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Ticino (cantone)
Versione del: 24.10.2022
Unico cantone della Svizzera situato interamente a sud delle Alpi, il Ticino si
estende per un centinaio di chilometri dalle Alpi ai margini della pianura padana
e si compone di due zone geografiche principali separate dal rilievo del Monte
Ceneri: l'una, il Sopraceneri, ha una conformazione prettamente alpina ed è
attraversata dal corso superiore del fiume Ticino, che dà il nome al cantone, mentre
l'altra, il Sottoceneri, presenta caratteristiche prealpine. Il cantone, che comprende
al suo interno l'enclave di Campione d'Italia, confina in buona parte con l'Italia,
nel cui territorio si inserisce come un cuneo (province di Verbano-Cusio-Ossola in
Piemonte, di Varese e Como in Lombardia), a nord ovest con il Vallese, a nord con
Uri e a nord est con i Grigioni.
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1. Dalla Preistoria alla tarda antichità
1.1. Dal Paleolitico all'età del Ferro
Autrice/Autore: Carlo Agliati
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(la cosiddetta cultura di Canegrate, XIV-XIII secolo a.C.) e finale (fase preliminare
della cultura di Golasecca, XIII-X secolo a.C.).
Tra gli insediamenti dell'età dal Bronzo medio riveste particolare importanza il
sito di Bellinzona (Castel Grande), poiché presenta una continuità con quanto
già rilevato per i millenni precedenti. Tracce di insediamenti risalenti al Bronzo
medio e al Bronzo recente e finale sono emerse a Tegna (castelliere), ad Ascona
(castello di San Michele) e a Tremona-Castello, mentre reperti sia funerari che di
uso comune da un contesto di difficile interpretazione sono stati rinvenuti nell'area
della necropoli dell'età del Ferro di Gudo (Progero). Sono inoltre da segnalare i
ripostigli di Castione (Arbedo-Castione) e Osogna.
Le prime necropoli note risalgono al XIV secolo a.C. e contano fino a una ventina
di tombe a cremazione, come ad Ascona (San Materno, XII-X secolo a.C.), o meno,
come ad Arbedo, Claro, Giubiasco, Gorduno, Locarno e Tenero. Nel Sottoceneri
l'unico ritrovamento è finora quello di Rovio.
Nel Bronzo recente e finale si ebbe un'apertura della civiltà della fase preliminare
della cultura di Golasecca ai contatti e agli scambi con l'area transalpina
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nordoccidentale e con la penisola italiana, in particolare con l'area centroccidentale
(futura Etruria), che sembra prefigurare il ruolo storico fondamentale della
successiva cultura di Golasecca, collegamento attraverso i valichi alpini tra mondo
mediterraneo e mondo celtico centro-europeo.
L'età del Ferro (IX secolo-15 a.C.) in Ticino è articolata in due momenti: la cultura
di Golasecca (IX-IV secolo a.C., riferita al nome del sito posto a sud del Verbano) e
la cultura di La Tène (inizio IV-I secolo a.C., pertinente con i ritrovamenti del lago
di Neuchâtel).
Grazie alle fonti scritte greche (Strabone, Geografia, libro IV; Claudio Tolomeo,
Geografia) e latine (Tito Livio, Ab Urbe condita), sono noti i passi frequentati
durante la stagione estiva (Gran San Bernardo, Sempione, San Gottardo, San
Bernardino e Lucomagno), menzionati nel loro complesso come Alpi, e i nomi dei
popoli che abitavano queste regioni. Tra questi figurano i Leponti, il cui territorio
si estendeva dalle sorgenti del Rodano e del Reno fino alle alture a nord di Como
(valli superiori del Ticino, Ossola, Centovalli, Locarnese) occupando un'area di
eccezionale interesse geografico e strategico per la varietà dei suoi aspetti fisici.
Questa popolazione alpina di grande rilievo si distingue per l'alto livello della sua
cultura materiale (corredi funerari di particolare pregio).
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ricercare nell'alfabeto degli Etruschi. Pertinente con gli intensi scambi commerciali
è pure il ritrovamento del ripostiglio di un fonditore di bronzo ad Arbedo.
Dalla metà del VI secolo a.C. si conoscono in Ticino numerose necropoli, mentre
per gli insediamenti è da immaginare una stratificazione distruttiva nei secoli. Le
necropoli del VI secolo a.C. – concentrate in particolare nei dintorni di Bellinzona
– comprendono sepolture a inumazione e a cremazione. Nelle fasi successive nel
Sopraceneri prevalse il rito dell'inumazione (legame con l'area di Varese), mentre
nel Sottoceneri si praticava esclusivamente la cremazione (legame con Como). Fino
alla romanizzazione i corredi tombali denotano influssi dell'area celtica nordalpina
(Celti) o della pianura padana; la massiccia presenza di argenti, bronzi (metalli
preziosi) e ambra conferma la grande ricchezza derivante dai traffici commerciali
sull'asse nord-sud.
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Sopraceneri i ritrovamenti si concentrano attorno all'estremità settentrionale
del lago Maggiore, ma si distribuiscono pure nell'entroterra seguendo la linea di
penetrazione nella Vallemaggia e nelle Terre di Pedemonte. Polo della regione era
il vicus di Muralto, luogo di scambio commerciale, quartiere abitativo e artigianale
(artigianato); nei suoi dintorni si può presumere la presenza di altri insediamenti
grazie a necropoli con ricchi corredi funerari (Locarno, Locarno-Solduno, Minusio,
Ascona, Losone-Arcegno, Cavigliano, Tenero). Risalendo la valle del Ticino, la
regione è abitata fino alle pendici del San Gottardo, dove la necropoli di Madrano
rappresenta uno dei principali esempi di compenetrazione tra caratteri romani e
popolazione alpina.
Nel III secolo d.C. si manifestarono le prime avvisaglie di crisi, con incursioni
armate da nord verso Milano (come quella degli Alemanni, 259-260). Nel momento
in cui Milano assurse a residenza dell'imperatore (286-402), la zona del lago di
Lugano venne a trovarsi fra alcuni punti nodali del sistema difensivo, articolato
in una linea ai piedi dei passi alpini. Non è possibile ricostruire il popolamento di
quel periodo, e in particolare capire la funzione delle villae, alcune delle quali si
conservarono almeno fino alla fine del IV-V secolo.
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secolo) e Balerna (VII-VIII secolo), mentre non è provata l'esistenza di un edificio
analogo presso la chiesa di San Vittore di Muralto.
Il Sottoceneri e buona parte della valle del Ticino furono conquistati dai
Longobardi attorno al 588, in corrispondenza con la caduta di un importante
avamposto bizantino (Bisanzio) sull'Isola Comacina (lago di Como). Gregorio di
Tours riferisce che nel 590 ca. la fortezza di Bellinzona apparteneva a Milano,
testimoniando così indirettamente il ruolo della regione subalpina, che formava
il confine settentrionale del regno longobardo e faceva parte di due o tre
circoscrizioni politico-amministrative, le gastaldie (gastaldo) o iudiciariae. I nuovi
dominatori, affiancandosi alla popolazione romanizzata in veste di signori a cui
erano dovuti obbedienza, servizi e tributi, diedero al ceto superiore locale una
nuova fisionomia durevole, tanto che ancora nel XIII secolo personaggi influenti
professavano la legge longobarda. Grazie all'archivio di famiglia di Totone da
Campione, che nel 777 donò i suoi possedimenti gravitanti su Campione alla chiesa
di S. Ambrogio a Milano, si possono delineare i tratti distintivi dei maggiorenti
locali: basando la loro ricchezza su agricoltura e commercio, intrattenevano
contatti su larga scala ed esercitavano ampi poteri su servi e semiliberi.
Dopo la conquista franca (Impero dei franchi) del regno longobardo (774), nuovi
influssi dal nord delle Alpi si manifestarono con l'insediamento di immigrati, la
ripresa del transito sui valichi e l'intensificazione delle relazioni commerciali.
Nella regione, suddivisa fra le iudiciariae di Stazzona e del Seprio, si ampliarono
progressivamente i possedimenti regi e si imposero strutture feudali (feudalesimo).
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Accanto a quella di vassalli laici, si diffuse la proprietà fondiaria dei grandi
monasteri longobardi (Pavia, Como, Milano); nel 948 il vescovo Attone di Vercelli,
di nobile ascendenza longobarda, donò alla Chiesa di Milano i suoi possedimenti
(beni immobili, chiese, fortificazioni) nella valle di Blenio e in Leventina, dando
così origine alla signoria capitolare sulle Tre Valli Ambrosiane. La successiva
frammentazione in potentati locali permise l'estensione dell'influenza di Como e
Milano sull'intera regione del Ticino; dopo che nel 1002/1004 l'imperatore Enrico
II ebbe assegnato alla diocesi di Como le circoscrizioni ecclesiastiche di Bellinzona
e Locarno (e probabilmente anche di Agno) e donato la fortezza di Bellinzona al
vescovo comense, nella lotta delle investiture il confronto tra le due città divenne
aperto e il Sottoceneri fu teatro di un aspro conflitto armato (1118-1127).
Sullo sfondo della lotta per il riconoscimento dei comuni urbani, nel XII-XIII
secolo Milano e Como promossero una nuova organizzazione del territorio, che
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coinvolse anche la regione ticinese. Essa ricalcava la distrettuazione ecclesiastica
per pievi e si avvaleva di una serie di strumenti normativi, fiscali e amministrativi,
basati sull'uso sistematico della scrittura. A livello periferico, la formazione
dei contadi comportava l'accettazione delle comunità locali quali interlocutori.
Queste ultime si strutturarono nella forma istituzionale del comune di valle e della
vicinanza o vicinia a partire da associazioni preesistenti, attestate ad esempio ad
Arogno nel 1010 in occasione di una lite di confine. Agendo come soggetto politico
nel sistema di interazioni dei poteri pubblici sovraregionali, nel 1186 la comunità
di Locarno ottenne dal Barbarossa l'immediatezza imperiale, mentre nel 1191
Lugano si fece accordare una parziale autonomia amministrativa dai consoli di
Como. Nel 1182 le comunità di valle di Blenio e Leventina, con il sostegno in chiave
antiimperiale di Milano, stipularono il patto di Torre, riuscendo ad annullare
l'influsso della nobiltà locale (specialmente dei da Torre) e arrogandosi diritti
pubblici, come quello di autorizzare la costruzione di castelli.
Le fonti scritte attestano per il XIII secolo la piena maturazione dei comuni
locali. Statuti e ordini regolavano la gestione dei beni comuni, la tutela della
pacifica convivenza e l'autogoverno; nelle valli le vicinanze si spartirono gli alpeggi
(Leventina, 1227) e organizzarono il trasporto delle merci (Osco, 1237). Al centro
dei rispettivi distretti, i borghi di Locarno, Lugano e Bellinzona, pur senza acquisire
lo status giuridico di città, godevano di privilegi analoghi, erano sedi di mercato e
concentravano le attività artigianali (artigianato) e commerciali.
Dai primi decenni del XIII secolo l'apertura della nuova via commerciale del San
Gottardo accrebbe ulteriormente il significato strategico della regione ticinese.
Poiché il mantenimento di condizioni ottimali per il traffico rivestiva grande
importanza per le emergenti imprese commerciali (società commerciali), di
notevole rilievo politico specialmente a Milano, e per l'intera città di Como, i
principali attori nella politica cittadina strinsero ripetuti accordi con le comunità
locali.
Dalla metà del XIII secolo la regione ticinese fu coinvolta nelle aspre lotte tra
le fazioni che si contendevano il dominio nelle città e nelle campagne (Guelfi
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e Ghibellini). A Como, nel Sottoceneri e a Bellinzona presero il sopravvento
per alcuni anni gli esponenti della potente famiglia comasca dei Rusca, mentre
a Milano l'emergente casato dei Visconti trovò nelle vallate ambrosiane e nel
Locarnese un appoggio nella consorteria capitaneale e in particolare in Simone
Orelli, che diede il suo sostegno all'arcivescovo di Milano Ottone Visconti nella
conquista della signoria cittadina (1277). Con la sottomissione dei Rusca ai
Visconti, e di Como a Milano (1335), iniziò l'annessione dei territori settentrionali
della Lombardia allo Stato regionale milanese. Il Sottoceneri, soggetto alla città
di Como, passò allora ai Visconti e venne affidato al vicario di «Lugano e Valle»,
subordinato al podestà di Como, titolare della giurisdizione anche sulle pievi
di Agno e della Capriasca. Nel 1340 l'esercito milanese costrinse alla resa gli
irriducibili Rusca asserragliati a Bellinzona. Qui i Visconti insediarono funzionari
civili e militari di provata fedeltà a governare il borgo e il contado e a sorvegliare le
valli superiori.
Nel 1342 Locarno si piegò alle truppe viscontee provenienti dal lago e da terra; la
conquista emarginò dalla vita pubblica la consorteria dei Capitanei e subordinò
la pieve alla giurisdizione del capitano del lago Maggiore con sede a Pallanza. I
Visconti ottennero poi dal capitolo del duomo di Milano la carica di podestà nella
Leventina (1344) e poco più tardi nella valle di Blenio; acquisito infine il controllo
di Biasca, capoluogo plebano, e dei comuni della Riviera sulla sponda sinistra
del fiume Ticino (Claro, Osogna e Cresciano), venne riunita nelle loro mani tutta
l'enclave ambrosiana. Sino alla fine del XV secolo villaggi, borghi e valli furono
governati da funzionari stranieri spesso ostacolati da potenti gruppi familiari, da
consorterie e da comunità ostili al regime, gelose dei privilegi, delle autonomie
comunali e degli spazi conquistati all'ombra di un potere lontano.
Alla morte del duca Gian Galeazzo Visconti (1402) la regione fu sconvolta da
incursioni dei Confederati e da torbidi che nel Sottoceneri portarono alla creazione
della Comunità di Lugano e Valle (1405-1406), separata da Como. Dopo quasi un
ventennio di governo dei cantoni forestali, l'esercito visconteo scacciò i Confederati
da Bellinzona (battaglia di Arbedo, 1422). Il duca Filippo Maria Visconti concesse
il Sottoceneri in feudo ai Sanseverino (1434-1438) e il Locarnese ai Rusca (1439). I
primi, schieratisi con la fazione guelfa, non riuscirono però a ottenere un sufficiente
consenso e furono allontanati dal feudo; i Rusca, in particolare con il conte
Franchino Rusca, si costruirono per contro una solida posizione di prestigio.
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Nonostante i disordini scoppiati alla morte di Filippo Maria Visconti (1447),
Francesco Sforza riportò la stabilità per un quindicennio (1450-1466), mantenendo
relazioni più pacifiche con gli Svizzeri. Alla scomparsa del figlio Galeazzo Maria
Sforza (1476) la situazione precipitò, anche a causa dell'alleanza milanese con Carlo
il Temerario, nemico dei Confederati. Dopo la sconfitta dell'esercito sforzesco nella
battaglia di Giornico (1478), la Leventina, impegnata agli Urani dal 1439/1441, fu
ceduta loro nel 1480. La tensione nei rapporti tra i Confederati e Milano si acuì con
la decisione di Ludovico il Moro di chiamare in Italia i Francesi (1494), un passo
destinato a produrre anche una gravissima crisi interna al ducato. Divenne allora
inevitabile uno stato di crescente conflittualità che portò anche gli altri territori
sudalpini a una nuova soggezione, quella dei cantoni sovrani (guerre d'Italia).
La conquista delle terre sul confine settentrionale del ducato di Milano da parte dei
Confederati non seguì un piano preordinato, ma si realizzò in diverse fasi grazie
ai successi militari nelle campagne transalpine del XV e degli inizi del XVI secolo,
confermati da accordi diplomatici, tra cui specialmente i capitolati di Milano, la
pace di Arona (1503) e la pace perpetua con la Francia (1516). Intorno alle vie di
comunicazione dai passi del San Gottardo e del Lucomagno verso le città lombarde
si aggregò così una configurazione politico-territoriale dai tratti irregolari, in cui
si affiancavano diverse forme di dominio. Dopo che la Leventina passò di fatto
sotto il controllo di Uri (1439/1441), la pressione espansionistica delle comunità
della Svizzera centrale (sostenute solo parzialmente dagli altri membri della lega)
rimase intensa; nel 1499-1500, in concomitanza con gli sconvolgimenti apportati
nel ducato di Milano dalla spedizione di conquista di Luigi XII di Francia, essa
sfociò nell'occupazione di Blenio e Riviera e nella resa di Bellinzona a Uri, Svitto
e Untervaldo. In seguito al riconoscimento del dominio confederato da parte
della Francia (1503), questi ultimi istituirono in tali distretti i primi baliaggi
comuni a sud delle Alpi. Nel 1512/1513, al culmine della potenza militare della
Confederazione, giunta a imporre per breve periodo un protettorato su Milano,
le truppe elvetiche presero possesso delle piazzeforti di Lugano e Locarno e
occuparono i rispettivi distretti, organizzando il loro dominio nella forma di
baliaggi dei 12 cantoni (baliaggi italiani). Negli stessi frangenti furono poste le basi
anche per il baliaggio di Mendrisio e della pieve di Balerna, che venne riconosciuto
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ai 12 cantoni solo nel 1521, quando invece la val d' Ossola, la Valtravaglia e la
Valcuvia ritornarono al ducato di Milano. L'assetto territoriale della regione
venne definito in breve tempo, modificando in parte quello del XV secolo: Isone
e Medeglia furono integrate nel baliaggio di Bellinzona; le «terre separate» del
Luganese mantennero buona parte dei loro privilegi pur essendo parte del baliaggio
(formato dalle pievi di Lugano, Agno, Capriasca e Riva San Vitale); la Vallemaggia
(con la valle Lavizzara) costituì un baliaggio distaccato da quello di Locarno, che
accorpava invece Brissago e comprendeva le comunità separate del Gambarogno e
della valle Verzasca.
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e Vallemaggia, dei tre cantoni per Bellinzona, Riviera e Blenio e di Uri per la
Leventina (in quest'ultimo caso, il cantone sovrano inviava due rappresentanti).
Durante le sedute esso rappresentava la più alta autorità giudiziaria in loco,
decideva sugli appelli contro le sentenze del governo balivale, giudicava in prima
istanza determinati casi e procedeva alla revisione dei conti delle comunità e dei
balivi. Contro le decisioni del sindacato i sudditi avevano poi facoltà di ricorrere in
ultima istanza sia ai singoli cantoni sia alla Dieta federale, secondo una procedura
ridondante che impediva spesso la risoluzione dei conflitti in tempi ragionevoli.
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legati a episodi di malgoverno o al malcontento per il mancato sostegno dei sovrani
nei periodi di difficoltà nei rapporti con la Lombardia. Nel caso della rivolta della
Leventina del 1755 la contestazione sfociò in un movimento collettivo di ribellione
contro la dominazione esterna.
La valutazione storiografica del periodo balivale è stata oltremodo negativa nel XIX
e per buona parte del XX secolo, mettendo in risalto la condizione di sudditanza,
l'immobilità del sistema di potere e gli episodi di abusi da parte dei governanti,
nel solco delle tesi di Karl Viktor von Bonstetten poi riprese e amplificate nella
trattatistica locale. Grazie allo studio dell'impianto istituzionale e della natura del
legame tra i cantoni sovrani e le comunità locali, come pure all'approfondimento
delle dinamiche economiche e sociali e dei contatti a vari livelli con le realtà
esterne, il giudizio è divenuto progressivamente più sfumato.
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Nelle valli superiori gli insediamenti si distribuivano su più livelli altimetrici,
corrispondenti di regola al ritmo stagionale dell'attività agropastorale.
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nord, documentata puntualmente dal XIV secolo, affiora dai documenti in modo
tangibile dopo la conquista confederata.
3.2. Economia
Autrice/Autore: Giuseppe Chiesi
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sottoscritti dai cantoni sovrani. Fra le derrate alimentari che gli abitanti della
montagna si procuravano altrove vi erano anche l'olio e il vino. I mercati della
pianura peraltro importavano capi di bestiame e prodotti alpestri dalle regioni più
elevate. Alla fine del Medioevo alcune comunità leventinesi e bleniesi acquistarono
diritti d'alpe al di fuori dei confini (Surselva) a conferma che l'attività alpestre era
redditizia e che i mercati e le fiere lombarde consentivano di vendere non pochi
capi di bestiame.
Molte famiglie nei villaggi delle valli e nei borghi vivevano dei prodotti della terra.
Campicoltura, viticoltura e selvicoltura – di vitale importanza era la raccolta di
castagne – erano le principali attività che consentivano di sfamare i componenti
del fuoco familiare e di limitare la ricerca di lavoro lontano dalla patria. Rispetto
alle campagne, il quadro di professioni si arricchiva nei borghi, e in misura minore
in alcune località periferiche toccate dai traffici, dove la densità demografica,
la funzione amministrativa, la varietà di interessi economici e la stratificazione
sociale contribuivano ad ampliare il ventaglio di opportunità professionali. Le
località di transito (Mendrisio, Lugano, Locarno, Bellinzona, ma anche Biasca,
Faido, Olivone) erano munite di locande per l'alloggio degli stranieri di passaggio
e di osterie per la mescita del vino. Particolare rilievo ebbero gli studi notarili
(notariato) per la loro opera di mediazione anche in ambito economico (atti di
compravendita, locazione ecc.).
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Le fiere annuali pedemontane offrivano opportunità di scambi commerciali, di
contatti e ampliamento di interessi: le più note, e forse anche le più frequentate,
erano nel tardo Medioevo quella di fine agosto di Bellinzona e quella primaverile
di Chiasso, ambedue caratterizzate dal forte afflusso di bestiame svizzero (bovini
e cavalli); in età balivale primeggiò la fiera del bestiame di Lugano. Questi eventi
fornivano inoltre la possibilità ai mercanti confederati di acquistare gli apprezzati
prodotti tessili comaschi (pannilana). Nei borghi e nelle principali località
sudalpine si tenevano poi mercati che favorivano gli scambi regionali.
Non sono testimoniate produzioni tessili indigene di volume tale da entrare nel
circuito commerciale, né si trovano indizi di altre produzioni industriali consistenti,
se non qualche opificio che sfornava laterizi. L'estrazione e la lavorazione dei
metalli interessavano alcune regioni, come il Malcantone, la Valcolla e la valle
Morobbia. In quest'ultima, poco dopo la metà del XV secolo, la famiglia comasca
Muggiasca con il suo ramo bellinzonese costruì un impianto siderurgico, che
tuttavia cessò di produrre nel 1478 (metallurgia e siderurgia).
Nei secoli centrali del Medioevo la terra era nelle mani di alcuni enti ecclesiastici:
la mensa vescovile di Como, i monasteri dei benedettini di S. Carpoforo e di
S. Abbondio a Como, di S. Pietro in Ciel d'Oro a Pavia e di Disentis. Anche le
chiese plebane disponevano di possedimenti fondiari consistenti. Alla fine del
Medioevo pure famiglie notabili della regione costituirono veri e propri latifondi,
specialmente nel Sottoceneri e in alcune regioni del Sopraceneri; in epoca moderna
nel Mendrisiotto si diffuse la grande proprietà fondiaria di famiglie cittadine
comasche, tra le quali emergono i Turconi. L'acquisto di proprietà fondiarie
divenne un investimento sicuro e redditizio per imprenditori, commercianti e
membri del ceto dirigente (elite) residenti anche nei borghi e nei villaggi più
popolosi delle valli e affiancò non di rado una ramificata attività creditizia.
3.3. Società
Autrice/Autore: Giuseppe Chiesi, Paolo Ostinelli
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sociale e culturale. Dall'età longobarda e franca alle epoche precomunale e
comunale, la regione vide insediarsi gruppi familiari in grado di occupare posizioni
dominanti, come il casato longobardo dei Totonidi, le famiglie radicate sin dall'alto
Medioevo a Mendrisio (tra cui spiccano i Torriani e i Bosia, attivi nella vita della
comunità locale ben oltre l'età medievale) o la nobiltà di provenienza varesina
che costituiva il consorzio dei Capitanei di Locarno. Anche nelle valli superiori la
società agropastorale conobbe la presenza di famiglie egemoni, come i da Torre
nella valle di Blenio o i da Giornico in Leventina, il cui status sociale era accentuato,
come altrove, dal possesso di un castello o di una residenza fortificata. Nei secoli
centrali del Medioevo si stabilirono poi anche nei centri minori famiglie con
cospicui patrimoni immobiliari, alcune delle quali occuparono una posizione
decisiva fino al tardo Medioevo, come i Quadri o i Canonica de Criviasca nella
Capriasca, i da Novazzano o i da Rancate nel Mendrisiotto, i Trevani o i Pocobelli a
Lugano.
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contingenti di povertà, ma che in genere escludevano le persone estranee alla
vicinanza.
Mercanti, artigiani, lavoratori della lana, del ferro (artigianato del metallo) e del
cuoio, rivenditori di derrate alimentari, di spezie o di altri prodotti, commercianti
di legname e notai si insediarono nei centri maggiori, ottennero in breve tempo
il diritto di vicinato e vi esercitarono funzioni pubbliche. Il prestigio acquisito
permetteva di assumere incarichi di rappresentanza presso le amministrazioni
statali o addirittura le corti principesche; il denaro accumulato nei commerci era
investito nell'ampliamento delle proprietà fondiarie e una parte era destinata
alla rappresentazione dello status sociale raggiunto (economia monetaria). Nelle
località più popolose sorsero abitazioni imponenti e decorate, che nei secoli della
dominazione confederata assunsero la fisionomia di vere e proprie residenze
patrizie. Di analogo significato appaiono, nei villaggi, le opere commissionate nelle
chiese parrocchiali, negli oratori e sulle pareti delle case da notai, commercianti
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e possidenti che si facevano ritrarre da pittori ambulanti per testimoniare la loro
devozione, ma anche per enfatizzare la loro prodigalità.
In età balivale la mobilità sociale era più difficoltosa. La chiusura delle società
locali verso l'esterno si manifestò anche a livello istituzionale, con la separazione
tra i vicini antichi e immigrati o forestieri, che sancì l'esclusione di questi ultimi
dall'accesso alle prerogative riservate sin dal Medioevo ai membri delle comunità
locali e cancellò la relativa permeabilità ancora accertata alla fine del XV secolo.
Alle chiese pubbliche con battisteri, sorte dal V-VI secolo in località strategiche
lungo le vie di comunicazione, si aggiunsero nell'alto Medioevo oratori presso vari
insediamenti ed edifici di culto eretti in luoghi di sepoltura, che fanno supporre
una consistente diffusione di chiese private. L'appartenenza diocesana delle località
ticinesi risultò dai legami con le sedi episcopali all'origine dell'evangelizzazione,
Milano e Como, che rimasero in concorrenza per il controllo del territorio fino
all'XI secolo, quando si stabilizzò il confine tra le due diocesi destinato a durare
(con puntuali adattamenti) fino al XIX secolo. La dedicazione di alcune chiese, la
partecipazione a fraternità di preghiera e i possessi fondiari testimoniano l'influsso
di monasteri nordalpini (Disentis, Pfäfers), mentre i grandi conventi lombardi
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crearono in qualche caso dei centri per la vita religiosa locale erigendo chiese dove
si concentravano le loro proprietà (come ad esempio nella curtis di Agnuzzo).
Sin dal XII-XIII secolo il sentimento religioso si espresse anche con l'adesione a
ordini regolari e movimenti religiosi in loco. Nei borghi e in vari villaggi sorsero
case di umiliati, mentre nelle valli di Blenio e Leventina si costituirono, senza
seguire regole ben determinate, comunità maschili e femminili presso gli ospizi,
molti dei quali ricaddero nel basso Medioevo sotto il controllo dei comuni.
In relazione con le vie di transito si poneva anche la fondazione dei conventi
benedettini di Quartino (XI secolo) e di Giornico (XII secolo), così come della
commenda gerosolimitana di Contone (XII secolo). L'offerta di assistenza spirituale
a Lugano e Locarno si accrebbe già nel 1230 ca. con l'insediamento di francescani
conventuali, e pure la prepositura di Torello, fondata nel 1217 con una regola
propria, pare avere assunto compiti di cura d'anime nelle località circostanti.
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devozionale (devozione popolare) fu marcato dalle ripetute apparizioni mariane,
che portarono fra l'altro alla creazione del santuario della Madonna del Sasso (ca.
1480).
La regione non rimase peraltro estranea alle idee riformate, a cui aderì nei primi
decenni del XVI secolo una parte dei ceti più agiati; dopo l'esilio imposto ai membri
della comunità evangelica (protestantesimo) di Locarno nel 1555, rifugiatisi
specialmente a Zurigo, la vigilanza delle autorità ecclesiastiche e l'azione politica
dei cantoni cattolici impedirono però il radicamento della Riforma.
Dalla seconda metà del XVI secolo le strutture locali furono oggetto di decisi
interventi dei vescovi di Milano e Como, miranti all'applicazione delle norme
tridentine (Concilio di Trento). I prelati riformatori, a partire da Carlo Borromeo,
Giovanni Antonio Volpe e Feliciano Ninguarda, rafforzarono il controllo della
Chiesa (Chiesa cattolica) sul territorio, ravvivando l'istituto della visita pastorale,
organizzando le gerarchie diocesane e creando figure di raccordo tra i centri
episcopali e le periferie (vicari foranei, visitatori e provisitatori). Le resistenze
locali e i conflitti giurisdizionali con i cantoni confederati (provvista beneficiaria,
giurisdizione sul clero, gestione dei patrimoni delle chiese, cause matrimoniali e
«miste») resero difficoltosa la Riforma cattolica, che produsse risultati tangibili dal
tardo XVI secolo, lentamente, in modo non uniforme e senza cancellare del tutto
l'impronta comunalistica delle chiese locali. Essa fu comunque attuata toccando
tutte le componenti dell'organismo ecclesiastico: il clero ricevette sempre più
regolarmente una formazione seminariale, mentre i laici venivano istruiti alla
dottrina e alla disciplina nelle scuole parrocchiali e nelle nuove confraternite,
strumenti di inquadramento e anche di aggregazione sociale. Nel contempo i
vescovi incoraggiarono la partecipazione a riti e sacramenti con la creazione di
nuove parrocchie.
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comunità già nel XVI secolo), movimento che permise alle donne di realizzare
una vocazione religiosa pur senza votarsi alla clausura. Nei baliaggi si insediarono
anche conventi maschili e femminili degli agostiniani, dei benedettini (dall'VIII
secolo), dei francescani, dei serviti, (dal 1451) dei somaschi (dal 1598/1608) e, per
un periodo meno prolungato, dei gesuiti; diversi fra questi ordini e congregazioni
ebbero un ruolo di primo piano, oltre che nell'ambito più strettamente religioso,
nell'istruzione e nell'avviamento dei giovani della regione alla carriera ecclesiastica.
Accanto alla presenza regolare stabile sul territorio, ebbero luogo opere missionarie
in regioni periferiche, e dal XVII secolo è attestata in modo consistente anche la
pratica eremitica (eremiti).
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(civiltà della scrittura) da parte della popolazione locale maschile, in coincidenza
con la diffusione nell'Italia superiore longobarda-franca della redazione di atti
notarili di diritto privato. Il nucleo di carte afferenti l'attività di un gruppo familiare
come quello già citato di Totone da Campione costituisce una rara testimonianza
intorno al grado di istruzione di un'élite aristocratica in condizione di leggere,
scrivere e comunque dettare al notaio i termini della propria volontà, come la
donazione dell'oratorio privato di S. Zeno alla chiesa milanese di S. Ambrogio
(777). Un ruolo di avvicinamento dei fedeli alla scrittura è svolto anche dalle
pitture murali in numerosi edifici sacri del territorio. Affreschi con scritte per
l'identificazione di santi e altri personaggi sono presenti dall'XI secolo ad esempio
nelle chiese di Dino, Negrentino (Prugiasco), Sorengo, Muralto; dal XIII secolo
si registrano scritte più complesse con invocazioni, citazioni bibliche, formule
augurali, quali quelle degli affreschi di Torello, Rovio, Cademario e Giornico.
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nel XV secolo figura anche il cancelliere Giovanni Molo, ben inserito nell'apparato
amministrativo lombardo, in relazione con letterati e umanisti del tempo.
Nel contempo, gli ultimi decenni del XVI secolo si caratterizzarono per l'avvio di
un più marcato processo di alfabetizzazione, che, protratto per tutto il periodo
balivale, coinvolse strati sempre più larghi della popolazione, includendo anche
donne e abitanti delle valli più discoste, compresa la regione dei laghi prealpini, con
forte presenza di maestranze artistiche. Un ruolo di primo piano in tale processo
di modernizzazione, che segnò il passaggio da una cultura orale di tipo tradizionale
– fino allora maggioritaria – a una società letterata, fu svolto dalla Chiesa nel
contesto della Riforma cattolica. Attraverso l'azione lanciata dagli arcivescovi di
Milano Carlo e Federico Borromeo allo scopo di formare cristiani fedeli ai precetti
tridentini, fu creata una fitta rete di piccole scuole parrocchiali, in condizione
di farsi carico della crescente domanda di istruzione di base di una larga fetta
della popolazione. In età borromaica, a diverse congregazioni religiose (oblati,
somaschi, gesuiti, benedettini, serviti) fu poi demandato il compito di fondare
istituti per la formazione di giovani di famiglie notabili e di chi si avviava alla
carriera ecclesiastica: i collegi Papio ad Ascona (1584), di S. Antonio a Lugano
(1608-1852), dei padri gesuiti e benedettini a Bellinzona (1646-75), di S. Giovanni
a Mendrisio (1644-1786), nonché il seminario di S. Maria a Pollegio (1622). A
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Lugano, l'istruzione femminile fu assicurata dal 1747 dalle suore cappuccine di
S. Giuseppe. Le scuole conventuali, inserite nel circuito italiano dei collegi per
nobili, godettero di buona fama pure all'estero, chiamando studenti anche dalla
Lombardia, fra cui il giovane Alessandro Manzoni, allievo dei somaschi di S.
Antonio a Lugano nel 1796-1798. A questi collegi, così come ad altri monasteri,
quale quello luganese di S. Maria degli Angeli, erano inoltre aggregate le maggiori
biblioteche presenti sul territorio.
Il completamento degli studi di grado superiore, sia per gli ecclesiastici che per
coloro che si dedicavano alle libere professioni di avvocato, medico o ingegnere,
avveniva generalmente fuori dai confini dei baliaggi. Alcuni si trasferivano
nelle città di lingua tedesca confederate o del Sacro Romano Impero, ma i più
guardavano ai centri di formazione della Lombardia. Il Collegio Elvetico, istituito
a Milano nel 1579 da Carlo Borromeo, insieme ad altri seminari lombardi costituì
a lungo il principale riferimento per i religiosi, mentre la formazione dei laici fu
assicurata dall'Università di Pavia. Dalla sua fondazione nel 1776, l'Accademia di
Brera a Milano svolse un ruolo essenziale per la formazione dei numerosi artisti e
architetti ticinesi.
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3.6. Arte
Autrice/Autore: Anastasia Gilardi
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dipinti, italiani e più raramente fiamminghi o tedeschi, importati dagli emigranti.
Alcuni altari lignei a sportelli di autori tedeschi o confederati del XV-XVI secolo
furono invece venduti dai riformati alle parrocchie cattoliche (quale il polittico di
provenienza sveva di Ivo Strigel a Osogna).
Tra gli artisti barocchi di origine locale ma attivi prevalentemente fuori dal Ticino
si distinsero Giovanni Battista Discepoli a Milano, Giovanni Battista Carlone
specialmente a Genova e Giovanni Serodine e Pier Francesco Mola a Roma.
Esponenti significativi del primo barocco pittorico furono l'autore anonimo detto
Maestro della natività di Mendrisio così come Francesco e Innocenzo Torriani; il
caso di questi ultimi è esemplare di un fenomeno artistico tipico del Ticino, per cui
emigravano le opere, quando non lo facevano gli artisti.
Gran parte dell'architettura barocca ticinese è visibile all'estero, come nel caso
delle opere di Carlo Maderno e Francesco Borromini che, affermatisi a Roma,
non lasciarono tracce in Ticino. Nella regione diversi edifici ecclesiastici furono
rinnovati e aggiornati tra XVII e XVIII secolo, ma in molti casi con interventi
moderati, usando a profusione marmi variegati, come quello di Arzo, e pregevoli
stucchi. Continuarono a essere rari e poco appariscenti gli edifici civili: alcuni
palazzi urbani e rare ville con giardini spiccavano tra le case borghesi di modesta
struttura, spesso inscindibili dai locali di uso contadino o mercantile.
La tradizione migratoria raggiunse il suo apice nel XVIII secolo, con Domenico
Trezzini a San Pietroburgo e molti altri artisti ticinesi, che elaborarono con infinite
variazioni le regge e le chiese rococò di tutto il continente, e perdurò fino al XIX
secolo, tra l'altro con Domenico Gilardi. Tra i pittori si distinse Giuseppe Antonio
Petrini, che operò specialmente in patria. Nel solco della grande «scuola» italiana
dell'affresco monumentale si inserirono alcuni artisti ticinesi, come i Colomba, gli
Orelli e i Torricelli, e italiani, fra cui i Carlone di Scaria (val d'Intelvi), imparentati
con famiglie del Ticino meridionale, dove furono attivi. Tra i principali esponenti
del primo neoclassicismo europeo si distinguono Simone Cantoni e Giocondo
Albertolli.
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4. Stato e vita politica nel XIX e XX secolo
Autrice/Autore: Carlo Agliati
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4.1.1. La formazione del cantone (1798-1830)
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
Fu l'Atto di mediazione (1803) a sancire la nascita del canton Ticino, dotato per
volontà di Napoleone Bonaparte di una Costituzione simile a quella degli altri
cantoni di recente formazione. La Costituzione del 1803 istituiva una «democrazia
governata», basata sul sistema rappresentativo, sulle elezioni indirette e su un
elevato censo di eleggibilità che consegnava il potere nelle mani dei notabili. La
cittadinanza attiva era inoltre riservata ai soli membri dei comuni patriziali o
patriziati.
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ad appartenere. Durante la Mediazione il governo, nel quale spiccava la figura
di Vincenzo Dalberti, si adoperò per dare organicità alle strutture statali e per
diffondere uno spirito pubblico che facesse riconoscere il cantone quale patria
comune dei Ticinesi.
Nel marzo e nel luglio del 1814 il Gran Consiglio tentò una revisione
moderatamente liberale della Costituzione (uguaglianza dei diritti, separazione
dei poteri, elezione diretta del legislativo rafforzato rispetto al governo), stroncata
dall'intervento delle potenze europee. Una parte degli elettori ticinesi reagì con
un'insurrezione, culminata nella riunione a Giubiasco di un congresso dei deputati
dei circoli (25-30 agosto 1814) e nella nomina da parte di quest'ultimo di una
Reggenza provvisoria (esecutivo) e di un Consiglio cantonale (legislativo). Il
fallimento di questi moti fu seguito dall'adozione della Costituzione del 17 dicembre
1814. Il Gran Consiglio fu ridotto a 76 membri: ogni circolo eleggeva un deputato,
mentre gli altri 38 erano designati con procedura complessa. Per attenuare le
rivalità regionali fu stabilita l'alternanza sessennale del capoluogo tra Bellinzona,
Locarno e Lugano. Dal governo di 11 membri (Consiglio di Stato) furono esclusi
gli ecclesiastici. Questo ordinamento, caratterizzato da un esecutivo forte, fu detto
regime dei Landamani, dal nome della funzione riservata al capo del governo.
Fu personificato da alcuni notabili che monopolizzarono la carica, in particolare
Giovanni Battista Quadri, e divenne, per gli oppositori, sinonimo di governo
dispotico, ostile alle libertà pubbliche e sottoposto a una marcata influenza da parte
del Regno Lombardo Veneto.
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pubblicità degli affari statali, fino al clero, escluso dal potere esecutivo e giudiziario
e inquieto per il crescente controllo del governo sulla Chiesa.
Contro il volere del Landamano Quadri, il Gran Consiglio votò il 23 giugno 1830
una riforma della Costituzione, ratificata dalle assemblee popolari il 4 luglio: in
leggero anticipo anche sugli eventi internazionali, il Ticino diede quindi il via sul
piano nazionale alle riforme costituzionali della Rigenerazione. La nuova Carta
sanciva la pubblicità degli atti governativi e parlamentari, la separazione netta
dei poteri, l'elezione diretta dei deputati, il referendum costituzionale, il diritto
di petizione e la libertà di stampa. Furono aumentati i poteri del parlamento
(114 membri) rispetto al governo (nove membri, tra i quali poteva trovarsi un
ecclesiastico). Restarono inevasi alcuni postulati democratici: il suffragio universale
maschile o l'uguaglianza dei diritti civici. Sussistevano infatti i vincoli censitari, il
requisito patriziale e ostacoli legali all'esercizio dei diritti politici fuori dal comune
di origine.
Dalle divergenze sul ruolo dello Stato e sulla natura delle riforme sorsero dopo
il 1830 i due partiti storici: i liberali o radicali (più tardi liberali radicali) e i
moderati o conservatori. I radicali, tra i quali spiccava Stefano Franscini, volevano
uno Stato efficiente e unificatore, che limitasse i particolarismi e le ingerenze
della Chiesa nella società civile, in grado di guidare la trasformazione del Paese,
promuovendo l'istruzione pubblica (scuola) e lo sviluppo economico. I conservatori
difendevano uno Stato economo, rispettoso delle tradizioni, delle autonomie
locali e delle prerogative ecclesiastiche. I radicali si impadronirono del potere
con un sollevamento armato nel dicembre del 1839 e lo difesero da un tentativo
controrivoluzionario nel luglio del 1841. Iniziò una stagione politica caratterizzata
da violenze, giustizia sommaria e colpi di mano armati. Il voto palese nelle
assemblee di circolo era fonte di tafferugli, brogli e condizionamenti clientelari
(clientelismo) dell'elettorato. Spesso per sedare le violenze politiche dovettero
intervenire dei commissari federali (1855, 1870, 1876, 1889, 1890).
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le imposte dirette. Rafforzatasi dopo il 1850, l'opposizione alla politica dei
radicali nasceva, oltre che dalle difficoltà economiche e finanziarie, dalla
reazione alle iniziative anticlericali (anticlericalismo): soppressione dei conventi
e incameramento dei loro beni per finanziare la pubblica istruzione (1852),
laicizzazione dell'insegnamento (1853), ingerenza statale nelle questioni di culto ed
esclusione del clero dalla vita politica (1855).
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nei confronti della Confederazione, denunciando una centralizzazione che riduceva
l'autonomia dei cantoni e minacciava la minoranza italofona.
Tutto ciò sembrava far presagire una pacificazione dello scontro politico: invece
non tardarono a sorgere vecchi e nuovi motivi di disputa con l'abituale corollario
di tumulti, vendette politiche e iniziative per delegittimare l'avversario. Nel 1880
fu introdotta la ripartizione dei seggi in Gran Consiglio in base alla popolazione
residente, invece della rappresentanza fissa per circolo. La riforma segnò la fine
del circolo come centro della vita politica locale e generò nuovi conflitti relativi
all'allestimento dei cataloghi elettorali (inclusione o esclusione degli emigranti);
spinse inoltre i conservatori a usare l'ingegneria elettorale nella delimitazione dei
circondari elettorali, in modo da garantirsi una solida maggioranza con uno scarto
minimo di suffragi.
In un clima esasperato anche dalle pratiche clientelari, con le quali i due partiti
si procacciavano voti e appoggi in cambio di favori e impieghi pubblici, la
delegittimazione dell'avversario sfociò in un ultimo mutamento violento del potere,
attraverso la Rivoluzione del 1890 il cui esito fu però inatteso: invece di un nuovo
dominio dei radicali, il cambiamento di regime sfociò in una riforma elettorale,
voluta dalla Confederazione, che obbligò i due partiti a governare insieme. Tanto
per il Gran Consiglio e i municipi (1891) quanto per il Consiglio di Stato (1892),
eletto non più dal legislativo ma dal popolo, si passò così dal sistema maggioritario
a quello proporzionale (sistemi elettorali), di cui il Ticino fu suo malgrado il
pioniere in Svizzera.
Dall'inizio del XX secolo apparve sulla scena politica una terza forza, il Partito
socialista ticinese (PST), dapprima alleato della sinistra radicale; dopo una
crisi interna (1912-1913) che rivelò un nuovo leader nella persona di Guglielmo
Canevascini, il PST rivendicò a sua volta un ruolo più autonomo e di forza
governativa.
Nel 1920 fu introdotto il circondario unico per l'elezione del Gran Consiglio,
mentre nel 1922 fu fissato a cinque il numero di Consiglieri di Stato e fu adottata
la cosiddetta formula Cattori, dal nome del suo promotore Giuseppe Cattori,
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che impediva a un partito privo della maggioranza assoluta dei voti di avere la
maggioranza assoluta dei seggi in governo. Si sviluppò così ulteriormente la
democrazia consociativa che obbligava i partiti e i loro dirigenti a collaborare,
poiché nessuna formazione politica disponeva della maggioranza assoluta
nell'esecutivo o nel legislativo. Dal 1927 la composizione partitica del governo
rimase immutata per 60 anni: due liberali, due conservatori e un socialista.
Il proporzionalismo facilitò le scissioni e la nascita di nuovi partiti, anche se
non portò al caos politico prospettato allora dai fautori del maggioritario. Gli
anni 1920 furono caratterizzati da un'alleanza di fatto tra conservatori (Partito
popolare democratico, PPD), socialisti e, fino al 1927, agrari, nota con il nome di
«pateracchio», che permise l'avvento del cosiddetto Governo di Paese (1922-1935),
ponendo fine alla crisi politica apertasi nel 1919 con la perdita della maggioranza
assoluta da parte del Partito liberale radicale (PLR) nelle elezioni federali di
quell'anno.
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Dagli anni 1990, anche a seguito di una lunga stagnazione economica, intervenne
una fase di incertezza, all'origine dell'erosione di una parte dei fondamenti
identitari elvetici. Questo fenomeno fu accompagnato, come altrove, da una
crescente disaffezione degli elettori verso i partiti (dimostrata anche dal calo della
partecipazione elettorale: 80% nel 1967, 62% nel 2011) e dalla conseguente crisi del
sistema politico tradizionale. Tale crisi contribuisce a spiegare il costante rifiuto
di alcune opzioni di apertura in politica estera (Spazio economico europeo, SEE;
accordi bilaterali, Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU) e il successo della
Lega dei ticinesi, movimento populista costituito nel 1991, influenzato dalla Lega
Nord italiana. Se la Lega ha progressivamente attenuato la sua iniziale critica alla
partitocrazia, anche per effetto della sua precoce e crescente integrazione nelle
istituzioni, resta dirompente la sua attualizzazione delle tensioni politiche centro-
periferia (Berna-Ticino). Ciò ha comportato un mutamento degli equilibri politici
cantonali: la Lega ha strappato al PPD (1995) e al PLR (2011) un seggio in governo,
composto dal 2011 da due leghisti, un liberale, un popolare democratico e un
socialista, ed è divenuta il partito di maggioranza relativa (con quasi il 26% dei
voti). Dal 2015, la frammentazione delle forze politiche in Gran Consiglio rende
sempre più difficile trovare maggioranze stabili: infatti, soltanto la convergenza di
almeno tre partiti consente di ottenere la maggioranza assoluta.
Sul piano giuridico, nel 1967 fu operato un riordino formale della Costituzione
cantonale del 1830 e nel 1975 venne modificato l'articolo 1 (abolizione della
norma che riconosceva la religione cattolica come religione del cantone). Nel
1997 fu adottata una nuova Costituzione, frutto di lavori preparatori durati quasi
20 anni e avversata solo dalla Lega. Tra le novità proposte, la formulazione
degli obiettivi sociali, il riconoscimento degli organi della società civile e la
soppressione dell'elezione popolare dei magistrati (tranne i giudici di pace). Dalle
elezioni cantonali del 2007 è possibile anche in Ticino ricorrere alla scheda senza
intestazione, un'innovazione che asseconda la tendenza sempre più diffusa al voto
d'opinione a scapito del voto di appartenenza.
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4.2. Stato, amministrazione e rapporti con l'esterno
4.2.1. Sviluppo e struttura dell'apparato statale
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
Il personale amministrativo dello Stato aumentò con una certa regolarità fino a
raggiungere le 1000 unità intorno al 1940. All'inizio degli anni 1960 il numero degli
impiegati pubblici (funzionari) conobbe però un forte incremento a seguito della
creazione degli uffici correlati ai vari dipartimenti, attestandosi da allora attorno
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alle 4500 unità in media (docenti esclusi). Il potenziamento dell'amministrazione
statale permise di mantenere e ampliare la pratica di individuare in quest'ultima
dei bacini clientelari, sviluppatasi a partire dalle strategie familiari di controllo
delle cariche pubbliche. In una regione con prospettive lavorative inferiori rispetto
a zone economicamente più forti, tali strategie furono applicate nel passaggio dal
regime balivale al nuovo Stato cantonale, portando a un'evoluzione dei metodi di
controllo elettorale: da sistemi di piccolo credito all'assegnazione di posti di lavoro.
Ne fu chiara dimostrazione l'esclusivismo politico diffuso nel XIX secolo, per cui il
partito al potere – alternativamente liberale radicale e conservatore – allontanava
sistematicamente gli impiegati governativi del partito avverso.
Vista l'appartenenza delle parrocchie ticinesi alle diocesi di Como e Milano, si pose
sin dal 1803 la questione diocesana. La creazione di una diocesi ticinese si scontrò
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con l'opposizione dell'Austria (che dal 1815 regnava di nuovo sulla Lombardia
ed esercitava l'autorità sulle diocesi di Como e Milano) e con una certa reticenza
del clero ambrosiano. L'ingerenza austriaca nel cantone fu uno dei fattori che
incoraggiarono l'opera di secolarizzazione intrapresa dai radicali dopo il 1840.
Altri aspetti importanti furono la necessità di procurarsi le risorse necessarie
alla creazione della scuola pubblica, specialmente degli istituti ginnasiali e
letterari, e la convinzione che l'influenza e le prerogative del clero e delle istituzioni
ecclesiastiche ostacolassero la modernizzazione dello Stato e della società. Una
legge del 1846 poneva le corporazioni religiose sotto sorveglianza statale. In virtù
del diritto eminente dello Stato, il cantone soppresse gran parte dei conventi e
ne incamerò i beni, per far fronte alla crisi delle finanze pubbliche (1848) e per
creare scuole liceali e ginnasiali laiche al posto dei collegi religiosi (1852). La
legislazione anticlericale fu completata nel 1855 con misure che anticipavano le
tendenze del Kulturkampf: il clero fu privato dei diritti politici e una legge civile-
ecclesiastica pose l'esercizio del ministero ecclesiastico e l'amministrazione delle
parrocchie sotto rigida sorveglianza governativa; fu inoltre istituito il matrimonio
civile obbligatorio e fu secolarizzata la tenuta dei registri anagrafici.
L'assetto dei rapporti tra Stato e Chiesa, definito allora, rimase quasi immutato
fino agli ultimi decenni del XX secolo, nonostante controversie e dibattiti
sull'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche e sul finanziamento della diocesi
(imposta di culto), protrattisi fino all'inizio del XXI secolo. Anche l'insediamento
dei primi nuclei riformati, intorno al 1870, aveva causato qualche attrito con il clero
cattolico.
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Costituzione federale garantiva la libertà di coscienza. Questa disposizione fu
modificata solo nel 1975, conferendo anche alla Chiesa riformata la personalità
giuridica e la facoltà di organizzarsi liberamente. Apposite leggi regolano i rapporti
con la Chiesa cattolica (2002) e con quella riformata (1997), entrambe riconosciute
come personalità di diritto pubblico.
Il tracciato dei confini tra Ticino e Stati italiani conobbe dal XVI secolo diverse
modifiche; la parentesi costituita dalla Repubblica Cisalpina e la creazione dello
Stato unitario italiano chiusero la lunga riorganizzazione confinaria. Nonostante
le discontinuità politiche, all'origine di rotture e frammentazioni dei rapporti,
permase sul lungo periodo una permeabilità della frontiera che generò forti e
specifiche relazioni socio-economiche e culturali.
Se in seguito ai moti liberali e democratici degli anni 1830 si procedette a una serie
di espulsioni verso l'Italia, fu il ritorno degli Austriaci a Milano nell'agosto del
1848 – dopo le Cinque Giornate del marzo precedente e il conseguente massiccio
arrivo di profughi nel cantone – a generare momenti di forte tensione con il Ticino,
governato dai radicali. Per ben due volte (1848 e 1853) il cantone sudalpino,
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accusato di praticare una politica troppo liberale verso i rifugiati, fu colpito dal
blocco delle frontiere e da pesanti misure di ritorsione, quali l'espulsione dei
Ticinesi dalla Lombardia. Le continue lotte al confine fecero intervenire più volte
la Confederazione. I rapporti tra il cantone e la Lombardia si normalizzarono con il
ritiro degli Austriaci (1859); tuttavia, la nascita dello Stato unitario italiano (1861)
fu accompagnata dall'affermarsi di un nuovo tema, l'irredentismo, che trovò la sua
massima espressione durante il fascismo.
La creazione nel 1995 della Regio Insubrica, ente che riunisce esponenti
istituzionali e privati del Ticino e delle province lombarde di Como, Varese e
Verbano-Cusio-Ossola, cui si aggiunsero dal 2006 quelle di Lecco e Novara, con lo
scopo di favorire i contatti transfrontalieri, si iscrive nelle relazioni di lungo corso
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di questo storico «territorio di vita» costituito su un tessuto culturale ed economico
in buona parte comune.
Una nuova fase dei rapporti con la Confederazione prese avvio con l'inaugurazione,
nel 1882, della galleria ferroviaria del San Gottardo, che segnò la fine
dell'isolamento ticinese ed ebbe importanti ripercussioni anche sul piano
demografico e culturale. La delusione delle speranze di sviluppo economico riposte
in questa apertura fu all'origine delle Rivendicazioni ticinesi (1924, seguite da una
seconda serie di desiderata nel 1938), di carattere economico, tariffario e culturale,
che trovarono solo parziale soddisfazione.
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un'autostrada a quattro corsie da Airolo a Chiasso. Durante gli anni 1990 furono
avanzate richieste analoghe anche per la linea ferroviaria veloce, che dovrebbe
completare la nuova trasversale alpina (ferrovie).
Nel XX secolo il Ticino fu rappresentato con una certa regolarità nel Consiglio
federale (Giuseppe Motta, 1911-1940; Enrico Celio, 1940-1950; Giuseppe Lepori,
1954-1959; Nello Celio, 1966-1973; Flavio Cotti, 1986-1999). L'assenza, dal
1999, di un Ticinese nell'esecutivo federale ha alimentato nuove polemiche
nei confronti della Confederazione, in un contesto di crisi economica che,
sommata ad altri problemi quali le ripercussioni negative del pur auspicato
traffico autostradale, ha alimentato le recriminazioni nei confronti di Berna.
Sono particolarmente contestate la politica di apertura all'Unione europea (UE)
e la crescente concorrenza tra i cantoni che penalizza le regioni periferiche. A
questi aspetti va aggiunta la netta diminuzione della presenza dei servizi federali
(militare) o parastatali (Poste, telefoni e telegrafi, PTT; Ferrovie federali svizzere,
FFS; Swisscom) in Ticino (regie federali).
Dalla fine del XVIII secolo la crescita demografica del cantone (90'000 abitanti nel
1798) fu piuttosto regolare, con momenti di stagnazione (intorno al 1880 e al 1920)
e periodi di forte incremento (1888-1910, 1950-1970), grazie ai saldi migratori
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dall'Italia. A metà del XIX secolo il divario tra abitanti e risorse provocò ondate
migratorie (emigrazione) che spopolarono le vallate del Sopraceneri, specialmente
la Vallemaggia e la Verzasca. Fino alla metà del XX secolo la crescita demografica
del Ticino fu inferiore alla media nazionale: dal 5,3% di quella svizzera nel 1798 la
popolazione ticinese scese al 4,9% nel 1850, al 4,2% nel 1900 e al 3,6% nel 1960,
suscitando il timore di un declino etnico, per poi risalire al 4,2% nel 2000, grazie
all'immigrazione.
Il tasso di stranieri residenti nel cantone registrò un primo picco nel 1910 con una
proporzione del 28%, cui seguì un calo marcato a causa della prima e della seconda
guerra mondiale (17% nel 1950) e un'impennata negli anni del boom economico
(27% nel 1970) prima di assestarsi all'inizio del XXI secolo su valori fra i più alti in
Svizzera (26%).
Se la proporzione di cattolici scese dalla quasi totalità nel 1850 al 76% nel 2000,
quella di riformati salì nello stesso periodo dallo 0,2% al 7%. Si registrò pure un
aumento di agnostici e appartenenti ad altre comunità religiose: dal 2% nel 1970 al
17% nel 2000. Nel censimento della popolazione del 2000 il 7% della popolazione
si dichiarava senza religione, mentre tra gli altri gruppi religiosi sono cresciuti
cristiani ortodossi (2%, in linea con la media nazionale) e musulmani (2% contro il
4% della media svizzera), in seguito all'immigrazione dai Balcani e dalla Turchia.
Sin dall'epoca moderna il Ticino conobbe migrazioni sia temporanee sia definitive.
Lo snodo delle tipologie migratorie si situa a metà del XIX secolo. Se fino a quel
momento le migrazioni erano soprattutto di tipo conservativo, mirate al rientro
e al miglioramento delle condizioni di vita nella regione, dalla seconda parte del
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secolo i motivi dell'emigrazione furono soprattutto la miseria e la mancanza di
lavoro. Si instaurarono così, accanto alle vecchie, nuove forme migratorie, di
massa e definitive, in particolare verso i Paesi d'oltremare (Australia, America
del sud e del nord, Africa settentrionale), che persistettero fin verso la seconda
guerra mondiale, con alcuni picchi. L'emigrazione oltreoceano raggiunse le punte
massime attorno al 1870, verso la fine del XIX secolo e negli anni precedenti la
prima guerra mondiale. Si stimano a ca. 50'000 i Ticinesi emigrati verso altri
continenti tra il 1850 e il 1930. Tuttavia, l'emigrazione periodica e stagionale restò
per buona parte del tempo quella più ricorrente. Elevato fu anche il numero di
coloro che si trasferirono nel resto della Confederazione: tra il 1900 e il 1950 crebbe
dall'8 al 20% la quota dei residenti oltralpe sul totale degli attinenti ticinesi in
Svizzera (migrazioni interne). Accanto alle tendenze generali, va considerata la
differenziazione regionale (Sopraceneri e Sottoceneri, valli) nel ricorso all'una o
all'altra forma migratoria.
Nella seconda parte del XX secolo l'emigrazione massiccia di Ticinesi cessò, mentre
aumentò nettamente l'immigrazione, in particolare dall'Italia meridionale; alla
fine degli anni 1970, il 70% di tutti i posti di lavoro nell'industria era occupato da
stranieri. Nel 2010 era il terziario (servizi) a impiegare in valori assoluti la maggior
parte degli stranieri. Il secondario era però il settore più interessato dai frontalieri;
già nel XIX secolo vi era un forte movimento di frontiera di braccianti agricoli
(giornalieri) e di manodopera impiegata nelle manifatture tessili e dei tabacchi.
Dopo il 1950 il flusso di frontalieri aumentò in modo impressionante, toccando
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i 40'000 lavoratori già intorno al 1990. Nel 2009 erano 44'400, su un totale di
201'000 occupati.
La densità della popolazione passò da 43 abitanti per km2 nel 1870 a 109 nel
2000, con i casi estremi dei distretti di Mendrisio (da 182 a 453) e Lugano (da
115 a 387), da un lato, e di Blenio (da 21 a 15) e Vallemaggia (da 12 a 9), dall'altro.
Notevole quindi lo squilibrio regionale: nel 2008 risiedeva nel Sottoceneri (15% del
territorio) oltre il 57% della popolazione. Determinante per l'evoluzione territoriale
fu la costruzione della ferrovia del San Gottardo (1872-1882). Gli insediamenti e
le attività industriali e del terziario si concentrarono lungo l'asse Airolo-Chiasso,
sul piano di Magadino e attorno ai laghi. Dopo il 1960 il rinnovamento della rete
stradale e la forte motorizzazione frenarono lo spopolamento delle valli, grazie
al pendolarismo. Nel 2000 ca. il 60% degli attivi lavorava fuori dal comune di
residenza, con spostamenti limitati e convergenti verso tre zone: il Mendrisiotto,
il Luganese e il Bellinzonese (quest'ultima regione con funzione di centro
amministrativo).
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5.1.4. Architettura e patrimonio urbanistico
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
5.2. Economia
5.2.1. Agricoltura, selvicoltura e migliorie fondiarie
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
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integrate con la campicoltura di sussistenza e la raccolta di frutti (castagne). Vista
la scarsità di terre arabili, il cantone doveva importare ingenti quantità di grano
dalla Lombardia per il proprio fabbisogno.
La forte richiesta dalla Lombardia di legname (industria del legno), uno dei
principali prodotti di esportazione che procurava introiti a cantoni, comuni e
patriziati, causò uno sfruttamento rovinoso dei boschi nella prima metà del XIX
secolo. I danni di uno sfruttamento scriteriato furono aggravati dal sistema di
trasporto dei tronchi (fluitazione). Solo l'intervento federale (legge federale del
1876, sovvenzioni; leggi forestali) per far fronte ai danni delle alluvioni permise
la ricostituzione del patrimonio boschivo, rimediando all'inefficienza cantonale
(mancata applicazione della prima legge cantonale del 1840 e soppressione nel
1863 dell'ispettorato forestale, istituito nel 1857).
La crisi delle risorse intorno al 1850 diede impulso, tra forti opposizioni locali, a
riforme agrarie volte a liberare le terre da servitù che ostacolavano l'innovazione
e scoraggiavano gli investimenti. Il progetto più ambizioso fu la bonifica del
piano di Magadino, che trovò attuazione dopo il 1880 con il contributo della
Confederazione.
Il settore agricolo si disgregò nel secondo dopoguerra, passando dal 18% della
popolazione attiva nel 1950 al 2% nel 2000, con un forte calo di aziende, superfici
coltivate e patrimonio zootecnico; all'inizio del XXI secolo predominava la
produzione di legumi e ortaggi (orticoltura) in serre, oltre alla viticoltura nelle zone
collinari.
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5.2.2. Vie di comunicazione e transiti
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
Per favorire i traffici attraverso il San Gottardo, il Ticino realizzò nella prima metà
del XIX secolo un ambizioso piano di strade maestre carrozzabili (compreso il
ponte-diga di Melide, 1847), nonché una rete di strade circolari per facilitare i
collegamenti interni. Le aspettative economiche della politica viaria furono in parte
vanificate dall'unificazione doganale del 1848, che tolse al cantoni i proventi di dazi
(dogane) e pedaggi.
La seconda metà del XIX secolo vide l'avvento della ferrovia, da cui ci si aspettava
il decollo industriale: la linea del San Gottardo fu completata con le linee
verso Locarno e Luino; sulla stessa si innestarono diverse ferrovie regionali
(Locarno-Bignasco, Lugano-Tesserete, Lugano-Cadro-Dino, Biasca-Acquarossa,
Lugano-Ponte Tresa), aperte intorno al 1910 e smantellate in gran parte tra il 1965
e il 1973.
Il Ticino ferroviario cedette il posto a quello autostradale nella seconda metà del
XX secolo: la politica cantonale consisteva nel captare il maggior numero possibile
di traffici. La dorsale autostradale (il primo tronco fu aperto nel 1968), che ricalca
in buona parte quella ferroviaria, strutturò i nuovi poli economici e commerciali
(Mendrisiotto, Pian Scairolo, valle del Vedeggio e, di riflesso, piano di Magadino).
Ancora all'inizio del XXI secolo il Ticino traeva però scarso beneficio dai transiti e
i collegamenti stradali più veloci non avevano incrementato nella misura sperata il
turismo.
5.2.3. L'industrializzazione
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
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Fattori esogeni, quali la politica doganale e dei trasporti, il differenziale di frontiera
e i capitali e le iniziative imprenditoriali esterne al cantone, condizionarono in
modo variabile dal XIX secolo l'industria e l'economia ticinese nel suo insieme.
Grazie ai collegamenti ferroviari e alla disponibilità di energia elettrica sorsero
all'inizio del XX secolo alcune industrie con capitali esteri: la Società Anonima del
Linoleum (poi Forbo) a Giubiasco e la Diamant (fabbrica di materiali smeriglianti),
le Officine del Gottardo (leghe metalliche) e la Nitrum (derivati dell'azoto) a Bodio;
altre industrie importanti erano le officine delle FFS di Bellinzona, la cartiera
(carta) di Tenero, gli stabilimenti tessili, le fabbriche alimentari e le manifatture
di tabacchi (specialmente nel Sottoceneri; industria dei generi voluttuari e
alimentari). Vittima dell'epidemia dei bachi (epizoozie), della concorrenza e del
divieto del lavoro minorile, l'industria serica declinò alla fine del XIX secolo.
L'industria del granito (industria della pietra) conobbe un notevole sviluppo
intorno al 1900 (ca. 3000 operai nelle cave). Il maggior fattore di localizzazione
dell'industria era il basso costo della manodopera, in buona parte immigrata (50%
degli occupati nel 1913).
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5.2.4. La politica idroelettrica e lo sviluppo economico
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
Nel 1894 entrò in vigore la legge cantonale sullo sfruttamento delle acque che
riservava allo Stato il rilascio delle concessioni idroelettriche e i proventi dei
canoni d'acqua (industria elettrica). Grazie alle prime concessioni, prosperò il
polo industriale di Bodio e fu possibile l'elettrificazione delle ferrovie. Se nel 1939
vi era in Ticino un solo lago artificiale (Ritom, realizzato nel 1920; dighe), dopo
il 1945 ne vennero costruiti 18; per capacità produttiva idroelettrica il Ticino è
il terzo cantone dopo Vallese e Grigioni. Gli impianti più importanti sono quelli
della Maggia e di Blenio. La politica idroelettrica del cantone fu aspramente
criticata: con la concessione delle acque della Maggia (1949) e del Brenno (1953)
a società in maggioranza svizzerotedesche (Partnerwerke), il Ticino rinunciò
alla valorizzazione in proprio di una risorsa di importanza strategica. Una scelta
difesa allora con la difficoltà di reperire nel cantone i capitali necessari per gli
investimenti e con il rischio di non poter smerciare l'energia prodotta. Solo nel
1958 fu creata un'azienda pubblica cantonale, l'Azienda elettrica ticinese, per
rilevare le concessioni giunte a scadenza.
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In seguito a un rapido mutamento strutturale dagli anni 1960, il Ticino è divenuto
uno dei cantoni più terziarizzati (81% degli attivi nei servizi nel 2000): sono
cresciuti in modo spettacolare il settore bancario e parabancario (banche), facendo
di Lugano la terza piazza finanziaria in Svizzera (con oltre 100 istituti bancari
all'inizio del XXI secolo), e quello parastatale (sanità, formazione, servizi sociali).
5.3. Società
5.3.1. Evoluzione della struttura e dei gruppi sociali
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
Per tutto il XIX secolo l'élite si formò in preponderanza nelle università della vicina
Italia, specialmente a Pavia, con cui vigevano in alcuni casi accordi particolari.
Con il tempo, in seguito all'istituzione del Politecnico federale di Zurigo (1855)
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e dell'Università di Friburgo (1889), furono privilegiati gli istituti universitari
elvetici.
5.3.2. L'associazionismo
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
Come nel resto della Svizzera, le associazioni, fra cui in particolare quelle a scopo
patriottico o filantropico, si svilupparono con più intensità dagli anni 1830.
Nel Ticino della prima parte del XIX secolo si distinse l'attività del movimento
riformista di ispirazione liberale, composto da laici e religiosi; desideroso di
modernizzare il Paese, creò una serie di iniziative sociali a favore dell'educazione
e dell'industria, come nel caso della Società di utilità pubblica (1829), fondata
da Vincenzo Dalberti e Stefano Franscini e accolta dal regime conservatore con
seria preoccupazione. Nella stessa ottica, Franscini creò la Società degli amici
dell'educazione del popolo (1837), poi Demopedeutica, e diversi editori impegnati
fondarono gabinetti di lettura e biblioteche circolanti.
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assistenziali e religiose a quelle politiche e di promozione delle donne e del
suffragio femminile.
Le prime organizzazioni per gli operai (società operaie) presero il via a metà degli
anni 1850, promosse in particolare dalla sinistra radicale. Basate su principi
democratici, privilegiarono nel loro sviluppo le finalità politiche a scapito di un
sostegno vero e proprio agli operai. Nella seconda parte del secolo sorsero le prime
vere società di mutuo soccorso (nel 1888 se ne contavano 24). Verso la fine del
secolo, e in correlazione con i lavori ferroviari, anche a sud delle Alpi apparvero le
sezioni della Società del Grütli (la prima a Bellinzona nel 1881), composte per la
maggior parte da Svizzerotedeschi. Al contempo sorsero le cooperative di consumo,
sostenute anche dai socialisti, che verso la fine del XIX secolo svilupparono altre
forme di organizzazione operaia, in stretta collaborazione con gli esuli politici
(profughi) italiani giunti in Svizzera a seguito delle misure repressive dei governi
della Penisola. A cavallo del XX secolo furono istituiti i primi sindacati di categoria.
Nel 1902 fu creata la Camera del lavoro. L'influenza dell'emigrazione politica
italiana sul movimento operaio cantonale ridivenne importante durante il fascismo,
con l'arrivo dei fuorusciti e dei rifugiati (antifascismo).
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con l'intento di distinguersi dalle organizzazioni femminili tradizionali, si sviluppò
una pluralità di iniziative e sodalizi, espressione del nuovo movimento femminista.
5.4. Cultura
5.4.1. Istruzione
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
La prima legge scolastica cantonale (1804), che introdusse l'obbligo per i comuni
di istituire una scuola elementare, rimase in gran parte inapplicata anche per
difficoltà finanziarie. L'offerta scolastica era affidata ai collegi religiosi e a una
rete di scuole elementari – volute tra gli altri da comunità locali, benefattori e
parrocchie – che aveva garantito già nell'ancien régime un discreto grado di
alfabetizzazione.
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dall'elevata frequentazione della scuola per l'infanzia e da un alto tasso di maturità
liceale (17% a fronte di una media nazionale del 10% nel 1980, 30% contro il 20%
nel 2010).
Nella seconda parte del XX secolo la democratizzazione degli studi portò a una
maggiore diffusione della formazione, che si estese anche alle donne: nel 1965 le
ragazze costituivano il 25% dei liceali contro il 54% nel 2005; negli stessi anni,
la presenza femminile raggiunse nei contratti di tirocinio dapprima il 30% e in
seguito il 40%. Tale tendenza ebbe come conseguenza l'aumento della massa critica
di donne e uomini con un buon livello di istruzione, impiegati per buona parte
nell'insegnamento e nei media.
I rapporti tra Ticinesi e Italiani furono però i più intensi e regolari, particolarmente
evidenti nell'ambito letterario (letteratura italiana). Spesso originati dalle
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divergenti evoluzioni politiche dei due Paesi, tali relazioni diedero vita a solide
esperienze culturali. Come nel Risorgimento, anche durante il fascismo furono
creati sul suolo ticinese giornali e case editrici per sfuggire alla censura italiana
e molto attiva fu la partecipazione degli Italiani alla vita culturale della regione.
Dall'effervescenza ideologico-culturale che il Ticino visse nel 1943-1945 grazie
alla presenza di intellettuali italiani di primo piano scaturirono alcune iniziative,
come il premio letterario Libera Stampa (1946-1966), che però si spensero nel
dopoguerra.
5.4.3. Arte
Autrice/Autore: Anastasia Gilardi
La stampa, specialmente quella politica, trovò nel XIX secolo uno slancio che
mantenne nella prima metà del XX. Malgrado il numero elevato di quotidiani,
emanazione di partiti politici (fra cui specialmente Gazzetta Ticinese, Il Dovere
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e L'Avanguardia per l'area liberale-radicale; Popolo e Libertà per quella
conservatrice; Libera Stampa per i socialisti), nella seconda parte del XX secolo
si consolidarono le testate senza legami organici con i partiti (Corriere del Ticino,
Giornale del Popolo, La Regione). All'inizio del XX secolo comparvero in Ticino
pubblicazioni culturali di ampio respiro che diedero il via a un filone di riviste
culturali di varia fattura (di cultura generale, letterarie, storiche, scientifiche).
Con la fondazione a Lugano della Radio della Svizzera italiana (1930), all'epoca
nota come Radio Monte Ceneri (dall'ubicazione del suo trasmettitore), alla
popolazione venne offerto un nuovo strumento culturale. Sul modello di altre
emittenti di servizio pubblico, svolse un compito educativo, di università popolare,
particolarmente sentito in un cantone a lungo privo di istituti accademici. La
Televisione della Svizzera italiana iniziò a trasmettere nel 1961, seguendo per un
breve periodo gli stessi intenti. Nonostante i forti legami con la cultura italiana,
dati anche dalla massiccia presenza di Italiani all'interno dell'ente, diverse furono
le specificità della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (RTSI, dal 2009
RSI; Società svizzera di radiotelevisione, SSR), perlomeno fino agli anni 1980: tra
i primi esempi, l'integrazione nella programmazione del genere della commedia
dialettale, all'origine dello sviluppo del teatro dialettale nella regione. Anche il
teatro di parola deve molto ai legami dei suoi protagonisti con la radio. Nella
seconda parte del XX secolo il clima teatrale mutò aprendosi a nuove forme, come
il teatro di movimento, divulgato dal Teatro (1971) e dalla Scuola Teatro Dimitri
(1975) di Verscio. Ne risultò così arricchito il panorama teatrale ticinese, animato
da istituzioni di antica data quali il Teatro Sociale di Bellinzona (inaugurato nel
1847) e il Teatro di Locarno (1902) e numerose compagnie.
Sempre grazie alla radio, il cantone si dotò di un'orchestra sinfonica con sede a
Lugano, l'Orchestra della Svizzera italiana (1935). Nell'ambito musicale, vivacizzato
da una folta presenza di bande e corali e di scuole di musica (fra cui in primo luogo
il Conservatorio della Svizzera italiana, nato come Accademia di musica della
Svizzera italiana nel 1985), diverse manifestazioni presero avvio nella seconda
parte del XX secolo. Si distinguono specialmente le settimane musicali di Ascona
(1946) ed Estival Jazz a Lugano (1979). Tra i vari festival del film sbocciati in
Svizzera a metà del XX secolo, quello di Locarno (1946) è tuttora il maggiore
avvenimento cinematografico elvetico.
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5.4.5. Italianità e politica culturale
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo
L'avvento al potere del fascismo in Italia con il conseguente sviluppo del fenomeno
dell'irredentismo riaccese il dibattito attorno a forme marcate di italianità ed
elvetismo, in un confronto politico-culturale che coinvolse i letterati ticinesi (tra
cui Francesco Chiesa e Guido Calgari). Con la caduta del fascismo, gli animi si
quietarono, ma il timore di una germanizzazione del cantone ritornò in auge negli
anni 1950, con la discussione sulla svendita del territorio; i ricorrenti allarmi
sull'italianità minacciata non trovano però riscontro nelle cifre: nel 2000 si contava
in Ticino l'8% di germanofoni.
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Il sostegno alla cultura italiana fu rafforzato anche nella seconda parte del XX
secolo, specialmente grazie alla legge federale sull'aiuto finanziario al Ticino per
la difesa della cultura e della lingua italiana (1980) e al conseguente cospicuo
aumento del relativo sussidio federale (passato da 225'000 frs. a 1,5 milioni).
All'inizio del XXI secolo una maggiore presenza di italofoni nell'amministrazione
federale continuava però a essere rivendicata dalla deputazione ticinese alle
Camere federali (Assemblea federale) e da varie assocazioni.
Riferimenti bibliografici
Archivi
– Archivio di Stato del Cantone Ticino, Bellinzona.
– Archivio di Stato di Como, Como.
– Archivio di Stato di Milano, Milano.
– Archivio storico della diocesi di Como, Como.
– Archivio storico diocesano di Lugano, Lugano.
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– Archivio storico diocesano di Milano, Milano.
Fonti
– Amtliche Sammlung der ältern eidgenössischen Abschiede, 8 voll., 1839-1886.
– Rufer, Alfred; Strickler, Johannes (a cura di): Amtliche Sammlung der Acten aus
der Zeit der Helvetischen Republik (1798-1803) im Anschluss an die Sammlung
der ältern eidgenössischen Abschiede, 16 vol., 1886-1966, 1886-1966.
– Heusler, Andreas (a cura di): Rechtsquellen des Kantons Tessin, 13 fascicoli,
1892-1916.
– Brentani, Luigi: Codice diplomatico ticinese. Documenti e regesti, 5 voll.,
1929-1956.
– Brentani, Luigi: Antichi maestri d'arte e di scuola delle terre ticinesi. Notizie e
documenti, 7 voll., 1937-1963.
– Moroni Stampa, Luciano (a cura di): Codex palaeographicus Helvetiae
subalpinae, 2 voll., 1951-1958.
– Delcros, Louis: Il Ticino e la Rivoluzione Francese. Documenti dagli Archivi di
Francia, 2 voll., 1959-1961.
– Ticinensia. Notizie e documenti inediti per la storia dell’arte e la storia
dell’antica cultura locale delle Terre ticinesi e della Lombardia prealpina,
1960-1997 (collana in appendice a Archivio storico ticinese).
– Materiali e documenti ticinesi, 3 serie, 1975-1990.
– Ceschi, Raffaello; Gamboni, Vasco; Ghiringhelli, Andrea: Contare gli uomini.
Fonti per lo studio della popolazione ticinese, 1980.
– Bonstetten, Karl Viktor von: Lettere sopra i baliaggi italiani (Locarno,
Valmaggia, Lugano, Mendrisio), 1984 (tedesco 1797-1799).
– Schinz, Hans Rudolf: Descrizione della Svizzera italiana nel Settecento, 1985
(tedesco 1783-1787).
– Le fonti del diritto del Cantone Ticino, 1991- (Fonti del diritto svizzero, TI).
– Bianconi, Sandro; Schwarz, Brigitte (a cura di): Il vescovo, il clero, il popolo,
1991.
– Chiesi, Giuseppe; Moroni Stampa, Luciano (a cura di): Ticino ducale. Il
carteggio e gli atti ufficiali, 1950-2017.
– Bernasconi Reusser, Marina (a cura di): Le iscrizioni dei cantoni Ticino e
Grigioni fino al 1300, 1997.
– Gili, Antonio (a cura di): I protocolli dei governi provvisori di Lugano,
1798-1800, 2 voll., 2010.
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Studi
Storiografia
– I primi compendi generali apparvero tardivamente, dopo la creazione del
cantone. Per il periodo precedente, si dispone di isolate memorie regionali,
non destinate alla stampa, come la cronaca luganese attribuita a Nicolò Maria
Laghi sul periodo 1466-1512 o le notizie compendiate sugli anni 1568-1589 di
Domenico Tarilli. La storia delle terre ticinesi è richiamata anche nelle opere
di autori come Francesco Ballarini (Cronica di Como, 1619), Primo Luigi Tatti
(Annali della Città di Como, in tre volumi, 1662-1734) e Cesare Cantù. Dopo il
1803 per promuovere il sentimento di patria comune fu compilato il Dizionario
storico ragionato degli uomini illustri del Canton Ticino (1807-1811) di Gian
Alfonso Oldelli. Per illustrare il nuovo cantone ai compatrioti svizzeri uscì in
lingua tedesca la Descrizione topografica e statistica del Canton Ticino (1812)
di Paolo Ghiringhelli, seguita nei decenni successivi da compendi generali
di storia ticinese: La Svizzera italiana (in tre volumi, 1837-1840) di Stefano
Franscini, Compendio storico della Repubblica e Cantone Ticino dall'epoca dei
Romani ai nostri giorni (1857) di Giuseppe Pasqualigo, Escursioni nel Canton
Ticino (1863) di Luigi Lavizzari, Dei paesi e delle terre costituenti il canton
Ticino dai tempi remoti fino all'anno 1798 (1879) e Storia del Canton Ticino
[...] (1882), entrambi di Angelo Baroffio. Sommari generali si ebbero anche
nel XX secolo; il primo apparve nell'Historisch-Biographisches Lexikon der
Schweiz (in sette volumi, 1921-1934), dovuto a Celestino Trezzini, che compilò
tutte le voci della parte ticinese. Una sintesi di taglio prevalentemente politico
è la Storia del Canton Ticino (1941) di Giulio Rossi ed Eligio Pometta; aperta a
nuovi filoni di ricerca, comprendenti temi di storia economica, sociale e artistica,
è la nuova storia promossa dal cantone con il coinvolgimento di numerosi
autori: Storia del Canton Ticino (in due volumi, 1998) e Storia della Svizzera
italiana dal Cinquecento al Settecento (2000), a cura di Raffaello Ceschi, e
Storia del Ticino. Antichità e Medioevo (2015), a cura di Giuseppe Chiesi e Paolo
Ostinelli. Ai compendi complessivi si affiancano alcune storie regionali, o lavori
su periodi storici definiti, anche ad opera di studiosi svizzeri che pubblicarono
originariamente in tedesco, come Karl Meyer (su Blenio e Leventina nel tardo
Medioevo, 1911), Otto Weiss (sui baliaggi italiani nel XVIII secolo, 1914) e Paul
Schaefer (sul Sottoceneri nel Medioevo, 1931). Con Emilio Motta – fondatore
del Bollettino storico della Svizzera italiana (1879), in seguito redatto da storici
come Eligio Pometta e Giuseppe Martinola – la storiografia ticinese fu posta
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per la prima volta sul piano della ricerca scientifica basata sull'analisi della
documentazione di archivio e bibliografica. Dagli anni 1960, anche grazie alle
indagini di Virgilio Gilardoni, fondatore dell'Archivio storico ticinese (1960), le
discipline storiche si sono allargate a tematiche inerenti la cultura materiale, la
storia delle mentalità e la vita quotidiana.
Pubblicazioni in serie
– Rivista archeologica dell'antica provincia e diocesi di Como, 1872-.
– Monumenti storici ed artistici del cantone Ticino, 1912-1932.
– Archivio storico della Svizzera italiana, 1926-1942.
– Rivista storica ticinese, 1938-1946.
– Numismatica e antichità classiche, 1972-.
– Helvetia Sacra, specialmente I/6, 2000; II/1, 1984; IX/1, 1992.
– Buzzi, Giovanni (a cura di): Atlante dell'edilizia rurale in Ticino, 9 voll.,
1993-2000.
– Artisti dei laghi. Itinerari europei, 6 voll., 1994-2002.
Bibliografie
– Motta, Emilio: Bibliografia storica ticinese, 1879.
– Caldelari, Callisto: Bibliografia ticinese dell'Ottocento, 5 voll., 1995-2010.
– Caldelari, Callisto: Bibliografia del Settecento, 2 voll., 2006.
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– Costruzione del territorio e spazio urbano nel Cantone Ticino, 2 voll., 1979.
– Ceschi, Raffaello: Contrade cisalpine. Momenti di storia della Svizzera italiana
dai tempi remoti al 1803, 1987.
– Ticino 1798-1998, 2 voll., 1998-1999 (catalogo mostra).
– Arte in Ticino, 1803-2003, 4 voll., 2001-2004 (catalogo mostra).
– Bianconi, Sandro: Lingue di frontiera. Una storia linguistica della Svizzera
italiana dal Medioevo al 2000, 2001.
Preistoria e antichità
– Crivelli, Aldo: Atlante preistorico e storico della Svizzera italiana, 1943
(riproduzione anastatica e aggiornamento, 1990).
– Primas, Margarita: Die südschweizerischen Grabfunde der älteren Eisenzeit und
ihre Chronologie, 1970.
– Stöckli, Werner Ernst: Chronologie der jüngeren Eisenzeit im Tessin, 1975.
– Biaggio Simona, Simonetta: I vetri romani: provenienti dalle terre dell'attuale
cantone Ticino, 2 voll., 1991.
– La Svizzera dal Paleolitico all'Alto Medio Evo, 6 voll., 1993-2005.
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Medioevo
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Barbarossa al dominio svizzero, 1973 (tedesco 1970).
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– Gregori, Mina (a cura di): Pittura a Como e nel Canton Ticino. Dal Mille al
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Repubblica Elvetica nel Ticino meridionale, 1994.
– Damiani Cabrini, Laura: Seicento ritrovato. Presenze pittoriche «italiane» nella
Lombardia svizzera fra Cinquecento e Seicento, 1996 (catalogo mostra).
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– Previtera, Maria Angela; Rebora, Sergio: Dall'Accademia all'Atelier. Pittori tra
Brera e il Canton Ticino nell'Ottocento, 2000 (catalogo mostra).
– Merzario, Raul: Adamocrazia. Famiglie di emigranti in una regione alpina
(Svizzera italiana, XVIII secolo), 2000.
– Agosti, Giovanni; Stoppa, Jacopo; Tanzi, Marco (a cura di): Il Rinascimento
nelle terre ticinesi. Da Bramantino a Bernardino Luini, 2010 (catalogo mostra).
– Keller, Peter: Barocco. Alla scoperta di alcuni piccoli capolavori in territorio
ticinese, 2010.
– Schnyder, Marco: Famiglie e potere. Il ceto dirigente di Lugano e Mendrisio tra
Sei e Settecento, 2011.
XIX e XX secolo
– Pedrazzini, Augusto O.: L'emigrazione ticinese nell'America del Sud, 2 voll.,
1962.
– Pedroli, Guido: ll socialismo nella Svizzera italiana: 1880-1922, 1963 (20043).
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