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Nel fluire dell’evo barocco, si ci è focalizzati sulle esigenze stilistiche ultime che, ivi avvertirono e cui

conseguì, agli albori seicenteschi la proliferazione di un nuovo genere musicale, sorto a Roma, cui
denominazione è: oratorio. Imprescindibile al fine d’esplicare sua origine e destinazione, primariamente
ponderare in relazione all’ambito storiografico, il quale vide protagonista la Chiesa cattolica, divenuta
cardine politico ed economico, maggiormente attenta ad imporre autorità che a guidare nel cammino
spirituale, bensì l’opera riformatrice di Lutero ed il conseguente sottrarsi dell’Europa all’autorità papale
costrinsero ad un mutamento, il quale se il Concilio di Trento non ottemperò che una revisione dottrinale e
generici inviti, taluni cittadini avvertirono l’esigenza di un contributo al fine d’enfatizzare la poetica
evangelica e ciò si attuò con l’istituzione di nuovi ordini religiosi o con riformazioni dei precedenti. Tra le
personalità operanti nella città di Roma, l’immenso sacerdote Filippo Neri, intelligente, tollerante con il
prossimo ed austero con sé stesso, cui peculiarità fu l’impiego che esso fece della musica in favore del suo
apostolato. Egli avvertì l’esigenza di un riavvicinamento del popolo alla pratica religiosa e gradualmente
fondò degli incontri con piccoli gruppi di laici al fine di discutere delle problematiche spirituali – albori di
siffatti 1550 -. Si cogiti che, ai chiarori essi si riunivano nella soffitta inerente alla Chiesa di S. Girolamo della
Carità, susseguentemente, nelle vicinanze di S. Giovanni dei Fiorentini, così denominato Oratorio della
Pietà; altresì in spazi aperti sul colle del Gianicolo. Nell’evo conseguente – 1575 – il papa Gregorio XIII donò
a Filippo la vetusta chiesa di S. Maria in Vallicella, in quanto i gruppi frequentati tali incontri divennero
maggiormente proliferi, esplicazione per la quale non fu arduo reperire fondi atti alla costruzione d’un
edificio ultimo, la Chiesa Nuova, bensì si ponderi che le riunioni continuarono a svolgersi in sale adiacenti ad
essa in quanto fu, nel 1640, che s’inaugurò un edificio destinato all’esclusività di cotale oggetto, il così
denominato oratorio di S. Maria in Vallicella, evo in cui il sacerdote era eclissato da circa cinquant’anni.
Quest’ultimo fu denominato oratorio in quanto tale era la terminologia atta al definire le adunanze ed i
luoghi ad esse legate. Esplicato tale preludio, protraiamo il nostro ambito discorsivo al settore
maggiormente musicale e v’è da ponderare ch’esso ebbe un ruolo primario nel siffatto. Consuetudine era
eseguire dei canti religiosi, le così denominate laudi in volgare dalla veste polifonica semplice,
generalmente a tre voci; nella seconda metà del Cinquecento furono stampati ben nove libri di laudi
composte appositamente in favore dell’oratorio di Filippo Neri. Di esse, tre furono gli autori cardini:
Giovanni Animuccia, Francesco Soto de Langa e Giovenale Ancina. Si cogiti in relazione al fatto che, siffatte
laudi possedevano uno stile caratterizzato da forma strofica ed andamento omoritmico con netta
prevalenza della voce superiore, simile alla villanella cinquecentesca. Altresì ve ne erano talune in forma
dialogante, denominate dialogiche o drammatiche, tuttavia andarono eclissando ad esplicazione di una non
avvertenza di bisogno di teatralità. Quantunque, col protrarsi dell’evo storiografico, il contesto sociale
dell’oratorio mutò radicalmente, se agli albori vi era una gerarchia informale, nel 1570 le adunanze
iniziarono ad essere frequentate da cardinali e vescovi aristocratici cui qualifica retrocedeva i laici ad un
ruolo secondario e conseguenzialmente eclissò, altresì, la pratica del canto comunitario delle laudi, inadatte
al soddisfacimento di un pubblico di alto lignaggio. Lapalissiano come la produzione musicale oratoriale
andò alla ricerca di nuovi cammini in cui imbattersi e tappa primordiale fu l’accostarsi al madrigale, evo
seicentesco – si ponderi al Teatro armonico spirituale di Giovanni Francesco Anerio, 1619 – raccolta di
madrigali spirituali con basso continuo per organo. Con siffatti si assiste, altresì, ad un ulteriore esigenza: il
riaffiorare dell’elemento dialogico e l’intrinseca esigenza di assistere a scene drammatiche.

Nel fluire dell’evo storiografico relativo agli anni ’30 – ’40 del Seicento s’assistette ad una congiunzione
delle quattro caratteristiche principali dell’epoca barocca in ambito musicale sacro: monodia con basso
continuo, stile concertante, tendenza alla rappresentatività e volontà di muovere gli affetti – genere
denominato per antonomasia oratorio.

Si ponderi che con l’insediamento delle classi sociali dominanti, i compositori non poterono che attingere
dallo stile maggiormente in voga, lo stile monodico operistico, con gerarchia di alternanza tra ariosi ed arie.
Si eseguivano dunque piccole opere in miniatura bensì con l’assenza di scenografie ed argomenti
rigorosamente sacri. Esse impiegavano taluni cantanti solisti, piccolo coro ed in qualità di strumentisti,
generalmente due violini e basso continuo o esclusivo. Uno dei solisti veniva definito Historicus e svolgeva
la voce narrante, ciascuno degli altri impersonava un protagonista della vicenda dialogando in discorso
diretto; al coro s’affidavano ruoli collettivi.

Per quanto concerne la denominazione del genere, la terminologia è correlata al fatto che divenne per
antonomasia la musica delle riunioni oratoriali. Tra i cardinali compositori della fase oratoriale primaria:
Virgilio Mazzocchi, Domenico Mazzocchi, Marco Marazzoli e Luigi Rossi, altresì il celeberrimo Giacomo
Carissimi.

In relazione alla sua personalità v’è da citare il fatto che egli ricoprì per la quasi totalità del suo ambito
biografico il titolo di insegnante di musica presso il Collegio Germanico di Roma e di maestro di cappella in
S. Apollinare, altresì repellendo incarichi prestigiosi quali quelli in S. Marco a Venezia. Si ponderi in
relazione al fatto che, le musiche eseguite in S. Apollinare sotto ivi direzione possedevano la peculiarità
d’essere ad uno status artistico alto tanto da far divenire le celebrazioni un’inclinazione finanche per
visitatori del loco; altresì Carissimi coinvolgeva musicisti professionisti e non esclusivamente del collegio.
Luogo ove la regina Cristina di Svezia, poté assistere a due suoi oratori: Il sacrificio di Isacco e Giuditta cui ne
conseguì la denominazione di maestro di cappella del concerto da camera della regina ed ulteriori
committenze di cantate da camera, tali da ritenerlo – nel Settecento – suo inventore. Attualmente,
Carissimi è illustre per il suo repertorio oratoriale destinato a molteplici circostanze, quali gli oratori dei
Padri filippini, le funzioni del Collegio Germanico e stessi palazzi nobiliari.

V’è da cogitare, altresì, che parallelamente alla produzione di oratori in volgare, (esempio: l’Oratorio della
Santissima Vergine), Carissimi produsse oratori in latino (esempio: Jephte). Siffatti vennero composti, in
gran parte, su committenza della confraternita denominata Compagnia del SS. Crocifisso, indipendente
dagli oratori filippini, teneva le sue riunioni nell’Oratorio del SS. Crocifisso presso la chiesa romana di S.
Marcello al Corso. V’è da ponderare che nell’evo cinquecentesco, in tali adunanze non venivano eseguite
laudi in volgare, bensì mottetti in latino e la polifonia sacra regnava nell’Oratorio del SS. Crocifisso;
protraendoci nell’evo storiografico consequenziale, nell’inoltrato Seicento, divenne imprescindibile l’utilizzo
di un nuovo stile monodico ed ecco l’albore di una totalitaria produzione di oratori in latino. Siffatti si
rivelano simili a costoro in volgare, seppure contrastanti per ciò che concerne il testo, quasi
totalitariamente in prosa e non in poesia, altresì con la figura narrante alternata tra solisti e coro e non
esclusiva del solista. Peculiarità cardine, invero, la destinazione all’élite.

In conclusione, riavvolgendoci all’ambito dell’oratorio in volgare, si cogiti ch’esso si diffuse in tutto il


territorio italiano e divenne un sostituto dell’opera durante i periodi penitenziari più che destinato a
funzione devozionale con predica centrale e oracolo. Tra i principali compositori di oratori tra il Sei e
Settecento, a Roma – Pasquini, Stradella, Scarlatti –, a Bologna – Cazzati, Vitali e Bononcini, a Venezia –
Legrenzi, Gasparini, Vivaldi. Altresì, accolsero l’oratorio gli stati cattolici quali l’Austria e la Francia, in primo
luogo la corte di Vienna; spiccano Fux ed Antonio Caldara – nel territorio francese il ruolo fu maggiormente
marginale e la rilevanza fu merito di Marc – Antonie Charpentier, studente sotto la guida di Giacomo
Carissimi a Roma.

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