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Ticino (cantone)
Versione del: 24.10.2022

Autrice/Autore: Carlo Agliati

Cantone della Confederazione dal 1803; in tedesco, francese e romancio: Tessin.


È denominato ufficialmente Repubblica e Cantone Ticino. La lingua ufficiale è
l'italiano; il capoluogo è Bellinzona.

Sottoposto nell'alto e nel pieno Medioevo a Como e a Milano, l'odierno territorio


cantonale (157 comuni nel 2011) fece parte tra il XIV e il XV secolo del ducato di
Milano e in seguito, tra il 1439 e il 1521, fu suddiviso in otto baliaggi: la Leventina
dipendente da Uri; Blenio, Riviera e Bellinzona da Uri, Svitto e Nidvaldo; Locarno,
Vallemaggia, Lugano e, dal 1521, Mendrisio dai 12 cantoni (i 13 meno Appenzello).
Nel 1798 fu annesso alla Repubblica elvetica.

Unico cantone della Svizzera situato interamente a sud delle Alpi, il Ticino si
estende per un centinaio di chilometri dalle Alpi ai margini della pianura padana
e si compone di due zone geografiche principali separate dal rilievo del Monte
Ceneri: l'una, il Sopraceneri, ha una conformazione prettamente alpina ed è
attraversata dal corso superiore del fiume Ticino, che dà il nome al cantone, mentre
l'altra, il Sottoceneri, presenta caratteristiche prealpine. Il cantone, che comprende
al suo interno l'enclave di Campione d'Italia, confina in buona parte con l'Italia,
nel cui territorio si inserisce come un cuneo (province di Verbano-Cusio-Ossola in
Piemonte, di Varese e Como in Lombardia), a nord ovest con il Vallese, a nord con
Uri e a nord est con i Grigioni.

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1. Dalla Preistoria alla tarda antichità
1.1. Dal Paleolitico all'età del Ferro
Autrice/Autore: Carlo Agliati

Il territorio dell'attuale canton Ticino fu antropizzato con dinamiche diverse da


una regione all'altra e i fenomeni insediativi sono ancora poco conosciuti. La
ripartizione geografica dei ritrovamenti indica tre zone principali: Sottoceneri, alto
Verbano (lago Maggiore), vallate di accesso ai valichi alpini.

1.1.1. L'età della Pietra


Autrice/Autore: Rossana Cardani Vergani

Non è per il momento provata la presenza dell'uomo nel Paleolitico, e in particolare


nel periodo più recente del Paleolitico medio (100'000-35'000 a.C.), malgrado
le ricerche condotte sul Monte Generoso (nella cosiddetta grotta dell'orso) e le
indicazioni indirette fornite dalle analisi palinologiche nel lago di Origlio. La
prima presenza umana certa in Ticino risale al Mesolitico (10'500-5500 a.C.);
per un'occupazione stabile bisogna invece attendere il 5500-5000 a.C., quando
portatori della cultura neolitica già presente nel territorio padano-alpino si
insediarono a Bellinzona (Castel Grande). Nel Neolitico (5500-2200 a.C.) gli
abitanti della collina praticavano l'industria litica legata alla selce e al cristallo di
rocca, unitamente alla produzione di ceramica. In una prima fase costruirono un
abitato formato da strutture a pianta rettangolare, attorno alle quali organizzarono
lo spazio domestico; successivamente un gruppo di portatori della cultura dei vasi
a bocca quadrata vi installò strutture abitative concepite in moduli circolari e ovali.
Nel Mendrisiotto la presenza della cultura del bicchiere campaniforme (2500-2200
a.C.) è testimoniata da alcuni fittili scoperti sulla collina di Tremona-Castello.

1.1.2. L'età del Bronzo


Autrice/Autore: Rossana Cardani Vergani

In Ticino il periodo dell'età del Bronzo (2200-800 a.C.) è attestato unicamente a


partire dal Bronzo medio (XVI-XV secolo a.C.), con l'evoluzione in Bronzo recente

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(la cosiddetta cultura di Canegrate, XIV-XIII secolo a.C.) e finale (fase preliminare
della cultura di Golasecca, XIII-X secolo a.C.).

Tra gli insediamenti dell'età dal Bronzo medio riveste particolare importanza il
sito di Bellinzona (Castel Grande), poiché presenta una continuità con quanto
già rilevato per i millenni precedenti. Tracce di insediamenti risalenti al Bronzo
medio e al Bronzo recente e finale sono emerse a Tegna (castelliere), ad Ascona
(castello di San Michele) e a Tremona-Castello, mentre reperti sia funerari che di
uso comune da un contesto di difficile interpretazione sono stati rinvenuti nell'area
della necropoli dell'età del Ferro di Gudo (Progero). Sono inoltre da segnalare i
ripostigli di Castione (Arbedo-Castione) e Osogna.

Il sito (insediamenti temporanei) di Alpe Rodont ad Airolo raggruppa una serie


di caratteristiche di occupazione alpina dell'età del Bronzo, con anticipazioni nel
Mesolitico, come suggerito da un riparo con tracce di focolari e resti di carbone
di legno. Quello di Madrano (Airolo), situato invece in una gola naturale al bordo
della vallata, beneficia della prossimità alla via del San Gottardo. Sulla base delle
strutture insediative rilevate si può ipotizzare che già durante l'età del Bronzo si
svolgesse una transumanza estiva verso gli alpeggi e che i siti posti nelle vallate
alpine facessero parte di un sistema economico-abitativo più vasto.

Le prime necropoli note risalgono al XIV secolo a.C. e contano fino a una ventina
di tombe a cremazione, come ad Ascona (San Materno, XII-X secolo a.C.), o meno,
come ad Arbedo, Claro, Giubiasco, Gorduno, Locarno e Tenero. Nel Sottoceneri
l'unico ritrovamento è finora quello di Rovio.

Singoli rinvenimenti di asce in bronzo completano il quadro dei reperti attribuiti


all'età del Bronzo. La distribuzione dei luoghi di ritrovamento, caratterizzata da
una concentrazione nel Sopraceneri (Bellinzonese e Locarnese) e da un'assenza
quasi totale nel Sottoceneri, consente di formulare qualche ipotesi sulle dinamiche
di insediamento. Pare che in questo periodo si prediligesse la prossimità a laghi e
fiumi (lago Maggiore, Ticino) e che la maggior parte degli insediamenti fosse posta
sulla sommità di colline, mentre le pianure erano destinate alle necropoli.

Nel Bronzo recente e finale si ebbe un'apertura della civiltà della fase preliminare
della cultura di Golasecca ai contatti e agli scambi con l'area transalpina

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nordoccidentale e con la penisola italiana, in particolare con l'area centroccidentale
(futura Etruria), che sembra prefigurare il ruolo storico fondamentale della
successiva cultura di Golasecca, collegamento attraverso i valichi alpini tra mondo
mediterraneo e mondo celtico centro-europeo.

1.1.3. L'età del Ferro


Autrice/Autore: Rossana Cardani Vergani

L'età del Ferro (IX secolo-15 a.C.) in Ticino è articolata in due momenti: la cultura
di Golasecca (IX-IV secolo a.C., riferita al nome del sito posto a sud del Verbano) e
la cultura di La Tène (inizio IV-I secolo a.C., pertinente con i ritrovamenti del lago
di Neuchâtel).

Grazie alle fonti scritte greche (Strabone, Geografia, libro IV; Claudio Tolomeo,
Geografia) e latine (Tito Livio, Ab Urbe condita), sono noti i passi frequentati
durante la stagione estiva (Gran San Bernardo, Sempione, San Gottardo, San
Bernardino e Lucomagno), menzionati nel loro complesso come Alpi, e i nomi dei
popoli che abitavano queste regioni. Tra questi figurano i Leponti, il cui territorio
si estendeva dalle sorgenti del Rodano e del Reno fino alle alture a nord di Como
(valli superiori del Ticino, Ossola, Centovalli, Locarnese) occupando un'area di
eccezionale interesse geografico e strategico per la varietà dei suoi aspetti fisici.
Questa popolazione alpina di grande rilievo si distingue per l'alto livello della sua
cultura materiale (corredi funerari di particolare pregio).

Nell'età del Ferro, caratterizzata da meglio attestati traffici commerciali, vi furono


due poli di riferimento: il Bellinzonese per il Sopraceneri e Como per il Sottoceneri.
Lo scambio vedeva transitare merci di origine mediterranea (specialmente olio
e vino), che risalendo l'Adriatico e il Po raggiungevano i centri della pianura
padana per poi essere smistati verso l'Europa centrale attraverso i principali passi
alpini. Dall'Europa settentrionale provenivano invece alcuni metalli (come lo
stagno), ambra e sale. Grazie ai contatti commerciali, le popolazioni autoctone
si arricchivano, utilizzavano gli scambi monetari e apprendevano l'uso della
scrittura, come testimonia ad esempio il ritrovamento nel Sottoceneri di alcune
stele funerarie, datate al VI-V secolo a.C. e recanti iscrizioni in alfabeto leponzio,
noto convenzionalmente anche come «alfabeto di Lugano», la cui origine è da

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ricercare nell'alfabeto degli Etruschi. Pertinente con gli intensi scambi commerciali
è pure il ritrovamento del ripostiglio di un fonditore di bronzo ad Arbedo.

Dalla metà del VI secolo a.C. si conoscono in Ticino numerose necropoli, mentre
per gli insediamenti è da immaginare una stratificazione distruttiva nei secoli. Le
necropoli del VI secolo a.C. – concentrate in particolare nei dintorni di Bellinzona
– comprendono sepolture a inumazione e a cremazione. Nelle fasi successive nel
Sopraceneri prevalse il rito dell'inumazione (legame con l'area di Varese), mentre
nel Sottoceneri si praticava esclusivamente la cremazione (legame con Como). Fino
alla romanizzazione i corredi tombali denotano influssi dell'area celtica nordalpina
(Celti) o della pianura padana; la massiccia presenza di argenti, bronzi (metalli
preziosi) e ambra conferma la grande ricchezza derivante dai traffici commerciali
sull'asse nord-sud.

1.2. Dalla romanizzazione all'alto Medioevo


1.2.1. Il periodo della romanizzazione
Autrice/Autore: Rossana Cardani Vergani

Il periodo della romanizzazione, momento di contatto fra le popolazioni indigene a


sud delle Alpi e i Romani, non è definibile con precisione; molto probabilmente fu
un processo graduale e pacifico. Attorno al 49 a.C. le terre ticinesi facevano parte
dei territori di Como e Milano, e di conseguenza la concessione della cittadinanza
si estendeva anche ai loro abitanti. La svolta principale avvenne con Augusto: oltre
a sottomettere i popoli alpini fra 25 e 15 a.C., egli avviò la costruzione della rete
viaria. La regione ticinese venne così progressivamente integrata nella sfera di
influenza romana. Nel corso dei secoli tale rete stradale fu origine e perno di un
sistema di comunicazione fra le regioni dei laghi e i passi del San Bernardino, del
Maloja, dello Julier, del Settimo, dello Spluga, del San Gottardo e del Lucomagno,
i cui sbocchi erano la valle del Rodano, il lago di Costanza, il Reno, il Danubio e i
centri commerciali europei.

Benché le testimonianze nel Sottoceneri siano piuttosto disperse, si può ritenere


che esso gravitasse attorno a Como e ne costituisse una pregiata appendice, come
suggeriscono i ritrovamenti di Bioggio (edifici di culto pagani e poi cristiani),
Melano (necropoli), Mendrisio, Morbio Inferiore e Stabio (villae, mosaici), così
come alcune iscrizioni rinvenute a Ligornetto, Riva San Vitale e Stabio. Nel

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Sopraceneri i ritrovamenti si concentrano attorno all'estremità settentrionale
del lago Maggiore, ma si distribuiscono pure nell'entroterra seguendo la linea di
penetrazione nella Vallemaggia e nelle Terre di Pedemonte. Polo della regione era
il vicus di Muralto, luogo di scambio commerciale, quartiere abitativo e artigianale
(artigianato); nei suoi dintorni si può presumere la presenza di altri insediamenti
grazie a necropoli con ricchi corredi funerari (Locarno, Locarno-Solduno, Minusio,
Ascona, Losone-Arcegno, Cavigliano, Tenero). Risalendo la valle del Ticino, la
regione è abitata fino alle pendici del San Gottardo, dove la necropoli di Madrano
rappresenta uno dei principali esempi di compenetrazione tra caratteri romani e
popolazione alpina.

1.2.2. Declino dell'Impero e avvio della cristianizzazione


Autrice/Autore: Rossana Cardani Vergani

Nel III secolo d.C. si manifestarono le prime avvisaglie di crisi, con incursioni
armate da nord verso Milano (come quella degli Alemanni, 259-260). Nel momento
in cui Milano assurse a residenza dell'imperatore (286-402), la zona del lago di
Lugano venne a trovarsi fra alcuni punti nodali del sistema difensivo, articolato
in una linea ai piedi dei passi alpini. Non è possibile ricostruire il popolamento di
quel periodo, e in particolare capire la funzione delle villae, alcune delle quali si
conservarono almeno fino alla fine del IV-V secolo.

Le più antiche testimonianze di cristianizzazione in Ticino risalgono alla seconda


metà del IV secolo, quando la diffusione del cristianesimo nell'Italia settentrionale
si intensificò seguendo le vie di transito: in tombe ad Arcegno (Losone) e a
Carasso (Bellinzona) sono stati ritrovati due anelli da fidanzamento o nuziali
con cristogramma, il primo accompagnato da un corredo femminile di usanza
ancora pagana. La cristianizzazione dell'area alpina si irradiò dalle sedi vescovili
di Milano e Como. Dai centri urbani l'opera di conversione pacifica si estese alle
zone periferiche dove, accanto a sacerdoti inviati dai vescovi, erano attive persone
convertite di famiglie influenti. L'organizzazione ecclesiastica si fece poi più
sistematica nella seconda metà del V e nel VI secolo. A questo periodo sono da
ricondurre numerose fondazioni di chiese battesimali o battisteri, veri centri di
cristianizzazione in una regione in cui il sostrato pagano restò comunque radicato
a lungo; si segnalano in particolare i battisteri a Riva San Vitale (fine V-inizio VI

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secolo) e Balerna (VII-VIII secolo), mentre non è provata l'esistenza di un edificio
analogo presso la chiesa di San Vittore di Muralto.

Tra il V e il VI secolo sorsero numerosi edifici di culto, soprattutto lungo l'asse


di transito verso i passi del San Gottardo e del Lucomagno (Stabio, Mendrisio,
Bioggio, Gravesano, Mezzovico, Gudo, Gorduno, Quinto, Airolo e Dongio). Alcuni
di essi furono caratterizzati da una prima struttura in legno, poi sostituita da quella
in muratura.

2. Rapporti di potere e organizzazione politico-amministrativa


nel Medioevo e in età moderna
2.1. Alto e pieno Medioevo
Autrice/Autore: Giuseppe Chiesi, Paolo Ostinelli

Il Sottoceneri e buona parte della valle del Ticino furono conquistati dai
Longobardi attorno al 588, in corrispondenza con la caduta di un importante
avamposto bizantino (Bisanzio) sull'Isola Comacina (lago di Como). Gregorio di
Tours riferisce che nel 590 ca. la fortezza di Bellinzona apparteneva a Milano,
testimoniando così indirettamente il ruolo della regione subalpina, che formava
il confine settentrionale del regno longobardo e faceva parte di due o tre
circoscrizioni politico-amministrative, le gastaldie (gastaldo) o iudiciariae. I nuovi
dominatori, affiancandosi alla popolazione romanizzata in veste di signori a cui
erano dovuti obbedienza, servizi e tributi, diedero al ceto superiore locale una
nuova fisionomia durevole, tanto che ancora nel XIII secolo personaggi influenti
professavano la legge longobarda. Grazie all'archivio di famiglia di Totone da
Campione, che nel 777 donò i suoi possedimenti gravitanti su Campione alla chiesa
di S. Ambrogio a Milano, si possono delineare i tratti distintivi dei maggiorenti
locali: basando la loro ricchezza su agricoltura e commercio, intrattenevano
contatti su larga scala ed esercitavano ampi poteri su servi e semiliberi.

Dopo la conquista franca (Impero dei franchi) del regno longobardo (774), nuovi
influssi dal nord delle Alpi si manifestarono con l'insediamento di immigrati, la
ripresa del transito sui valichi e l'intensificazione delle relazioni commerciali.
Nella regione, suddivisa fra le iudiciariae di Stazzona e del Seprio, si ampliarono
progressivamente i possedimenti regi e si imposero strutture feudali (feudalesimo).

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Accanto a quella di vassalli laici, si diffuse la proprietà fondiaria dei grandi
monasteri longobardi (Pavia, Como, Milano); nel 948 il vescovo Attone di Vercelli,
di nobile ascendenza longobarda, donò alla Chiesa di Milano i suoi possedimenti
(beni immobili, chiese, fortificazioni) nella valle di Blenio e in Leventina, dando
così origine alla signoria capitolare sulle Tre Valli Ambrosiane. La successiva
frammentazione in potentati locali permise l'estensione dell'influenza di Como e
Milano sull'intera regione del Ticino; dopo che nel 1002/1004 l'imperatore Enrico
II ebbe assegnato alla diocesi di Como le circoscrizioni ecclesiastiche di Bellinzona
e Locarno (e probabilmente anche di Agno) e donato la fortezza di Bellinzona al
vescovo comense, nella lotta delle investiture il confronto tra le due città divenne
aperto e il Sottoceneri fu teatro di un aspro conflitto armato (1118-1127).

2.2. L'età comunale


Autrice/Autore: Giuseppe Chiesi, Paolo Ostinelli

Con la dissoluzione delle circoscrizioni territoriali di origine carolingia (ad


eccezione delle valli superiori), le città lombarde rafforzarono il loro controllo sul
territorio. Nell'XI secolo il vescovo di Como esercitava direttamente il dominio
nelle località in cui disponeva di proprietà fondiarie (signoria fondiaria) e castelli,
come a Bellinzona. Parallelamente fiorirono locali signorie ecclesiastiche o
laiche. Favoriti inizialmente da donazioni dei presuli comensi, i monasteri
cittadini di S. Abbondio e di S. Carpoforo ottennero anche la giurisdizione in
diversi luoghi (Agnuzzo, Breno, Sonvico). Dal canto loro, casati nobiliari come i
Torriani di Mendrisio, i de Sessa o alcuni rami dei da Besozzo acquisirono terre
e diritti decimali, ma non paiono aver amministrato la giustizia. Appartenevano
probabilmente al ceppo sepriese dei Besozzi anche i capitanei di Locarno, che
grazie ai rapporti con l'episcopato milanese, con quello comasco e con l'Impero
ottennero privilegi, regalie e il diritto di mercato. Nelle Tre Valli Ambrosiane i
da Giornico e i da Torre, in un primo tempo avogadri e giudici della Chiesa di
Milano (avogadria ecclesiastica), tentarono di ampliare il loro potere, facendosi
investire dell'avogadria dai conti von Lenzburg (infeudati delle valli da Federico I
Barbarossa), e Alcherio da Torre divenne feudatario imperiale per un breve periodo
fino al 1176.

Sullo sfondo della lotta per il riconoscimento dei comuni urbani, nel XII-XIII
secolo Milano e Como promossero una nuova organizzazione del territorio, che

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coinvolse anche la regione ticinese. Essa ricalcava la distrettuazione ecclesiastica
per pievi e si avvaleva di una serie di strumenti normativi, fiscali e amministrativi,
basati sull'uso sistematico della scrittura. A livello periferico, la formazione
dei contadi comportava l'accettazione delle comunità locali quali interlocutori.
Queste ultime si strutturarono nella forma istituzionale del comune di valle e della
vicinanza o vicinia a partire da associazioni preesistenti, attestate ad esempio ad
Arogno nel 1010 in occasione di una lite di confine. Agendo come soggetto politico
nel sistema di interazioni dei poteri pubblici sovraregionali, nel 1186 la comunità
di Locarno ottenne dal Barbarossa l'immediatezza imperiale, mentre nel 1191
Lugano si fece accordare una parziale autonomia amministrativa dai consoli di
Como. Nel 1182 le comunità di valle di Blenio e Leventina, con il sostegno in chiave
antiimperiale di Milano, stipularono il patto di Torre, riuscendo ad annullare
l'influsso della nobiltà locale (specialmente dei da Torre) e arrogandosi diritti
pubblici, come quello di autorizzare la costruzione di castelli.

Le fonti scritte attestano per il XIII secolo la piena maturazione dei comuni
locali. Statuti e ordini regolavano la gestione dei beni comuni, la tutela della
pacifica convivenza e l'autogoverno; nelle valli le vicinanze si spartirono gli alpeggi
(Leventina, 1227) e organizzarono il trasporto delle merci (Osco, 1237). Al centro
dei rispettivi distretti, i borghi di Locarno, Lugano e Bellinzona, pur senza acquisire
lo status giuridico di città, godevano di privilegi analoghi, erano sedi di mercato e
concentravano le attività artigianali (artigianato) e commerciali.

Dai primi decenni del XIII secolo l'apertura della nuova via commerciale del San
Gottardo accrebbe ulteriormente il significato strategico della regione ticinese.
Poiché il mantenimento di condizioni ottimali per il traffico rivestiva grande
importanza per le emergenti imprese commerciali (società commerciali), di
notevole rilievo politico specialmente a Milano, e per l'intera città di Como, i
principali attori nella politica cittadina strinsero ripetuti accordi con le comunità
locali.

2.3. Integrazione nello Stato regionale lombardo


Autrice/Autore: Giuseppe Chiesi, Paolo Ostinelli

Dalla metà del XIII secolo la regione ticinese fu coinvolta nelle aspre lotte tra
le fazioni che si contendevano il dominio nelle città e nelle campagne (Guelfi

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e Ghibellini). A Como, nel Sottoceneri e a Bellinzona presero il sopravvento
per alcuni anni gli esponenti della potente famiglia comasca dei Rusca, mentre
a Milano l'emergente casato dei Visconti trovò nelle vallate ambrosiane e nel
Locarnese un appoggio nella consorteria capitaneale e in particolare in Simone
Orelli, che diede il suo sostegno all'arcivescovo di Milano Ottone Visconti nella
conquista della signoria cittadina (1277). Con la sottomissione dei Rusca ai
Visconti, e di Como a Milano (1335), iniziò l'annessione dei territori settentrionali
della Lombardia allo Stato regionale milanese. Il Sottoceneri, soggetto alla città
di Como, passò allora ai Visconti e venne affidato al vicario di «Lugano e Valle»,
subordinato al podestà di Como, titolare della giurisdizione anche sulle pievi
di Agno e della Capriasca. Nel 1340 l'esercito milanese costrinse alla resa gli
irriducibili Rusca asserragliati a Bellinzona. Qui i Visconti insediarono funzionari
civili e militari di provata fedeltà a governare il borgo e il contado e a sorvegliare le
valli superiori.

Nel 1342 Locarno si piegò alle truppe viscontee provenienti dal lago e da terra; la
conquista emarginò dalla vita pubblica la consorteria dei Capitanei e subordinò
la pieve alla giurisdizione del capitano del lago Maggiore con sede a Pallanza. I
Visconti ottennero poi dal capitolo del duomo di Milano la carica di podestà nella
Leventina (1344) e poco più tardi nella valle di Blenio; acquisito infine il controllo
di Biasca, capoluogo plebano, e dei comuni della Riviera sulla sponda sinistra
del fiume Ticino (Claro, Osogna e Cresciano), venne riunita nelle loro mani tutta
l'enclave ambrosiana. Sino alla fine del XV secolo villaggi, borghi e valli furono
governati da funzionari stranieri spesso ostacolati da potenti gruppi familiari, da
consorterie e da comunità ostili al regime, gelose dei privilegi, delle autonomie
comunali e degli spazi conquistati all'ombra di un potere lontano.

Alla morte del duca Gian Galeazzo Visconti (1402) la regione fu sconvolta da
incursioni dei Confederati e da torbidi che nel Sottoceneri portarono alla creazione
della Comunità di Lugano e Valle (1405-1406), separata da Como. Dopo quasi un
ventennio di governo dei cantoni forestali, l'esercito visconteo scacciò i Confederati
da Bellinzona (battaglia di Arbedo, 1422). Il duca Filippo Maria Visconti concesse
il Sottoceneri in feudo ai Sanseverino (1434-1438) e il Locarnese ai Rusca (1439). I
primi, schieratisi con la fazione guelfa, non riuscirono però a ottenere un sufficiente
consenso e furono allontanati dal feudo; i Rusca, in particolare con il conte
Franchino Rusca, si costruirono per contro una solida posizione di prestigio.

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Nonostante i disordini scoppiati alla morte di Filippo Maria Visconti (1447),
Francesco Sforza riportò la stabilità per un quindicennio (1450-1466), mantenendo
relazioni più pacifiche con gli Svizzeri. Alla scomparsa del figlio Galeazzo Maria
Sforza (1476) la situazione precipitò, anche a causa dell'alleanza milanese con Carlo
il Temerario, nemico dei Confederati. Dopo la sconfitta dell'esercito sforzesco nella
battaglia di Giornico (1478), la Leventina, impegnata agli Urani dal 1439/1441, fu
ceduta loro nel 1480. La tensione nei rapporti tra i Confederati e Milano si acuì con
la decisione di Ludovico il Moro di chiamare in Italia i Francesi (1494), un passo
destinato a produrre anche una gravissima crisi interna al ducato. Divenne allora
inevitabile uno stato di crescente conflittualità che portò anche gli altri territori
sudalpini a una nuova soggezione, quella dei cantoni sovrani (guerre d'Italia).

2.4. Sotto il dominio confederato


Autrice/Autore: Paolo Ostinelli

La conquista delle terre sul confine settentrionale del ducato di Milano da parte dei
Confederati non seguì un piano preordinato, ma si realizzò in diverse fasi grazie
ai successi militari nelle campagne transalpine del XV e degli inizi del XVI secolo,
confermati da accordi diplomatici, tra cui specialmente i capitolati di Milano, la
pace di Arona (1503) e la pace perpetua con la Francia (1516). Intorno alle vie di
comunicazione dai passi del San Gottardo e del Lucomagno verso le città lombarde
si aggregò così una configurazione politico-territoriale dai tratti irregolari, in cui
si affiancavano diverse forme di dominio. Dopo che la Leventina passò di fatto
sotto il controllo di Uri (1439/1441), la pressione espansionistica delle comunità
della Svizzera centrale (sostenute solo parzialmente dagli altri membri della lega)
rimase intensa; nel 1499-1500, in concomitanza con gli sconvolgimenti apportati
nel ducato di Milano dalla spedizione di conquista di Luigi XII di Francia, essa
sfociò nell'occupazione di Blenio e Riviera e nella resa di Bellinzona a Uri, Svitto
e Untervaldo. In seguito al riconoscimento del dominio confederato da parte
della Francia (1503), questi ultimi istituirono in tali distretti i primi baliaggi
comuni a sud delle Alpi. Nel 1512/1513, al culmine della potenza militare della
Confederazione, giunta a imporre per breve periodo un protettorato su Milano,
le truppe elvetiche presero possesso delle piazzeforti di Lugano e Locarno e
occuparono i rispettivi distretti, organizzando il loro dominio nella forma di
baliaggi dei 12 cantoni (baliaggi italiani). Negli stessi frangenti furono poste le basi
anche per il baliaggio di Mendrisio e della pieve di Balerna, che venne riconosciuto

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ai 12 cantoni solo nel 1521, quando invece la val d' Ossola, la Valtravaglia e la
Valcuvia ritornarono al ducato di Milano. L'assetto territoriale della regione
venne definito in breve tempo, modificando in parte quello del XV secolo: Isone
e Medeglia furono integrate nel baliaggio di Bellinzona; le «terre separate» del
Luganese mantennero buona parte dei loro privilegi pur essendo parte del baliaggio
(formato dalle pievi di Lugano, Agno, Capriasca e Riva San Vitale); la Vallemaggia
(con la valle Lavizzara) costituì un baliaggio distaccato da quello di Locarno, che
accorpava invece Brissago e comprendeva le comunità separate del Gambarogno e
della valle Verzasca.

L'instaurazione del governo confederato comportò una ridefinizione del rapporto


con l'autorità superiore. All'appartenenza a una compagine statale articolata come
quella milanese seguì una condizione di sudditanza, resa esplicita dalla presenza
dei balivi, che si stabilirono nei maggiori centri (Lugano, Locarno, Bellinzona,
Mendrisio) o nei nuovi capoluoghi (Faido, Osogna, Lottigna) per esercitarvi
il governo in nome dei cantoni sovrani. Le comunità locali dovevano fornire
contingenti militari e versavano un tributo annuo ai cantoni (peraltro di entità non
gravosa e con molte esenzioni), finanziato con la riscossione delle imposte (taglia
e focatico) destinate anche al salario degli ufficiali, alla manutenzione delle strade
e alle spese sanitarie. Sul piano giuridico, alla formale riconferma dei privilegi
e degli statuti concessa alle comunità locali seguì man mano una modifica dei
fondamenti del dominio mediante la continua aggiunta di decreti e disposizioni,
che cambiarono puntualmente la situazione iniziale, alterandone in profondità
molti aspetti.

In ogni baliaggio il balivo (chiamato anche commissario o capitano reggente)


costituiva la più alta autorità. Designato per due anni da uno dei cantoni sovrani
secondo un turno prestabilito, egli comandava le truppe locali in caso di guerra,
deteneva l'alta e la bassa giurisdizione, era responsabile dell'ordine pubblico e
controllava il fisco e l'amministrazione delle comunità. Nell'esercizio dei suoi
poteri era coadiuvato dal Magnifico ufficio, composto a seconda del baliaggio
da ufficiali di estrazione locale con funzione consultiva: oltre al luogotenente,
nominato in genere dal balivo stesso, vi figuravano almeno il landscriba, il fiscale
(o caneparo) e un cancelliere. L'operato di balivi e apparati locali era sottoposto
alla sorveglianza del sindacato, che riuniva ogni anno in estate gli ambasciatori
rispettivamente dei 12 cantoni sovrani per i baliaggi di Locarno, Lugano, Mendrisio

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e Vallemaggia, dei tre cantoni per Bellinzona, Riviera e Blenio e di Uri per la
Leventina (in quest'ultimo caso, il cantone sovrano inviava due rappresentanti).
Durante le sedute esso rappresentava la più alta autorità giudiziaria in loco,
decideva sugli appelli contro le sentenze del governo balivale, giudicava in prima
istanza determinati casi e procedeva alla revisione dei conti delle comunità e dei
balivi. Contro le decisioni del sindacato i sudditi avevano poi facoltà di ricorrere in
ultima istanza sia ai singoli cantoni sia alla Dieta federale, secondo una procedura
ridondante che impediva spesso la risoluzione dei conflitti in tempi ragionevoli.

La dominazione svizzera non alterò inizialmente le organizzazioni comunitarie


ereditate dal tardo Medioevo, pur ridefinendo in parte le forme di rappresentanza
a livello intermedio nei singoli distretti con la creazione dei consigli di pieve
e di comunità. Essa riconobbe però la progressiva chiusura nei confronti dei
«forestieri», che si manifestò nelle maggiori località in una distinzione fra lo
status dei vicini di lunga data e quello dei residenti. La definizione dei rispettivi
diritti produsse aspri conflitti, come ad esempio a Locarno dopo la creazione
dell'Università o corporazione dei Terrieri (1542).

La forma di governo dei baliaggi poggiava necessariamente sulla collaborazione


delle cerchie locali, lasciava spazio alla loro iniziativa e favoriva la formazione di
élite fortemente radicate nelle strutture di governo. Poiché durante la conquista
si profilarono famiglie che assicurarono continuità nelle cariche istituzionali
collaborando con i Confederati, la transizione non risultò traumatica, e dopo la
rapida stabilizzazione del dominio si perpetuarono o si crearono tradizioni familiari
nel possesso di uffici del governo balivale o comunale; fra le più longeve figurano
ad esempio quelle dei Torriani a Mendrisio, dei Franzoni in Vallemaggia o dei
Riva a Lugano. Soprattutto la lunga durata in carica degli ufficiali del Magnifico
ufficio (spesso a vita) permise di controllare le situazioni locali e di allacciare solide
relazioni con le famiglie confederate (specialmente della Svizzera centrale) che
curavano interessi di vario genere nei baliaggi. I rapporti tra le famiglie locali più
abbienti e questi casati confederati (fra cui i Lussi, i Troger, gli a Pro o, più tardi,
i von Beroldingen o i Vonmentlen), in parte stabilitisi a sud delle Alpi, furono
cementati da comuni imprese economiche (soprattutto attività commerciali)
e dalla carriera militare, e si manifestarono non di rado in complesse strategie
matrimoniali. In tale contesto economico e sociale, il legame tra sudditi e sovrani
non presentava conflittualità di fondo, anche se non mancarono i momenti di crisi

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legati a episodi di malgoverno o al malcontento per il mancato sostegno dei sovrani
nei periodi di difficoltà nei rapporti con la Lombardia. Nel caso della rivolta della
Leventina del 1755 la contestazione sfociò in un movimento collettivo di ribellione
contro la dominazione esterna.

Pur mantenendosi la distinzione sostanziale fra i diversi baliaggi, tra il XVI e il


XVIII secolo acquisirono importanza alcuni elementi di coesione. I baliaggi dei tre
cantoni formarono sin dall'inizio un corpo a sé; in quelli dei 12 cantoni prevalse agli
esordi l'aspetto militare, poiché il balivo di Lugano era a capo di tutte le truppe. In
seguito i cantoni sovrani tesero a considerare i territori sottoposti come un blocco
unitario, almeno dal profilo amministrativo. A livello locale, la coscienza di una
comune appartenenza fu favorita soprattutto dagli scambi e dalle collaborazioni tra
le famiglie del patriziato.

La valutazione storiografica del periodo balivale è stata oltremodo negativa nel XIX
e per buona parte del XX secolo, mettendo in risalto la condizione di sudditanza,
l'immobilità del sistema di potere e gli episodi di abusi da parte dei governanti,
nel solco delle tesi di Karl Viktor von Bonstetten poi riprese e amplificate nella
trattatistica locale. Grazie allo studio dell'impianto istituzionale e della natura del
legame tra i cantoni sovrani e le comunità locali, come pure all'approfondimento
delle dinamiche economiche e sociali e dei contatti a vari livelli con le realtà
esterne, il giudizio è divenuto progressivamente più sfumato.

3. Società, economia e cultura nel Medioevo e in età moderna


3.1. Popolazione e insediamenti
Autrice/Autore: Giuseppe Chiesi, Paolo Ostinelli

Per la sua conformazione corrugata il territorio ticinese non consentiva lo sviluppo


di ampi agglomerati, come nella pianura lombarda, ma solo di insediamenti di
medie, piccole e persino minime dimensioni che sorgevano anche a quote elevate,
come Molare (Faido) posto a 1500 m. La denominazione castrum attribuita ad
abitati del Sottoceneri nell'XI secolo fa pensare che non pochi nuclei fossero
allora protetti da cinte murarie analoghe a quelle rinvenute a Tremona-Castello.

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Nelle valli superiori gli insediamenti si distribuivano su più livelli altimetrici,
corrispondenti di regola al ritmo stagionale dell'attività agropastorale.

Il miglioramento delle condizioni ambientali, il più intenso sfruttamento delle


risorse locali, come i pascoli alpini, e il profitto garantito dai traffici transalpini
(fenomeni che trovano singolari concomitanze all'inizio del XIII secolo) favorirono
forse un moderato aumento demografico, confermato in parte da fonti locali, come
quelle di Prato Leventina nel XIII secolo. La crescita fu interrotta dall'ondata di
epidemie esplosa a metà del XIV secolo e la regione non fu risparmiata dal declino
che interessò anche altre regioni alpine, come il Vallese. Altre crisi si manifestarono
alla fine del XIV secolo e a più riprese nel XV secolo; alcuni villaggi della Capriasca
subirono un tracollo nel 1484-1485, con la morte di centinaia di persone. Scarse
sono le notizie demografiche: Bellinzona, Lugano e Locarno contavano a fine
Medioevo poche centinaia di anime, cifre di poco superiori a quelle di alcune
vicinie delle valli superiori. A metà del XV secolo il ruolo fiscale della Leventina
riportava 919 fuochi, ossia ca. 4500 anime. Una ripresa si ebbe nel XVI secolo
(78'000 abitanti ca. alla fine del secolo), grazie anche alla maggior stabilità del
governo confederato, e in particolare dopo l'ultima ondata epidemica nel XVII
secolo, cosicché la popolazione aumentò considerevolmente nel XVIII secolo.

A ristabilire, almeno in parte, il delicato equilibrio tra risorse locali agropastorali e


numero di bocche da sfamare provvide anche l'emigrazione definitiva o stagionale.
Il fenomeno è antico, visto che è attestato già nel XIII-XIV secolo, e assunse
nel XV secolo, per talune regioni e categorie professionali, dimensioni a volte
macroscopiche («la maggior parte degli uomini è in Toscana a lavorare», affermava
un funzionario milanese a Lugano nel 1477). Disagi e instabilità causati dalle guerre
per il controllo della regione e dalle continue lotte intestine non comportavano
necessariamente perdite demografiche consistenti, ma indussero forse alcune
famiglie a trasferirsi in regioni meno toccate dalle turbolenze, in via provvisoria o
definitiva.

A fronte di una continua e a volte massiccia immigrazione dai centri lombardi di


forze economicamente qualificate, nel Medioevo si ebbe una sola presenza straniera
in alta Vallemaggia, con il villaggio walser di Bosco/Gurin, impiantato a metà del
XIII secolo per volere delle famiglie capitaneali di Locarno. L'immigrazione da

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nord, documentata puntualmente dal XIV secolo, affiora dai documenti in modo
tangibile dopo la conquista confederata.

3.2. Economia
Autrice/Autore: Giuseppe Chiesi

Le vie di comunicazione della regione alpina poggiavano su un reticolo di sentieri,


mulattiere e percorsi carrabili, così come sulle rotte del lago di Lugano e del lago
Maggiore. Non si può escludere che alcuni tratti fluviali fossero talvolta navigabili,
anche se la fluitazione del legname, molto intensa in taluni periodi, ne impediva
l'utilizzo. Il passo forse più frequentato dall'antichità, grazie alla sua bassa quota,
era il Lucomagno, poi parzialmente messo in ombra dal San Gottardo, aperto
al traffico internazionale nei primi decenni del XIII secolo. La forma viaria era
commisurata alla funzione locale (sentieri, guadi), regionale (rete stradale più
solida, ponti) o transalpina (tracciati più lineari e sicuri, soste). La via di transito
in alta Leventina, fino al XIII secolo garantita da sentieri percorsi a fatica dai primi
convogli di someggiatori locali (someggiatura), venne sostituita a metà del secolo
successivo da un tragitto più diretto, munito di depositi per le mercanzie straniere
e da ospizi per viandanti (traffico di transito). Dai secoli centrali del Medioevo
la manutenzione della strada di traffico, chiamata di regola «strada francesca»
o «maestra», fu affidata alle comunità locali. La ripresa dei commerci dal XIII
secolo ebbe conseguenze positive anche sulla regione, specialmente sulle comunità
di valle, perché il monopolio dei trasporti procurava guadagni supplementari ai
somieri e fonti di reddito alle vicinie.

Il rilievo montagnoso, più aspro presso la catena alpina, consentiva di ricavare


pochi campi sul fondovalle mentre nelle regioni collinari meridionali era possibile
sfruttare appezzamenti più ampi. L'allevamento del bestiame, soprattutto nelle
vallate del Sopraceneri, richiedeva di mantenere prati falciabili per superare il
periodo di stabulazione invernale con sufficienti riserve di fieno. La regione alpina
era ampiamente tributaria della pianura, dove lo sfruttamento agricolo produceva
quantità di cereali eccedenti il consumo locale, che venivano pertanto immesse
nel circuito commerciale (cerealicoltura). Nel XV secolo, ad esempio, mercanti
bellinzonesi acquistavano grano nella Lomellina (nell'attuale provincia di Pavia)
per rivenderlo nel borgo e nelle vallate superiori. Dal XVI secolo la condotta di
grano dalla Lombardia ai baliaggi italiani fu spesso menzionata negli accordi

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sottoscritti dai cantoni sovrani. Fra le derrate alimentari che gli abitanti della
montagna si procuravano altrove vi erano anche l'olio e il vino. I mercati della
pianura peraltro importavano capi di bestiame e prodotti alpestri dalle regioni più
elevate. Alla fine del Medioevo alcune comunità leventinesi e bleniesi acquistarono
diritti d'alpe al di fuori dei confini (Surselva) a conferma che l'attività alpestre era
redditizia e che i mercati e le fiere lombarde consentivano di vendere non pochi
capi di bestiame.

Molte famiglie nei villaggi delle valli e nei borghi vivevano dei prodotti della terra.
Campicoltura, viticoltura e selvicoltura – di vitale importanza era la raccolta di
castagne – erano le principali attività che consentivano di sfamare i componenti
del fuoco familiare e di limitare la ricerca di lavoro lontano dalla patria. Rispetto
alle campagne, il quadro di professioni si arricchiva nei borghi, e in misura minore
in alcune località periferiche toccate dai traffici, dove la densità demografica,
la funzione amministrativa, la varietà di interessi economici e la stratificazione
sociale contribuivano ad ampliare il ventaglio di opportunità professionali. Le
località di transito (Mendrisio, Lugano, Locarno, Bellinzona, ma anche Biasca,
Faido, Olivone) erano munite di locande per l'alloggio degli stranieri di passaggio
e di osterie per la mescita del vino. Particolare rilievo ebbero gli studi notarili
(notariato) per la loro opera di mediazione anche in ambito economico (atti di
compravendita, locazione ecc.).

Il commercio di esportazione riguardava quasi esclusivamente alcune materie


prime, prodotti alpestri (alpeggiatura) e capi di bestiame vivo. La regione alpina,
ricca di foreste (soprattutto di abeti e larici), riforniva i centri della Lombardia di
legname pregiato adatto all'edilizia. Le piante abbattute erano trasportate verso
i corsi d'acqua e, raggiunto il fiume Ticino, fatte flottare sino al lago Maggiore.
Ingenti quantità di legname d'opera proseguivano poi verso Milano grazie alla rete
di navigli creata nel XIII secolo. In questa fiorente attività si distinsero famiglie
di notabili locali, casati provenienti dai centri della pianura lombarda e, dal XVI
secolo, esponenti di famiglie d'oltre Gottardo. Le popolose città della pianura
necessitavano di grosse quantità di carne e di prodotti alpestri, come il formaggio
grasso a pasta dura che si conservava a lungo. Da ambedue i versanti della catena
alpina scendevano verso i mercati e le fiere pedemontane mandrie di bestiame
destinato a essere macellato e venduto nei negozi di beccai (macelleria).

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Le fiere annuali pedemontane offrivano opportunità di scambi commerciali, di
contatti e ampliamento di interessi: le più note, e forse anche le più frequentate,
erano nel tardo Medioevo quella di fine agosto di Bellinzona e quella primaverile
di Chiasso, ambedue caratterizzate dal forte afflusso di bestiame svizzero (bovini
e cavalli); in età balivale primeggiò la fiera del bestiame di Lugano. Questi eventi
fornivano inoltre la possibilità ai mercanti confederati di acquistare gli apprezzati
prodotti tessili comaschi (pannilana). Nei borghi e nelle principali località
sudalpine si tenevano poi mercati che favorivano gli scambi regionali.

Non sono testimoniate produzioni tessili indigene di volume tale da entrare nel
circuito commerciale, né si trovano indizi di altre produzioni industriali consistenti,
se non qualche opificio che sfornava laterizi. L'estrazione e la lavorazione dei
metalli interessavano alcune regioni, come il Malcantone, la Valcolla e la valle
Morobbia. In quest'ultima, poco dopo la metà del XV secolo, la famiglia comasca
Muggiasca con il suo ramo bellinzonese costruì un impianto siderurgico, che
tuttavia cessò di produrre nel 1478 (metallurgia e siderurgia).

Nei secoli centrali del Medioevo la terra era nelle mani di alcuni enti ecclesiastici:
la mensa vescovile di Como, i monasteri dei benedettini di S. Carpoforo e di
S. Abbondio a Como, di S. Pietro in Ciel d'Oro a Pavia e di Disentis. Anche le
chiese plebane disponevano di possedimenti fondiari consistenti. Alla fine del
Medioevo pure famiglie notabili della regione costituirono veri e propri latifondi,
specialmente nel Sottoceneri e in alcune regioni del Sopraceneri; in epoca moderna
nel Mendrisiotto si diffuse la grande proprietà fondiaria di famiglie cittadine
comasche, tra le quali emergono i Turconi. L'acquisto di proprietà fondiarie
divenne un investimento sicuro e redditizio per imprenditori, commercianti e
membri del ceto dirigente (elite) residenti anche nei borghi e nei villaggi più
popolosi delle valli e affiancò non di rado una ramificata attività creditizia.

3.3. Società
Autrice/Autore: Giuseppe Chiesi, Paolo Ostinelli

Nell'alto e nel pieno Medioevo la struttura sociale dell'area prealpina e alpina,


formata in larga maggioranza da un ceto rurale (contadini) di origine locale e
antica, era caratterizzata dalla nobiltà che polarizzava la vita politica, economica,

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sociale e culturale. Dall'età longobarda e franca alle epoche precomunale e
comunale, la regione vide insediarsi gruppi familiari in grado di occupare posizioni
dominanti, come il casato longobardo dei Totonidi, le famiglie radicate sin dall'alto
Medioevo a Mendrisio (tra cui spiccano i Torriani e i Bosia, attivi nella vita della
comunità locale ben oltre l'età medievale) o la nobiltà di provenienza varesina
che costituiva il consorzio dei Capitanei di Locarno. Anche nelle valli superiori la
società agropastorale conobbe la presenza di famiglie egemoni, come i da Torre
nella valle di Blenio o i da Giornico in Leventina, il cui status sociale era accentuato,
come altrove, dal possesso di un castello o di una residenza fortificata. Nei secoli
centrali del Medioevo si stabilirono poi anche nei centri minori famiglie con
cospicui patrimoni immobiliari, alcune delle quali occuparono una posizione
decisiva fino al tardo Medioevo, come i Quadri o i Canonica de Criviasca nella
Capriasca, i da Novazzano o i da Rancate nel Mendrisiotto, i Trevani o i Pocobelli a
Lugano.

Con il consolidarsi dell'influenza di Como e Milano sulla regione, a livello locale si


può cogliere l'attività di ufficiali e funzionari cui era affidata l'amministrazione del
territorio: così nel Castel Grande a Bellinzona, dove temporaneamente risiedette il
vescovo di Como (1195), si può immaginare la presenza di cancellieri, notai, esattori
e amministratori, che in quanto letterati si ponevano al vertice della scala sociale.

L'affermazione dei comuni di valle di Blenio e di Leventina, comprovata dal


patto di Torre del 1182, segnò l'inizio della progressiva assimilazione dei casati
nobiliari nelle comunità locali, agevolata anche dall'acquisizione, da parte delle
vicinanze, di diritti e proprietà che i nobili furono costretti a cedere per probabili
esigenze finanziarie. I traffici transalpini, favoriti dall'apertura del San Gottardo ai
commerci su lunga distanza, contribuirono a creare le condizioni per la nascita di
un ceto rurale emergente che esercitava i diritti di soma e intratteneva relazioni di
interesse con le regioni vicine, entrando nel giro degli scambi dapprima regionali,
più tardi sovraregionali. Il manifestarsi di tradizioni familiari nell'esercizio delle
cariche pubbliche nel XIII secolo rivela l'esistenza di una precoce stratificazione
sociale nei villaggi. D'altra parte, i comuni organizzarono al loro interno forme
istituzionali di sostegno ai membri (assistenza pubblica), basate sull'accumulo
e sulla distribuzione di generi alimentari, che potevano attenuare situazioni

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contingenti di povertà, ma che in genere escludevano le persone estranee alla
vicinanza.

Nel Sottoceneri si impose l'ambizioso casato comasco dei Rusca, insediato in


località strategiche nel Luganese, nel Malcantone e soprattutto nella valle del
Vedeggio, esercitando un forte influsso sulla società locale fin oltre il tramonto
del Medioevo. Ancora all'inizio del XV secolo un ramo della famiglia occupava
un castello a Bironico, mentre qualche decennio più tardi alcuni suoi membri si
integrarono nella trama economica e sociale della regione, gestendo una locanda
in quella località, trasferendosi a Bellinzona ed esercitandovi cariche pubbliche.
Il ramo principale, invece, dopo l'acquisizione del titolo comitale, si distinse
per la sua appartenenza all'alta nobiltà lombarda, manifestata in tutta la forza
rappresentativa nella splendida residenza nel castello di Locarno.

La società tardomedievale fu segnata in profondità dall'immigrazione di famiglie,


di provenienza soprattutto lombarda, che si inserivano in un tessuto povero di
conoscenze e di abilità tecniche non abbastanza sviluppate dalla realtà locale,
prevalentemente agricola. Le nuove opportunità di guadagno, garantite da scambi
commerciali più intensi con la pianura lombarda, erano in grado di elargire
benessere e agiatezza, richiedevano un rinnovato dinamismo e offrivano possibilità
di ascesa sociale a chi osava avviare nuove imprese.

Mercanti, artigiani, lavoratori della lana, del ferro (artigianato del metallo) e del
cuoio, rivenditori di derrate alimentari, di spezie o di altri prodotti, commercianti
di legname e notai si insediarono nei centri maggiori, ottennero in breve tempo
il diritto di vicinato e vi esercitarono funzioni pubbliche. Il prestigio acquisito
permetteva di assumere incarichi di rappresentanza presso le amministrazioni
statali o addirittura le corti principesche; il denaro accumulato nei commerci era
investito nell'ampliamento delle proprietà fondiarie e una parte era destinata
alla rappresentazione dello status sociale raggiunto (economia monetaria). Nelle
località più popolose sorsero abitazioni imponenti e decorate, che nei secoli della
dominazione confederata assunsero la fisionomia di vere e proprie residenze
patrizie. Di analogo significato appaiono, nei villaggi, le opere commissionate nelle
chiese parrocchiali, negli oratori e sulle pareti delle case da notai, commercianti

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e possidenti che si facevano ritrarre da pittori ambulanti per testimoniare la loro
devozione, ma anche per enfatizzare la loro prodigalità.

A Lugano, a Locarno e a Bellinzona, ma anche in centri minori come Biasca,


Faido, Mendrisio e Balerna, si assistette all'affermazione progressiva di un ceto
imprenditoriale consapevole del suo ruolo politico ed economico. All'abilità e
all'influenza del notariato ricorsero gli ufficiali delle signorie lombarde e in seguito
i rappresentanti dei cantoni sovrani. La sua mediazione apparve indispensabile
non solo per la delicatezza dei compiti affidati, ma anche perché esso fondava il
suo potere e il suo influsso su una fitta e capillare trama di relazioni, non di rado
configurante una vera e propria clientela. In epoca moderna il ceto consolidò la
propria egemonia, rendendola manifesta attraverso la solidità patrimoniale, la
pratica professionale commerciale, forense ed ecclesiastica, la cura delle relazioni
familiari e d'affari con casati eminenti della Lombardia e della Svizzera centrale e la
carriera militare, che talvolta consentì l'acquisizione di titoli nobiliari e onorifici. Si
crearono così tradizioni familiari che perdurarono fin nell'epoca contemporanea.

In età balivale la mobilità sociale era più difficoltosa. La chiusura delle società
locali verso l'esterno si manifestò anche a livello istituzionale, con la separazione
tra i vicini antichi e immigrati o forestieri, che sancì l'esclusione di questi ultimi
dall'accesso alle prerogative riservate sin dal Medioevo ai membri delle comunità
locali e cancellò la relativa permeabilità ancora accertata alla fine del XV secolo.

3.4. Strutture ecclesiastiche e vita religiosa


Autrice/Autore: Paolo Ostinelli

Alle chiese pubbliche con battisteri, sorte dal V-VI secolo in località strategiche
lungo le vie di comunicazione, si aggiunsero nell'alto Medioevo oratori presso vari
insediamenti ed edifici di culto eretti in luoghi di sepoltura, che fanno supporre
una consistente diffusione di chiese private. L'appartenenza diocesana delle località
ticinesi risultò dai legami con le sedi episcopali all'origine dell'evangelizzazione,
Milano e Como, che rimasero in concorrenza per il controllo del territorio fino
all'XI secolo, quando si stabilizzò il confine tra le due diocesi destinato a durare
(con puntuali adattamenti) fino al XIX secolo. La dedicazione di alcune chiese, la
partecipazione a fraternità di preghiera e i possessi fondiari testimoniano l'influsso
di monasteri nordalpini (Disentis, Pfäfers), mentre i grandi conventi lombardi

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crearono in qualche caso dei centri per la vita religiosa locale erigendo chiese dove
si concentravano le loro proprietà (come ad esempio nella curtis di Agnuzzo).

Probabilmente già in epoca carolingia, come nell'intera area lombarda, le principali


chiese pubbliche (Balerna, Riva San Vitale, Agno, Lugano, Tesserete, Locarno,
Bellinzona, Biasca e forse Olivone) divennero i fulcri della distrettuazione per pievi.
Questa forma di organizzazione territoriale della cura delle anime sopravvisse fino
all'epoca moderna, ma fu progressivamente affiancata da una rete di parrocchie
sorte per iniziativa dei fedeli: la disgregazione del piviere di Biasca avvenne già
nel XIII secolo, in altre circoscrizioni invece il distacco delle parrocchie iniziò
nel XV secolo. Nel basso Medioevo le chiese dei villaggi erano i centri della vita
associativa, la religiosità aveva una forte componente collettiva e l'organizzazione
dei servizi religiosi rientrava fra i compiti dei comuni. Attraverso la dotazione di
chiese e benefici essi puntavano a ottenere il patronato e il diritto di elezione dei
curati, per controllare le risorse materiali delle chiese e l'operato del clero, allo
scopo di soddisfare le esigenze dei fedeli: officiatura regolare e presenza costante di
sacerdoti per impartire i sacramenti legati alla nascita e alla morte.

Sin dal XII-XIII secolo il sentimento religioso si espresse anche con l'adesione a
ordini regolari e movimenti religiosi in loco. Nei borghi e in vari villaggi sorsero
case di umiliati, mentre nelle valli di Blenio e Leventina si costituirono, senza
seguire regole ben determinate, comunità maschili e femminili presso gli ospizi,
molti dei quali ricaddero nel basso Medioevo sotto il controllo dei comuni.
In relazione con le vie di transito si poneva anche la fondazione dei conventi
benedettini di Quartino (XI secolo) e di Giornico (XII secolo), così come della
commenda gerosolimitana di Contone (XII secolo). L'offerta di assistenza spirituale
a Lugano e Locarno si accrebbe già nel 1230 ca. con l'insediamento di francescani
conventuali, e pure la prepositura di Torello, fondata nel 1217 con una regola
propria, pare avere assunto compiti di cura d'anime nelle località circostanti.

Le iniziative comunali si moltiplicarono alla fine del Medioevo: il Consiglio di


Bellinzona sostenne ad esempio la fondazione dei conventi degli agostiniani
(1444/1445) e dei francescani osservanti (1484/1485), finanziò la costruzione
della nuova pievana e di altre chiese e stipendiò regolarmente frati predicatori in
alcuni periodi dell'anno liturgico; a più riprese il comune collaborò anche con gli
inquisitori lombardi nella repressione di pratiche eterodosse (inquisizione). Il clima

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devozionale (devozione popolare) fu marcato dalle ripetute apparizioni mariane,
che portarono fra l'altro alla creazione del santuario della Madonna del Sasso (ca.
1480).

La regione non rimase peraltro estranea alle idee riformate, a cui aderì nei primi
decenni del XVI secolo una parte dei ceti più agiati; dopo l'esilio imposto ai membri
della comunità evangelica (protestantesimo) di Locarno nel 1555, rifugiatisi
specialmente a Zurigo, la vigilanza delle autorità ecclesiastiche e l'azione politica
dei cantoni cattolici impedirono però il radicamento della Riforma.

Dalla seconda metà del XVI secolo le strutture locali furono oggetto di decisi
interventi dei vescovi di Milano e Como, miranti all'applicazione delle norme
tridentine (Concilio di Trento). I prelati riformatori, a partire da Carlo Borromeo,
Giovanni Antonio Volpe e Feliciano Ninguarda, rafforzarono il controllo della
Chiesa (Chiesa cattolica) sul territorio, ravvivando l'istituto della visita pastorale,
organizzando le gerarchie diocesane e creando figure di raccordo tra i centri
episcopali e le periferie (vicari foranei, visitatori e provisitatori). Le resistenze
locali e i conflitti giurisdizionali con i cantoni confederati (provvista beneficiaria,
giurisdizione sul clero, gestione dei patrimoni delle chiese, cause matrimoniali e
«miste») resero difficoltosa la Riforma cattolica, che produsse risultati tangibili dal
tardo XVI secolo, lentamente, in modo non uniforme e senza cancellare del tutto
l'impronta comunalistica delle chiese locali. Essa fu comunque attuata toccando
tutte le componenti dell'organismo ecclesiastico: il clero ricevette sempre più
regolarmente una formazione seminariale, mentre i laici venivano istruiti alla
dottrina e alla disciplina nelle scuole parrocchiali e nelle nuove confraternite,
strumenti di inquadramento e anche di aggregazione sociale. Nel contempo i
vescovi incoraggiarono la partecipazione a riti e sacramenti con la creazione di
nuove parrocchie.

L'introduzione di nuovi ordini regolari fu dapprima funzionale agli interventi


riformatori e in seguito essi divennero una componente essenziale del panorama
locale, come esemplifica il caso degli oblati di S. Ambrogio, dapprima inviati
a esercitare il ministero pastorale nelle parrocchie e poi, dal 1616, residenti
stabilmente nel collegio di Ascona. Particolarmente precoce e diffusa fu la
presenza dei cappuccini (al Bigorio dal 1535 e poi in altre cinque località), che
rilanciarono la spiritualità francescana, e quella delle orsoline (attestate in piccole

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comunità già nel XVI secolo), movimento che permise alle donne di realizzare
una vocazione religiosa pur senza votarsi alla clausura. Nei baliaggi si insediarono
anche conventi maschili e femminili degli agostiniani, dei benedettini (dall'VIII
secolo), dei francescani, dei serviti, (dal 1451) dei somaschi (dal 1598/1608) e, per
un periodo meno prolungato, dei gesuiti; diversi fra questi ordini e congregazioni
ebbero un ruolo di primo piano, oltre che nell'ambito più strettamente religioso,
nell'istruzione e nell'avviamento dei giovani della regione alla carriera ecclesiastica.
Accanto alla presenza regolare stabile sul territorio, ebbero luogo opere missionarie
in regioni periferiche, e dal XVII secolo è attestata in modo consistente anche la
pratica eremitica (eremiti).

Le manifestazioni esteriori della religiosità erano improntate allo sfarzo delle


cerimonie e delle decorazioni, in un contesto in cui la partecipazione ai riti
compenetrava la dimensione personale e quella collettiva. L'approfondimento
delle forme devozionali prescritte produsse anche qualche eccesso, sfociato in
espressioni di misticismo smodato e in casi di «falsa santità». Si allacciavano
almeno in parte al genere di religiosità dell'epoca, incline a ricercare
esasperatamente la presenza del divino e del demoniaco, anche le ondate di
persecuzione della stregoneria, particolarmente intense nelle Tre Valli Ambrosiane
nel XVI e XVII secolo, ma riscontrabili in tutti i baliaggi e protrattesi fino a XVIII
secolo inoltrato (l'ultimo processo per stregoneria è attestato a Lugano nel 1759).

3.5. Cultura e istruzione


Autrice/Autore: Carlo Agliati

I tratti caratterizzanti le forme originali di cultura dei territori dell'arco alpino e


prealpino vanno inquadrati nel più vasto contesto unitario del contado gravitante
intorno ai centri metropolitani e i monasteri lombardi, polo di irradiazione
spirituale e artistica su queste terre.

Le prime testimonianze intorno alla diffusione della scrittura sono costituite


da modeste iscrizioni sepolcrali latine incise su lapidi di marmo risalenti al VI
secolo, rinvenute sia nel Sopraceneri (a Muralto, nella chiesa di S. Vittore), sia
nel Sottoceneri (a Sagno, dove era presente un presidio goto, e a Riva San Vitale
nell'area del battistero paleocristiano di S. Giovanni). Tuttavia, è solamente
dall'VIII-IX secolo che risulta attestata una certa familiarità con la pratica scrittoria

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(civiltà della scrittura) da parte della popolazione locale maschile, in coincidenza
con la diffusione nell'Italia superiore longobarda-franca della redazione di atti
notarili di diritto privato. Il nucleo di carte afferenti l'attività di un gruppo familiare
come quello già citato di Totone da Campione costituisce una rara testimonianza
intorno al grado di istruzione di un'élite aristocratica in condizione di leggere,
scrivere e comunque dettare al notaio i termini della propria volontà, come la
donazione dell'oratorio privato di S. Zeno alla chiesa milanese di S. Ambrogio
(777). Un ruolo di avvicinamento dei fedeli alla scrittura è svolto anche dalle
pitture murali in numerosi edifici sacri del territorio. Affreschi con scritte per
l'identificazione di santi e altri personaggi sono presenti dall'XI secolo ad esempio
nelle chiese di Dino, Negrentino (Prugiasco), Sorengo, Muralto; dal XIII secolo
si registrano scritte più complesse con invocazioni, citazioni bibliche, formule
augurali, quali quelle degli affreschi di Torello, Rovio, Cademario e Giornico.

Dal XIII secolo, in concomitanza con la nuova organizzazione del contado in


giurisdizioni comunali, si assistette a una sorta di rivoluzione culturale che
modificò nel profondo i modi di relazionarsi alla scrittura. La vita economica
e sociale, anche gli atti di vita quotidiana meno significativi, furono da allora
regolati tramite scritture pubbliche con forza giuridica, come gli statuti di valle
e gli atti redatti da notai, che, capillarmente presenti sul territorio (ne sono
censiti una trentina in val di Blenio, così come in Leventina, tra lo scorcio del
XII secolo e la fine del XIII), esercitavano nel contempo le pubbliche funzioni di
giudice, caneparo, avogadro, console della vicinia. A incrementare le necessità
di scrittura contribuiscono il rafforzamento delle relazioni con i centri del potere
ducale e il maggior volume di scambi e commerci in borghi in espansione come
Locarno, Bellinzona e Lugano. La formazione dei «letterati», in condizione di
leggere e scrivere il latino, così come fare di conto, era assicurata da una rete di
scuole pubbliche comunali presenti su tutto il territorio ducale. Particolarmente
documentata nel XIV-XV secolo è la scuola di Bellinzona, tenuta da maestri laici
e strutturata sull'arco di 10-12 anni: grazie a un sistema di istruzione differenziato
nelle tre classi di grammatica, umanità e retorica, era consentito ai giovani
provenienti anche dal contado di acquisire cognizioni per accedere alla professione
notarile, assumere compiti nella pubblica amministrazione, svolgere attività
commerciali, come pure esercitare il sacerdozio e intraprendere carriere politiche
ai più alti livelli. Tra gli oltre 1000 alunni che frequentarono la scuola bellinzonese

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nel XV secolo figura anche il cancelliere Giovanni Molo, ben inserito nell'apparato
amministrativo lombardo, in relazione con letterati e umanisti del tempo.

Il latino rimase a lungo la lingua di riferimento per la stesura di atti ufficiali


da parte di notai e cancellieri, anche se nel tardo Medioevo l'uso dei dialetti
risulta prevalente nella comunicazione parlata. Nel XV secolo, sempre ad
opera di «professionisti» della scrittura, si ebbero le prime aperture al volgare,
che si affermò gradualmente come la lingua maggiormente utilizzata nella
corrispondenza diplomatica dell'amministrazione ducale milanese dislocata
nei centri maggiori e minori del contado, così come nell'ambito della gestione
politica e amministrativa delle comunità locali, in cui si registrano alcuni casi di
testi statutari redatti in volgare. Nel secolo successivo, con il distacco da Milano
e il definitivo passaggio dei territori sudalpini sotto la dominazione dei cantoni
svizzeri, si assiste alla progressiva estensione del volgare alla scrittura di atti
ufficiali dell'amministrazione, della giustizia, di alcune parti degli stessi atti
notarili; l'italiano divenne lingua d'uso anche nei raffinati ambiti della scrittura
letteraria, dove si alternava al latino ad esempio negli epistolari di umanisti come il
luganese Francesco Ciceri.

Nel contempo, gli ultimi decenni del XVI secolo si caratterizzarono per l'avvio di
un più marcato processo di alfabetizzazione, che, protratto per tutto il periodo
balivale, coinvolse strati sempre più larghi della popolazione, includendo anche
donne e abitanti delle valli più discoste, compresa la regione dei laghi prealpini, con
forte presenza di maestranze artistiche. Un ruolo di primo piano in tale processo
di modernizzazione, che segnò il passaggio da una cultura orale di tipo tradizionale
– fino allora maggioritaria – a una società letterata, fu svolto dalla Chiesa nel
contesto della Riforma cattolica. Attraverso l'azione lanciata dagli arcivescovi di
Milano Carlo e Federico Borromeo allo scopo di formare cristiani fedeli ai precetti
tridentini, fu creata una fitta rete di piccole scuole parrocchiali, in condizione
di farsi carico della crescente domanda di istruzione di base di una larga fetta
della popolazione. In età borromaica, a diverse congregazioni religiose (oblati,
somaschi, gesuiti, benedettini, serviti) fu poi demandato il compito di fondare
istituti per la formazione di giovani di famiglie notabili e di chi si avviava alla
carriera ecclesiastica: i collegi Papio ad Ascona (1584), di S. Antonio a Lugano
(1608-1852), dei padri gesuiti e benedettini a Bellinzona (1646-75), di S. Giovanni
a Mendrisio (1644-1786), nonché il seminario di S. Maria a Pollegio (1622). A

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Lugano, l'istruzione femminile fu assicurata dal 1747 dalle suore cappuccine di
S. Giuseppe. Le scuole conventuali, inserite nel circuito italiano dei collegi per
nobili, godettero di buona fama pure all'estero, chiamando studenti anche dalla
Lombardia, fra cui il giovane Alessandro Manzoni, allievo dei somaschi di S.
Antonio a Lugano nel 1796-1798. A questi collegi, così come ad altri monasteri,
quale quello luganese di S. Maria degli Angeli, erano inoltre aggregate le maggiori
biblioteche presenti sul territorio.

Il completamento degli studi di grado superiore, sia per gli ecclesiastici che per
coloro che si dedicavano alle libere professioni di avvocato, medico o ingegnere,
avveniva generalmente fuori dai confini dei baliaggi. Alcuni si trasferivano
nelle città di lingua tedesca confederate o del Sacro Romano Impero, ma i più
guardavano ai centri di formazione della Lombardia. Il Collegio Elvetico, istituito
a Milano nel 1579 da Carlo Borromeo, insieme ad altri seminari lombardi costituì
a lungo il principale riferimento per i religiosi, mentre la formazione dei laici fu
assicurata dall'Università di Pavia. Dalla sua fondazione nel 1776, l'Accademia di
Brera a Milano svolse un ruolo essenziale per la formazione dei numerosi artisti e
architetti ticinesi.

L'Italia, in un contesto di strettissimi legami economici e sociali, oltre che artistici,


permase per tutta l'epoca moderna anche il naturale approdo culturale dei letterati,
in massima parte ecclesiastici. Buona fama ottennero nei circoli letterari italiani
del XVIII e XIX secolo poeti prolifici come i padri somaschi luganesi Gian Pietro
Riva e Francesco Soave, quest'ultimo distintosi anche quale educatore, o il gesuita
di Morcote Girolamo Ruggia. Dalla metà del XVIII secolo, grazie all'attività della
tipografia degli Agnelli, prima casa editrice di libri e giornali destinati non solo al
mercato locale (fra cui specialmente le Nuove di diverse corti e paesi, periodico
noto anche come Gazzetta di Lugano, nome ufficiale dal 1797), Lugano si qualificò
quale centro di irradiazione culturale verso l'Italia e altre nazioni d'Europa. La
vocazione editoriale del Ticino, dove si godeva di una maggiore libertà di stampa
rispetto ai confinanti Stati italiani, fu poi ripresa da altre stamperie durante la
stagione risorgimentale del XIX secolo (Tipografia elvetica).

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3.6. Arte
Autrice/Autore: Anastasia Gilardi

In Ticino le testimonianze preromaniche sono per lo più archeologiche o


frammentarie, salvo il battistero di Riva San Vitale (fine V-inizio VI secolo). Molto
diffusa sul territorio, l'architettura romanica di ispirazione lombarda, ma dallo stile
più semplice, si caratterizza per l'uso di materiali locali. Tra gli edifici spiccano la
chiesa prepositurale di Biasca e quella di S. Nicolao a Giornico e tra gli affreschi
il Cristo risorto (XI-XII secolo) a Prugiasco e il Cristo crocifisso (1010-1030) nel
battistero di Riva San Vitale.

Le novità giottesche si riscontrano specialmente a Brione (Verzasca), Ravecchia


(chiesa di S. Biagio) e Castel San Pietro («chiesa rossa»). Il tardogotico (gotico) di
S. Maria in Selva a Locarno e di S. Maria della Misericordia ad Ascona manifesta
evidenti rapporti con la raffinata produzione libraria milanese (miniatura), mentre
di gusto più popolare e didattico sono le opere delle botteghe dei Seregnesi e dei da
Tradate.

La tradizione migratoria delle maestranze artistiche, altamente specializzate nel


settore dell'edilizia e dell'arte, dedite sin dal Medioevo a un'emigrazione stagionale
in Italia e poi estesa a tutta l'Europa, lasciò raramente opere monumentali in
patria. In Ticino fu per contro regolare la presenza di prestigiosi artisti italiani.
Almeno uno degli autori lombardi delle carte dipinte di casa Ghiringhelli a
Bellinzona (oggi presso il Museo del Castel Grande) realizzò ritratti ideali in piena
consapevolezza rinascimentale (1470-1480), rilevabile anche nel santuario della
Madonna del Sasso, dove forse lavorò il Bramantino (Fuga in Egitto, ca. 1520).
Nella chiesa di S. Maria degli Angeli a Lugano spicca la Passione e crocifissione di
Cristo di Bernardino Luini (1529).

L'influenza della Riforma cattolica e del manierismo è riscontrabile in Ticino nei


pochi edifici monumentali in stile classicista (chiesa di S. Croce e palazzo comunale
a Riva San Vitale), ma soprattutto nei numerosi dipinti sacri, spesso di autori
lombardi (Camillo Procaccini, pittori della cerchia di Pier Francesco Mazzucchelli
detto il Morazzone, fra cui Isidoro Bianchi, e di Giovan Battista Crespi detto il
Cerano). Oltre alle opere commissionate direttamente, si trovano in Ticino anche

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dipinti, italiani e più raramente fiamminghi o tedeschi, importati dagli emigranti.
Alcuni altari lignei a sportelli di autori tedeschi o confederati del XV-XVI secolo
furono invece venduti dai riformati alle parrocchie cattoliche (quale il polittico di
provenienza sveva di Ivo Strigel a Osogna).

Tra gli artisti barocchi di origine locale ma attivi prevalentemente fuori dal Ticino
si distinsero Giovanni Battista Discepoli a Milano, Giovanni Battista Carlone
specialmente a Genova e Giovanni Serodine e Pier Francesco Mola a Roma.
Esponenti significativi del primo barocco pittorico furono l'autore anonimo detto
Maestro della natività di Mendrisio così come Francesco e Innocenzo Torriani; il
caso di questi ultimi è esemplare di un fenomeno artistico tipico del Ticino, per cui
emigravano le opere, quando non lo facevano gli artisti.

Gran parte dell'architettura barocca ticinese è visibile all'estero, come nel caso
delle opere di Carlo Maderno e Francesco Borromini che, affermatisi a Roma,
non lasciarono tracce in Ticino. Nella regione diversi edifici ecclesiastici furono
rinnovati e aggiornati tra XVII e XVIII secolo, ma in molti casi con interventi
moderati, usando a profusione marmi variegati, come quello di Arzo, e pregevoli
stucchi. Continuarono a essere rari e poco appariscenti gli edifici civili: alcuni
palazzi urbani e rare ville con giardini spiccavano tra le case borghesi di modesta
struttura, spesso inscindibili dai locali di uso contadino o mercantile.

La tradizione migratoria raggiunse il suo apice nel XVIII secolo, con Domenico
Trezzini a San Pietroburgo e molti altri artisti ticinesi, che elaborarono con infinite
variazioni le regge e le chiese rococò di tutto il continente, e perdurò fino al XIX
secolo, tra l'altro con Domenico Gilardi. Tra i pittori si distinse Giuseppe Antonio
Petrini, che operò specialmente in patria. Nel solco della grande «scuola» italiana
dell'affresco monumentale si inserirono alcuni artisti ticinesi, come i Colomba, gli
Orelli e i Torricelli, e italiani, fra cui i Carlone di Scaria (val d'Intelvi), imparentati
con famiglie del Ticino meridionale, dove furono attivi. Tra i principali esponenti
del primo neoclassicismo europeo si distinguono Simone Cantoni e Giocondo
Albertolli.

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4. Stato e vita politica nel XIX e XX secolo
Autrice/Autore: Carlo Agliati

Le idee dell'Illuminismo e della Rivoluzione francese, diffuse in Ticino


specialmente dalla tipografia Agnelli attraverso la Gazzetta di Lugano e da
Giuseppe Vanelli, suo redattore dal 1788, furono recepite da una parte della classe
dirigente sudalpina. Alcuni dei suoi membri sollecitarono riforme dell'antiquato
sistema balivale (baliaggi comuni), appoggiati in parte da esponenti dei cantoni
sovrani favorevoli a un assolutismo illuminato (quale Karl Viktor von Bonstetten).
Questo movimento, tardivo e inefficace, non produsse alcuna riforma e fu superato
dall'avvio della Rivoluzione elvetica.

4.1. Storia politica e costituzionale


Autrice/Autore: Carlo Agliati

La costituzione della Repubblica Cisalpina (29 giugno 1797), che aspirò in un


primo tempo ad annettere le terre svizzere di lingua italiana, e lo scoppio della
Rivoluzione elvetica (gennaio 1798) furono seguiti dal progressivo delinearsi
nei baliaggi italiani di tre schieramenti principali. I fautori della conservazione
dell'ordinamento politico e sociale vigente si contrapponevano ai promotori di una
sua innovazione, divisi tra una maggioranza di favorevoli alla permanenza nella
Confederazione («Liberi e Svizzeri» o filoelvetici) e una minoranza di partigiani
dell'adesione alla Cisalpina («patrioti» o filocisalpini), presenti nel Sottoceneri. Il
15 febbraio 1798, in seguito al tentativo di questi ultimi di impadronirsi di Lugano,
respinto dal locale Corpo dei volontari, di orientamento filoelvetico, il borgo
proclamò la propria libertà e indipendenza, riconosciuta dai cantoni sovrani. Da
Lugano il moto emancipatore si diffuse subito a Mendrisio e baliaggio (15 febbraio),
dove sembrarono imporsi all'inizio i fautori dell'adesione alla Confederazione, e al
resto dei territori sudalpini. La libertà fu così accordata dai cantoni sovrani anche
ai baliaggi di Locarno (6 marzo), Vallemaggia (21 marzo) e di Bellinzona, Blenio e
Riviera (4 aprile), mentre la Leventina ottenne l'uguaglianza giuridica in seno al
canton Uri (14 marzo).

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4.1.1. La formazione del cantone (1798-1830)
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Il 12 aprile 1798, con la nascita della Repubblica elvetica e il prevalere, sul


piano cantonale e internazionale, dell'opzione filoelvetica, l'emancipazione dei
baliaggi portò alla creazione dei cantoni di Lugano e Bellinzona, che sin dalla loro
costituzione le autorità elvetiche pensavano di unificare con il nome di Ticino.
Le comunità locali, estranee le une alle altre e fedeli al modello segmentato delle
vicinanze autonome, degli enti corporativi e dei vincoli collettivi, erano restie
a formare un unico corpo politico secondo una concezione statale moderna.
Indifferente ai principi proclamati dall'Elvetica, la popolazione era ostile agli
obblighi imposti dal nuovo Stato (tributi fiscali e leva militare) e a qualsiasi
innovazione in ambito religioso, compresa la libertà di culto (tolleranza religiosa).
Il rifiuto dei principi rivoluzionari spiega anche l'opposizione a una possibile
aggregazione alla Cisalpina. L'ostilità al nuovo regime si manifestò nel 1799 con
torbidi e violenze a Lugano e un'insurrezione antifrancese in Leventina. Il periodo
dell'Elvetica fu così segnato da una grande instabilità istituzionale, riscontrabile
specialmente nel Sottoceneri nel rapido avvicendarsi delle autorità esecutive e dei
prefetti in seguito al mutamento dei rapporti di forza tra i diversi schieramenti, e
dalle difficoltà delle istituzioni di esercitare un effettivo controllo del territorio.

Fu l'Atto di mediazione (1803) a sancire la nascita del canton Ticino, dotato per
volontà di Napoleone Bonaparte di una Costituzione simile a quella degli altri
cantoni di recente formazione. La Costituzione del 1803 istituiva una «democrazia
governata», basata sul sistema rappresentativo, sulle elezioni indirette e su un
elevato censo di eleggibilità che consegnava il potere nelle mani dei notabili. La
cittadinanza attiva era inoltre riservata ai soli membri dei comuni patriziali o
patriziati.

Il cantone fu suddiviso in otto distretti, corrispondenti ai baliaggi, in 38 circoli


che fungevano da circondari elettorali, e in ca. 250 comuni, eredi delle vicinanze.
L'esercizio della sovranità fu delegato al Gran Consiglio (110 membri), che si
limitava però a votare le leggi proposte dall'esecutivo. Solo un deputato per circolo
era eletto direttamente; gli altri 72 erano tirati a sorte tra i nominativi indicati
dalle assemblee di circolo. Il potere esecutivo era esercitato da un Piccolo Consiglio
costituito da nove membri, eletti dal Gran Consiglio, al quale continuavano

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ad appartenere. Durante la Mediazione il governo, nel quale spiccava la figura
di Vincenzo Dalberti, si adoperò per dare organicità alle strutture statali e per
diffondere uno spirito pubblico che facesse riconoscere il cantone quale patria
comune dei Ticinesi.

Nel marzo e nel luglio del 1814 il Gran Consiglio tentò una revisione
moderatamente liberale della Costituzione (uguaglianza dei diritti, separazione
dei poteri, elezione diretta del legislativo rafforzato rispetto al governo), stroncata
dall'intervento delle potenze europee. Una parte degli elettori ticinesi reagì con
un'insurrezione, culminata nella riunione a Giubiasco di un congresso dei deputati
dei circoli (25-30 agosto 1814) e nella nomina da parte di quest'ultimo di una
Reggenza provvisoria (esecutivo) e di un Consiglio cantonale (legislativo). Il
fallimento di questi moti fu seguito dall'adozione della Costituzione del 17 dicembre
1814. Il Gran Consiglio fu ridotto a 76 membri: ogni circolo eleggeva un deputato,
mentre gli altri 38 erano designati con procedura complessa. Per attenuare le
rivalità regionali fu stabilita l'alternanza sessennale del capoluogo tra Bellinzona,
Locarno e Lugano. Dal governo di 11 membri (Consiglio di Stato) furono esclusi
gli ecclesiastici. Questo ordinamento, caratterizzato da un esecutivo forte, fu detto
regime dei Landamani, dal nome della funzione riservata al capo del governo.
Fu personificato da alcuni notabili che monopolizzarono la carica, in particolare
Giovanni Battista Quadri, e divenne, per gli oppositori, sinonimo di governo
dispotico, ostile alle libertà pubbliche e sottoposto a una marcata influenza da parte
del Regno Lombardo Veneto.

Continuando una politica iniziata sotto la Mediazione (nel 1810 fu ad esempio


ultimata la strada del Monte Ceneri), il cantone investì nella costruzione della rete
stradale per unire le diverse parti del Ticino e stimolare gli scambi, fonte principale
delle entrate statali tramite dazi (dogane) e pedaggi. Nel 1817 entrò in vigore il
Codice penale, mentre quello civile fu adottato solo nel 1837.

4.1.2. Riforme liberali e lotte partitiche (1830-1875)


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Il regime dei Landamani suscitò un diffuso malcontento, a partire dalla nascente


corrente liberale (liberalismo), che si stava sviluppando attorno ad alcuni notabili
dei principali centri e rivendicava libertà pubbliche, separazione dei poteri e

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pubblicità degli affari statali, fino al clero, escluso dal potere esecutivo e giudiziario
e inquieto per il crescente controllo del governo sulla Chiesa.

Contro il volere del Landamano Quadri, il Gran Consiglio votò il 23 giugno 1830
una riforma della Costituzione, ratificata dalle assemblee popolari il 4 luglio: in
leggero anticipo anche sugli eventi internazionali, il Ticino diede quindi il via sul
piano nazionale alle riforme costituzionali della Rigenerazione. La nuova Carta
sanciva la pubblicità degli atti governativi e parlamentari, la separazione netta
dei poteri, l'elezione diretta dei deputati, il referendum costituzionale, il diritto
di petizione e la libertà di stampa. Furono aumentati i poteri del parlamento
(114 membri) rispetto al governo (nove membri, tra i quali poteva trovarsi un
ecclesiastico). Restarono inevasi alcuni postulati democratici: il suffragio universale
maschile o l'uguaglianza dei diritti civici. Sussistevano infatti i vincoli censitari, il
requisito patriziale e ostacoli legali all'esercizio dei diritti politici fuori dal comune
di origine.

Dalle divergenze sul ruolo dello Stato e sulla natura delle riforme sorsero dopo
il 1830 i due partiti storici: i liberali o radicali (più tardi liberali radicali) e i
moderati o conservatori. I radicali, tra i quali spiccava Stefano Franscini, volevano
uno Stato efficiente e unificatore, che limitasse i particolarismi e le ingerenze
della Chiesa nella società civile, in grado di guidare la trasformazione del Paese,
promuovendo l'istruzione pubblica (scuola) e lo sviluppo economico. I conservatori
difendevano uno Stato economo, rispettoso delle tradizioni, delle autonomie
locali e delle prerogative ecclesiastiche. I radicali si impadronirono del potere
con un sollevamento armato nel dicembre del 1839 e lo difesero da un tentativo
controrivoluzionario nel luglio del 1841. Iniziò una stagione politica caratterizzata
da violenze, giustizia sommaria e colpi di mano armati. Il voto palese nelle
assemblee di circolo era fonte di tafferugli, brogli e condizionamenti clientelari
(clientelismo) dell'elettorato. Spesso per sedare le violenze politiche dovettero
intervenire dei commissari federali (1855, 1870, 1876, 1889, 1890).

Cattolico ma governato dai radicali, nel 1847 il Ticino si schierò contro il


Sonderbund e mobilitò 3000 uomini; comandate da Giacomo Luvini-Perseghini,
le truppe ticinesi furono sconfitte ad Airolo in un attacco a sorpresa da Urani
e Vallesani. L'anno successivo il cantone respinse la Costituzione federale,
soprattutto perché, privandolo delle entrate doganali, lo costringeva a introdurre

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le imposte dirette. Rafforzatasi dopo il 1850, l'opposizione alla politica dei
radicali nasceva, oltre che dalle difficoltà economiche e finanziarie, dalla
reazione alle iniziative anticlericali (anticlericalismo): soppressione dei conventi
e incameramento dei loro beni per finanziare la pubblica istruzione (1852),
laicizzazione dell'insegnamento (1853), ingerenza statale nelle questioni di culto ed
esclusione del clero dalla vita politica (1855).

Sorse pure dopo il 1850 un Movimento democratico che reclamava il suffragio


universale e la democrazia diretta e accusava i governanti di potere personale.
Questi ultimi si sbarazzarono delle opposizioni coalizzate (alleate nel cosiddetto
movimento fusionista) con il Pronunciamento del 1855. Lo Stato federale
intervenne imponendo l'abolizione del vincolo patriziale per la cittadinanza attiva
(1858) e del censo elettorale (1863). Si ritiene che i due impedimenti escludessero
dai diritti politici ca. un quinto dell'elettorato, concentrato in particolare nel
Sottoceneri dove le proprietà fondiarie erano di dimensioni maggiori e prevaleva la
mezzadria. Dopo l'elezione in Consiglio federale di Franscini (1848-1857) e poi di
Giovan Battista Pioda (1857-1864), indice e stimolo all'integrazione del Ticino nello
Stato federale, i liberali radicali stentavano a trovare personalità in grado di guidare
il governo.

4.1.3. Dalle riforme respiniane al sistema proporzionale (1875-1922)


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Intorno al 1870 i liberali radicali tentarono di mantenersi al potere difendendo


strenuamente il sistema rappresentativo e il voto palese in assemblea, contro gli
strumenti della democrazia referendaria e la segretezza del voto. Un atteggiamento
dettato dalla volontà di salvaguardare la funzione trainante dello Stato nel processo
di modernizzazione del Paese, mentre i conservatori contavano sul referendum
per frenare il processo centralizzatore. Conquistata la maggioranza parlamentare
nel 1875, rafforzata nelle elezioni del 1877, i liberal-conservatori, guidati da un
leader carismatico e intransigente come Gioachimo Respini, inaugurarono una
politica di «Nuovo Indirizzo», attraverso una serie di riforme costituzionali: nel
1875 il voto segreto e per comune, il diritto di voto per i cittadini svizzeri domiciliati
e l'iniziativa popolare costituzionale; nel 1878 la fissazione del capoluogo stabile
a Bellinzona (effettiva dal 1881); nel 1883 una riorganizzazione giudiziaria e
l'introduzione del referendum facoltativo. Oltre a sopprimere le disposizioni
legislative anticlericali, i conservatori si fecero promotori delle prime rimostranze

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nei confronti della Confederazione, denunciando una centralizzazione che riduceva
l'autonomia dei cantoni e minacciava la minoranza italofona.

Tutto ciò sembrava far presagire una pacificazione dello scontro politico: invece
non tardarono a sorgere vecchi e nuovi motivi di disputa con l'abituale corollario
di tumulti, vendette politiche e iniziative per delegittimare l'avversario. Nel 1880
fu introdotta la ripartizione dei seggi in Gran Consiglio in base alla popolazione
residente, invece della rappresentanza fissa per circolo. La riforma segnò la fine
del circolo come centro della vita politica locale e generò nuovi conflitti relativi
all'allestimento dei cataloghi elettorali (inclusione o esclusione degli emigranti);
spinse inoltre i conservatori a usare l'ingegneria elettorale nella delimitazione dei
circondari elettorali, in modo da garantirsi una solida maggioranza con uno scarto
minimo di suffragi.

In un clima esasperato anche dalle pratiche clientelari, con le quali i due partiti
si procacciavano voti e appoggi in cambio di favori e impieghi pubblici, la
delegittimazione dell'avversario sfociò in un ultimo mutamento violento del potere,
attraverso la Rivoluzione del 1890 il cui esito fu però inatteso: invece di un nuovo
dominio dei radicali, il cambiamento di regime sfociò in una riforma elettorale,
voluta dalla Confederazione, che obbligò i due partiti a governare insieme. Tanto
per il Gran Consiglio e i municipi (1891) quanto per il Consiglio di Stato (1892),
eletto non più dal legislativo ma dal popolo, si passò così dal sistema maggioritario
a quello proporzionale (sistemi elettorali), di cui il Ticino fu suo malgrado il
pioniere in Svizzera.

Dall'inizio del XX secolo apparve sulla scena politica una terza forza, il Partito
socialista ticinese (PST), dapprima alleato della sinistra radicale; dopo una
crisi interna (1912-1913) che rivelò un nuovo leader nella persona di Guglielmo
Canevascini, il PST rivendicò a sua volta un ruolo più autonomo e di forza
governativa.

4.1.4. La democrazia consociativa alla prova della modernità (dal 1922)


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Nel 1920 fu introdotto il circondario unico per l'elezione del Gran Consiglio,
mentre nel 1922 fu fissato a cinque il numero di Consiglieri di Stato e fu adottata
la cosiddetta formula Cattori, dal nome del suo promotore Giuseppe Cattori,

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che impediva a un partito privo della maggioranza assoluta dei voti di avere la
maggioranza assoluta dei seggi in governo. Si sviluppò così ulteriormente la
democrazia consociativa che obbligava i partiti e i loro dirigenti a collaborare,
poiché nessuna formazione politica disponeva della maggioranza assoluta
nell'esecutivo o nel legislativo. Dal 1927 la composizione partitica del governo
rimase immutata per 60 anni: due liberali, due conservatori e un socialista.
Il proporzionalismo facilitò le scissioni e la nascita di nuovi partiti, anche se
non portò al caos politico prospettato allora dai fautori del maggioritario. Gli
anni 1920 furono caratterizzati da un'alleanza di fatto tra conservatori (Partito
popolare democratico, PPD), socialisti e, fino al 1927, agrari, nota con il nome di
«pateracchio», che permise l'avvento del cosiddetto Governo di Paese (1922-1935),
ponendo fine alla crisi politica apertasi nel 1919 con la perdita della maggioranza
assoluta da parte del Partito liberale radicale (PLR) nelle elezioni federali di
quell'anno.

Il ventennio 1947-1967 fu marcato dalla cosiddetta Intesa di sinistra tra PLR e


PST, improntata a una politica di riforme economiche e sociali (fiscalità, scuola,
opere sociali). L'alleanza si sfaldò progressivamente per effetto di una crescente
critica della democrazia consociativa e della lottizzazione partitica che ne derivava,
estesasi dall'amministrazione pubblica alla magistratura e al settore parastatale.

La modernizzazione economica e sociale del cantone non fu dunque seguita da


chiari mutamenti politici, nonostante il netto aumento degli elettori, in particolare
con l'introduzione del suffragio femminile (nel 1969 in Ticino, come quinto cantone
svizzero). Nonostante i timori espressi, l'entrata delle donne nel sistema elettorale
non sconvolse gli equilibri partitici. Tali equilibri non furono scalfiti nemmeno
dai movimenti sociali degli anni 1960 e 1970, che anche nel Ticino portarono alla
nascita di forze politiche extraparlamentari, influenzate in parte dalla situazione
sociopolitica italiana. La creazione del Partito socialista autonomo (PSA) nel
1969, in seguito a una scissione del PST, fu uno degli accadimenti di maggior
rilievo afferenti a queste nuove forze politiche della sinistra «antisistema». Nella
legislatura 1987-1991 il PPD perse un Consigliere di Stato a favore del PSA. Con
quattro partiti rappresentati in governo, venne meno qualsiasi forza, e logica,
di opposizione in parlamento e ciò accentuò le critiche al consociativismo, sullo
sfondo di una ridefinizione dei compiti statali.

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Dagli anni 1990, anche a seguito di una lunga stagnazione economica, intervenne
una fase di incertezza, all'origine dell'erosione di una parte dei fondamenti
identitari elvetici. Questo fenomeno fu accompagnato, come altrove, da una
crescente disaffezione degli elettori verso i partiti (dimostrata anche dal calo della
partecipazione elettorale: 80% nel 1967, 62% nel 2011) e dalla conseguente crisi del
sistema politico tradizionale. Tale crisi contribuisce a spiegare il costante rifiuto
di alcune opzioni di apertura in politica estera (Spazio economico europeo, SEE;
accordi bilaterali, Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU) e il successo della
Lega dei ticinesi, movimento populista costituito nel 1991, influenzato dalla Lega
Nord italiana. Se la Lega ha progressivamente attenuato la sua iniziale critica alla
partitocrazia, anche per effetto della sua precoce e crescente integrazione nelle
istituzioni, resta dirompente la sua attualizzazione delle tensioni politiche centro-
periferia (Berna-Ticino). Ciò ha comportato un mutamento degli equilibri politici
cantonali: la Lega ha strappato al PPD (1995) e al PLR (2011) un seggio in governo,
composto dal 2011 da due leghisti, un liberale, un popolare democratico e un
socialista, ed è divenuta il partito di maggioranza relativa (con quasi il 26% dei
voti). Dal 2015, la frammentazione delle forze politiche in Gran Consiglio rende
sempre più difficile trovare maggioranze stabili: infatti, soltanto la convergenza di
almeno tre partiti consente di ottenere la maggioranza assoluta.

Sul piano giuridico, nel 1967 fu operato un riordino formale della Costituzione
cantonale del 1830 e nel 1975 venne modificato l'articolo 1 (abolizione della
norma che riconosceva la religione cattolica come religione del cantone). Nel
1997 fu adottata una nuova Costituzione, frutto di lavori preparatori durati quasi
20 anni e avversata solo dalla Lega. Tra le novità proposte, la formulazione
degli obiettivi sociali, il riconoscimento degli organi della società civile e la
soppressione dell'elezione popolare dei magistrati (tranne i giudici di pace). Dalle
elezioni cantonali del 2007 è possibile anche in Ticino ricorrere alla scheda senza
intestazione, un'innovazione che asseconda la tendenza sempre più diffusa al voto
d'opinione a scapito del voto di appartenenza.

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4.2. Stato, amministrazione e rapporti con l'esterno
4.2.1. Sviluppo e struttura dell'apparato statale
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

L'istituzione dello Stato ticinese non corrispose subito a un'effettiva unificazione


dei compiti cantonali. Per diverso tempo la visione dello Stato come confederazione
di autonomie locali implicò una moltiplicazione degli organi istituzionali a struttura
strettamente regionale. Nella fase iniziale del processo di edificazione statale, un
ruolo fondamentale nella gestione e nell'unificazione delle varie realtà locali fu
svolto dai commissari di governo: nominati in numero di uno per distretto, erano
incaricati di stabilire un legame tra l'esecutivo centrale e la periferia, vegliando
all'applicazione delle leggi e dei regolamenti. I progressi nella strutturazione e nel
consolidamento dell'esecutivo e dell'amministrazione pubblica furono all'origine
del graduale esaurimento strutturale della funzione dei commissari di governo, la
cui carica fu soppressa nel 1922.

Benché in seguito alla Rigenerazione i compiti dello Stato avessero cominciato a


chiarirsi, l'auspicata riforma amministrativa stentò a delinearsi. Nel 1849 si ebbe
una prima organizzazione dei dipartimenti, unità amministrative dell'esecutivo.
La definizione, nel 1852, delle competenze degli stessi contemplava già i principali
ambiti di gestione dello Stato (interni; giustizia e polizia; militare; pubblica
educazione e igiene; pubbliche costruzioni; agricoltura; commercio e beneficenza;
finanze; controllo; patrimonio dello Stato e debito pubblico). Le successive
riorganizzazioni dell'esecutivo cantonale, sia a livello strutturale sia politico,
portarono a divisioni e accorpamenti, significativi dell'evoluzione delle mentalità
e dei bisogni sociali (Dipartimento delle opere sociali nel 1959, Dipartimento
dell'ambiente nel 1976). Nel 1992 i dipartimenti, il cui numero gravitava da diversi
decenni attorno a dieci, furono ridotti a cinque, corrispondendo così al numero
di Consiglieri di Stato. Nel 2011 si contavano i seguenti Dipartimenti: istituzioni;
sanità e socialità; educazione, cultura e sport; territorio; finanze ed economia.

Il personale amministrativo dello Stato aumentò con una certa regolarità fino a
raggiungere le 1000 unità intorno al 1940. All'inizio degli anni 1960 il numero degli
impiegati pubblici (funzionari) conobbe però un forte incremento a seguito della
creazione degli uffici correlati ai vari dipartimenti, attestandosi da allora attorno

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alle 4500 unità in media (docenti esclusi). Il potenziamento dell'amministrazione
statale permise di mantenere e ampliare la pratica di individuare in quest'ultima
dei bacini clientelari, sviluppatasi a partire dalle strategie familiari di controllo
delle cariche pubbliche. In una regione con prospettive lavorative inferiori rispetto
a zone economicamente più forti, tali strategie furono applicate nel passaggio dal
regime balivale al nuovo Stato cantonale, portando a un'evoluzione dei metodi di
controllo elettorale: da sistemi di piccolo credito all'assegnazione di posti di lavoro.
Ne fu chiara dimostrazione l'esclusivismo politico diffuso nel XIX secolo, per cui il
partito al potere – alternativamente liberale radicale e conservatore – allontanava
sistematicamente gli impiegati governativi del partito avverso.

Nella seconda parte del XX secolo le istituzioni parastatali hanno assunto un


ruolo importante. La nascita dell'Azienda elettrica ticinese (1958) segnò l'avvio
della strutturazione di altri enti: l'Ente ticinese per il turismo (1970), l'Ente
ospedaliero cantonale (1982, ospedale), l'Università della Svizzera italiana (USI,
1995), la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (1997) e l'Azienda
cantonale dei rifiuti (2004).

4.2.2. Politica religiosa ed ecclesiastica


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

La maggioranza della popolazione degli ex baliaggi si mostrò ostile alle innovazioni


religiose auspicate dall'Illuminismo e introdotte in loco dalla Repubblica
elvetica, sotto forma di libertà di coscienza e di culto e confisca dei beni delle
corporazioni religiose. Una delle principali rivendicazioni delle forze politiche
e della popolazione alla nascita del cantone fu la garanzia costituzionale della
protezione della religione cattolica (cattolicesimo), iscritta nell'Atto di mediazione
del 1803 e confermata dalle successive Carte con una disposizione che riconosceva
la religione cattolica come religione del cantone. Tale riconoscimento impegnava
lo Stato a proteggere l'autorità della Chiesa in materia dogmatica e spirituale ma
affermava altresì la giurisdizione cantonale in materia politico-ecclesiastica. La
tradizione svizzera era di impronta giurisdizionalista e riconosceva implicitamente
la preminenza dello Stato in quanto sovrano territoriale e il diritto di vigilare sulle
istituzioni ecclesiastiche che dipendevano da un'autorità estera.

Vista l'appartenenza delle parrocchie ticinesi alle diocesi di Como e Milano, si pose
sin dal 1803 la questione diocesana. La creazione di una diocesi ticinese si scontrò

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con l'opposizione dell'Austria (che dal 1815 regnava di nuovo sulla Lombardia
ed esercitava l'autorità sulle diocesi di Como e Milano) e con una certa reticenza
del clero ambrosiano. L'ingerenza austriaca nel cantone fu uno dei fattori che
incoraggiarono l'opera di secolarizzazione intrapresa dai radicali dopo il 1840.
Altri aspetti importanti furono la necessità di procurarsi le risorse necessarie
alla creazione della scuola pubblica, specialmente degli istituti ginnasiali e
letterari, e la convinzione che l'influenza e le prerogative del clero e delle istituzioni
ecclesiastiche ostacolassero la modernizzazione dello Stato e della società. Una
legge del 1846 poneva le corporazioni religiose sotto sorveglianza statale. In virtù
del diritto eminente dello Stato, il cantone soppresse gran parte dei conventi e
ne incamerò i beni, per far fronte alla crisi delle finanze pubbliche (1848) e per
creare scuole liceali e ginnasiali laiche al posto dei collegi religiosi (1852). La
legislazione anticlericale fu completata nel 1855 con misure che anticipavano le
tendenze del Kulturkampf: il clero fu privato dei diritti politici e una legge civile-
ecclesiastica pose l'esercizio del ministero ecclesiastico e l'amministrazione delle
parrocchie sotto rigida sorveglianza governativa; fu inoltre istituito il matrimonio
civile obbligatorio e fu secolarizzata la tenuta dei registri anagrafici.

La questione diocesana fu risolta dall'intervento della Confederazione che


nel 1859 decretò la soppressione di qualsiasi giurisdizione episcopale estera.
L'organizzazione della diocesi ticinese fu definita tra il 1884 e il 1888 per via
concordataria, istituendo un'amministrazione apostolica formalmente legata
alla diocesi di Basilea, da cui fu staccata nel 1971 per creare la diocesi di Lugano.
Sempre nel 1886, la maggioranza conservatrice, concordandola con la curia,
elaborò una legge sulla libertà della Chiesa cattolica e sull'amministrazione dei beni
ecclesiastici, che sostituiva quella civile-ecclesiastica del 1855.

L'assetto dei rapporti tra Stato e Chiesa, definito allora, rimase quasi immutato
fino agli ultimi decenni del XX secolo, nonostante controversie e dibattiti
sull'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche e sul finanziamento della diocesi
(imposta di culto), protrattisi fino all'inizio del XXI secolo. Anche l'insediamento
dei primi nuclei riformati, intorno al 1870, aveva causato qualche attrito con il clero
cattolico.

Il riconoscimento della religione cattolica come religione del cantone, iscritto


nella Costituzione cantonale, non aveva più effetti giuridici dal 1874, poiché la

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Costituzione federale garantiva la libertà di coscienza. Questa disposizione fu
modificata solo nel 1975, conferendo anche alla Chiesa riformata la personalità
giuridica e la facoltà di organizzarsi liberamente. Apposite leggi regolano i rapporti
con la Chiesa cattolica (2002) e con quella riformata (1997), entrambe riconosciute
come personalità di diritto pubblico.

4.2.3. Relazioni con gli Stati italiani


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Il tracciato dei confini tra Ticino e Stati italiani conobbe dal XVI secolo diverse
modifiche; la parentesi costituita dalla Repubblica Cisalpina e la creazione dello
Stato unitario italiano chiusero la lunga riorganizzazione confinaria. Nonostante
le discontinuità politiche, all'origine di rotture e frammentazioni dei rapporti,
permase sul lungo periodo una permeabilità della frontiera che generò forti e
specifiche relazioni socio-economiche e culturali.

Furono soprattutto le divergenti evoluzioni politiche degli Stati limitrofi a


provocare tensioni diplomatiche, con conseguenze anche di natura sociale ed
economica. Un fenomeno tipico della frontiera quale il contrabbando, causato
nello specifico dal Blocco continentale, fu all'origine della decisione francese di
far occupare il cantone dalle truppe del Regno d'Italia (1810-1813), che aveva
pure quale scopo di contenere la diserzione dalle truppe napoleoniche. Fu tuttavia
il ritorno del dominio austriaco in particolare, con la costituzione del Regno
Lombardo Veneto (1816), a causare forti frizioni tra i due confinanti, per buona
parte correlate alla presenza di esuli politici nel cantone e al sostegno degli
ambienti liberali radicali ticinesi alla causa del Risorgimento italiano. La loro
attività politica ed editoriale indusse in diverse occasioni l'Austria a protestare con
veemenza anche presso la Confederazione, spingendola, con il cantone, a prendere
posizione sulla libertà di stampa e sulla presenza degli esuli (ad esempio con il
Conclusum sulla stampa e sugli stranieri del 1823 o con quello sul diritto di asilo
del 1836).

Se in seguito ai moti liberali e democratici degli anni 1830 si procedette a una serie
di espulsioni verso l'Italia, fu il ritorno degli Austriaci a Milano nell'agosto del
1848 – dopo le Cinque Giornate del marzo precedente e il conseguente massiccio
arrivo di profughi nel cantone – a generare momenti di forte tensione con il Ticino,
governato dai radicali. Per ben due volte (1848 e 1853) il cantone sudalpino,

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accusato di praticare una politica troppo liberale verso i rifugiati, fu colpito dal
blocco delle frontiere e da pesanti misure di ritorsione, quali l'espulsione dei
Ticinesi dalla Lombardia. Le continue lotte al confine fecero intervenire più volte
la Confederazione. I rapporti tra il cantone e la Lombardia si normalizzarono con il
ritiro degli Austriaci (1859); tuttavia, la nascita dello Stato unitario italiano (1861)
fu accompagnata dall'affermarsi di un nuovo tema, l'irredentismo, che trovò la sua
massima espressione durante il fascismo.

Malgrado un nuovo afflusso di rifugiati, socialisti e anarchici, dopo i moti milanesi


del 1898 e le vicissitudini della prima guerra mondiale, durante la quale prevalse
la diffidenza alla frontiera tra Italia e Svizzera, le relazioni tra il Ticino e le regioni
confinanti si mantennero tendenzialmente stabili fino all'ascesa al potere del
fascismo. Prima e durante la seconda guerra mondiale l'antifascismo militante di
fuorusciti e rifugiati politici, aiutati specialmente dai socialisti ticinesi e in primis
da Guglielmo Canevascini, così come le ripetute violazioni della sovranità da parte
dei fascisti, furono all'origine di nuove tensioni diplomatiche. Dopo l'armistizio
italiano dell'8 settembre 1943 la frontiera ticinese fu interessata da un cospicuo
afflusso di profughi e dall'intensificarsi del contrabbando (specialmente riso)
dall'Italia.

Il secondo dopoguerra vide il rifiorire di forti relazioni, sociali ed economiche,


date sia dalla massiccia presenza dell'immigrazione italiana in Svizzera, sia dai
vicendevoli investimenti. Grazie all'afflusso di capitali italiani, Lugano divenne
un'importante piazza finanziaria. Su tali aspetti si è sviluppata all'inizio del XXI
secolo una grande tensione tra il cantone e la Penisola. Da un lato, si riscontra un
malcontento della popolazione ticinese per la massiccia presenza di frontalieri nel
cantone e per la mancanza di reciprocità nell'applicazione degli accordi bilaterali
I e II con l'Unione europea (UE; 1999, 2004). Dall'altro, si denuncia un'offensiva
italiana contro la piazza finanziaria luganese, in nome della lotta all'evasione fiscale
(scudi fiscali del 2001, 2003 e 2009).

La creazione nel 1995 della Regio Insubrica, ente che riunisce esponenti
istituzionali e privati del Ticino e delle province lombarde di Como, Varese e
Verbano-Cusio-Ossola, cui si aggiunsero dal 2006 quelle di Lecco e Novara, con lo
scopo di favorire i contatti transfrontalieri, si iscrive nelle relazioni di lungo corso

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di questo storico «territorio di vita» costituito su un tessuto culturale ed economico
in buona parte comune.

4.2.4. Rapporti con la Confederazione


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Nel XIX secolo la simultaneità tra il processo di edificazione statale cantonale


e la trasformazione dell'alleanza confederata in uno Stato moderno di tipo
nazionale furono fonte di contrasti e crisi di assestamento nelle relazioni tra
Confederazione e cantone. La riorganizzazione interna al cantone, in cui vigeva un
esasperato municipalismo, portava a spinte centrifughe che facevano temere per la
coesione del Ticino. L'invio di truppe da parte della Confederazione per sedare tali
movimenti e l'immagine negativa nella popolazione che ne conseguì esacerbarono
le tensioni, nonostante la chiara volontà del Ticino di restare svizzero.

Tra gli aspetti che caratterizzarono tali contrasti vi fu la difficoltà ad adattarsi


alla nuova politica estera, sottratta alla responsabilità cantonale. Significativo fu
anche il rifiuto ticinese della Costituzione federale del 1848 per le sue implicazioni
finanziarie. La preoccupazione si manifestò ulteriormente, dal 1874, di fronte
al processo di unificazione e centralizzazione federale. Nel corso del XIX secolo
si svilupparono dunque gli stereotipi elvetici sul Ticino, considerato rissoso e
incapace di anteporre gli interessi generali del Paese a quelli locali, e in parallelo si
diffusero nel cantone sentimenti germanofobi contro la Svizzera tedesca.

Una nuova fase dei rapporti con la Confederazione prese avvio con l'inaugurazione,
nel 1882, della galleria ferroviaria del San Gottardo, che segnò la fine
dell'isolamento ticinese ed ebbe importanti ripercussioni anche sul piano
demografico e culturale. La delusione delle speranze di sviluppo economico riposte
in questa apertura fu all'origine delle Rivendicazioni ticinesi (1924, seguite da una
seconda serie di desiderata nel 1938), di carattere economico, tariffario e culturale,
che trovarono solo parziale soddisfazione.

Nel 1959 il governo cantonale, convinto della vocazione di corridoio di transito


del Ticino, protestò vivamente poiché nell'ambito della politica delle strade
nazionali, la Confederazione aveva previsto lavori minimi nel Ticino settentrionale
ed escluso il traforo del San Gottardo dalla rete autostradale. Oltre alla galleria
stradale (inserita nei progetti nel 1964 e aperta al traffico nel 1980), il Ticino chiese

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un'autostrada a quattro corsie da Airolo a Chiasso. Durante gli anni 1990 furono
avanzate richieste analoghe anche per la linea ferroviaria veloce, che dovrebbe
completare la nuova trasversale alpina (ferrovie).

Nel XX secolo il Ticino fu rappresentato con una certa regolarità nel Consiglio
federale (Giuseppe Motta, 1911-1940; Enrico Celio, 1940-1950; Giuseppe Lepori,
1954-1959; Nello Celio, 1966-1973; Flavio Cotti, 1986-1999). L'assenza, dal
1999, di un Ticinese nell'esecutivo federale ha alimentato nuove polemiche
nei confronti della Confederazione, in un contesto di crisi economica che,
sommata ad altri problemi quali le ripercussioni negative del pur auspicato
traffico autostradale, ha alimentato le recriminazioni nei confronti di Berna.
Sono particolarmente contestate la politica di apertura all'Unione europea (UE)
e la crescente concorrenza tra i cantoni che penalizza le regioni periferiche. A
questi aspetti va aggiunta la netta diminuzione della presenza dei servizi federali
(militare) o parastatali (Poste, telefoni e telegrafi, PTT; Ferrovie federali svizzere,
FFS; Swisscom) in Ticino (regie federali).

Al fine di promuovere un migliore riconoscimento del cantone in seno alla


Confederazione, all'inizio del XXI secolo sembrava affermarsi una nuova via, più
costruttiva, che abbinava una maggiore compattezza interna a nuove strategie.
Ne sono un esempio l'ottenimento della sede del Tribunale penale federale
a Bellinzona (2004) o lo sciopero, in reazione al previsto smantellamento
dell'azienda, delle Officine ferroviarie di Bellinzona (2008), sostenuto dalla
popolazione e dal mondo politico. Nel 2011 è stata inoltre istituita la carica di
delegato cantonale per i rapporti federali, che ha il compito di rappresentare e
promuovere gli interessi ticinesi presso le autorità centrali.

5. Economia, società e cultura nel XIX e XX secolo


5.1. Popolazione e territorio
5.1.1. Evoluzione e struttura della popolazione residente
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Dalla fine del XVIII secolo la crescita demografica del cantone (90'000 abitanti nel
1798) fu piuttosto regolare, con momenti di stagnazione (intorno al 1880 e al 1920)
e periodi di forte incremento (1888-1910, 1950-1970), grazie ai saldi migratori

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dall'Italia. A metà del XIX secolo il divario tra abitanti e risorse provocò ondate
migratorie (emigrazione) che spopolarono le vallate del Sopraceneri, specialmente
la Vallemaggia e la Verzasca. Fino alla metà del XX secolo la crescita demografica
del Ticino fu inferiore alla media nazionale: dal 5,3% di quella svizzera nel 1798 la
popolazione ticinese scese al 4,9% nel 1850, al 4,2% nel 1900 e al 3,6% nel 1960,
suscitando il timore di un declino etnico, per poi risalire al 4,2% nel 2000, grazie
all'immigrazione.

Il tasso di stranieri residenti nel cantone registrò un primo picco nel 1910 con una
proporzione del 28%, cui seguì un calo marcato a causa della prima e della seconda
guerra mondiale (17% nel 1950) e un'impennata negli anni del boom economico
(27% nel 1970) prima di assestarsi all'inizio del XXI secolo su valori fra i più alti in
Svizzera (26%).

L'unanimità linguistica ha conosciuto un'erosione (83% di italofoni nel 2000); a


seguito di un'immigrazione multietnica nel 2000 erano in crescita le lingue non
nazionali (dal 2 al 7% tra il 1970 e il 2000).

Se la proporzione di cattolici scese dalla quasi totalità nel 1850 al 76% nel 2000,
quella di riformati salì nello stesso periodo dallo 0,2% al 7%. Si registrò pure un
aumento di agnostici e appartenenti ad altre comunità religiose: dal 2% nel 1970 al
17% nel 2000. Nel censimento della popolazione del 2000 il 7% della popolazione
si dichiarava senza religione, mentre tra gli altri gruppi religiosi sono cresciuti
cristiani ortodossi (2%, in linea con la media nazionale) e musulmani (2% contro il
4% della media svizzera), in seguito all'immigrazione dai Balcani e dalla Turchia.

Il bilancio demografico evidenzia le trasformazioni tipiche delle società moderne:


una riduzione dei tassi di mortalità e di natalità fino a un saldo naturale
tendenzialmente negativo e un invecchiamento della popolazione.

5.1.2. Flussi migratori


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Sin dall'epoca moderna il Ticino conobbe migrazioni sia temporanee sia definitive.
Lo snodo delle tipologie migratorie si situa a metà del XIX secolo. Se fino a quel
momento le migrazioni erano soprattutto di tipo conservativo, mirate al rientro
e al miglioramento delle condizioni di vita nella regione, dalla seconda parte del

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secolo i motivi dell'emigrazione furono soprattutto la miseria e la mancanza di
lavoro. Si instaurarono così, accanto alle vecchie, nuove forme migratorie, di
massa e definitive, in particolare verso i Paesi d'oltremare (Australia, America
del sud e del nord, Africa settentrionale), che persistettero fin verso la seconda
guerra mondiale, con alcuni picchi. L'emigrazione oltreoceano raggiunse le punte
massime attorno al 1870, verso la fine del XIX secolo e negli anni precedenti la
prima guerra mondiale. Si stimano a ca. 50'000 i Ticinesi emigrati verso altri
continenti tra il 1850 e il 1930. Tuttavia, l'emigrazione periodica e stagionale restò
per buona parte del tempo quella più ricorrente. Elevato fu anche il numero di
coloro che si trasferirono nel resto della Confederazione: tra il 1900 e il 1950 crebbe
dall'8 al 20% la quota dei residenti oltralpe sul totale degli attinenti ticinesi in
Svizzera (migrazioni interne). Accanto alle tendenze generali, va considerata la
differenziazione regionale (Sopraceneri e Sottoceneri, valli) nel ricorso all'una o
all'altra forma migratoria.

A cavallo tra il XIX e il XX secolo anche il Ticino, come la Svizzera, cominciò


a trasformarsi in Paese d'immigrazione. Con l'apertura della galleria del San
Gottardo si assistette all'afflusso importante di Confederati, specialmente di lingua
tedesca, attestato attorno alle 5000 persone (3% del totale della popolazione
residente) nel censimento del 1910. Questi ultimi giunsero in Ticino generalmente
per ricoprire funzioni dirigenziali nell'industria, nel turismo o nelle regie federali.
Lo stesso censimento mostrò pure il netto aumento della colonia italiana, che
raggiunse i 44'000 membri ca., salendo dal 6% della popolazione residente nel
1871-1881 al 28% nel 1910. Manodopera spesso priva di formazione specifica, gli
Italiani lavoravano soprattutto nell'edilizia e nell'industria e costituivano in parte
un'immigrazione di sostituzione.

Nella seconda parte del XX secolo l'emigrazione massiccia di Ticinesi cessò, mentre
aumentò nettamente l'immigrazione, in particolare dall'Italia meridionale; alla
fine degli anni 1970, il 70% di tutti i posti di lavoro nell'industria era occupato da
stranieri. Nel 2010 era il terziario (servizi) a impiegare in valori assoluti la maggior
parte degli stranieri. Il secondario era però il settore più interessato dai frontalieri;
già nel XIX secolo vi era un forte movimento di frontiera di braccianti agricoli
(giornalieri) e di manodopera impiegata nelle manifatture tessili e dei tabacchi.
Dopo il 1950 il flusso di frontalieri aumentò in modo impressionante, toccando

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i 40'000 lavoratori già intorno al 1990. Nel 2009 erano 44'400, su un totale di
201'000 occupati.

5.1.3. Insediamenti e trasformazione del territorio


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

All'inizio del XXI secolo la struttura insediativa (insediamento) si distingueva da


quella, precedente l'industrializzazione, del Ticino rurale, in cui la dispersione sul
territorio era un'esigenza dettata dall'attività economica. Dalla metà ca. del XX
secolo il cantone conobbe l'urbanizzazione e lo spopolamento delle valli e dalla fine
del secolo la suburbanizzazione delle agglomerazioni (agglomerato urbano).

La densità della popolazione passò da 43 abitanti per km2 nel 1870 a 109 nel
2000, con i casi estremi dei distretti di Mendrisio (da 182 a 453) e Lugano (da
115 a 387), da un lato, e di Blenio (da 21 a 15) e Vallemaggia (da 12 a 9), dall'altro.
Notevole quindi lo squilibrio regionale: nel 2008 risiedeva nel Sottoceneri (15% del
territorio) oltre il 57% della popolazione. Determinante per l'evoluzione territoriale
fu la costruzione della ferrovia del San Gottardo (1872-1882). Gli insediamenti e
le attività industriali e del terziario si concentrarono lungo l'asse Airolo-Chiasso,
sul piano di Magadino e attorno ai laghi. Dopo il 1960 il rinnovamento della rete
stradale e la forte motorizzazione frenarono lo spopolamento delle valli, grazie
al pendolarismo. Nel 2000 ca. il 60% degli attivi lavorava fuori dal comune di
residenza, con spostamenti limitati e convergenti verso tre zone: il Mendrisiotto,
il Luganese e il Bellinzonese (quest'ultima regione con funzione di centro
amministrativo).

Dopo il 1950 la forte crescita economica e demografica modificò radicalmente


e spesso disordinatamente il volto del cantone. Questo processo evidenziò la
necessità di un uso razionale e disciplinato del territorio cantonale, così da
preservarne risorse e bellezze. Dopo il rifiuto in votazione cantonale della legge
urbanistica (1969), lo sviluppo territoriale fu regolamentato soprattutto da
disposizioni federali. All'inizio del XXI secolo il Ticino vantava due siti inseriti nella
lista del patrimonio mondiale dell'Unesco: castelli e mura di Bellinzona (2000) e il
Monte San Giorgio (2003).

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5.1.4. Architettura e patrimonio urbanistico
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

I primi importanti interventi architettonici riguardarono la costruzione di edifici


rappresentativi, quali i palazzi governativi a Locarno (1837-1838) e Lugano
(1843-1844) o il Teatro Sociale a Bellinzona (1846-1847), tutti in stile neoclassico
(neoclassicismo). Nella seconda metà del XIX secolo la trasformazione urbana
portò alla creazione di nuove arterie o quartieri, legati alla ferrovia, al turismo
e all'industria. All'inizio del XX secolo l'esigenza di riferimenti cosmopoliti si
tradusse in stili come l'eclettismo o il liberty presenti nei quartieri residenziali,
nell'edilizia di svago, in stabilimenti industriali o nelle ville «esotiche» di emigranti
fortunati, sparse in diversi villaggi. Con la legge sulla conservazione dei monumenti
storici e artistici (1909) si prese coscienza della necessità di salvaguardare e
valorizzare il patrimonio architettonico. Tra le due guerre si affermarono scelte
regionalistiche, attraverso il recupero di elementi lombardi, romanici o rurali, per
esprimere contenuti identitari di fronte al moderno di importazione. Quest'ultimo
stile si impose anche in Ticino dopo il 1940, soprattutto per gli aspetti funzionali,
consoni a edifici pubblici, industriali o commerciali. Un intervento architettonico
e paesaggistico importante e incisivo fu la costruzione dell'autostrada A2
(1961-1986), i cui manufatti vennero in gran parte progettati da Rino Tami,
considerato il capostipite di un gruppo di architetti ticinesi attivi dagli anni 1970,
affermatisi a livello internazionale, fra cui Tita Carloni, Luigi Snozzi, Livio Vacchini,
Aurelio Galfetti e Mario Botta.

5.2. Economia
5.2.1. Agricoltura, selvicoltura e migliorie fondiarie
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

La struttura agricola (agricoltura) del nascente Ticino risentiva di situazioni


createsi dal tardo Medioevo. Nel Sottoceneri vi erano grandi e medie proprietà,
gestite a mezzadria, per la produzione di cereali e mais, introdotto nel Ticino
meridionale nella seconda metà del XVII secolo. Nel XIX secolo proprietari con
spirito imprenditoriale avviarono la coltura del tabacco e l'allevamento dei bachi
da seta. Nelle valli alpine dominava la piccola proprietà contadina, combinata con
estese proprietà collettive (alpi, pascoli, boschi); l'allevamento e la pastorizia erano

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integrate con la campicoltura di sussistenza e la raccolta di frutti (castagne). Vista
la scarsità di terre arabili, il cantone doveva importare ingenti quantità di grano
dalla Lombardia per il proprio fabbisogno.

La forte richiesta dalla Lombardia di legname (industria del legno), uno dei
principali prodotti di esportazione che procurava introiti a cantoni, comuni e
patriziati, causò uno sfruttamento rovinoso dei boschi nella prima metà del XIX
secolo. I danni di uno sfruttamento scriteriato furono aggravati dal sistema di
trasporto dei tronchi (fluitazione). Solo l'intervento federale (legge federale del
1876, sovvenzioni; leggi forestali) per far fronte ai danni delle alluvioni permise
la ricostituzione del patrimonio boschivo, rimediando all'inefficienza cantonale
(mancata applicazione della prima legge cantonale del 1840 e soppressione nel
1863 dell'ispettorato forestale, istituito nel 1857).

La crisi delle risorse intorno al 1850 diede impulso, tra forti opposizioni locali, a
riforme agrarie volte a liberare le terre da servitù che ostacolavano l'innovazione
e scoraggiavano gli investimenti. Il progetto più ambizioso fu la bonifica del
piano di Magadino, che trovò attuazione dopo il 1880 con il contributo della
Confederazione.

Le persone occupate nel primario aumentarono in cifre assolute fino al 1880,


quando raggiunsero il 54% della popolazione attiva, per scendere al 28% nel 1941.
L'estremo frazionamento delle proprietà e l'alta percentuale di donne e anziani tra
gli addetti evidenziavano in modo particolare i problemi e l'arretratezza del settore.
La modernizzazione dell'agricoltura ticinese fu tardiva. Le autorità cantonali
intervennero, sussidiando migliorie e bonifiche e promuovendo la ricomposizione
parcellare, divenuta, visto il calo dell'attività agricola, uno strumento di riordino
catastale per aprire nuove superfici all'edilizia residenziale.

Il settore agricolo si disgregò nel secondo dopoguerra, passando dal 18% della
popolazione attiva nel 1950 al 2% nel 2000, con un forte calo di aziende, superfici
coltivate e patrimonio zootecnico; all'inizio del XXI secolo predominava la
produzione di legumi e ortaggi (orticoltura) in serre, oltre alla viticoltura nelle zone
collinari.

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5.2.2. Vie di comunicazione e transiti
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Per favorire i traffici attraverso il San Gottardo, il Ticino realizzò nella prima metà
del XIX secolo un ambizioso piano di strade maestre carrozzabili (compreso il
ponte-diga di Melide, 1847), nonché una rete di strade circolari per facilitare i
collegamenti interni. Le aspettative economiche della politica viaria furono in parte
vanificate dall'unificazione doganale del 1848, che tolse al cantoni i proventi di dazi
(dogane) e pedaggi.

La seconda metà del XIX secolo vide l'avvento della ferrovia, da cui ci si aspettava
il decollo industriale: la linea del San Gottardo fu completata con le linee
verso Locarno e Luino; sulla stessa si innestarono diverse ferrovie regionali
(Locarno-Bignasco, Lugano-Tesserete, Lugano-Cadro-Dino, Biasca-Acquarossa,
Lugano-Ponte Tresa), aperte intorno al 1910 e smantellate in gran parte tra il 1965
e il 1973.

Il Ticino ferroviario cedette il posto a quello autostradale nella seconda metà del
XX secolo: la politica cantonale consisteva nel captare il maggior numero possibile
di traffici. La dorsale autostradale (il primo tronco fu aperto nel 1968), che ricalca
in buona parte quella ferroviaria, strutturò i nuovi poli economici e commerciali
(Mendrisiotto, Pian Scairolo, valle del Vedeggio e, di riflesso, piano di Magadino).
Ancora all'inizio del XXI secolo il Ticino traeva però scarso beneficio dai transiti e
i collegamenti stradali più veloci non avevano incrementato nella misura sperata il
turismo.

5.2.3. L'industrializzazione
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

La regione non conobbe forme significative di sviluppo protoindustriale


(protoindustrializzazione), tranne qualche stabilimento per la torcitura della seta.
Come per le manifatture di tabacco, sorte nel XIX secolo, si trattava di stabilimenti
poco meccanizzati che sfruttavano manodopera a buon mercato (donne e bambini);
alcune filande di natura industriale apparvero intorno al 1850.

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Fattori esogeni, quali la politica doganale e dei trasporti, il differenziale di frontiera
e i capitali e le iniziative imprenditoriali esterne al cantone, condizionarono in
modo variabile dal XIX secolo l'industria e l'economia ticinese nel suo insieme.
Grazie ai collegamenti ferroviari e alla disponibilità di energia elettrica sorsero
all'inizio del XX secolo alcune industrie con capitali esteri: la Società Anonima del
Linoleum (poi Forbo) a Giubiasco e la Diamant (fabbrica di materiali smeriglianti),
le Officine del Gottardo (leghe metalliche) e la Nitrum (derivati dell'azoto) a Bodio;
altre industrie importanti erano le officine delle FFS di Bellinzona, la cartiera
(carta) di Tenero, gli stabilimenti tessili, le fabbriche alimentari e le manifatture
di tabacchi (specialmente nel Sottoceneri; industria dei generi voluttuari e
alimentari). Vittima dell'epidemia dei bachi (epizoozie), della concorrenza e del
divieto del lavoro minorile, l'industria serica declinò alla fine del XIX secolo.
L'industria del granito (industria della pietra) conobbe un notevole sviluppo
intorno al 1900 (ca. 3000 operai nelle cave). Il maggior fattore di localizzazione
dell'industria era il basso costo della manodopera, in buona parte immigrata (50%
degli occupati nel 1913).

L'economia cantonale fu vittima di un crac bancario nel 1914 (causato da


investimenti speculativi all'estero e dalla commistione tra affari e politica) e della
mutata congiuntura internazionale. Nel lungo periodo di stagnazione fino agli
anni 1950, l'industria ticinese non riuscì a liberarsi delle sue debolezze: scarsità di
investimenti, arretratezza tecnologica, struttura settoriale tradizionale con un forte
peso dell'edilizia, esposta alle peripezie congiunturali.

Dopo il 1950 vi fu una crescita straordinaria dell'economia e dell'industria


cantonale, favorita anche da una politica di incentivi fiscali; la manodopera
del secondario raggiunse il livello occupazionale massimo nel 1974. Assunsero
un ruolo trainante l'edilizia (cantieri stradali, impianti idroelettrici) e il ramo
metalmeccanico (metallurgia e siderurgia, industria delle macchine, Monteforno),
accanto ad abbigliamento, alimentari e orologi (orologeria). La disponibilità
di manodopera a basso costo, grazie all'immigrazione e al frontalierato, non
incoraggiò la razionalizzazione e l'innovazione tecnologica. Dopo il 1980 si sono
insediate anche in Ticino imprese industriali ad alto contenuto tecnologico in rami
quali la meccanica, l'elettronica o il settore farmaceutico, mentre hanno perso
importanza e impieghi alcuni settori tradizionali, in particolare l'abbigliamento.

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5.2.4. La politica idroelettrica e lo sviluppo economico
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Nel 1894 entrò in vigore la legge cantonale sullo sfruttamento delle acque che
riservava allo Stato il rilascio delle concessioni idroelettriche e i proventi dei
canoni d'acqua (industria elettrica). Grazie alle prime concessioni, prosperò il
polo industriale di Bodio e fu possibile l'elettrificazione delle ferrovie. Se nel 1939
vi era in Ticino un solo lago artificiale (Ritom, realizzato nel 1920; dighe), dopo
il 1945 ne vennero costruiti 18; per capacità produttiva idroelettrica il Ticino è
il terzo cantone dopo Vallese e Grigioni. Gli impianti più importanti sono quelli
della Maggia e di Blenio. La politica idroelettrica del cantone fu aspramente
criticata: con la concessione delle acque della Maggia (1949) e del Brenno (1953)
a società in maggioranza svizzerotedesche (Partnerwerke), il Ticino rinunciò
alla valorizzazione in proprio di una risorsa di importanza strategica. Una scelta
difesa allora con la difficoltà di reperire nel cantone i capitali necessari per gli
investimenti e con il rischio di non poter smerciare l'energia prodotta. Solo nel
1958 fu creata un'azienda pubblica cantonale, l'Azienda elettrica ticinese, per
rilevare le concessioni giunte a scadenza.

5.2.5. Avvento e crescita del terziario


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Nonostante la politica viaria per incrementare i transiti, il commercio non ebbe


un ruolo trainante nell'evoluzione economica del Ticino. Un primo sviluppo del
terziario si ebbe tra la fine del XIX secolo e il 1914, grazie al turismo di villeggiatura
in riva ai laghi (Locarno, Lugano) e nelle stazioni climatiche e ai servizi pubblici
federali (Ferrovie federali svizzere, FFS; Poste, telefoni e telegrafi, PTT; militare,
dogane), attrattivi per i livelli salariali sopra la media e la sicurezza dell'impiego.
Favorito dalla motorizzazione privata, si sviluppò nel secondo dopoguerra,
dopo una lunga fase di stagnazione, il turismo di massa estivo che raggiunse
l'apice attorno al 1970, senza però dar vita a una vera cultura dell'accoglienza.
Lo sviluppo dei traffici ferroviari, che conobbe la massima espansione intorno al
1970, favorì attività legate alla logistica e alle spedizioni, imperniate sulla stazione
internazionale di Chiasso.

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In seguito a un rapido mutamento strutturale dagli anni 1960, il Ticino è divenuto
uno dei cantoni più terziarizzati (81% degli attivi nei servizi nel 2000): sono
cresciuti in modo spettacolare il settore bancario e parabancario (banche), facendo
di Lugano la terza piazza finanziaria in Svizzera (con oltre 100 istituti bancari
all'inizio del XXI secolo), e quello parastatale (sanità, formazione, servizi sociali).

Le recenti ristrutturazioni di un'economia sempre più confrontata con un mondo


globalizzato (globalizzazione) hanno provocato una sfasatura tra domanda e
offerta di lavoro, e il Ticino riscontra da alcuni decenni un tasso di disoccupazione
superiore alla media nazionale.

5.3. Società
5.3.1. Evoluzione della struttura e dei gruppi sociali
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Il Ticino rimase a lungo un cantone prevalentemente rurale, con un'agricoltura


scarsamente produttiva. Durante la prima parte del XIX secolo i patrimoni ticinesi
più cospicui, in particolare nelle zone discoste, furono spesso accumulati grazie
all'emigrazione (commerci o professioni ai vertici delle maestranze artistiche; arti
decorative). In patria la ricchezza fu acquisita grazie all'articolazione tra affari di
varia natura (speculazioni forestali, traffici di transito, commercio all'estero) e
l'assunzione di incarichi pubblici, quali mandati o appalti, integrati nella gestione
dello Stato durante la prima parte del secolo. Più in generale, la strutturazione
dello Stato, con la conseguente organizzazione di un'amministrazione cantonale
e federale e di lavori pubblici, rimase sbocco fondamentale per l'impiego, fin oltre
la seconda metà del XX secolo. Fondamentale fonte di guadagno e di formazione
di nuove élite economiche fu la costruzione delle reti viarie, interne e per le vie di
transito. All'interno di un sistema clientelare (clientelismo) di controllo e gestione
del potere, si consolidò la tradizionale presenza di avvocati e notai, a scapito di altre
libere professioni.

Per tutto il XIX secolo l'élite si formò in preponderanza nelle università della vicina
Italia, specialmente a Pavia, con cui vigevano in alcuni casi accordi particolari.
Con il tempo, in seguito all'istituzione del Politecnico federale di Zurigo (1855)

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e dell'Università di Friburgo (1889), furono privilegiati gli istituti universitari
elvetici.

5.3.2. L'associazionismo
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Come nel resto della Svizzera, le associazioni, fra cui in particolare quelle a scopo
patriottico o filantropico, si svilupparono con più intensità dagli anni 1830.
Nel Ticino della prima parte del XIX secolo si distinse l'attività del movimento
riformista di ispirazione liberale, composto da laici e religiosi; desideroso di
modernizzare il Paese, creò una serie di iniziative sociali a favore dell'educazione
e dell'industria, come nel caso della Società di utilità pubblica (1829), fondata
da Vincenzo Dalberti e Stefano Franscini e accolta dal regime conservatore con
seria preoccupazione. Nella stessa ottica, Franscini creò la Società degli amici
dell'educazione del popolo (1837), poi Demopedeutica, e diversi editori impegnati
fondarono gabinetti di lettura e biblioteche circolanti.

Il successivo esacerbarsi delle tensioni politiche inaugurò un lungo periodo


caratterizzato da società e circoli filantropici o ricreativi di matrice identitaria
politica, attivi fin oltre la seconda guerra mondiale (ad esempio società sportive e
di ginnastica e società musicali dapprima; unioni giovanili e femminili, federazioni
professionali poi).

L'azione cattolica nel XIX secolo fu contemporaneamente ecclesiale, politica e


sociale. Solo progressivamente, e con una maggiore definizione del laicato cattolico,
si svilupparono organizzazioni più chiaramente profilate nel loro impegno: di
azione cattolica, quali la Società piana (1861), politico-partitiche e di tipo sociale
(caritative e sindacali).

Il cantone fu privo di associazioni prettamente culturali almeno fino all'ultima


parte del XIX secolo. Nella prima metà del XX sorsero circoli culturali, che si
moltiplicarono grazie al sostegno dello Stato nella seconda metà del secolo.
L'associazionismo femminile si sviluppò trasversalmente a diversi gruppi (religiosi
e di beneficienza dapprima, culturali e politici in seguito). Alla sua creazione nel
1957, la Federazione associazioni femminili Ticino (Federazioni delle associazioni
femminili svizzere) comprendeva sodalizi di vario ordine, a dimostrazione della
ricchezza e diversità delle organizzazioni femminili, che spaziavano da quelle

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assistenziali e religiose a quelle politiche e di promozione delle donne e del
suffragio femminile.

5.3.3. Movimenti sociali


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Le prime organizzazioni per gli operai (società operaie) presero il via a metà degli
anni 1850, promosse in particolare dalla sinistra radicale. Basate su principi
democratici, privilegiarono nel loro sviluppo le finalità politiche a scapito di un
sostegno vero e proprio agli operai. Nella seconda parte del secolo sorsero le prime
vere società di mutuo soccorso (nel 1888 se ne contavano 24). Verso la fine del
secolo, e in correlazione con i lavori ferroviari, anche a sud delle Alpi apparvero le
sezioni della Società del Grütli (la prima a Bellinzona nel 1881), composte per la
maggior parte da Svizzerotedeschi. Al contempo sorsero le cooperative di consumo,
sostenute anche dai socialisti, che verso la fine del XIX secolo svilupparono altre
forme di organizzazione operaia, in stretta collaborazione con gli esuli politici
(profughi) italiani giunti in Svizzera a seguito delle misure repressive dei governi
della Penisola. A cavallo del XX secolo furono istituiti i primi sindacati di categoria.
Nel 1902 fu creata la Camera del lavoro. L'influenza dell'emigrazione politica
italiana sul movimento operaio cantonale ridivenne importante durante il fascismo,
con l'arrivo dei fuorusciti e dei rifugiati (antifascismo).

In seguito all'enciclica Rerum novarum, anche il movimento cattolico si interessò


alla questione sociale. All'inizio del XX secolo nacquero i primi circoli cattolici
che, dopo un primo esitante tentativo di collaborazione con i socialisti, crearono
le leghe agricolo-operaie. Nel 1919, seguendo l'impostazione della Federazione
centrale svizzera delle organizzazioni cristiano-sociali, istituita nel 1903, fu creata
l'Organizzazione cristiano-sociale ticinese. Dagli anni 1930 il movimento cristiano-
sociale prese vigore, grazie alla figura di Luigi Del Pietro, diventando uno dei
principali partner sociali in Ticino, in seguito anche alla sindacalizzazione di molti
frontalieri e immigrati nella seconda parte del secolo.

Se nella prima metà del XX secolo quello operaio fu il movimento


sociale di maggiore rilievo, gli anni successivi al 1968 videro la nascita di
movimenti giovanili, che sfociarono a volte nell'organizzazione di movimenti
extraparlamentari, di cui alcuni intrattennero strette relazioni con i gruppi
autonomi italiani, quali Potere operaio o Lotta continua. Nel ventennio 1970-1990,

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con l'intento di distinguersi dalle organizzazioni femminili tradizionali, si sviluppò
una pluralità di iniziative e sodalizi, espressione del nuovo movimento femminista.

5.4. Cultura
5.4.1. Istruzione
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

La prima legge scolastica cantonale (1804), che introdusse l'obbligo per i comuni
di istituire una scuola elementare, rimase in gran parte inapplicata anche per
difficoltà finanziarie. L'offerta scolastica era affidata ai collegi religiosi e a una
rete di scuole elementari – volute tra gli altri da comunità locali, benefattori e
parrocchie – che aveva garantito già nell'ancien régime un discreto grado di
alfabetizzazione.

L'intervento del cantone prese forza intorno al 1840, su iniziativa di Franscini e


del governo radicale, con il sostegno alle scuole elementari, i corsi per maestri
(1838) e l'istituzione delle scuole di disegno (1840) e di quelle elementari maggiori
(1841). La scuola pubblica per formare il cittadino e promuovere un'élite moderna
si precisò nel 1852 con la creazione del liceo cantonale di Lugano (di indirizzo
filosofico-scientifico) e la trasformazione degli istituti secondari religiosi in
ginnasi laici. L'obbligo scolastico (dai 7 ai 14 anni) fu sancito nel 1864 da una
legge che fornì alla scuola ticinese un assetto stabile e favorì la scolarizzazione
generalizzata. Nel 1873 fu istituita una scuola magistrale (a Pollegio, dal 1878
a Locarno) e nel 1894 la scuola cantonale di commercio a Bellinzona. Nel 1912
furono adottate le prime leggi sull'apprendistato e sulla formazione professionale.
La biforcazione, dopo la quinta elementare, tra scuola maggiore e ginnasio
fu attenuata nel 1958, introducendo una certa permeabilità tra le due filiere.
L'occupazione della magistrale da parte degli studenti nel marzo del 1968 evidenziò
il disagio e la necessità di ripensare il sistema scolastico, i metodi didattici e i
contenuti. Furono creati nuovi licei (Bellinzona, 1974; Locarno, 1974; Mendrisio,
1977; Lugano 2, 1982), ma la riforma più incisiva fu l'istituzione nel 1974 della
scuola media quadriennale, detta unica o integrata, che posticipa alla fine del ciclo
obbligatorio l'orientamento formativo.

Il Ticino è caratterizzato da un forte primato della scuola pubblica (ribadito nel


2001 quando il 74% dei votanti bocciò un'iniziativa in favore delle scuole private),

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dall'elevata frequentazione della scuola per l'infanzia e da un alto tasso di maturità
liceale (17% a fronte di una media nazionale del 10% nel 1980, 30% contro il 20%
nel 2010).

Nella seconda parte del XX secolo la democratizzazione degli studi portò a una
maggiore diffusione della formazione, che si estese anche alle donne: nel 1965 le
ragazze costituivano il 25% dei liceali contro il 54% nel 2005; negli stessi anni,
la presenza femminile raggiunse nei contratti di tirocinio dapprima il 30% e in
seguito il 40%. Tale tendenza ebbe come conseguenza l'aumento della massa critica
di donne e uomini con un buon livello di istruzione, impiegati per buona parte
nell'insegnamento e nei media.

La creazione di un istituto accademico in Ticino fu oggetto di dibattiti e progetti


sin dal 1844: dopo un tentativo fallito nel 1986, l'Università della Svizzera italiana
(USI) fu istituita nel 1995. Dalla trasformazione di diverse scuole specializzate nel
1997 nacque la scuola universitaria professionale, a cui è stata aggregata nel 2009
l'Alta scuola pedagogica, che nel 2002 aveva sostituito la scuola magistrale.

5.4.2. Espressioni culturali


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Nonostante la perifericità culturale, artisti e intellettuali di diversa provenienza


elessero il Ticino a meta privilegiata. Se l'esperienza del Monte Verità, avviata nel
1900 e improntata a un modello di vita alternativo, è tra le più note, il Locarnese si
rivelò anche in seguito un crocevia di culture. Esemplari i convegni di argomento
filosofico di Eranos, iniziati a Moscia (Ascona) da Olga Froebe-Kapteyn (1933),
che attirarono grandi nomi della cultura mondiale. Anche nel dopoguerra questa
regione, più di altre, continuò a essere polo di attrazione per artisti e intellettuali
di origini diverse, quali Italo Valenti, Jean Arp, Max Frisch, Patricia Highsmith e
Harald Szeemann. Esperienze o presenze più puntuali si ebbero però anche nel
resto del cantone: tra i molti, nel Mendrisiotto il gruppo di artisti espressionisti
Rot-Blau I fondato da Albert Müller, Hermann Scherer e Paul Camenisch (1924), o
sulla Collina d'Oro residenti di lungo corso quali Hermann Hesse e i dadaisti Hugo
Ball ed Emmy Hennings (dada).

I rapporti tra Ticinesi e Italiani furono però i più intensi e regolari, particolarmente
evidenti nell'ambito letterario (letteratura italiana). Spesso originati dalle

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divergenti evoluzioni politiche dei due Paesi, tali relazioni diedero vita a solide
esperienze culturali. Come nel Risorgimento, anche durante il fascismo furono
creati sul suolo ticinese giornali e case editrici per sfuggire alla censura italiana
e molto attiva fu la partecipazione degli Italiani alla vita culturale della regione.
Dall'effervescenza ideologico-culturale che il Ticino visse nel 1943-1945 grazie
alla presenza di intellettuali italiani di primo piano scaturirono alcune iniziative,
come il premio letterario Libera Stampa (1946-1966), che però si spensero nel
dopoguerra.

5.4.3. Arte
Autrice/Autore: Anastasia Gilardi

Il consolidamento delle scuole di disegno locali sorte dopo l'emancipazione


cantonale portò nel giro di ca. mezzo secolo a una certa standardizzazione della
produzione artistica ticinese. Si mantenne tuttavia la qualità tecnica e una certa
versatilità degli artigiani locali, fra cui specialmente artisti formatisi per lo più
all'estero o ancora in botteghe familiari. Fra gli artisti del XIX secolo spicca
Vincenzo Vela, scultore pienamente intriso della cultura risorgimentale italiana.
Tra gli architetti di un certo prestigio, come Luigi Canonica, i Fossati o Pietro
Bianchi, si distinse per indubbia originalità progettuale e inventiva tecnica Antonio
Croci. Anche nella pittura non mancano casi di artisti rappresentativi delle correnti
stilistiche coeve, come Bernardino Pasta o Angelo Trezzini, più o meno fedeli alla
lezione del romanticismo milanese, o i Bossoli per la paesaggistica. Accanto ad
Antonio Ciseri, il cui realismo figurativo ebbe un grande successo, acquisirono una
certa notorietà alcuni rappresentanti dei movimenti più aggiornati di fine XIX e
inizio XX secolo, dal divisionismo alla scapigliatura, tra cui Luigi Rossi, Filippo
Franzoni e Pietro Chiesa. Va infine ricordata la presenza anche in Ticino di alcuni
artisti a metà strada tra la produzione colta e accademica e quella spontanea e
popolare, con esiti talvolta molto felici, tra cui Giovanni Antonio Vanoni e Antonio
Rinaldi.

5.4.4. Media e intrattenimento


Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

La stampa, specialmente quella politica, trovò nel XIX secolo uno slancio che
mantenne nella prima metà del XX. Malgrado il numero elevato di quotidiani,
emanazione di partiti politici (fra cui specialmente Gazzetta Ticinese, Il Dovere

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e L'Avanguardia per l'area liberale-radicale; Popolo e Libertà per quella
conservatrice; Libera Stampa per i socialisti), nella seconda parte del XX secolo
si consolidarono le testate senza legami organici con i partiti (Corriere del Ticino,
Giornale del Popolo, La Regione). All'inizio del XX secolo comparvero in Ticino
pubblicazioni culturali di ampio respiro che diedero il via a un filone di riviste
culturali di varia fattura (di cultura generale, letterarie, storiche, scientifiche).

Con la fondazione a Lugano della Radio della Svizzera italiana (1930), all'epoca
nota come Radio Monte Ceneri (dall'ubicazione del suo trasmettitore), alla
popolazione venne offerto un nuovo strumento culturale. Sul modello di altre
emittenti di servizio pubblico, svolse un compito educativo, di università popolare,
particolarmente sentito in un cantone a lungo privo di istituti accademici. La
Televisione della Svizzera italiana iniziò a trasmettere nel 1961, seguendo per un
breve periodo gli stessi intenti. Nonostante i forti legami con la cultura italiana,
dati anche dalla massiccia presenza di Italiani all'interno dell'ente, diverse furono
le specificità della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (RTSI, dal 2009
RSI; Società svizzera di radiotelevisione, SSR), perlomeno fino agli anni 1980: tra
i primi esempi, l'integrazione nella programmazione del genere della commedia
dialettale, all'origine dello sviluppo del teatro dialettale nella regione. Anche il
teatro di parola deve molto ai legami dei suoi protagonisti con la radio. Nella
seconda parte del XX secolo il clima teatrale mutò aprendosi a nuove forme, come
il teatro di movimento, divulgato dal Teatro (1971) e dalla Scuola Teatro Dimitri
(1975) di Verscio. Ne risultò così arricchito il panorama teatrale ticinese, animato
da istituzioni di antica data quali il Teatro Sociale di Bellinzona (inaugurato nel
1847) e il Teatro di Locarno (1902) e numerose compagnie.

Sempre grazie alla radio, il cantone si dotò di un'orchestra sinfonica con sede a
Lugano, l'Orchestra della Svizzera italiana (1935). Nell'ambito musicale, vivacizzato
da una folta presenza di bande e corali e di scuole di musica (fra cui in primo luogo
il Conservatorio della Svizzera italiana, nato come Accademia di musica della
Svizzera italiana nel 1985), diverse manifestazioni presero avvio nella seconda
parte del XX secolo. Si distinguono specialmente le settimane musicali di Ascona
(1946) ed Estival Jazz a Lugano (1979). Tra i vari festival del film sbocciati in
Svizzera a metà del XX secolo, quello di Locarno (1946) è tuttora il maggiore
avvenimento cinematografico elvetico.

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5.4.5. Italianità e politica culturale
Autrice/Autore: Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo

Regione principale di una minoranza linguistica (presente pure nel Grigioni


italiano), il Ticino definisce la sua identità anche attraverso una costante tensione
tra l'appartenenza politica alla Svizzera e la matrice culturale italiana (Svizzera
italiana), acuitasi ad esempio all'inizio del XX secolo a seguito dell'apertura della
galleria del San Gottardo.

Il conseguente mutamento degli equilibri demografici nel cantone – in mezzo


secolo la popolazione autoctona scese da più del 90% (ca. 109'500 abitanti tra il
1850 e il 1880) a meno del 70% (106'938 abitanti nel 1910) – fu accompagnato
da un forte disagio culturale, alimentato in parte dalla tendenza dei Confederati
germanofoni giunti d'oltrape a sviluppare forme di socialità endogene, creando
scuole, giornali (Tessiner Zeitung) e circoli associativi propri. Tale disagio fu
avvertito specialmente da una cerchia relativamente ristretta di intellettuali ed
esacerbato dalla delusione delle speranze di sviluppo economico suscitate dalla
realizzazione del traforo. Mentre si manifestavano forme di forte italofilia, pure
circoscritte a gruppi minoritari, come quello sorto attorno al giornale L'Adula
(1912), tale delusione portò alla formulazione delle rivendicazioni ticinesi (1924
e 1938). Le richieste culturali in esse contenute furono ampiamente accolte
con l'intensificazione dell'aiuto alla cultura italiana nell'ambito della politica
della Difesa spirituale. Sul piano cantonale, il timore di una germanizzazione
del territorio, che si accompagnava alla preoccupazione di una penetrazione
confessionale riformata, sfociò pure nella legge sulle insegne del 1931, che
prescriveva l'uso della lingua italiana per i testi destinati al pubblico.

L'avvento al potere del fascismo in Italia con il conseguente sviluppo del fenomeno
dell'irredentismo riaccese il dibattito attorno a forme marcate di italianità ed
elvetismo, in un confronto politico-culturale che coinvolse i letterati ticinesi (tra
cui Francesco Chiesa e Guido Calgari). Con la caduta del fascismo, gli animi si
quietarono, ma il timore di una germanizzazione del cantone ritornò in auge negli
anni 1950, con la discussione sulla svendita del territorio; i ricorrenti allarmi
sull'italianità minacciata non trovano però riscontro nelle cifre: nel 2000 si contava
in Ticino l'8% di germanofoni.

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Il sostegno alla cultura italiana fu rafforzato anche nella seconda parte del XX
secolo, specialmente grazie alla legge federale sull'aiuto finanziario al Ticino per
la difesa della cultura e della lingua italiana (1980) e al conseguente cospicuo
aumento del relativo sussidio federale (passato da 225'000 frs. a 1,5 milioni).
All'inizio del XXI secolo una maggiore presenza di italofoni nell'amministrazione
federale continuava però a essere rivendicata dalla deputazione ticinese alle
Camere federali (Assemblea federale) e da varie assocazioni.

Grazie alle sovvenzioni federali, il cantone poté affinare la propria politica


culturale, il cui coordinamento risentì tuttavia fino all'inizio del XXI secolo
dell'assenza di una legge quadro sulla promozione della cultura. Fra le iniziative
promosse dallo Stato vi fu l'istituzione di enti quali il Sistema bibliotecario
cantonale (organo di coordinamento delle quattro biblioteche cantonali:
Bellinzona, Lugano, Locarno e Mendrisio; 1991), l'Osservatorio linguistico (1991) e
il Centro di dialettologia e di etnografia (2002) della Svizzera italiana. Quest'ultimo
accoglie al suo interno il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, nato già
nel 1907 per iniziativa di Carlo Salvioni, e coordina i musei etnografici regionali del
Ticino, inclusi da una legge del 1990 in una rete sussidiata dal cantone. L'offerta
culturale è completata da un'articolata rete di musei, di diversa rilevanza, fra
cui specialmente il Museo cantonale d'arte (1987) e il Museo cantonale di storia
naturale (sviluppatosi a partire dal Gabinetto di storia naturale creato nel 1853
da Luigi Lavizzari) a Lugano e la Pinacoteca cantonale Giovanni Züst a Rancate.
La realizzazione di un centro culturale sul sedime dell'ex Grand Hôtel Palace
ha rilanciato il ruolo di Lugano sulla scena culturale cantonale e il dibattito sui
rapporti tra Stato (con il cantone e i comuni) e cultura.

Riferimenti bibliografici
Archivi
– Archivio di Stato del Cantone Ticino, Bellinzona.
– Archivio di Stato di Como, Como.
– Archivio di Stato di Milano, Milano.
– Archivio storico della diocesi di Como, Como.
– Archivio storico diocesano di Lugano, Lugano.

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– Archivio storico diocesano di Milano, Milano.

Fonti
– Amtliche Sammlung der ältern eidgenössischen Abschiede, 8 voll., 1839-1886.
– Rufer, Alfred; Strickler, Johannes (a cura di): Amtliche Sammlung der Acten aus
der Zeit der Helvetischen Republik (1798-1803) im Anschluss an die Sammlung
der ältern eidgenössischen Abschiede, 16 vol., 1886-1966, 1886-1966.
– Heusler, Andreas (a cura di): Rechtsquellen des Kantons Tessin, 13 fascicoli,
1892-1916.
– Brentani, Luigi: Codice diplomatico ticinese. Documenti e regesti, 5 voll.,
1929-1956.
– Brentani, Luigi: Antichi maestri d'arte e di scuola delle terre ticinesi. Notizie e
documenti, 7 voll., 1937-1963.
– Moroni Stampa, Luciano (a cura di): Codex palaeographicus Helvetiae
subalpinae, 2 voll., 1951-1958.
– Delcros, Louis: Il Ticino e la Rivoluzione Francese. Documenti dagli Archivi di
Francia, 2 voll., 1959-1961.
– Ticinensia. Notizie e documenti inediti per la storia dell’arte e la storia
dell’antica cultura locale delle Terre ticinesi e della Lombardia prealpina,
1960-1997 (collana in appendice a Archivio storico ticinese).
– Materiali e documenti ticinesi, 3 serie, 1975-1990.
– Ceschi, Raffaello; Gamboni, Vasco; Ghiringhelli, Andrea: Contare gli uomini.
Fonti per lo studio della popolazione ticinese, 1980.
– Bonstetten, Karl Viktor von: Lettere sopra i baliaggi italiani (Locarno,
Valmaggia, Lugano, Mendrisio), 1984 (tedesco 1797-1799).
– Schinz, Hans Rudolf: Descrizione della Svizzera italiana nel Settecento, 1985
(tedesco 1783-1787).
– Le fonti del diritto del Cantone Ticino, 1991- (Fonti del diritto svizzero, TI).
– Bianconi, Sandro; Schwarz, Brigitte (a cura di): Il vescovo, il clero, il popolo,
1991.
– Chiesi, Giuseppe; Moroni Stampa, Luciano (a cura di): Ticino ducale. Il
carteggio e gli atti ufficiali, 1950-2017.
– Bernasconi Reusser, Marina (a cura di): Le iscrizioni dei cantoni Ticino e
Grigioni fino al 1300, 1997.
– Gili, Antonio (a cura di): I protocolli dei governi provvisori di Lugano,
1798-1800, 2 voll., 2010.

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Studi
Storiografia
– I primi compendi generali apparvero tardivamente, dopo la creazione del
cantone. Per il periodo precedente, si dispone di isolate memorie regionali,
non destinate alla stampa, come la cronaca luganese attribuita a Nicolò Maria
Laghi sul periodo 1466-1512 o le notizie compendiate sugli anni 1568-1589 di
Domenico Tarilli. La storia delle terre ticinesi è richiamata anche nelle opere
di autori come Francesco Ballarini (Cronica di Como, 1619), Primo Luigi Tatti
(Annali della Città di Como, in tre volumi, 1662-1734) e Cesare Cantù. Dopo il
1803 per promuovere il sentimento di patria comune fu compilato il Dizionario
storico ragionato degli uomini illustri del Canton Ticino (1807-1811) di Gian
Alfonso Oldelli. Per illustrare il nuovo cantone ai compatrioti svizzeri uscì in
lingua tedesca la Descrizione topografica e statistica del Canton Ticino (1812)
di Paolo Ghiringhelli, seguita nei decenni successivi da compendi generali
di storia ticinese: La Svizzera italiana (in tre volumi, 1837-1840) di Stefano
Franscini, Compendio storico della Repubblica e Cantone Ticino dall'epoca dei
Romani ai nostri giorni (1857) di Giuseppe Pasqualigo, Escursioni nel Canton
Ticino (1863) di Luigi Lavizzari, Dei paesi e delle terre costituenti il canton
Ticino dai tempi remoti fino all'anno 1798 (1879) e Storia del Canton Ticino
[...] (1882), entrambi di Angelo Baroffio. Sommari generali si ebbero anche
nel XX secolo; il primo apparve nell'Historisch-Biographisches Lexikon der
Schweiz (in sette volumi, 1921-1934), dovuto a Celestino Trezzini, che compilò
tutte le voci della parte ticinese. Una sintesi di taglio prevalentemente politico
è la Storia del Canton Ticino (1941) di Giulio Rossi ed Eligio Pometta; aperta a
nuovi filoni di ricerca, comprendenti temi di storia economica, sociale e artistica,
è la nuova storia promossa dal cantone con il coinvolgimento di numerosi
autori: Storia del Canton Ticino (in due volumi, 1998) e Storia della Svizzera
italiana dal Cinquecento al Settecento (2000), a cura di Raffaello Ceschi, e
Storia del Ticino. Antichità e Medioevo (2015), a cura di Giuseppe Chiesi e Paolo
Ostinelli. Ai compendi complessivi si affiancano alcune storie regionali, o lavori
su periodi storici definiti, anche ad opera di studiosi svizzeri che pubblicarono
originariamente in tedesco, come Karl Meyer (su Blenio e Leventina nel tardo
Medioevo, 1911), Otto Weiss (sui baliaggi italiani nel XVIII secolo, 1914) e Paul
Schaefer (sul Sottoceneri nel Medioevo, 1931). Con Emilio Motta – fondatore
del Bollettino storico della Svizzera italiana (1879), in seguito redatto da storici
come Eligio Pometta e Giuseppe Martinola – la storiografia ticinese fu posta

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per la prima volta sul piano della ricerca scientifica basata sull'analisi della
documentazione di archivio e bibliografica. Dagli anni 1960, anche grazie alle
indagini di Virgilio Gilardoni, fondatore dell'Archivio storico ticinese (1960), le
discipline storiche si sono allargate a tematiche inerenti la cultura materiale, la
storia delle mentalità e la vita quotidiana.

Pubblicazioni in serie
– Rivista archeologica dell'antica provincia e diocesi di Como, 1872-.
– Monumenti storici ed artistici del cantone Ticino, 1912-1932.
– Archivio storico della Svizzera italiana, 1926-1942.
– Rivista storica ticinese, 1938-1946.
– Numismatica e antichità classiche, 1972-.
– Helvetia Sacra, specialmente I/6, 2000; II/1, 1984; IX/1, 1992.
– Buzzi, Giovanni (a cura di): Atlante dell'edilizia rurale in Ticino, 9 voll.,
1993-2000.
– Artisti dei laghi. Itinerari europei, 6 voll., 1994-2002.

Bibliografie
– Motta, Emilio: Bibliografia storica ticinese, 1879.
– Caldelari, Callisto: Bibliografia ticinese dell'Ottocento, 5 voll., 1995-2010.
– Caldelari, Callisto: Bibliografia del Settecento, 2 voll., 2006.

Opere a carattere generale


– Gerber, Adele Marguerite: Corografie e iconografie della regione ticinese dai
primordi al 1850, 1934 (tedesco 1920).
– Galli, Antonio: Notizie sul cantone Ticino. Studio storico-politico e statistico, 3
voll., 1937.
– Vetterli, Willy Arnold (a cura di): Frühe Freunde des Tessins. 6 Reiseberichte
aus 2 Jahrhunderten, 1944.
– Lienhard-Riva, Alfredo: Armoriale ticinese, 1945.
– Bianconi, Piero: Inventario delle cose d'arte e di antichità. Le tre valli superiori:
Leventina, Blenio, Riviera, 1948.
– Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, 1952-.
– Gilardoni, Virgilio: Inventario delle cose d'arte e di antichità. Distretto di
Bellinzona, 1955.
– I monumenti d'arte e di storia del Canton Ticino, 1-, 1972- (I monumenti d'arte
e di storia della Svizzera).
– Martinola, Giuseppe: Inventario delle cose d'arte e di antichità del distretto di
Mendrisio, 2 voll., 1975.

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– Costruzione del territorio e spazio urbano nel Cantone Ticino, 2 voll., 1979.
– Ceschi, Raffaello: Contrade cisalpine. Momenti di storia della Svizzera italiana
dai tempi remoti al 1803, 1987.
– Ticino 1798-1998, 2 voll., 1998-1999 (catalogo mostra).
– Arte in Ticino, 1803-2003, 4 voll., 2001-2004 (catalogo mostra).
– Bianconi, Sandro: Lingue di frontiera. Una storia linguistica della Svizzera
italiana dal Medioevo al 2000, 2001.

Preistoria e antichità
– Crivelli, Aldo: Atlante preistorico e storico della Svizzera italiana, 1943
(riproduzione anastatica e aggiornamento, 1990).
– Primas, Margarita: Die südschweizerischen Grabfunde der älteren Eisenzeit und
ihre Chronologie, 1970.
– Stöckli, Werner Ernst: Chronologie der jüngeren Eisenzeit im Tessin, 1975.
– Biaggio Simona, Simonetta: I vetri romani: provenienti dalle terre dell'attuale
cantone Ticino, 2 voll., 1991.
– La Svizzera dal Paleolitico all'Alto Medio Evo, 6 voll., 1993-2005.
– Tori, Luca et al.: La necropoli di Giubiasco (TI), 3 voll., 2004-2010.

Medioevo
– Pometta, Eligio: Come il Ticino venne in potere degli Svizzeri, 3 voll., 1912-1915.
– Gilardoni, Virgilio: Il Romanico, 1967.
– Wielich, Gotthard: Il Locarnese negli ultimi tre secoli del Medioevo. Dal
Barbarossa al dominio svizzero, 1973 (tedesco 1970).
– Vismara, Giulio: Ticino medievale. Storia di una terra lombarda, 1990.
– Chiesi, Giuseppe (a cura di): Il Medioevo nelle carte. Documenti di storia
ticinese e svizzera dalle origini al secolo XVI, 1991.
– Ostinelli, Paolo: Il governo delle anime. Strutture ecclesiastiche nel Bellinzonese
e nelle Valli ambrosiane (XIV-XV secolo), 1998.
– Moretti, Antonietta: Da feudo a baliaggio. La comunità delle pievi della Val
Lugano nel XV e XVI secolo, 2006.

Periodo dei baliaggi (XVI-XVIII secolo)


– Pozzi-Molo, Elsa: L'amministrazione della giustizia nei baliaggi appartenenti
ai cantoni primitivi: Bellinzona, Riviera, Blenio e Leventina, 1953.
– Martinoni, Renato: Viaggiatori del Settecento nella Svizzera italiana, 1989.
– Guzzi-Heeb, Sandro: Agricoltura e società nel Mendrisiotto del Settecento,
1990.

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– Merzario, Raul: Anastasia, ovvero la malizia degli uomini. Relazioni sociali e
controllo delle nascite in un villaggio ticinese, 1650-1750, 1992.
– Gregori, Mina (a cura di): Pittura a Como e nel Canton Ticino. Dal Mille al
Settecento, 1994.
– Guzzi-Heeb, Sandro: Logiche della rivolta rurale. Insurrezioni contro la
Repubblica Elvetica nel Ticino meridionale, 1994.
– Damiani Cabrini, Laura: Seicento ritrovato. Presenze pittoriche «italiane» nella
Lombardia svizzera fra Cinquecento e Seicento, 1996 (catalogo mostra).
– Bianchi, Stefania: Le terre dei Turconi. Il costituirsi del patrimonio fondiario di
una famiglia lombarda nel Mendrisiotto, 1999.
– Previtera, Maria Angela; Rebora, Sergio: Dall'Accademia all'Atelier. Pittori tra
Brera e il Canton Ticino nell'Ottocento, 2000 (catalogo mostra).
– Merzario, Raul: Adamocrazia. Famiglie di emigranti in una regione alpina
(Svizzera italiana, XVIII secolo), 2000.
– Agosti, Giovanni; Stoppa, Jacopo; Tanzi, Marco (a cura di): Il Rinascimento
nelle terre ticinesi. Da Bramantino a Bernardino Luini, 2010 (catalogo mostra).
– Keller, Peter: Barocco. Alla scoperta di alcuni piccoli capolavori in territorio
ticinese, 2010.
– Schnyder, Marco: Famiglie e potere. Il ceto dirigente di Lugano e Mendrisio tra
Sei e Settecento, 2011.

XIX e XX secolo
– Pedrazzini, Augusto O.: L'emigrazione ticinese nell'America del Sud, 2 voll.,
1962.
– Pedroli, Guido: ll socialismo nella Svizzera italiana: 1880-1922, 1963 (20043).
– Gilardoni, Silvano: «Italianità ed elvetismo nel Canton Ticino negli anni
precedenti la prima guerra mondiale (1909-1914)», in: Archivio storico ticinese,
45-46, 1971, pp. 3-84.
– Cheda, Giorgio: L'emigrazione ticinese in Australia, 2 voll., 1976.
– Martinola, Giuseppe: Gli esuli italiani nel Ticino, 2 voll., 1980-1994.
– Cheda, Giorgio: L'emigrazione ticinese in California, 2 voll., 1981
– Cerutti, Mauro: Fra Roma e Berna. La Svizzera italiana nel ventennio fascista,
1986.
– Ceschi, Raffaello: Ottocento ticinese, 1986.
– Panzera, Fabrizio: La lotta politica nel Ticino. Il «Nuovo indirizzo» liberale-
conservatore (1875-1890), 1986.
– Badan, Marco; Ratti, Remigio (a cura di): Identità in cammino, 1986.

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– Codiroli, Pierre: L'ombra del duce. Lineamenti di politica culturale del fascismo
nel cantone Ticino (1922-1943), 1988.
– Ghiringhelli, Andrea: Il Ticino della transizione, 1889-1922, 1988.
– Bianchi, Roberto: Il Ticino politico contemporaneo, 1921-1975, 1989 (19902).
– Panzera, Fabrizio: Società religiosa e società civile nel Ticino del primo
Ottocento. Le origini del movimento cattolico nel cantone Ticino (1798-1855),
1989.
– Bianconi, Sandro; Ceschi, Raffaello; Ratti, Remigio (a cura di): Il Ticino regione
aperta. Problemi e significati sotto il profilo dell’identità regionale e nazionale:
sintesi dei risultati, 1990.
– Della Casa, Marco: La monetazione cantonale ticinese: 1813-1848, 1991.
– Broggini, Renata: Terra d'asilo. I rifugiati italiani in Svizzera 1943-1945, 1993.
– Ghiringhelli, Andrea: Il cittadino e il voto. Materiali sull'evoluzione dei sistemi
elettorali nel Cantone Ticino, 1803-1990, 1995.
– Ceschi, Raffaello: Nel labirinto delle valli. Uomini e terre di una regione alpina:
la Svizzera italiana, 1999.
– Guzzi-Heeb, Sandro: «Per una storia economica del Canton Ticino», in: Bergier,
Jean-François: Storia economica della Svizzera, 1999, pp. 311-360.
– Lorenzetti, Luigi: Economie et migrations au XIXe siècle. Les stratégies de la
reproduction familiale au Tessin, 1999.
– Fosanelli, Ivano: Verso l'Argentina. Emigrazione, insediamento, identità tra
Otto e Novecento, 2000 (20012).
– Foletti, Giulio: Arte nell'Ottocento. La pittura e la scultura del cantone Ticino
(1870-1920), 2001.
– Romano, Roberto: Il Canton Ticino tra '800 e '900. La mancata
industrializzazione di una regione di frontiera, 2002.
– Mena, Fabrizio: Stamperie ai margini d'Italia. Editori e librai nella Svizzera
italiana, 1746-1848, 2003.
– Macaluso, Pompeo: Liberali antifascisti. Storia del Partito Liberale Radicale
Democratico Ticinese (1926-1946), 2004.
– Saltini, Luca: Il Canton Ticino negli anni del Governo di Paese (1922-1935),
2004.
– Marti, Laurence: Etrangers dans leur propre pays. L'immigration tessinoise
dans le Jura bernois entre 1870 et 1970, 2005.
– Rossi, Angelo: Dal paradiso al purgatorio. Lo sviluppo secolare dell'economia
ticinese, 2005.

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– Viscontini, Fabrizio: Alla ricerca dello sviluppo. La politica economica nel
Ticino (1873-1953), 2005.
– Martinoli, Simona: L'architettura nel Ticino del primo Novecento. Tradizione e
modernità, 2008.
– Mäusli, Theo (a cura di): Voce e specchio. Storia della radiotelevisione svizzera
di lingua italiana, 2009.

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