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La civiltà musicale greca (antichità):

-mito dell’Aulos: progenitrice strumenti a fiato. -mito della lyra: progenitrice degli strumenti a corda. Questo
dualismo rimandava alla religiosità greca: la religione olimpica e il culto dionisiaco. Oltre a questi due
strumenti, i greci utilizzavano le harmoniai (scale musicali o modi), basate su tetracordi, che causavano un
ethos (effetto sull’animo e sul corpo) in base all’utilizzo della sua posizione sul tetracordo. A tal proposito
nel V secondo si aprì un dibattito perché si credeva che lo si usasse per fini politici. Platone affermò, infatti
che quando si introducono cambiamenti in politica se ne introduco altri in musica, nella sua polis ideale la
musica serviva per accrescere un’educazione morale e non per piacere (per questo non permetteva la poesia).
Egli ammetteva solo le harmoniai dorica e frigia perchè riteneva fossero meno violente. Aristotele invece
sosteneva che anche un ethos negativo potesse essere utile ad eliminare negatività nel corpo. Tuttavia era
d’accordo con Platone nel vietare ai giovani ogni professionismo musicale: la musica doveva sempre
rimanere un’occupazione per il tempo libero e mai un’alternativa al lavoro. Questa visione negativa della
musica pratica esiste già da Pitagora perché prediligeva la musica teorica dal momento che rimandava al
principio razionale per eccellenza: il numero.

Monodia liturgica cristiana(medioevo):

Le musiche greche e romane iniziarono a scomparire ma si sviluppò il canto gregoriano (meglio definito
monodia liturgica cristiana). Non sappiamo molto di essa perché la liturgia ebraica era difficile da capire dato
che era cantillata e aveva intervalli brevissimi. Nel 313 d.C. avvenne una grande svolta con l’editto di
Milano che ridiede alla chiesa cristiana tutto quello che aveva perso durante le persecuzioni di Diocleziano.
Nel IV secolo furono poi poste le basi per la nuova chiesa, in cui si adottò anche il culto pagano perché dava
solennità alla musica. Oltre alla funzione di amplificazione rituale, la musica svolgeva anche la funzione di
amplificazione fonica( in una sala o in una basilica piena di fedeli la musica poteva essere amplificata meglio
in modo da essere più udibile per chi la ascoltava e meno faticosa per chi la eseguiva) e melodica (grazie agli
accenti del latino che davano un’elevazione melodica alla voce). In un verso più breve lo stile era sillabico,
in uno più complesso melismatico o fiorito. Nel VI secolo l’Europa si divise in: -chiesa occidentale (lingua
latina con vari riti, tra cui quello vetero- romano, ambrosiano, aquileiese, ispanico), -Chiesa orientale (più
lingue e più riti). Esso si conclude sotto il papato di Gregorio magno da cui il canto gregoriano prese nome.

Le grandi innovazioni del IX secolo(medioevo):

Nel IX secolo ci furono numerose innovazioni con Carlo magno. Tutto ebbe iniziò quando i franchi si
allearono con il papato ed iniziarono gli scambi tra Roma ed Aquisgrana e ci si rese conto della differenza fra
il canto liturgico dei franchi e quello dei romani. Così Pipino e i suoi discendenti cercarono di trapiantare il
rito romano ai franchi. Ma tutto questo creò delle problematiche. Il risultato fu un prodotto ibrido dato da una
reciproca contaminazione. I franchi ebbero molta difficoltà ad assimilare il rito romano soprattutto per i
microtoni e nonostante l’eccellenza dei maestri e dei compositori il risultato fu un vero e proprio fallimento.
Ciò venne definito “canto franco-romano” ma per far si che tutti lo utilizzassero venne chiamato “canto
gregoriano” e nacque una storia intorno a questo nome che funzionò perfettamente da strategia pubblicitaria:
si diceva che Gregorio magno mentre dettava i canti liturgici ad un monaco alternava le frasi con lunghe
pause, così il monaco incuriosito guardò e scoprì che il testo lo dettava una colomba poggiata sulla spalla del
santo padre, la colomba rappresentava lo spirito santo, quindi tutto ciò che essa diceva era sacro ed
intoccabile, e dovevano essere tramandati con fedeltà. Per facilitarne la memorizzazione il repertorio si
divise in base ai modi: nella fase più antica i sistemi erano semplici costituiti da una nota fondamentale detta
corda madre (Do-Re-Mi) a cui si aggiungeva una nota finale (coda). E’ da qui che l’uomo iniziò a usare la
notazione neumatica
La notazione neumatica e Guido D’Arezzo

I neumi servivano a dare gli accenni di inizio ai celebranti che non erano cantori specializzati, con il passare
del tempo anche i cantori iniziarono ad utilizzarla per i loro canti liturgici. In questo tipo di scrittura
l'importante era come eseguire la nota, non quale nota andasse eseguita. Il problema principale consisteva
anche nel perdere alcune sfaccettature nell’esecuzione senza trascriverle (come la dinamica o note più lente o
veloci…)a tal proposito ci si aiutò con la scrittura “adiastematica”(non indicava le altezze sonore e non
dipendeva dal rigo musicale), era molto raffinata e rispondeva alle esigenze di quel tempo, ma poi si andò a
contrapporre con quella “diastematica” una scrittura più precisa che forniva orientativamente anche l’altezza
dei suoni. Inoltre il monaco italiano Guido D’Arezzo escogitò un modo per imparare a leggere il nuovo canto
tramite il rigo musicale in cui si potevano mettere note sia tra gli spazi che sulle linee, il problema era capire
quali note andassero tra gli spazi e quali tra le linee, così si utilizzarono due metodi: 1)si segnava all’inizio
una lettera chiave (Fa-F/Do-C/Sol-G) ora note come chiavi musicali; 2)colorare con l’inchiostro alcune linee
a secco. Nacque così il tetragramma(4 righe) utilizzato ancora oggi per il canto gregoriano.

Monodia medievale non liturgica(medioevo):

La notazione musicale nacque per rispondere a delle esigenze religiose, la musica però non serviva solo in
campo religioso ma anche in quello sociale e politico. Nel teatro ad esempio ogni apparizione di un
personaggio regale o di alta nobiltà era accompagnato da squilli di tromba che rappresentavano il potere, la
musica inoltre distingueva anche categorie sociali meno prestigiose come i canti di lavoro. Affianco a ciò
troviamo la poesia che veniva cantata e non recitata. Il più antico repertorio di poesie ci giunge dai trovatori
da non confondere con i giullari (musicisti cantastorie o buffoni spesso indigeni che fungevano anche da
ricordo storico perché narravano le storie degli eroi), o con i menestrelli (buffoni e cantastorie ma anche
uomini fidati di un signore). I trovatori provenivano dalla Francia meridionale parlavano la lingua d’oc e
tramandavano le loro storie oralmente e poi in modo scritto. Il trovatore più noto è Guglielmo d’Aquitania
che possedeva un territorio più ampio di quello del re, altri però appartenevano semplicemente alla piccola
nobiltà feudale. Troviamo anche i trovieri simili ai trovatori solo che parlavano la lingua d’oil e provenivano
dalla Francia del nord e le loro liriche erano incentrate sull’amor cortese, gli esponenti maggiori furono
Chretien de Troyes e Riccardo I cuor di leone. A queste liriche in volgare si affiancarono i drammi in latino
di argomento profano trattanti riti religiosi di contenuto spirituale.
Ars antiqua(duecento):

I chierici medievali volevano arricchire i canti liturgici con la polifonia utilizzando melodie inventate su
melodie gregoriane già esistenti. L’ars antiqua permise alla polifonia di ampliare il numero di voci arrivando
fino a 36 contemporaneamente. Nel XII secolo era indispensabile anche stabilire la durata delle note e fu
possibile grazie alla scuola di notre damme (chiamata così perché vicina alla cattedrale) e il primo nome
importante era quello del Magister Leoninos che conosciamo grazie al trattato Anonimo IV che testimonia
che egli compose un grande libro di organa e che in questo periodo la scrittura musicale non serviva solo per
la conservazione ma anche per la composizione stessa. Gli organa attribuiti a questo periodo erano a due
voci: tenor (voce inferiore che riproduceva il canto gregoriano), e duplum (voce superiore che cantava una
melodia inventata più velocemente).Quando il canto gregoriano era in stile sillabico il tenor manteneva la
nota mentre se erano presenti melismi era più veloce, queste erano le clausole che davano abilità tecnica al
compositore che gestiva più voci .In questo periodo spiccò la notazione modale costituita da modi ritmici
ognuno formato da unità lunghe e brevi realizzati da una suddivisione ternaria. Graficamente però la
differenza tra le note brevi e lunghe non c’era perché si utilizzavano i neumi quadrati che suggerivano solo il
modo ritmico da utilizzare. Si iniziò a utilizzare il mottetto che era l’aggiunta di un testo su un canto liturgico
ed era politestuale: il tenor veniva eseguito da strumenti; mentre le altre voci cantavano un testo o in latino o
in francese di argomenti simili contemporaneamente: il tenor aveva note lunghe, il duplum note veloci e il
triplum note più serrate. Inoltre si sviluppò un nuovo genere musicale ovvero il “conductus” ovvero canti in
latino, di argomento profano, in stile sillabico, in cui il tenor non era liturgico ma libero per invenzione.

Ars nova francese(trecento):

Nel periodo successivo il processo di scrittura subì un’evoluzione: si faceva musica non più solo cantando
ma anche scrivendo. Si crearono forme musicali sempre più ricche ed elaborate e ogni segno si riferiva ad un
suono specifico, così nacque la musica misurabile: nota lunga(longa) nota breve (brevis) nota più lunga
(duplix longa) è ancora più breve (semibrevis) ed erano regolate dalla ternarietà (il valore maggiore era
uguale alla somma di 3 valori inferiori) in alcuni casi però una longa poteva essere 3 brevis sola o 2 brevis
con un’altra nota. Intanto in Francia si sviluppò “l’ars nova” che introdusse la suddivisione binaria
contrapponendosi a quella ternaria considerata perfetta ed immutabile e si aggiunse anche la minima. A tal
proposito si crearono delle polemiche dovute al fatto che la musica ormai indipendente dalla parola avrebbe
solo complicato la lettura dei canti gregoriani e che fosse un’innovazione inutile perché cambiava solo
l’aspetto estetico non la sostanza. Comunque sia la musica continuerà a seguire i passi dell’ars nova.

Ars nova italiana(trecento):

In Italia invece la musica sembrava orientata verso la pratica non scritta a questo periodo appartengono le
laude, dei canti devozionali eseguiti in occasioni di processioni, l’esempio più noto è quello del cantico delle
creature di san Francesco d’assisi. Nel 300 alla tradizione orale si affiancano i manoscritti delle musiche
polifoniche profane in volgare e i primi esempi ci giungono a Padova e a bologna grazie agli scambi
internazionali che giungevano nelle università tra maestri o compositori: a Padova spiccò la figura di
Marchetto da Padova che compose un mottetto per l’inaugurazione della cappella degli Scrovegni di Padova.
A Bologna troviamo Jacopo da Bologna che fece delle composizioni per i signori che lo ospitavano a Milano
o a Verona e si concentrò nella composizione di madrigali, composizioni a due voci di impianto strofico
caratterizzate da due o più strofe di endecasillabi. Inoltre quando il soggetto dei madrigali andava a caccia
ciò veniva riprodotto con la musica tramite onomatopee e la prima voce cantava la melodia la seconda la
ripercorreva poco dopo. A Firenze invece il genere più utilizzato era quello delle ballate.

La gestione della forma musicale nel 400(cinquecento):

Nessuno degli autori che parteciparono alla polemica tra ars antiqua e ars nova notarono che essa esisteva già
nella scuola di Notte Dame quando il compositore iniziava a stabilire autonomamente la musica. Un
esponente del periodo è Francone di Colonia che voleva dare alla polifonia una dignità e non un rivestimento
del testo liturgico o poetico. E credeva che la musica pratica potesse accostarsi con le altre materie
scientifiche come la musica teorica o aritmetica o geometria o astrologia. Con lui la musica divenne
rappresentata graficamente con precise figure e successivamente la musica divenne autonoma e si staccò dal
testo per basarsi su principi matematici. E si svilupparono 5 punti fondamentali per il rapporto di
proporzione:

1)isoritmia (divisione della durata della composizione in stesse porzioni di tempo con le stesse caratteristiche
ritmiche);
2)simbologia numerica (i numeri avevano un ruolo fondamentale il 3 (dio) il 4( l’uomo) 3+4=7);
3)strutture polindromiche;
4)sezioni proporzionali (per far sì che la seconda ripetizione durasse una frazione di tempo rispetto alla
prima)
5)sezione aurea (legge matematica che regolava la durata delle ripetizioni: prendiamo un segmento A e
divisiamolo in segmento B e C e così via.) si sviluppò sotto questo punto di vista anche la serie di Filbonacci:
una serie di numeri che sono la sezione aurea del precedente e la somma dei due precedenti.

Compositori fiamminghi(cinquecento):

Nel XIV secolo c’era la divisione di ars nova francese che si era staccata dalla parola e di ars nova italiana
che invecene era ancora dipendente, insieme costituirono l’ars subtilior. Due dei massimi esponenti furono
Filippotto da Caserta compositore campano e Johannes Ciconia da Liegi che occupò corti prestigiose in Italia
che ospitavano i musicisti proveniente dalle Friande. I fiamminghi erano divisi in 6 generazioni: a cui
apparetenevano musicisti come Dufay, Ockeghem, Sweelink. Oltre alle chanson profane produssero anche
musiche sacre e si sviluppò il mottetto che divenne il testo sacro per eccellenza, destinato a cerimonie
pubbliche religiose e civili, scomparì la politestualità e la lingua utilizzata divenne solo il latino. Una
caratteristica tipica dell’epoca fiamminga erano gli artifici contrappuntistici una frase musicale pur
rimanendo la stessa poteva essere scritta dall’ultima nota verso la prima per combinare insieme i vari
elementi e far imitare le voci luna con l’altra. Per queste imitazioni usavano il canone che poteva essere
enigmatico: il compositore si serviva di una voce e di un indovinello che le altre voci dovevano risolvere per
capire la melodia da eseguire; mensurabile: voci partivano insieme per poi separarsi pur seguendo le stesse
note.

La musica nelle corti umanistiche(cinquecento):

A questo punto ci si imbatte nel mecenatismo. La musica era considerata uno status symbol: una stanza
formata da musicisti famosi in tutta Europa, tutto questo veniva definito mecenatismo istituzionale in cui si
trovano trombettieri, un gruppo di strumenti a fiato detti “cappella alta” per il suono acuto e squillante e
infine c’erano i cantori. Tutti questi erano uomini di Chiesa o di Cultura. Al mecenatismo istituzionale si
affianca anche il mecenatismo umanistico, che proveniva dalla Francia, e nacque dal concetto che la nobiltà
fosse associata alle maggiori virtù morali e intellettuali con una connessione tra alto rango sociale e alta
competenza musicale. Sia il mecenatismo istituzionale che quello umanistico rispecchiano la duplice faccia
della musica dell’epoca, da una parte la polifonia fiamminga, dall’altra il canto a voce accompagnata da
strumenti quest’ultima era prediletta perchè si riteneva esaltasse la parola poetica.

Il madrigale nel 500(cinquecento):

L’attenzione si inizia a spostare sulla sonorità delle parole e sul significato: una parola non può essere
sostituita dal sinonimo perché cambierebbe il suono e il senso della frase, per sfruttare le proprietà sonore
delle parole il poeta si servirà con più libertà di queste senza schemi rime o strofe,(nessuna strofa e nessun
ritornello è nessun’altra forma prefissata) questa forma informale detta madrigale. A Firenze intanto si
sperimentava una nuova forma di polifonia simile a quella delle chanson francesi quindi molto semplice è
costituito da parti eseguite da voci umane omogenee tra loro. Questa nuova forma arrivò anche a Roma in cui
avvenne un mutamento a causa del “sacco di Roma” e alle pandemie che seguirono, e molti intellettuali e
musicisti si trasferirono a Venezia che diventò la città dominante del 500, grazie all’eredità musicale. A
Venezia il madrigale subì un cambiamento e si sviluppò il “madrigale cromatico” (grazie alle crome che si
utilizzavano, che andranno a colorare e armonizzare tutto il contesto. Inoltre il madrigale divenne la relativa
profana del mottetto. I madrigali erano composti da 4/5 cantori non professionisti che cantavano con la
propria partitura musicale e tutte le voci erano compite a modo di conversazione cortese, musica e testo si
unirono come mai fino ad ora. Tipici di questa musica erano certamente i madrigalismi ovvero termini che
indicavano ad esempio l’altezza dei suoni : “ascendere” se si voleva cantare una nota acuta, “discendere” se
si voleva cantare una nota grave o ancora “solo” per indicare che si doveva cantare una voce sola ecc.
Troviamo anche i madrigali dialogici o drammatici, in stile semplice di contenuto scherzoso con testi
collegati fra loro da una stessa trama.

Monteverdi e la “seconda prattica”(cinquecento):

Nel passaggio tra cinque e seicento l’epoca rinascimentale terminò per dare spazio al mondo barocco,
portando innovazioni e cambiamenti in musica come nel caso del madrigale che perde la sua polifonia. In
questo periodo troviamo la figura del musicista Claudio Monteverdi, che compose alcuni madrigali che
vennero giudicati dal musicale bolognese, Giovanni Artusi che gli condannò l’uso delle dissonanze a quel
punto Monteverdi compose un trattato, che però non giunse mai alla stesura definitiva, in cui diceva che
Artusi sbagliava a giudicare i madrigali solo dal punto di vista musicale perché egli riteneva fronteggiassero
la prima e la seconda prattica: la prima considerava l’armonia signora del testo, la seconda invece era l’esatto
contrario, infatti se con l’ars nova la musica si staccò dal testo, in questo periodo si sentì di nuovo il bisogno
di legarsi con la parola non per il significato del testo in se, ma per rendere la musica più profonda. Iniziò
dunque a guardare il testo da un punto di vista globale per comprendere gli effetti che essa provocasse. Il
madrigale più celebre che compose fu il combattimento di Tancredi et Clorinda, in cui voleva dimostrare che
poteva toccare tutte le corde dell’animo umano e non solo la temperanza o l’umiltà, ma anche l’ira tramite
uno stile concitato.

L’opera italiana del 600(seicento):

L’opera nasce a Firenze e si sviluppa in particolare a Roma, in cui nel 1631 fu rappresentato il “San’Alessio”
di Landi, opera che presenta una varietà di sentimenti, dal patetico al comico. Ma il momento culminante
dell’opera romana arrivò l'anno successivo con la seconda rappresentazione del Sant’Alessio in cui furono
inaugurate le opere barberiniane, sotto il papato di Urbano VIII. I nipoti del papa allestirono un teatro
semipermanente capace di ospitare circa 3500 posti, avvalendosi di scenografie e macchine progettate dallo
stesso Barberini. Con la morte di Papa Umberto VIII l’opera si spostò a Venezia in cui subì un declino. Se
fin ora era stata considerata uno spettacolo di corte, nel 1637 fu definita “opera impresariale”: chi voleva
accedervi pagava un biglietto. Con essa si affermò una nuova figura: l’impresario. Egli affittava il teatro e
pagava tutte e spese investendo il suo capitale, l’unica fonte di guadagno era l’acquisto dei biglietti che però
spesso giungeva quando tutte le altre spese erano già state sostenute quindi l’impresario affittava i palchetti
alle famiglie aristocratiche che pagavano una notevole quantità di denaro e disponevano di un proprio spazio
all’interno del teatro. La prima opera impresariale “Andromeda” viene realizzata nel carnevale del 1637 da
Manelli, su libretto di Ferrari.

L’opera francese nel 600(seicento):

Nell’epoca barocca si scoprì che la musica avesse grandi effetti sull’animo dell’uomo e che fosse in grado di
persuaderlo. Jean Antoine de Baif sosteneva che per farlo doveva esserci una completa fusione tra la musica
e la poesia dando molta importanza al ritmo. L’evento di maggiore importanza avvenne durante le nozze di
Margherita di Lorena e del duca di Joyeuse, che durarono un’intera settimana in cui si eseguì il più celebre
tra i ballets de cour il “Balletto drammatico della regina” lungo ben 6 ore. Questi balletti restarono anche
nella corte di Francia sotto la dinastia dei Borboni ma nel 630 abbandonarono i contenuti allegorici per
celebrare i successi militari della monarchia francese. Oltre alla valenza politica peró abbiamo anche
iniziative musicali prese dal cardinale italiano Mazarino che voleva allestire la corte con opere italiane. Ma
nonostante essere possedessero scenografie spettacolari non ebbero grande successo in primis perchè l’opera
italiana era lontana dal gusto francese e poi perchè l’opposizione a Mazarino ostacolava ogni tratto italiano
della corte. La Francia rimase infatti l’unico paese Europeo in cui l’opera italiana non attecchì, e da cui molti
musicisti italiani furono espulsi. Si ricercava dunque un nuovo tipo di spettacolo che rispettasse i gusti
francesi. Colui che ci riuscì fu Jean Baptiste Lully, egli compose musiche per i più importanti ballets de cour
e dirigeva 16 strumenti ad arco, con stile differente da quello italiano, che lasciava libera improvvisazione
rispetto al francese che era più fedele al testo musicale. Nel 660 si introdussero le comedies-ballets in cui
danza, musica e poesia non erano ben integrate fra di loro, ma fu possibile grazie alle tragedie lyrique che
alternavano momenti recitati a momenti ballati, e servivano a gratificare il Re Luigi XIV, e infatti ognuno di
essi era sottoposto alla sua approvazione.

Dallo stile galante allo stile classico (seicento):

Intorno alla metà del settecento si avvertì l’esigenza di uno stile di “canto naturale” che esprimesse il
sentimento umano, nacque lo stile galante, caratterizzato da una produzione musicale raffinata ed elementare
scritta spesso per un solo strumento a tastiera in cui l’interprete aveva il compito di renderla espressiva in
modo da commuovere l’animo di chi la ascoltasse. Tra i principali esponenti dello stile galante troviamo
Baldassarre Galuppi. A pari passo dello stile galante vi è lo stile sensibile caratterizzato dalla sensibilità e
dalla commozione. A seguire vi è lo stile classico, considerato lo stile per eccellenza. Veniva generalmente
riferito a tre persone: Haydn, Mozart e Beethoven, ma è per opera di Haydn che la forma-sonata lasciò
l’impronta ad un’epoca caratterizzata da uno stile che può davvero essere definito classico.

L’opera seria tra sei e settecento (seicento):

Nel centro Italia del 700 non esisteva una città senza una stagione operistica. l’Italia meridionale invece ne
era quasi priva. L’opera era considerata l’evento più importante di divertimento per le classi dominanti. I
teatri infatti erano molto rumorosi rispetto ai nostri giorni. Anche l’atteggiamento con cui ci si accostava
all’opera era molto diverso. Lo spettatore non voleva vedere sulla scena uomini in carne ed ossa, egli voleva
entrare nell’arte e nella fantasia. La concentrazione non era dedicata all’intreccio che si svolgeva, ma all’arte
con cui veniva rappresentato in maniera sempre nuova, infatti l’esecuzione della stessa opera doveva variare
ogni sera. Particolare era anche la scelta dei timbri vocali; si usava molto poco il registro grave, la voce del
protagonista maschile doveva spiccare su tutte le altre e mai essere sovrastata, infatti la parte maschile veniva
affidata ad un musico dalla voce molto acuta, mentre la parte della prima donna poteva essere un soprano o
un contralto. Dagli inizi del settecento si iniziò a sentire l’esigenza di una maggiore coerenza drammaturgia.
Ci si orientò dunque su trame di soggetto storico, politico e soprattutto sul contrasto tra ragion di stato e
sentimento amoroso. Si parlava generalmente di una coppia di amanti il cui amore era impedito dalle
circostanze, solo al termine arrivava il lieto fine. Intorno alla metà del settecento si cercò di esprimere una
drammaturgia ancora più breve con un numero minore di arie e tutte più irradiate nella vicenda. Aumentò
anche il recitativo accompagnato dall’orchestra. In questo periodo spicca la figura di Gluck, compositore
tedesco il cui scopo era quello di purificare l’opera italiana dagli abusi con cui cantanti e compositori
l’avevano immiserita. Limitò il virtuosismo vocale e il “da capo” nelle arie, evitando così anche la
discontinuità. Tuttavia nonostante il suo valore artistico dopo di lui l’opera continuò nella sua tradizione.

Intermezzi e opera buffa (settecento):


Fino alla fine del settecento non si avvertì la differenza tra genere serio e comico. Le opere veneziane
seicentesche presentavano alcune scene buffe. La trama più comune era composta da due personaggi: una
vecchia nutrice che si innamorava di un giovane paggio. Man mano la trama seria e quella comica si
separarono e nei primi anni del settecento tronarono definitivamente gli ultimi legami. Nacque così un nuovo
genere musicale: gli intermezzi. I primi intermezzi a noi noti provengono da Venezia e risalgono all’anno
1707. Fino al 1730 la loro trama si suddivideva in tre singoli intermezzi. Dagli anni 30 fu ridotta a due. Elko
spettatore dunque assisteva a due spettacoli contemporaneamente, uno serio e l’altro comico. Gli intermezzi
si svolgevano generalmente su proscenio e non necessitavano di scenografie elaborate; un tavolo e due sedie
bastavano e non necessitavano dell’accompagnamento dell’intera orchestra se non di qualche strumento ad
arco e il basso continuo.. i cantanti inaugurarono uno stile completamente nuovo, ricco di abbellimenti e di
frasi acute in falsetto per le imitazioni. A Napoli intanto prendeva piede un tipo di spettacolo comico definito
la commedia per musica. La prima fu “Patrò calienno de la costa”. Si trattava di un vero e proprio spettacolo
comico la cui caratteristica più importante era l’uso del dialetto napoletano, successivamente inizio ad avere
alcune parti in italiano. A differenza degli intermezzi la commedia per musica aveva punti comuni con il
dramma per musica: era in tre atti, alternava recitativi con arie col da capo, aveva al suo interno personaggi
seri e personaggi buffi e infine negli intervalli degli atti ospitava propri intermezzi. La prima vera e propria
opera buffa risale al 1743 “la contessina”.

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