genere privo di un valore artistico tale da salvaguardarne la con­
servazione, specie in tempi in cui l'interesse per le iscrizioni latine in
quanto fonte storica era pressoché nullo. Non tutte le epigrafi sono
state però tra111andate in buone condizioni di conservazione: molte ci
sono pervenute spezzate in fra111menti più o meno consistenti, erose
dagli agenti atmosferici, danneggiate da reimpieghi maldestri e ano­
mali. Molto spesso, quindi, il testo iscritto appare soltanto parzial­
mente leggibile ed è compito dell'epigrafista tentarne, se possibile,
una lettura e una trascrizione completa, integrando le parti mancanti.
Il lavoro di integrazione è ovviamente delicato e il pericolo di inter­
pretazioni arbitrarie sempre presente. Premesso - lapalissianamente -
che più ampia è l'integrazione più alta appare la percentuale di erro-
250 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

re, è pur vero che la struttura rigida e stereotipa della maggior parte
delle epigrafi e le possibilità di confronto con testi analoghi dello
stesso a111bito cronologico, contenutistico e geografico permettono
spesso di integrare lacune anche consistenti e di proporre letture
plausibili pure di epigrafi gravemente fra111mentarie. Naturalmente un
intervento modificatore rispetto alla realtà esistente, quale è quello di
un'integrazione puranco sicura, va denunciato in sede di pubblicazio­
ne critica: trascrivendo il testo, tutte le parti integrate vanno dunque
comprese entro i segni diacritici - convenzionalmente da tutti accet­
tati - delle parentesi quadre, così come gli scioglimenti di abbrevia­
zioni presenti nella pietra vanno chiusi fra parentesi tonde. Un punto
sottostante a una lettera indica invece una lettura incerta.
Se l'integrazione è uno dei compiti più difficili dell'epigrafista, al­
trettanto ardua risulta, per lo più, l'impresa di datare un'iscrizione in
assenza di riscontri sicuri interni (date consolari, tribunicia potestas
imperiale, riferimenti espliciti a fatti o personaggi storici altrimenti
noti e datati, ecc.) o esterni (una stratigrafia archeologica, la com­
presenza e contemporaneità accertata con altri oggetti databili) . Ab­
biamo già osservato come il criterio di datazione paleografico appaia
quanto mai fallace o impreciso. Occorre quindi procedere di caso in
caso, raccogliendo indizi di ogni genere, dalla ricorrenza nel testo di
certe formule o di certe sigle, che sappiamo comparire soltanto pri­
ma o dopo una dete1111inata epoca, alla presenza di cariche o funzio­
ni di cui conosciamo la data di nascita; dallo studio dei materiali im­
piegati all'analisi delle tipologie decorative e iconografiche; dalla
struttura del testo alla scrittura e alla for111a delle lettere. Rara111ente
l'indagine offre comunque elementi di certezza: nella maggior parte
dei casi si può pervenire soltanto a una cronologia approssimativa e a
fissare termini ante quem o post quem di datazione.

7. L'onomastica latina

Il nome di persona costituisce l'elemento centrale della maggior


parte dei testi epigrafici: dedicanti e dedicatari di epigrafi sacre, ono­
rarie e sepolcrali mirano in primo luogo ad affermare la propria esi­
stenza e le proprie benemerenze attraverso la comunicazione pubbli­
ca del loro nome. In particolare, per quanto si riferisce alle iscrizioni
funerarie, che come è noto costituiscono la categoria di gran lunga
prevalente nel complesso dell'epigrafia latina, la centralità del nome
assume connotati ancora più netti. L'iscrizione funeraria, per tutti co­
loro (ed erano evidentemente la stragrande maggioranza) che non
potevano vantare glorie eccezionali, per la gente comune cioè, era
l'unica fonte che potesse informare i posteri del passaggio sulla terra
di un defunto; essa infatti, in quanto voce pubblica di un monumen­
to privato, appariva in grado di arricchire la più anonima delle esi­
stenze caduche dell'ultimo titolo di gloria che la comunità dei vivi
possa attribuire all'uomo, cioè appunto il diritto ad avere un nome
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 25 1

iscritto sulla pietra tombale. V'è chi ha parlato, probabilmente non a


torto, di un vero e proprio <<culto del nome>>: tale culto comporte­
rebbe di per sé un tentativo di soteriologia umana, che riconduce a
<<una religione senza divinità, costruita dall'essere u111ano per i suoi
simili che egli a sua volta prima o poi raggiungerà, homo homini vita,
dal momento che la sopravvivenza nella memoria è concepita a esatta
misura della capacità umana>> 1 •
Il nome, dunque, in conseguenza della sua eno1111e importanza,
appare nelle epigrafi espresso con chiarezza e precisione, secondo le
regole rigide dell'onomastica latina, per la quale la denominazione
personale non aveva soltanto un ovvio significato individuante e di­
stinguente, ma si poneva - per gli uomini liberi - come una sorta di
vero e proprio doc11111ento anagrafico. In origine i Romani dovettero
avere un solo nome, forse accompagnato dal nome del padre, per gli
uomini, o da quello del marito per le donne sposate. Con il crescere
della popolazione e con la conseguente perdita del valore distintivo
dell'unico nome, andò generalizzandosi l'uso dei tria nomina: il pre­
nome (praenomen), il nome gentilizio (nomen, cioè il nome della fa­
miglia di appartenenza, qualche cosa di simile al nostro cognome) e
il cognome (cognomen, vero elemento individuante dell'onomastica,
di fatto corrispondente al nostro nome di persona). Secondo le rego­
le onomastiche in vigore in età altoimperiale, il nome completo era
costituito però da cinque elementi: oltre ai tre già citati, fra nome
gentilizio e cognome comparivano il patronimico e l'indicazione della
tribù di appartenenza.
Il prenome, attribuito al neonato tra l'ottavo e il nono giorno dal­
la nascita, compare nelle epigrafi in fo1·111a quasi sempre abbreviata: i
praenomina erano del resto in n11111ero estrema111ente limitato e, come
abbia1110 detto, il loro valore onomastico andò pressoché esaurendosi
in progresso di tempo. Il nome gentilizio è generalmente scritto per
intero, mentre il patronimico veniva indicato dall'abbreviazione del
prenome del padre (in genitivo) seguito da una F, abbreviazione di
filius, filza. La tribù denunciava nell'onomastica la cittadinanza roma­
na dell'individuo. Le 35 tribù territoriali-elettorali avevano perso,
nell'epoca imperiale, sia il loro carattere geografico sia la loro funzio­
nalità operativa, dal momento che i comizi non erano più convocati
né era più concepibile che i cittadini romani convergessero dai quat­
tro angoli dell'impero per partecipare a un'assemblea a Roma. Ogni
città - almeno fino all'età di Antonino Pio - era comunque assegnata
a una tribù e gli abitanti di ciascuna città che godevano del diritto di
cittadinanza romana indicavano nel loro nome la tribù a cui era
ascritta la città di origine. Con l'estensione della cittadinanza romana
a tutti (o quasi) i residenti nell'impero da parte di Caracalla nel 2 12
d.C., l'indicazione della tribù divenne superflua e, sia pure con qual-

1 G. Sanders, Perennità del messaggio epigrafico: dalla comunità tardoantica ai


lettori dello studio bolognese, Bologna, 1986, p. 19.
252 LE FONTI EPIGRAFICHE LA1.INE

che inerzia cronologica, andò scomparendo. Il cognome compare nei


documenti ufficiali romani soltanto a partire dall'epoca di Silla : nato
come indicazione del tutto personale per ovviare alla diffusione e
quindi al progressivo indebolimento del valore individuante degli al­
tri elementi onomastici, il cognome era spesso derivato da attributi
fisici o morali. Anche il cognome, specie nelle grandi famiglie, tese a
divenire ereditario: di qui il fenomeno della moltiplicazione dei co­
gnomi o dell'aggiunta all'onomastica di soprannomi e signa (cioè una
sorta di nomignoli) , prima di uso popolare, ma in seguito (III-IV se­
colo) anche aristocratico.
Le regole onomastiche su esposte riguardano i maschi liberi; per
donne, liberti e schiavi l'articolazione del nome appare molto diversa.
Le donne portavano nome, patronimico e soprannome talora accom­
pagnato dal nome del marito (al genitivo). Gli schiavi venivano indi­
cati con un solo elemento onomastico, spesso accompagnato dal
nome del padrone in genitivo seguito dall'abbreviazione S di servus. I
liberti mutuavano prenome e nome da quelli dell'ex padrone, utiliz­
zavano come cognome il loro nome da schiavi e in luogo del patroni­
mico usavano il prenome abbreviato dell'antico padrone in genitivo
seguito dall'abbreviazione L di libertus: l'ex padrone era infatti, dal
punto di vista giuridico, il vero padre del liberto, essendo colui che,
liberandolo dalla condizione servile, gli aveva dato vita di persona
giuridicamente riconosciuta. I liberti di donne portavano il prenome
del padre dell'ex padrona e, in luogo del patronimico, indicavano
una C rovesciata che stava per C(aiae), nome generico di donna, se­
guito dall'abbreviazione L di libertus: in sede di lettura epigrafica, in
effetti, tale espressione va letta, non già come <<liberto di Caia>>, ma
più correttamente come <<liberto di una donna>>.

8. Classificazione delle iscrizioni

Nella consuetudine degli studi epigrafici è andata nel tempo af­


fer111andosi una classificazione contenutistica delle iscrizioni che viene
comunemente accolta, pur in presenza di molteplici varianti. Il valore
di tale classificazione appare del tutto str11111entale e va accolto senza
rigidità, tenendo presente sia che spesso nei testi epigrafici esiste una
evidente somma o sovrapposizione di contenuti diversi, sia che non
sempre risulta facile distinguere, ad esempio, un'iscrizione funeraria
da una onoraria, o un'iscrizione onoraria da una monumentale, o un
miliario da una titolatura imperiale.
Seguendo grosso modo l'ordine di classificazione usato dal CJL
all'interno delle sezioni geografiche cittadine, la prima grande catego­
ria di epigrafi latine che si incontra è quella delle dediche sacre, inci­
se su monumenti offerti alle divinità (spesso are di pietra), su sem­
plici lapidi o su oggetti votivi. Nella struttura più consueta il nome
della divinità con relativi eventuali epiteti compare in prima posizio­
ne o comunque in una collocazione privilegiata di specifico rilievo,
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 253

seguita dal nome del o dei dedicanti, da forn1ule dedicatorie, da cau­


sali di dedica di vario genere (a seconda che si tratti di un ex voto, di
una richiesta di intervento divino, o di un mero atto di culto), da
altri elementi accessori e occasionali come la menzione delle somme
eventualmente impiegate per l'offerta, o la descrizione degli oggetti
vot1v1.
• •

Le titolature imperiali sono iscrizioni in onore dell'imperatore,


che secondo uno schema rigido e costante riproducono l'onomastica
del principe, fanno riferimento diretto e specifico alle sue principali
prerogative di potere, registrano gli eventuali titoli onorifici a lui at­
tribuiti. Anche in questo caso lo spazio principale spetta al nome del
principe, mentre l'iscrizione generalmente si conchiude con il nome e
la qualifica degli individui o della collettività che dedicano l'iscrizione
e con le eventuali motivazioni della dedica.
Diverse soltanto per quanto si riferisce all'oggetto della dedica
sono le iscrizioni onorarie, che celebrano le benemerenze di perso­
naggi pubblici di maggiore o minore importanza, secondo una tradi­
zione che nel mondo romano risale agli elogia (riservati in età repub­
blicana a figure di primissimo piano della politica e della società).
All'interno delle iscrizioni onorarie si trova la maggior parte dei cur­
sus epigrafici: cioè - come si è detto - l'elenco inciso in successione
opportuna, dei titoli delle diverse cariche e funzioni civili e sacerdo­
tali rivestite dal personaggio celebrato nell'epigrafe fino al momento
della esposizione della pietra iscritta.
La stessa finalità celebrativa, concepita però rispetto a un oggetto
specifico, si registra nelle iscrizioni su opere pubbliche, incise in oc­
casione del compimento o del restauro di grandi opere, edifici o ma­
nufatti di interesse collettivo. La struttura di questo tipo di epigrafi
appare in genere molto semplice: in primo piano sta il nome del per­
sonaggio, imperatore, magistrato o semplice privato che ha promosso
l'opera, accompagnato da un verbo che specifica la sua azione (come
fecit, restituii, faciundum curavi!).
Le iscrizioni funerarie rappresentano la categoria più numerosa di
doc11111enti epigrafici: la loro varietà è immensa, ma la struttura man­
tiene comunque sempre alcuni elementi essenziali. In primo luogo il
nome del, o dei defunti destinati alla tomba o al sepolcro cui l'iscri­
zione è annessa. I dedicanti, che si possono identificare con gli stessi
dedicatari (in questo caso compare per lo più la formula sibi fecit o
fecerzJnt, vivus fecit). L'indicazione se la lapide è stata incisa quando i
destinatari erano ancora in vita. L'eventuale segnalazione dell'età del
defunto - nelle iscrizioni incise evidentemente post mortem - viene
espressa in anni, e spesso anche in mesi, giorni e, specie per gli in­
fanti, ore. Talora note relative all'attività del defunto o addirittura il
suo cursus honorum. Formule varie di carattere elogiativo o di a111mo­
nimento a non violare la tomba.
I miliari e i cippi terrninali sono iscrizioni a carattere funzionale,
che servono rispettivamente a segnalare le distanze stradali e a fissare
i limiti di proprietà pubbliche o private, ma che possono ass111nere
254 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

valenze onorifiche di vario genere (nei miliari compaiono ad esempio


cursus di magistrati e titolature imperiali) e importanti significati do-
c111nentar1.

L'epigrafia giuridica comprende tutte le iscrizioni che riproduco­


no atti legislativi e nor111ativi pubblici emanati da imperatori e magi­
strati centrali o locali (leggi, plebisciti, senaticonsulti, rescritti ed edit­
ti imperiali, decreti, mandati, lettere ufficiali) o atti privati (atti nota­
rili, sentenze, processi verbali, decisioni di associazioni organizzate e
con precisa figura giuridica, denunce, atti di nascita e di morte, con­
tratti di compravendita, contratti di dote) o, ancora, liste consolari e
magistratuali (i /asti) , calendari, organigrammi burocratici. Questo
genere di epigrafia, com'è ovvio, è condizionato - nella struttura, nel­
la composizione e nella resa grafica - dal suo valore giuridico: il lin­
guaggio e il formulario sono quelli della giurisprudenza, mentre la
scrittura e l'impaginazione prescindono in genere dai consueti criteri
di brevità e leggibilità.
Con l'espressione instrumentum domesticum si definisce, infine,
una quantità pressoché infinita di iscrizioni di modesta ampiezza in­
cise su oggetti d'uso come vasi, anfore, tegole, mattoni, stoviglie,
armi, pesi e misure, sigilli, fistulae acquarie, tessere di vario genere,
ecc. : per lo più esse si limitano a riprodurre marchi di fabbrica o
ragguagli onomastici relativi al produttore o al proprietario, o brevi
messaggi funzionali. L'interesse di tali documenti può tuttavia assu­
mere, in alcuni casi, insospettate valenze: l'esame dei bolli doliari,
cioè incisi sulle anfore vinarie, granarie o olearie, consente ad esem­
pio di tracciare le rotte di commercio dei principali prodotti su cui si
reggeva l'economia dell'impero. Così i bolli laterizi o le sigle sui mar­
mi grezzi ci informano sui rapporti mercantili fra regione e regione
dell'impero e sulle fasi di maggiore o minore sviluppo edilizio che
caratterizzarono le diverse aree del mondo romano.

9. I cccursuS>> epigrafici

Presenti prevalentemente nelle iscrizioni onorarie, ma anche in


molte iscrizioni funerarie, i cursus come si è già accennato - ri­
-

producono in forma rigorosa la scansione delle carriere previste dal­


l'ordinamento burocratico-istituzionale romano a ogni livello di pote­
re o di impegno pubblico. La successione delle cariche può presen­
tarsi in sede epigrafica nell'ordine ascendente (dalla prima e minore
carica rivestita all'ultima e più elevata) o discendente (dall'ultima e
più elevata alla prima e minore) : tale ordine, che evidentemente ri­
produce anche una successione cronologica diretta o inversa, non
viene pressoché mai alterato: in altre parole, nei cursus non si opera­
no salti né si fanno confusioni di scansione. Soltanto la suprema ma­
gistratura consolare conserva un posto privilegiato nell'epigrafe, indi­
pendente dalla struttura ascendente o discendente della carriera.
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 255

Le cariche alle quali un cittadino romano poteva aspirare variava­


no in relazione al rango sociale cui egli apparteneva: i passaggi di
carriera erano possibili ma non facili e, salvo casi limitati di interven­
to imperiale, implicavano comunque la necessità di arrivare al vertice
di una carriera inferiore per poter compiere il salto a quella superio­
re. In genere si distinguono tre categorie di cursus: il cursus senato­
rio, il cursus equestre e la categoria eterogenea e multicomprensiva
dei cursus inferiori (nelle a111ministrazioni cittadine, nell'esercito, nella
burocrazia, nei collegi) .
Il cursus senatorio, la carriera più elevata e prestigiosa nella socie­
tà romana, si era andato fissando in epoca repubblicana, allorché la
classe senatoria controllava l'intero governo dello stato. Nel regime
imperiale, pur conservando il prestigio di un tempo, il cursus senato­
rio si articola in modo più complesso: le antiche magistrature repub­
blicane annuali (nell'ordine ascendente: questura, tribunato della ple­
be ed edilità, pretura e consolato) perdono la maggior parte del loro
potere operativo e divengono strumenti di accesso all'assemblea sena­
toriale (questura) o alle funzioni di potere reale previste dal nuovo
ordine di Augusto. Un giovane senatore, in altri termini, dopo alcune
magistrature preparatorie e propedeutiche (comprese nel cosiddetto
vigintivirato) e un'esperienza militare (tribunato militare di legione)
non sempre effettiva111ente esercitata, accedeva dopo i 25 anni alla
questura. Entrava così in senato e poteva assumere le funzioni que­
storie. Rivestiva poi l'edilità o il tribunato della plebe (che nulla ave­
va più a che vedere con l'antica magistratura repubblicana di tutela
della plebe romana) ; quindi - oltre i 3 0 anni - la pretura, che gli
consentiva l'accesso alle funzioni pretorie. Dopo i 33 anni poteva in­
fine raggiungere il supremo fastigio del consolato, che gli dava il di­
ritto di rivestire in seguito le funzioni più elevate riservate ai senatori,
e cioè i governatorati di provincia e i comandi di legione. Nell'età
repubblicana la censura fu considerata al medesimo livello di presti­
gio del consolato; ma sotto l'impero essa scomparve, salvo rarissime
eccezioni. La presenza nell'ordine senatorio era garantita dalla nascita
in famiglie senatorie e dal censo: così l'accesso all'ordine senatorio
per chi proveniva dalle carriere inferiori poteva avvenire soltanto a
condizione di maturare un censo pari a quello minimo senatorio. In
alcuni casi l'imperatore, tra111ite l'istituto dell'adlectio, poteva inserire
d'autorità un non senatore a qualunque livello della carriera senato­
ria: nell'alto impero però i principi usarono con parsimonia tale stru­
mento, per evitare contrasti che alterassero il delicato equilibrio poli­
tico fra potere imperiale e classe senatoria.
Al cursus equestre, il secondo per importanza nel mondo romano
e destinato a una classe fin dagli ultimi secoli della repubblica in
concorrenza con la classe senatoria per il controllo del potere, acce­
devano i cittadini con almeno 400.000 sesterzi di reddito. Designati
con il titolo di origine repubblicana di equites Romani equo publico, i
cavalieri divennero in epoca repubblicana la vera struttura portante
burocratica dell'impero. L'ordinamento augusteo concepì in effetti un
256 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

legame diretto fra il principe e l'ordine equestre destinato in un certo


senso a bilanciare in sede politico-operativa la forza ancora notevole
dell'ordine senatorio. Dopo tre anni di servizio militare, in cui eserci­
tavano uno o più comandi a loro destinati (le cosiddette militi'ae
equestres, che comprendevano anche il vice-comando di legione) , i
giovani cavalieri accedevano alle funzioni civili e amministrative, che
in genere vengono indicate con il nome complessivo di procuratele.
In n11111ero notevolissimo, le procuratele seguirono a partire dalla se­
conda metà del II secolo d.C. un preciso ordine gerarchico scandito
dalle diverse classi di stipendio in cui erano collocate: si avevano così
procuratores sexagenarii, che percepivano cioè 60.000 sesterzi annui;
centenari (100.000 sesterzi annui) ; ducenari (200.000 sesterzi annui);
trecenari (300.000 sesterzi annui) . Al te1111ine della carriera i cavalieri
potevano diventare: prefetti della flotta del Miseno o di Ravenna,
prefetti d'Egitto, prefetti delle coorti urbane e dei vigili, prefetti del
pretorio. La prefettura del pretorio, per le implicazioni politiche che
tale ruolo comportava, era in effetti la carica più elevata e importante
in assoluto a cui un cavaliere potesse aspirare. Agli equestri compete­
va anche il governo delle province imperiali e il controllo della can­
celleria dell'imperatore.
I cursus inferiori, come si è detto, rappresentano una categoria
eterogenea, all'interno della quale si comprendono carriere e funzioni
di significato, peso e valore molto diversi. Fra i cursus vanno soprat­
tutto ricordati quelli relativi ali' amministrazione cittadina, che porta­
vano alla suprema magistratura locale dei duoviri o dei quattuorviri
iure dicundo. Un fastigio da cui era spesso possibile il salto, attra­
verso l'assunzione della cosiddetta praefectura fabr(or)um, alla carrie­
ra equestre.

1 O. Epigrafia cristiana

La comunicazione epigrafica, come abbiamo visto, rappresenta


uno dei tratti essenziali della società romana imperiale, al di fuori e
al di sopra delle implicazioni ideologiche e di classe. Per questa ra­
gione la diffusione del cristianesimo non determinò un sostanziale
muta111 ento funzionale e quantitativo dello strumento delle iscrizioni:
i cristiani come i pagani trovarono naturale utilizzare le epigrafi qual�
mezzo di trasmissione di ogni genere di messaggi interpersonali. E
altrettanto evidente, tuttavia, che i contenuti innovativi (sia in termini
ideologico-religiosi generali sia in termini di valori di riferimento, di
mentalità e di comporta111ento) introdotti dal cristianesimo nel tessu­
to sociale romano si trasferirono all'interno dei testi iscritti, modifi­
cando - in alcuni casi profonda111ente - prospettive e sostanza della
informazione epigrafica. Prima però che il muta111ento prendesse for­
ma esplicita e concreta, per un lungo periodo di tempo, epigrafia pa­
gana e cristiana procedettero appaiate, senza che la distinzione si ap­
palesasse nemmeno nei contenuti e nelle fo1·111ule testuali.
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 257

Lo studio del ricco corpus epigrafico paleocristiano della catacom­


ba di Priscilla - oltre 3 00 iscrizioni funerarie latine e greche della
fine II-III secolo che costituiscono la migliore esemplificazione della
nascita e del primo sviluppo della più antica epigrafia cristiana - di­
mostra come la stragrande maggioranza dei testi risulti <<neutra>>, pri­
va cioè di qualsiasi specifico cristiano o pagano, mentre soltanto una
esigua minoranza di testi denuncia la sua natura cristiana esclusiva­
mente attraverso brevi locuzioni impostate sui te1111ini pax-eirine; sol­
tanto verso la metà del III secolo cominciano ad apparire nelle iscri­
zioni del cimitero priscilliano espressioni più fortemente connotate in
senso ideologico e teologico. Il <<laconismo àrcaico>>, come è stato de­
finito, dell'epigrafia cristiana si spiega evidentemente soprattutto in
relazione ai pericoli oggettivi che una pubblicizzazione del proprio
credo religioso poteva determinare in tempi di conflitto fra i cristiani
e le istituzioni dello stato imperiale, ma anche in relazione ali' ancora
perdurante fase di formazione dell'identità cristiana. Tra la fine del
III e l'inizio del IV secolo, e specialmente dopo la scelta costantinia­
na che chiuse il contenzioso fra cristianesimo e impero, l'epigrafia
cristiana matura un proprio caratteristico e articolato repertorio for­
mulare e affer111a anche nel quotidiano della comunicazione epigrafi­
ca le proprie specifiche idealità.
La differenziazione rispetto ali' epigrafia pagana risulta particolar­
mente evidente nel caso delle iscrizioni sepolcrali. Nell'impianto
strutturale ancora in larga misura mutuato da quello pagano, fin dalla
seconda metà del III secolo, la produzione epigrafica funeraria cri­
stiana introduce un elemento non a caso totalmente assente nei testi
pagani: la data del trapasso e più specificamente la data della sepol­
tura (depositio). Il momento della morte, temuto e respinto dai paga­
ni, si trasfortna nella prospetl:iva di pensiero cristiana in momento
desiderato: la morte che per i pagani conclude il tempo individuale,
per i cristiani dà invece inizio a un tempo nuovo ben più importante
e significativo. La fine della vita sulla terra rappresenta l'inizio di una
nuova esistenza destinata a durare in eterno: essa non va dunque
compianta né ad essa ci si deve ribellare anche se interviene prema­
tura111ente. In un ribaltamento totale di prospettiva il giorno del tra­
passo corrisponde al giorno della vera nascita (dies natalis), in quanto
segna per l'anima l'inizio della gioia eterna: morte e nascita coincido­
no in quella che non è più, come per i pagani, una dra111matica e
irreversibile cesura temporale, bensì appunto un momento felice e
benedetto di passaggio.
Con il procedere del tempo, da Costantino in poi, gli epitaffi cri­
stiani si ampliano e in particolare si estende l' elogium funebre, in
prosa o in versi, che esalta meriti e virtù cristiane in forza dei quali il
defunto può legittimamente sperare di ottenere il premio eterno nel-
1'Aldilà. Negli stessi elogia trovano posto accla111azioni di vita in Cri­
sto, preghiere, riferimenti sacra111entali e dogmatici. Contemporanea­
mente cresce anche la ga111ma dei contenuti delle iscrizioni cristiane:
iscrizioni a tema biblico o liturgico; iscrizioni relative al culto dei
258 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

martiri e delle reliquie; epigrafi che ricordano la fondazione di edifici


sacri o la consacrazione/dedicazione di edifici di culto; epigrafi pare­
netiche ed esegetiche; epigrafi attinenti alla gerarchia e alla vita eccle­
siale o monastica. Da non trascurare infine - su un piano qualitativo
e di utilità documentaria piuttosto che quantitativo - le iscrizioni ere­
tiche (gnostiche, manichee, ariane, donatiste, novaziane, monofisite,
ecc.) e le iscrizioni giudaiche.

1 1 . Bibliografia

1 1 . 1 . A proposito di temi s pecifici trattati nel testo

Sulla <<civiltà dell'epigrafe>> e sulla cultura dell'epigrafia cfr. G.


Sanders, Les inscriptions latines pai'ennes et chrétiennes: symbiose ou
métabolisme?, in <<Revue de l'Université de Bruxelles>>, 1979, pp.
44-64 ; R. MacMullen, The Epigraphic Habit in the Roman Empire:
The Evidence o/ Epitaphs, in <<Atnerican Joumal of Philology>>, 103
(1982), pp. 233 -246; G. Sanders, Perennità del messaggio epigrafico:
dalla comunità tardoantica ai lettori dello studio bolognese, Bologna,
1986; M. Corbier, J;écriture dans l'espace public romain, in J;urbs.
Espace urbain et histoire (Ier siècle av. ]. C. IJJème siècle ap. ].C.), (Ac­
tes du Colloque int. , Rome, 1985), Coll. EFR, Roma, 1987 , pp.
27 -3 O; G. Susini, Compitare per via. Antropologia del lettore antico:
meglio, del lettore romano, in <<Alma Mater Studiorum>>, 1 ( 1988),
pp. 105- 124; G. Susini, Le scritture esposte, in Lo spazio letterario di
Roma antica, Roma, 1989, II, pp. 2 1 -305 ; G. Woolf, Monumental
Writing and the Expansion o/ Roman Society in the Early Empire, in
<<Journal of Roman Studies>>, 86 (1996) , pp. 22-39.
Sulla storia degli studi epigrafici cfr. R. Weiss, The Renaissance
Discovery o/ Classica! Antiquity, Oxford, 1969; S. Panciera, Un falsa­
rio del primo Ottocento: Girolamo Asquini, Roma, 1970; AA.VV. , Bar­
tolomeo Borghesi. Scienza e libertà (Atti del Colloquio int. AIEGL,
Borghesi, 1981), Bologna, 1982 ; AA.VV. , Nuovi studi Maf/eiani,
(Convegno su Scipione Maffei e il Museo Maffeiano, Verona, 1983 ),
Verona, 1985 ; S. Settis (a cura di), Memoria dell'antico nell'arte italia­
na, I, Torino, 1984; notizie sullo stato attuale del CIL e su quanto in
preparazione cfr. G. Alfoldy, De statu praesenti Corporis Inscriptio­
num Latinarum et de laboribus /uturis ad id pertinentibus, in <<Epigra­
phica>>, 57 ( 1995 ) , pp. 292-295 .
Indicazioni fondamentali attinenti la produzione epigrafica si tro­
vano in G. Susini, Il lapicida romano, Bologna, 1966 e, con riferi­
mento a specifiche realtà geografiche, nel volume Epigraphica dilapi­
data. Scritti scelti di Giancarlo Susini (Epigrafia e Antichità, 15),
Faenza, 1997; per i materiali cfr. I. Di Stefano Manzella, Esercitazioni
scrittorie di antichi marmorari, in <<Epigraphica>>, 43 (1 98 1 ) , pp.
39-44 ; P. Pensabene, Marmi antichi: problemi d'impiego, di restauro e
d'identificazione, Roma, 1985 .
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 259

Circa i metodi di trascrizione e in generale sulle norn1e di edizio­


ne dei testi epigrafici cfr. H. Krummery e S. Panciera, Criteri di edi­
zione e segni diacritici, in <<Tituli>>, 2 ( 1 980) , pp. 205-2 15 ; per i criteri
di conservazione museale cfr. AA.VV. , Il Museo epigrafico (Atti del
colloquio int. AIEGL, Bologna, 1982), Faenza, 1983 .
Per i problemi riguardanti l'onomastica cfr. soprattutto AA.VV. ,
I..;onomastique latine, (Coli. Int. du Centre National de la Recherche
Scientifique, n. 564, Paris 13-15 octobre 1975 ) , Paris, 1977; inoltre
H. Solin e O. Salomies, Repertorium nominum Gentilium et cognomi­
num Latinorum, Hildesheim, 1994 ; sulle titolature imperiali cfr. D.A.
Musca, La denominazione del principe nei documenti epigrafici roma­
ni, I, Bari, 1979, II, 1982 .
Sui cursus di senatori e cavalieri cfr. H.G. Pflaum, Les Procura­
teurs équestres sous le Haut-Empire romain, Paris, 1980; S. Roda, Il
Senato nell'alto impero romano, in AA.VV., Il Senato nella storia,
Roma, 1998, pp. 129-22 1 ; AA.VV. , Epigrafia e ordine senatorio (Atti
del Colloquio int. AIEGL), Roma, 198 1 ; sulle carriere inferiori cfr. F.
Abbott e A. Johnson, Municipal Administration in the Roman Empi­
re, New York, 19682.

1 1 .2. Orientamenti generali

Il manuale più importante e completo di epigrafia latina resta tutto­


ra quello di R. Cagnat, Cours d'épigraphie latine, Paris, 1914 (III rist.
anast. Modena, L'Erma, 1976) , che nonostante la sua età ormai notevo­
le offre un'organica ed esaustiva trattazione della materia, anche se pri­
va del supporto dei più moderni mezzi grafici. Utili, a un livello co­
munque inferiore, i manuali di J.E. Sandys, Latin Epigraphy, Cam­
bridge, 1919, e di P. Battle Huguet, Epigrafia latina, Barcelona, 1946.
Per un avviamento e un primo approccio alla materia ci si può giovare
del libretto di R. Bloch, r;épigraphie latine, Paris, PUF, 1952, o di quel­
lo di E. Meyer, Einfiihrung in die lateinische Epigraphik, Darmstadt,
Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1973 , che dispone fra l'altro di un
ricco apparato bibliografico. Con una quantità di dati informativi, non
sempre però espressi con sufficiente ordine e chiarezza, e con un' ap­
pendice bibliografica di A. Degrassi, si presenta il volume di I. Calabi
Limentani, Epigrafia latina, Milano - Varese, Cisalpino, 1968: in questo
libro appare comunque molto utile, dal punto di vista didattico, l' ap­
parato di 13 5 testi epigrafici commentati. Di grande rilievo invece per
quanto riguarda il senso e il significato della fonte epigrafica nel mon­
do romano e le sue valenze storico-sociologiche l'opera di G. Susini,
Epigrafia romana, Roma, Jouvence, 1982 . Allo stesso autore si deve an­
che il volumetto introduttivo Il lapicida romano. Introduzione al!'epi­
grafia latina, Bologna, 1966 (rist. anast. Roma, L'Erma, 1968). Diversa
ma non minore utilità presenta anche A.E. Gordon, Illustrated Intro­
duction to Latin Epigraphy, Berkeley - Los Angeles - London, Universi­
ty of California Press, 1983 . Per una guida bibliografica molto ampia e
260 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

ragionata si può far riferimento a F. Bérard, D. Feissel, P. Petitmengin


e M. Sève, Guide de l'épigraphiste. Bibliographie choisie des épigraphies
antiques et médiévales, Paris, 1986. Attenzione specifica al lavoro del­
l'epigrafista ha dedicato I. Di Stefano Manzella, Mestiere di epigrafista.
Guida alla schedatura del materiale epigrafico lapideo, Roma, Quasar di
Tognon, 1987 , che ragguaglia su tutti gli aspetti tecnico-scientifici del
mestiere di chi studia le epigrafi e consente anche al profano un ap­
proccio serio e corretto a un'attività che il progresso degli studi ha reso
sempre più complessa e specialistica.
Per quel che si riferisce specifica111ente all'epigrafia cristiana, l'u­
nico manuale organico resta quello, per molti versi datato, di F.
Grossi Gondi, Trattato di epigrafia cristiana latina e greca del mondo
romano occidentale, Roma, 1920 (rist. anast. Roma, L'Erma, 1968).
Una buona sintesi manualistica a carattere generale si legge in P. Te­
stini, Archeologia cristiana. Nozioni generali dalle origini alla fin e del
sec. VI, Bari, 19802, pp. 327-543 . Nel medesimo volume compare an­
che, a cura di C. Carletti, un'esauriente e articolata appendice biblio­
grafica relativa alle raccolte e agli studi specifici che hanno per ogget­
to le iscrizioni cristiane (pp. 814-826) . Indispensabile per compren­
dere, soprattutto in relazione all 'epigrafia funeraria, le novità conte­
nutistico-ideologiche introdotte dall'epigrafia cristiana la voce a cura
di C. Pietri, Grabinschrzft, in Reallexikon /iir Antzke und Christen­
tum, Stuttgart, 1983 , voi. XII, coll. 5 14-590.

1 2. Appendice

Dia111 0 qui di seguito alcuni esempi di testi di iscrizioni, di di­


versa ampiezza e natura, scelti con l'unico criterio di essere rappre­
sentativi sia delle principali categÒrie della comune classificazione
epigrafica, sia della multiforme ga111ma delle potenzialità documenta­
rie che l'epigrafia latina è in grado di esprimere. A tali potenzialità si
è fatto soprattutto riferimento nel commento, che prescindendo da
valutazioni tecnico-epigrafiche tiene conto appunto soltanto dei di­
versi piani infor111ativi espressi dalle iscrizioni considerate.
1.
a) CIL XI, 1297 = ILS 3 134

Minervae
memori.

Coelia Iuliana
indulgentia
medecinarum
eius infir111itati •

gravi liberatam (sic.1)


d(onum) p(osuit)

Trad. : A Minerva memore. Celia Giuliana liberata dalla malattia grazie ai


medicamenti favorevoli fomitile pose un dono.
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 261

b) CIL XI, 1305 = ILS 3 135

Minervae
memori.

Tullia
Superiana
restitutione
facta
sibi
capillorum
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)

Trad. : A Minerva memore. Tullia Superiana per la grazia fattale della ricre­
scita dei capelli, sciolse il voto di buon grado come era doveroso.

e) CIL XI, 1306 = ILS 3 137

Minervae
medicae
Cabardiac(ensi)
Valeria
Sammonia
Vercellen(sis)
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)

Trad. : A Minerva medica Cabardiacense. Valeria Sammonia di Vercelli,


sciolse il voto di buon grado come era doveroso.

I tre doc11111enti epigrafici appartengono a un complesso di una


ventina di iscrizioni databili paleografica111ente dal I al III secolo
d.C., tutte provenienti dalla Val Trebbia e, più precisa111ente, dalla
zona di Travo in provincia di Piacenza. Si tratta di esempi fra i più
semplici e chiari di epigrafi sacre, che contengono cioè dediche in
onore di una divinità incise per omaggio, per richiesta di grazie o
come ex voto. Le dediche sacre sono evidentemente uno strumento
prezioso e insostituibile per conoscere la diffusione e la concentrazio­
ne dei diversi culti nel mondo romano, per analizzare la specificità
dei culti locali rispetto ai culti tipici della religione ufficiale romana,
per studiare i fenomeni di assimilazione e assorbimento fra culti indi­
geni delle diverse regioni via via conquistate da Roma e culti romani
tradizionali, per ricomporre lo spettro sociologico delle diverse for111e
di religiosità <<popolare>> o <<ufficiale>>, per individuare o confermare
la dislocazione di santuari e di aree privilegiate di culto, e anche per
verificare (attraverso richieste o motivazioni ex voto) aspettative e va­
lori di riferimento prevalenti nell'immaginario collettivo romano. Il
culto di una dea salutifera come la Minerva memor o medica di Travo
consente ad esempio di mettere in evidenza un'isola di peculiarità
nell'ambito complessivo del culto di Minerva nella Gallia e nell'Italia
settentrionale. La dea Minerva nelle Gallie Cis- e Transalpina è al
centro di un interessante processo di appropriazione nella sopravvi-
262 LE I'ONTI EPIGRAFICHE LATINE

vente cultura celtica del portato culturale romano. Un notevole nu­


mero di attestazioni prevalentemente epigrafiche, ma anche iconogra­
fiche, archeologiche e toponomastiche sottolineano in particolare il
favore che il culto di Minerva incontrò presso le popolazioni cisalpi­
ne, fino a divenire uno dei tratti caratteristici della religiosità locale
durante l'epoca altoimperiale. Nella zona collinare preappenninica di
Travo, relativamente lontana dalle grandi vie di comunicazione e da
insediamenti urbani importanti, si concentrano diciotto dediche (per
lo più ex voto) a Minerva, indicata tre volte per esteso come memor,
una per esteso come medica Cabardiacensis (da Cabardiacum, oggi
Caverzago, frazione di Travo) , una come Minerva Cabardiacensis, una
come Minerva Augusta, due come sanctissima, due semplicemente
come Minerva senza altri attributi, e nove nella forma abbreviata
M.M. , owiamente interpretabile sia come Minerva m(emor), sia come
Minerva m(edica). I dedicanti, sette uomini e dieci donne, in due casi
(iscr. a e b) specificano le motivazioni dello scioglimento del voto,
che direttamente si ricollegano alla funzione guaritrice della dea. I
dedicanti sembrano in prevalenza appartenere a livelli sociali medi o
medio-bassi: in un caso soltanto un'offerta in oro e argento, esplicita­
mente indicata nell'iscrizione, impone di ascrivere gli offerenti a fasce
di reddito più elevate. Nelle dediche di Travo, in assonanza con il
complesso del culto di Minerva nell'Italia settentrionale romana, si
incontrano inoltre pochi personaggi investiti di funzioni o di partico­
lare prestigio sociale; le uniche, pur importanti eccezioni, sono quelle
di due funzionari di rango equestre: un prae/ectus cohortis e un pro­
curator XX libertatis (ossia un addetto alla riscossione della tassa in­
diretta del 5 % sulla emancipazione degli schiavi) . Di notevole signifi­
cato il fatto che alcuni dedicanti provengano da città più o meno
lontane e sottolineino nell'incisione il luogo di origine: si individuano
così devoti provenienti da Brescia, da Milano, da Cremona e (isc1·. e)
da Vercelli. Siamo dunque in presenza di un gruppo omogeneo e to­
pograficamente assai concentrato di epigrafi, che consente di com­
prendere come nella zona della Val Trebbia sorgesse in età imperiale
un vero e proprio santuario in cui si venerava una Minerva mono­
funzionale, identificata nel suo attributo di guaritrice. Noto entro un
raggio territoriale piuttosto a111pio, il santuario presentava alcune fra
le costanti extratemporali di luoghi di culto consimili: una base devo­
zionale <<popolare>> che si esprime nella varietà di richieste di grazia
dal contenuto fra loro non comparabile (si consideri - implicazioni
psicologiche a parte - il diverso valore oggettivo della guarigione da
una gravis infirmitas rispetto alla restitutio capillorum); un coinvolgi­
mento occasionale di individui appartenenti a livelli socioeconomici e
socioculturali più elevati; l'esplicitazione in epigrafe del luogo di pro­
venienza come testimonianza di un merito ulteriore, acquisito da chi
copriva lunghe distanze per giungere a implorare, ringraziare o vene­
rare la dea. L'epigrafia consente quindi, in un caso come questo, di
accertare una realtà cultuale locale altrimenti sconosciuta e di rico­
struire uno spaccato sociologico di grande interesse sia - in generale
LE FONTI EPIGRAF'ICHE LATINE 263

- per lo studio della religiosità <<non ufficiale>> nel mondo romano,


sia - in particolare - per la individuazione delle tipicità socioculturali
di una determinata regione dell'impero.
2.
CIL V, 7 15 1 = I.I. IX, 1, 5.

lmp(eratori) Caesari
Divi Nervae f(ilio)
Nervae Traian[o]
Aug(usto) Germanic[o]
Dacico,
pont(ifìci) max(imo), tr(ibunicia) pot(estate) VII,
imperatori XII, co(n)s(uli) V, p(atri) p(atriae),
d(ecreto) d(ecurionum)

Trad. : All'Imperatore Cesare, figlio del dio Nerva, Nerva Traiano Augusto
Germanico Dacico, pontefice massimo, insignito della tribunicia potestas per
la settima volta, acclamato imperatore per la dodicesima volta, console per
la quinta volta, padre della patria, per decreto dei decurioni.

L'iscrizione, incisa su una lastra di marmo bianco, proviene dal


territorio di pertinenza della città romana di Augusta Bagiennorum
(Bene Vagienna), nell'attuale Piemonte subpadano. Vi si legge la tito­
latura dell'imperatore Traiano, quale si configurava nel 103 d.C.,
anno della composizione della dedica offerta dai decurioni, cioè dai
membri del senato cittadino, di Augusta Bagiennorum. Con l'espres­
sione di titolatura imperiale - come si è già detto - si definisce la
menzione completa dell'onomastica personale e dei titoli di ciascun
imperatore. Nel mondo imperiale romano essa soddisfaceva alla fun­
zione primaria e fondamentale di comunicare pubblicamente, in ogni
angolo dello stato di Roma, la presenza dell'autorità dell'imperatore
con le sue attribuzioni e prerogative. Le titolature, incise sia su edifi­
ci pubblici, sia - come comunemente avveniva - sulle colonne miliari
lungo le strade, costituivano in questo senso un veicolo propagandi­
stico insostituibile, attraverso cui il potere imperiale affermava se
stesso e trasmetteva anche nelle regioni più remote un messaggio po­
litico-ideologico di pregnante significato. Dal punto di vista della do­
cumentazione storica, le epigrafi che contengono titolature imperiali
costituiscono fonti importanti per la ricostruzione della vita, delle im­
prese e - in qualche caso - del programma e delle linee di indirizzo
politico di ciascun imperatore: il loro valore documentario risulta ac­
cresciuto dal fatto che tali iscrizioni sono fra le poche, nell'ambito
dell'intero patrimonio epigrafico latino, databili con sicurezza grazie
alla costante indicazione, come meglio vedremo fra poco, della tribu­
nicia potestas e delle salutationes imperatorie.
La struttura delle titolature imperiali romane andò evolvendosi a
partire dall'epoca augustea fino a fissarsi definitivamente, sia dal pun­
to di vista degli elementi costitutivi sia dal punto di vista della scan­
sione degli stessi, tra la fine del I e il II secolo d. C.: nell'articolazione
264 LE l'ONTI EPIGRAFICHE LATINE

completa la titolatura si presenta come un insieme di elementi ono­


mastici costanti e variabili, di epiteti onorifici e di notazioni di prero­
gative che costituiscono l'essenza stessa della potestà del principe al­
toimperiale così come si era andata definendo nell'ordinamento au­
gusteo.
La prima parte della titolatura costituisce la vera e propria ono­
mastica dell'imperatore. L'appellativo Imperator, desunto dal lessico
politico-istituzionale repubblicano, funge fin dai tempi di Ottaviano
da praenomen del principe, mentre Caesar, cognomen tipico della
gens Iulia, viene assunto da tutti gli imperatori nella posizione riser­
vata nell'onomastica latina al nome gentilizio; è chiaro il significato
simbolico di tale uso: tutti gli imperatori, anche dopo l'estinzione
della gens Iulia, si accreditano propagandisticamente come eredi di
Augusto e di Cesare, i due fondatori, l'uno reale e l'altro ideale del
nuovo sistema di governo post-repubblicano. Al gentilizio, ancora
una volta come nell'onomastica comune, segue il patronimico secon­
do l'indicazione - in questo caso - della filiazione adottiva di Traiano
rispetto a Nerva. L'appellativo divus attribuito a Nerva attesta del-
1' avvenuta divinizzazione post mortem del predecessore di Traiano.
Nell'alto impero la divinizzazione di un imperatore poteva avvenire
soltanto dopo la morte: ciò nel quadro di quell'equilibrio politico
che Augusto aveva costruito e che prevedeva - nella fo1111a istituzio­
nale e nel diritto, se non nella sostanza politica - un equilibrio di
potere fra principe e senato. Attribuire all'imperatore in vita conno­
tati espliciti di divinità significava infatti alterare palesemente tale
equilibrio, porre il senato in condizione subalterna e trasformare il
principato in una monarchia di tipo orientale. Non per caso tutti i
principi dell'alto impero (da Caligola a Nerone, da Domiziano a
Commodo) che tentarono la strada della trasfor111azione in senso mo­
narchico del potere imperiale furono annientati dalla reazione del se­
nato di Roma e conclusero in maniera tra11111atica il loro periodo di
governo. Nei casi in cui un imperatore, per le ragioni appena accen­
nate o per altri motivi, cadeva in disgrazia presso il senato, egli subi­
va dopo la morte - in luogo della divinizzazione - la cosiddetta dam­
natio memoriae. Con un decreto, cioè, il senato condannava il princi­
pe defunto all'oblio e il suo nome era cancellato da tutti i luoghi
pubblici, come se non fosse mai esistito: in particolare nelle iscrizioni
in cui compariva la sua titolatura venivano scalpellati ed erasi gli ele­
menti individuanti dell'onomastica. Per non infrangere la regola della
non attribuzione di connotati divini al principe in vita, ma nel con­
tempo per tributargli una sorta di culto indiretto, spesso ci si rivolge­
va o a divinità protettrici personali di complessa definizione (come il
genius o il numen Augusti) oppure alle virtù divinizzate dell'impera­
tore (come la Victoria, o la Concordia).
Nerva Traianus sono i cognomina personali del principe, cui fa se­
guito il cognomen per eccellenza di tutti gli imperatori, Augustus,
conferito per la prima volta dal senato a Ottaviano nel 27 a.C. e co­
struito sulla radice del verbo augere con un valore religioso, beneau-
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 265

gurale e allusivo alla venerazione del popolo nei confronti dell' autori­
tà (augurium e auctoritas hanno appunto la medesima matrice eti1110-
logica di Augustus) . Germanicus e Dacicus sono cognomina ex virtute,
soprannomi etnici attribuiti a partire dalla tarda epoca flavia agli im­
peratori a seguito di una campagna militare vittoriosa sui popoli cui
fanno riferimento. Nel caso specifico, ad esempio, il cognomen di
Germanicus fu attribuito contemporaneamente a Nerva e a Traiano,
già associati al trono, nel 97 d.C., dopo la vittoria sull'etnia ge1111 ani­
ca dei Suebi. Dacicus venne assegnato invece a Traiano alla fine del
102 d.C., dopo la conquista della Dacia. I cognomina ex virtute all'in­
terno delle epigrafi con titolatura imperiale costituiscono evidente­
mente un preciso termine post quem di datazione e consentono di
ordinare cronologica111ente il complesso dell'epigrafia di ogni singolo
imperatore.

Ponti/ex maximus rappresenta la massima carica all'interno della


religione ufficiale romana: fu - come è noto - l'ultima in ordine di
tempo ( 12 a.C.) delle prerogative e funzioni che Augusto si attribuì.
La funzione di capo del sommo collegio sacerdotale dei pontefici era
ovviamente priva di diretta e operativa valenza politica, ma aveva
però un altissimo valore simbolico-propagandistico, tant'è vero che
tutti gli imperatori se l'attribuirono anche dopo l'impero costantinia­
no. Soltanto Graziano, nell'avanzato IV secolo, pose fine a tale con­
suetudine. Va notato tuttavia che, in caso di condivisione del potere
da parte di più imperatori, in genere uno soltanto assu111eva il ponti­
ficato massimo.
Con la notazione del pontificato massimo e con quelle successive
relative alla tribunicia potestas e alla salutatio imperatoria la titolatura
abbandona gli elementi più propria111ente onomastici per descrivere
funzioni e prerogative del principe.
La tribunicia potestas costituisce uno dei fonda111enti del potere
del principe augusteo. Assumendo tale prerogativa, Augusto faceva
proprie le caratteristiche istituzionali dei tribuni della plebe così
come si erano configurate e precisate in epoca repubblicana, pur sen­
za ass11111ere mai direttamente la magistratura tribunizia. In particola­
re egli diventava <<sacrosanto>>, cioè godeva dell'inviolabilità: chiun­
que avesse commesso atti di violenza nei suoi confronti risultava sa­
crilego e quindi passibile di morte. Inoltre il principe, come i tribuni
della plebe, poteva esercitare l' intercessio, il diritto di veto a posterio­
ri che gli consentiva di bloccare qualunque legge o provvedimento
preso da qualsiasi magistrato dello stato. Le prerogative tribunicie ri­
sultavano indispensabili ai fini della costruzione dell'autorità del
principe (figura anomala, estranea all'ordinamento costituzionale, ma
sostenuta ai vertici dello stato appunto da una somma di prerogative
fondamentali, da Augusto opportunamente trascelte nel preesistente
bagaglio istituzionale della repubblica romana) : tanto che non poteva
darsi il caso di un imperatore che ne fosse anche momentaneamente
privo. Per questa ragione la tribunicia potestas veniva assunta una
prima volta al momento della ascesa al trono e poi rinnovata e con-
266 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

fermata ogni anno. Questa successione annua costituiva la base per il


computo degli anni di regno degli imperatori e rappresenta ancora
oggi un prezioso elemento di datazione delle titolature iscritte (con
qualche avvertenza relativa a situazioni peculiari di alcuni imperatori:
ad esempio proprio Traiano ebbe la prima potestà tribunicia il gior­
no della sua adozione, regnante Nerva, il 27 ottobre 97 d.C., la se­
conda il 18 settembre 98, la terza il 10 dicembre dello stesso anno, e
da allora in poi il rinnovo avvenne ogni 10 dicembre: la VII tribuni­
cia potestas ricordata nell'iscrizione di Augusta Bagiennorum rimanda
quindi all'anno 102-103 , quinto effettivo del suo regno dopo la mor­
te di Nerva). Altrettanto importante dal punto di vista politico la sa­
lutatio imperatoria indicata dalla seconda menzione nell'epigrafe del
tern1ine imperator, seguito da una notazione numerica. A differenza
dell'uso prenominale di cui si è detto all'inizio, in questa posizione
nella titolatura il termine si riferisce alle acclamazioni imperatorie che
l'imperatore riceveva in occasione di ogni vittoria militare, donde la
numerazione (XII nel caso di Traiano, nell'anno 103 ) : il computo in
realtà parte da II, poiché la prima salutatio si intendeva avvenuta al­
i' atto della procla111 azione a imperatore. Dietro la salutatio, in effetti,
si nasconde un'altra delle prerogative essenziali del potere del princi­
pe, cioè il godimento (a partire dal momento dell'ascesa al trono)
dell' imperium proconsolare massimo, che gli consentiva di comanda­
re tutte le legioni dell'impero ovunque dislocate con la stessa autorità
che, nell'ordinamento repubblicano, i proconsoli avevano esercitato
ciascuno in ogni singola provincia.
Segue nella nostra titolarura la notazione del consolato: gli impe­
ratori avevano diritto ad accedere al consolato come tutti gli altri cit­
tadini e per tante volte quante essi desideravano. Nel corso dell'im­
pero alcuni principi si giovarono più spesso di tale diritto, altri
meno, per ragioni di mera volontà personale o in relazione a precise
e contingenti opportunità politiche. Era comunque prassi che il prin­
cipe console dopo qualche tempo, nel corso dell'anno di carica, ce­
desse l'esercizio della suprema magistratura repubblicana ai consoli
suffetti. L'indicazione consolare è seguita dal numero progressivo dei
consolati fino ad allora rivestiti dal principe al potere: nel nostro
caso, al momento dell'incisione dell'epigrafe Traiano era console per
la quinta volta ( 1 03 d.C. : i precedenti consolati erano stati da lui
esercitati nel 97 , nel 98, nel 100 e nel 101 d.C .).
Con l'espressione pater patriae si ritorna ai titoli onorifici: tale ap­
pellativo, che si attribuirono tutti gli imperatori con poche eccezioni
(Tiberio, Galba, Otone e Vitellio) , non ha infatti alcuna precisa va­
lenza politica se non nel senso della forte pregnanza evocativa ed en-
. comiastica da esso espressa.
Questo è dunque l'impianto consueto e costante, anche per quan­
to riguarda la rigidità della scansione e della successione ordinata de­
gli elementi, di qualunque titolatura imperiale. In casi specifici posso­
no comunque comparire nelle titolature anche altri elementi occasio­
nali, sia per quanto si riferisce per esempio al numero dei cognomina
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 267

o delle espressioni che accompagnano e ampliano il senso laudativo


del cognomen per eccellenza Augustus, sia per quanto si riferisce al­
l'inserimento di altri titoli (come, ad esempio, quello di censor o di
proconsul).
3.
CIL V, 7852 =ILS 1854
D(is) M(anibus)
Victori-
naes
Flaminalis
M.Tarquini
Memoris
e(onductoris) XL( quadragesimae)
Gall(iarum) ser(vus) vilic(us)
stationis Ped(onensis)
con1ug1 car1s-
• • •

simae et de se
benemerenti

Trad. : Agli dei Mani di Vittorina. Flaminale, servo vilico di M. Tarquinio


Memor, dirigente della stazione di esazione della Quadragesima Galliarum
a Pedona, per la moglie carissima e che aveva ben meritato nei suoi
confronti.

Iscrizione funeraria incisa su una stele timpanata di marmo e pro­


veniente da Pedona, un insediamento urbano che - allo sbocco in
pianura della valle Stura e della strada che portava alla Narbonese
attraverso il Col de Larche, sull'estremo versante italico del distretto
amministrativo delle Alpes Maritimae - ospitava una statio, cioè un
ufficio di esazione della cosiddetta Quadragesima Galliarum, la tassa
del 2,5 o/o da pagarsi sulle merci in entrata e in uscita da e per la
Gallia Transalpina. Il testo dell'iscrizione contiene la dedica alla mo­
glie defunta da parte di un funzionario amministrativo (vilicus) di
condizione servile (servus) del dirigente (conductor) della statio. Sia­
mo di fronte a una semplice e stereotipa iscrizione sepolcrale, co­
struita secondo gli schemi più comuni di questo genere di epigrafia e
riferita a personaggi di nessuno spessore storico: eppure essa rappre­
senta un caso emblematico della potenzialità e multivalenza docu­
mentaria anche di epigrafi funerarie apparentemente insignificanti e
anonime. In primo luogo, se si esamina il complesso dell'epigrafia
dell'area da cui proviene, sarà possibile notare come la stele di Pedo­
na si distingua nettamente per la qualità del marmo, per la presenza
di un' ordinatio e di un ductus assai precisi, per la scrittura elegante,
per il gusto dell'impaginazione, per l'ottima fattura delle comici mo­
danate e del rilievo, per la resa esteticamente gradevole e in parte
originale delle decorazioni in rilievo che l'accompagnano. Siamo, in­
somma, in presenza di un prodotto di ottimo artigianato eseguito da
esperti lapicidi itineranti o, più probabilmente, da un'officina lapida­
ria, presente nella zona o in area non lontana, di livello medio-alto.
268 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

Tale dato, unito ad altri offerti da fonti di analogo contenuto, con­


sente di meglio valutare (e quindi di correggere almeno in parte il
profilo socioeconomico di una realtà periferica del mondo romano
imperiale, comunemente considerata depressa e marginale. Va notato
inoltre come la più pregevole delle lapidi funerarie della zona fosse
stata commissionata da un funzionario di condizione servile dell'uffi­
cio di esazione fiscale: ciò per un verso conferma, come del resto è
ben noto, che non esisteva nella società romana una stretta e costan­
te coincidenza fra condizione giuridica (libera o schiavile) , condizio­
ne economica e posizione o prestigio sociale. Si poteva essere schiavi,
facoltosi e stimati e si poteva essere liberi, poveri ed emarginati o
viceversa. In particolare, poi, gli schiavi imperiali, alla cui categoria il
Flaminalis di Pedona apparteneva, godevano di retribuzioni onorevo­
li e di un prestigio di ruolo tutt'altro che infimo. Tale prestigio dove­
va risultare tanto più elevato in contesti urbani periferici in cui
(come nel caso di Pedona) in funzione del loro ufficio costoro si tro­
vavano a essere gli unici rappresentanti visibili dell'autorità statale
centrale.
Se l'epigrafe di Pedona appare senza dubbio utile sul piano della
definizione dei connotati storici della regione di provenienza, altret­
tanto interessante essa appare sia su un piano sociologico generale,
sia sul piano della comprensione di quella complessa e articolata fun­
zionalità che è propria dell'epigrafia funeraria latina. Fla111inalis fa
preparare e incidere la stele per onorare la moglie benemerita scom­
parsa, ma - come è facile notare - egli tende a mettere in evidenza
nel complesso del testo iscritto le note relative alla carica da lui rive­
stita, senza dimenticare di sottolineare adeguatamente, anche in ter­
mini di evidenza testuale e grafica, con palese e smaccata piaggeria, il
nome del suo diretto superiore, il conductor M. Tarquinius Memor.
L'iscrizione funeraria risponde dunque - in questo caso - a due
obiettivi: il primo, il più ovvio, è quello di perpetuare la memoria
della defunta; il secondo (molto meno ovvio da un moderno punto
di osservazione, ma allora certo non secondario se non talvolta addi­
rittura prevalente) è quello di servire alla promozione sociale e di
carriera del dedicante.
Il monumento sepolcrale romano nel suo complesso e l'iscrizione
che ad esso si accompagna possono dunque soddisfare contestual­
mente diverse funzioni: in primo luogo, direttamente connessa al se­
polcro e indipendentemente dalla sua struttura, collocazione, materia,
misura od ornato, vi è la duplice missione di protezione sacra dei
resti mortali e di perpetuazione del nome del defunto. In quest'ottica
il testo dell'iscrizione funeraria, vero e proprio fulcro essenziale e
ideologico del complesso funerario, non si limita semplicemente a
spiegare e a identificare la tomba, ma trasmette il messaggio di un'e­
sistenza 01111ai spenta di cui aspira a essere voce prolungata nel tem­
po dopo la morte e potenzialmente imperitura: la scrittura incisa sul-
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 269

la pietra funge da antidoto alla caducità della memoria non sollecita­


ta e la pietra iscritta si erge a baluardo non tangibile, ina111ovibile e
fedele, non fra la fragilità dell'uomo e la sua morte fisica, bensì fra
l'essere umano e la dimenticanza, fra la permanenza del ricordo ter­
reno e la secunda mors, la morte definitiva nell'oblio. Per raggiungere
il suo scopo di perpetuazione della memoria, l'epigrafe funeraria lati­
na si sforza non certo di delineare realtà complesse o generali, ma al
contrario cerca di fissare i momenti o i tratti di qualità di maggiore
importanza della vita del morto, mantenendo costante la sintonia con
l'immaginario collettivo della massa, dell'uomo della strada. Il con­
formismo rispetto ai valori della società urbana romana è la chiave
attorno a cui si costruisce qualunque elogio funebre in grado di assi­
curare anche a persone del tutto anonime in vita il diritto a una so­
pravvivenza, la cui durata si misurerà appunto in relazione alla mag­
giore o minore efficacia nella sollecitazione del ricordo dei vivi.
Si intreccia dunque, fra l'iscrizione sepolcrale - <<voce del morto>>
- e la collettività dei potenziali lettori di essa, una sorta di colloquio
che può assumere for111e e contenuti molteplici, ma che non può mai
prescindere da almeno un paio di esigenze: la prima è quella di in­
durre comunque a un giudizio positivo sul defunto, sia esso provoca­
to dall'enunciazione di una brillante carriera, dal richia1110 a una o
più doti morali specchiate o, più semplicemente, dall'esposizione di
un atto, di un gesto, di un comportamento, di un'attività, o ancora -
nelle epigrafi metriche di cui vedremo più avanti un esempio - dal
lancio di una battuta, di un motto di spirito, dalla declamazione di
una sentenza, dall'esaltazione di un modello di esistenza; la seconda
esigenza, condizione della prima, è quella di non operare strappi vio­
lenti rispetto alle pulsioni, alle convinzioni e agli umori della mentali­
tà comune nell' affiuent society cittadina altoimperiale, ove il benesse­
re si estendeva ai ceti popolari, ove l'agiatezza consentiva e provoca­
va mobilità sociale, ove il fascino e i vantaggi dello sviluppo non can­
cellavano però del tutto - anzi per certi versi acuivano - le aree di
disagio individuale o collettivo o le angosce esistenziali.
La stretta interdipendenza fra contenuti del messaggio epigrafico
funerario romano e la realtà sociale urbana - dal momento che l'epi­
grafia in genere fu nel mondo imperiale romano fenomeno tipica­
mente cittadino - spiega anche un'altra finalità del monumento e del­
l'iscrizione sepolcrale, che - come nella stele di Pedona - spesso si
somma alle funzioni di protezione del corpo del defunto e di tra­
smissione del suo ricordo: soprattutto nei casi non infrequenti in cui
l'iscrizione funebre viene esposta a cura dello stesso destinatario
quando egli è ancora in vita (compare per lo più in capo al testo
epigrafico - in queste circostanze - la sigla V(ivus, -ivi) /(ecit, -ece­
runt)), il contenuto del messaggio epigrafico si sosta�ia in genere di
componenti · giudicate utili alla · promozione sociale del dedicatario;
l'epigrafe funeraria incisa in vita diviene, in altri te1111ini, strumento
270 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

attivo e spregiudicato per acquisire meriti capitalizzabili in vita, men­


tre la sua destinazione funeraria può anche passare in secondo piano
come dato occasionale e accessorio.

4.
CIL VIII, 1 1824 = IIS 7457
------
ve[ . . . ]sp [---]on [ . . ] fui
paupere progenitus lare sum parvoq. parente
cuius nec census neque domus fuerat.
Ex quo sum genitus, ruri mea vixi colendo;
nec ruri pausa nec mihi semper erat.
Et cum maturas segetes produxerat annus,
demessor calami tunc ego primus eram.
Falcifera cum tu1111a virum processerat arvis,
seu Cirtae Nomados seu Iovis arva petens,
demessor cunctos anteibam primus in arvis,
pos tergus linquens densa meum gremia.
Bis senas messes rabido sub sole totondi,
ductor ex opere postea factus eram.
Undecim et turmas messorum duximus annis,
et N11111idiae campos nostra manus secuit.
Hic labor et vita parvo con(ten)ta valere
et dominum fecere domus et villa paratast,
et nullis opibus indiget ipsa domus.
Et nostra vita fructus percepit honorum;
inter conscriptos scribtus et ipse fui.
Ordinis in templo delectus ab ordine sedi,
et de rustictÙo censor et ipse fui.
Et genui et vidi iuvenes carosq. nepotes.
Vitae pro meritis claros transegimus annos
quos nullo lingua crimine laedit atrox.
Discite mortales sine crimine degere vitam.
Sic meruit, vixit qui sine fraude, mori.

Trad. : Sono nato da una famiglia povera: mio padre non aveva risorse eco­
nomiche e non aveva neppure una casa di sua proprietà. Da quando sono
nato ho vissuto coltivando il mio campo. Né la mia terra né io abbiamo mai
conosciuto momenti di riposo. E quando veniva la stagione dell'anno in cui
le messi erano mature, io ero il primo a tagliare le spighe; e quando compa­
rivano nelle campagne squadre di contadini che andavano a lavorare come
braccianti salariati vicino a Cirta, capitale della provincia di Numidia, o nel­
le pianure che dominano la montagna di Giove, io li precedevo tutti nel
compiere il lavoro di mietitura dei campi. In seguito ho lasciato il mio paese
e per dodici anni ho lavorato per altri, mietendo sotto un sole di fuoco.
Sono diventato poi capo di una squadra di mietitori e per undici anni ho
comandato gruppi di braccianti e le mie mani hanno falciato il grano nei
campi di Numidia. A forza di lavorare e poiché ho sempre saputo acconten­
ta1·111i di poco, ho risparmiato fino a poter diventare proprietario di una casa
e di un podere: oggi io vivo nell'agiatezza e non mi manca nulla. E racco-
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 27 1

gliendo i frutti del mio modo di vivere ho fatto anche carriera nell'ammini­
strazione pubblica: sono stato chiamato a far parte dell'assemblea che go­
verna la mia città e da contadinucolo sono arrivato ad essere magistrato su­
premo con poteri censori della mia città. I-lo visto nascere e crescere attor­
no a me i miei figli e i miei nipoti. Ho trascorso la mia vita onorato da tutti
per i miei meriti. Nessuno ha potuto trovare da dire sulla mia vita irrepren­
sibile. Imparate, o uomini, a vivere una vita onesta. Così merita di morire
chi visse senza ingannare nessuno.

Esiste, nel corpus dell'epigrafia funeraria latina, una quota percen­


tuale piuttosto ridotta (circa il 2 % del totale) di epitaffi metrici: si
tratta di un complesso di alcune centinaia di testi, che si situano cro­
nologica111ente tra la fine dell'età repubblicana e l'età tardoimperiale
e che sono espressione dei più diversi ambiti sociali. La loro impor­
tanza documentaria, di gran lunga superiore al dato quantitativo pro­
porzionale, più che nel valore interclassista e nella lunga durata dei
temi proposti, risiede principalmente nel fatto che le epigrafi funera­
rie metriche assolvono a compiti di comunicazione assai più ampi e
articolati, sia in rapporto ai contenuti sia in rapporto alla qualità dei
messaggi trasmessi, rispetto alla comune epigrafia sepolcrale in prosa.
Accanto ai dati individuanti (onomastica, interrelazioni personali, in­
dicazioni biometriche, mestieri, funzioni o scansioni di carriera, nota­
zioni di merito, eventuali precisazioni e motivazioni dell'offerta) di
dedicanti e di dedicatari, comuni a entrambe le tipologie epigrafiche,
soltanto nelle iscrizioni metriche si aprono spazi consistenti per un
colloquio diretto, prevalentemente esplicito e solo in casi rari affidato
ai meccanismi della trasmissione simbolica o subliminale, tra il de­
funto e coloro che sostano davanti alla tomba e all'epitaffio. La scel­
ta, economicamente assai onerosa - eppure, come si è detto, talvolta
compiuta anche da individui di non elevata condizione - di farsi in­
cidere un'epigrafe in versi in luogo della più comune e stereotipa
iscrizione funeraria in prosa, si giustifica, anzi, proprio con la pres­
sante esigenza di attivare questa sorta di dialogo estremo con la col­
lettività dei potenziali lettori. Un dialogo, che - seppur variamente
strutturato - finisce prevalentemente per assumere, in forma ·diretta o
mediata, il significato asseverativo di una sentenza che procla111a l' es­
senza negativa della morte a fronte dell'essenza positiva di un'esisten­
za terrena vissuta nella felicità e nella compiutezza dei valori.
L'epigrafe metrica sopra riportata è comunemente nota come l'i­
scrizione del mietitore di Mactaris, città della provincia di Byzacena
nell'Africa romana. Nel testo il soggetto narrante ripercorre le tappe
della sua ascesa economica e sociale: da semplice bracciante nato in
povertà, grazie al suo intenso lavoro prima come salariato poi come
capo di una squadra di mietitori che prestavano la loro opera in di­
versi fondi della N11111idia, egli riuscì ad accumulare un capitale suffi­
ciente a consentirgli l'acquisto di un podere e di una casa. Raggiunta
così l'agiatezza, il successo economico del mietitore non tardò a tra-
272 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

dursi in successo sociale e politico: egli fu accolto fra i decurioni del


senato cittadino, l'assemblea di governo delle città, e in breve assurse
ai vertici più alti dell'amministrazione municipale. Da contadinucolo
(rusticulus) era divenuto magistrato supremo della sua città: era stato
cioè eletto censor, espressione con cui viene qui indicata la massima
carica cittadina (duovirato, o quattuorvirato) che ogni cinque anni as­
s11111eva competenze censorie relative all'aggiornamento delle liste dei
membri dei senati cittadini. La ricchezza, che secondo le regole della
cooptazione censitaria atnmetteva negli organi di governo delle città
soltanto coloro che avessero acquisito l'alto livello di reddito previsto
dalle leggi municipali, gli aveva aperto la strada della carriera politica
e sociale.
Anche in questo caso l'iscrizione, che risale probabilmente a
un'epoca compresa fra la fine del II e l'inizio del III secolo d.C ., of­
fre diversi spunti informativi, oltre a segnalarsi per il tipo della scrit­
tura: una qualità di onciale - scrittura epigrafica a lettere accentuata­
mente arrotondate tipica di area africana - particolarmente apprezza­
bile. La carriera del mietitore di Mactaris attesta in maniera assai
chiara quali occasioni di mobilità la società romana imperiale fosse in
grado di offrire e, più specificamente, come tali opportunità si esal­
tassero in un contesto come l'Africa nordoccidentale, in quel torno
di tempo in pieno decollo economico. La principale fortuna del mie­
titore fu indubbiamente quella di vivere in un'epoca e in una regione
in cui le produzioni agricole di base erano in fortissima crescita, an­
che per compensare - nell'economia generale della parte occidentale
dell'impero - la grave crisi produttiva che al contrario investiva aree
tradizionalmente prospere come l'Italia o la Gallia. La stessa iscrizio­
ne definisce, inoltre, un modello di vita e di virtù basato su un'etica
del lavoro manuale, fino ad allora estranea alla mentalità romana, al­
meno a livello di elaborazioni di pensiero. Com'è noto, da Cicerone
a Seneca la condanna del lavoro manuale retribuito, in quanto attivi­
tà di tipo servile e perciò degradante per un uomo libero, appare
una costante della riflessione etico-sociale romana, anche se evidente­
mente tale impostazione teorica trovava poi un riscontro soltanto re­
lativo nella realtà e nella prassi quotidiana. Il mietitore africano,
però, sottolineando come non solo la sua fortuna economica ma il
suo successo politico e, soprattutto, il prestigio e la stima di cui go­
deva alla fine della sua esistenza dipendessero solo dall'indefesso la­
voro esercitato per anni - con sudore - nei campi, restituisce piena
dignità morale all'attività manuale salariata e capovolge i canoni fon­
danti di un'intera filosofia esistepziale. Nella sua modestia, dunque,
l'iscrizione di Mactaris - in un momento di grandi trasformazioni
strutturali a livello politico, socioeconomico e culturale dell'impero,
che trovavano nell'Africa un laboratorio avanzato di sperimentazione
- fotografa un muta111ento non marginale di mentalità e di etica
comporta111entale.
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 273

5.
CIL XI, 366 = ILS 133
C(aius) C(aesar)
August(i) f(ilius)
co(n)s( uli)
vtas omnes

Arimini stern(andas curavit)

Trad. : Gaio Cesare, figlio di Augusto, console, curò la lastricatura di tutte le


strade di Rimini.
' ·

E questo un tipico caso di iscrizione che commemora l'iniziativa


di un personaggio fa111oso ai fini dell'esecuzione di un'opera d'inte­
resse pubblico. Simili iscrizioni, il cui valore onorifico-celebrativo ap­
pare evidente, suggellavano appunto il compimento di ogni genere di
interventi a favore della collettività da parte di imperatori, magistrati,
patroni, personaggi influenti e facoltosi in genere e, in particolare, la
costruzione o il riatta111ento di strade, acquedotti, edifici e monumen­
ti pubblici. Incise in genere a caratteri monumentali di adeguata
grandezza e collocate in modo da poter essere facilmente visibili e
leggibili, questo genere di iscrizioni rientra a pieno titolo nell'ampia
categoria delle iscrizioni onorarie. La grande targa riminese, che ri­
corda la lastricatura di tutte le strade della città eseguita per inte­
ressamento del nipote e figlio adottivo di Augusto, Gaio Cesare, na­
sconde però ulteriori elementi di interesse. Come ha dimostrato G.
Susini (Compitare per via. Antropologia del lettore antico: meglio, del
lettore romano, in <<Alma Mater Studioru111>>, I ( 1988), pp. 1 12-1 13),
l'epigrafe appare concepita in modo tale che la lettura a colpo d' oc­
chio compiuta da coloro che passavano davanti ad essa potesse in­
durre alla ricezione di un messaggio diverso rispetto al significato og­
gettivo del testo. In primo luogo nell'iscrizione il nome del giovane
Gaio Cesare è accostato - come era doveroso - alla carica consolare;
ma consoli si erano chia111ati anche gli antichi magistrati della repub­
blica latina di Ariminum; il testo epigrafico termina con ARIMINI·­
STERN (ma la N appare di dimensioni assai ridotte rispetto alle altre
lettere e schiacciata sul bordo della targa) , che va interpretato, scio­
gliendo e integrando, Arimini stern(andas curavi!) in riferimento alle
vias omnes della riga precedente (cioè, appunto, curò che tutte le
strade di Rimini fossero lastricate) . Sul significato oggettivo del testo
non ci sono dubbi; . ma <<chi scorgeva da lontano, a colpo d'occhio,
l'iscrizione recepiva il nome di Cesare console (e un riminese non
poteva non pulsare d'attenzione per il consolato, per la stessa titola­
tura magistrale che aveva accompagnato i primi due secoli della città
fondata dai Romani) e alla clausola finale del testo un Ariminister:
quanti tra i lettori si piegavano a riflettere che l'ultima riga significa
Arimini sternandas curavi! e non invece il nome di un antico re di
Rimini, prima dei consoli latini, di un re etrusco di nome Arimineste,
quale ci racconta Pausania (V, 12, 5 ) , che avrebbe per primo offerto
un trono al santuario di Olimpia? Quanti tra i lettori non accostava-
274 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

no a colpo d'occhio Caesar (la tradizione cesariana a Rimini era vi­


vissima) , il consolato e l'antico re, appagando l'orgoglio politico rimi­
nese>> e nel contempo esaltando e connotando con precisi rimandi
evocativi locali il ruolo di Gaio Cesare? Ci trovia1110 in presenza cioè
dell'applicazione al documento epigrafico di tecniche sofisticate di
comunicazione occulta, che - operando sulla struttura lessicale e lin­
guistica nonché sulla impaginazione del testo - producono effetti di
trasmissione e ricezione di messaggi diversi e ideologica111 ente più si­
gnificativi di quello letterale. In altre parole, all'alba dell'era cristiana
vediamo entrare in gioco nell'azione mediale operata dalle iscrizioni
meccanismi per molti versi analoghi a quelli comunemente oggi ap­
plicati nella pubblicità e nella propaganda subliminale.

6.
A. Audollent, Defixionum tabellae quotquot innotuerunt tam in graecis
orientis quam in totius occidentibus partibus praeter Atticas in Corpore Inscri­
ptionum Atticarum editas, Luteciae Parisiorum, 1904, pp. 198-201, n. 140 =

CIL VI, 33899.


-----
filius [---]
qui [---]o ab hac ora ab hoc die ab hac nocte
t[---]mti c[---]ege
tere contere confr[in]ge e[t --- t]rade
morti fili[u]m Aselles Praeseti[ci]um pristinarium
qui manet in regione nona uhi videtur arte sua
facere et trade Plutoni praeposito mortuorum
et si forte te contempserit patiatur febris
frigus tortionis palloris sudores obbripi­
lationis meridianas interdianas seru-
tinas nocturnas ab hac ora ab hoc die ab hac (nocte)
[e]t perturba eum ne repraeensionem abeat
et si forte occansione invenerit praefocato eum
Praestetium fili [um Asell]es in termas [in] valneas in quocumque loco
cupede frange Pr[aesetici]o Aselles et [si] forte te seducat per aliqua
[? artifici]a et rideat de te exultetur tibi
vince peroccide filium mares Praesete-
cium pristinar[iu]m filium [A] selles
qui manet in regione [nona, ed]e ede
tacy tacy

Trad. : . . afferra, tieni stretto, annienta, e consegna alla morte il figlio di


.

Aselle, il fornaio Preseticio, che abita nella regione nona dove pure esercitò
la sua attività; consegnalo a Plutone signore dei morti e se si prenderà per
caso gioco di te, sia tormentato dalla febbre, dal freddo, dalla paura che fa
sudare e tremare le membra, e questo avvenga di mattino, di pomeriggio, di
sera, di notte, a partire da quest'ora, da questo giorno, da questa notte;
sconvolgilo al punto che non possa riprendersi, e se per caso te ne capita
l'occasione soffocalo nelle terme, nel bagno, in qualsiasi luogo; lega, fa a
pezzi Preseticio, figlio di Aselle, e se per caso ti distrae con qualche pratica
magica e ride di te e ti insulta, lega, ammazza il fornaio Preseticio, figlio di
Aselle, che abita nella regione nona. Fallo subito, subito, presto, presto.
TAv. 2. CIL Xl, 366 -

ILS 133 . Si vedano testo, traduzione e commento, supra, pp. 273 s.


LE FONTI EPIGRAFIC!fE LATINE 277

Nell'intero mondo mediterraneo la pratica magica della defixio


aveva lo scopo di produrre in un individuo sofferenze fisiche e mora­
li per111anenti, spesso addirittura prolungate oltre la morte stessa.
Questo genere di maledizioni assunse nell'impero romano connotati
specifici di maggiore ampiezza, diffusione e articolazione. L'autore
della defixio, di cui la tabella su cui era incisa non costituiva soltanto
il doc11111ento scritto ma lo strumento attivo e scatenante dell'azione
magica negativa, si proponeva di inchiodare, di immobilizzare, di fis­
sare per sempre il proprio nemico a un destino di pena o di morte
secondo il significato etimologico del termine defixio, che dal verbo
defigere significa appunto <<conficcare>>. Talvolta l'immobilità che si
intendeva produrre era di per sé il fine della defixio, in quanto para­
lisi del corpo e della mente, impotenza, inibizione delle funzioni sen­
sorie e delle capacità intellettive; altre volte invece si trattava soltanto
di un mezzo: l'avversario immobilizzato non poteva più reagire, non
poteva difendersi o cercare sollievo dalle pene che la maledizione gli
procurava. Le defixiones venivano in genere incise su sottili tabelle di
piombo di ridotte dimensioni, giunte a noi in quantità ragguardevole.
Il piombo era preferito in quanto metallo facilmente piegabile e scal­
fi.bile dalla punta ddlo stilo, ma sufficientemente duro da non spez­
zarsi; la scelta del piombo aveva però anche un significato intrinseca­
mente magico: il piombo era il freddo, pesante metallo di Saturno, il
crudele dio della morte. Colui che subiva la maledizione doveva di­
venire freddo, rigido nei movimenti, privo di pregio e di valore come
il piombo saturnino, jettatorio e malefico.
Quella di cui qui riportiamo il testo è una tabella di defissione
romana ritrovata sulla via Appia. Oltre al testo, in parte danneggiato
ma comunque comprensibile, sulla tabella comparivano incise lettere
e parole greche con oscuro significato magico e, inoltre, l'immagine
del demone egizio Typhon-Seth in piedi, nell'atto di tendere l'arco.
Proprio a questo dio minore l'ignoto estensore della tabella si rivolge
in maniera assillante affinché provveda a infliggere pene dolorose, e -
se il caso - anche la morte, al fornaio Preseticio, la cui bottega sorge­
va nella regio IX di Roma. Come si può notare, la richiesta di malefi­
cio viene reiterata più volte, e più volte, al fine di evitare fraintendi­
menti o scambi di persona, il destinatario della defixio è indicato con
il suo nome, con il matronimico (invece del patronimico, usuale nel-
1'onomastica latina ma in questo caso specifico con minor valore in­
dividuante rispetto al matronimico, dal momento che - come è ovvio
- la madre è sempre certa, mentre il padre può non esserlo) , e con il
ragguaglio toponomastico relativo alla posizione della bottega in cui
il fornaio esercitava la sua attività. La forma sintattica, grammaticale
e morfologica dimostra come qui si sia di fronte a un testo nato in
un ambiente popolare e di modesta cultura, ove il ricorso fiducioso
alla pratica magica per tentar di risolvere problemi esistenziali o di
rapporto interpersonale rientra nelle più no1·111ali consuetudini. Le ta­
belle di defissione sono in effetti espressione della tendenza delle
classi basse o medio basse romane a rivolgersi alla magia e alle prati-
278 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

che parareligiose, che, rispetto alla religione di stato o alle credenze


di impianto dottrinale complesso, offrivano più concrete speranze di
attivare un contatto diretto con le potenze soprannaturali del bene e
del male e di ottenere, tra111ite tale contatto, un deciso migliorar11ento
in tempi brevi delle condizioni di vita. In questo senso le defixiones e
altre forme analoghe di magia appaiono anche il riflesso di un mal­
contento sociale diffuso, profondo e a lungo represso, che va molto
al di là delle situazioni individuali e contingenti documentate da cia­
scuna tavoletta. Dal punto di vista più strettamente epigrafico e del­
l'impiego delle fonti iscritte al fine della ricostruzione storica, le ta­
belle di defissione rappresentano un esempio fra i più probanti di
come un complesso di iscrizioni possa esprimere un valore documen­
tario esclusivo: considerate individualmente, ma ancora meglio nella
loro totalità, esse ci offrono infatti, su di un aspetto non minore della
realtà sociale, religiosa e culturale dell'impero di Roma, informazioni
originali non acquisibili attraverso fonti di altro genere o natura.

7.
CIL Xl, 1 147 = ILS 6675

Obligatio praediorum oh HS deciens quadraginta quattuor milia, ut ex in­


dulgentia optimi maximique principis imp. Caes. Nervae Traiani Aug. Ger­
manici Dacici pueri puellaeque alimenta accipiant: legitimi n(umero)
CCXLV in singulos HS XVI n(ummos),
f(iunt) HS XLVIIXL n(ummi)
legitimae n(umero) XXXIV sing(ulae) HS XII n(ummos)
f(iunt) HS ivDCCCXCVI n(ummi)
spurius I HS CXLIV
spuria I HS CXX

summa HS LIICC
quae fit usura (quincunx) sortis supra scribtae
(!.) C.Volumnius Memor et Vol11111nia Alce per Volum. Diadumenum liber­
tum suum professi sunt fundum Quintiacum Aurelianum, collem Muletatem
cum silvis, qui est in Veleiate pago Ambitrebio, adfinibus M. Mommeio Per­
sico, Satrio Severo et pop(ulo), HS cv111; acciper(e) debe(n)t HS
v111DCL I n(ummos) et fundum s(upra) s(criptum) obligare.

Trad. : Obbligazioni delle proprietà per un ammontare di 1 .044.000 sesterzi,


affinché per la generosità dell'Ottimo e Massimo Imperatore Cesare Nerva
Traiano Augusto Germanico Dacico fanciulli e fanciulle ricevano una rendi­
ta di sostentamento.
245 figli legittimi riceveranno ciascuno 1 6 sesterzi per un totale di 47.040
sesterzi

34 figlie legittime riceveranno ciascuna 12 sesterzi per un totale di 4.896


sesterzi

1 figlio illegittimo riceverà 144 sesterzi


1 figlia illegittima riceverà 120 sesterzi
somma 52 .200 sesterzi
il che significa un interesse del 5 o/o sul capitale su indicato.
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 279

(I) Caio Vol11111nio Memore e Volumnia Alce, attraverso il loro liberto Vo­
lumnio Diadumeno dichiarano la proprietà immobiliare detta Quinziaco
Aureliano, la collina Muletas con i boschi relativi, che si trova nel territorio
di Veleia, nel pagus Ambitrebio, confinante con le terre di Marco Mommeio
Persico, di Satrio Severo e con le terre demaniali; il suo valore è stimato in
108.000 sesterzi; egli dovrà ricevere 8.692 sesterzi e ipotecare i fondi sopra
descritti.

Leggia1110 qui l'intestazione e il primo comma della cosiddetta ta­


bula alimentaria di Veleia, antica città romana sull 'Appennino emilia­
no. Incisa su bronzo, l'iscrizione è per noi fonte preziosa in quanto
consente di comprendere il complesso meccanismo delle <<istituzioni
alimentari>>, volute dall'imperatore Traiano. Si trattava di una serie di
prestiti di denaro pubblico offerti a proprietari terrieri privati italici
al tasso di interesse del 5 o/o (assai più conveniente del tasso normal­
mente applicato del 12 % ) dietro garanzie di terreni per un valore
almeno dieci volte superiore. Gli interessi così ricavati dallo stato ve­
nivano utilizzati per mantenere (donde la qualificazione di <<alimenta­
ri>> data a tali istituti) fanciulli orfani delle stesse località in cui i pre­
stiti erano stati accesi. Sul senso e sui motivi di tali provvedimenti gli
storici tuttora discutono: Traiano si proponeva probabilmente sia di
soccorrere l'economia agricola italica in crisi per la produzione con­
correnziale delle province; sia di salvaguardare un patrimonio di for­
za-lavoro o di forza militare (i giovani orfani) che, se non assistito,
rischiava di andare disperso; sia, infine, di stimolare i proprietari ita­
lici a produrre di più e in maniera più razionale. La tavola veleiate
può essere considerata un tipico esempio di epigrafia giuridica, di
un'epigrafia cioè destinata alla pubblicizzazione di provvedimenti,
leggi, norme, sentenze, atti pubblici (o privati con interesse pubblico,
come ad esempio gli atti notori), processi verbali di associazioni e
collegi. Questo genere di epigrafia obbedisce a regole strutturali e
compositive diverse dall'epigrafia sacra, onoraria o funeraria: in parti­
colare, essendo i contenuti dell'epigrafia giuridica per lo più di lettu­
ra e apprendimento obbligatorio da parte delle comunità più o meno
estese a cui erano diretti, i testi epigrafici relativi rinunciano decisa­
mente a tutte le caratteristiche di chiarezza, di semplicità, di brevità e
di stringatezza, che sono invece costanti nelle iscrizioni sacre, onora­
rie e sepolcrali. Ci troviamo così di fronte a testi incisi in genere a
lettere di modesta altezza e, anche in funzione della loro spesso con­
siderevole lunghezza, impaginati in modo da sfruttare al meglio lo
spazio disponibile sulla pietra e sul bronzo, senza eccessiva preoc­
cupazione appunto della perspicuità immediata di lettura.
8.
CIL, 12, 594; II, Suppi. 5439 = ILS 6087

LXII. Ilviri quicumque erunt, ii Ilviri in eos singulos lictores binos, accen­
sos sing. scribas binos, viatores binos, libarium, praeconem, haruspicem, ti­
bicinem habere ius potestasque esto. Quique in ea colonia aedil(es) erunt,
iis aedil. in eos aedil. sing. scribas sing. , publicos cum cincto limo 1111, prae-
2 80 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

conem, haruspicem, tibicinem habere ius potestasque esto. Ex eo numero,


qui eius coloniae coloni erunt, habeto. lisque Ilvir. aedilibusque, dum et1111
mag(agistratum) habebunt, togas praetextas, funalia, cereos habere ius pote­
stasque esto. Quos quisque eorum ita scribas lictores accensos viatorem tibi­
cinem haruspicem praeconem habebit, iis omnibus eo anno, quo anno qui­
sque eorum apparebit, militiae vacatio esto, neve quis eum eo anno, quo
mag(istratibus) apparebit, invitum militem facito neve fieri iubeto neve e11111
cogito neve ius iurandum adigito neve adigi iubeto neve sacramento rogato
neve rogari iubeto, nisi tumultus Italici Gallicive causa. Eisque merces in
eos singul., qui Ilviris apparebunt, tanta esto: in scribas sing. HS MCC, in
accensos sing. HS DCC, in lictores sing. HS DC, in viatores sing. HS
CCCC, in librarios sing. HS CCC, in haruspices sing. HS D, praeconi HS
CCC; qui aedilib. appareb(unt): in scribas sing. HS DCCC, in haruspices
sing. HS C, in tibicines singul. HS CCC, in praecones sing. HS CCC. lis
s(ine) f(raude) s(ua) kapere liceto.

Trad. : (62) Inservienti dei magistrati e loro stipendi. Tutti i duoviri avranno
diritto e potere di avere ciascuno due littori 1, un garzone di ordinanza, due
segretari, due messi, un copista, un banditore, un aruspice, un flautista 2 .
Tutti gli edili avranno diritto e potere di avere ciascuno un segretario, quat­
tro schiavi pubblici che indossano il grembiule, un banditore, un aruspice,
un flautista. (Ciascuno) li prenda fra coloro che saranno coloni di questa
colonia. I duoviri e gli edili, finché saranno in carica, avranno il diritto e il
potere di avere toghe preteste, torce, ceri 3 . Tutti i segretari, i littori, i garzo­
ni di ordinanza, i messi, i flautisti, gli aruspici, i banditori che ciascuno di
essi avrà, nell'anno in cui ciascuno presterà servizio, sarà esente dal servizio
militare e nessuno in quell'anno, in cui (ciascuno) presterà servizio ai magi­
strati, lo arruoli o lo faccia arruolare contro la sua volontà né lo costringa
né lo induca o lo faccia indurre (da altri) al giuramento di disciplina milita­
re né gli chieda o gli faccia chiedere (da altri) il giuramento stretto del sol­
dato 4 , tranne che in caso di tumulto italico o gallico 5 . Gli inservienti dei
duoviri ricevano ciascuno una paga in questa misura: ciascun segretario
1.200 sesterzi, ciascun garzone di ordinanza 700, ciascun littore 600, ciascun
messo 400, ciascun copista 3 00, ciascun aruspice 500, ciascun banditore
3 00. Gli inservienti degli edili; ciascun segretario 800 sesterzi, ciascun aru­
spice 100, ciascun flautista 300, ciascun banditore 300. Essi potranno perce­
pire questa paga senza esporsi a nessuna penale.

1 I littori, esattamente come avveniva con i magistrati di Roma, erano addetti a


portare i fasci, simbolo del potere (imperium), e for111avano una sorta di guardia del
corpo dei più importanti magistrati cittadini.
2 Aruspici e flautisti operavano nelle cerimonie sacrificali presiedute dai magi-

strati.
3 I principali magistrati della città, duoviri ed edili, hanno diritto di indossare
una toga analoga a quella indossata dai senatori romani. Torce e ceri servivano per
illuminare di notte la strada al magistrato.
4 Il giuramento di cui la legge ha parlato poco prima, ius iurandum, è un giura­
mento generico che impegna alla disciplina da rispettare nell'accampamento; il giu­
ramento di cui si parla a questo punto è invece il sacramentum, cioè il giuramento
più particolare e impegnativo del soldato.
5 La fo1111ula tumultus Italicus Gallicusve indicava in origine lo stato di emer­
genza creato da una guerra nella penisola o da un'invasione dei Galli ; poi venne
mantenuto per indicare genericamente guerra interna o ai confini.
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 281

XCVII. Ne quis Ilvir neve quis propotestate in ea colon. facito neve ad


decur(iones) referto neve d(edurionum) d(ecretum) facito fìat, quo quis co­
lon(is) colon(iae) patron(us) sit atopteurve praeter e11111, que { = cui} c(olo­
nis) a(grorum) d(andorum) a(dsignandorum) i(us) ex lege Iulia est, eumque,
qui eam colon. deduxerit, liberos posterosve eorum, nisi de m(aioris) p(ar­
tis) decurion. erunt per tabellam sententiam, c11111 non minus L aderunt,
cum e(a) r(es) consuletur. Qui atversus ea feceri[t] , HS D) (quinque milia)
colon. eius colon. d(are) d(amnas) esto, eiusque pecuniae colon. eius colon.
cui volet petitio esto.

Trad. : (97) Disposizioni sulla nomina di un <<[Jatronus>> della colonia. Nes­


sun duoviro o suo sostituto nomini né proponga ai decurioni la nomina né
faccia decretare dai decurioni la nomina e adozione di un patrono, tranne
che la nomina non riguardi colui che secondo la legge Giulia ha il potere di
dare e assegnare i terreni, o colui che avrà fondato la colonia, o i loro figli e
discendenti; (la nomina non potrà ricadere su altri) se non in seguito a pare­
re favorevole, espresso con voto su tavoletta, della maggioranza dei decurio­
ni presenti, purché siano presenti in non meno di cinquanta quando si deli­
bererà su tale questione. Chi contravverrà alla legge, sia condannato a paga­
re 5 .000 sesterzi ai coloni della colonia e di quel danaro possa fare richiesta
qualunque colono della colonia lo voglia.

C I. Ne quis in c(olonia) G(enetiva) post h(anc) l(egem) datam peti­


tor kandidatus, < quicumque in c(olonia) G(enetiva) l(ulia) mag(istratum)
petet, > magistratusve petendi causa in eo anno, quo quisque anno petitor
kandidatus mag(istratum) petet petiturusve erit, < mg. petendi > convivia
facito neve at cenam quemve vocato neve convivium habeto neve facito
sc(iens) [d(olo)] m (alo), quo qui[s] suae petitionis causa convium (sic) ha­
beat ad cenamve quemve vocet, paeter < dum > quod ipse kandidatus peti­
tor in eo anno mag. petat, vocar[it] dum taxat dies sing. h(omines) Villi
< convium (sic) habeto > si volet, s(ine) d(olo) m(alo). Neve quis petitor
kandidatus donum munus aludve quit det largiatur petitionis causa sc(iens)
d(olo) m(alo). Neve quis alterius petitionis causa convivia facito neve quem
ad cenam vocato neve convivum habeto, neve quis alterius petitionis causa
cui quit d [on]um munus aliutve qu[it] dato donato largito sc(iens) d(olo)
m(alo). Si quis atversus ea feverit, HS D) (quinque milia) c(olonis) c(olo­
niae) G(enetivae) l(uliae) d(are) d(amnas) e(sto), eiusque pecuniae cui eor.
volet rec(iperatorio) iudic. aput Ilvir praef. , actio petitio persec(utio)que ex
h(ac) l(ege) i(us) potest(as)que esto.

Trad. : ( 132) Disposizioni contro la corruzione elettorale. Chiunque nella co­


lonia Genetiva Giulia dopo l'emissione di questa legge si presenti come can­
didato per una magistratura, non dia banchetti nella campagna elettorale
durante l'anno in cui si presenti come candidato, né inviti nessuno a pranzo
né tenga un banchetto né faccia con mala frode intenzionale in modo che
altri per la sua campagna elettorale tenga un banchetto o inviti alcuno a
pranzo. Tuttavia, purché il candidato, nell'anno in cui presenti la sua candi­
datura, non inviti più di nove persone al giorno, tenga pure banchetto, se
vorrà, senza mala frode. Nessun candidato elargisca per favorire la propria
elezione, con mala frode intenzionale, doni, favori o altro. Nessuno per fa­
vorire l'elezione di altri, dia doni o elargisca, con mala frode intenzionale,
alcun dono o favore o altro. Chi contravverrà alla legge, sia condannato a
pagare ai coloni della colonia Genetiva Giulia 5.000 sesterzi, e tale danaro
282 LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE

chiunque dei coloni voglia, abbia in virtù di questa legge diritto e potere di
richiedere e reclamare con azione legale, mediante lo speciale processo rela­
tivo a tali questioni 6 , presso un duoviro o un prefetto.

Il rapporto fra Roma e le altre città dell'impero era regolato da


un complesso sistema giuridico-a111ministrativo che prevedeva forme
molto diverse di autonomia cittadina. Nel corso della repubblica il
sistema andò precisandosi secondo criteri che non sarebbero più mu­
tati, nelle linee essenziali, neppure nell'epoca altoimperiale, quando
peraltro le città di cittadini romani, municipi e colonie, divennero
percentualmente assai più n11n1erose delle città che conservavano in­
vece istituzioni e statuti diversi di origine preromana. In iscrizioni
provenienti dalle varie province dell'impero sono stati trovati fram­
menti più o meno cospicui di statuti (cioè complessi di no1111e che
regolavano la vita politica e amministrativa) di centri urbani, munici­
pia, colonie romane, colonie latine. Si trattava di leges datae, accorda­
te cioè dal fondatore su mandato del senato prima e del principe
poi. Si discute tuttora dell'esistenza o meno di una cesariana lex Iulia
municipalis che, insieme a un'analoga lex Iulia colonialis, avrebbe re­
golato secondo uno schema uniforme la vita delle autonomie locali e
a cui, quindi, tutti gli statuti cittadini si ispirerebbero. In ogni caso
l'omogeneità delle istituzioni cittadine deter111 in a di per sé l'analogia
fra le diverse leggi municipali per quanto almeno è possibile dedurre
dai frammenti in nostro possesso: in effetti dal momento che le leggi
locali erano incise su tavole di bronzo e il bronzo per il suo valore
intrinseco ha subito un reimpiego massiccio nel corso dei secoli, i
testi in nostro possesso sono relativa111ente scarsi. Fino a tempi re­
centi si poteva contare sulla prima colonna della nona tavoletta della
legge della città di Taranto, senza dubbio anteriore all 'epoca cesaria­
na e pres11111ibilmente data poco dopo la fine della guerra sociale
(CIL I, 22 , 590 =ILS 6086) ; sul controverso documento in genere
noto con il nome di Tavola di Eraclea (CIL I, 22, 593 ILS 6085) ; e
=

sulla legge, a differenza dei testi precedenti conservata in percentuale


molto ampia rispetto alla stesura originaria completa, della colonia
cesariana Genetiva (da Venere Genetrice) Urso, fondata nel 44 a.C. e
corrispondente all'attuale città di Osuna in Andalusia: la versione in
nostro possesso di tale legge è una copia incisa alla fine del I secolo
d.C. (CIL I2 , 594; II, Suppi. 5439 ILS 6087 ) . Recentemente tutta­
=

via sono venuti alla luce importanti testi di leggi municipali, relativi
tutti a città della provincia spagnola del Betica e tutti di epoca flavia:
si tratta delle leggi di Salpensa, di Malaca e, soprattutto, di Irni (que­
st'ultima pubblicata nel 1986) , che hanno consentito di dare nuovo

6 Il testo, come si vede, parla di iudicium rectperatort·um, un tipo di processo


che originariamente si teneva davanti a una commissione di reciperatores e riguarda­
va controversie fra Romani e forestieri (peregrini") ; in seguito il te1111ine indicò anche
processi fra cittadini romani riguardanti questioni di proprietà.
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 2 83

slancio e sostanza agli studi sull'autonomia cittadina nell'alto impero


romano.
Dal punto di vista storico le leggi municipali ci consentono di
farci un'idea abbastanza chiara del modo in cui i centri abitati delle
province erano organizzati politicamente e amministrati. Le città, pur
non potendo elaborare leggi con valore extramurario, né condurre
guerre o fare politica estera di loro iniziativa, godono tuttavia di au­
tonomia nell'amministrazione in generale, compresa l' amministrazio­
ne della giustizia; i magistrati supremi (duoviri o quattuorviri) , i magi­
strati di rango inferiore (edili, questori) e il senato cittadino, formato
dai decurioni, sono di creazione locale, i primi mediante elezione, i
secondi mediante liste fissate dai magistrati del luogo; per la difesa
locale i magistrati supremi hanno anche una limitata iniziativa milita­
re. Ciò non toglie che l'influenza di Roma si facesse sentire attraverso
il governatore della provincia o, più spesso, attraverso il patronus (un
personaggio politico influente scelto dalla stessa città che si assumeva
il compito di difendere gli interessi della comunità cittadina presso il
governo centrale ricevendo in cambio appoggio politico e particolari
onori), ma la differenza da un sistema di dominio in cui tutto proma­
na dal centro, appare comunque netta e significativa. Dal punto di
vista epigrafico le leggi municipali possono costituire un esempio
classico di epigrafia giuridica sia per quanto si riferisce all' articolazio­
ne lessicale e sintattica del testo, sia per quanto si riferisce all'impagi­
nazione e alla scrittura (testo molto fitto, inciso su bronzo a caratteri
minuti e destinato a una consultazione attenta e puntuale, non curso­
ria). Abbiamo, a titolo di esemplificazione, riportato tre articoli della
legge della colonia Genetiva Iulia: come si vede, essi si riferiscono a
tre ambiti molto diversi della vita cittadina che vanno dalla definizio­
ne dell'organigramma, dei privilegi e degli stipendi di coloro che
operavano a fianco dei magistrati principali alle norme in merito alla
scelta e alla nomina del patronus della città, alle severe disposizioni e
sanzioni tese a impedire la corruzione elettorale e quello che noi oggi
chiameremmo <<Voto di scambio>>, che poteva essere sollecitato dai
candidati alle magistrature cittadine.

9.
CIL III, 352 =ILS 609 1
Parte del testo

Adseruerunt enim uicum suum spatiis prioris aetatis oppidi splendore


floruisse, ut et annuis magistratu(u)m fascibus ornaretur essetque curialibus
celebre et populo ciuium plenum. Ita enim ei situ adque ingenio locus op­
portunus esse perhibetur, ut ex quattuor partibus [e]o totidem in sese con­
gruanti uiae, quibus omnibus [p]ublicis mansio [e] a me[di] alis adque ac­
commoda esso dicat[u]r. Aquaru[m] ibi abundantem aflu[e]ntiam, labacra
quoqu[e] publica priuata[que] eorum, istatuis ueterum principum ornata,
·

[et p] opulum comm [a] nentium adeo celebre[m ........ ] ali ibidem sunt, [fa]cile
compleantur pr[oui]sa ex decursibus praeterfluentium [aq]uarum, . . . . . rum
numerum copiosum. Quibus cum omnibus memoratus locus abundare dica-
284 LE FONTI EPIGRAFICHE LA1.INE

tur, c [ont]igisse adseruerunt, ut eos Nacolenses si[bi a] dnecti ante id tem­


poris postularent. Quo[d es]t indignum temporibus nostris, ut tam o[pp]or­
tunus locus ciuitatis nomen arrittat, et inutile commanentibus, ut depraeda­
[t]ione potiorum omnia sua commoda utilit[a]tesque deperdant.

Trad. : Essi hanno asserito infatti che il loro vicus aveva goduto per un perio­
do nel passato dello splendore di un oppidum in modo tale che essi si orna­
vano dei fasci annuali dei magistrati, avevano una quantità di curiali ed era­
no pieni di un popolo di cittadini. Inoltre, grazie alla sua natura e confor­
mazione, il sito si rivela vantaggioso, poiché, provenendo da quattro direzio­
ni diverse, vi si ricongiungono quattro strade per le quali una stazione di
posta è, secondo quel che si dice, utile e adeguata a tutte le pubbliche esi­
genze; [lo stesso sito] presenta una grande abbondanza di acqua che vi af­
fluisce, così come bagni pubblici e privati, un foro adorno delle statue degli
antichi principi, una popolazione così n11111erosa di abitanti che i posti a se­
dere che ivi si trovano vengono facilmente occupati e, inoltre, grazie all'in­
clinazione delle acque che vi confluiscono, una grande quantità di mulini ad
acqua. Ora, benché si dica che il luogo succitato abbondi di tutte queste
cose, è capitato - così come essi hanno detto - che gli abitanti di N acolia
richiedessero prima d'ora di essere loro riuniti. Ma non è degno della nostra
era che un luogo così privilegiato perda il nome di città ed è pregiudizievole
per coloro che vi risiedono l'essere privati di tutti i loro vantaggi e diritti
per la spoliazione operata da gente più potente.

Leggia1110 qui parte di un testo epigrafico di età tardocostantinia­


na inciso su una delle tre facce di un cippo rinvenuto a Orcisto (Or­
k.istos) in Frigia. Si tratta della richiesta rivolta dagli abitanti di Orci­
sto all'imperatore Costantino - fra il 324 e il 3 3 1 d.C. - al fine di
riottenere per la loro comunità il rango perduto di civitas. Tra III e
IV secolo d.C. a seguito di decisioni imperiali, numerose piccole co­
munità venivano promosse al rango di città mentre alcune civitates,
per ragioni punitive di diversa natura, venivano declassate a villaggi.
Sappiamo, grazie ad una testimonianza epigrafica, che agli inizi del II
secolo d.C. Orcisto possedeva la dignitas di città autonoma; in segui­
to però, per motivi che ignoria1110 ma che è possibile ricondurre alla
crisi che nel III secolo d.C. interessò tutto l'impero, essa fu ammini­
strativamente inglobata nel territorio della vicina e più importante
città di Nacolia. Da quel momento Orcisto e il territorio di sua perti­
nenza cessarono di avere la propria autonomia e divennero un sem­
plice vicus di Nacolia. Contro quello che era evidentemente sentito
come un sopruso insopportabile e come una grave ingiustizia perpe­
trata nei loro confronti, gli orcistesi fecero ricorso presso l'imperato­
re esponendo le ragioni per le quali la loro comunità meritava di es­
sere senz'altro riabilitata.
Il testo infatti indica in modo chiaro i requisiti di carattere istitu­
zionale e sociopolitico che devono essere presenti in una comunità
affinché questa possa legittima111ente fregiarsi del rango di civitas: in­
nanzitutto una città deve possedere gli organi di governo cittadino e
cioè magistrati locali in grado di assumere incarichi annuali, un ordi­
ne dei decurioni, cioè un ceto dirigente composto di cittadini ricchi e
LE FONTI EPIGRAFICHE LATINE 285

illustri, e una popolazione numerosa di individui in possesso della


cittadinanza locale; in secondo luogo essa deve possedere quegli ele­
menti urbanistici e monumentali pubblici che individuano concreta­
mente lo spazio urbano, un foro adorno di statue, terme pubbliche e
private, mulini idraulici e fontane, cioè quegli spazi pubblici che con­
sentono e favoriscono la coesione del corpo civico. Ma la città - ed è
questo un ulteriore requisito - deve esprimere anche una funzionalità
propria connessa con il contesto geografico-ambientale: la presenza
di una fitta rete stradale capace di garantire le comunicazioni, gli
spostamenti e i commerci individua infatti il ruolo economico e di
servizio della città rispetto all' agro di pertinenza. La solidità delle ar­
gomentazioni prodotte dagli abitanti di Orcisto, che segnalano altresì
la loro adesione alla fede cristiana, viene riconosciuta dall'imperatore
che accoglie senza riserve la loro richiesta.
Al di là della specifica situazione richiamata dal testo, la vicenda
di Orcisto mostra come l'appartenenza ad una civitas costituisca, nel­
l'immaginario collettivo romano, un valore primario da conservare e
da difendere. L'ideologia cittadina, elaborata in concomitanza con il
processo di espansione nel Mediterraneo e nel vicino Oriente tra fine
III e II secolo a.C., rappresenta il principale sostegno funzionale al
sistema politico-economico dello stato romano; nella riflessione poli­
tica la città costituisce il vero cardine socio-economico e culturale
della realtà romana: Cicerone, ad esempio , all'interno di un'analisi
complessiva dei gradi della società umana (De o/ficiis I, 17, 53-54),
insiste sul concetto di città che rappresenta il grado intermedio tra il
nucleo base della società costituito dalla famiglia e la struttura supe­
riore e onnicomprensiva dello stato.
Nella città gli abitanti condividono luoghi fisici di frequentazione
collettiva (fori, templi) , spazi urbani comuni (vie, portici, terme) , di­
ritti e doveri connessi con la . cittadinanza, tradizioni e prassi culturali
proprie. Il documento epigrafico proveniente da Orcisto mostra
come tale valore si mantenga costante nella storia di Roma fino all' e­
poca tardoantica quando, per svariate ragioni politico-economiche, in
più parti dell'impero era ormai irreversibile un processo di declino di
molte comunità cittadine. In realtà, anche in tempi di involuzione
demografica e di regresso economico, è possibile constatare la persi­
stenza di una forte ideologia della città e una diffusa volontà di re­
staurazione del quadro urbano inteso come unica dimensione che
consente all'uomo di vivere in modo degno .
Capitolo 6

1 . Introduzione

Il papiro - il <<materiale dal quale dipende l'immortalità degli uo­


mini>> (Plinio, N.H. XIII, 2 1 ) - fu probabilmente il più diffuso mate­
riale scrittorio del mondo classico. Era ricavato dall'omonima pianta
che cresceva allora abbondantemente soprattutto negli impaludamen­
ti rivieraschi del Nilo. La charta si otteneva tagliando il fusto della
pianta con uno strumento aguzzo per ricavarne strisce sottilissime.
Queste venivano come tessute su di una tavola inumidita di acqua
nilotica dalle qualità collanti, disponendole in modo reciprocamente
perpendicolare. Le scabrosità del papiro venivano martellate con un
grosso dente o con una conchiglia per rendere il foglio più liscio e
scorrevole alla scrittura. Usando colla a base di fior di farina o di
mollica di pane fermentato si componevano le strisce in un foglio e
si incollavano i diversi fogli per formare rotoli, normalmente di venti
fogli, anche se il più lungo papiro che ci sia arrivato (oggi conservato
al British Museum) misura circa 40 metri e contiene 437 colonne,
cioè circa una per pagina 1 •
Sui rotoli si poteva scrivere sia lungo le fibre (recto) che trasver­
salmente a esse (verso) e la qualità della charta come quella dell'in­
chiostro erano tali che, in condizioni climatiche secche (soprattutto là
dove il declino della civiltà classica significò abbandono degli insedia ..
menti e contrazione dell'agricoltura a favore del deserto) , i papiri
sono sopravvissuti fino a noi per migliaia di anni: Plinio stesso già se
ne stupiva quando scriveva con orgoglio di avere visto con i propri
occhi manoscritti autografi di Tiberio e Gaio Gracco vecchi di quasi
duecento anni (N.H. XIII, 25).

1 N. Lewis, Papyrus in Classica/ Antiquity, Oxford, Oxford University Press,


1974; A. Gara, Tecnica e tecnologia nelle società antiche, Roma, NIS, 1994, pp.
107-109.
288 LE FONTI f>APIROLOGICHE

Nel Tardoantico il papiro venne sempre più a111 pia111ente soppian­


tato dalla perga111ena ricavata dalle pelli di ovino. Questo materiale
scrittorio era ben conosciuto nel mondo pagano: ce ne parla Plinio
nel passo sopra citato (XIII, 2 1 ) , se ne trova un cenno in Marziale
( 14, 3 -7) e anche in un papiro documentario del II secolo d.C. (P.
Petaus, 30, 4-5 ) . Tuttavia la vittoria del codice di pergamena, cioè
della for111a del libro sulla fo1111 a del rotolo, è opera soprattutto dei
cristiani: oltre il fatto che la perga111ena divenne meno costosa del
papiro, il formato del libro risultava più comodo per la consultazione
frequente dei testi sacri e per la verifica delle citazioni autentiche del
messaggio divino.

2. Il concetto di papirologia

Per papirologia si intende quindi la disciplina che studia i testi


scritti su papiro. Ma sono gli stessi papirologi quelli che studiano i
testi scritti su cocci di terracotta (6straka), su ossa di animali o su
altro disparato materiale scrittorio. Né si può circoscrivere il concet­
to di papirologia alla for111a paleografica: corsivo-doc11111entaria da
una parte, maiuscolo-letteraria dall'altra. Storica111ente è vero che
spesso (ma non sempre) i papirologi studiano i testi documentari,
mentre sono i filologi che studiano quelli letterari. In particolare, la
papirologia egiziana e quella di Ercolano sono spesso state due disci­
pline relativamente autonome: nella prima sono quantitativamente
predominanti i testi documentari, nella seconda i testi sono tutti (fi­
nora) letterari. Ma ultima111ente è emersa una forte spinta culturale
verso una maggiore collaborazione tra le due discipline 2 • La prolu­
sione di M. Gigante al XVII congresso di papirologia tenuto a Napo-

2 Una serie di manuali agevola comunque un approccio anche approfondito.


Tra quelli più recenti e disponibili se ne possono segnalare alcuni. La seconda edi­
zione di La papirologia di O. Montevecchi (Milano, Vita e Pensiero, 1988, in colla­
borazione con S. Daris) offre una ponderosa e ben articolata introduzione alla mate­
ria assieme a un'ampia bibliografia e un centinaio di splendide tavole. Il molto agile
volumetto di P.W. Pestman, The New Papirologica/ Primer, Leiden, 1990, propone
una brillante antologia di testi con un'introduzione generale e specifica. Il rapido
volume di I. Gallo, Avviamento alla papirologia greco-latina, Napoli, Liguori, 1983 ,
interessa soprattutto per la papirologia letteraria e ha avuto riscontro di lettori, visto
che è stato tradotto anche in inglese. Classico e indispensabile resta E.G. Tumer,
Papiri greci (ed. it. a cura di M. Manfredi, Roma, NIS, 1984), dove un papirologo di
rara finezza sintetizza la sua esperienza magistrale di studioso di documenti come di
testi letterari. V. ora anche R.S. Bagnali, Reading Papyri. Writing Ancient History,
London - New York, Routledge, 1995, e H.A. Rupprecht, Kleine Ein/uhrung in die
Papyruskunde, Dar111stadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1994. Ottima è l'in­
troduzione generale di A.K. Bowrnan, !.:Egitto dopo i Faraoni. Da Ale.rsandro Magno
alla conquista araba: 332 a. C. - 642 d. C. , Firenze, Giunti, 1988. Finalmente il com­
plesso pianeta della papirologia ercolanense ha trovato una sua introduzione adegua­
ta con l'uscita di M. Capasso, Manuale di papirologia ercolanese, Galatina, Congedo,
199 1 . Un'utile lista dei papiri del Vicino Oriente è stata apprestata da H.M. Cotton,
W.E.H. Cockle e F. Millar, in <<}oumal of Roman Studies>>, 1995, pp. 214 ss. Per lo
LE f'ONTI PAPIROLOGICHE 289

li nel 1983 (atti editi a Napoli, nel 1984, dal Centro internazionale
per lo studio dei papiri ercolanesi) significativa111 ente si intitolava Per
l'unità della scienza papirologica e concludeva (p. 27): <<I papiri di Er­
colano, non meno degli egiziani, ci riserbano novità e ci forniscono
misure più esatte per intendere la civiltà del passato e, non meno
degli egiziani, ci pongono ''in immediato contatto con l'antichità'' ,
per usare un'espressione cara al compianto Turner>>.
D'altra parte si insiste tuttavia a sottolineare il fatto che la papi­
rologia è propriamente quella documentaria 3 •
Indiscutibilmente unico è il materiale scrittorio, diverse le tecni­
che paleografiche e la tipologia dei documenti. Ma questo non basta
a definire rigide differenze disciplinari, se unico è lo scopo cui quelle
tecniche si finalizzano.
Certo, quando nel 1788 il danese Schow pubblicava il primo pa­
piro egiziano - la Charta borgiana di proprietà del cardinal Borgia -
l'a111biente intellettuale ne fu quasi deluso: quel lungo elenco di con­
tadini che avevano eseguito le loro corvées alle dighe sembrava avesse
poco da dire alla cultura storico-letteraria, e semmai epigrafico-numi­
smatica del tempo. Soprattutto in Italia il processo di elaborazione di
una tecnica papirologica e di utilizzazione storiografica del documen­
to fu lento e pigro 4•
Ma in un ambiente culturale mutato, in un orizzonte da rivolu­
zione documentaria in cui diviene predominante il segno opposto del
documento <<autentico>>, non soggettivo, i progressi sono stati rapidi:
i volumi dei papiri di Ossirinco sono giunti al LIX e nuove collezioni
di papiri sono sorte (nel Michigan, a Colonia, ecc.). Anche fuori dal­
l'Egitto sono stati trovati papiri: i papiri orfici greci di Derveni; i pa­
piri delle coste del Mar Morto; le tracce di papiro da Ai Kanhoum;
le tavolette britanniche di Vindolanda.
Così, dopo il solitario, arido papiro pubblicato da un erudito da-

studio dei papiri orfici di Derveni vedi A. Laks e G.W. Most (a cura di), Studies on
the Derveni Papyrus, Oxford, Clarendon Press, 1997. Ampie bibliografie appaiono
P,eriodicarnente su le riviste <<Aegyptus>>, <<Revue Historique de Droit Français et
Etranger>> e, dal 1990, sul polacco <<]oumal of Juristic Papyrology>>. Una bibliografia
completa, articolata e numerata secondo i diversi temi, è prodotta, su fiches e su
supporto elettronico per PC e MAC, dalla Fondation Reine Elisabeth di Bruxelles e
gli anni 1976- 1990 sono stati computerizzati col programma Pro-Cite BP (ad Ann
Arbor, Mich.), che pe1111ette aggiornamenti bibliografici su ogni tema o incrocio e
intreccio di temi, mentre si continua ad aggiornare un Co RoM con tutti i papiri, a
cura della Duke University. Circa 500 volumi sono già presenti sul Co e, comunque,
è già possibile consultare tutti i papiri editi sul sito internet: http://www.perseus.tuft­
s.edu/Texts/papyri.html.
3 O. Montevecchi, La papirologia. Bilancio di un cinquantennio e prospettive per
l'avvenire, in <<Aevum>>, LXI ( 1987), p. 8.
4 D. Foraboschi e A. Gara, La papirologia e la cultura italiana dell'Ottocento, in
L. Polverini (a cura di), Lo studio storico del mondo antico nella cultura italiana del­
l'Ottocento, Napoli, ESI, 1994, pp. 253-264.
290 LE FONTI PAPIROLOGICHE

nese più di due secoli fa, la papirologia è divenuta un territorio com­


plicato, popolato e sofisticato 5 •
Lo studio della scrittura dei papiri, una scrittura canonizzata e in­
segnata da precisi centri scolastici, si è così specializzato che è possi­
bile datare un papiro paleograficamente con un'approssimazione in­
feriore ai cinquant'anni.

3. Papirologia letteraria

Dopo il Rinascimento il maggior numero di manoscritti letterari


nuovi venuti alla nostra conoscenza si deve ai papiri. Perciò si può
parlare, per questa nostra fase di studi e ricerche, di un <<Rinasci-
mento mmore>> 6 .

Nel 1965 la seconda edizione di R.A. Pack, The Greek and Latin
Texts /rom Greco-Roman Egypt (Ann Arbor, University of Michigan
Press) , registrava 3 .026 testi, ma in quest'ultimo ventennio il n11111ero
si è notevolmente arricchito, come sarà evidente nella terza edizione.
Si tratta prevalentemente di testi già noti attraverso la tradizione
medievale. Ma il loro contributo alla storia del libro antico, alla criti­
ca testuale, alla cronologia di alcuni autori, alla sociologia della lette­
ratura, alla storia del gusto del pubblico dei lettori, appare enorme.
Indubbiamente il contributo più entusiasmante è quello di opere
altrimenti ignote. Tra le più importanti Turner segnalava gli Epinici e
i Ditirambi di Bacchilide, i Mimi di Eroda, dieci commedie di Me­
nandro, le Elleniche di Ossirinco, tre orazioni di Iperide, la Costitu­
zione degli Ateniesi di Aristotele.
Ma già le novità sono aumentate: mentre a Milano stanno per es­
sere edite centinaia di nuovi versi del poeta ellenistico Posidippo, nel
LIX volume dei papiri di Ossirinco sono stati pubblicati nuovi fra111 -
menti delle Elegie di Simonide. Preziosi sono i frammenti relativi alla
battaglia di Platea nel racconto di un contemporaneo come Simonide
(morto una dozzina di anni dopo, nel 468-467), di una generazione
più vecchio di Erodoto, che finora era il nostro più antico testimone.
La narrazione poetica della marcia degli Spartani, dello scontro con i
Persiani nella piana, della valorosa battaglia dei Corinzi appare un
contributo di non poco conto alla nostra conoscenza storica.
Nel 1979 è stato pubblicato un nuovo frammento di elegie di
Cornelio Gallo 7 , trovato tra quelle che dovevano essere le carte di
un militare romano che nella sperduta fortezza di Qasr Ibrim (Pri­
mis) , all'estremo sud dell'Egitto, sul confine etiopico, si dilettava di

5 La lista delle edizioni di papiri e delle relative abbreviazioni convenzionali si


trova in J.E. Oates, R.S. Bagnali, W.H. Willis e K.A. Worp, Checklist o/ Editions o/
Greeks Papyri and Ostraka, <<BASP>>, Suppi. 4, 1 985.
6 E. Tumer, Papiri greci, cit., p. 1 17.
7 R.D. Anderson, P.J. Parsons e R.G.M. Nisbet, Elegiacs by Gallus /rom Qasr
Ibrim, in <<JRS>>, LXIX ( 1979), 1 , pp. 25 ss.
LE FONTI PAPIROLOGICHE 291

letture poetiche come questi versi di Gallo in cui si invoca l' a111 ata
Lycoris assieme a Cesare Augusto:

Fata mihi, Caesar, t11111 erunt mea dulcia, quom tu


maxima Romanae pars eri < s > historiae
postque tuum reditum multorum tempia deorum
fixa legam spolieis deivitiora tueis.

L'uscita dei primi volumi del Corpus Papyrorum Philosophicarum


mostra quale può essere il contributo dei papiri alla conoscenza della
storia della filosofia antica, ma del resto già il vol11111e Opere di Epi­
curo, a cura di G. Arrighetti (Torino, Einaudi, 1973 ), aveva reso evi­
dente come i papiri, soprattutto quelli ercolanesi, enormemente arric­
chivano la conoscenza del pensiero epicureo rispetto alla scarsezza
della tradizione medievale.
Brevi frammenti anonimi (P. Schubart 35, del I secolo a.C .) ci at­
testano tutto un dibattito attorno alle for111e della regalità ellenistica
- che è stato approfondito da L. Mooren (Nature o/ the Hellenistic
Monarchy in Egypt and the Hellenistic World, Leuven <<Studia Helle­
nistica>>, 27 ( 1 983 ) , pp. 205 ss.) - e che ha animato tutta una filosofia
politica, producendo n\1111erosi trattati Perì Basileias e indagini sopra
le diverse forme costituzionali (Archiv 7 , 240) che preludono a simili
interessi di epoca imperiale (P. Laur. IV, 138, del IV secolo d.C.) at­
torno alla definizione delle qualità del buon monarca, che alimente­
ranno la letteratura più tarda sul problema della Basi/eia.
Ma accanto a questi alti livelli della cultura antica non è meno
interessante poter soddisfare la curiosità di conoscere le figure minori
dell'intellettualità un poco patetica di provincia, come quel Diosko­
ros che nel tardo VI secolo d.C. ad Afroditopoli (dove era un notaio
di alto rango) come un liceale ricicla anacreontici:

Sempre voglio danzare


Sempre voglio suonare la lira
lo intraprendo a cantare
Con le mie parole la festa solenne
Mi ispirano le Baccanti
. . . Quando bevo il vino
I miei affanni dor111ono . . .

Intellettualità minore, ultimo retaggio di lampi poetici, estetica­


mente senza valore, ma storica111ente di non scarso interesse.

4. Papiri storici

Nel campo della letteratura storiografica (è già partita l'impresa


del Corpus Papyrorum Historicarum) accanto alla Athenaion Politeia
non si possono non ricordare le Elleniche di Ossirinco che narrano
gli eventi greci dal 4 10-409 a.C. (probabilmente risalivano al 4 1 1 ,
292 LE FONTI PAPIROLOGICHE

quando ter111inano le Storie di Tucidide) e si interrompono al 395 ,


costituendo per alcuni fatti l'unica fonte a noi disponibile.
Le novità più recenti non sono poche. Basti solo segnalare un
fra111mento di pergamena proveniente dal Faylim, scritto in onciale
latina, paleograficamente databile al V secolo e contenente, proba­
bilmente, un brano del libro XI (perduto) di Livio 8 •
Un papiro del II-I secolo a.C. colma parzialmente la nostra ca­
renza di fonti sulla storia ellenistica (P. Koln 6, 247 ) . Due frammenti
di età augustea ci fanno conoscere qualche frase della Laudatio /une­
bris di Augusto per Agrippa (P. Koln 6, 249).
Di grande rilievo storico sono anche testi di cui è difficile catalo-
,

gare la natura. E il caso di P. Mii. Vogl. II, 47 , già ben noto agli
studiosi. Purtroppo è in discussione se datarlo al 1 15 d.C. (come è
molto più probabile) o al 135 d.C. E la cosa non è di scarso inte­
resse: nel primo caso sapremmo che una serie di pogrom antisemiti
precedette la grande rivolta degli Ebrei nel 1 15 - 1 17 , nel secondo sa­
premmo che stÙ finire della rivolta giudaica in Palestina, guidata dal
leggendario Bar Kochba, sanguinosi tumtÙti antiebraici si sarebbero
scatenati anche in Egitto.
Si tratta di tre colonne frammentarie di testo in cui sembra venga
citato un editto di un prefetto d'Egitto che cerca di por fine alle in­
discriminate azioni antigiudaiche perché <<non è possibile uccidere
persone senza processo, ma anche il giudizio ha il proprio tempo e il
castigo un proprio modo e un proprio tipo>> e, comunque, <<alcuni
errori potevano forse trovare una scusa prima della guerra dei Roma­
ni contro i Giudei>> (col. III, 17 ss.). Testo che, dopo quasi un seco­
lo, sembra ripresentare la stessa situazione della lettera dell'imperato­
re Claudio agli Alessandrini, scritta nel 4 1 d.C. (CPJ 153 ) dove si ,

denunciano <<il tumtÙto e la rivolta contro i Giudei, anzi, se bisogna


dire il vero, la guerra>> (rr. 73 -74), mentre simmetrica111ente si ammo­
nivano i Giudei a non sollevare con i loro atteggiamenti <<una sorta
di comune malattia del mondo abitato>> (rr. 99- 100).
Ma questo è solo un florilegio minimo da una messe di testi ben
più ricca che è stata indagata in una serie di studi 9 •
Recentemente è stata pubblicata una descrizione geografica della
Spagna con una carta disegnata stÙ papiro che è l'unica che ci abbia
tramandato il mondo classico (C. Gallazzi e B. Kramer, Artemidor im
Zeichensaal. Eine Papyrusrolle mit Text, Landkarte und Skizzenbu­
chern aus Spa:thellenistischer Zeit, in <<Archiv fiir Papyrusforschung>>,
1998, pp. 190-208).

8 B. Bravo e M. Griffin, Un /rammento del libro XI di Tito Livio?, in <<Athe­


naeum>>, 66 (1988) , pp. 447 ss.
9 G. Schepens, Les rais ptolémai'ques et l'histoire, Leuven (<<Studia Hellenisti­
ca>>, 27), 1983 , pp. 35 1 ss.; R.S. Bagnall, Papyrology and Ptolemaic History,
1956-1 980, in <<C.W.>>, 1982, pp. 13-2 1 ; A. Bowman, Papyri and Roman Impert'al Hi­
story, 1 960- 1975, in <<JRS>>, 66 ( 1 976), pp. 153 - 173 ; J.G. Keenan, Papyrology and Ro­
man History, 1 956-1980, in <<C.W.>>, 1982, pp. 23 -3 1 .
LE FONTI PAPIROLOGICHE 293

5. Tra storia e microstoria

I papiri ci hanno tra111andato un non piccolo n11111ero di docu­


menti politici che non interessano solo la storia dell'Egitto: P. Gies­
sen 40, I è l'unico, problematico doc11111ento diretto della Constitutio
Antoniniana, che estende a tutti gli abitanti dell'impero - a parte i
dediticii - la cittadinanza romana; P. Cairo Isid. 1 ci conserva l'editto
di Aristio Optato relativo a una fase della rifor111a fiscale di Diocle­
ziano che, per quanto riguarda l'Egitto (ma il testo non contiene una
simile delimitazione) , calcola le imposte secondo la qualità (poiotéta)
della terra e secondo le persone fisiche maschili (kat'dndra), che però
si circoscrivono a quelle dei contadini (Kephal� ton agroik6n). Si trat­
ta solo di due esempi fra i tanti.
Per quanto riguarda la storia ellenistica, questi testi sono stati
raccolti e studiati da M.T. Lenger 1 0 • Non si conosce invece un corpus
di testi simili romani. Le 3 3 lettere di imperatori romani da Augusto
a Diocleziano sono però elencate in <<Tyche>>, 2 ( 1 987) , pp. 68-69,
mentre la serie degli editti dei prefetti d'Egitto può essere facilmente
ricostruita attraverso G. Bastianini, La lista dei prefetti d'Egitto dal 30
a. C. al 299 d. C. , in <<ZPE>> 17 (1975 ) , pp. 263 -328; 38 ( 1 980) , pp.
75-89.
Particolare è l'emozione quando per avventura capita di poter
collegare documenti pubblici con documenti privati, o di cogliere
dentro le righe di un testo privato o lungo la noia dei registri civili le
tracce di avvenimenti storici di a111pia portata.
Un piccolo dossier del 145- 139 a.C. (P. Koln 5 , 222-225 ) ci docu­
menta la vicenda di una donna che cerca di tornare in possesso della
doreà del marito Exakon che, partito per la guerra siriaca contro
Alessandro Balas e in appoggio di Demetrio II, sotto la guida del re
Tolemeo VI Filometore, alla morte di costui viene fatto arrestare dal
successore Tolemeo VIII Evergete II.
Exakon era un ufficiale di Galestes (P. Koln 5 , 223 , 4), cioè del
principe Atamano che Diodoro (X X XIII, 20, 22) chia111 a Galaistes e
di cui racconta che, dopo la caduta in disgrazia presso Tolemeo VIII,
fuggì in Grecia dove si mise alla testa di una rivolta di soldati tole­
maici per cercare di detronizzare appunto Tolemeo VIII detto Fisco­
ne (Pancione) .
Attraverso questi papiri, insomma, la vicenda storica di re e gene­
rali si colora e arricchisce della vicenda che sullo sfondo vivono i
loro subordinati, atomi di storia di cui spesso gli storici non hanno
memoria.

Di pochi decenni precedente è una lettera (P. Koln 4, 186) relati­


va alla sesta guerra siriaca, quando Antioco IV invade il delta del
Nilo ( 1 70-168 a.C.). Il testo è molto frammentario e lacunoso, ma

1 0 J.D. Ray, The Archive o/ Hor, London, Egypt Exploration Society, 1976, pp.
126 ss.
294 LE FONTI PAPIROLOGICHE


alcuni momenti di una battaglia vengono raccontati con passione e

come in una cronaca dal vivo:


costretti lanciano giavellotti con più forza, per questo accade che i nostri
siano molto oppressi, ma sopportano di buon animo . . . degni dei loro
compatrioti, cercano di impadronirsi della palizzata . . . Questi per loro scel­
ta, siccome tutti quelli dentro erano stati bloccati e non avevano nessuna
possibilità di fuga, si gettano nei fossi e nei canali e affogano . . . se qualcu­
no voleva nascondersi accadeva che veniva facilmente catturato dalla nostra
cavalleria attraverso l'ampio territorio . . . Tra questi uomini insigni (che)
non era possibile contare . . . abbiamo catturato circa 120 ufficiali . . . Siamo
stati abbandonati perché tutti gli Egiziani della campagna . . . e per il fatto
che eravamo oppressi dal reparto che cercava di chiuderci da sud . . . Spes­
so abbiamo corso pericolo di vita . . . State bene . . .

Sempre a proposito di questa sesta guerra siriaca i documenti de­


motici dell'archivio di Hor forniscono un contributo eccezionale. Tali
doc11111enti attestano infatti che ancora alla fine del 166 a.e. a Memfi
opera un governatore siriaco (eleon o ereon). Se a questo aggiungia­
mo che P. Tebtunis III, 698 (del 169 a.e.) è un frammento di editto
di Antioco IV ai klerouchoi della provincia Krokodilopolite (così i
Siriaci avevano ribattezzato il nom6s Arsinoite) , e che in Egitto ven­
gono coniate monete a nome dell'invasore, si può verosimilmente
concludere che Antioco IV non intendeva limitarsi solamente a una
campagna di guerra ma, anzi, voleva mantenere l'occupazione dell'E­
gitto ed esserne il monarca 1 1 • Ben diverse sono invece le informazio­
ni storiografiche: Livio afferma che Antioco IV, dopo essersi incon­
trato con l'ambasceria condotta da Popilio Lenate nel 168 a.e., uscì
dall 'Egitto (45 , 12, che sostanzialmente è una traduzione di Polibio,
29, 1 1 ) . Un piccolo papiro corregge così il racconto di due grandi
storici e volatilizza in leggenda il famoso episodio del <<cerchio di Po­
pilio>>, segno orgoglioso della potenza di Roma; quel cerchio che Po­
pilio, quasi solo, avrebbe tracciato sul terreno attorno al re Antioco
IV spalleggiato da tutte le sue truppe, ingiungendogli di non uscirne
se non dopo avere deciso di evacuare l'Egitto e venendo immediata­
mente ubbidito.
Né simili apporti informativi mancano per la storia romano-im­
periale.
Misteriose e discusse restano le modalità dell'ascesa al trono di
Adriano. Ma dall'Egitto ci arriva una documentazione rapida, di po­
chi giorni successiva all'evento. Adriano viene procJa111ato imperatore
ad Antiochia l' 1 1 agosto del 1 17. Quattordici giorni dopo P. Oxy­
rhyncus 55, 3781 ci documenta che il prefetto d'Egitto invia una let­
tera circolare per comunicare ufficialmente l'evento e, non sapendo
cosa fare, correda Adriano con le stesse titolature del suo predeces­
sore Traiano: <<Ottimo, Augusto, Germanico, Dacico, Partico>>.

1
1 A. Gara, Due papiri della collezione Michigan, in <<ZPE>>, 50 (1983 ) , p. 68
(r. 2).
LE FONTI PAPIROLOGICHE 295

Sempre in Egitto e nello stesso anno 1 17 sappia1no che si allestì


una rappresentazione dra111matica in cui Apollo appariva in scena an­
nunciando di avere portato in cielo Traiano col suo carro di bianchi
cavalli e proclamando il nuovo signore, Adriano. E il popolo in coro
rispondeva che era quello il momento di rallegrarsi, di bere e di
ungersi di profumi (P. Giessen 3).
Simili rappresentazioni mimiche erano usuali per l'ascesa al trono
di un imperatore e potevano anche essere trasgressive. Ma, sempre
riguardo allo stesso Adriano e ai suoi così ben doc11111entati primi
giorni di regno, sappiamo che un mimo poteva rappresentare in sce­
na l'imperatore malgrado la disapprovazione dell'autorità prefetti­
12
zia •
Pochi decenni dopo, i papiri combusti di Thmouis (P. Thmouis
1 ) portano una doc11111entazione analitica sullo spopolamento della
provincia (nom6s) di Mendes, nell'area nordorientale del Delta del
Nilo. In questi registri fiscali sono segnalati una ventina di villaggi
(ma il numero doveva essere ben superiore) <<una volta popolosi>> e
ora spopolati. Nel 168- 169 il villaggio di Nemeo che precedentemen­
te contava 150 contribuenti si è ridotto a 45 , di cui però 34 sono
fuggiti in anach6resis fiscale per non pagare le imposte che li avevano
<<stremati>>, e conta ormai solo 1 1 contribuenti. Altri villaggi sono or­
mai completa111 ente svuotati di gente (P. Thmouis, 3 1 ). Molte sono le
persone che per evadere il fisco fuggono dalla loro residenza legale.
Ma le cause del disastro sono piuttosto altre: nel villaggio di Kerké­
nouphis <<la maggior parte degli uomini del villaggio erano stati ucci­
si dagli empi Nikochiti che avevano attaccato il villaggio e l'avevano
messo a fuoco, e altri erano morti per la peste, i rimanenti, pochissi­
mi, erano fuggiti>> (col. 104, 1 1- 18). Questi Nikochiti non sembrano
altri che gli abitanti di Nikochis, la capitale del movimento rivoltoso
dei bouk6loi delle paludi che lungamente, nel II secolo, si ribellarono
al dominio romano. Era il rifugio più grande e più costruito con ca­
panne, <<qui tutti si riunivano come nel luogo più difeso e prendeva­
no ardire sia per il loro numero sia per il posto>> circondato da palu­
di (Achille Tazio, Clito/onte e Leucippe IV, 12 , 7-8).
L'altra causa dello spopolamento non era altro che la peste che
dal 165 devastava l'impero romano con impressionanti effetti demo­
grafici, contagiata dalle armate reduci dalla guerra partica di Lucio
Vero.
Così si estingueva una regione già popolosa ai tempi di Erodoto
(Il, 166), ma che forse riconoscerà una ripresa se nel 3 14 d.C. la ca­
pitale viene detta, secondo il formulario, <<splendida città dei
Thmuiti>> 1 3 •

12
Corpus des Ordonnances des Ptolémées, Bruxelles, Memoirs de l'Academie de
Belgi�ue, 19802.
1
D . Rathbone, Economie Rationalism and Rural Society in Third Century A.D.
Egypt: Heroninos Archive and the Appianus Estate, Cambridge, Cambridge Universi­
ty Press, 1992.
296 LE FONTI PAPIROLOGICHE

'

E questo un caso raro in cui un romanzo, la tradizione storio-


grafica e un doc11111ento papiraceo si confer111 ano reciprocamente.
Altre volte invece la doc11111entazione dei papiri çorregge certe
esasperazioni soggettive della tradizione storiografica. E il caso delle
persecuzioni anticristiane di Decio 14 •
Il P. Oxy. 58, 3929 è l'ultimo edito fra i 46 certificati attestanti il
compimento dei sacrifici pagani durante l'anno 250. Ma da questi
doc11111enti (libelli, apographai) sembra chiaro che si trattava di un
censimento religioso universale. Un enor111e censimento coercitivo se
per questo solo anno 250 ci sono giunte 46 dichiarazioni, mentre per
tutti i secoli dell'impero ci restano appena 270 dichiarazioni di censi­
mento 1 5 • Un censimento volto anche a stanare i cristiani, ma non
un'azione specificamente rivolta contro di loro. Tanto più che, come
nei normali censimenti, il capofa111 iglia poteva fare la dichiarazione a
nome di tutti gli altri offrendo qualche scappatoia: ancora agli inizi
del IV secolo un cristiano che non vuole fare il sacrificio richiesto a
chi deve apparire in tribunale se la cava facendo una procura a favo­
re del fratello ed evitando così il sacrificio pagano (P. Oxy. 3 1 ,
2601) • 16
Purtroppo la casualità, la marginalità, soprattutto la frammenta­
rietà, inficiano fortemente la doc11111entazione papiracea. Ma anche
un frammento può essere loquacissimo: CPR XV, 12 è un fra1nmenti­
no di un editto di Clodius Culcianus, prefetto di età dioclezianea
(3 01 -306) . Vi si leggono poche parole smembrate, ma la menzione di
dikaiài timài basta a mostrarci come l'a111pia e contraddittoria azione
politica intrapresa da Diocleziano con l'editto di Afrodisia e poi con
quello De maximis pretiis per regolare la liquidità monetaria e l'anda­
mento dei prezzi avesse impegnato anche i governi provinciali e, pro­
babilmente, non solo quello d'Egitto.
Il fra111 mento più enigmatico, 9-iscusso e, forse, più importante
sembra il papiro di Qumran 7Q5 . E un pezzettino di carta di circa 3
centimetri per 2. Vi si leggono una quindicina di lettere:

] .to a. [
] e kaì to [
] nnes[
]thes [

Una ricerca computerizzata sulla letteratura biblica, alla quale il


frammento dovrebbe appartenere, permetterebbe di individuare qui

14 A. Garzetti, Introduzione alla storia romana, Milano, Cisalpino, 1 986.


1 5 P. Oxy. 58, 3 9 1 8; sul census in Egitto v. R.S. Bagnali in <<BASP>>, 29(1992 ) ,
pp. 101 - 1 15, e le ricerche precedenti qui citate; in <<GRBS>>, 32 ( 1 99 1 ) , 3 , pp.
255-265; in <<Aegyptus>>, 72 ( 1992), pp. 61 -84; e R.S. Bagnali e B.W. Frier, The De­
mografhy o/ Roman Egypt, Cambridge, Cambridge University Press, 1 994.
1
H. Musurillo, The Acts o/ the Pagans Martyrs, New York, Oxford University
Press, 1979, pp. 61-84.
LE FONTI PAPIROLOGICHE 297

un passo del vangelo di Marco (6, 52-53 ). Se si accetta anche la data­


zione paleografica del testo a prima dell'anno 50 d.C., avremmo la
più antica attestazione di un vangelo, scritto in greco poco dopo la
morte di Cristo, e tutto il problema della tradizione evangelica do­
vrebbe essere reimpostato (}. O'Callaghan, Los Papiros Griegos de la
Cueva 7 de Qumran, Madrid, 1974, pp. 44 ss. Ma molti contestano
questa interpretazione. Vedi S. Enste, Qumran-Fragment 7Q5 ist
nicht Markus 6, 52-53, in <<ZPE>>, 126 (1999), pp. 1 89- 194), dal mo­
mento che prima il più antico testo evangelico noto - un frammento
di Giovanni - sembrava databile al II secolo d.C. (P. Ryland 457).

6. L'Egitto dopo i faraoni

Ma, ovvia111ente, il più prezioso contributo dei papiri è quello per


la conoscenza specifica dell'Egitto. Decine di migliaia di testi ci per­
mettono di osservare quasi dal vivo un mondo complesso e variegato,
brillantemente analizzato da A.K. Bowman 17 , senza dubbio1 8 <<the best

introduction to the life of Hellenistic and Roman Egypt>>
Il funziona 111ento della macchina a111111inistrativa e fiscale è qui
conoscibile come per nessuna monarchia ellenistica o per nessun' al­
tra provincia dell'impero romano.
Si possono cogliere le interrelazioni tra società civile e potere po­
litico fino al livello più <<spontaneo>> della registrazione delle spese
per l'erezione di ritratti e statue (anche di bronzo e forse costruite
con la tecnica della cera perduta) degli imperatori (P. Oxy. 55,
3791-3792). Il fenomeno religioso, dal culto dei sovrani fino alle for­
me più private del sentimento del divino, è analizzabile sia nelle sue
diversità storiche (faraoniche, greche, ebraiche, romane, cristiane) , sia
in quella specie di sincretismo che segnò il cristianesimo egiziano in
modo ancor oggi originale e lasciò tracce sullo stesso Isla111 .
Nell'ambito delle istituzioni sociali possiamo osservare dall'inter­
no la vita degli esclusivi ginnasi greci, fino alla minuzia dell'elenca­
zione dei costi di restauro e di indoratura delle colonne degli edifici
che li ospitavano (P. Koln 1 , 52-53 , del 263 d.C.).
La massa di doc11111enti contrattuali di ogni tipo per111ette lo stu­
dio più analitico del diritto privato della provincia e della specificità
della sua for111a giuridica rispetto al diritto romano (Montevecchi, La
papirologia, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 177 ss. ), alla cui cono­
scenza i papiri contribuiscono diretta111ente con alcuni testi delle fon­
ti giuridiche.
Centinaia di documenti per111ettono una ricognizione unica sulla
scuola antica, sia quella greco-latina che quella (mai estinta prima del
copto) in demotico, che sopravvisse a lungo accanto a più specializ-

17 Egypt a/ter the Pharaohs, London, British Museum Publications, 1986, trad.
it. /;Egitto
18
dei faraoni, Firenze, Giunti-Barbera, 1 988.
R.S. Bagnali in <<AJA>>, 91 (1987), p. 623 .
298 LE FONTI PAPIROLOGICHE

zate scuole di geroglifico e ieratico, le quali non dovettero sparire del


tutto se nel 3 94 d.C. abbia1110 ancora un'iscrizione in geroglifico
(Bowman, Egypt, cit., p. 157).
Dalle la111entele di un insegnante circa il pagamento del suo sti­
pendio sappiamo che, almeno nel III secolo d.C., esistevano forme
pubbliche di organizzazione dell'insegna111ento (P. Coli. Youtie 66) e,
soprattutto, conservia1110 un notevole numero di testi scolastici, di
esercizi gra111maticali e aritmetici (Montevecchi, Papirologia, cit. , pp.
395 ss. ; Bowman, Egypt, cit., pp. 157 ss. ; MPER XV) , compresi alcu­
ni iniziali tentativi di scrittura di allievi alle loro prime tentennanti
prove, in una scuola che, ovvia111ente, fu solo di élite, ma che tra
questa minoranza seppe diffondere il gusto della lettura e del posses­
so di una biblioteca personale (W. Chrest. 155 ; P. Oxy. 2 192) .

7. Economia e società

Forse, però, il maggiore apporto è quello alla conoscenza della


vita economico-sociale, che per il mondo antico si è invece spesso
costretti a costruire sulla base di ipotesi con scarsi referenti docu-
mentan.

Oltre a un'infinità di testi che documentano tutti gli aspetti delle


diverse attività economiche (sino alla possibilità di misurare le flut­
tuazioni stagionali e locali di prezzi e salari) , ci è pervenuta una do­
cumentazione importante sugli interventi economici di maggior ri­
lievo.
Possiamo notare come la tendenza dirigistica della monarchia el­
lenistica e della sua burocrazia agromanageriale tenti di orientare at­
traverso un registro delle semine (diagraph� sp6rou) l'insieme delle
coltivazioni; per verificare poi come l'esito di questa velleitaria <<pro­
grammazione>> disattenda largamente le intenzionalità del progetto,
perché i contadini, per inerzia, perpetuano le loro tradizionali colti­
vazioni, trasfo1111ando in finzione burocratica le a111bizioni operative
del progetto.
Il ben noto P. Lille 1 conserva la mappa geometrica di un'ampia
tenuta (dored) di 250 ettari che deve essere bonificata e per la quale
si valutano tre diversi progetti di fattibilità per sceglierne uno, se­
condo criteri di costo e di funzionalità.
Pregevole è l'apporto dei papiri per lo studio della circolazione
monetaria, soprattutto quando si riesce ad abbinare documentazione
papirologica e doc11111entazione numismatica per giungere a ricerche
che non si limitino alla descrizione del pezzo monetario, ma sappiano
coglierlo nella dina111ica dello scambio e della circolazione reale.
Esemplari in questo senso sono tre studi: A. Gara, Prosdiagraphome­
na e circolazione monetaria, Milano, Cisalpino-La Goliardica, 1976;
R.S. Bagnali, Currency and Injla.tion in Fourth Century Egypt, in
<<BASP>>, Suppl. 5 , 1985 ; E. Christiansen, The Roman Coins o/ Ale­
xandria, Aarhus, Aarhus University Press, 1 987 .
LE FONTI PAPIROLOGICHE 299

PCZ 5902 1 (del 258 a C . ) è l'unico doct1111ento ellenistico che ci


.

attesta l'esistenza di una banca centrale con compiti di ca111bio della


moneta straniera, di ritiro della moneta vecchia e di immissione nella
circolazione della moneta nuova.
P. Sarap. 90, di età traianea, ci mostra come le fluttuazioni dei
ca111bi monetari sul mercato di Alessandria d'Egitto suscitino appren­
sione e attenzione anche presso una fa111iglia di medi proprietari agri­
coli del centro Egitto.
Quando poi trovia1no attestazioni di acquisti in moneta di argen­
to metallico (dsemos) possia1110 calcolare il tasso di sopravvalutazione
della moneta rispetto al metallo prezioso e quindi valutare la politica
dello stato che regola questa differenza e le reazioni del <<mercato>> di
fronte a simili manovre 1 9 •
Il contributo diventa più sostanzioso quando si riesce a integrare
20
la documentazione papiracea con quella epigrafica o viceversa •
Se nel fra111mento dell'editto di Afrodisia del 301 con cui Dio­
21:
cleziano raddoppia il valore nominale delle monete leggia1110

. . . argenteus centum denariis (c. 20)


ti quinque denariorum potentia viget

e se in un papiro coevo (P. Ryl. IV, 607) leggiamo che una moneta
del valore di 12 e 1/2 denari (italikòn n6misma) è la metà del noum­
mos, possiamo così attendibilmente integrare l'editto epigrafico:

. . . argenteus centum denariis [valeat et n11111mus vigin-]


ti quinque denarior11111 potentia vige[at.

Trad. : L'argenteo valga cento denarii e il nummus abbia il valore di venti­


cinque denarii.

Si rende così giustizia ad altre inconsistenti ipotesi di integrazione.


E, per restare sempre nell' a111bito della politica economica di
Diocleziano, quasi solo attraverso i papiri possia1110 riscontrare per
quanto breve tempo i prezzi reali delle merci si fossero mantenuti
sotto il calmiere fissato dall'imperatore (P. Oxy. 2798 e Bagnall, Cur­
rency, cit. , p. 64 ; D. Foraboschi, Moneta ed economia nel Tardo-Anti­
co, in <<RIN>>, 1999, pp. 173 - 199).

1 9 D. Foraboschi, Il rapporto dracma/argento non monetato, in <<RIN>>, 1 997 ,


pp. 139-143 . A. Gara e D. Foraboschi, Il rapporto dracma-argento nell'Egitto romano,
in <<Chr. d'Eg.>>, 5 1 ( 1 976), pp. 169- 177; T. Cagos, L. Koenen e B.E. McNellen, An
Early Roman Archive /rom Oxyrhynchus, in J.H. Johnson (a cura di), Ltfe in a Multi­
cultural Society, Chicago, Tue Orientai Institute of University of Chicago, 1992, p.
200; P. Oxy. 5 1 ,3 624 del IV secolo d.C. (v. note).
20
H.G. Pflaurn, Papyrologie et Epigraphie Latine, in <<Annales Universitatis Sa­
raviensis>>, 8 ( 1 959), pp. 105 ss.
2 1 M. Giacchero, Edictum Diocletiani et collegarum de pretiis rerum venalium,
Genova, Università di Genova, 1974, p. 234, frg. b.
3 00 LE FONTI PAPIROLOGICHE

8. Archivi

Quando poi i papiri si compongono in un dossier o in un archi­


vio, l'organicità della documentazione
22 •
(per quanto relativa) per111ette
acquisizioni particolari
Tra i numerosi archivi che ci sono rimasti (Montevecchi, Papirolo­
gia, cit., pp. 247-26 1 , 575-578) basta esemplificarne due, sorvolando
sui più di duemila documenti dell'Archivio di Zenon.
I circa 350 doc11111enti dell'archivio di Heroninos per111 ettono di
studiare nei particolari il funziona111ento di un' a111pia azienda agricola
del III secolo d.C., le forme dello scambio al suo interno e il pro­
gresso raggiunto nelle tecniche contabili proprio alla vigilia del tra­
collo di questa azienda e della circostante area del FayGm.
Ma anche le vicende personali possono essere seguite lungo tutta
23
una vita e i suoi muta111enti. L'archivio greco-demotico di Dryton
mostra un cavaliere greco di origine cretese attivo in Egitto nel II
secolo a.C. che viene trasferito nell'Egitto meridionale. Qui raccoglie
un archivio che in parte ci è restato, dove si conservano in più copie
tre testamenti stesi in funzione dei diversi matrimoni e delle cinque
figlie che gli partorisce la moglie egiziana. Nell'ultimo testar11ento, in
greco, leggiamo (P. Lugd. Bat. IX, 4 , 1 8-2 1 ) : <<questi quattro (testi­
moni hanno sottoscritto) nella scrittura locale (demotico) per il fatto
che in quei posti non c'era un ugual numero di Greci>>. Su cinque
testimoni solo uno firma in greco. Qui l'ellenismo sembra sommerso
nel prevalente retaggio egiziano e Dryton, il Cretese colono in Egitto,
ne è in qualche modo assorbito e sedotto.
Il discusso tema di Droysen dell'osmosi tra Oriente e Occidente
si misura anche su questi fra111menti di documentazione, dai quali
sembra apparire, più che una società 24
sincretistica, un mosaico di cul­
ture giustapposte funzionalmente e percorse da una forte vena raz­
zistica, se in un'elegia di E1n1esianatte di Colofone (Collectanea Ale­
xandrina 4) può essere considerata una <<Vergogna razziale>> che dei
Greci si imparentino con Fenici (per la bibliografia dei rapporti
interetnici v. Montevecchi, Papirologia, cit., pp. 149- 150; 555 -556).
Un interessante archivio - l'archivio di Babatha - scritto in greco­
ara111aico proviene da Israele: N. Lewis, The Documents /rom the Bar
Kokhba Period in the Cave o/ letters: Greek Papyri. Aramaic and Na­
batean Signatures and Subscri'ptions Ed. by Y Yadin and C. Greenfield,
Jerusalem, 1989.

22 D. Foraboschi, Tra storia e microstoria: la documentazione degli archivi, in E.


Gabba e S. Roda (a cura di), Italia sul Baetis. Studi di storia romana in memoria di
Ferdinando Cascò, Torino, Scriptoriurn, 1996, pp. 9-24.
23 G. Messeri, Frammento del primo testamento di Dryton, Firenze (Miscellanea
Papirologica, 9), 1 990, pp. 429 ss. ; a p. 43 0 n. 7 la bibliografia.
24
J. Bingen, J;Égypte gréco-romain et la problématique des interactions culturels,
in Proc. XVI Int. Congr. o/ Pap. , New York, 1981, pp. 3 - 1 8.
LE FONTI PAPIROLOGICHE 301

Dall'Inghilterra settentrionale - presso il vallo di Adriano - pro­


viene un archivio militare: A.K. Bowman, Lz/e and Letters on the Ro­
man Frontier. Vindolanda and its People, London, British Museum
Press, 1994.

9. Vita privata

Una serie di documenti, ma soprattutto un consistente numero di


lettere private, ci permette di penetrare anche nelle pieghe di vicende
private per disegnare quelle intime microstorie così apprezzate e riva­
lutate dalla storiografia contemporanea. Gli 6straka introducono a
volte nel mondo minuto della povera gente che doveva scrivere sopra
cocci di anfore rotte: inviti a pranzo, a matrimoni, a feste, ecc.
Curiosa è la documentazione relativa alla tassa sulla prostituzione
o hetairik6n. Esistevano pubblicani specializzati nella riscossione di
questa imposta che, in occasione di qualche festival, potevano conce­
dere a una donna il permesso di giacersi con chi volesse. C'è anche il
caso di un Ebreo che paga l' hetairik6n: era un mezzano, oppure, in
occasione di scarse entrate fiscali, l'imposta venne ripartita fra tutti i
contribuenti?
Ancora più curioso è il caso di O. Elkab 196 (I-II secolo d.C.). Si
tratta di un breve conto frammentario. Le spese segnate in colonna
sono per il garum, per i vestiti, per le macchine idrauliche, per la
tassa sulla prostituzione. C'è qualcosa di misterioso; a meno che non
pensiamo ai conti della spesa di una prostituta pignola e precisa 25 •
Un papiro greco di epoca araba datato al 7 marzo 710 è un ordi­
ne di requisizione di anelli da caviglia: <<Il nostro signore, il molto
celebre Emiro, ha compiuto la ripartizione degli anelli da caviglia e
la parte imputabile alla pagarchia della tua rispettabile amicizia è di
centoventi anelli>> (P. Apoll. 20). Gli anelli vengono quindi inviati a
Babilonia per la donna di qualche Califfo, perché le donne arabe
usavano ornarsi di un sovraccarico inverosimile di anelli: Zubayada,
sposa di Harun ar-Rashid, è così appesantita dai gioielli che deve gi­
rare sostenuta da due schiavi (P. Apoll. 53 ) .

Nelle lettere private traspaiono le vicende più contorte e nello


stesso tempo più immutabili nel tempo. In una lettera alla moglie di
un marito, disperato e tradito, del II secolo d.C. leggiamo:
.

Sereno a Isidora sorella e signora molti saluti . . . Voglio che tu sappia


che da quando mi hai lasciato io sono triste, piango di notte e mi angoscio
di giorno. Da un mese non mi lavo e non mi ungo di oli. Mi hai mandato
una lettera che avrebbe scosso una pietra . . . Per non parlare dei tuoi di­
scorsi e dei tuoi scritti: <<Kolobòs mi ha fatto una prostituta>>. Lui, invece,
mi disse: tua moglie mi ha mandato un messaggio che diceva: lui (mio mari-

2 5 R.S. Bagnall, A Trick a Day lo Keep the Tax Man at Bay? The Prostitute 'fax
in Roman Egypt, in <<BASP>>, 28 ( 1 99 1 ) , pp. 5-12.
3 02 LE FONTI PAPIROLOGICHE

to) ha comperato la catena e lui mi ha messo sul battello . . . Fammi sapere


se vtent o non vtent.
• • • •

In una lettera che nel V-VI secolo una monaca inviò a un abate
(P. Koln 2 , 1 1 1 ) si intravvedono, attraverso i cenni fra111mentari che
ci sono rimasti, le immutabili storie dei conflitti che insorgono anche
all'interno di un monastero di donne votate alla santità cristiana:
<< . . . la sua santità, quali castighi . . . la badessa, poiché sono molto
afflitta: gli occhi dei malvagi non per111ettono di alzare lo sguardo.
Perciò esorto: prega per me affinché per il resto Dio mi liberi e io
possa liberarmi dai complotti dei malvagi>>. Ma infine anche questo
dramma claustrale si conclude con un cenno di gentilezza: <<Comuni­
co alla sua santità che avendo pronto un piccolo fo1111aggio l'ho in­
viato . . . e anche un piccolo dolce . . . >>.
N11111erosissime sono queste lettere private. Si tratta per lo più di
poche righe relative ad affari minimi. Spesso, però, il testo si intensi­
fica e amplia fino a permettere di cogliere personalità e mentalità,
proprio perché scritto senza ambizione di travalicare i secoli, in un
raggio di comunicazione tutto privato che solo l'archeologia e la sab­
bia del deserto ci hanno conservato, impreziosito dalla patina dei
millenni.
Un florilegio tematico può bastare a fornire un'idea di questi
documenti.

Famiglia
Gli affari vanno male e litigo con la madre (P. Mii. Vogl. 24) .
Non maltrattate mio figlio (P. Col. Zen. 6).
Cara moglie se ti nasce un maschio tienilo, se una femmina esponila
(P. Oxy. 744).
Porta111i in città e mandami regali (J. Hengstl, Griechische Papyri aus
Aegypten, Miinchen, Artemis, 1978, p. 83 ).
Studia e ti manderò i soldi (P. Oxy. 53 1 ) .
Felicitazioni per il matrimonio (BGU 1080) .
Impara i geroglifici e farai carriera (UPZ 148).
Ho spedito la m11111mia della mamma (Hengstl, Griechische Papyri,
cit., p. 59).

Amicizia
Ho sognato di risalire il Nilo (P. Sarap . 101).
Contro la morte non si può nulla (A. Deissmann, Light /rom the An-
cient East, trad. ingl. London, Hodder-Soughton, 1927, p. 176).
Cosa sono ricchezza e giovinezza? (P. Oxy. 3069)
Sei ricco e disprezzi gli a•Bici (P. Fior. 367).
L'eccesso di generosità porta al disastro (P. Oxy. 3208).

Amore
Amore matrimoniale (P. Oxy. 528).
LE FONTI PAPIROLOGICHE 3 03

Amore extra111atrimoniale (W. Chrest. 481).


Amore e lontananza (P. Oxy. 1676).
Una proposta gay (P. Oxy. 3070) .

Feste
Invito a pranzo (SB X, 10496).
Invito a nozze (M. Vandoni, Feste pubbliche e private nei documenti
greci, Milano, Cisalpino, 1964, p. 132).
Manda111i suonatori, cibo e bevande (P. Hib. 54).
Mi hanno costretto a fare il lottatore (Vandoni, Feste pubbliche, cit.,
p. 8 1 ) . .
Prepara il bagno caldo e la festa (P. Fior. 127 ).

Malattie
Invio di un a111uleto contro la tonsillite (P. Oxy. 3068) .
Sono in ansia perché hai male ai piedi (W. Chrest. 93 ).
Ho male agli occhi e al corpo (SP 158).
Cibi delicati per un ammalato (SP 170).

Miliari
Sono arrivato a Ostia (W. Chrest. 40).
Non preoccuparti, il posto è bello (W. Chrest. 4 1 ) .
Ti mando un mio piccolo ritratto (Deissmann, Light, cit., p . 179).
Saluti alla sorella (ibid., p. 1 84).
Stia1110 partendo per la Mauritania (P. Coll. Youtie 53 ) .
C'è in vista un trasferimento vicino a casa (SP 149).

Conflitti sociali
Fuggo in Siria per non morire di fame (P. Col. Zen. 66).
Antisemitismo (CPJ 437).
Tumulti e cannibalismo (P. Oxy. 3065 ) .
I lavoratori hanno scioperato e fatto una manifestazione (P. Brem.
63 ).
Risse tra paesi (SP 429).
Lo sciopero fa morire i maiali (P. Lond. VII, 2007).

Denunce pubbliche
Un'Egiziana mi versò addosso urina (P. Ent. 79).
Un furto (P. Oxy. 2730).
Mi ha irretito la figlia (P. Lond. VII, 1976) .
Atti osceni in luogo sacro (P. Narm. 2).

Affari
La burocrazia intralcia la riforma monetaria (PCZ 5902 1 ) .
Sta crollando il prezzo dell'oro (P. Sarap. 90).
304 LE FON1'1 PAPIROLOGIC�IE

Taglia le vigne (P. Oxy. 3063 ) .


Segui queste strade e consegna la lettera (P. Oxy. 2719) .
Ordinazione di libri (P. Mii. Vogl. 1 1 ).
La mummia non è ancora pronta (SP 156).

Personaggi di rango
Lo sceicco ebreo al ministro greco (CPJ 4).
Mappa di una tenuta del ministro e preventivi di spesa (P. Ludg. Bat.
20, 255 ) .
Sto accompagnando la principessa alle nozze, tu segui le mie faccen-
de private (PCZ 5925 1 ) .
Arriva il re, nascondi le scorte (PSI 354).
Disposizioni ufficiali per la visita di un senatore (SP 4 16).
Tra l'altro, ho visto l'imperatore Tito (P. Oxy. 2725).

Cristianesimo
Prima lettera cristiana? (P. Oxy. 3057).
L'anacoreta si degni di pagare le tasse (M. Naldini, Il cristianesimo in
Egitto, Firenze, Le Monnier, 1968, p. 86).
Gli affari di Didima e le sorelle (ibid. , p. 36).
Ospitalità per un fratello (ibid. , p. 50) .
Sono solo con Dio (ibid. , p. 72).

Il papiro doc11111entario offre insomma il pregio, a volte emozio­


nante, della fonte informativa diretta, non mediata dalla soggettività
di uno storico. Questo non deve creare però l'illusione che il docu-
mento . sia la realtà: <<il documento non è innocuo. E il risultato prima
,

di tutto di un montaggio, conscio o inconscio, della storia, dell'epo­


ca, della società che lo hanno prodotto>> (J. Le Goff, in Enc. Einaudi,
s.v. documento/monumento) .
I documenti contrattuali, se non sono completi e organici, offro­
no solo uno spaccato di verità. Le lettere private, ovvia111ente, espri­
mono la soggettività dello scrivente: se noi pensassimo che la rivolta
giudaica del 1 15 - 1 17 sia stata solo quanto racconta Aline ( CPJ II,
pp. 233 ss.) nelle sue femminili lettere terrorizzate, scritte dentro
l'ansia degli avvenimenti, guarderemmo da una prospettiva distorcen­
te. Solo integrando queste informazioni con quanto ricorda Eusebio
di Cesarea (H.E. IV, 2, 1 -5: l'invio in Cirenaica di altre truppe al co­
mando di Turbo, oltre le due legioni operanti in Egitto) , con le ricer­
che archeologiche sull'entità delle devastazioni 26 e con la documenta­
zione papirologica sulla sparizione - dopo la guerra - delle comunità
ebraiche in ampie regioni dell'Egitto, possiamo supporre critica111ente

26 G.H.R. Horsley, New Documents Illustrating Early Christianity, Marrickville,


North Ryde Macquerie University, 1 987, p. 2 12.
TAv. 1 . P. Oxy. (Oxford; Coles) 1 . 1 19 (II-ID secolo d . C. ) . Il papiro è Wla lettera in cui il
figlio Theon(as) rimprovera al proprio padre Théon di non averlo condotto con sé
ad Alessandria.

Fonte: E. Banfi e D. Foraboschi, Giovanissimi e giovani scrivani nell'Egitto greco-romano, in


Q. Antonelli e E. Becchi (a cura di), Le scritture bambine, Roma - Bari, Laterza, 1995, fig. 2 .

TAV. 2 . P. Oxy. (Oxford; Coles) 55.3809 (11-111 secolo d.C . ) . Il papiro è una lettera in cui il
giovane apprendista-barbiere Agathangelos racconta al suo maestro, Panares, del suo
successo professionale.

Fonte: Banfi e Foraboschi, Giovanissimi e giovani scrivani nell'Egitto greco-romano, cit. , fig. 3.
LE FONTI PAPIROLOGICHE 307

di avvicinarci a un'osservazione storica obiettiva, dove gli <<empi Giu­


dei>> che terrorizzavano Aline appaiono sconfitti e sterminati 27 •
Anche il papiro doc11111entario - è ovvio - deve essere letto se­
condo precise regole del gioco e sottoposto a una critica delle fonti,
dentro l'insieme delle fonti informative che tra111 andano tracce di
quella <<popolazione di morti>> che è divenuta storia e oggetto di
storiografia.
'

Elenco delle abbreviazioni delle edizioni di papiri

BGU Aegyptische Urkunden aus den Staatlichen Museen zu Ber/in,


Griechische Urkunden, Berlin.
CPJC Corpus Papyrorum ]udaicarum, Cambridge, Mass., 1957-
1 964.
CPR Corpus Papyrorum Reineri, Wien, 1 895 ss.
MPER Mitteilungen aus der Papyrussammlung der Nationalbibliothek
in Wt'en.
O. Elkab Elkab III, Les ostraka grecs, Bruxelles.
P. Apoll. Papyrus grecs d'Apollonos Ano, Cairo.
P. Brem. Die Bremer Papyri, Berlin, 1936 ss.
P. Cairo lsid. The Archive o/ Aurelius lsidorus in the Egyptian Museum,
Cairo, and in the University of Michigan, Ann Arbor,
1960.
P. Col. Zen. Columbia Papyri.
P. Coll. Youtie Collectanea Papyrologica, Bonn.
PCZ Zenon Papyri, Cairo.
P. Ent. ENTEYXEIS: Requetes et plaintes adressées au Roi d'Égypte
au III siècle avant ]. -C. , Cairo 193 1 .
P. Flor. Papiri greco-egizi, Papiri Fiorentini (rist. Torino) .
P. Giessen Griechische Papyri im Museum zu Giessen, Leipzig - Berlin,
1910 ss.
P. Hib. The Hibeh Papyri, London.
P. Koln Kolner Papyri, Koln.
P. Laur. Papiri della biblioteca Medicea-Laurenziana, Firenze, 1976 ss.
P. Lille Papyrus grecs (Université de Lille) , Paris.
P. Lond. Greek Papyri in the British Museum.
P. Lugd. Bat. Papyrologica Lugduno-Batava, Leiden.
P. Mil. Vogl. Papiri Milano Vogliano, Milano.
P. Na1111 . Ostraka e papiri greci da Madinet Madi nelle campagne 1968
e 1969, Milano, 1976.

P. Oxy. The Oxyrhynchus Papyri.


P. Petaus Das Archiv des Petaus, Koln - Opladen, 1969.
P. Ryl. Catalogue o/ the Greek Papyri in the fohn Rylands Library,
Manchester.
P. Schubart Griechische Literarische Papyri, Berlin, 1950.
PSI Papiri greci e latini (Pubbl. della Società Italiana), Firenze.

27 J. Mélèze-Modrzejewski, Les Jui/s d'Égypte, Paris, Errance, 199 1 , pp. 150 ss.
308 LE FONTI PAPIROLOGICHE

P. Sarap. Les A rchives de Sarapion et des ses fils: une exploitation


agricole aux environs d'Hermoupolis Magna (de 1 33 p. C.),
Cairo 90 à 133 p. C.), Cairo.
P. Tebt. The Tebtynis Papy ri, London.
P. Thmouis Le papy rus Thmouis 1 , Paris, 1 985 .
SB Sammelbuch Griechischer Urkunden aus Aegypten.
SP Select Papy ri, London - Ca111bridge, Mass.
UPZ Urkunden der Ptolemiierzeit (altere Funde), Berlin-Leipzig.
W. Chrest. L. Mitteis e U. Wilcken, Grundzuge und Ch resthomatie der
Papy ruskunde, Leipzig.
Capitolo 7

1 . Valore e moneta coniata

Il termine stesso che definisce la numismatica (dal greco n6misma


= <<moneta>>) deriva da n6mos, la <<legge>> che ne garantisce il valore:
<<porta il nome di n6misma in quanto non prodotto di natura ma del­
la legge>> (Aristotele, Etica Nicomachea V, 5 ) .
La definizione aristotelica individua la convenzione giuridica
come unica generatrice della moneta e indica con chiarezza che vi è
moneta ogniqualvolta sia stata definita la convenzione. Non ha im­
portanza quindi la forma materiale assunta dalla moneta come con­
creta espressione di <<Valore>>, forma che risulta nei fatti essere una
variabile al pari della convenzione stessa, la legge, che dipende da
condizioni giuridiche e culturali diversissime nel tempo, anche se
sempre riferite alle transazioni economiche.
Si fa giustizia così dell'inesauribile discussione, antica come la
scienza n11mismatica stessa, sui caratteri fisici individuanti la moneta,
sulla distinzione tra monete e oggetto rnonetiforme, ecc. Il problema
in realtà è giuridico � va impostato con la verifica di quali realtà fisi­
che hanno assunto valore monetario nel corso della storia 11mana e
nei vari luoghi. Realtà in perenne evoluzione vuoi nella forma vuoi
nelle funzioni, com'è agevole verificare anche oggi per quanto riguar­
da sia la moneta sia gli str111nenti generali di credito e tutto ciò che è
adoperato per il trasferimento di moneta (lettera di credito, bancono­
ta, gettone, buono, assegno, vaglia, cambiale, azione, certificato di
deposito, carta di credito, moneta elettronica, ecc.).
La ricerca della forma ideale della moneta si è storicamente coa­
gulata intorno ai caratteri tipologici, se non estetico-figurativi, di essa,
quale appare alla fine del VII secolo a.C. in Asia Minore (metallica,
su disco rotondo, con pesi definiti e garantiti, coniata, con tipi indivi­
duanti l'autorità emittente, ecc.) e quale giunge in Occidente fino a
noi. Ci si è così allontanati dalla meditazione circa le premesse giuri-
3 10 LA NUMISMATICA

diche all'esistenza della moneta e quindi dagli aspetti attinenti alla


sfera economica.
Le fonti antiche insistono stÙ processo evolutivo in base al quale
la moneta coniata avrebbe sostituito l'uso del metallo in lingotto e la
<<moneta oggetto>>, con la tradizione del re d'Argo Fidone che, intro­
ducendo la moneta d'argento nel Peloponneso in età molto alta (se­
condo quarto del VII secolo?), avrebbe dedicato nel tempio di Hera
gli spiedi (6belos <<spiedo>>, da cui <<obolo>>) in ferro che precedente­
mente avevano valore monetario (Aristotele, Fragm. 481). Anzi la
nuova moneta avrebbe rappresentato una <<manciata>> (drax) di sei
6beloi, da cui <<dracma>>. L'indicazione, anche se probabile invenzione
di antiquari locali, appare sostanzialmente corretta nel senso, se non
in termini storici (nell'area, la più antica moneta, quella eginetica, è
successiva, forse del 580 a.C. circa) . Veniva quindi allora, come oggi,
accettato l'utilizzo - per convenzione con valore monetario - di og­
getti funzionali, o di merce a peso, o di beni in qualche modo indivi­
duabili come unità di misura dei <<Valori>> (e, conseguentemente,
come mezzo di scambio e di accumtÙazione di ricchezza). Il fenome­
no precedette la nascita della moneta metallica. Le tipologie di beni
erano soprattutto individuate tra quelle il cui possesso conferiva pre­
stigio, come gli schiavi o il bestia111e stesso, che viene posto all' origi­
ne della moneta romana, con pecus da cui pecunia (Varrone, De lin­
gua latina V, 25) e con l'immagine del bovino su alcuni esemplari di
aes signatum del III secolo a.C. Ma si hanno anche, in altre ctÙture,
conchiglie, anelli, asce, spade e inn11111erevoli altri oggetti.
In realtà ctÙture economica111ente anche molto avanzate, come
quelle mesopota111iche e quella dell'Egitto, si svilupparono per mil­
lenni senza moneta metallica propria (facendo però uso del credito
in termini sistematici) . E ctÙture con una già solida ctÙtura moneta­
ria, come quelle greche, coesistettero ed ebbero for111e anche com­
plesse di interscambio economico con altre, come quella punica, che
adottarono con ritardo l'uso della moneta coniata (salvo produrla per
fini precisi, come per il pagamento delle truppe mercenarie nella Si­
cilia del IV secolo a.C.). Roma stessa giunge alla moneta coniata con
forte ritardo e per lungo tempo sembra utilizzarla solo per i rapporti
con l'esterno (la moneta cosiddetta romano-campana).
La pratica dell'utilizzo di merci diverse dalla moneta, o del me­
tallo bruto, non cessa comunque con la nascita della moneta coniata
garantita da un'autorità emittente. Essa si affianca all'uso della mone­
ta, analogamente al sistema precedentemente adottato per gli sca111bi,
il baratto. Questo, correttamente individuato come proprio delle so­
cietà più primitive, appartiene alla medesima sfera concettuale e ne
differisce solo per il non utilizzo di un bene intermedio.
La moneta coniata appare quindi come uno dei mezzi adottati
dall'uomo per facilitare le transazioni economiche, concreto espe­
diente pratico per esprimere il <<Valore>>, eh� viene trasmesso per imi­
tazione da una società all'altra. In certi casi è certa111 ente il migliore,
soprattutto per le realtà urbane e per i meccanismi di prelievo fiscale;
LA NUMISMATICA 311

ma non sempre lo è o è il solo. Sarebbe comunque sempre necessa­


rio distinguere, come avviene in alcune lingue europee, il concetto di
<<Valore>> economico (con minore precisione il <<denaro>>) dal concetto
di <<moneta>>, come tondello coniato (o sotto qualsiasi altra fo1111a
materiale, sia a carattere primitivo, sia carta-moneta o altro). In tede­
sco Geld e Munze e in inglese money e coin esprimono adeguata111 en­
te la differenza.
La nascita della moneta, in ogni caso, fu legata all'apposizione su
oggetti metallici di peso uniforn1e di una impronta che ne garantiva
il peso e quindi il <<Valore>> (Aristotele, Politica IX, 7), rendendo teo­
ricamente superflua la pesatura del metallo che già serviva per gli
sca111bi.
L'affidabilità della garanzia era evidentemente legata alla forza
economica, ma anche politica o militare o religiosa, di chi emetteva
la moneta. All'origine poté essere anche un privato sufficientemente
credibile: ciò avvenne innumerevoli volte nella storia della moneta, e
soprattutto nella storia dei materiali para111onetari come le tessere o
le monete a circolazione limitata. La moneta, talvolta, non fu dello
stato ma proprietà privata del principe, detentore del potere imper­
sonale dello stato.

2. Metalli, pesi e misure

Essenziale presupposto per la definizione dell'oggetto moneta ap­


pare la convenzione sull'adozione di determinati metalli, giustificata
dalla loro qualità e rarità.
Nel Mediterraneo orientale, nelle città greche della Ionia e nel
principato lidio di Sardi, dalla fine del VII secolo a.C. i metalli adot­
tati furono inizialmente l'elettro (lega naturale di oro e argento) in
pezzi globulari, e poi l'oro o l'argento (ad opera, secondo la tradizio­
ne, del re Creso, 560 circa 546 a.C.), con una successiva tendenza
-

alla specializzazione nelle varie aree economiche.


Il doc11111 ento monetario più importante delle origini sembra esse­
re il deposito scoperto nel 1904-1 905 nel basamento del tempio di
Artemide in Efeso, con monete globulari in elettro, recanti striature
o tipi su di una sola faccia, mentre l'altra (il R/) è segnata da un
punzone. I loro pesi sono stati visti come frazioni da 1/3 a 1/96 del­
l'unità (lo statere) da 14,2 gr. circa. Siamo probabilmente nel 640-63 0
a.C. Dall ' area anatolica l'uso della moneta si diffuse successivamente
sia a est, in parte del mondo achemenide, sia verso occidente, nell' a­
rea egea, nella Grecia vera e propria e infine in Magna Grecia, Sicilia
e Mediterraneo occidentale, divenendo uno strumento caratteristico
della cultura greca.
In Grecia si utilizzò quasi costantemente, a partire dalla prima
metà del VI secolo a.C., l'argento, che si estraeva dalle miniere del
Laurion, della Tracia, della Macedonia. L'utilizzo del metallo prezio­
so non monetato (presente anche a Efeso nel deposito del tempio)
3 12 LA NUMISMATICA

precedette quello della moneta coniata e poi lo accompagnò nel tem­


po, con lingotti, o frammenti, o gocce, di peso talora definito, talvol­
ta con segni che, più che tipi, possono essere marchi di proprietà.
L'uso del bronzo per la fabbricazione di monete, apparentemente
più tardo, sembra derivare da presupposti culturali in parte diversi: il
ra111e , sotto fo1111a di lingotto o utensile o manufatto, appare utilizza­
to in tutte le epoche con un significato fondamentalmente a111biguo,
a volte funzionale e a volte monetario.
La scelta dei metalli appare invero convenzionale. Non mancano,
sia nel mondo classico sia più tardi o altrove, scelte diverse: vetro,
piombo, ferro, ceramica, fino alla carta o alla plastica di oggi. Non
solo: il potere liberatorio attribuito, come vedremo, dall'apposizione
del tipo al disco in metallo può vedersi attribuire precise limitazioni:
dalla definizione di un'area di circolazione delimitata (fatto no1111 ale
per ogni moneta), alla specializzazione per dete1111inati servizi (come
le tessere, che davano diritto ad assistere agli spettacoli, o a fruire di
distribuzioni di alimenti, ecc.), alla funzione di sostituto di una mo­
neta, all'attribuzione di significati indotti, commemorativi (la meda­
glia) o magico-religiosi (gli amuleti monetifor111i) .
Il modificarsi della convenzione giuridica può anzi modificare il
significato della moneta fino alla demonetizzazione o, in certi casi, al
suo esclusivo utilizzo per la tesaurizzazione come metallo in lingotto,
o allo spostamento da una funzione all'altra (allorché essa viene usata
come a111uleto o dono votivo).
La scelta convenzionale del metallo per la fabbricazione della mo­
neta implica una dipendenza dal valore di quest'ultimo sul mercato,
calcolato sulla base della misurazione del peso, organizzata con crite­
ri più o meno complessi che preesistono e si sviluppano parallela­
mente alla moneta metallica e che sono oggetto di una disciplina au­
tonoma, la metrologia. Appare pertanto significativo come il lessico
monetale greco si riallacci sempre ai termini che precedentemente
esprimevano unità ponderali.
Tali sistemi, indipendenti dalla moneta e solo in un secondo tem­
po a essa applicati, derivavano da convenzioni che variavano da luo­
go a luogo e differivano sia nella deter111inazione dell'unità base di
peso sia nell'organizzazione di multipli e sottomultipli. I sistemi duo­
decimali o sessagesimali di misurazione furono preferiti per il gran
numero di operazioni semplici che pe1111ettono su numeri interi; e
solo in età moderna sono stati sostituiti dal sistema decimale. In età
storica essi appaiono organizzati per aree geografiche e politiche o
per classe di <<merce>> da pesare, o da misurare in termini volume­
trici, o di lunghezza, ecc.
In età classica il talento, di origine orientale, era di 26,220 gr.,
suddiviso in 60 mine, che però erano suddivisibili in un n11111ero di
dracme in argento variabile da luogo a luogo: 100 dracme per mina
ad Atene, 70 a Egina, ecc. Non solo: lo statere, come unità di misura
in argento, era suddivisibile in un numero diverso di dracme da luo­
go a luogo.
LA NUMISMATICA 3 13

I sistemi ponderali seguiti dalle varie zecche in età greca appaio­


no rispettati oppure abbandonati per aderire a diverso sistema, in
base a scelte di politica monetaria o ad accordi tra autorità emittenti.
Così, si ebbe l'abbandono di sistemi settoriali a favore di emissioni
proprie di rilevante importanza economica: a questo modo si spiega
la fortuna della dracma attica, con il suo nominale più noto, la tetra­
dracma di più di 17 gr.
La definizione e la tutela dei pesi e delle misure divennero molto
per tempo una prerogativa gelosamente difesa dal potere politico e
a111ministrativo, regolata da precise nor111e giuridiche. Pratica111ente
ciò si traduceva sia nella materializzazione del peso convenzionale
<<tipo>> cui adeguarsi (principio ancor oggi valido) , sia nella distribu­
zione o nel controllo di copie conformi di questo peso (o dei suoi
multipli e sottomultipli) , che servivano per pesare (o misurare) quan­
to veniva venduto o acquistato. Tali copie sono i <<pesi>>, che possono
anche essere monetari, e che in età recente vengono periodica111ente
verificati (ed eventualmente punzonati) dall'autorità a ciò preposta
per evitare brogli. L'alterazione dei pesi viene sempre e ovunque con­
siderata un grave reato.
La <<misurazione>> del valore della moneta mediante il suo peso
porta all'utilizzo di nominali differenziati, con pesi tendenzialmente
stabili, in rapporto fisso tra loro, secondo sistemi variabili nel tempo
e nello spazio.
L'uso contestuale di monete in metallo diverso è frequente ma
non costante: vi sono circolazioni sia monometalliche, sia bimetalli­
che, sia trimetalliche, ecc. Ciò porta all'ulteriore definizione del rap­
porto tra nominali di metallo diverso, con la creazione di sistemi mo­
netari talvolta di notevole complessità.
Spesso, se non sempre, le monete di ogni metallo assumono nella
circolazione valenze diverse, ad esempio con a111biti di mercato diffe­
renziati. La moneta in oro, destinata per il suo alto valore a una co­
stante verifica del peso e del contenuto metallico, appare perdere fa­
cilmente il significato monetario vero e proprio a causa d'una desti­
nazione quasi costante alla tesaurizzazione (come lingotto da immo­
bilizzare), o dell'utilizzo come oggetto di prestigio, quindi con circo­
lazione lentissima.
Nelle culture monetarie legate all'argento, l'oro viene monetato
solo in situazione di emergenza, facendo ricorso a riserve talvolta ac­
cantonate sotto altra for111a: esemplare appare la fusione, per ricavar­
ne monete, dell'oro del tesoro del tempio di Atena Nike nel 407
a.C ., nel momento più difficile della guerra del Peloponneso.
La monetazione in argento e soprattutto quella in rame erano il
mezzo delle transazioni medie e minori, a carattere quotidiano. Indi­
catori fedeli di una cultura monetaria evoluta, soprattutto urbana (la
più lontana dalle soluzioni produttive autarchiche) , esse erano carat­
terizzate da veloce circolazione. Accettate senza la verifica dei pesi e
della qualità, divennero il luogo naturale di ogni intervento speculati­
vo ai danni dell'utenza.
3 14 LA NUMISMATICA

In alcune aree ci si ricollegò però anche a tradizioni locali di mo­


nometallismo, come nella Sicilia greca, che fece largo uso di ra111e,
metallo esclusivo della monetazione indigena.
Tale specializzazione si rifletteva anche nella mobilità delle specie
monetarie. Mentre l'oro e l'argento, strumenti del commercio di
grande respiro, tendevano a muoversi anche sulle grandi distanze,
con un mercato molto vasto, la moneta in ra111e (e quella in argento
di modulo minore) , tipica delle transazioni quotidiane, rimaneva cir­
coscritta in ambiti molto più limitati, corrispondenti ai territori con­
trollati dalle autorità emittenti. In età greca la penetrazione in un
mercato di moneta allogena in rame era sempre indizio di carente
controllo in loco e di pesante dipendenza economica da altri centri,
anche a carattere imperialistico. Così può essere letta la diffusione
nella Magna Graecia della moneta di Siracusa nel IV-III secolo a.C. e
la diffusione parzialmente parallela della moneta romana.
Né mancarono scelte diverse, come, nel mondo romano, l' orichal­
cum (ottone) , lega di rame e zinco, di aspetto certamente gradevole,
ma di valore forse non paragonabile a quello imposto nei rapporti di
cambio con la moneta in rame, probabilmente più gradita all'utenza
(almeno nelle prime fasi) .
Tutto ciò portava a un'affidabilità differenziata delle varie monete
sul medesimo mercato, a un loro differente potere liberatorio, a di­
verse forme di utilizzo per la tesaurizzazione e soprattutto alla diffi­
coltà o all'impossibilità del cambio reciproco, che rimaneva quindi
talvolta puramente teorico, oppure veniva imposto, all'interno di
scelte speculative dello stato.
Come si vedrà meglio trattando dei tipi, tendenzialmente si han­
no forme specifiche per ciascun metallo se non altro dimensional­
mente, anche per la migliore riconoscibilità del nominale.
La modifica del materiale, mantenendo inalterati i tipi, può essere
indicativa di un tentativo di truffa (come appare evidente nella mo­
neta greca e romana definita subaerata o pelliculata, ossia con un' ani­
ma in metallo vile ricoperta da metallo nobile) ; ma può anche essere
indicativa di una modifica funzionale, come nel caso delle imitazioni
greche in terracotta, note per il V-IV secolo a.C., o delle imitazioni
in piombo di moneta romana, comuni in età repubblicana, destinate
forse alla funzione di dono votivo.
Da quanto si è detto è possibile comprendere l'utilità e la ne­
cessità dell'individuazione del peso e del contenuto in metallo di
ogni moneta antica. La composizione della lega metallica utilizzata
per le monete non era infatti mai casuale e l'utenza era in grado di
controllarla. Lo stesso può dirsi per il peso, che veniva probabilmen­
te verificato in sede di emissione sul singolo esemplare (<<al pezzo>>)
per l'oro (e forse anche per i nominali maggiori in argento) e sul
lotto per gli altri metalli. In epoca successiva questo procedimento
venne definito <<al marco>>, con la produzione (taglio) di un certo nu­
mero di pezzi per un peso dato (<<marco>>) e quindi con possibili va-
LA NUMISMATICA J 15

riazioni anche vistose nei pesi individuali, dalle quali l'utenza si tu­
telava.
L'analisi dei pesi porta a ipotesi circa i pesi standard (peso teorico
dell'unità della quale i vari nominali sono multipli o sottomultipli) e
quindi all'individuazione dei sistemi ponderali adottati nei vari luoghi
e nelle varie epoche. Le fonti letterarie o epigrafiche relative alle mi­
sure e ai pesi antichi sono rare, per certe aree e certi periodi del
tutto assenti, sempre frammentarie e di difficile interpretazione. Ci si
basa quindi sul calcolo delle medie, raccolte pesando il maggior nu­
mero di esemplari disponibile di ciascun nominale.
Si deve però tenere conto delle modalità di trasmissione delle
monete fino a noi, considerando le possibilità di alterazione e di per­
dita di peso, sia per cons111110 in circolazione, che per interventi mec­
canici (<<tosatura>>), che per la conservazione nel terreno. L'alterazio­
ne può essere anche in positivo, per la naturale tendenza a tesau­
rizzare solo i materiali di peso più alto, lasciando in circolazione
quelli di peso più basso. Il dato può essere influente, in quanto i ri­
postigli forniscono la percentuale maggiore dei materiali disponibili
per la ricerca. In altri termini, è necessario verificare l'affidabilità del
campione statistico sul quale si lavora, caratterizzato dalla casualità
nella conservazione e nella raccolta.
La caduta del peso della moneta in circolazione, che in età mo­
derna avrebbe condotto al ritiro della moneta in oro qualora si supe­
rassero determinate soglie, era in rapporto con la natura della lega e
con la velocità di circolazione.
Se la definizione del peso standard, e quindi del sistema pondera­
le corrispondente, è facile in certe situazioni (ad esempio ovunque
venne adottato lo standard attico, con la dracma di gr. 4,37), in altre
non lo è. Non sempre infatti si riesce a collegare i dati di altre fonti
storiche (talora imprecise) con l'evidenza monumentale delle monete.
Così l'asse librale fuso romano non permette di definire con sicurez­
za il peso della libra.
L'analisi del metallo è indispensabile e preliminare a qualsiasi ri­
cerca riferita ai problemi storico-economici della moneta. Essa viene
realizzata grazie a tecniche sia tradizionali sia recentissime. Tra le pri­
me, si ricordino l'esame del peso specifico e la <<pietra di paragone>>,
una tecnica conosciuta fin dal VI secolo a.C. e basata sul confronto
fra la traccia lasciata su di una superficie abrasiva dall'oggetto da esa­
minare e quella di un campione di composizione nota; essa è stata
oggi abbandonata perché poco utile e di carattere distruttivo. Tra le
tecniche più recenti vanno annoverate quelle che prevedono l'utilizzo
di metodi atomici e nucleari: fluorescenza e bombardamento neutro­
nico (o PIXE: Proton Induced X-Ray Emission).
In genere i risultati non appaiono però del tutto affidabili (ad ec­
cezione che per l'oro sufficientemente puro), sia per l'alterazione su­
perficiale, sia per la disomogeneità del corpo stesso della moneta,
prodotta con metodi di grande imprecisione. Si cerca di ovviare a ciò
impiegando metodi statistici, con campioni resi affidabili dal numero
3 16 LA NUMISMATICA

di analisi, o incrociando i dati di analisi diverse. Tali metodi hanno


comunque aperto grandi possibilità per lo studio delle componenti
presenti in quantità minime (pure individuabili con le analisi chimi­
che) . Le tracce, che la tecnologia antica ignorava e quindi non elimi­
nava, appaiono caratteristiche per ogni provenienza e non scompaio­
no (benché si modifichino in tern1ini quantitativi) in caso di riutilizzo
dei metalli anche in nuove leghe. Le analisi quindi, incrociate con
quelle dei minerali raccolti nei siti di produzione, consentono di veri­
ficare i sistemi di approvvigionarnento nel mondo antico, come è av­
venuto per l'argento della monetazione greca arcaica.
I risultati delle analisi, anche se limitati alle componenti maggiori,
permettono una valutazione precisa delle scelte di politica economica
all'emissione. Il mondo antico . era tanto attento al <<titolo>> del me­
tallo (ossia alla qualità della lega) che la moneta (aurea) versata per il
paga111ento di tasse e diritti non veniva accettata in base al valore
nominale ma al contenuto in oro della pasta (Codice Teodosiano, leg­
gi del 366 e 367). Veniva quindi fusa e trasfor111 ata in lingotti di oro
purificato (fino al 99 % ) , contabilizzati con sistemi di contromarche,
utilizzati sia per la tesaurizzazione ufficiale (come riserve auree) sia
per la produzione di nuova moneta (ovviamente manipolata e con
titolo modificato) . Lingotti in argento di questo tipo sono stati trovati
nel tesoro di Augst in Svizzera, di poco successivo alla metà del IV
secolo d.C.

3. Aspetti giuridici

Il diritto di battere moneta divenne ben presto una delle preroga­


tive della sovranità, che lo poteva anche delegare. Contestualmente,
l'emissione di moneta divenne rivendicazione di sovranità e come
tale praticata anche senza giustificazione economica. Ciò spiega le
centinaia di zecche operanti nel mondo greco, talvolta in località di
così scarsa importanza da essere oggi note solo grazie alla moneta
emessa.
Il diritto a battere moneta non veniva comunque indebolito da
convenzioni, talvolta a significato più politico che economico, che
prevedevano la libera circolazione di tipi comuni emessi da realtà sta­
tali distinte, come in Grecia la lega Achea, Etolica, Epirota, ecc. Si
emetteva moneta anche in situazioni di sovranità limitata, come per
le realtà statali dipendenti dal re di Persia, o dai regni ellenistici, o
da Roma: si pensi per esempio alle emissioni coloniali o municipali
romano-repubblicane e poi greco-imperiali, ai cistofori emessi a Efe­
so, ecc. Il diritto di battere moneta veniva in questi casi mantenuto
(talvolta anche senza la menzione dell'autorità egemone o con feno­
meni di immobilizzazione dei tipi) , sicuramente regolato da qualche
forma di autorizzazione da parte dell'autorità centrale, con delega
alle autorità locali per controllare le modalità dell'emissione e con
LA NUMISMATICA 3 17

forme d'integrazione e complementarità rispetto alle emissioni cen­


trali da valutare di volta in volta.
L'interpretazione dell'emissione della moneta come una prerogati­
va della sovranità porta a una serie d'importanti conseguenze. Fonda­
mentale tra queste è la tendenza a operare in regime di tnonopolio,
con l'interdizione al privato di produrre moneta, escludendolo quindi
dai meccanismi speculativi che dall'emissione della moneta derivano.
La moneta non emessa dal principe o dallo stato, o non auto­
rizzata in qualche modo, è così moneta falsa, o contraffatta, indipen­
dentemente dal suo valore intrinseco, e la sua vendita o solamente il
suo possesso vengono repressi, in età classica (con la pena capitale
nel mondo romano: Codice Teodosiano IX, 2 1 , 1 , 5 ) così come oggi.
La percentuale di monete <<irregolari>> nei ripostigli e negli scavi, l'in­
sistenza sul problema nelle fonti antiche e l'evidente diffidenza del
mercato, che si traduceva in prove e tacche frequenti sulle monete,
indicano però come il fenomeno della falsificazione non sia mai stato
sotto controllo.
Il monopolio del principe o dello stato deter111ina conseguenze ri­
levanti nell'ambito delle tecniche di produzione e nelle scelte dei tipi;
ma soprattutto permette d'impostare una politica economica per il
cui controllo la moneta è strumento estrema111 ente pratico. Il mondo
antico non sembra però avere sviluppato una teorizzazione valida e
sistematica dei problemi di politica economica, anche se ne ricono­
sceva la necessità (Aristotele, Politica 1259a, afferma la necessità per
l'uomo di stato di conoscere le tecniche finanziarie e di manipolazio­
ne monetaria) . Comunque, l'assunzione della responsabilità della ga­
ranzia da parte di un'autorità individuava un servizio, di cui vennero
ben presto definiti i costi: il valore nominale attribuito alla moneta
appare così costantemente superiore al valore del metallo che contie­
ne. La differenza, calcolata con grande precisione (l'aggio) in peso di
metallo, veniva trattenuta dall'autorità emittente come corrispettivo
del costo sia della coniazione sia della garanzia. L'emissione della mo­
neta era quindi, indipendentemente dalle possibilità speculative di
cui si dirà avanti, un affare lucroso. Emettere monete significava in­
fatti vendere una merce a un valore superiore al suo costo di pro­
duzione.
Ma l'autorità emittente non si limitò a garantire il valore intrinse­
co della moneta. Fu naturale imporne, con l'imperio della legge, la
circolazione (che divenne coatta) e il consumo, definendone il valore
nominale (o facciale) e i rapporti di ca111bio, con l'obbligo per l'u­
tente di accettarla. Il meccanismo era possibile in mercati sotto con­
trollo, in te1111ini protezionistici; ma non lo era quando monete di­
verse circolavano in concorrenza tra di loro.
Casi di circolazione <<chiusa>> (in teoria con sola moneta locale)
sono attestati nel mondo greco, come ad Atene, che nel 420 a.C. im­
pose la circolazione della propria moneta nella Confederazione, e in
molti regni ellenistici (Egitto, Perga1110, il Ponto, ecc.). La circolazio­
ne forzosa era sempre conseguenza e premessa di una sopravvaluta-
3 18 LA NUMISMATICA

zione delle specie protette e implicava l'esistenza di strutture legali


per il ca111bio della valuta. .
Nel mondo greco la concorrenza era comunque assicurata quasi
sempre, quando si aveva un'organizzazione politica a scala cittadina o
anche, in certi casi, a respiro più ampio. I Seleucidi, ad esempio, at­
tuarono una politica di libera circolazione monetaria nei loro terri-
tori.

Una reale concorrenza non fu invece quasi mai possibile nel


mondo romano, che traduceva l'universalismo del proprio dominio
in te1n1ini di circolazione monopolistica della moneta, con fenomeni
degenerativi che non furono certo estranei alle crisi economiche ri­
correnti nella grande e fragile struttura dell'impero.
Il collocarsi al sicuro da controlli da parte dell'utenza (o il cre­
derlo) rendeva possibile operare in senso speculativo nelle emissioni:
ciò avveniva abbassando il peso e/o il contenuto metallico della mo­
neta (quindi il valore intrinseco), mantenendone d'autorità inalterato
il potere liberatorio (cioè il valore nominale). Si aveva così la tenden­
za alla circolazione fiduciaria, che trovia1110 in tutto il mondo antico
in ter111ini secondari per l'oro, significativi per l'argento e imponenti
per il rame.
La fiduciarietà nel mondo antico, al contrario di quella moderna,
appare legata sempre a forme di ignoranza delle leggi economiche e
dei meccanismi che regolano l'economia. Quasi sempre corrisponde­
va a tentativi di speculazione basati sulla speranza che l' abbassamen­
to del valore intrinseco della moneta passasse inavvertito o potesse
'

essere imposto con la forza. E questo il caso della frequente reimmis-


sione sul mercato, con valore nominale più alto, di specie monetarie
demonetizzate e riconiate o contromarcate, o dei provvedimenti che
modificavano d'autorità il valore nominale di specie in circolazione:
esemplare è il raddoppio del valore (da 12,5 a 25 denari) della mo­
neta contrassegnata con il Genio populi Romani imposto da Diocle-
z1ano.

L'attribuzione alla moneta di un potere <<liberatorio>> (ossia nomi­


nale), indipendente dal suo peso e valore, può derivare da una sua
valutazione come strumento simbolico o sacrale: ciò avvenne pure
nel mondo classico, anche se in termini sicura111ente marginali. Molti
pagamenti hanno infatti carattere consuetudinario, con motivazioni
di ordine religioso, o politico, o sociale, o comunque simbolico; e se
la moneta viene considerata valida per liberarsi da una qualche ob­
bligazione, non necessariamente ciò avviene in base a criteri quantita­
tivi. Il concetto di valore appare estraneo a molte di queste transazio­
ni, se non antagonistico, come per lo scambio di doni (anche alla
divinità: l'offerta) o di favori tra privati, con i contraenti impegnati a
superarsi reciprocamente.
• •

Ne deriva che vi è stata e vi è anche una componente non econo­


mica che presiede ai meccanismi di scambio, con significati che con­
tinuano ad agire anche nelle culture monetarie più evolute, interfe­
rendo con le leggi che governano la circolazione monetaria. Una cer-
LA NUMISMATJC,\ 3 19

ta valutazione del valore in termini proporzionali a quanto si ottiene


mediante la cessione del bene sembra comunque propria di certe for­
me di paga111ento abbastanza comuni nelle società primitive, note in
Occidente, in a111bito soprattutto ger111 anico. Così il Wergeld (<<gui­
drigildo>>) - risarcimento mediante versamento di beni, anche mone­
te, che evitava per convenzione tra le parti la soluzione delle vertenze
con la vendetta - originaria111 ente si pagava per la morte di una per­
sona, ma successivamente venne riferito a problemi di minore entità,
con la definizione di una gerarchia di valori che prepara una dimen-
s1one monetaria vera e propria.
• • •

Una immissione sul mercato di vol11111i di moneta eccessivi in rap­


porto al fabbisogno porta al fenomeno individuato generica111 ente
come inflazione monetaria, con giustificazioni ed esiti diversi. Di nor­
ma il processo veniva innescato dal tentativo speculativo di abbassare
il peso e/o il contenuto in metallo pregiato della moneta (quindi il
valore intrinseco) mantenendone inalterato il valore nominale, per
produrre un numero maggiore di monete con il medesimo investi­
mento. Ciò portava a un abbattimento del <<Valore>> della moneta sul
mercato, il quale si difendeva e la rifiutava. Se il valore nominale im­
posto non veniva efficacemente sostenuto, ne conseguiva una svaluta­
zione della moneta. Se il processo proseguiva a catena, con emissione
di moneta ancora più svilita e in quantitativi sempre maggiori, si
creava la tipica caduta geometrica dei valori intrinseci e nominali del­
la moneta inflazionata, con fenomeni di crisi monetaria di enorme
portata, come accadde nel III secolo d.C., quando si passò per il de­
nario, già precedentemente a peso calante (dai 3 ,4 gr. con Nerone ai
2 ,25 gr. nel 260 d.C. circa) , a contenuti in argento che dall'87 ,5 %
scesero al 4-6o/o . Anche il doppio denario (antoniniano) creato da
Caracalla (2 1 1 -2 17) subì l'erosione del proprio valore intrinseco e del
proprio peso sino alla crisi finale al tempo di Gallieno (253 -268) , che
trascinò anche le emissioni in rame e portò all'emissione di moneta
di qualità pessima. Solo con le riforme di Diocleziano e Costantino
essa sarebbe stata poi sostituita, nel contesto di un sistema completa-
mente rmnovato.

Va ricordato come lo svilimento della moneta possa anche non


innescare processi inflazionistici, quando il rapporto tra valore intrin­
seco e nominale viene nella sostanza mantenuto: è ad esempio il caso
dell' at1111ento del valore del metallo, caratteristico per il bronzo nelle
economie di guerra. Sempre, alla base di tutti questi fenomeni, vi
sono tentativi di speculazione o situazioni economiche di cui si è per­
so il controllo.
Vi sono inoltre casi di difficile o mancata distribuzione della mo­
neta, anche se svilita: si ha così penuria monetaria, oltre all'inflazio­
ne, con pesanti conseguenze per l'economia. Le autorità emittenti
avevano spesso difficoltà ad approvvigionare i mercati di moneta. Ciò
scatenava fenomeni di penuria monetaria nei grandi sistemi di merca­
to, soprattutto in periferia (come in età imperiale romana) . Essa po­
teva essere episodica e locale o riguardare solo alcune delle specie in
320 LA NUMISMATICA

circolazione, solita111ente la moneta divisionale, con costi di produzio­


ne e di trasporto sproporzionati rispetto al valore nominale. A ciò si
ovviava, prima della rinuncia all'uso stesso di quel tipo di moneta,
con una massa spesso imponente di moneta irregolare sussidiaria
(fusa, contraffatta, suberata, in piombo, con gettoni, tessere, ecc.),
oppure con una sistematica produzione di nominali inferiori median­
te fra111mentazione dei nominali maggiori. Il fenomeno, frequente nel
mondo greco e romano, non coinvolgeva solo il rame e sembra avere
quasi sempre avuto portata locale. La fra111mentazione non indeboli­
va il significato di garanzia del tipo impresso, anche se talvolta pare
riguardasse di preferenza monete che in qualche modo si aveva inte­
resse a rendere irriconoscibili. Fu il caso degli assi di Sesto Pompeo,
raffiguranti Giano con le fattezze del padre Pompeo Magno, o della
moneta neroniana in età flavia nell'Italia settentrionale. In questi casi
la fra111mentazione poteva essere il mezzo più semplice per riutilizza­
re specie monetarie sgradite.
La pratica fu frequente nella tarda repubblica romana, con la
produzione di asses dimezzati (quindi semisses), ma anche nel corso
del I secolo con la circolazione episodica di dupondi o assi frammen­
tati al peso probabilmente dei quadrantes. Infine si frammentò la pe­
cunia maiorina, demonetizzata in età teodosiana, per produrre unità
corrispondenti al nummus, evidentemente per crisi nell'approvvigio­
namento.

4. Zecche

Le zecche, spesso collegate a templi (ad Atene al Tesézon, a Roma


a quello di Giunone Moneta), avevano una organizzazione interna
tanto più complessa quanto maggiori erano i vol11111i di emissione.
Abbiamo poche info1111 azioni circa alcuni aspetti a111ministrativi del
loro funzionamento. Erano certamente indicati alla zecca peso, titolo,
disegno, nominale, valore legale, vol111ni e ritmi di emissione delle
monete, così come le scadenze da rispettare, i prezzi d'acquisto del
metallo, le percentuali di profitto, i costi per il personale, le sanzioni
per le inadempienze, ecc.
Le emissioni venivano effettuate in zecche centrali (così nella città
di Roma per lungo tempo, per l'oro e in parte per l'argento), o erano
decentrate in altre zecche (come con le emissioni imperiali romane di
(Lugdunum!Lione), o organizzate in zecche distribuite sul territorio,
come avvenne con la rifor111a di Aureliano. In situazioni specifiche si
ebbero zecche itineranti, che seguivano gli sposta111enti della corte e
degli eserciti. Ma vi furono anche altre soluzioni, come in Asia Mino­
re in età romano-imperiale, con zecche attive per città diverse.
Conoscia1110 abbastanza bene, grazie ad alcune iscrizioni (la più
completa è quella del Celio: CIL VI, 1641), la struttura della zecca di
Roma, con precisa separazione di compiti amministrativi e tecnici e
con una rigida attribuzione di responsabilità.
LA NUMISMATICA 321

In ambito a111ministrativo si avevano l' optio et exactor (tesoriere e


sovrintendente), il nummularius (addetto ai cambi) , l'optio (responsa­
bile dell'ufficio) , l'o/ficinator (impiegato). In officina si avevano un al­
tro optio et exactor, il flaturarius (fonditore) , il probator o aequator
(addetto a saggiare il metallo) , il malliator (martellatore) , il suppostor
(operaio che collaborava alla battitura) , il praepositus mediastinorum
(capo operaio), il mediastinus (operaio generico) . Si aveva poi lo scal­
ptor (incisore dei conii) e il signator (monetiere) (dati tratti da Mor­
risson, 1992).
La conoscenza delle tecniche e dei metodi di fabbricazione della
moneta per il mondo classico è soprattutto ottenibile grazie all'esame
dei materiali, con rare eccezioni figurative o letterarie (al contrario
che per il mondo medievale e moderno) .
Settorialmente diffusa nel mondo antico per la produzione della
moneta è la tecnica della fusione, che coesiste con la coniazione e
che appare obbligata per mçinete di dimensioni e peso tali da render­
ne impossibile la battitura. E tipica della moneta etrusca, italica e ro­
mana primitiva (aes grave), che sostituì (o affiancò) la primitiva circo­
lazione di pezzi di ra111e informe (aes rude) .
Si utilizzavano matrici bivalvi, in materiale refrattario (solita111ente
terracotta) con incisi o più spesso impressi i tipi, in negativo, in serie,
da modelli o da esemplari precedenti, e con un canale centrale di
adduzione del metallo, dal quale si dipartivano lateralmente canalico­
li secondari. Ne derivavano monete fuse, collegate tra di loro in ca­
ratteristico alberello, dal quale i singoli esemplari venivano separati
con una trancia. Sulla moneta rimaneva sempre traccia del canalicolo
con un breve codolo. La moneta fusa appare adatta a forme di circo­
lazione con sostanziale coincidenza tra valore intrinseco e valore no­
minale, cioè a peso. La si può quindi considerare più un lingotto che
una moneta vera e propria, con una circolazione anche a frammenti.
La caduta ponderale dei nominali (si passa, in area romana, da un
peso librale dell'asse a un peso trientale) potrebbe essere in parte le­
gata più all'evoluzione nel valore del metallo che a tentativi di specu­
lazione da parte dell'autorità emittente.
Monete fuse sono comunque presenti anche con funzione sussi­
diaria in situazioni nelle quali le emissioni regolari avevano difficoltà
a raggiungere il mercato. Così nell'Egitto romano nel IV secolo d.C.
o lungo il limes danubiano nel III secolo d.C. (con sesterzi, molto
frequenti). Spesso disponiamo delle matrici fittili di monete autenti­
che usate per la loro produzione. Esse possono connotare quindi for­
me di emergenza (monetaria) e di marasma nella circolazione. La fu­
sione fu in ogni caso la tecnica più diffusa per la produzione dei ton­
delli utilizzati nella coniazione.
Prendendo spunto dagli aspetti giuridici, va sottolineato conie il
sistema più generalizzato di produzione della moneta, la coniazione,
sia il mezzo ideale per documentare sulla moneta la garanzia dell' e­
mittente, con analogie rispetto all'uso dell'anello sigillare. Ambedue,
conio e anello, sono produttori di multipli, cioè monete o documenti
322 LA NUMISMATICA

con valore legale. L'autenticità e quindi la legalità della moneta deri­


va dall'autenticità del conio, così come quella del documento dall' au­
tenticità del sigillo con il quale è segnato. L'utilizzo del conio per la
fabbricazione di un numero molto alto di singole monete per111etteva
la legalizzazione di un'intera <<emissione>> di monete, tutte riconosci­
bili come autentiche nel momento in cui era riconoscibile l'impronta
del conio-sigillo. Teoricamente il tondello non coniato non poteva
circolare.
Dalle profonde analogie tra anello-sigillo e conio derivano conse­
guenze in a111bito sia tipologico sia giuridico e pratico, per la custo­
dia, la non moltiplicazione, la distruzione dei conii una volta esaurita
la loro funzione (oggi quindi eccezionalmente rari). I pochi esemplari
noti sono falsificazioni moderne o appartennero a officine di falsari
antichi.
La <<battitura>>, per la quale si ebbe un reale progresso tecnologi­
co solo in età recente, avveniva collocando il tondello (o un globulo) ,
tenuto fer1110 talvolta con le pinze, tra il conio inferiore (di incudine)
e il conio superiore (di martello) tenuto con la mano sinistra, sul
quale veniva sferrato un forte colpo, con un martello o una mazza
branditi dalla mano destra. Sui conii erano incisi in negativo i tipi da
imprimere sulla moneta. Il tondello poteva essere freddo (e quindi
più duro) o riscaldato (più tenero, ma difficile da maneggiare). Sem­
bra che nel mondo classico fosse più comune la coniazione a caldo.
Il sistema poteva evolversi bloccando i conii nelle ganasce di una
'

tenaglia per la battitura. E il sistema tipico del mondo romano. Se i


conii erano in qualche modo tenuti fermi, le monete avevano il recto
(DI faccia superiore) in una posizione costante rispetto al verso (R!
faccia inferiore), con gli assi verticali in un rapporto tra di loro che è
utile evidenziare in sede di analisi con vari espedienti: la posizione
dei conii o la mancanza di una nor111 a sono infatti indicative delle
scelte tecniche delle zecche e possono avere significato per affrontare
problemi di classificazione e di cronologia.
Il prodotto era discontinuo. Ogni moneta era diversa dalle altre,
e come tale deve quindi essere singolarmente considerata, per il peso,
per la forma del tondello e per la resa dei tipi, con irregolarità, fessu­
razioni, rigonfia111enti, scivolature di conio, che appaiono talvolta cal­
colati per dare una deter111inata immagine della moneta. Così in alcu­
ne emissioni greche (specie quelle ottenute da battitura di globuli) o
nei medaglioni romani.
Talvolta il colpo di martello veniva ripetuto su di un tondello che
si era spostato, con una <<doppia battitura>> o <<scivolatura di conio>>.
Ciò non ne impediva la legale circolazione. Talvolta la moneta, dopo
la battitura, non si staccava dal conio di martello, trasforn1andosi in
conio (in positivo) per il tondello successivo. La moneta prodotta,
pure legale, aveva il medesimo tipo sul DI in positivo e sul R/ in
negativo (incuso).
In origine era il conio di incudine a imprimere l'unico tipo: il
conio di martello serviva a spingervi contro a forza il tondello (o me-
LA NUMISMATICA 323

glio un elemento globoidale di metallo), mediante un punzone o un


gruppo di quattro punzoni serrati insieme, che producevano il qua­
drato incuso delle monete arcaiche greche e degli Achemenidi in
Persia. Il R/, in esse, aveva quindi caratteri geometrici all'inizio molto
semplici, che via via andarono facendosi più complessi.
In area magnogreca la tecnica si sviluppò in modo che il R/ della
moneta (dal conio di martello) fosse la riproduzione in negativo del­
l'altro tipo (sul D/) , in positivo. Tali <<monete incuse>>, del VI secolo
a.C. , richiedevano grande precisione nell'allinea111ento dei due conii,
forse incardinati insieme per far corrispondere le cavità di un conio
al rilievo dell'altro.
Non sono rari i casi di utilizzo di monete precedenti, delle quali
si effettuavano riconiazioni, talvolta senza cancellare del tutto i tipi
primitivi. Si tratta quasi sempre d'iniziative che indicano una situa­
zione in qualche modo di emergenza. Il riconoscimento dei tipi origi­
nari delle monete <<riconiate>> spesso permette ipotesi importanti per
la cronologia relativa dei tipi, o circa i meccanismi di demonetizza­
zione delle specie che vengono riutilizzate per le nuove emissioni
come semplici tondelli.
Uno dei momenti di difficoltà nel processo produttivo era quello
della preparazione dei conii, in metallo molto duro (più di quello da
coniare) e non troppo fragili. Erano solitamente in bronzo (anche
cerchiati in ferro) , talvolta in ferro temperato. Le difficoltà si ingi­
gantivano con l'a11111ento del dia111etro dei tondelli da battere, che
portava non solo alla necessità di una pluralità di colpi nella battitura
(peggiorando la resa dei tipi) ma anche a un veloce deterioramento
dei conii di grandi dimensioni: cosa particolarmente sensibile con il
bronzo, più duro dell'oro e dell'argento, e con monete di diametro
maggiore.

Il conio superiore, di martello - talvolta definito con il nome di


punzone -, ebbe nel Medioevo e probabilmente anche nell'Antichità,
l'aspetto di una barra di lunghezza variabile, con un diametro di
poco superiore a quello della moneta da battere. Sul lato inferiore
era inciso il tipo, mentre quello superiore era destinato a ricevere i
colpi e quindi si appiattiva e incrinava.
Il conio inferiore, di incudine, aveva minori dimensioni e forma
più complessa, adatta a includerlo in un blocco di legno senza che vi
finisse conficcato. Poteva avere sezione quadrangolare.
Nelle zecche romano-imperiali i conii, piccoli e conici, erano in­
seriti in un elemento metallico di maggiori dimensioni, che serviva ad
assorbire e a distribuire i colpi della battitura e che poteva essere
sost1tu1to.
• •

I conii venivano incisi da personale specializzato, a occhio nudo,


trasferendo a bulino i modelli sul metallo , in negativo. Forse già nella
tarda antichità si utilizzarono, per la preparazione dei conii, punzoni
in positivo con settori del tipo (la leggenda o singole lettere; partico­
lari della figurazione, ecc.). La tecnica venne più frequentemente pra­
ticata più tardi.
324 LA NUMISMATICA

Il costo dei conii e la difficoltà nella loro preparazione ne giu­


stificavano l'utilizzo anche quando erano danneggiati, con produzio­
ne di monete sempre meno leggibili. In alcuni ambienti, come presso
i Celti orientali, venivano rilavorati i conii <<stanchi>> per prolungarne
la vita e l'utilizzo. Rilavorando e reincidendo il conio si cancellavano
o si aggiungevano spesso elementi nuovi, per gli scopi più vari.
Particolari difficoltà venivano affrontate dalle zecche antiche, in
possesso di una tecnologia metallurgica abbastanza modesta, per la
preparazione della lega da cui venivano ottenuti i tondelli.
Si dovevano saggiare i lingotti di metallo, ottenuti fondendo altre
monete ritirate o minerale di miniera, eventualmente depurarli, per
fonderli insieme in proporzioni che rispettassero percentuali fisse
(l '<<eutéttico>>), per una unifo1111e distribuzione dei metalli nel prodot­
to finale. Se le proporzioni non erano rispettate il prodotto aveva
composizione disomogenea e doveva essere ridosato e rifuso. Ne de­
rivava l'irregolarità nella composizione delle monete (ad esempio tar­
doromane), cosa che rende inaffidabili le analisi.
I tondelli venivano solitamente prodotti a fusione in matrici bi­
valvi, singolarmente o più spesso a gruppi, come per l'Aes grave re­
pubblicano. Talvolta i tondelli venivano prodotti singolar111ente ver­
sando il metallo in cavità su lastre in materiale refrattario, o taglian­
do con cesoie o tranciando il metallo in lamina o in barre allungate.
In questo caso i tondelli, molto irregolari e spigolosi, serrati con pin­
ze, erano lavorati a caldo con il martello, regolarizzandone i bordi
(ad esempio nell'Italia settentrionale celtica) .
Tecnologie più sofisticate venivano usate per la preparazione dei
tondelli di classi speciali (come i medaglioni bimetallici romani impe­
riali, con una parte centrale in metallo diverso dal resto del pezzo), o
in alcuni procedimenti per contraffare la moneta soprattutto d' argen­
to (ma anche d'oro). Uno di questi era la suberatura, cioè la prepara­
zione - quasi sicuramente nelle zecche ufficiali - di monete in me­
tallo vile ricoperto da una la111ina in argento (o in oro) . L'operazione
di rivestimento, che sembra avvenisse prima della battitura e le cui
modalità vengono tuttora discusse, non doveva essere tanto costosa
da pregiudicare l'economicità di questa pratica, che troviamo sia in
età greca, sia in età romana e nel tardo impero. Il consumatore si
difendeva in modo empirico, con incisioni sulla superficie per solle­
vare la lamina, o con tacche sull'orlo per raggiungere il nucleo inter­
no. La produzione dei <<denari serrati>> romano-repubblicani, con
l'orlo dentellato, sembrerebbe proporre monete sicura111ente non su­
berate. In realtà si hanno anche denari serrati suberati.
Dato che il conio esaurito o spezzato veniva sostituito, ciascun
conio, di incudine come di martello, poteva lavorare (<<in coppia>>)
con più di un altro conio. Verificando sistematica111ente una <<popola­
zione>> di monete è possibile quindi riconoscere la sequenza (che vie­
ne orientata seguendo l'usura progressiva o le fratture dei conii) se­
condo la quale i conii sono stati utilizzati. In officine a produzione
ridotta o a basso livello di tecnologia, soltanto con una coppia di co-
LA :\ L \llS\l .-\TJ1 .-\ 325

nii in uso, si può talvolta ricostruire il processo produttivo nella sua


completezza.
Se l'officina aveva in funzione contemporaneamente più di una
coppia di conii (e più di una linea di battitura) o aveva un archivio
di conii dal quale, all'inizio di ogni fase di produzione, si recuperava­
no (a caso o secondo criteri che ci sfuggono) i conii per formare le
coppie, la ricerca si complica, ma per111ette comunque di ricostruire
dati preziosi sia circa la cronologia relativa dei materiali sia circa l' or­
ganizzazione della zecca e del suo lavoro. Nella pratica si attribuisce
a ciascun conio riconosciuto, nello studio della totalità di un riposti­
glio o di una emissione, una lettera o un numero identificanti, in
modo da poter esprimere anche graficamente ogni combinazione tra i
conii, distinguendo la sequenza dei conii di incudine da quella di
martello.
La ricostruzione delle sequenze dei conii - inaugurata nel XIX
secolo da F. Imhoof-Blumer per la monetazione di Alessandro, e poi
da E. Boehringer per Siracusa - viene oggi proposta per quasi tutte
le emissioni, e in alcuni casi si è ora111 ai passati dalla registrazione
degli esemplari noti a quella dei conii noti.
Meno sicura appare la valutazione quantitativa del volume delle
emissioni, con il calcolo del n11111ero delle monete battute con ogni
conio. Abbia111 0 solo dati indicativi, da usare con grande cautela. Le
fonti doc11111entarie non numismatiche sono rare: per la monetazione
amfizionica di Delfi intorno al 330 a.C. , di cui sono noti i vol11111i di
emissione, si calcolano, in base agli stateri conservati, 7 /9 conii di
DI, con circa 23.000 monete per conio. Si sa da fonti medievali che
nell'Inghilterra del XIII secolo un conio di D/ produceva 3 0/35.000
pezzi e uno di RI 15 .000. Il metodo sperimentale dà indicazioni più
ridotte per monete di tipo greco in bronzo, rispettivamente (D/ e R/)
16.000 e 8.000 pezzi.
La vita e la produttività di un conio (in ter111ini di produzione e
non temporali) erano una variabile di difficile valutazione, dipenden­
te dalla scelta di utilizzare più o meno a lungo un conio, dalla sua
resistenza (quindi dalla tecnica di fabbricazione) , dalla battitura a
caldo o a freddo, dalla natura del metallo (duro o tenero), dal rilievo
più o meno accentuato e dalle dimensioni della moneta. Una moneta
a tondello largo, coniata con maggiore energia, aveva un più veloce
deteriora111 ento dei conii e vita più breve, producendo meno monete
rispetto a una di modulo ridotto.
Le ricostruzioni dei vol11111i di produzione, pur fonda111entali per
l'analisi dei fenomeni storico-economici, rimangono quindi molto
ipotetiche. Analisi comparative tra emissioni diverse sono legittime
solo quando le monete siano omogenee sia nel metallo sia nelle di­
mensioni, se non nella tecnica di battitura utilizzata. Una valutazione,
talvolta imprudentemente proposta, in base al n11111ero dei pezzi o
dei conii a noi noti è ancora più insicura. Comunque si presume che
il volume delle emissioni venisse calcolato tenendo conto della legge
che vuole il fabbisogno di moneta su un mercato in te1111ini inversa-
326 LA NUMISMATICA

mente proporzionali alla velocità di circolazione. Cioè, contrariamen­


te a quanto istintivamente si crede, le emissioni in metallo vile (di
uso quotidiano e a veloce circolazione) avvenivano con volumi (rela­
tiva111ente) contenuti, mentre quelle soprattutto di oro (che usciva di
circolazione per la tesaurizzazione o per la continua rifusione), erano
realizzate in quantitativi talvolta molto consistenti.
In qualche caso, con possibilità di datazione e di calcolo dei volu­
mi precisi, si può giungere a ipotesi circa i ritmi delle emissioni, che
rispondevano a criteri di periodicità legati a fattori diversi, dalla sta­
gionalità delle campagne militari in età greca, ai meccanismi di esa­
zione :fiscale in età tardoromana, agli aspetti contabili interni delle
zecche (come forse per i cicli quinquennali - i lustri di età bizan­
-

tina) .
Comunque, il potenziamento delle emissioni sul lungo periodo
poteva dipendere da manovre monetarie programmate, o da accre­
sciute disponibilità di metallo (come per Atene con l'argento del
Laurion), o da bottini, o da necessità militari straordinarie, come du­
rante le guerre civili della tarda repubblica romana.
La riduzione delle emissioni può pure dipendere da manovre
programmate, come da fenomeni di crisi: collassi militari o economi­
ci, esportazione del metallo, esaurimento delle miniere, tesaurizzazio­
ne, uso non monetario prioritario di determinati metalli in situazioni
di emergenza. Le necessità militari durante la guerra annibalica pos­
sono aver fatto lievitare il prezzo del ra111e, influendo sulla caduta del
peso dell'asse (in rame, appunto).
L'immissione sul mercato avveniva seguendo diversi canali: sem­
pre molto importante fu l'utilizzo della nuova moneta per la paga dei
dipendenti dello stato e per servizi o merci forniti allo stato. Caratte­
ristico fu il pagamento dei mercenari, che spesso diede luogo a note­
voli spostamenti della moneta nello spazio, viaggiando di conserva
con i suoi fruitori.
Si interveniva sulla circolazione anche ritirando monete proprie o
altrui e reimmettendole sul mercato con contromarche, solitamente
impresse con punzoni, o più raramente realizzate a incisione. Il pun­
zone, con la valenza legale di un nuovo conio, apponeva tipi molto
vari, :figurati e/o epigrafici, di piccole dimensioni, in rapporto talvolta
di complementarietà con i tipi della moneta contromarcata. La con­
tromarca modificava il nominale (con segni di valore) , o definiva a111-
biti di circolazione limitata, o dava corso legale a monete estere o per
qualche ragione demonetizzate, o modificava l'autorità emittente. Tal­
volta appare come fatto privato: si trattava allora di marchi di con­
trollo, o indicazioni di proprietà, o tracce di operazioni contabili.

5. Tipi, leggende e simboli accessori

Si suole tradizionalmente descrivere la moneta distinguendo tre


aspetti: il tipo, la leggenda e i simboli accessori. Anche se i confini
LA NUMISMATICA 327

tra le tre categorie sono labili e non sempre esse compaiono sulla
moneta, sarà utile ordinare il discorso su questo schema.
Uno dei caratteri individuanti la moneta metallica occidentale è il
tipo, letteralmente <<l'impronta>> sulla moneta, al D/ e al R/ o su una
sola delle facce, come in parte della monetazione etrusca. Il tipo ap­
pare, nel tempo, variabile come forma e significato; fu comunque
sempre finalizzato a una comunicazione all'utente.
Certamente anche la forma della moneta appare pertinente al
concetto di tipo, quando assume (rara111ente) caratteri diversi da
quelli usuali a tondello circolare. Tra i tipi non usuali, le monete a
forma di chela di granchio di Akragas/Agrigento; o quelle a silhouet­
te di pesce di Olbia, o i doni votivi monetari a gamba di cinghiale di
Areiate/Arles (I secolo a.C.).
Sin dall'inizio il tipo è inserito in un sistema di comunicazione
d'informazioni: nella monetazione delle origini il numero e la forma
dei punzoni indicavano la denominazione e il sistema ponderale cui
si adeguava la moneta (informazioni fondamentali per la valutazione
del valore e per eventuali meccanismi di cambio) . Più tardi la comu­
nicazione di questi dati scomparve o divenne caratteristica di am­
bienti determinati, il sistema essendosi assestato su denominazioni e
valori ponderali universalmente noti.
Superata la fase dell'utilizzo solo di punzoni, vennero proposti,
sull'altra faccia della moneta, tipi in rilievo. Questi furono caratteri­
stici per ogni comunità e presupponevano la loro riconoscibilità,
come veri e propri stemmi, da parte dell'utenza. Forse, all'inizio, cor­
risposero proprio all'impronta sigillare di chi garantiva l'autenticità
della moneta. Essi potevano quindi fare a meno di legenda, come gli
stemmi e i sigilli.
I tipi tendono infine a immobilizzarsi in formulazioni precise ed
essenziali, con uno stretto rapporto, nel mondo greco, con il com­
plesso delle tradizioni cultuali (divinità e miti) di ogni comunità, sia
urbica sia territoriale. La moneta diviene il luogo ideale per immagini
emblematiche in rapporto quasi totemico con la comunità, spesso
portatrici anche di un lega111e etimologico con il suo nome (i <<tipi
parlanti>>: la foca per Focea, la rosa per Rodi, il leone per Leontini,
la tavola trdpeza a Trapezunte, ecc.).
- -

Si ha un cervo sullo statere in elettro (due esemplari noti) con la


leggenda fdnos emì sima (<<sono il segno di Fanes>>), che è la prima
segnalazione dell'emittente su una moneta, non sappiamo se un pri­
vato o un detentore di qualche potere pubblico.
Talvolta la città greca proponeva l'immagine dei prodotti sui qua­
li basava la propria prosperità e notorietà: Metaponto la spiga, Cizico
o Cadice il tonno, Cirene il silfio, Naxos il grappolo d'uva (o il Sile­
no ebbro).
Ben presto venne proposta l'immagine della divinità, anche in
termini simbolici mediante i suoi attributi o accennando al mito o a
leggende locali. Frequentemente la proposta dell'immagine della divi­
nità sul DI era accompagnata da un R/ complementare con un attri-
328 LA NUMISMATICA

buto o un riferimento al mito. Atene aveva Athena e la sua civetta;


·olimpia l'aquila di Zeus; Pegaso ricordava come fosse stato adottato
da Bellerofonte proprio a Corinto; la vacca di Bisanzio ricordava la
meta111orfosi di Io sui bordi dell'Ellesponto. In certi casi si aveva l' e­
roe eponimo: così Taras sul delfino (che lo aveva tratto in salvo) per
Taranto. O la divinità, pure eponima: Posidone per Posidonia, Eracle
per Eraclea, ecc. Oppure si hanno Ninfe o personificazioni (vedi ol­
tre) .
La moltiplicazione delle zecche nel mondo greco portò all' adozio­
ne d'inn11111erevoli tipi con immagini di divinità, ciascuna proposta,
nei miti relativi e negli attributi, nell'accezione locale. Nella moneta­
zione greca è così presente, in tutta la, sua complessità, gran parte del
pantheon ellenico: ciascun gruppo appariva autonomo con la propria
(o le proprie) divinità, solo genericamente e talvolta imprecisa111ente
assimilabili a concetti generali del divino, spesso rapportandosi a so­
strati culturali debolmente percepibili in altra documentazione (come
per i tipi di Caulonia o per la monetazione coloniale greca di età
romana, in cui le immagini - che riproducono anche opere di statua­
ria ed edifici - si riferivano a culti talvolta sconosciuti).
Come si è visto, DI e R/ della moneta tendevano a organizzarsi
in una narrazione, a essere complementari, o a mettere in rapporto
aspetti essenziali dei miti della comunità (come la testa di Aretusa sul
R/ e la Quadriga sul DI della moneta siracusana) .
La mitologia era quindi onnipresente nei tipi monetari: anche gli
aspetti commemorativi erano assimilati a figure o fatti del mito. Così
la lotta di Eracle col leone di Nemea simboleggiava a Siracusa nel
400 a.C. la lotta contro Cartagine. In alcuni casi ci si riferiva alla di­
vinità con tipi definibili come <<agonistici>>, cioè relativi ai giochi isti­
tuiti per celebrarne il culto.
Anche a Roma, su di un piano diverso, la commemorazione di
fatti pubblici o privati venne sviluppata con immagini dei miti della
comunità. Così le vicende delle gentes nel II-I secolo a.C. e tutte le
occasioni ricordate nella monetazione imperiale.
Simile fu la logica inerente all'adozione sistematica, certo conge­
niale soprattutto al mondo ellenistico asiatico e al mondo romano,
delle personificazioni, sia di realtà fisiche sia di concetti astratti. Nel
mondo greco arcaico e classico la personificazione riguarda soprattut­
to concetti topografici, ai quali si tende a dare consistenza di mito.
Molto frequenti erano le personificazioni di fiumi (figura giovanile
cornuta) , o di fonti, spesso con il nome nella leggenda (forse per fa­
vorire un non sempre ovvio riconoscimento), come l'Aisdros a Croto­
ne, l'Aménanos a Catania, l'Hipparis di Camarina, la stessa Arethusa
a Siracusa, ecc., che spesso ci forniscono informazioni per altra via
ignote.

Più tardi il procedimento attribuisce immagine umana alla perso­


nificazione della città, la quale diviene simbolo dello stato sulla mo­
neta, come Roma elmata sul denario argenteo repubblicano. Infine,
tutta l'ideologia ufficiale dello stato venne proposta in una sequenza
LA NUMISMATICA 329

di personificazioni, alle quali furono assimilate molte divinità (come


Ercole o Marte) o figure del mito. In età imperiale romana l'immagi­
ne dell'imperatore viene costruita presso l'opinione pubblica appunto
tramite questa sequenza di personificazioni e divinità sui R/ (talvolta
in dialogo diretto con lui). Verso la fine del medio impero le propo­
ste celebrative e commemorative vere e proprie vennero progressiva­
mente accantonate, incorporando sempre più nella figura dell'impe­
ratore le categorie morali (e relative personificazioni) necessarie per il
buon governo, fino a una confusione di piani completa, nella quale
gli aspetti specifici della persona vennero proposti come essenziali
per lo stato: dal genius alla virtus dell'imperatore, alla clementia, alla
salus, alla /ecunditas dell'imperatrice, ecc. Si trattò di concetti in pe­
renne evoluzione, da interpretare all'interno della politica imperiale
in ciascuna sua fase e come elementi di un discorso complessivo, che
prende for111a anche attraverso altre manifestazioni della comunica­
zione organizzata dal potere: dalla diffusione di immagini ufficiali in
qualsiasi materiale, ai testi epigrafici, ai collegi cultuali, alle cerimo­
nie, alla produzione storiografica, ecc. , altrettanti canali per l' orga­
nizzazione del consenso, almeno fino a quando esso venne considera-
to necessario.

Con la crisi del III secolo e con l'età tetrarchica il sistema di per­
sonificazioni e di simboli cedette, per le modifiche non tanto dell' or­
ganizzazione dello stato quanto del rapporto tra potere e cittadino.
L'interesse si spostò su alcune - poche - divinità, messe in stretto,
personale rapporto con i detentori del potere o significative per i
gruppi influenti ai quali ci si rivolgeva.
Esemplare è la monetazione di Costantino, figura cardine nella
definizione dell'ideologia dell'impero nel IV-V secolo: prima con
Marte o Ercole, poi, dopo la visione con la promessa della vittoria
(nel 3 10), con tipi con il Sol Invictus, per sollecitare il lealismo specie
delle truppe. Infine, dal 3 15 su un multiplo di Ticinum!Pavia, e poi
regolarmente a partire dal 3 17-3 18, con il chrism6n cristiano. Le scel­
te, di natura squisita111ente politica e mai personale, appaiono di tale
lucidità e stabilità da non poter essere casuali: ne è prova la notizia
di Eusebio (Vita Constantini 4, 15) sull'imperatore che sceglieva per­
sonalmente i soggetti delle emissioni.
Successiva111ente (IV-V secolo) l'interesse si spostò sempre più
sulle persone stesse degli imperatori, proposti a1111ati o impegnati in
azioni emblematiche e simboliche (specie a carattere militare).
Della simbologia precedente resistette, come presupposto neces­
sario per la sopravvivenza dello stato (connotato soprattutto militar­
mente) , solo la Vittoria (o le Vittorie). I simboli nuovi sono rarissimi:
la fenice e, con estrema parsimonia, quelli religiosi come il chrism6n,
quasi sempre su labaro o nel campo e poche volte a occupare l'inte­
ro tipo. Si rispettava così la complessità della situazione religiosa nel­
l'impero del IV secolo d.C., nel quale l'interdizione ufficiale del pa­
ganesimo prese il via solo dal 392 d.C. In questa fase le categorie
astratte resistono solo nelle leggende con virtus, spes, renovatio, ecc.
330 LA NUMISMATICA

La penetrazione nella società romana del messaggio della moneta


dovette essere discontinua. A parte la difficoltà di comprensione di
tipi epigrafici da parte dei fruitori illetterati e la velocità eccessiva de­
gli accadimenti che si riflettevano sulle monete, vi è da dubitare che
concetti difficili presenti in tipi monetali complessi (per esempio nel
primo e medio impero) o in sequenze di tipi collegati in un discorso
(come le emissioni adrianee con le province), venissero colti da molti
nella loro ricchezza di significati. Si hanno infatti indizi consistenti
del disinteresse dell'utente, quali il persistere nella circolazione di
emissioni d'imperatori che avevano subito la damnatio memoriae
(come Nerone, o Domiziano, o altri) e che continuavano tuttavia a
diffondere il loro messaggio.
Il sistema dei tipi, soprattutto nel II secolo, più che proporre una
dimensione programmatica mirò a definire l'immagine dinastica e a
formare il consenso intorno alla famiglia imperiale. Particolare atten­
zione era rivolta a vicende come matrimoni, nascite, adozioni, succes­
sioni, cerimonie di divinizzazione dei defunti. Di norma le scelte di
tipi e legende si legano indissolubilmente alle scelte istituzionali, sot­
tolineando soprattutto il concetto di continuità, con forte rilevanza
ideologica. L'oculatezza nella scelta dei tipi indica la coscienza della
fragilità dei presupposti giuridici del potere e la difficoltà a realizzare
nei fatti una politica dinastica familiare mediante il complesso siste­
ma delle adozioni e della colleganza.
La moneta veniva così utilizzata sistematicamente per informare
su aspetto fisico, carriera, attività militare (indispensabile per accede­
re all'impero) di quanti erano destinati alla successione o a una colle­
ganza con il principe che ne era premessa. Il sistema delle emissioni,
con l'insistenza sulle Auguste o sulle mogli dei Cesari, rassicurava l'o­
pinione pubblica circa la solidità della famiglia imperiale, proposta
come para111 etro di valori morali e religiosi di validità universale. La
divinizzazione dell'imperatore morto, presentata in tipi convenzionali
(la pira, l'aquila che solleva in volo il defunto, la colonna, ecc.), si­
gnificava l'inserimento della famiglia regnante nel pantheon dello sta­
to ed era quindi ulteriore momento di legittimazione.
In questo meccanismo di formazione del consenso hanno larga
parte - tanto da far pensare sempre a un sistema di trasmissione del­
le informazioni coscientemente programmato e utilizzato - i tipi
commemorativi di fatti politici o militari del passato o contempora­
nei, e di grandi realizzazioni o iniziative. Ciò era affiorato solo episo­
dica111 ente nella moneta greca o ellenistica, con allusioni o attributi
simbolici (la spoglia dell'elefante sulla testa di Alessandro - che allu­
deva alla conquista dell'India - nella moneta di Tolomeo I); a Roma
fu invece proposto, a partire dalla tarda repubblica, in termini di tra­
sparente simbologia. La moneta divenne il supporto di un complesso
sistema di messaggi legati agli sviluppi della vita politica. I magistrati,
tutti collegati a gruppi familiari attivi politicamente, proponevano per
il R/ (meno spesso per il D/) tipi specifici, anche narrativi, comme-
LA NUMISMATICA 33 1

moranti fatti significativi compiuti nel passato da rappresentanti della


propria gens.

La funzione delle scelte era propagandistica, per condizionare l' o­


pinione pubblica contemporanea, a uso interno. Nei tipi vennero fo­
calizzate situazioni di sempre maggiore attualità, con riferimenti pre­
cisi alle personalità che si contendevano il potere, fino a proporne i
fatti salienti (il trionfo di Silla, le vittorie di Pompeo, ecc.), appro­
dando alla totale personalizzazione. Cesare, passato il Rubicone nel
49 a.C., non solo esaltò la Venus victrix dalla quale affermava di di­
scendere, ma propose il proprio ritratto.
Fu probabilmente negli anni delle guerre civili, dalla morte di
Cesare alla battaglia di Azio (44-3 1 a.C.), che con maggiore chiarezza
la moneta, destinata in gran parte alle masse di militari il cui lealismo
si sollecitava, venne più scopertamente utilizzata a fini propagandi­
stici, con tipi e leggende espliciti. A ciò erano finalizzati i denarii di
Bruto riferentisi alle idi di marzo, da interpretare nella convulsa si­
tuazione politica della tarda repubblica; e nessun'altra fonte storica
appare completa quanto la moneta per comprendere le posizioni
ideologiche dei contendenti o il meccanismo di legittimazione attiva­
to da Ottaviano con un repertorio di tipi e d'immagini che fu alla
base di gran parte delle scelte monetarie del primo impero.
Analogo compito di diffusione di messaggi ideologici venne affi­
dato alla moneta durante le guerre dopo la morte di Nerone, con
una sequenza di tipi che integrano l'informazione storiografica con­
temporanea, lacunosa e manipolata.
Finalizzati ad assicurare il lealismo sono i tipi con la celebrazione
di campagne militari vittoriose, con canoniche immagini simboliche
(la Vittoria che scrive sullo scudo, la personificazione della nazione
vinta, ecc.). Dal III secolo d.C. l'interesse si sposta decisa111ente sui
problemi dell'esercito, con tipi specifici e riferimenti espliciti sia a
corpi militari, sia all'istituzione nel suo complesso. Il rapporto privi­
legiato tra il potere politico e quello militare si materializzò infine nel
tipo di età costantiniana con gloria exercitus e i due soldati.
Pure finalizzati a confermare la solidità del <<regime>> sono i tipi
riferiti a grandi realizzazioni, dal porto di Ostia ali' anfiteatro Flavio,
al Foro Traiano, al ponte sul Danubio, ecc.
Il sistema dei tipi della monetazione bronzea di età imperiale ap­
pare riproposto e sviluppato con coerenza nella parallela produzione
di medaglioni, che sembra non avessero circolazione legale. I meda­
glioni, anche in metallo pregiato o bimetallici, per diametro, peso e
qualità dell'incisione chiaramente più <<importanti>> delle monete in
circolazione, erano forse donativi a carattere commemorativo o cele­
brativo, destinati a diffondere messaggi in ambiti qualificati e limitati,
presumibilmente urbani. Il rinnovamento dei ceti dirigenti tra III e
IV secolo ne svuotò la funzione ed essi vennero spstituiti, per i dona­
tivi, dai multipli, preferibilmente in metallo pregiato, che proponeva­
no i tipi della monetazione corrente, ormai lontani da intenti comme­
morativi (salvo rarissime occasioni).
332 LA NUMISMATICA

Carattere di donativo sembra avere avuto, nel IV-V secolo, gran


parte delle emissioni in argento, spesso multipli della siliqua, in una
fase di uso ridotto della moneta in argento per fini monetari, che si
concluderà, in Occidente, solo dopo la metà del V secolo.
Il <<ritratto>> sulla moneta, adottato quando i confini tra il potere
e la persona che la detiene si cancellano, merita un'analisi specifica.
Significativa111ente, il primo caso di figura individuata con precisione
fu quella di Dario I (52 1 -485 a.C.); sui <larici in oro e sui sicli in
argento; tra V e IV secolo, nello stesso mondo, compaiono i primi
esempi di ritratti veri e propri. Si tratta dei governatori delle satrapìe
autonome occidentali (tra cui anche Temistocle in esilio a Magnesia
sul Meandro), che emisero monete con caratteri stilistici greci.
Il principio del ritratto sulla moneta come simbolo del potere ri­
conosciuto in una dete1111inata persona fisica fu estraneo all'ideologia
<<democratica>> greca. Nel mondo greco e anche in Macedonia esso
compare tardi, dopo Alessandro, trovando posto inizialmente in un
processo di sacralizzazione dell'immagine del re, che può essere pre­
sente in una moneta in quanto assimilata alla divinità. Così proba­
bilmente Alessandro è effigiato nelle monete (a partire da Lisimaco,
323 -28 1 a.C.) come Zeus Ammone o come Eracle con la leonti (spo­
glie del leone di Nemea). Soltanto con i primi diàdochi, all'interno
d'un processo di adegua111ento a concezioni <<asiatiche>> del potere, si
ebbero veri ritratti espliciti, inizialmente divinizzati e poi sempre più
riconoscibili per connotati fisionomici specifici. In Occidente il ritrat­
to giunse sulla moneta a Siracusa con Gerone II (274-2 16 a.C.), in
un clima ideologico molto simile.
Sempre però il ritratto era <<ufficiale>>, con una fo1111ulazione mai
casuale o estemporanea, o frutto della libera interpretazione di un
artista. Esso fu sempre assoggettato a regole che esistevano ovunque
nel mondo antico (come pure oggi) per la diffusione dell'immagine
del detentore del potere, re, imperatore o suo parente. L'immagine
era autorizzata e diffusa dal potere medesimo e ne veniva imposta
una precisa sacralizzazione.
Vi fu quindi sempre consonanza tra l'immagine nei tipi monetari
e la ritrattistica ufficiale in bronzo, ma11110 , o nella pittura o nella
glittica, dall'età ellenistica alla tarda repubblica romana, fino all'impe­
ro. L'evoluzione tipologica fu comune, attenta ai particolari e alle
modifiche che, quando proposte, avevano sempre precisi significati,
come una breve barba (barbula) in caso di lutto, o i particolari, mai
secondari, dell'abbigliamento o delle corone e diademi. Restava sem­
pre esclusa, allora come oggi, l'espressione della decadenza fisica.
Solo nel caso dei Cesari l'iconografia monetale seguiva i mutan1enti
fisici legati all'età, rendendone percepibili il progredire e la matura­
zione verso la dignità imperiale. Lo si evitava invece per gli Augusti,
la cui immagine ufficiale tendeva a immobilizzarsi.
Quando si rileva un'accentuazione di caratteri fisionomici che a
noi sembrano sottolineare aspetti non gradevoli (come in alcuni ri­
tratti tardo-ellenistici di area asiatica, o su denari repubblicani, o nel-
LA NUMISMATICA 33 3

la monetazione flavia, o in quella del III secolo d.C. ), si aveva evi­


dentemente la volontà d'insistere su valori significativi in quel mo­
mento, quali la coerenza con le tradizioni contadine del mondo ro­
mano per la repubblica, o la rispondenza alla figura rude del soldato
11el III secolo d.C.
'

E comunque sempre molto precisa, nei ritratti monetari come


nelle altre immagini <<ufficiali>>, la tensione a proporre un'immagine
di perfetta e automatica riconoscibilità, anche senza l'aiuto di una le­
genda. Così con i dinasti ellenistici (il cui nome appare però al R/),
con Augusto e poi, significativa111ente, con · Costantino I - nel solco
della tradizione augustea - e in pochi altri casi.
La trasfor111azione dell'imperatore in un simbolo astratto e tra­
scendente del potere in età tetrarchica trova una significativa espres­
sione formale nei ritratti delle monete, che riducono al minimo i rife­
rimenti fisionomici, con teste rese in termini stereometrici di grande
forza e semplicità.
In strettissimo rapporto con i riflessi della politica dinastica nei
tipi monetari è la tendenza a far confluire la ritrattistica dei sovrani
su deter111inati (pochi) tipi fisionomici. Se in età ellenistica ci si man­
tenne per lo più legati formalmente al ritratto di Alessandro, in età
imperiale romana il punto di riferimento, con precisi significati pro­
gra111matici, fu il ritratto di Augusto, al quale tesero a uniformarsi,
talvolta in termini insidiosi per il riconoscimento e la classificazione, i
Giulio-Claudii, che nelle monete gli assomigliano quasi tutti, anche
se non furono a lui consanguinei. E tornarono all'immagine augustea,
generica111ente giovanile e classicistica, anche tutti coloro che lungo
la storia dell'impero si ricollegarono alla politica augustea: significati­
vo il caso di Costantino, il quale propose di sé un'immagine augu­
steo-costantiniana che avrebbe avuto una tenace resistenza attraverso
tutto il Medioevo sino ai giorni nostri.
Il significato simbolico del ritratto monetale spiega anche perché,
nel VI secolo d.C., il complesso rapporto istituzionale tra regni ro­
mano-ger111 anici e impero di Bisanzio si sia tradotto in un forte ri­
tardo, rispetto all'effettiva autonomia, nell'utilizzo del ritratto del re
germanico sul DI della moneta in oro. Il ritratto imperiale era infatti
divenuto simbolo della concezione universalistica dell'impero roma­
no, come deduciamo dalle polemiche che seguirono all'emissione di
monete in oro con il proprio ritratto da parte del re franco Teode­
berto (534-548).
Il ritratto monetale, sin dai suoi inizi, si propose, con rare ecce­
zioni, di profilo. La resa frontale veniva evitata sia per ragioni tecni­
che (il bassissimo rilievo concesso alla superficie monetaria non per­
metteva un'agevole resa dei volumi) , sia per ragioni ideologiche. Solo
con l'assolutismo astratto dell'ideologia imperiale dell'inizio del IV
secolo si ebbero ritratti che, tramite l'impostazione frontale, si pone­
vano come elemento attivo nei confronti dell'utente della moneta. Il
ritratto frontale non solo è guardato da chi maneggia la moneta, ma
anche lo guarda, coinvolgendolo in termini concreti, con un rapporto
33 4 LA NUMISMATICA

completa111 ente diverso da quanto avviene con i ritratti di profilo. La


sacralizzazione del ritratto del detentore del potere prepara le imma­
gini costantemente frontali della monetazione bizantina e i tipi, pure
sempre frontali, con le immagini di Cristo o della Vergine o di santi
nel Medioevo occidentale.
La formulazione del tipo tendeva all'immobilizzazione, soprattut­
to quando la moneta, operando in regime di concorrenza in un mer­
cato aperto e ottenendo un gradimento istintivo da parte dell'utente,
richiedeva immediata riconoscibilità: ciò si ripercuoteva anche nella
definizione, allora come oggi. Si parlava quindi di testuggini di Egi­
na, di civette di Atene, di pegasi di Corinto, a Roma di quadrigati e
di bigati, ecc. Analogo fenomeno si verificava con emissioni tipologi­
camente immobilizzate di autorità emittenti importanti, che da que­
ste traevano il nome (darici, filippi, creseidi, ecc.), giungendo talvolta
a proporsi nella memoria storica come paradigmi della moneta in se
stessa (d'oro per i filippi) .
La forza di alcune monete portava alla tendenza, da parte di mo­
nete più deboli, ad adottarne il tipo, forse con possibilità di inserirsi
su mercati più a111 pi. Così probabilmente si giustificano molte delle
imitazioni della civetta ateniese. Spesso però non era concepibile una
penetrazione sul mercato della moneta imitata. Il fenomeno, anzi, di­
pendeva proprio dalla penetrazione all'esterno di una moneta forte,
tra i gruppi periferici al mondo greco e romano, che la imitavano
nelle loro monete, con maggiore o minore fedeltà. In essa individua­
vano i caratteri che definiscono il concetto di moneta: la forma piatta
e rotonda, il tipo di metallo, il peso definito, fino agli elementi che
nei prototipi erano specifici. Così la moneta celtica di area danubiana
imitava (o meglio interpretava) gli esemplari di Filippo di Macedonia
(compreso il nome scritto in lettere greche) oppure le monete di
Thasos; quella dell'Arabia meridionale, le <<civette>> ateniesi; quella di
Gallia transalpina e cisalpina, le emissioni greche di Massalia e quelle
romane; mentre i regni romano-barbarici imitavano, talvolta con
grande fedeltà, la moneta in oro romana e bizantina, spesso riprodu­
cendo anche i segni di zecca. Il significato monetario di tali prodotti,
destinati a circolare in ambiti di economia primitiva, appare spesso
molto debole.
Sin dall'inizio la moneta - per il valore intrinseco e nominale, per
la sua ufficialità, per l'ampiezza della possibile circolazione - divenne
prodotto artistico privilegiato, spesso d'importanza superiore a quella
data dalla sua funzione.
Sembrerebbe che un suo prevalente significato economico, con
immobilizzo dei tipi e facile riconoscibilità, abbia significato sempre
una remora allo sviluppo dell'arte della moneta. Ma mentre la mone­
ta di Atene o di Corinto si irrigidiva in formulazioni stilistiche stereo­
tipe e arcaizzanti, zecche secondarie emettevano monete di alto li­
vello artistico. Non mancarono neppure, come a Siracusa, situazioni
di mirabile coincidenza tra livello artistico e importanza economica
del prodotto.
LA NUMISMATICA 335

Nel tempo venne elaborato un linguaggio stilistico che si con­


frontava con i condizionamenti tecnici imposti sia dalle dimensioni
ridotte del tondello, sia dalle difficoltà dell'incisione in negativo del
conio, sia dal rilievo limitato concesso dalla coniazione. Si compren­
de come, con tali difficoltà, esistessero scuole di incisori e l'incisione
della moneta sia stata fra i temi più alti dell'arte greca, in rapporto
stretto con la glittica (spesso ricorrendo ai medesimi artisti e a un
unico linguaggio stilistico) , la pittura e il rilievo su pietra e marmo.
Venne brillantemente affrontato il tema della riduzione in termini
simbolici di una narrazione per mezzo di figure semplici (il tondello
non pe1·111ette una pluralità di figure) , e talvolta rendendo comple­
mentare il D/ con il R/. Trovò posto sulla moneta, accanto a un uti­
lizzo perfetto della visione di profilo, la ricerca pittorica dello scorcio
e della presentazione di tre quarti delle figure, talvolta anche com­
plesse, come quelle nude virili o i volti. Si affrontò anche il problema
della rappresentazione del movimento, proposto non in atto ma in
termini di necessità e di potenzialità, negli stessi anni in cui il mede­
simo tema era centrale nella pittura e nella scultura. Restano fonda­
mentali per la storia dell'arte antica tipi come quelli dei tetradra111mi
,

di Akanthos con la lotta del toro e del leone, o di Kos con il di-
,

scobolo o di Aspendos con i due lottatori, o di Siracusa con le qua-


drighe al D/: in essi veniva accettato e risolto il confronto con l'altro
condizionamento tirannico della moneta, la circolarità del tondello, la
quale comportava problemi analoghi a quelli dell'inserimento di una
narrazione nel frontone o nella metopa.
La collocazione, anche sociale, degli incisori monetari greci risulta
dal privilegio da loro goduto di firmare talvolta le proprie opere, con
caratteri minuti bene integrati nella figurazione: basti ricordare gli in­
cisori siracusani Kimon ed Euainetos. Nel mondo romano, già in al­
cune serie di denari repubblicani, ma soprattutto nella moneta impe­
riale in ran1e e oricalco, viene affrontato il tema della narrazione, sia
in termini di resa in un medesimo tipo d'una serie di azioni in se­
quenza (come nella scena di votazione nel denario di Publio Licinio
Nerva) , sia come presentazione di situazioni con pluralità di figure,
come nelle innumerevoli scene di sacrificio, di adlocutio (arringhe
pubbliche) , di congiaria (distribuzioni pubbliche) . Tali figurazioni
sono in stretto rapporto con il rilievo storico coevo. Analogamente a
questo, si ha una quasi completa assenza di temi paesistici e naturali,
sempre resi in terrriini simbolici. Si sviluppa anche - rara111ente nella
monetazione urbica (con archi, altari, colonne, ecc.), più spesso nella
monetazione coloniale romana - il tema dell'edificio o del complesso
edilizio, talvolta con interessanti tentativi di proposta prospettica.
In generale, però, nel mondo romano si tende alla definizione,
più che di azioni, di figure (o gruppi di figure) in qualche modo
simboliche, che soprattutto nel IV-V secolo assumono eccezio11ale
stabilità anche stilistica in collegamento con leggende che si propon­
gono con1e slogan, con il massimo di efficacia presso l'utente: Fel(i-
336 LA NUMISMATICA

cis) temp(oris) reparatio, Virtus Aug(ustz), Victoria Aug(usti), Securitas


Reip(ublicae), Spes Reip(ublicae), ecc.
Essenziale per la completezza del messaggio trasmesso dalla mo­
neta appare quasi sempre la leggenda apposta sulla moneta.
La leggenda appare inizialmente destinata a comunicare - dopo
le prime fasi (con nomi) e quando i tipi non erano parlanti - l'autori­
tà responsabile delle emissioni e di queste garante, per mezzo dell'et­
nico o del nome della città. I nomi di città sulle monete più antiche
vengono resi solo con l'iniziale o abbreviati: phi per Focea, Q o K
per Corinto, Syra per Siracusa, ecc. In certi casi questa fo1111ula si
immobilizza nel tempo.
L'etnico, quando completo, viene espresso talora al genitivo, forse
indicando così che si riteneva la moneta un'effettiva proprietà del
popolo che l'aveva emessa e fornendo quindi anche un'info1111azione
di rilevanza costituzionale. Più tardi venne talvolta messo al genitivo
(a indicare la proprietà) il nome del principe. L'uso del nominativo
appare invece una pura indicazione dell'autorità emittente ed espri­
me forse una concezione diversa delle premesse giuridiche dell'emis­
sione, più aderenti all 'utilità <<sociale>> della moneta. Tale scelta fu co­
stante a Roma da Augusto in avanti. Raro appare l'uso, per le perso­
ne, del vocativo o del dativo, in ter111ini accla111atori.
Solo in area periferica (Macedonia) e nel mondo ellenistico
(con Filippo e Alessandro) l'etnico venne sostituito, in un certo
senso contestualmente con la fo1·111azione di regni plurietnici e con
la personalizzazione del potere, dal nome del detentore del potere.
Ad esso vennero aggiunti, in età ellenistica, il titolo (basileus) e gli
appellativi ufficiali: Antioco IV è Epiphanis (<<risplendente>>) , Mitri­
date è Euptitor (<<di nobile padre>>), ecc. Si proponeva così un'in­
formazione certo necessaria per distinguere personaggi omonimi,
ma sempre relativa ali' ambito propagandistico.
Di particolare rilevanza appaiono le formulazioni delle legende
sulla moneta imperiale romana, con uno sviluppo da premesse tardo­
repubblicane. La sinergia di fattori quali l'ufficialità della sede, l'am­
piezza della possibile diffusione del messaggio, la limitata superficie
per le scritte, portava a for111e di stabilità e di sintesi nella formula­
zione dei testi del tutto analoghe a quelle delle epigrafi onorarie. La
leggenda monetale, quasi costantemente complementare al tipo figu­
rativo, serviva a spiegarlo e a definirlo; era molto stabile e talora
complessa, con una sapiente selezione delle informazioni poste in si­
gnificativa sequenza e un uso molto spinto delle abbreviazioni. Nella
leggenda monetale si individuava uno dei mezzi per la definizione
dell'immagine del detentore del potere e delle cariche che ne erano il
presupposto. Venivano sottolineati anche gli aspetti carismatici, che
in una società con forte accentuazione dell'aspetto militare derivava­
no dalle campagne vittoriose: gli imperatori erano di volta in volta
<<Germanico>>, <<Britannico>>, <<Dacico>>, <<Partico>>, <<Armeniaco>>, ecc.
Una simile insistenza rientrava con evidenza in un progra1nma d'in-
- -

LA NUMISMATIC.� ))
-

formazione e condizionamento dell'opinione pubblica ad a111plissimo


spettro.
L'insistenza su formulazioni sintetiche, come Optimus Princeps
per Traiano, alternative e di maggiore efficacia rispetto ai tradizionali
riferimenti alle cariche e alle qualifiche, riproponeva l'uso degli ap­
pellativi ellenistici.
Nella tarda romanità, soprattutto nel V secolo d.C., si diffuse,
specie nei nominali di piccole dimensioni e di difficile leggibilità, l'u­
so di tipi monogrammatici. Il monogramma non era una proposta
abbreviata del nome espresso grafica111ente in tern1ini fonetici, ma era
una definizione a carattere ideografico, soprattutto quando era <<a
scatola>>. In stretto rapporto con il monogra111ma sigillare, era alter­
nativo sia al nome scritto sia all'immagine: di facile percezione anche
per gli illetterati, era presente - sempre identico - pure in altre classi
di materiali. L'importanza del monogra111ma appare tale da giustifica­
re tentativi d'inserimento in tradizioni riferibili a prototipi significati­
vi: i monogrammi dei re ostrogoti si confondevano con quello di
Teodorico.
Sulla moneta vi erano infine simboli accessori, che definivano un
sistema di comunicazioni a carattere molto diversificato. Alcuni erano
da riferire ad aspetti amministrativi delle emissioni. Talvolta, sia nel
mondo greco sia nella repubblica romana, i magistrati responsabili
delle coniazioni erano obbligati a indicare il proprio nome. Ciò av­
venne nel mondo greco attraverso sistemi di simboli (sempre di diffi­
cilissima interpretazione) e/o per via monogra111matica (mentre l'indi­
cazione dell'autorità emittente era sempre data per esteso) . Nel mon­
do romano i tresviri auro argento aere flando feriundo, su tipi cui ab­
biamo già accennato, proposero invece i loro nomi (spesso citati in­
sieme, in modo da fornire indicazioni sulla collegialità delle cariche)
per esteso o utilizzando sistemi di abbreviazione caratteristici del
mondo romano.
Tra le comunicazioni sulla moneta che, più che riguardare il rap-
. .
porto tra utente e moneta o utente e autorita emittente, rispettavano
... .

precisi obblighi di legge, si hanno indicazioni, spesso particolareggia­


te, circa aspetti a111ministrativi o organizzativi delle zecche. Così la
sigla se (senatus consulto) sulla moneta romana affermava la compe­
tenza senatoria sulle emissioni (non sappia1110 se solo giuridica o ef­
fettiva) , e le indicazioni sulla moneta imperiale, dalla fine del III se­
colo d.C., esplicitarono con sigle (solitamente in <<esergo>>, ossia nella
sezione inferiore del tipo, al R/) la città nella quale operava la zecca
e l'eventuale numero dell'officina (unità produttiva) nella quale la
moneta era stata battuta.
Altri segni, lettere, simboli, numeri servivano a distinguere le
emissioni tra di loro e sono oggi oggetto di complesse ricerche per
organizzare i materiali in sequenza. Altre indicazioni, talvolta chiara­
mente espresse, talvolta criptiche, si riferiscono alle registrazioni
quantitative interne della produzione della zecca.
338 LA NUMISMATICA

Dava indicazioni circa la qualità del metallo la leggenda CONOB


( Con(stantinopolis) oh(ryziacum), <<oro purificato di Costantinopoli>>) ,
che compare in esergo sulle monete in oro tardoromane e bizantine e
che, assicurando il rispetto di deter111inati obblighi di legge e non la
provenienza materiale da Costantinopoli, si trovava pure sulle mone­
te di altre zecche. Non frequente infine era l'indicazione di una data,
che per solito si riferiva a differenti ere: i Seleucidi seguirono un'era
che iniziava nel 3 12 a. C., i Lagidi un'era che iniziava nel 27 1-270
(morte di Arsinoe), i Parti un'era dal 247 (fondazione del regno),
molte città ellenistiche ere cittadine, gli imperatori romani in Egitto
l'anno del proprio regno.
Talvolta la data fu molto precisa: le tetradracme di Mitridate VI
Eupatore del Ponto portavano l'indicazione sia dell'anno di emissio­
ne (tra il 96 e il 66 a.C. ), sia del mese. Gran parte della monetazione
romana veniva poi datata indirettamente dalla titolatura dell'impera·
tore, costantemente aggiornata e che permetteva una maggiore o mi­
nore approssimazione: generica per l'acclamazione imperatoria e per
il consolato, molto precisa per la potestà tribunizia.
Il dato cronologico fornito, direttamente o indiretta111 ente, dalla
moneta poteva però riferirsi alla sanzione giuridica per l'emissione
(come nel Medioevo, quando si ebbe il congelamento dell'immagine
o del nome dell'imperatore che aveva concesso il diritto a battere
moneta) piuttosto che l'indicazione del momento in cui la coniazione
aveva avuto luogo.
Per il mondo italico (e in parte italiota e siceliota) e soprattutto
per Roma, l'indicazione del nominale e dei rapporti di cambio - at­
traverso simboli, lettere o numeri - fu costante per i tre metalli. Ciò
era espresso facendo riferimento a una unità-base, inizialmente di
peso, successivamente di valore.
Ne deriva un'impressione di chiarezza nella monetazione romana
repubblicana: alla differenziazione dei nominali corrispondeva in essa
quella dei tipi. Esemplare è l'evoluzione del denario repubblicano,
sul quale era indicato in cifra il rapporto di cambio con l'unità-base
in rame, l'as (asse), inizialmente di 1 a 10. Successivamente il cambio
fu portato a 1 a 16 e sulle monete venne registrato il mutamento,
mediante l'apposizione del numerale XVI o con la X barrata.
Il rame, con sistema duodecimale, manteneva sempre il medesimo
tipo per il RI (la prora) e al DI aveva Giano per l'as (l'unità, una
barra), Saturno per il semis (112, 5) , Minerva per il triens (113 , quat­
tro globetti) , Ercole per il quadrans (114, tre globetti) , Mercurio per
il sextans ( 116, due globetti), Bellona per l'uncia ( 1112, un globetto) .
In età imperiale ci si affidò invece alle caratteristiche fisiche della
moneta, con metallo, diametro, pesi differenziati per denominazione,
con poche indicazioni affidate ai tipi. Tra queste era il ritratto radiato
del principe riservato ai dupondi.
Si ritornò a dare indicazioni sulla moneta alla fine del III secolo:
con Aureliano le indicazioni XXII e XII o, in greco, KIA e IlA, che
si riferivano al cambio con una unità in argento puro: 1 :20 e 1 : 10. Su
LA NUMISMATICA 339

alcuni solidi del IV secolo vi è l'indicazione LXXII, a significare che


la moneta era 1/72 della libra.
Il nome attribuito, ufficialmente o nell'uso corrente, alle specie
monetarie non figurò mai sulla moneta. Ciò è fonte d'incertezze tal­
volta insuperabili nell'interpretazione delle fonti storiche, in cui la
moneta veniva invece nominata, a eccezione dei casi in cui il nome è
ovvio (sesterzio, denario, ecc. ) , o è tratto dal tipo (civetta, quadriga­
to, bigato, ecc.), o dall'autorità emittente (darico, filippo, ecc.).

6. Materiali paramonetari, tessere, medaglie, pesi monetali, con­


traffazioni

Come è stato detto, le emissioni ufficiali non esaurivano il quadro


dei mezzi monetari utilizzati nel mondo antico per le transazioni eco­
nomiche, o meglio per lo scambio di beni e servizi. Anche ad altre
classi di materiali, genericamente definiti paramonetari, era attribuito,
stabilmente o episodicamente, valore monetario negli scambi. Tali
classi di materiali, spesso specializzate per precise funzioni, assume­
vano talvolta forma di moneta, pur non avendone tutte le possibilità
di utilizzo. Fu il caso dei contorniati (così chia111ati per il solco lungo
l'orlo), battuti nel IV e V secolo con tipi molto vari, riferibili spesso
alla propaganda pagana che si opponeva all'ormai vincente cristiane­
simo. Validi forse per accedere a giochi e spettacoli in Roma, rap­
presentano un caso emblematico di propaganda ideologica (di con­
troinformazione, diremmo oggi) su di un mezzo parar11onetario a lar­
ga diffusione popolare.
Vi era poi l'universo, poco noto, delle tessere (termine convenzio­
nale attuale) , di funzione spesso poco chiara, in osso, avorio, piom­
bo, terracotta, ecc. Esse, quando non erano ricevute o pedine da gio­
co, rappresentarono dei valori, surrogando la moneta in determinati
luoghi o per determinati beni o servizi. Talvolta potevano, a breve,
essere convertite in contante. In certi casi esse alimentarono forse
un'effettiva circolazione sussidiaria, per l'insufficienza di quella lega­
le. Esse però rappresentavano soltanto il <<Valore>> di un servizio o di
un bene (talvolta raffigurati sull'oggetto), ma non lo misuravano. In
ciò risiede essenzialmente la differenza rispetto alla moneta.
Tra le più note vi sono le tesserae /rumentariae in piombo, da al­
cuni studiosi ritenute una sorta di buoni per le distribuzioni di grano
dell'annona, e da altri considerate invece semplici ca/culi per i conti
sull'abaco (come i gettani di età successiva).
Sono tessere anche le spintriae in ra111e, con scene erotiche, che si
vuole servissero per l'entrata nei lupanari in età tiberiana.
Vi erano tessere per ogni servizio : biglietti per spettacoli, per le
terme, attestazioni di pagar11enti (tasse, dogane, ecc.) o di diritti ac­
quisiti, gettoni di presenza, pedine per giochi, ecc., emessi, come
oggi, sia dal potere pubblico sia da privati.
340 LA NUMISMATICA

Il gettone, originariamente sostituto della moneta per aiutare i


calcoli, ha invece origine recente (XIII secolo) . Nel linguaggio cor­
rente odierno ha assunto il significato proprio delle tesserae romane.
Ma vi sono classi, soprattutto le medaglie, nelle quali l'aspetto
monetiforme non implica alcuna attribuzione di valore in ter111ini
economici. La medaglia, celebrativa o commemorativa, è presente in
ter111ini non chiari nel mondo classico. Sembrerebbero avere tale fun­
zione i niketiria, medaglioni offerti ai giochi nel mondo ellenico. Ne
abbia1110 una significativa esemplificazione nel tesoro di Tarso, con
Ercole, Filippo II e Alessandro nei tipi.
Più ambigue sono certe emissioni con . caratteri particolarmente
<<importanti>>: multipli greci in argento (decadrammi di Atene, Sira­
cusa, Agrigento) o ellenistici in oro (come il multiplo da 20 stateri di
Eucratide di Battriana) , medaglioni e multipli imperiali in argento e
oro, fino all' a111pia casistica dei multipli di silique in argento e di soli­
di in oro della tarda romanità e fino al medaglione d'oro di Teodo-

rico.
Quasi sempre pare mantenuta in essi la finzione della circolazione
legale, rispettando il sistema metrologico ufficiale (ma non nei meda­
glioni imperiali) , al contrario della medaglia moderna. Tali <<monete>>
erano però destinate a essere impiegate come donativi (i multipli di
solidi per i capi germanici, ad esempio) o comunque a divenire ri­
cordo di particolari accadimenti. La loro funzione appare quindi ana­
loga a quella delle moderne medaglie.
Del tutto particolare è la natura dei pesi monetali, in rapporto
con la normativa ufficiale di tutela di pesi e misure. Ciò portò, in età
moderna, a campioni legali dai quali derivavano i pesi, che a loro
volta servivano alla verifica del peso, e quindi del valore intrinseco,
della moneta. Furono uno dei più importanti str11111enti dello stato
per il controllo della circolazione. La funzione, ben precisa, esclude­
va qualsiasi for111 a di attribuzione di valore. In età classica i pesi (exa­
gia) sono rari, almeno fino alla costituzione di Costantino relativa alla
verifica dei pesi delle monete in oro. Erano in rame, circolari o qua­
drati, con semplici indicazioni epigrafiche (N = n6misma o SOL =

solidus) e semplici figurazioni (il busto imperiale, la Dea Moneta, o


monogrammi) . Il rapporto con il sistema dei pesi non monetari è co­
stante, anche se talvolta difficile da riconoscere. Esiste comunque
un'ampia casistica di pesi non monetari, con possibilità di confu-
s1one.

In molti materiali paramonetari (tessere, gettoni, ecc. ) , destinati


ad ambiti limitati di circolazione, viene a mancare l'interesse per
qualsiasi forma di trasmissione d'infor�azioni non pratiche. Le le­
gende tendono quindi a scomparire, sostituite da sintetiche comuni­
cazioni con numeri o sigle. Anche il sistema dei tipi si allontana dal
potere e dalle sue formulazioni, ritornando sia all' a111bito del sacro
sia a immagini relative alla funzione.
Mentre la documentazione storica suggerisce una presenza pesan­
te, costante e diffusa del fenomeno della contraffazione della moneta,
LA NUMISMATICA 341

attraverso le dure pene comminate ai falsari, la documentazione nu­


mismatica recuperata appare modesta. Ciò è dovuto sia alla selezione
che sta a monte dei ripostigli, massima fonte della nostra documenta­
zione (secondo la cosiddetta <<legge di Gresham>> si tesaurizzano sol­
tanto le monete migliori) , sia alla selezione effettuata in età moderna,
escludendo dai medaglieri quasi tutte le monete antiche false. Infine,
la moneta contraffatta - fusa - spesso non veniva distinta dalla mo­
neta d'emergenza o dalle imitazioni. Il fenomeno, importante per la
conoscenza della circolazione antica, è meglio analizzabile nei mate­
riali di scavo o sporadici. I <<falsi moderni>>, spesso creati rilavorando
pezzi antichi, non hanno invece alcuna utilità scientifica. L'imitazione,
spesso ad alto livello, di monete classiche in età umanistica e rina­
scimentale riguarda la storia della medaglia.

7. La dinamica della circolazione monetaria

Un'analisi adeguata della documentazione numismatica disponibi­


le, per utilizzarla come fonte utile alla ricerca storica, richiede precise
conoscenze sia dei presupposti giuridici e tecnici delle emissioni e
della loro evoluzione nel tempo (qui sinteticamente delineati) , sia
delle modalità di utilizzo, cioè della dinamica della circolazione mo­
netaria. Appare quindi necessario conoscere le modalità di trasmis­
sione della moneta fino a noi.
La circolazione monetaria (stock monetario disponibile) è data
dalla moneta immessa sul mercato dall'autorità che controlla il terri­
torio, unita alla moneta penetrata in qualsiasi modo dall'esterno e a
tutti i materiali che vengono ad assumere un valore monetario.
Il mercato è un complesso - in perenne sviluppo dina111ico - di
beni, servizi e moneta, in rapporto con la politica delle emissioni da
parte dello stato (che lo condiziona) .
La circolazione può essere analizzata sia sotto l'aspetto della poli­
tica economico-monetaria (emissione o intervento sulla massa mone­
taria) , sia sotto il profilo della composizione (tipi presenti in momenti
dati e loro consistenza percentuale), sia in termini tendenziali (vita
della moneta in circolazione).
Essenziale appare, per il comportamento della moneta in circola­
zione, il suo gradimento da parte dell'utenza, che di norma veniva
eluso con l'imposizione di un corso legale. Nel mondo greco sembra
che soprattutto le p6leis della Grecia vera e propria abbiano tentato
di creare per tale via ambiti chiusi di circolazione, mentre pare che i
centri della Magna Grecia abbiano seguito modelli di libera circola­
zione. Probabilmente, però, il controllo era esercitato con efficacia
solo per i metalli pregiati, come viene suggerito dalla continua cita­
zione, nelle fonti, della figura del ca1nbiavalute. La moneta quindi si
muoveva, sopravviveva o scompariva, obbedendo soprattutto alle leg­
gi economiche.
342 LA NUMISMATICA

Mentre dagli scavi delle città della Magna Grecia emerge una cir­
colazione composita, specie per il ra111e , nelle grandi realtà statali il
controllo era certo più facile, con concrete barriere doganali e quindi
con una circolazione più omogenea. Ciò vale sia per i regni elleni­
stici, sia per il mondo romano, soprattutto imperiale. In questo si eb­
bero anche ambiti interni di circolazione, integrando dunque le espe­
rienze di età e di culture precedenti, specializzati per livello di circo­
lazione e quindi per metallo. In età romana, infatti, l'emissione della
moneta in rame venne delegata talvolta a realtà periferiche coloniali
o municipali (all'inizio quasi ovunque, anche in Italia e in Occidente;
poi, solo nell'Oriente di tradizione ellenistica); più raramente (solo in
pochi centri asiatici e in Egitto) ciò avvenne per quella in argento;
mai per quella in oro.
Questa delega - che non sembra comportasse grandi spostamenti
delle monete nello spazio (episodicamente presenti però anche lonta­
no e quindi circolanti legalmente) - aveva precisi vantaggi: non inter­
feriva nelle politiche economiche del governo centrale, cui era riser­
vato l'uso della moneta aurea o argentea (emessa a Roma) ; semplifi­
cava i problemi dell'approvvigionamento dei mercati lontani con ma­
teriali monetari bronzei, di scarso valore e di grande volume e peso;
lusingava, attraverso la parziale tutela del diritto a battere moneta,
comunità connotate culturalmente in termini talvolta molto specifici.
Era una dimostrazione della capacità di Roma di comporre nell'unità
dell'impero le diversità presenti sul territorio, con strumenti prima
giuridici che culturali. La delega alle realtà periferiche venne cancel­
lata solo sotto Aureliano, con la sua radicale riorganizzazione delle
emissioni, che predispose coniazioni nei tre metalli identiche (tranne
che nei segni di zecca), in una serie di sedi che servivano bacini di
utenza delimitati. Sul territorio dell'impero ebbe allora corso legale
tutta la moneta emessa. Simili scelte sono significative delle trasfor­
mazioni subite dall 'impero nel senso del livellamento e dell' omoge­
neizzazione, che toglievano significato alle autonomie.
La moneta impiegava tempi talvolta lunghi, dopo l'emissione, per
raggiungere il mercato. Si tratta di una variabile di difficile valutazio­
ne, dipendente da fattori molteplici e sfuggenti. Qualche aiuto giun­
ge dall'esa1ne della consunzione e dalla caduta ponderale della mone­
ta nei ripostigli, che dipendono però soprattutto dalla maggiore o
minore velocità di circolazione.
La circolazione si modificava nel tempo sia attraverso l'immissio­
ne di nuova moneta (del paese o esterna} sia per l'uscita (progressiva
o improvvisa) della moneta presente. Ciò condizionò la formazione
dei depositi (ripostigli e monete isolate) dai quali ricaviamo la docu­
mentazione a nostra disposizione.
L'uscita dalla circolazione avveniva anche in termini molto diffe­
renziati: per ritiro coatto (anche attraverso il prelievo fiscale) , per
esportazione, per consunzione (che porta, alla fine, al rifiuto della
moneta) , per abbandono o occultamento per qualsiasi ragione, per
tesaurizzazione (spesso quindi fusione) , per smarrimento. Ognuna di
LA NUMISMATICA 343

queste modalità di uscita dalla circolazione ha precise regole e porta


a una conservazione nel terreno (o nei ripostigli) della moneta in ter­
mini per qualità e quantità dissimili dai volumi di emissione o dalla
presenza percentuale in circolazione.
Vista la tenace resistenza in circolazione di alcune specie moneta­
rie, non sembra fosse facile il ritiro coatto della propria o dell'altrui
moneta, adottato invece sistematicamente in età moderna grazie a un
più evoluto sistema bancario. Probabilmente non ve n'era bisogno, in
quanto la politica monetaria era fatta più in termini di manovra all' e­
missione che non di controllo della circolazione. Ad esempio, la pro­
gressiva caduta del peso e della lega - e quindi del valore intrinseco
- del denario imperiale romano deve essere stata accompagnata dalla
sistematica tesaurizzazione dei materiali demonetizzati e quindi dalla
loro definitiva uscita di mercato.
La resistenza di una classe monetaria in circolazione sul lungo pe­
riodo portava all ' a111nento delle probabilità dello smarrimento, alla
sua progressiva scomparsa per cause naturali, con un mancato inseri­
mento nei ripostigli. La grande massa dei materiali oggi conservati
deriva da ripostigli; ma classi monetarie di grande importanza econo­
mica nel mondo antico spesso sono in essi mal rappresentate e di
difficile analisi. Ne sono esempi la monetazione in rame della Magna
Grecia, poco presente nei ripostigli e quii1di a noi poco nota, ma
comune in scavo; e i nominali imperiali romani inferiori (dupondii,
asses, quadrantes), meno noti dei sesterzi (interessati dal fenomeno
della tesaurizzazione del rame al tempo di Galliena) e invece più fre-
quent1 m scavo.
• •

Alcune specie monetarie resistettero in circolazione per periodi


lunghissimi, perché sempre a corso legale o perché assimilate sul
mercato, per forma, peso e metallo (e quindi per valore intrinseco) ,
ad altra moneta a corso legale. Fu il caso degli antoniniani, di zecca
spesso irregolare, che rimasero in circolazione per tutto il IV e V se­
colo e che si trovano anche in ripostigli del VI secolo.
L'intervento sulla moneta, propria o altrui, avveniva anche in base
a criteri non economici, come nel caso dell'uscita di mercato imme­
diata della moneta in oro e argento (non in rame) dei Brettii con la
conquista romana del Bruttium, al te1·111ine della seconda guerra pu­
nica. L'intervento, violento ed efficace, che eliminò una moneta <<sco­
moda>> anche dal punto di vista ideologico, concluse la guerra mone­
taria tra Roma e Annibale con i suoi alleati e permise il ritorno al
monopolio per le emissioni romane. I vantaggi furono quindi anche
economici, forse previsti.
Molte specie non oltrepassano comunque precise soglie tempora­
li, oltre le quali non risultano più in circolazione e quindi non posso­
no più venir perdute o tesaurizzate. Tali soglie, da verificare empiri­
camente per ogni classe, sono preziose per il lavoro su problemi cro­
nologici, sia per lo storico sia per l'archeologo, che dispongono così
di un indiscutibile terminus post quem non. Tali soglie dipendono
non solo dal ritiro coatto (come abbiamo già visto) , ma anche dall'ef-
344 LA NUMISMATICA

fetto di <<leggi>> monetarie quali la notissima legge di Gresha111 (ten­


denza alla scomparsa della moneta migliore). Un esempio (già citato)
è dato dalla scomparsa del ra111e al tempo di Gallieno in gran parte
dell'impero, come effetto della sopravvalutazione della moneta in ar­
gento, sempre più deprezzata e il cui ca111bio in moneta énea era in­
vece mantenuto stabile. Si crearono quindi le condizioni per una spe­
culazione sul ra111e come metallo da fondere. Le soglie oltre le quali
una specie monetaria non passava furono spesso caratterizzate -
come appunto per il ra111e nel III secolo d.C. - da un moltiplicarsi
dei ripostigli e dei depositi che lo risucchiavano dal mercato.
Vi furono comunque utilizzi in funzione non monetaria che han­
no portato alla sopravvivenza di molte specie oltre le soglie indivi­
duabili. Tra questi vi fu l'uso della moneta come elemento di opere
di toreutica, poi giunte fino a noi nei tesori, o come a111uleto, o come
gioiello. In questi casi, al significato monetario si sostituirono altre
valenze, talvolta molto importanti. Nei gioielli che montavano mone­
te d'oro in età romana si aveva sia l'esibizione dell'oggetto prezioso,
sia una precisa valutazione dei messaggi comunicati dal tipo della
moneta. La moneta di un imperatore veniva <<indossata>> come dimo­
strazione di lealismo e come scelta ideologica prima che come orna­
mento in una collana o in un pendente.
Altro fattore non secondario di uscita dalla circolazione per le
monete in oro di età imperiale furono i pagamenti di oggetti di lusso
importati. Le monete venivano demonetizzate ufficialmente con una
tacca profonda, che ne inibiva l'uso interno. Si trattava infatti di una
massa monetaria consistente, destinata in sostanza alla fusione (gli
sca111bi con l'estero in realtà avvenivano a peso) , ma che, rientrando
di colpo all'interno del mercato romano, lo avrebbe destabilizzato, se
non altro per l'abbassa111ento del prezzo dell'oro a seguito dell'au­
mento dell'offerta.
L'inserimento di moneta nei corredi funerari (il cosiddetto <<obolo
di Caronte>>) oscilla tra gli estremi dell'ostentazione di ricchezza a fa­
vore del morto (in una concezione utilitaristica del corredo nell'ol­
tretomba) o dei superstiti (affer111azione di status per la famiglia o il
gruppo) e l'utilizzo simbolico di materiali pratica111 ente demonetizza­
ti. Sempre comunque con scarsi vantaggi per l'analisi della circolazio­
ne monetaria antica, anche se le monete dei corredi funerari erano in
ogni caso prelevate dalla circolazione locale.
L'abbandonare moneta in una stipe votiva e soprattutto il gettarla
in depositi (solita111ente nell'acqua: in fonti, laghi, fiumi; fra le centi­
naia di esempi ricordia1110 la stipe di Vicarello, il Garigliano, il Gran
San Bernardo) sembrano obbedire al principio dell'utilizzo dei nomi­
nali a più basso valore. Ma non sempre. La selezione avveniva co­
munque in rapporto con la natura religiosa dei depositi: la moneta
rappresentava anche la testimonianza del pellegrinaggio lasciata alla
divinità e documentava quindi la provenienza dei donatori. Al Gran
San Bernardo le monete gettate nel laghetto sul passo documentano
la natura della frequentazione umana lungo uno dei principali assi
LA NUMISMATIC:A 3-15

stradali che attraversavano le Alpi. In Gallia le monete venivano si­


stematicamente fra111mentate o martellate, per demonetizzarle nel
momento della loro offerta alla divinità. Nei depositi, come nelle sti­
pi votive, si accumulava anche la doc11111entazione para111onetaria a
carattere votivo: riproduzioni in piombo, pseudomonete, ecc.
Costantemente di alto valore appaiono i depositi di fondazione di
templi, giunti a noi proprio per la loro collocazione in area inviolabi­
le. La doc11111entazione proviene un po' da tutto il mondo antico, dal
tempio di Artemide a Efeso (con monete in elettro e con lingotti:
640-630 a.C.), a quello di Apadana di Persepoli (con creseidi in oro
e argenti arcaici di Egina, Abdéra, Cipro: 5 10 a.C. ca. ), ecc. I dati,
talvolta importanti per la storia della moneta, appaiono però sgancia­
ti dai problemi della circolazione.
Forr11e particolari e privilegiate d'ir11111obilizzo nel mondo antico
erano spesso all a base della creazione dei ripostigli. Tra queste vi era­
no certa111ente non solo le casse pubbliche, che potevano congelare
moneta sia propria sia altrui, ma anche le realtà bancarie e i tesori
dei templi (che nel mondo greco ebbero una funzione quasi banca­
ria) . Queste forme di accumulo, di cui siamo talvolta a conoscenza
solo dalla narrazione delle fonti a proposito dei saccheggi, venivano
utilizzate e disperse in caso di emergenza.
Erano certamente destinate alla fusione altre forme di acc11111ulo
momentaneo come le grandi masse di moneta in occasione dei trionfi
rom�i (come quello sui Boi). ·

E necessario escludere, anche in te1111 ini teorici, l'illusione che si


possano recuperare tracce del collezionismo antico. Il collezionismo
- come selezione di monete, organizzate in sequenze sulla base della
loro bellezza, o unicità, o per qualche altra ragione - appare sostan­
zialmente estraneo al mondo antico come fenomeno diffuso, sebbene
se ne incontrino menzioni, come nell'allusione di Plinio (Naturalis
Historia XXIII, 132) ai collezionisti che pagavano i denari falsi più di
quelli veri. In realtà, la feroce ricerca, attraverso i secoli, di tutti i
metalli (ma soprattutto quelli nobili) per fonderli rende improbabile
il ritrovamento di una <<collezione>> antica.
Fattore fonda111entale sia di ritiro dal mercato sia di conservazio­
ne fino a noi delle monete sono i complessi occultati chiusi che defi­
niamo <<tesori>> o <<tesoretti>> (se con preziosi) o <<ripostigli>> (se di
sole monete, almeno due) . Essi ci forniscono potenzialmente il massi­
mo d'inforr11 azioni, condizionate dalle modalità di formazione dei nu­
clei, sempre però di difficilissima individuazione.
Una differenziazione di base nelle inforr11azioni deriva dalla finali­
tà attribuita alla raccolta delle monete di un ripostiglio: se con la
prospettiva di una reimmissione sul mercato, in funzione monetaria,
oppure considerando il valore del metallo a peso. Nel primo caso
rientrano tutti i ripostigli collegati a fenomeni di risparr11io o a situa­
zioni di emergenza, con valide possibilità di darci indicazioni sulla
circolazione contemporanea. Nei ripostigli da acct1111ulo di risparmio,
forse molto frequenti, il rispa1111iatore poteva però ritirare o aggiun-
346 LA NUMISMATICA

gere materiali nel tempo, modificandone la composizione e renden­


doli inaffidabili per le indicazioni sulla circolazione.
Nel secondo caso, invece, il fenomeno della circolazione si era
esaurito e la moneta aveva perso ogni funzione monetaria; vi era
quindi la possibilità di sopravvivenza di classi monetarie anche in ter­
mini illogici dal punto di vista economico-monetario, con scarsa utili­
tà per l'analisi della circolazione contemporanea. Vi sono poi nuclei
la cui perdita in antico fu veramente fortuita (ad · esempio una cassa
militare abbandonata in circostanze di emergenza) : sono i più impor­
tanti, in quanto non selezionati e aderenti alla realtà della circolazio­
ne quotidiana.
La conservazione delle monete avveniva nei modi più disparati,
che spesso ricaviamo dalle modalità di ritrovamento o dall'analisi dei
ripostigli. Spesso le monete erano raccolte in rotoli stretti nella stoffa,
o nascoste in cinture, messe in sacchetti e sacchi di pelle o di stoffa,
raccolte in teche di piombo, in contenitori di pietra o di legno, in
vasi di metallo o di terracotta, occultate in buchi nei muri o nei pavi­
menti, semplicemente sepolte nel terreno, ecc. (in Juoghi di solito
poco frequentati o imprevedibili).
Appare frequente in età classica la suddivisione dei ripostigli in
nuclei diversi, occultati separata111ente, per ragioni di sicurezza, con
monete talvolta suddivise per classi in diversi contenitori. Non vi
sono regole per le dimensioni e il valore complessivo dei ripostigli:
soprattutto nel caso di seppellimenti a causa d'imminenti minacce
belliche, si hanno nuclei di grande valore accanto a nuclei modesti.
Spesso però la composizione stessa dei ripostigli dà indicazioni pre­
ziose: il peso o il valore complessivi possono rappresentare una cifra
tonda o in qualche modo significativa, come un pagamento integral­
mente tesaurizzato, una o più unità di peso superiore, un valore pre­
ciso se calcolato in altra moneta, ecc. Altre volte si hanno specie di­
verse in un unico complesso, con percentuali in qualche modo si­
gnificative: il ripostiglio di monete d'argento celtiche di Manerbio
(Brescia) aveva monete di tre zecche diverse, con un numero di mo­
nete equivalente per ciascuna, e ha fatto pensare al versamento di tre
entità statali a una cassa federale.
La scomparsa del proprietario per una qualsiasi ragione (morte
naturale o violenta, allontana111ento, dimenticanza, ecc.) ha permesso
la conservazione del ripostiglio fino alla sua scoperta casuale. Esso
appare spesso, indipendentemente dalle modalità dell'occultamento,
legato a fenomeni di spostamento nello spazio degli uomini, talvolta
per ragioni commerciali. La composizione dei ripostigli (per qualsiasi
ragione nascosti) è allora preziosa per documentare rapporti com­
merciali tra aree diverse e, sotto diversa angolazione, la dinamica del­
la circolazione delle singole specie monetarie.
Lo studio della composizione dei ripostigli di età greca, caratte­
rizzata da libera circolazione, aiuta a ricostruire il sistema dei rappor­
ti economici tra i paesi del Mediterraneo e la sua evoluzione nel tem-·
po. Nel tesoro di AssiG.t (Egitto) , trovato nel 1969 e occultato intor-
LA NUMISMAl'ICA 347

no al 470 a.C., vi erano monete d'argento coniate in oltre settanta


zecche di tutto il Mediterraneo, in alta percentuale ateniesi (le più
diffuse sul mercato). Quando però i rapporti commerciali non uti­
lizzavano la moneta come mezzo di pagamento la testimonianza ne­
gativa non è di alcuna utilità.
Le situazioni di crisi, specie militari, sono le più adatte alla for­
mazione di ripostigli e tesori e alla loro conservazione, per la scom­
parsa dei proprietari. Ciò permette di studiare, attraverso le carte di
distribuzione dei ripostigli di emergenza, vicende militari con sposta­
menti di eserciti o torbidi locali.
Statisticamente i ripostigli sembrano infittirsi in Italia durante la
seconda guerra punica; poi nel periodo dalla guerra sociale a Sparta­
co; durante le guerre civili della fine della repubblica; in seguito, in
Italia settentrionale, negli anni tra Galliena e Aureliano, e poi nel V
secolo con la presenza dei Goti di Alarico e degli Unni di Attila, in
anni di massima insicurezza e instabilità.
Il ripostiglio può essersi costituito per ragioni esclusivamente eco­
nomiche: ad esempio, indipendentemente dalle vicende militari che
ne hanno permesso la conservazione fino a noi, l'infittirsi dei riposti­
gli dei sesterzi romani imperiali fino all'età di Galliena dipende dal
forzoso rapporto di cambio con l' antoniniano, come si è visto, e non
da forme di demonetizzazione o di deprezzamento.
La frequenza di ripostigli, in ogni caso, non documenta la forte
presenza in circolazione di una data moneta (nel III secolo i sesterzi) ,
ma, al contrario, la sua rarefazione.
L'occultamento di <<tesori>> ebbe inizio con la moneta stessa, e su­
bito nacque il fenomeno della loro scoperta. Un tesoro ritrovato ve­
niva considerato proprietà del principe già in età romano-bizantina.
Successivamente le legislazioni delle varie epoche e nazioni imposero
obblighi e divieti di diversa natura per gli scopritori di tesori (casuali
o a seguito di una ricerca specifica). In nessun luogo, però, si è otte­
nuta, in età moderna, la regolare consegna dei materiali ritrovati o
almeno la loro concessione per lo studio. Il ripostiglio, un tempo de­
stinato alla fusione, se non è recuperato in scavo viene ancora oggi
costantemente disperso sul mercato numismatico. Lo storico e il nu­
mismatico possono lavorare quindi solo su spezzoni dei ritrovamenti,
privati in genere delle monete in metallo più pregiato, di quelle me­
glio conservate (di solito le più recenti meno consunte, che permette­
rebbero di datare l'occultamento) , di quelle più rare. I dati utili ven­
gono così ridotti drastica111ente, anche se sono state elaborate meto­
dologie che permettono di valutare su base statistica, grazie al con­
fronto con altri rispostigli integri o in base al calcolo di abbattimento
annuo della massa circolante (le monete più vecchie sono le meno
numerose), l'affidabilità dei materiali residui. Analoghi sistemi vengo­
no utilizzati per individuare eventuali forme d'inquina111ento (inseri­
mento di monete estranee al ripostiglio).
Spesso i ripostigli scoperti nel passato venivano selezionati, con i
medesimi criteri, anche dalle strutture responsabili (musei e meda-
348 LA NUMISMATICA

glieri), talvolta senza neppure lasciare indicazioni nu111eriche. In que­


sti casi si ha una cernita di segno opposto - di soli pezzi per qualche
ragione notevoli o rari, o talvolta per tipo - che vanifica ogni possibi­
lità di lavoro statistico.
Tradizionalmente, lo studio dei ripostigli analizza le associazioni
di classi diverse di monete in un contesto sigillato in un momento
preciso. Le monete di un ripostiglio hanno presumibilmente circolato
insieme (anche se ciò è molto relativo: possono essere state infatti
riunite soltanto dal possessore del gruzzolo) e comunque insieme era­
no destinate a venire utilizzate. Viene quindi studiato il sistema delle
associazioni, confrontandolo con il sistema rilevato in altri ripostigli:
vi è pertanto la possibilità di organizzare, accanto alle carte distribu­
tive, cronologie relative. Una regola abbastanza stabile è che la con­
sunzione delle monete in un ripostiglio sia proporzionale alla durata
della loro permanenza in circolazione. Vi sono però eccezioni, specie
se il ripostiglio è di risparmio o unisce classi con diversa velocità di
circolazione: una moneta antica che ha poco circolato può essere in
migliore stato di una moneta recente che ha molto circolato.
Si può dire comunque che quasi l'intero sistema delle ipotesi cro­
nologiche della numismatica antica, in assenza di altri elementi da­
tanti, dipende dall'analisi dei tesori.
Elementi preziosi si traggono dalla ricerca comparata su ripostigli
con data di occtÙtamento diversa ma con composizione parzialmente
corrispondente: si organizzano sequenze cronologiche relative, ordi­
nate dal grado di consunzione delle stesse classi nei vari gruppi.
I ripostigli hanno spesso materiali così n11111erosi da permettere
un'ottimale applicazione dell'analisi dei conii, con l'organizzazione di
sequenze e con la definizione di ipotesi quantitative relative agli spez­
zoni di emissione doc11111entati dal ripostiglio, oppure generali.
Quando il ripostiglio non è stato modificato nella sua composi­
zione dopo la scoperta, è possibile individuarne una data presunta di
occtÙta1nento, che viene fissata a un anno variabile (in base alla velo­
cità di distribuzione delle monete dalla zecca al mercato, spesso mol­
to ridotta) dopo la data di emissione della moneta più recente del
nucleo. Se la raccolta del materiale è stata casuale e attuata in tempi
brevi sulla circolazione corrente, si avrà una percentuale annua di
presenze inizialmente ridottissima e poi sempre più consistente, fino
a un picco più alto oltre il quale, per gli tÙtimi anni, si rileva una
brusca caduta, fino a livelli minimi. La curva delle presenze, in ogni
caso, riflette sempre le situazioni locali, che sono una variabile di­
pendente dalle modalità di approvvigionamento, ma che possono
dare anche info1·111 azioni abbastanza precise sui volumi di emissione.
Purtroppo, nella pratica una simile situazione appare quasi sem­
pre indimostrabile.
Lo smarrimento della moneta singola crea giacimenti in strato ar­
cheologico, con valenza diversa dai ripostigli, che richiedono di esse­
re analizzati con metodologie completamente diverse.
LA NUMIS/\IATIC:.-\ 3�9

La selezione del materiale smarrito era inversa111ente proporziona­


le al valore nominale: la moneta a basso valore (a veloce circolazio­
ne) , portata sulla persona quotidianamente, era abbandonata senza
problemi, mentre la moneta ad alto valore (a lenta circolazione) veni­
va più raramente perduta e comunque poi cercata con accanimento.
Effetto di ciò è l'eccezionale rarità della moneta aurea in scavo. Ne
derivano il valore della documentazione di scavo solo per il segmento
inferiore della circolazione antica e la necessità d'integrare i dati con
altre classi di materiale, valutando attentamente l'affidabilità della
campionatura del circolante rappresentata dai materiali raccolti in
scavo o con ricerca di superficie.
Lo smarrimento della moneta appare un evento inevitabile ovun­
que si usi moneta per gli sca111bi quotidiani. Vi sono comunque luo­
ghi in cui tende a concentrarsi la moneta smarrita: scarichi per l' ac­
qua, interstizi nel basolato stradale, aree non pavimentate, ecc.
Notevoli risultati ha dato la ricerca basata sulla registrazione dei
dati di ritrova111ento isolati (o sporadici) della moneta antica, prescin­
dendo dalle modalità di smarrimento o di occulta111ento. I dati ven­
gono organizzati in termini sistematici e in carte distributive. Va co­
munque ricordato come un ca111pione statistico sufficientemente affi­
dabile di una <<popolazione>> di monete sia sempre più ridotto di
quanto comunemente non si pensi, in base alle premesse metodologi­
che che obbligano la ricerca storica alla completezza filologica.
Appare ovvio che le monete perdute provenivano da una massa
circolante in cui le emissioni recentissime coesistevano con tutte le
emissioni precedenti per qualsiasi ragione non uscite dal mercato.
Una moneta, quindi, può essere stata perduta anche moltissimo tem­
po dopo la sua emissione, con gravi problemi d'interpretazione del
suo contesto di ritrovamento.
Nei ritrovamenti isolati appaiono intere classi che non sono rap­
presentate nei ripostigli o lo sono rara111ente. Tra queste tutti i mate­
riali paramonetali di basso valore intrinseco e le monete di emergen­
za, come le monete fra111mentate, delle quali già si è detto. Tra i ma­
teriali isolati erano sicura111ente presenti anche pezzi gettati via per­
ché falsi, o comunque rifiutati sul mercato.
Inoltre, tra il materiale isolato, si hanno anche monete provenien­
ti da ripostigli dispersi nel terreno (ad esempio per aratura), che
sono un potenziale elemento di inaffidabilità delle elaborazioni stati­
stiche, ma che è necessario accettare.
Mentre i ripostigli mostrano una maggiore mobilità, tendono a
selezionare le specie monetarie e permettono di seguire le linee lungo
le quali la moneta si sposta per ragioni commerciali o di altro genere,
i ritrovamenti isolati, limitati alle specie di più basso valore intrinse­
co, individuano aree di circolazione preferenziale, che solita111ente
circoscrivono (con eccezioni) i centri di produzione, cioè le zecche di
emissione. Per tale via è stato possibile riconoscere le ipotetiche sedi
delle zecche gall iche, sia transalpine sia cisalpine. Per queste ultime i
risultati sono apparsi macroscopicamente divergenti a seconda . che si
350 LA NUMISMATICA

prendessero in considerazione i ripostigli oppure i ritrovamenti isola­


ti. In base a questi ultimi sono state restituite a Mediolanum/Milano
emissioni prima attribuite alla popolazione alpina dei Leponzi.
Si è tentato, sulla base di valutazioni del vol11111e del circolante in
una località, di calcolare il tasso di smarrimento e abbandono annuo
della moneta divisionale: nel forte di Corbridge (Gran Bretagna) sa­
rebbe stato del 3 o/o . Il tasso è ovviamente una variabile e tende a
elevarsi in proporzione all'aumento della velocità di circolazione e
quindi nelle situazioni urbane. Esso concorre alla definizione della
circolazione in ciascun momento, e appare fondamentale per com­
prendere la curva delle presenze - organizzate per anno - nei riposti­
gli, che indica, ad esempio alla metà del III secolo d.C., scarsa di­
sponibilità sul mercato di specie in rame più vecchie di un secolo,
con crescita esponenziale delle presenze avvicinandosi alla data di
occultamento.
La costanza del tasso di smarrimento nei singoli luoghi porta, al­
meno in te1111ini di ipotesi, a una possibilità di correlazione tra fre­
quenza dei rinvenimenti e vicende demografiche o economiche del
sito. Appare ovvio che la scomparsa del pop0Ja111ento implica la ces­
sazione della documentazione, e si data (orientativamente) dalle ulti­
me monete abbandonate. La riduzione della documentazione può in­
vece indicare situazioni di crisi o di modifica del sistema economico,
o un calo numerico degli abitanti.
Ha certamente un significato la percentuale della presenza di cia­
scun nominale al medesimo livello cronologico in situazioni territo­
riali diver5e. Appare evidente che una presenza preponderante di no­
minali molto modesti indica una cultura monetaria molto articolata e
solida, che impone l'uso della moneta in termini di quotidianità. Se
ne può dedurre ipoteticamente una vita economica attiva, con una
veloce circolazione del mezzo monetario. Significato opposto sembra
avere la preponderanza, nella stessa fascia cronologica e in altro luo­
go, di monete di più alto valore intrinseco e nominale.
A parte l'ipotesi di una caduta, in quel luogo, del valore intrinse­
co e del potere di acquisto della moneta o di un forte arricchimento
generale (con moneta più facilmente perduta e abbandonata) , ciò
sembrerebbe indicare un impoverimento della vita economica, con lo
sca111bio monetario limitato alle transazioni medie. Una simile econo­
mia sembra avere minore vitalità e potrebbe essere legata a for111e di
produzione autarchica e a situazioni sociali di maggiore rigidità (non
necessariamente di povertà) .
La presenza sporadica in un territorio di moneta d'altri paesi
viene comunemente intesa come documentazione di contatti com­
merciali. Il principio è certamente da cqnsiderarsi valido, ma la sua
accettazione acritica appare pericolosa. E necessario infatti, prelimi­
narmente a una qualsiasi elaborazione statistica dei dati, verificare la
ragione della presenza della moneta in quel dete1111inato contesto,
senza dimenticare che non necessaria111ente scambi commerciali im­
plicano lo spostamento fisico della moneta, com'è dimostrato da si -
LA NUMISMATIC:A 35 1

tuazioni in età moderna e contemporanea che vedono la moneta as­


sente in presenza di documentati contatti di altro genere. Non solo:
la circolazione in un centro poteva prevedere la circolazione di emis­
sioni esterne per alcune classi di nominali (ad esempio la moneta di­
visionale) , mentre la escludeva per altre (ad esempio per il metallo
nobile) . Le situazioni andranno quindi verificate di volta in volta.
Lo stesso dato positivo non può sempre essere considerato pro­
bante, in considerazione delle molteplici ragioni per cui una moneta
poteva viaggiare in ter111ini non economici: con il soldato, con il pel­
legrino, in transito diretta a un terzo luogo, ecc.
La situazione ideale per la ricerca è rappresentata dai rari casi di
una realtà bloccata istantaneamente, che si ha in occasioni rarissime.
Tra queste sono i crolli, gli incendi, le inondazioni, le frane, l' affon­
da111ento di navi, la morte improvvisa di uomini senza il recupero del
corpo, ecc.: questo quadro catastrofico si ha forse solo per le città
vesuviane, con qualche limite. Vi fu infatti nel 79 d.C. il tempo per
organizzare in qualche modo una selezione dei propri beni da porta­
re nella fuga, anche se questa era destinata a concludersi tragica111en­
te. L'interramento, almeno a Pompei, non fu poi sufficiente a impedi-
• • • •

re scavi s1stemat1c1 poster1or1 per recuperare soprattutto oggetti pre-


• • •

ziosi. Comunque, i dati noti (però di difficile raccolta ed elaborazio­


ne) paiono <<fotografare>> la circolazione nelle città vesuviane al mo­
mento dell'eruzione.
Nel caso di uno scavo archeologico la raccolta sistematica della
documentazione numismatica avviene in associazione con altre classi
di materiali. La moneta è un utile sussidio per la datazione di unità
stratigrafiche, che non possono essere di formazione anteriore alla
data di emissione della moneta, e per l'interpretazione del significato
funzionale degli spazi. Quando la giacitura delle monete è significati­
va, può essere ad esempio indizio d'una funzione commerciale di
quel luogo. In qualche caso le classi associate alla moneta ne permet­
tono una migliore collocazione nel tempo.
Fondamentale per la datazione della moneta è il suo collocarsi in
preciso rapporto con situazioni stratigrafiche databili o provenire, per
esempio, da un sito abbandonato in un momento noto: uno strato di
distruzione databile a Morgantina in Sicilia al 2 14 o al 2 1 1 a. C. ha
permesso di proporre un terminus ante quem per i denarii repub­
blicani romani che vi erano contenuti. Infine, il collocarsi di una se­
quenza di emissioni monetarie all'interno di una sequenza stratigrafi­
ca affidabile permette di definire un sistema di datazioni relative e
talvolta assolute.
Quando uno scavo propone materiali numismatici molto ricchi e
distribuiti su aree particolarmente vaste (come gli scavi di Milano ne­
gli ultimi anni, che hanno dato oltre 2.000 monete), si hanno possibi­
lità di analisi statistiche spesso molto sofisticate e di confronto con
altri centri analizzati secondo metodi analoghi. I materiali vengono
organizzati su carte distributive e resi in termini tabellari, su fasce
cronologiche di emissione convenzionali (per rendere confrontabili i
(a)

(d)
(e)

(e)

TAv. 1 . (a) Statere in elettro della Lidia con quadrato incuso ( metà VI sec. a.C.; gr. 10,76; n.
inv. M .987.7 . 1 8 1 ) .
(b) Tetradracma in argento di Atene ( dal 480 a . C . ; gr. 17, 10; n . inv. B. 174 1 ) .
(e) Statere incuso in argento di Caulonia ( seconda metà VI sec. a . C . ; gr. 7.,93 ; n . inv.
B.5 195 ) .
(d) Didracma in argento di Rodi, con la rosa ( IV sec. a.C.; gr. 6,67; n. inv. B.2889 ) .
(e) Tetradracma in argento incuso di Kos con il discobolo (seconda metà VI sec.
a . C . ; gr. 16,48; n . inv. B.2870) ..
(/) Moneta in bronzo di Olbia (Chersoneso Tracico) a forma di delfino (V sec. a.C.
o successivo; gr. 1 ,69; n. inv. B.614 ) .

Nota : Tutte le monete riprodotte qui e in seguito sono conservate presso le Civiche Rac­
colte Numismatiche di Milano.
(h)

(a)

(d)

(e)

(e)

TAv . 2 . (a) Tetradracma in argento di Seleuco IV di Siria ( 188/7- 175 a.C. ; gr. 16,98; n. inv.
M.O. 9 . 19864) . •

(b ) Denario in argento suberato romano repubblicano, con ritratti di M. Antonio e ·

di Ottaviano ( 4 1 a.C.; gr. 2,7 1 ) .


(e) Tetradracma in argento dei Celti danubiani, da prototipo greco (III-II sec. a.C.;
gr. 14,38; n. inv. R.2095 ) .
(d) Dupondio in oricalco di Nerone (54-68 d.C.; gr. 14,52; n. inv. M.0.9. 1573 7 ) .
(e) Denario aureo di Augusto (27 a.C. - 14 d.C . ; gr. 7,88; n. inv. M.0.9.604 1 ) .
(a)

(b )
(e)

(d)

TAv . 3 . (a) Medaglione bimetallico ( rame e oricalco) cli Commodo ( 1 80-192 d . C . ; gr. 5 1 ,69;
n. inv. B.4782 ) .
(b) Sesterzio in oricalco per Antonino Pio divinizzato, con la pira ( 161 d . C . ; gr.
24,92 ; n . inv. C .684 ) .
(e) Antoniniano di Aureliano in rame argentato (270-275 d . C . ; gr. 3 ,79; n. inv.
M .0.9 . 12246 ) .
(d) Sesterzio in oricalco di Faustina II ( 1 6 1 - 176 d.C. ; gr. 22,23; n. inv. B. 4437 ) .
(a)

(e)
(b )

TAv . 4. (a) Contorniato con effigie di Vespasiano ( IV sec. d . C . ; gr. 2 8,29; n . inv. C . 0003 ) .
(b ) Sesterzio in oricalco di Claudio ( 4 1 -54 d . C . ) con contromarca PROB (gr. 24,49;
n . inv. M.0.9. 153 1 1 ) .
(e) Quarto di Siliqua in argento con monogramma di Teodorico (489-5 1 8 ; gr. 0,70;
n . inv. M. O . 9. 1 8 . 408) .
2

5 4

TAV. 5. Diagramma a blocchi del numero dei pezzi in funzione del peso; emissioni di Aureliano
nelle zecche di Milano e Ticinum (da S. Estiot, Ripostiglio della Venera. 11. 1 : Aureliano,
Roma, 1 995 , p. 1 15 ) .
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TAV. 6. Grafico prospettico dei ritrovamenti monetari in scavo con segni di zecca ad Antiochia.
Secoli IV e V, per zecca e fase (Arslan).

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TAV. 7 . Grafico prospettico a nastro dei pesi e dei tipi delle monete In

bronzo di Leone I
(Arslan).
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TAV. 8. Grafico con proiezione sui due assi principali dei risultati delle analisi dei componenti
metallici principali della moneta bronzea di Marsiglia (da C. Brenot e J. Barrandon, Les
émissions de bronze à Marseille: apport des analyses. I: Les bronzes lourds, in <<Revue
Numismatique>>, XXX , 1988, p. 106) .

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14-37 4 1 -54 69-81 96- 1 17 138-161 180- 192

TAV. 9. Grafico di comparazione della frequenza dei ritrovamenti monetari in età romana in area
danubiana (da P. Kos, The monetary circulation in the southeastern alpine region ca. 300
B. C.-A.D. 1000, Ljubljana, 1986).
LA NUMIS:\l .\Til: �.
.
3 )9

dati), utilizzando in particolare le indicazioni di zecca sulle monete di


IV-V secolo. Ciò permette la valutazione delle anomalie locali (rispet­
to alla situazione generale), con possibilità di elaborare ipotesi che
spieghino la situazione locale e nel contempo di approfondire la co­
noscenza dei macrofenomeni che interessano ampie realtà sovraregio­
nali, attraverso la verifica in sede locale delle situazioni generali.

8. Le collezioni numismatiche. La schedatura

Sulla fo1111 azione delle grandi collezioni numismatiche pesa nega­


tiva111ente la tradizione dello studio della moneta come oggetto isola­
to e pezzo da collezione.
Le più antiche presero forma in età 11111anistica, sulla base di inte­
ressi più che altro iconografici; si svilupparono poi come raccolta di
modelli artistici, e solo molto più tardi di documenti antiquari ap­
prezzati per la loro rarità e nella loro autenticità.
Sia la pratica del collezionismo sia la definizione della <<scienza>>
numismatica come classificazione si andarono definendo tra il XVI
secolo e la fine del XVIII. Nacquero in questi secoli le prime grandi
collezioni, spesso come appendici di biblioteche e destinate a diveni­
re i nuclei base delle grandi raccolte nazionali.
Sul versante storiografico, con la Doctrina Nummorum Veterum di
J.-H. Eckhel (in 8 volumi, 1792-1798), la numismatica si propone in
termini rimasti ancora oggi fonda111entalmente invariati. Ma è nel se­
colo successivo che nascono le principali Società Numismatiche na­
zionali (quella Numismatica di Londra, poi Reale, è del 1 836; quella
belga del 1 84 1 ; quella statunitense - l'ANS = American Numismatic
Society - del 1 858) e le principali riviste periodiche (quasi tutte an­
cora attive) , spesso organi delle Società. Prendono forma anche le
principali iniziative di documentazione delle maggiori collezioni,
come quella del British Museum (dal 1 873 inizia il Catalogo delle
monete greche) . Ma accanto ai Corpora, che troveranno la più impor­
tate realizzazione nella Sylloge Nummorum Graecorum (collana inter­
nazionale iniziata nel 193 1 ) , nel XIX e XX secolo vengono proposti
per ogni ambito di ricerca strumenti critici di classificazione sempre
più completi. Dal Cohen per il mondo romano (H. Cohen, Descrip­
tion historique des monnaies /rappées sous l'empire romain, 8 voli.,
Paris, 1 857 - 1 868) , al Sabatier per il mondo bizantino (J. Sabatier, De­
scription générale des monnaies byzantines, 2 voli., Paris, 1 862) , al de
la Tour per il mondo celtico (H. de la Tour, Atlas des monnaies gau­
loises, Paris, 1 892), allo Heiss per il mondo ispanico (A. Heiss, Des­
cription générale des monnaies antiques d'Espagne, Paris, 1 870) , e poi,
fino ai giorni nostri ma sulla medesima linea, al RJC (Roman Imperia!
Coinage, dal 192 1 ) , al Crawford (M. Crawford, Roman Republican
Coinage, Cambridge, 1974), al MIR (Moneta Imperii Romani) , al MIB
360 LA NUMISMATICA

(Moneta Imperii Byzantini, dal 1973 ) e al DOC (A.R. Bellinger, Ph.


Grierson, Catalogue o/ the Byzantine Coins in the Dumbarton Oaks
Collection, Washington, dal 1966).
Soprattutto nel nostro secolo innumerevoli sono le monografie
dedicate a singole zecche, in età sia greca sia romana. In termini
generali è però da segnalare il quasi costante squilibrio tra la ricerca
legata al collezionismo e all'analisi antiquaria e quella legata alla giu­
stificazione storico-economica dei fenomeni della circolazione. Solo
recentemente, infatti, l'evoluzione della ricerca verso l'analisi dei fe­
nomeni di circolazione, che pur si sviluppa da spunti ancora otto­
centeschi (soprattutto del Mommsen, forse il primo a utilizzare la
moneta come fonte storica in termini moderni), ha portato a iniziati­
ve destinate a documentare i ritrovamenti stÙ territorio. Così sono
nate, a livello internazionale (<<Coin Hoards>>, pubblicazione periodi­
ca ora confluita in <<Numismatic Chronicle>>) o nazionale (<<TAF>> =

<<Corpus des Trésors Monétaires>>, in Francia; <<RMISA>> = <<Riposti­


gli Monetari in Italia. Schede Anagrafiche>>; <<RMIDoC>> = <<Riposti­
gli Monetari in Italia, Doc11111entazione dei Complessi>>; <<Bollettino
di N11n1ismatica del Ministero dei Beni Cwturali>>, con particolare at­
tenzione ai ripostigli) iniziative per la segnalazione o la pubblicazione
dei ripostigli e dei ritrovamenti isolati. Per questi la realizzazione più
completa è oggi costituita dai <<Fundmiinzen>> tedeschi, con le inizia­
tive collegate per l'Austria, la Slovenia, il Lussemburgo, ora il Veneto
(<< Ve>>) (cfr. Bibliografia).
La tradizione plurisecolare della ricerca numismatica ha permesso
l'elaborazione di regole convenzionali molto precise, che permettono
la compilazione di schede esaustive del materiale, con soluzioni suffi­
cientemente sintetiche da pe1111ettere la gestione di grandi numeri di
schede e con criteri che stanno facilitando l'utilizzo del mezzo infor-

mauco.
Della moneta vengono indicate l'area ctÙturale di appartenenza,
lo stato o la città che la emette, i responsabili dell'emissione e l'auto­
rità garante, la zecca, il nominale (se noto). Se non lo è, in alcuni
casi la critica ha adottato sistemi di classificazione convenzionale. Per
il ra111e di IV e V secolo ci si basa stÙ dia111etro: AES I-II-III-IV (in
ordine decrescente) .
La moneta viene poi individuata nei suoi caratteri fisici (composi­
zione del metallo, peso, dia111etro [come larghezza del D/ o, meno
corretta111ente, come diametro massimo, o massimo e minimo] , posi­
zione relativa dell'asse del D/ sull'asse di R/) , nei tipi di D/ (di incu­
dine; meno corretta111ente il tipo con l'immagine o la leggenda prin­
cipali) e di R/ (di martello) , con precisa indicazione (oggi secondo le
convenzioni in uso per l'epigrafia greca e latina, un tempo in caratte­
ri maiuscoli) della leggenda (indicandone la collocazione e la direzio­
ne e rispettando segni d'interpunzione, connessioni di lettere e spazi)
e descrizione sintetica dei tipi.
LA NUMIS�l-\TI•::.'·
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Vanno accettate, nelle descrizioni, precise convenzioni, come l'in­


dicazione della destra e della sinistra (ad esempio: <<nel ca111po a d.>>
o <<nel campo a s.>>), relativa111ente all'osservatore e non alla figura-

z1one.
Si prevede, con i medesimi criteri, la descrizione dei tipi della
moneta eventualmente riconiata, di eventuali contromarche, dei segni
lasciati sulla moneta dalla circolazione (spezzatura, usura, tacche,
ecc.) .
La descrizione dello stato di conservazione, secondo indicazioni
abbreviate (come ad esempio FDC = fior di conio) , è costantemente
utilizzata in sede mercantile, ma appare troppo soggettiva per essere
utile in sede scientifica. Solitamente si utilizzano indicazioni a caratte­
re descrittivo: moneta consunta, illeggibile, graffiata, lucidata, bucata
(senza perdita di metallo) , forata (con perdita di metallo) , lacunosa,
martellata, montata (come gioiello) , dorata, ecc. Fino a <<rilavorata>> o
<<bulinata>>, solita111ente a opera di truffatori moderni o per rendere
visibili particolari di difficile lettura. L'indicazione della rarità, un
tempo affidata alla maggiore o minore presenza della classe sul mer­
cato, ancora oggi viene utilizzata per definire le quotazioni ( C = Co­
mune; R8 = nota da due o tre esemplari), non ha rilevanza scientifi­
ca se non è riferita a calcoli statistici rigorosi sia sulla totalità del ma­
teriale tràdito, sia sui volumi di produzione originari.
La citazione bibliografica viene sempre sdoppiata, con la biblio­
grafia di riferimento (che pern1ette la classificazione anche in assenza
'

di descrizione) e la bibliografia specifica del pezzo. E di fondamenta-


le importanza, per comprendere la meccanica della schedatura n11111i­
smatica, la coscienza della natura di multiplo della moneta. Ciò per­
mette una ricostruzione affidabile dei tipi attraverso il confronto di
esemplari diversi, ciascuno incompleto. La lettura di un esemplare
unico mal conservato si presenta invece, talvolta, difficilissima.
Si prevedono poi sempre l'indicazione del contesto di ritrova­
mento, la storia moderna del pezzo, gli interventi di restauro, le ana­
lisi effettuate sul metallo , gli eventuali collega111enti in sequenza di
conio con altre monete.
Da tempo si è infine accettato il principio della necessità della
doc11111entazione fotografica sistematica dei materiali (anche se di mo­
desta o pessima conservazione), sostituendola al disegno.
La schedatura sistematica dei materiali utilizza infine una serie di
griglie catalogiche, crono-topografiche (per l'età greca) e cronologi­
che (per l'età romana) , molto complete e universalmente accettate.
Forse soltanto la scienza epigrafica ha elaborato strumenti così sofi­
sticati al servizio della ricerca.
Appare utilissimo per la ricerca l'uso di calchi, per la possibilità
di analizzare contemporanea111 ente i diritti e i rovesci e per la miglio­
re resa fotografica rispetto agli originali.
Si hanno raccolte ufficiali di calchi, che pern1ettono di creare
ideali sequenze di materiali irrealizzabili con gli originali.
362 LA NUMISMATICA

9. La documentazione numismatica come fonte storica

Da quanto si è detto si evince che la moneta, sia in sede di emis­


sione (nella quale già si configura come un multiplo) , sia in sede di
circolazione, sia in sede di recupero e analisi, si propone sempre in
termini di <<popolazione>>, più o meno n11111erosa, di cui è naturale, a
determinate condizioni, l'analisi statistica.
Va però anche specificato che l'universo dei materiali oggi dispo­
nibili non rappresenta assoluta111ente una ca111pionatura valida e affi­
dabile dell'emesso o della circolazione in qualsiasi mo111ento del pas­
sato, in ter111ini sia quantitativi sia qualitativi.
Pesantemente penalizzate appaiono le categorie paramonetali, per
le quali è mancato sia l'interesse collezionistico del passato (e quindi
la spinta alla raccolta e alla conservazione), sia la possibilità di una
razionalizzazione catalogica, naturale invece per le emissioni <<ufficia­
li>>.
Praticamente sconosciuti quindi, anche se esistenti, sono i piom­
bi, le tessere, le emissioni irregolari, i falsi antichi, talvolta anche le
monete suberate; e spesso anche il materiale che ha subito una forte
usura durante la circolazione.
Ma pure in riferimento al materiale <<ufficiale>>, i dati percentuali
desumibili dall' esa111e diretto delle collezioni (pubbliche e private)
sono sempre svianti, per la selezione operata quando i materiali era­
no in circolazione e, ancora più, in occasione della collocazione nelle
collezioni. Sono quindi da utilizzare con sospetto i tentativi di rico­
struire la circolazione antica attraverso il censimento delle monete
note.
La moneta rappresenta spesso l'unica fonte disponibile per la ri­
cerca storica su fatti o situazioni non altrimenti documentati, oppure
li integra e corregge. L'usurpatore Uranius Antoninus, in realtà il sa­
cerdote siriaco Sa111psigeramos, è noto con questo nome solo dalle
monete; così come inn111nerevoli problemi - soprattutto cronologici -
vengono affrontati solo attraverso il sistema delle legende sulle mone­
te imperiali, spesso molto particolareggiate. Molta della documenta­
zione epigrafica contemporanea di area gallica e iberica preromana è
legata unicamente alle monete.
La moneta è per la storia fonte primaria e contemporanea, con
carattere di esplicita ufficialità (che non è però garanzia d'imparziali­
tà e di attendibilità nella trasmissione delle informazioni), non richie­
de sforzi ricostruttivi se non raramente, in quanto trasmessa a noi
quasi sempre completa, al contrario di gran parte della documenta­
zione antica (anche letteraria) che esige sempre notevoli sforzi d'in­
terpretazione e d'integrazione.
Un settore della ricerca che non può prescindere dallo studio at­
tento dei tipi monetari, proprio per la necessità di una comunicazio­
ne il più possibile sintetica e per immagini, è quello dedicato al rico­
noscimento e all'evoluzione dei simboli del potere: corone, diademi,
mappe, globi, scettri, ecc. L'immagine del detentore del potere pro-
LA NUMISMATICA 363

posta sulle monete è spesso del tutto identica o complementare, per


la sua ufficialità, a quella voluta dai rituali che presiedevano alle sue
apparizioni in pubblico.
Per certe fasi la moneta rappresenta poi una fonte prosopografica
di notevole importanza, ad esempio per gli artisti che fir111 ano in età
classico-ellenistica, per i tresviri moneta/es romani o per i magistrati
monetari delle zecche greche, oltre che per le autorità emittenti o po­
poli non altrimenti noti.
Un ambito di ricerca molto ben delimitato, che è stato esplorato
con estrema attenzione soprattutto dagli storici dell'arte antica, è
quello della moneta come documento (spesso unico) di opere d'arte
perdute, riprodotte nei tipi non tanto per il loro significato estetico
quanto per il loro significato religioso o politico, o come semplice
individuazione topografica. Il simulacro del dio veniva spesso utiliz­
zato, soprattutto nella monetazione coloniale di età romana imperia­
le, come simbolo della città.
Un'analisi attenta dei tipi, soprattutto di quelli a carattere narrati­
vo, in molti casi appare preziosa per la conoscenza <<antiquaria>> del
mondo antico: l'abbigliamento, l'armamento, le tecniche - da quelle
di costruzione di navi, o di porti, o di ponti, o di edifici, a quelle
della lavorazione dei metalli -, aspetti antropologici, o della fauna, o
della botanica antica, fino ai rituali cerimoniali e religiosi. Appunto
per lo studio delle antiche religioni, soprattutto in ambiti periferici,
la moneta è fonte essenziale.
Non solo è la moneta stessa a darci talvolta informazioni circa i
metodi della propria fabbricazione, ma anche rappresenta spesso, at­
traverso le modalità della sua presenza in circolazione e della sua so­
pravvivenza fino a noi, l'unica documentazione disponibile circa il
proprio uso e cioè sul funzionamento dell'economia nel mondo anti­
co : un tema sul quale le fonti letterarie sono molto reticenti.
Ma è anche necessario ricordare come la testimonianza fornita
dalla moneta appaia facilmente e volutamente manipolata proprio
per la natura di messaggio attribuita a tipi e a legende. E si deve
altresì sottolineare l'inefficacia del monumento numismatico per la
definizione del potere d'acquisto della moneta nei vari luoghi e mo­
menti. Si tratta di una variabile per la quale è necessario fare ricorso
all'utilizzo incrociato soprattutto delle fonti letterarie, epigrafiche,
papirologiche.

1 O. Cronologia essenziale

Molte delle date proposte sono controverse e richiederebbero


una giustificazione critica che non è proponibile in questa sede. La
cronologia qui acclusa ha dunque valore solo indicativo.

640-630 a.e. inizio della monetazione in Asia Minore occidentale.


600 a.e. ss. monetazione in elettro della Ionia.
364 LA NUMISMATICA

580 a.e. o ss. inizio monetazione di Egina.


570 a.e. o ss. inizio monetazione di Corinto.
560 ca. a.C. e ss. monete con <<tipi araldici>> ( Wappenmunzen) ad Ate­
ne.
VI-V sec. a.C. <<Civette>> ateniesi.
560 a.e. ss. monetazione di Creso.
Metà del VI sec. a.C. ss. monetazione incusa di Magna Graecia.
550-530 a.e. ss. monetazione di Naxos in Sicilia.
530-5 15 a.e. ss. monetazione di Siracusa.
5 15 a.e. ss. monetazione persiana.
• •

5 10 ca. a.C. ss. monetazione ateniese con la civetta.


409 a.e. ss. monetazione siculo-punica.
prlffii ritratti m area microasiauca.

V sec. a.C.
• • • • • • •

339 ca. a.C. ss. data tradizionale inizio aes signatum in Roma.
332 a.e. ss. inizio monetazione ellenistica.
Ulti1110 quarto IV sec.
a.C. ss. (o 269 a.C.) monetazione romano-campana.

III sec. a.C. inizio monetazione celtica.


235 ca. a.C. ss. quadrigato in Roma.
2 15-2 14 a.e. creazione del denario di 4 scripula (<<scrupoli>>). Ridu­
zione sestantale. Monetazione aurea in Roma.
170 a.e. riduzione unciale.
92-91 a.e. Lex Papiria de aeris pondere: riduzione semiunciale.
27 a.e. Ottaviano diviene Augusto: inizio convenzionale del­
la monetazione imperiale romana.
18 a.e. rifor111a augustea della monetazione bronzea.
63 d.C. riduzione del peso del denario.
2 14 d.C. creazione dell' antoniniano.
270-275 d.C. rifo1111 a di Aureliano.
293 -294 d.C. riforma di Diocleziano.
324 d.C. creazione del solzdus aureus e del miliarense.
346 d.C. rifor111a della monetazione bronzea: la pecunia maio-

rzna.
3 83 d.C. demonetizzazione della maiorina.

1 1 . Bibliografia

Per un approccio al problema generale della numismatica antica è


utilissima la lettura di C. Morrisson, La Numismatique, Paris, PUF,
1992 (a carattere generale e largamente utilizzato in questo contribu­
to), e di Ph. Grierson, Introduzione alla numismatica, Roma, 1984
(meno recente, ma indispensabile per l'interesse portato anche al
mondo classico e alla numismatica moderna) . M. Crawford, Numi­
smatica, in M. Crawford et al. , Le basi documentarie della storia anti­
ca, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 1 85-234, presenta una suddivisione
della materia completa111ente diversa rispetto al mio saggio, ma appa­
re comunque utilissimo, sebbene non sempre di facile approccio per
il lettore non specialista. Insostituibile per la trattazione sistematica
della materia M.R. Alfoldi, Antike Numismatik, Mainz, 1978, con gli
aggiornamenti bibliografici, cui si rimanda anche per !'introduzione
LA NUMISMATICA 365

sulla storia della critica e per un quadro generale e specifico delle


emissioni monetarie nel mondo antico. Un buon panora111a generale,
'

con bibliografia essenziale, è in N. Vismara e R. Martini (a cura di) ,


Le monete del Museo Civico di Legnano, Milano, 1988.
Appare improponibile una bibliografia di base anche solo sinteti­
ca della materia. Si fornisce qualche indicazione che può essere utile
allo sviluppo di temi toccati nel testo.
Per la problematica della definizione della moneta, con alcuni ele­
menti di divergenza da questo testo, E. Ercolani Cocchi, Unità-riser­
va di valore, strumenti di pagamento, mezzi di scambio in Emilia Ro­
magna e in Italia, in AA.VV. , La formazione della città in Emilia Ro­
magna, Bologna, 1 987 , pp. 13 1 - 173 . Per la premoneta, si veda W.
Donlan, Scale, Value, and Function in the Homeric Economy, in
<<AJA>>, 85 (1981), pp. 101- 1 17 . Fondamentale appare il recente M.
Cacca1110 Caltabiano e P. Radici Colace, Dalla premoneta alla moneta,
Pisa, 1992 .
Per le elaborazioni statistiche: G .F. Carter, A Simplified Method
/or Calculating the Originai Number o/ Dies /rom the Link Statistics,
in <<American N11111ismatic Society, Museum Notes>>, 28 (1983 ) , pp.
195 -206; W.W. Esty, Estimation o/ the Size o/ a Coinage: A Survey
and Comparison o/ Methods, in <<Numismatic Chronicle>>, 146 ( 1 986) ,
pp. 185-2 15; nonché il recente F. de Callatay, G. Depeyrot e L. Villa­
ronga, I.:argent monnayé d'Alexandre le Grand à Auguste, Bruxelles,
1993 .
Manca un quadro complessivo non invecchiato per la moneta
greca. Si può fare riferimento a G.F. Hill, Historia Nummorum, Ox­
ford, 191 1 , o a opere di sintesi come C. Kraay, Archaic and Classica!
Greek Coins, London, 1976; per le singole zecche o gli aspetti regio­
nali, ci si riferisca alla sterminata bibliografia specifica, spesso di altis­
simo livello. Appare indispensabile il ricorso alle opere catalogiche,
dai cataloghi del British Muse11111 (dal 1873 ) ai vol111ni della SNG
(Sylloge Nummorum Graecorum, dal 193 1 ).
Apparentemente più facile è l'approccio alla monetazione roma­
na, a partire da Th. Mommsen, Geschichte des romischen Munzwesens,
Berlin, 1860, fino a M. Crawford, Roman Republican Coinage, Cam­
bridge, 1974; Id. , Coinage and Money Under the Roman Republic,
London, 1985 (spesso molto discutibile); e opere di sintesi come
R.A.G. Carson, Coins o/ the Roman Empire, 1990, o alle serie dei
RIC (H. Mattingly, E.A. Sydenham et al. , Roman Imperia! Coinage =

RIC, London, 1923 ss. : fino al recente voi. IX, di J.P.C. Kent, che
giunge fino alle emissioni di Zenone), dei BMCRE (H. Mattingly,
Coins o/ the Roman Empire in the British Museum, London, 1923 ss. :
fino a Balbino e Pupieno) e del LRBC (Ph.V. Hill, J.P.C. Kent e
R.A.G. Carson, Late Roman Bronze Coinage, London, 1960) .
Per i problemi generali di metodo circa la moneta come docu­
mento archeologico appare ancora utilissimo Ph. Grierson, in <<Nu­
mismatic Chronicle>>, 1965 , Proceedings, pp. I ss. ; e 1966, Proceed-
366 LA NUMISMATICA

ings, pp . I ss. I ritrova111enti vengono proposti sistematica111ente, sia


per i ripostigli sia per i materiali isolati, nelle seguenti collane: per la
Ger111ania in <<F >> (<<Fundmiinzen der romischen Zeit in
Deutschland>>, con opere analoghe per Austria, Ungheria, Lussem­
burgo, Slovenia), per la Francia nei <<TAF>> (<<Corpus des Trésors
Monétaires Antiques de la France>>, dal 1980); e per l'Italia nei
<< V>> (<<Ritrova111enti Monetali di Età Romana nel Veneto>>, dal
1922) , nei <<RMISA>> (<<Ripostigli Monetari in Italia. Schede Anagrafi­
che>>, dal 1980) , nei <<RMIDoC>> (<<Ripostigli Monetari in Italia. Do­
cumentazione dei Complessi>>), nonché, infine, nei volumi del <<Bol­
lettino di Numismatica del Ministero dei Beni Culturali>> (dal 1983 ) .
Un'ottima dimostrazione delle possibilità di analisi dei ritrova­
menti su un territorio delimitato è data da P. Kos, The Monetary Cir­
culation in the Southeastern Alpine Region ca. 300 BC - AD 1 000,
Ljubljana (Situla, 24), 1986. Un tentativo in Italia è stato fatto da
E.A. Arslan, Le monete, in D. Caporusso (a cura d i ) , MM3 Scavi
1982-1990, Milano, 199 1 - 1 992 , pp. 7 1 - 130. Recentissimi sono, per
l'Italia, B. Callegher, Trento - Teatro sociale: scavi 1 991! 1992. Le mo­
nete repubblicane, imperiali e medievali: analisi critica e catalogo del
complesso numismatico, in ARCHEoALP - Archeologia llelle Alpi, voi.
IV, Trento, 1998, pp. 7-34 1 ; e E.A. Arslan, Le moneti', in Santa Giu­
lia di Brescia. Gli scavi dal 1980 al 1992, Reperti prerof7'1an1� romani e
altomedievali, a cura di G.P. Brogiolo, Firenze, 1999, p 11 . 3 3 1 ss.
Per i ritmi mc>netari, si veda Rythmes de la produ<·tion monétai­
re, de l'Antiquité à nos ;ours, Paris, 10- 12 gennaio 1 986, Louvain­
la-Neuve, 1987 . Per le firme di incisori sulla moneta, M. Guarduc­
ci, Epigrafia greca, Roma, 1975 , voi. III, pp. 530 ss. Per la moneta
coloniale greco-imperiale, K. Kraft, Das System der kaiserzeitlichen
Munzpragung in Kleinasien, Berlin, 1972 . Per le imitazioni, P. Ba­
stien, Imitations o/ Roman Bronze Coins, A.D. 31 8-363, in
<<ANSMN>>, 30 (1985) , pp. 143 - 177. Per un approccio <<scientifico>>
ai problemi numismatici, si veda ancora W.A. Oddy (a cura di) ,
Scientific Studies in Numismatic, London, 1980. Per la coniazione
sperimentale, D. Sellwood, Some Experiments in Greek Minting
Technique, in <<NCHR>>, 1 963 , pp. 2 17-23 1 . Per i contorniati, A. e
E. Alfoldi, Die Kontorniat-Medaillons. I: Katalog; II : Kommentar,
Berlin, 197 6-1 990. Per i medaglioni, F. Gnecchi, I medaglioni ro­
mani, 3 voll., Milano, 1908- 1912. Per i materiali para111onetari e gli
usi non monetari della moneta: Atti del Convegno <<Moneta e non
moneta>> (Milano 1992), RIN, 1993 . Per le tessere, M. Rostovtzev e
M. Prou, Catalogue des plombs antiques de la Bibliothèque Nationa­
le, Paris, 1900; M. Rostovtzev, Tesserarum Urbis Romae et suburbi
plumbearum sylloge, San Pietroburgo, 1903 .
Un'ottima bibliografia è in P. Grierson, Bibliographie Numisma­
tique, Bruxelles, 1979. Ricchissima appare la bibliografia proposta
in Alfoldi, Antike Numismatik, cit. , voi. II. La bibliografia numi-
LA NUMISMATICA 367

smatica è proposta sistematicamente in <<The N111nismatic Literatu­


re>> (dal 1947 ) dell'ANS, nella Bibliografia di <<]di>>, in <<Gnomon>>,
nell' <<Année Philologique>>, nelle relazioni dei congressi internazio­
nali di numismatica, a partire da quello di Parigi ( 195 3 ) . Qualsiasi
ricerca bibliografica va ormai però impostata in ambito regionale o
tematico.

• • •

ice e1 n I
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Abbagnano, N., 32 Andreau, J., 1 13
Abbott, F. , 259 Angeli Bernardini, P. , 239
Accame, S., 2 1 1 Angeli Bertinelli, M.G., 175
Achille Tazio, 295 Annibale, 135, 139, 343
Acilio, Gaio, 1 3 5 Anonimo su Tucidide, 176
Adcock, F.E., 173 Antioco III il Grande, re di Siria, 137
Adriano, Publio Elio, imperatore, 154, Antioco IV Epifane, re cli Siria, 293,
156, 157 , 159, 1 6 1 , 226, 294, 295, 294, 336
301 Antipatro di Tessalonica, 48
Africa, Th.W., 1 7 1 Antonelli, Q., 3 05
Agathias, 1 6 Antonini (gens ) , 158, 159
Agatocle di Siracusa, 132 Antonino Pio, imperatore, 159, 25 1 ,
Agesilao di Sparta, 127 354
Agirreazkuenaga, J., 32 Antonio, 40
Agnello, S.L., 227, 230 Antonio Agostino (Augustinus), 2 1
Agostino, Aurelio, 16, 17, 1 66, 1 82, 193 , Antonio, Marco, 148, 353
1 94 Anziate, Valerio, 142, 143 , 173
Agricola, Gneo Giulio, 155, 156 Appiano di Alessandria, 159, 179, 1 90
Agrippa, Marco Vipsanio, 153, 1 80, 292 Aquilio Regolo, Marco, 153
Agrippina Minore, 153
Arangio Rliiz, V. , 239
Alarico I, re dei Visigoti, 166, 202, 347
Arato di Sicione, 142
Alberti, S., 33
Archiloco di Paro, 127
Alceo di Mitilene, 126, 127
Archinos, 2 1 1
Alessandro Balas, 293
Aristio Optato, 293
Alessandro III Magno, re di Macedonia,
Aristogitone, 2 1 0
19, 1 3 1 , 140, 15 1 , 159, 1 92, 2 19, 325,
Aristotele, 130, 13 1 , 140, 290, 309-3 1 1,
330, 332, 333 , 336, 340
3 17
Alfoldi, A. , 3 66
Armodio, 2 1 O
Alfoldi, E., 3 66
Arriano di Nicomedia, Flavio, 159, 179,
Alfoldi, M.R. , 3 64, 3 66
Alfoldy, G., 1 80, 258 190
Aline, 304, 307 Arrighetti, G., 291
Alonso Nufiez, J.M., 175 Arsinoe, 338
Altaner, B., 169 Arslan, E.A. , 1 17, 357, 366
Ambaglio, D., 176 Aruleno Rustico, Giunio, 153
Ameinolas, 222 Ashby, T. , 92
Amelotti, M., 32 Asinio Palliane, Gaio, 146, 147, 159
Amyx, D.A., 1 13 Assorodobraj, N., 32
Anastasio I, imperatore d'Oriente, 166 Atanasio di Alessandria, 1 64
Anderson, R.D., 290 Ateius, 1 08
Andreae, B., 1 13 Atkinson, J .E., 177
3 72 INDICE DEI NOMI

Attico, Tito Pomponio, 144, 145, 174, Bierbrauer, V. , 32


187 Bietti, A., 1 19
Attila, re degli Unni, 347 Bietti Sestieri, A.M., 58, 1 14, 212, 232
Audollent, A., 239, 274 Binford, L., 74
Augusto, Gaio Giulio Cesare Ottaviano, Bingen, ]., 300
imperatore, 15, 89, 142, 144, 147-149, Bintliff, J., 1 17
153 , 157, 166, 180, 190, 243 , 255, Biraschi, A.M., 176
264, 265, 273 , 291-293 , 33 1 , 333 , 336, Bird, H.W., 180
353 , 364 Bittel, K., 1 13
Aureliano, Lucio Domizio, imperatore, Blanc-Panard, Ch., 56
160, 320, 338, 342, 347, 354, 364 Blegen, C.W., 204, 2 14
Aurelio Vittore, Sesto, 160, 180 Bloch, M., 19, 32, 48, 7 1
Avi-Yonah, M., 232 Bloch, R., 259
Blockley, R.C. , 181
Bacchilide, 290 Bloomer, W.M., 177
Badian, E., 172 Boardman, J., 1 13
Bagnall, RS., 288, 290, 292, 296-299, Bobbio, L., 1 19
301 Bocchoris, faraone d'Egitto, 69
Bahn, P., 1 14 BOckh, A., 2 19, 220, 244
Balbino, Decimo Celio Calvino, impera- Boehringer, E., 325
tore, 365 Boezio, Anicio Manlio . Severino, 162
Baldwin, B., 178, 181 Baffo, L., 233
Ballance, M.H., 237 Boh1111 ann, M., 177
Bandy, A.C., 229 Bolingbroke, H.St.J ., 10
Banfì, E., 305, 306 Bolland, ]., 23
Baradez, J.-L., 53 Bomer, F. , 173
Barbanera, M., 1 15 Bonacchi, G., 56
Bardenhewer, O., 169 Bonamente, G., 170, 181, 182
Barigazzi, A., 178 Boni, G., 79, 82
Barker, G., 1 17 Bonnet, C., 232
Barker, Ph., 1 18 Borghesi, B., 244
Bar Kochba, Shim' on, 292 Borgia, R., 289
Barrandon, J., 358 Bossert, H.Th., 204
Bass, F.G., 1 18 Bosworth, A.B., 179
Bastianini, G., 293 Bottini, A., 1 15
Bastien, P., 366 Bowersock, G.W., 175, 178- 180
Battle Huguet, P., 259 Bowman, A.K., 288, 292, 297, 298, 301
Baurain, C., 232 Bradford, J., 53
Bayle, P. , 1 1 Braudel, F., 19, 33, 37, 54, 72, 73
Beazley, J.D., 67, 1 13 Bravo, B., 292
Becchi, E., 305 Breccia, E., 238
Bechtel, Fr. , 220, 240 Brecht, B., 125
Bees, N.A., 229 Breebaart, A.B., 169
Behr, C.A., 179 Breglia Pulci Daria, L., 1 7 1
Bellinger, A.R. , 360 Brenot, Cl., 358
Beloch, J., 58 Breton, J.-Fr. , 238
Benario, H.W., 178 Bretone, M., 29
Bengtson, H., 239 Briscoe, J., 175
Bérard, C., 1 14 Brodersen, K., 179
Bérard, Fr., 233 , 260 Brogiolo, G.P., 366
Bemand, A., 238 Bron, Ch., 1 14
Bemand, E., 238 Brown, P.RL., 16, 1 17, 182
Berti, N., 172 Brown, T.S., 171
Beschi, L., 87 Bruit Zaidman, L., 1 14
Bessone, L., 179 Bruno, M.G., 57
Bezerra de Meneses, U., 1 15 Bruto, Marco Giunio, 144, 33 1
Bianchi Bandinelli, R., 57, 79, 80, 88, Bucaille, R., 1 14
90, 1 12, 1 16 Biicheler, F., 246
373

Buckler, W.H., 237 Catulo, Quinto Lutazio, 14 1 , 1 / 3


Burke, P., 33 Cavallo, G., 29, 168, 230
Caylus, A.-C.-Ph. de, 63
Caccamo Caltabiano, M., 365 Celio Antipatro, Lucio, 139, 172
Cagnat, R., 240, 259 Cduzza, M.G., 1 1 8
Cagos, T., 299 Cerri, G., 1 69, 170
Calabi Limentani, I., 173, 259 Certau, M. de, 27, 33
Calascibetta, A.G., 2 1 2 Cesare, Gaio Giulio, 1 1 , 19, 143- 145 ,
Calder, W.M., 237 147, 149, 150, 154, 158, 173 , 244,
Caligola (Gaio Giulio Cesare Ge1111ani- 264, 33 1
co), imperatore, 149, 264 Chadwick, J., 204, 207, 2 14, 23 1
Callatay, F. de, 365 Champollion, J.-F., 204
Callegher, B., 366 Chassignet, M., 172
Callino di Efeso, 126 Chesnut, G.F., 1 82
Calpumio Bibulo, Lucio, 144 Chiari, A., 1 87
Callu, J.P., 1 82 Christiansen, E., 298
Camassa, G., 23 1 Cicerone, Marco Tullio, 1 1 , 22, 23, 129,
Cambi, F., 1 1 8
135, 138, 140, 14 1 , 143 - 145, 174, 1 87 ,
Cambiano, G., 29, 1 68
1 88, 272, 285
Cameron, Av., 33, 169, 180, 1 82, 237
Cincio Alimento, Lucio, 135, 136
Camus, P., 1 8 1
Canali, L., 39 Cipriani, G., 173
Canfora, L., 168- 170, 173 - 1 76, 1 84, 232 Ciro II il Grande, re di Persia, 127
Canova, R, 229 Ciro il Giovane, 127
Capasso, M., 288 Clarke, D.L., 74, 76, 100
Capitani, O., 33 Classen, C.J., 174
Capogrossi Colognesi, L., 58 Claudii (gens), 143
Caporusso, D., 366 Claudio (Tiberio C. Nerone Ge1111ani­
Caracalla (Marco Aurelio Antonino) , im­ co), imperatore, 13, 150, 153 , 247,
peratore, 1 93 , 1 94, 25 1 , 3 19 292, 355
Caracciolo, A., 56 Clearco, 127
Carandini, A., 3 3 , 58, 105 , 1 12, 1 16, Clemente Alessandrino, Tito Flavio, 163
1 18 Cleon (o Creon), 294
Cardinali, G., 246 Cleopatra VII , regina d'Egitto, 143, 148
Carino, Marco Aurelio, unperatore

Clistene, 78, 87
d'Occidente, 161 Clodius Culcianus, 296
Carletti, C., 227, 228, 260 Cluverio, F., 52
Carlo I Magno, imperatore dd Sacro Coarelli, F., 1 0 1 , 1 16
Romano Impero, 3 1 Coccia, S., 1 17
Carlyle, T. , 16 Cockle, W.E.H., 288
Carpenter, R, 2 1 2 Cohen, H., 359
Carr, E.H., 14, 33 Cola di Rienzo (Nicola di Lorenzo),
Carson, R.A.G., 365 2 19 , 243
Carter, G.F., 3 65
Collart, J., 174
Casaubon, I., 1 6 1
Collitz, H., 240
Casini, M., 33
Columba, G.M., 52
Cassio Dione, Cocceiano, 43 , 159, 179,
1 80, 190, 193 , 194
Columella, Lucio Giunio Moderato, 10
Cassiodoro Senatore, Flavio Magno Au- Comba, R., 58
relio, 165 Commodo, Marco Aurelio, imperatore,
Cassio Emina, Lucio, 138, 172 264, 354
Cassio Severo, 147 , 149, 153 Consolino, F.E., 1 80
Cassola, F., 172, 175, 180, 1 95 Conte, G.B., 57
Castagnoli, F., 58 Corbier, M., 258
Catilina, Lucio Sergio, 188 Corbulone, Gneo Domizio, 153
Catone il Censore, Marco Porcio, 10, Cordano, F., 57
134, 136-139, 14 1, 144, 172 Cordo, Elio o Giunio, 161
Catone l'Uticense, Marco Porcio, 153 Co1111 ack, J.M.R., 237
3 74 INDICE DEI NOMI

Costantino I il Grande, imperatore, 23 , Diehl, E., 227


30, 105, 161, 164, 166, 199-202, 257, Dihle, A., 170
284, 3 19, 329, 333, 340 Dilke, O.A.W., 58
Costanzo II, imperatore, 162, 198 Dillery, }.D., 170
Cotton, H.M., 288 Diocleziano, Gaio Valerio, imperatore,
Courbin, P., 1 12 161, 293 , 296, 299, 3 1 8, 3 19, 364
Cox, C.W.M., 237 Diodoro Siculo, 69, 130, 148, 17 1 , 175,
Cozza, F., 92 188, 2 10, 293
Cracco Ruggini, L., 33, 179, 181, 182 Diogene di Enoanda, 220
Crane, G., 170 Dione Crisostomo di Prosa, 158, 179,
Crawford, M., 29, 359, 364, 365 192
Cremuzio Cordo, Aulo, 149 Dionigi di Alicarnasso, 43 , 82, 136, 149,
Creso, re di Lidia, 3 1 1 , 3 64 176, 189, 190, 243
Criniti, N., 172 Dionisotti, A.C., 174
Crispo, 201 Dioskoros di Afroditopoli, 291
Cristofani, M., 1 15 , 1 16 Di Salvo, L., 175
Crizia, 127 Di Stefano Manzella, I., 258, 260
Croce, B., 14 Dittenberger, W., 220, 223 , 234, 236,
Cugusi, P., 172 239
Culasso Gastaldi, E., 32 Domiziano, Tito Flavio, imperatore, 153,
Cuomo di Caprio, N., 1 16 155, 156, 158, 192, 264, 330
Curtius, E., 220 Donati, A., 228, 244
Donlan, W., 365
D'Agostino, B., 1 15 , 1 18 Dopsch, A., 3 1
Dagron, G., 237 Dorey, T.A., 172, 173
D'Andria, F. , 1 19 Dorner, F.C., 237
Dareste, R., 239 Dorpfeld, W., 2 12
Dario I, re di Persia, 127, 332 D'Orsi, A., 33
Daris, S., 288 Dressel, H., 66, 97, 1 13
Darwin, C.R., 17, 65 Drews, R., 171
Daverio Rocchi, G., 58 Driessen, ]., 205
Decio, Gaio Messio Quinto, imperatore, Droysen, J.G., 300
296 Druso, Claudio Nerone o Druso Mag-
Degrassi, A., 225, 246, 259 giore, 146
Deichmann, F.W., 1 17 Dryton, 300
Deissmann, A., 302, 303 Dubois, L., 236
Dekkers, E., 168 Duby, G., 99, 1 14
Delamarre, I., 235 Dumézil, G., 73
Delbianco, P., 176 Dunbabin, T.J., 2 1 1
D'Elia, S., 169 Duncan-Jones, R., 27, 33
Della Corte, F., 178 Dunst, G., 236
Delogu, P., 33 Duride di Samo, 124, 130-132, 1 7 1
Durkheim, E., 72
'

Demetrio II Nicatore, re di Siria, 293


Demostene, 188 Diirrbach, F., 235
Den Boer, W., 34, 181 Dyson, S., 1 15
Depeyrot, G., 365
De Prott, I., 239 Ecateo di Mileto, 123 , 124, 188, 2 10
De Rossi, G .B., 227, 244 Eckhel, J.-H., 359
Derow, P., 173 Edie, J.W., 171
De Ruggiero, E., 246 Edson, C., 234
De Sanctis, A., 2 12, 232 Eforo di Cuma, 130, 170, 17 1, 188
De Sanctis, G., 14, 170, 17 1 Einstein, A., 17
Desideri, P., 33 , 179, 192 Elena, Flavia Giulia Augusta, 199
Dessau, H., 227, 246 Elgin, Th.B., 64
Detienne, M., 232 Elio Aristide, 158, 179
Devine, A.M., 179 Elio Tuberone, 143
Dexippo l'Ateniese, 160, 166 Elliott, T.G., 181
Di Berardino, A., 169 Emilio Paolo Macedonico, Lucio, 140
INDICE DEI NOMI 375

Enea Tattico, 152 Filippo l'Arabo, Marco Giulio, impera­


Engels, F. , 72 tore, 160
Ennio, Q11into, 156 Filippo II Augusto, re di Francia, 37
Enste, S., 297 Filippo II, re di Macedonia, 129, 334,
Epicadio, 142 336, 340
Epicuro, 291 Filone di Bisanzio, 152
Epifanio, 165 Finley, M.I., 47 , 85-87, 1 12, 1 13
Epitteto di Ierapoli, 159 Finzenhagen, U., 57
Eraclio I, imperatore d'Oriente, 3 1 Fiorelli, G., 94
Eratostene di Cirene, 126, 1 83 Firpo, M., 33
Erbse, H., 170 Fisher, T. , 177
Ercolani Cocchi, E., 365 Fishwick, D., 180
Erhard, J., 34 Flacelière, R., 177, 233
Er111enesiatte di Colofone, 300 Flavi (gens), 15 1 , 154, 155, 243
Eroda, 290 Flavio Biondo (B. Biondi), 2 1 , 52
Erode il Grande, re di Giudea, 148 Flavio Giuseppe, 1 5 1 , 1 64, 177
Erodiano, 160, 1 80, 190, 1 94, 1 95 Floro, Lucio Anneo (o Giulio), 157,
Erodoto di Alicamasso, 9, 17, 18, 20, 179
43 , 123 -125 , 127, 129, 130, 170, 183 , Flower, M.A., 170
1 88, 207-2 1 1 , 290, 295 Foca, imperatore d'Oriente, 3 1
Erxleben, E., 234 Foraboschi, D., 289, 299, 300, 305, 306
Esiodo di Cuma, 39, 40, 93 , 94, 122, Ford, H., 12
126 Fomara, C.W., 34, 169
Estiot, S., 356 Forni, G., 175
Esty, W.W., 365 Foucault, M., 22, 25, 34
Euainetos, 335 Fraccaro, P., 52, 53
Euclide, arconte, 2 1 1 Francovich, R., 1 13 , 1 15 , 1 1 8
Eucratide di Battriana, 340 Frankel, M., 234
Eunapio di Sardi, 166 Franz, J., 220
Euripide, 125, 127 Fraschetti, A., 1 80
Eusebio di Cesarea, 164, 165, 1 98-200, Fraser, P.M., 220
3 04, 329 Frassinetti, P., 175
Eutropio, 160, 1 80 Fredrich, C., 236
Evagrio di Antiochia, 165 Frey, J.-B., 229, 238
Evans, A.J ., 65 , 203 , 204, 23 1 Frier, B.W, 17 1 , 296
Evans, J.A.S., 170 Fries, J., 175
Exakon, 293 Fusco, F. , 182
Fuste! de Coulanges, N.D., 22, 24
Fabio Massimo Serviliano, Quinto, 138
Fabio Pittore, Quinto, 134- 136, 138, 172 Gabba, E., 58, 17 1 , 172, 175, 176, 179,
Facchini Tosi, C., 179 1 80, 300
Falkner, M., 2 1 1 Gaio Balbo, 105
Falsone, G., 2 12 Gaio Cesare, 273 , 274
Fannio, Gaio, 138, 172 Galand-Hallyn, P., 178
Fausta, 201 Galasso, G., 34
Faustina II, 354 Galba, Servio Sulpicio, imperatore, 266
Febvre, L., 19, 24, 34, 7 1 Galdi, M., 178
Fedeli, P., 57, 168 Galestes, principe Atamano, 293
Feissel, D., 229, 233, 237 , 260 Galla Placidia, 2 1
Feldrnann, L.H., 177 Gallazzi, C., 292
Fenestella, 150 Gallieno, Publio Licinio Egnazio, impe-
Fentress, E.W.B., 58, 1 18 ratore, 198, 3 19, 343 , 344, 347
Ferrero, L., 1 7 1 Gallo, Gaio Cornelio, 290, 291
Ferrua, A., 227, 229, 230 Gallo, I., 178, 288
Pesto, Rufio, 161, 1 8 1 Galvagno, E., 175
Fidone, re di Argo, 3 10 Gamurrini, F., 92
Filarco, 132, 1 7 1 Gara, A., 287, 289, 294, 298, 299
Filino di Agrigento, 135 Garbini, G., 232
37 6 INDICE DEI NOMI

Garcia Valdés, M., 178 Gregorio I Magno, 3 1


Garzetti, A., 296 Gregorovius, F. , 3 1
Gasca Queirazza, G., 59 Grendi, E., 34
Gasperini, L., 238 Grierson, Ph., 360, 364-366
Gatier, P.-L., 238 Griffin, M., 292
Gatti, I., 227 Grilli, A., 174
Gauthier, N., 228 Grossi Gondi, F., 227, 260
Gawantka, W., 239 Grottarelli, A., 1 19
Geiger, J., 174 Grume!, V., 230
Génicot, L., 34 Gruytere, J., 219, 243
Gentili, B., 34, 169, 170 Guarducci, M., 2 1 1, 223 , 227, 232, 233,
Gemet, J., 23, 34 366
Gemet, L., 1 14 Gugel, H., 167
Gerone II, re di Siracusa, 332 Guidi, A., 100, 1 15, 1 18
Giacchero, M., 299 Guidobaldi, M.P., 58
Gianfrotta, P.A., 1 18 Guidoboni, E., 58
Giardina, A., 33, 34, 57, 1 16, 168, 174, Guthrie, W.K.C., 237
180, 181 Guyer, S., 237
Giarrizzo, G., 33 Guzzo, P.G., 1 13
Gibbon, E., 10, 16, 3 1 , 34
Gibson, E., 229 Hahn, I., 179
Gigante, M., 288 Hamman, A., 168
Giorgio Merula (G. Merlano di Negro), Hansen, P.A., 240
21 Hamack, A., 168
Giovanni Crisostomo, 16 Harris, B.F., 179
Giovanni, evangelista, 297 Harris, E.C., 95, 96, 103, 1 18
Girolamo, Sofronio Eusebio, 44, 164 Harun ar-Rashid, 301
Giuliano l'Apostata, Flavio Claudio, im- Harvey, P.B., 174
peratore, 18, 162 Haussoullier, B., 239
Giuliano, Marco Antonio, 153 Hayes, J.W., 1 16
Giulio-Oaudii (gens), 149, 15 1, 264, Heberdey, R., 23 7
333 Hegel, G.W.F., 18
Giulio Ossequente, 43 , 44, 161 Heiss, A., 359
Giuniano Giustino, Marco, 148, 158 Hellegouarc'h, J., 181
Giustiniano, Flavio Pietro Sabazio, im- Hengstl, J., 302
peratore d'Oriente, 1 1 , 152, 165 Henzen, W. , 244
Gnecchi, F., 366 Hering Bianco, M., 20
Gneo Gellio, 138 Herr111 ann, P. , 237
Gnoli, G., 1 15 He11111ann, W., 172
Godart, L., 23 1 Herzfeld, E., 237
Goldmann, B., 179 Herzog, R. , 236
Golin, D., 172 Hexeter, J.H., 34
G6mez Espelosin, F.J. , 179 Hicks, E.L., 236
Gordon, A.E., 34, 259 Hill G.F., 365
,

Goscinny, R. , 1 1 Hill Ph.V., 365


,

Gough, M.R.E., 237 Hiller von Gartringen, F. , 234-236


Gowing, A.M., 1 80 Hobsbawm, E.J., 13, 32, 35
Gracco, Gaio Sempronio, 138, 143 , 287 Hodder, I., 77, 1 15
Gracco, Tiberio Sempronio, 138, 139, Holbach, P. -H. Dietrich d', 1 1
143, 287 Holly, M.A. , 35
Grace, V.R., 1 16 Holscher, T., 88, 1 17
Graeme, G., 169 Holzberg, N., 174
Granio Liciniano, 158 Hopkins, K., 29, 85
Graziano, Flavio, imperatore d'Occiden- Homblower, S., 173
te, 162 , 265 Horsley, G.H.R., 304
Greene, K., 1 16 Hose, M., 179
Grégoire, H., 227 Hudson, P., 1 18
Gregorio di Tours, 16 Humphreys, S.C., 70, 7 1
INDICE DEI NOMI 3 77

Hurst, A., 176 Labieno, Tito, 147, 149


La Bua, V., 171
Ieronimo di Cardia, 131 Lagidi (dinastia), 338
Iggers, G.G., 36 Laks, A. , 289
Igino, Gaio Giulio, 153 Lamboglia, N., 79
Imhoof-Blumer, F. , 325 Lambrinoudakis, W, 233
Iperide, 290 Lana, I., 168, 176
Ippia, 126 Langlais, V., 167
Ippolito di Roma, 163 Lanza, D., 168
Irzio, Aulo, 143 La Penna, A., 157, 172, 173 , 175
Isocrate, 127, 188 La Regina, A., 2 12, 232
La Rocca, E., 1 16, 1 17
Jacob, Ch., 57 Lasserre, F., 17 6
Jacoby, F. , 167, 2 1 0 Launey, M., 235
Jalabert, L., 238 Lazzaretto, A., 33
Janni, P., 57 Le Bas, Ph., 237
Jashemski, W. , 26 Lebègue, A., 236
Jeffery, L.H., 2 1 1 , 232 , 234 Lefèvre, E., 175
Jenkinson, E., 173 Le Gendre, G.C., 2 1
Jiménez Fernandez, J., 170 Le Goff, J., 19, 2 1 , 27, 33, 35, 1 14, 304
Johnson, A., 259 Leidl, Ch.G., 179
Johnson, J.H., 299 Lejeune, M., 2 12
Jones, A.H.M., 3 1 , 35 Lelio, Gaio, 138
Jossa, G., 177 Lenger, M.T. , 293
Jiirgensen Thomsen, C., 65 Lenin, N. (V.I. Ul'janov) , 72
Leonardo da Vinci, 1 O
Kaibel, G . , 226, 236, 240 Lepore, E., 36, 1 12, 174
Kalinka, E., 237 Leschhorn, W., 233
Karpe, M., 83 Letronne, A.-J., 238
Kaufrnann, C.M., 227 Letta, C., 172, 180
Keenan, J.G., 292 Leute, U., 1 18
Keil, J., 237 Leveau, P. , 52, 57
Kemal, Mustafà, detto Atatiirk, 13 Levi, M.A., 171
Kent, J.P.C., 365 Levick, B., 237
Kern, O., 234 Lévi-Strauss, C., 12, 35, 73
Kiepert, R., 53 Lewis, D., 234, 239
Kircher, A., 52 Lewis, N., 287, 300
Kirchhoff, A., 212, 220, 232 Lewis, R., 1 1
Kirchner, I., 234 Libanio di Antiochia, 158, 162
Kittel, G., 238 Librale, D., 179
Klaffenbach, G., 234, 236 Licinio Calvo, Gaio, 143
Kober, A., 204 Licinio Macro, Gaio, 143 , 173
Koenen, L., 299 Licinio, Valerio Liciniano, imperatore
Kohler, U., 220 d'Oriente, 201
Kolbe, W, 234 Lic6frone di Calcide, 132
Kontorini, V., 236 Licurgo, 16
Kos, P. , 358, 366 Lifshitz, B., 229, 239
Kraay, C., 365 Lintott, A.W., 180
Kraft, K., 366 Lisimaco, 332
Kramer, B., 292 Lissarrague, F., 1 14, 1 15
Krater6s di Macedonia, 2 1 9 Livio, Tito, 15, 43, 82, 135, 143, 146,
Krings, V. , 232 147, 150, 157 , 158, 166, 175, 188,
Kroymann, J., 167 292, 294
Krummery, H., 259 Lizzi, R., 178
Kubinska, J., 230 Lombardo, M., 232
Kula, W., 20 Longo Sofista, 39
Lounsbury, RC., 178
Labate, M., 174 Lowenthal, D., 35
378 INDICE DEI NOMI

Luca, evangelista, 15 Matthiae, P., 30, 35


Luciano di Sarnosata, 176 Mattingly, H., 365
Lucullo, Lucio Licinio, 142 Mazza, M., 173 , 175, 1 82
Lund, A.A., 178 Mazzarino, S., 18, 30, 125, 169, 172,
173, 1 80
Mabillon, J., 23 Mazzoleni, D., 227
MacBain, B., 43 , 59 McGing, B.C., 179
MacMullen, R., 3 1 , 35, 258 McNellen, B.E., 299
Macready, S., 1 17 Mecenate, Gaio, 147 , 1 80
Macrino, Marco Opellio, imperatore, Meiggs, R., 239
161 Meister, K., 170
Macry, P., 34, 3 6 Melantone (P. Schwarzerd), 16
Maddoli, G., 176, 207, 23 1 Mélèze-Modrzejewski, J., 307
Maffei, S., 244, 258 Menandro, 290
Magnenzio, Flavio Magno, 162 Menone, 127
Magnino, D., 179 Mentz, A., 2 12
Magno Massimo, 162 Merkelbach, R., 239
Maier, F.G., 240 Messalla Corvino, Marco Valerio, 153
Maiuri, A., 236 Messeri, G., 300
Malcovati, E., 167, 181 Meyer, E., 2 12, 259
Maltese, E., 168 Meyerson, I., 73
Manacorda, D., 1 13 , 1 15, 1 18 Michel, Ch., 239
Manfredi, M., 288 Migeotte, L., 239
Manganaro, G., 172 , 236 Migne, J.-P., 167
Mangani, G., 57 Mihailov, G., 23 8
Mannoni, T. , 1 1 8 Millar, F., 174, 175, 1 80, 288
Mao Tze-tung, 12 Milne, J.G., 238
Marasco, G., 179, 1 80 Miranda, E., 236
Marazzi, M., 1 14 Mitchell, S., 237
Marcato, C., 59 Mitridate VI Eupatore Dioniso, re del
Marcellino, Ammiano, 157, 161- 163 , Ponto, 148, 336, 338
1 8 1 , 196- 198 Mitteis, L., 308
Marcia, 149 Moccheggiani Carpano, C., 1 1 8
Marco Aurelio Antonino, imperatore, Molé Ventura, C., 175
159 Molinari, A., 1 1 8
Marco, evangelista, 297 Momigliano, A., 30, 3 1 , 34, 35, 84, 1 1 6,
Marcane, A., 182 125 , 127, 168- 172, 177, 180
Marengo, S.M., 238 Mommsen, Th., 236, 244, 360, 365
Mario, Gaio, 143 Mondésert, Cl., 238
Mario Massimo, 161 Montanari, F., 168
Mario Massimo Perpetuo Aureliano, Lu- Montesquieu, Ch.-L. de Secondat di
cio, 161 la Brède e di, 34
Markus, R.A., 1 82 Montevecchi, O., 288, 289, 297, 298,
Marrou, H.-I., 15, 35, 227 3 00
Martelli, M., 1 13 Montfaucon, B. de, 63
Martini, R., 365 Mooren, L., 291
Marucchi, O., 227 Moreau, J., 227
Marx, K.H., 18, 72, 73 Morel, J.-P., 1 16
Marziale, Marco Valerio, 288 Morelli, D., 238
Maslakov, G., 177 Moreschini, C., 179
Massafra, A., 34, 36 Moretti, L., 226, 230, 233 , 236, 239
Massenzio, Marco Aurelio Valerio, 201 Morpurgo, A., 23 1
Massimino il Trace, Gaio Giulio Vero, Morris, I., 77, 1 15
imperatore, 160, 195 , 196 Morrisson, C., 32 1 , 364
Masson, O., 220, 236 Moscati, P., 1 19
Mastrocinque, A., 171 Moscati, S., 29, 35
Matthews, E., 220 Most, G.W, 289
Matthews, J., 181 Mouterde, R., 238
)
� - -

INDICE DEI NOMI -

Moxon, I.S., 169 Otone, Marco Salvio, imperatore,


Miiller, C., 167 260
Muller, M., 244 Ottaviano, vedi Augusto
Miiller, Th., 167 Ovidio Nasone, Publio, 147 , 152
Muratori, L.A., 49, 244
Musca, D.A., 259 Pabst, A. , 182
Musti, D., 33, 170, 172, 176, 205, Pack, R.A., 290
207, 23 1 Pais, E., 52, 79, 82
Musurillo, H., 296 Palladio, Rutilio Tauro Emiliano, 10
Myres, J.L., 203 , 23 1 Pallottino, M., 79, 1 12, 1 15
Palmade, G., 34
Naldini, M., 304 Panciera, S., 258, 259
Napoleone I Bonaparte, 64 Panella, C., 104, 1 18
Narducci, E., 173 , 174 Panessa, G.G., 59
Naveh, ]., 2 12, 232 Panezio di Rodi, 144, 148
Negev, A., 230 Panofsky, E., 88
Nenci, G., 30, 32 Paolo Diacono (P. Vamefrido), 45
Nepote, Cornelio, 144, 153 , 173 , Papenbroeck, D., 23
174, 1 87 Parker, H.T., 36
Nerone, Lucio Domizio, imperatore, Parsons, P.J ., 290
153, 1 80, 264, 3 19, 330, 3 3 1 , 353 Parti, 338
Nerva, Marco Cocceio, imperatore, Paschoud, F., 1 82
155, 156, 162, 264-266 Pasquali, G., 52
Nerva, Publio Licinio, 335 Pasqui, A., 92
Nicolao Damasceno, 148, 176 Pasquinucci, M., 1 17, 1 18
Nicomaco Flaviano, Virio, 161 Paton, W.R., 235, 236
Niebuhr, B.G., 244 Pauly, L., 5 1
Nisbet, R.G.M., 290 Pausania, 5 1 , 93 , 273
Nora, P., 33, 1 14 Pavese, C., 13
Norcio, G., 179 Pavlovskis, Z., 57
Nurna Pompilio, re di Roma, 17 1 Payne, H., 66, 68, 69, 1 13
Nurneriano, Marco Aurelio Nurnerio, Peacock, D.P.S., 1 16
imperatore d'Oriente, 161 Pearson, L., 17 1
Pédech, P., 170, 1 7 1
Oates, J.E., 290 Peek, W., 225, 240
Ober, ]., 171 Pellegrini, G.B., 59
O'Callaghan, J., 297 Pellizzari, A., 1 82
Oddy, W.A., 366 Pennacini, A., 177
O'Donnell, J.J., 1 82 Pensabene, P. , 258
Olcese, G., 1 18 Perelli, L., 1 88
Olimpiodoro di Tebe, 166 Pericle, 87, 89, 128
Oliverio, G., 238 Pemier, L., 203
Olivieri, A., 239 Perrot, M., 99, 1 14
Olshausen, E., 175 Pérseo, re di Macedonia, 140
Omero, 9, 1 6, 3 8, 122, 123 , 126, Persio Fiacco, Aulo, 153
127, 1 83 Pesetz, J.M., 1 14
Onorio, Flavio, imperatore d'Occi- Pestman, P.W., 288
dente, 165 Peter, H., 167
Opelt, I., 1 80 Petitmengin, P., 233, 260
Oppio, Gaio, 144 Petracco Sicardi, G., 59
Orazio Fiacco, Quinto, 147 , 152 Petronio, Gaio, 157
Origene, 16 Petzl, G., 228
Orosio, Paolo, 15, 165, 1 66 Pflaum, H.G., 259, 299
Orsi, D.P., 173 Philippson, A., 53
Orsmida, 201 Pianezzola, E., 175
Orton, Y., 1 16 Piccirilli , L., 178
Orwell, G., 13 Pietri, Ch., 1 17, 260
Orwin, C., 170 Piganiol, A., 30
3 80 INDICE DEI NOMI

Pirenne, H., 3 1 Quintiliano, Marco Fabio, 23


Pisone Frugi, Lucio Calpumio, 138, •

172 Radici Colace, P., 365


Pirro, re d'Epiro, 132, 138, 142 Rahn, P.J., 170
Pisandro di Camiro, 127 Raison, J. -P., 56
Pitagora, 171 Rambaud, M., 173
Pitt Rivers, A. H. , 94 Ramon, V. , 178
Pizzicolli, C. de' detto Ciriaco d'An- Ramsay, A.M., 53
cona, 63, 219 Ranger, T. , 3 5
Plassart, A., 235 Ranke, L. von, 17
Platone, 42, 125, . 140, 144 Rathbone, D., 295
Pleket, H. W., 23 3 Rawson, E., 172-174
Plinio Cecilio Secondo, Gaio detto il Ray, J.D., 293
Giovane, 155 Reggi, G., 169
Plinio Secondo, Gaio detto il Vec ­
Reinach, S., 220
chio, 63 , 149, 287, 288, 345 Reinach, Th., 239
Plutarco di Cheronea, 126, 144, Remo, 82
153 - 155, 176- 178 Renan, J.E., 225
Poidebard, A., 53 Rendeli, M., 1 17
Polara, G., 168 Renfrew, C., 76, 1 14, 1 15
Polemon di Ilio, 219 Revel, J., 36
Polibio di Megalopoli, 1 1 , 16, 18, 93 , Rey-Coquais, J.-P., 238
123 , 124, 127, 130- 133, 135, 137, Reynolds, J.M., 238
139- 144, 148, 166, 172 , 173 , 185, Ricci, A., 1 1 8
186, 188, 243, 294 Rich, J.W., 180
Polverini, L., 58, 289 Ridgway, D., 98
Poma, G., 176 Riley, J.A., 1 16
Pomari, A., 1 14 Ritschl, F.W., 244
Pomey, P., 1 18 Rivolta Tiberga, P., 182
Pomian, K., 36 Robert, J., 233, 237
Pompeo Magno, Gneo, 143, 149, Robert, L., 220, 225, 227, 232, 233 ,
320, 33 1 237-239
Pontrandolfo, A., 1 15 Roda, S., 182. 259, 300
Ponzio, 165 Rodriguez A l 1•1,·ida, E., 1 16
Popilio Lenate, 294 Roger, J., 3 6
Posidippo, 290 Rohl, H., 220
Posidonio di Apamea, 148, 158 Romano, G., 57
Postumio Albino, Aulo, 135 Romilly, J. de, 170
Pouilloux, J., 236, 239 Romolo, re di Roma, 16, 82
Powell, A., 173 Romolo Augustolo, imperatore d'Oc-
Préaux, Cl., 57 cidente, 3 1
Preuschen, E., 168 Rosen, K., 181
Prisciano, 162 Rossebastiano, A., 59
Pritchett, W.K., 170, 176 Rostovtzev, M.I., 30, 37, 66, 68, 85,
Prontera, F., 57, 176 1 13 , 366
Prosseno, 127 Rauche, M., 36
Prou, M., 366 Rougemont, G., 236
Pucci, G., 29, 1 13 Roussel, P. , 23 5
Pugliese Carratelli, G., 2 1 1 , 225, Rouveret, A., 1 15
236, 238 Rufino di Aquileia, Tirannio, 165
Pupieno Massimo, Marco Clodio, Rufo, Quinto Curzio, 15 1 , 173 , 177
365 Rupprecht, H .A., 288
Purgold, K., 236 Rutilio Rufo, Publio, 141
Rutz, W., 177
Quadrigario, Claudio, 142, 173
Quasten, J., 169 Sabatier, J., 359
Quilici, L., 58 Sacco, G., 236
Quilici Gigli, S., 58 Sacconi, A., 23 1
INDICE DEI NOMI 381

Sacks, K.S., 173 , 175 Servio Tullio, re di Roma, 16, 84


Saffo , 127 Sesto Elio, 135
Sallustio Crispo, Gaio, 144-146, 157, Sesto Pompeo Magno, 320
158, 175, 1 86- 1 88 Settimio Severo, 194
Salomies, O 259
. Settis, S., 34, 58, 88, 1 13 , 1 14, 1 17 ,
Samuel, A.E., 233 168, 258
Sanders, G., 228, 25 1 , 258 Sève, M., 233 , 260
Sandys, J.E., 259 Severi (gens), 1 94
Santini, C., 172, 177, 1 80 Severo Alessandro, Marco Aurelio,
Sartre, M., 238 imperatore, 159
Sauvaget, ]., 222 Sgarlata, M., 233
Scaligero, G.G., 243 Sherk, R.K., 240
Scardigli, B., 176- 178 · Sidebottom, H., 1 80
Scauro, Marco Emilio, 1 4 1 , 173 Silbe1111an, A., 179
Scevola, Publio Muzio, 134, 139 Sileno di Calatte, 135
Schiller, Cl.F.A., 209, 2 15 Silla, Lucio Cornelio, 14 1 - 143 , 173 ,
Schaub, W., 167 230, 252, 3 3 1
Schepens, G., 292 Silvagni, A., 227
Schiavone, A., 3 6, 1 16, 168, 174 Silvestro I, papa, 23
Schliemann, H., 64 Simmaco, Quinto Aurelio, 162, 1 8 1 ,
Schmidt, M., 203 1 82, 1 96, 1 98
Schmidt, P.L., 174 Simmaco, Q11into Aurelio Memmio,
Schmiedt, G., 53 162
Schmitt Pantel, P. , 99, 1 14 Simonetti, M., 169
Schnapp, A., 1 12, 1 13 , 1 15 Simonide, 290
Scholz, U.W. , 172 Sirago, V.A., 179
Schow, N.I., 289 Sisenna, Lucio Cornelio, 142, 145,
Schrader, C., 178 173
Schultze, C., 176 Smart, J.D., 169
Schwartz, E., 1 7 1 Snodgrass, A.M., 76, 1 13 , 1 15 , 1 17
Schwartz, S., 177 Socrate, 42 , 127
Schwyzer, E., 240 Socrate scolastico, 165
Scilace di Caronda, 127 Sofocle, 128
Scipione Emiliano, Publio Cornelio, Sokolowski, F. , 23 9
135, 140, 141 Solin, H., 230, 259
Scipione l'Africano, Publio Cornelio, Solone di Atene, 126, 127
135, 137 Sommella, P., 1 1 8
Scipioni (gens), 134, 140 Sordi, M., 22, 36, 59
Seeck, O., 17, 3 1 , 1 8 1 Sosilo di Sparta, 135
Seel, O., 175 Sozomeno, E1111i a, 165
Segal, E., 175 Spadafora, G., 23 8
Segre, M., 236 Spartaco, 347
Seleucidi (dinastia), 3 1 8, 338 Spinoza, B., 20
Seleuco IV Filopatore, re di Siria, Stadter, P.A., 179
353 Starr, R.J., 177
Sellwood, D., 366 Steinleitner, Fr. , 228
Sempronio Asellione, 15, 142 , 173 Sterz, S.A. , 179
Sempronio Tuditano, Gaio, 138 Stone, L., 19, 36
Sena Chiesa, G., 1 17 Storchi Marino, A., 171
Seneca, Lucio Anneo, 149, 272 Strabone di Amasea, 5 1 , 93 , 126,
Seneca Retore il Vecchio, Lucio An- 148, 176
neo, 149, 150, 158 Strasburger, H., 13 1
Senofane di Colofone, 123 Strazzulla, M.J., 3 8
Senofonte, 20, 43 , 127, 129, 137, Strazzulla, V., 230
159, 170 Stroude, R.S., 233
Septicio Claro, 154 Stuiber, A., 169
Sereni, E., 53, 54, 58 Suerbaum, W , 178
Servio Galba, 137 Sulpicio Severo, 164, 165
3 82 INDICE DEI NOMI

Susini, G., 258, 259, 273 Torraca, L., 171


Svenbro, J., 208, 232 Tour, H. de la, 359
Svetonio Tranquillo, Gaio, 144, 154, Tracy, St.V., 232
155 ' 161, 178, 243 Traiano, Marco Ulpio, imperatore,
Swan, P.M., 180 88, 149, 15 1, 154, 156, 158, 159,
Sydenham, E.A., 365 192, 226, 263-266, 278, 279, 294,
Syme, R. , 16, 175, 177 295, 337
Sznyzer, M., 2 1 1 Traina, G., 56
Tranfaglia, N., 33
Tacito, Cornelio, 13, 50, 149, 153 , Trasea Peto, Publio Clodio, 153
155-157, 162, 166, 178, 190, 191 Trogo, Pompeo, 147 , 148, 158, 175
Talamanca, M., 29 Troiani, L., 177
Tamassia, R., 1 15 Tucidide, 9, 1 1 , 15, 17, 20, 43, 61,
Tarquinio Prisco, Lucio, re di Roma, 68, 69, 123-127, 129, 130, 142,
84 145, 170, 183-186, 188, 207, 2 19,
Tarquinio il Superbo, re di Roma, 292
82, 84 ' Turbo, 304
Taylour, W., 1 14 Turner, E.G., 288-290
Tchernia, A., 1 17 Tzedakis, Y. , 23 1
Teagene, 127
Temistio, 158 Uderzo, A., 1 1
Temistocle, 2 19, 332 Ullman, B.L., 212
Teodeberto I, re dei Franchi, 333 Ullman, R., 171
Teodoreto, 165 Ulpiano, Domizio, 194
Teodorico, re degli Ostrogoti, 337, Urban, R., 175
355
Teodoro, 165 Vagnetti, L., 1 14
Teodosio I il Grande, imperatore Valentiniano II, imperatore d'Occi­
d'Oriente, 30, 3 1 , 152, 162, 164, dente, 162
198, 201 Valentiniano III, imperatore d'Occi-
Teodosio II, Flavio, imperatore d'O- dente, 2 1 , 165
riente, 2 1 , 152, 165 Valerii (gens), 143
Teofrasto, 13 1 Valerio Massimo, 150, 15 1, 177
Teopompo, 129, 130, 170 Valéry, P., 1 1
Terrenato, N., 1 18 Valla, L., 23
Testini, P., 227, 260 Vallet, G., 30, 32
Thompson, E.A., 181 Van Der Valle, M., 177
Thompson, F.H., 1 17 Vandoni, M., 303
Tiberio, Claudio Nerone, imperatore, Vanotti, G., 176
50, 149, 150, 153 , 266 Vansina, J., 171
Timagene, 147 Vannicelli, P., 171
Timeo di Tauromenio, 132, 137, 171 Varneda, J., 177
Tirone, 144 Varrone, Marco Terenzio, 143 , 144,
Tirteo di Sparta, 126, 207 150, 174, 3 10
Tito Flavio Vespasiano, imperatore, Vasari, G., 30
151, 156, 304 Vattuone, R., 171
Tod, M.N., 239 Vegezio Renato, Flavio, 152, 181
Toher, M., 176 ·Vela, J., 178
Tolomeo I Sotere, re d'Egitto, 1 3 1 , Velleio Patercolo, 149-15 1, 176, 177
330 Ventris, M., 204, 2 14, 23 1
Tolomeo VI Filometore, re d'Egitto, Vera, D., 182 , 197
293 Ve1111aseren, M.J., 229
Tolomeo VIII Evergete II Fiscone Vernant, J.-P., 36, 73 , 1 14, 1 15
(Pancione), re d'Egitto, 293 Vero, Lucio Aurelio, imperatore,
Tolomeo XIII Filopatore Filadelfo, 159, 295
re d'Egitto, 143 Vespasiano, Tito Flavio, imperatore,
Tonnet, H., 179 153 , 156, 355
Torelli, M., 1 15, 116 Veyne, P., 19, 28, 36, 41
3 83

INDICE DEI NOMI

Vian, C., 1 13 Wemer, R. , 239


Vico, G., 16 Wessel, C., 227
Vidal-Naquet, P. , 36, 1 12, 177 Wheeler, M., 95
Vidman, V, 228 Whitbread, I.K., 1 16
Villalba, P. , 177 White, H.V. , 36
Villard, F. , 1 14 Whittaker, C.R., 58
Villaronga, L., 365 Whittemrope, R., 170
Vimercati, A., 172, 1 86 Wikander, Ò., 48
Vince, A., 1 16 Wila111ovitz-Mollendorff, U. von, 2 1 1 ,
Vinicio, Marco, 149 23 6
Violante, C., 15, 33, 35, 36 Wilcken, U., 308
Virgilio Marone, Publio, 39, 40, 42 , Wilhelm, A., 236, 237
147, 152 Williams, D.F. , 1 16
Viriato, 138
Willis, W.H. , 290
Vismara, N., 365
Wilms, H., 170
Vitellio, Aulo, imperatore, 266
Winckelmann, J.J., 63 , 64
Vitruvio Pollione, 152
Viviers, D., 2 12 Winder, J., 1 14
Voltaire, F.-M. Arouet detto, 3 1 , 34 Wirth, G., 175
Vretska, C., 167 Wiseman, P. , 17 1
Vretska, H., 167 Wissowa, G., 5 1
Woodhead, A.G. , 2 1 1 , 232
Wace, A., 204 Woodmann, A.J., 169, 177
Wachter, R. , 212, 232 Woolf, G., 258
Waddington, W.H., 237 Worp, K.A. , 290
Wade-Gery, H.T., 170 Worrle, M., 226, 233
Walbank, F.W. , 13 1 , 17 1 , 172 Wiinsch, R., 233
Wallace-Hadrill, A., 178
Walsh, P.G., 175 Yavetz, Z., 173
Walt, S., 173
Warburg, A. , 88
Ward Perkins, J., 92 Zanker, P. , 89, 1 17, 173
Washington, G., 10 Zenone, imperatore d'Oriente, 365
Watt, W. S., 177 Zemer, C., 1 14
Weber, M., 45, 53 , 73 Zemer, P. , 1 14
Weiss, R., 258 Ziebart, E., 236
Weitzmann, K. , 1 17 Ziehen, L., 239
Welch, K., 173 Zosimo, 160, 166, 182, 200-202
Welles, C.B., 239 Zubayada, 301
Wellesley, K., 178 Zumthor, P., 22

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