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MICHELE LANARI

STUDIO SUL
LAUDARIO DI CORTONA
INTRODUZIONE

Brevi cenni sull’origine e lo sviluppo della lauda

Le ricerche di vari studiosi hanno ormai appurato che tra il decimo e il dodicesimo

secolo fiorirono in Italia numerose associazioni e confraternite laico-cristiane

(confratriae, scholae), ispirate sia dall’esigenza mistica di una più intensa partecipazio-

ne al culto, sia, in particolari casi, da sentimenti di reazione contro il costume corrotto

del clero. Scopo delle assemblee era quello di lodare e ringraziare Dio attraverso la

preghiera, la penitenza e il canto collettivo, strumento di particolare efficacia

nell’espressione mistica dei fedeli, da sempre largamente utilizzato nelle associazioni

devote di ogni genere. La struttura di quelle primitive intonazioni era certamente ele-

mentare, impostata su brevi periodi ripetuti più volte, simile a quella dell’inno o del-

la sequenza; ma proprio in queste semplici cantilene, basate su testi in latino, va ricer-

cata l’origine lontana della lauda, canzone spirituale di carattere popolare, nata al di

fuori della liturgia, che così tanta importanza ebbe nella vita religiosa del popolo ita-

liano.

Il termine lauda prende origine da alcune definizioni analoghe già in uso nella

pratica liturgica del tempo: con laus si indicava ad esempio l’Alleluja della messa; lau-

des era il nome della seconda delle quotidiane otto ore canoniche dell’Ufficio; laudes

erano anche i salmi 148, 149 e 150, cantati nell’ufficio del Mattutino; furono dette an-

cora laudes le farciture esclamative e invocative (tropi) inserite nel testo del Gloria in

excelsis. Dunque il canto di lode era già largamente presente nella liturgia tradiziona-

le, ma assunse maggiore importanza e autonomia dal momento in cui le suddette

confraternite presero ad operare con regolarità, arricchendo i repertori tradizionali con

nuove laudes, le cui melodie furono composte di sana pianta o comunque riadattate

da canti preesistenti.

Tali canti, naturalmente monodici, dedicati a Gesù, alla Vergine e ai vari santi, fu-

rono inizialmente basati su testi in latino; svolta importantissima si ebbe nell’adozio-

2
ne del volgare, lingua molto più stimolante, poiché comprensibile a tutti i fedeli. An-

che se il passaggio dovette avvenire in modo abbastanza progressivo, è certamente a

S. Francesco d’Assisi (1182-1226) che va attribuito il merito dei primissimi esperimenti

di lirica religiosa interamente in volgare: le sue Laudes Creaturarum, componimento

in versetti di volgare umbro (noto anche come Cantico delle Creature o Cantico di

Frate Sole) costituiscono un celebre esempio del nuovo genere. Ispirate a un passo di

Daniele e al salmo 148 (una delle tre laudes sopracitate), dovettero essere certamente

cantate: lo dimostra la presenza dei righi musicali (purtroppo rimasti privi di notazio-

ne) nel Codice 338 della Biblioteca comunale di Assisi, che ne contiene la lezione più

antica. Francesco, con i suoi frati ioculatores Domini, percorreva le strade dell’Umbria

glorificando Dio con gioiosi canti di lode; se è vero quanto attesta Tommaso da Cela-

no, e cioè che egli amasse cantare in lingua francigena, è molto probabile che si ispi-

rasse alle canzoni religiose del monaco Gautier de Coinci (1177-1236), che in quel pe-

riodo si stavano diffondendo oltre i confini di Francia. La lauda, cantata pubblicamen-

te nelle vie e nelle piazze, esce dunque dall’ambito ristretto delle confraternite e, gra-

zie all’uso del volgare, diventa un efficace mezzo di richiamo alla fede nel popolo.

Il messaggio di rinnovamento spirituale promosso da Francesco e dagli altri ordini

Mendicanti sorti nel contempo si diffuse con grande rapidità, alimentando la nascita

di un nuovo fervore religioso; d’altra parte gli animi erano ben disposti ad accogliere

parole di pace e di speranza, in un contesto storico, quello degli inizi del Duecento,

continuamente turbato da violente lotte politiche e gravi disagi materiali e morali.

Anzi, la popolazione, ormai stanca e debilitata, seguendo l’esempio di Francesco, sentì

il bisogno di dare testimonianza pubblica di carità e di penitenza, in opposizione alle

ciniche ambizioni dei potenti, causa di tante guerre e disordini: l’anno 1233, detto

dell’Alleluja, segnò l’inizio di quel generale moto collettivo, di importanza fonda-

mentale nello sviluppo della lauda, che dopo poco tempo sarebbe sfociato in vera e

propria esaltazione popolare. Proprio a questo periodo risale la breve acclamazione in

volgare (non si può parlare di vera e propria lauda) che, secondo il cronista contem-

poraneo Riccardo da S. Germano, un certo frater J. (forse fra’ Giovanni da Vicenza o

3
da Schio) intonava tra i fedeli durante il suo peregrinare, precedendo la parola Allelu-

ja con tre squilli di corno:

Benedictu, laudatu et glorificatu lu Patre,

Benedictu, laudatu et glorificatu lu Fillu,

Benedictu, laudatu et glorificatu lu Spiritu Sanctu.

Alleluja, gloriosa Donna!

Un secondo cronista, Salimbene de Adam da Parma, attribuisce le stesse parole ad

un altro frate, di nome Benedetto, soprannominato “della cornetta”, il quale, accom-

pagnandosi appunto con una piccola cornetta di bronzo o di ottone, eseguiva i versetti

in forma alternata con il coro dei fanciulli, che lo seguivano a grandi frotte portando

in mano rami d’albero e candele accese. Nelle chiese e nelle piazze egli innalzava il

suo grido di lode dicendo in volgare: “Laudato et benedhetto et glorificato sia lo

Patre!”, e i ragazzi ripetevano a voce alta ciò ch’egli aveva detto. Poi ripeteva le stesse

parole e aggiungeva: “sia lo Fijo!”. E i ragazzi riprendevano cantando le stesse parole.

Infine ripeteva per la terza volta le parole aggiungendo: “sia lo Spiritu Sancto!”. E do-

po: “Alleluja, Alleluja, Alleluja!”. Poi suonava la tromba e predicava ancora con pa-

role in lode a Dio.1

L’anno della commozione religiosa più intensa fu senza dubbio il 1260, durante il

quale, dopo un lungo periodo di preghiera e penitenza trascorso nella solitudine delle

montagne umbre, giunse a Perugia l’eremita Ranieri Fasani; vestito di sacco e fune, il

leggendario frate percorreva le strade della città osannando Dio e flagellandosi le spal-

le nude, dando in tal modo pubblico esempio di durissima disciplina espiatoria, che

egli riteneva necessaria per riconquistare la purezza e la dignità spirituale agli occhi

del Signore. Centinaia di fedeli invasati e piangenti cominciarono a seguirlo e a imi-

tarlo, flagellandosi a loro volta le spalle (i cosiddetti flagellanti) e cantando laude vol-

gari in onore del Signore. Nacque così la compagnia dei Disciplinati di Gesù Cristo,

che, diversamente dalle altre confraternite, alla pratica del canto accompagnava anche
1
Cfr. SALIMBENE DE ADAM, Cronica, Bari 1942, vol. I, pagg. 99-100.
4
quella dell’autoflagellazione. L’impeto e l’esaltazione generale contagiarono numero-

se regioni, diffondendosi anche oltre i confini dell’Italia, come testimonierebbero al-

cuni Geisslerlieder (canti di flagellanti) tedeschi della metà del quattordicesimo secolo.

Fortunatamente, a questa prima ondata di mistico masochismo seguì un periodo di

maggior moderatezza, fino a che tali sanguinosissime dimostrazioni cessarono del

tutto. Ma le Compagnie dei Disciplinati sopravvissero ancora a lungo, costituirono

degli oratori stabili e continuarono a coltivare la pratica del canto, dando vita ad un

ampio repertorio di laude.

Nel frattempo si assisteva alla nascita di un altro fenomeno, indipendente da quel-

lo dei Disciplinati e importantissimo per l’evoluzione tecnica e artistica della lauda: la

costituzione di confraternite finalizzate in particolar modo al canto delle laude, «in

un certo senso confraternite specializzate nel canto delle laude e perciò dette dei Lau-

desi».2 In base agli studi di Gilles-Gérard Meersseman, 3 che permisero di distinguere

questo nuovo tipo di compagnie da quelle già diffuse, la prima di cui si possano affer-

mare storicamente la sicura esistenza e l’attività fu la Confraternita senese di Santa

Maria delle Laude, 4 istituita dal vescovo Tommaso Fusconi nel 1267 e operante nella

chiesa di S. Domenico in Camporegio; in una lettera destinata ai suoi diocesani, il ve-

scovo ne riconosce ufficialmente l’esistenza, decretandone il nome (Fraternita di S.

Maria e S. Domenico) e autenticandone gli statuti col proprio sigillo. 5 Una delle parti

più interessanti del documento è quella che riguarda le riunioni della fraternita:

«Stabiliamo che ogni giorno, di sera, all’ora cioè di Compieta o poco prima, secondo la

stagione, si svolga la riunione nella sede dei Domenicani di Campo Regio per cantare

e ascoltare le laude, e che in tale occasione si possa brevemente predicare, se il priore

dei Domenicani lo riterrà opportuno, specialmente in Quaresima… Parimenti stabilia-

mo che nella seconda domenica del mese, di buon mattino, i membri della fraternita

si riuniscano in Campo Regio per ascoltare le laude, la messa e la predica. Per identico

2
GIULIO CATTIN, La monodia nel medioevo, E.D.T., nuova edizione ampliata riveduta e corretta del
1991, p.176.
3
GILLES GÉRARD MEERSSEMAN, Ordo fraternitatis - Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, in
collaborazione con G. P. Pacini, Roma, Herder 1977, 3 voll..
4
Ibid., pagg. 954-955.
5
Ibid., doc. 20, pp. 1029-1034.
5
fine e alla stessa ora i membri si riuniscano nel medesimo luogo ogni lunedì successi-

vo (alla seconda domenica del mese) e si canti una messa funebre per le anime dei

confratelli defunti e dei loro parenti… Dato a Siena, nel mese di settembre 1267.»6 Al-

tre notizie in merito si ricavano dalla biografia del beato Ambrogio Sansedoni, frate

Domenicano di Siena entrato nell’ordine nel 1237 e morto nel 1286. La biografia fu

composta dal suo contemporaneo fra Recupero d’Arezzo, del convento di S. Domeni-

co in Campo Regio, sulla base di alcune testimonianze raccolte da Ildebrando de’ Papa-

roni, confratello del beato: da alcuni passi risulta che il Sansedoni ebbe vita molto atti-

va nella fondazione e nell’organizzazione delle confraternite senesi e si parla esplici-

tamente anche di quelle specialmente dedicate ad laudes divinas (cioè quelle dei lau-

desi), precisando che in esse erano state istituite scholae di fanciulli regolarmente spe-

sati ed educati per cantare le laude, e che sull’esempio di Siena, confraternite di quel

genere erano sorte anche in altre città vicine.7 Quest’ultima indicazione ci spinge a

supporre che la confraternita di S. Maria e S. Domenico fu, tra quelle dei laudesi, 8 la

prima in assoluto ad essere istituita.

Disciplinati e laudesi percorsero dunque due strade ben distinte, giungendo a ri-

sultati diversi: i primi crearono un repertorio laudistico basato quasi esclusivamente

sul tema della Passione promuovendo, agli inizi del XIV secolo, lo sviluppo della lau-

da drammatica (genere di lauda praticamente estraneo al repertorio dei Laudesi) e

quindi la nascita del teatro volgare; ai Laudesi va invece il merito della diffusione del-

la lauda lirica, caratterizzata da temi più vari e dall’esigenza di una maggiore cura tec-

nica nell’esecuzione. Diverse erano anche le caratteristiche organizzative e istituzio-

nali delle rispettive confraternite, già fissate e descritte con dovizia di particolari dalla

studiosa Angela Maria Terruggia: quelle dei Laudesi, composte di uomini e donne,

6
Altre parti della lettera sono riportate in La monodia nel medioevo, opera citata di GIULIO CATTIN,
p.242.
7
Cfr. Acta Sanctorum, die XX Martii, III, 212, § 14 e M. CANAL, «Analecta sacri ordinis fratrum praedi-
catorum», XXI, 1933-1934, pp. 155-172, 224-235; v. p. 165.
8
È necessario correggere l’uso spesso improprio che gli studiosi del passato fecero del termine “laudesi”,
riferendolo indistintamente alle varie compagnie, senza discernere quelle che assegnarono al canto delle
laude un ruolo semplicemente complementare o secondario, da quelle per le quali tale canto rivestiva in-
vece un’importanza primaria ed essenziale. È a quest’ultime che spetta di diritto la denominazione di
confraternite dei “laudesi”, poiché nacquero ed operarono con l’unico scopo di cantare le laude, curandone
in particolar modo la prassi esecutiva.
6
erano costituite «all’unico scopo di cantare le laude alla sera e nei giorni festivi»,

mentre quelle dei Disciplinati, composte di soli uomini, cantavano durante la devo-

zione, che si faceva «generalmente il venerdì sera e la mattina della domenica e delle

altre feste».9

L’esigenza di una maggior perizia nelle esecuzioni e la finalità di uno scambio di

repertorio tra le varie associazioni portarono a fare raccolta dei numerosi componi-

menti: d’altra parte, alla metà del Duecento, la lauda era ormai pervenuta alla sua for-

ma definitiva, quella della ballata profana, dalla quale dovette trarre non poche mo-

venze di ritmo e di carattere; ed era il momento migliore perché fosse elevata, anche

attraverso la sua preservazione, da semplice canto devozionale di trasmissione orale a

raffinato esempio della più spontanea arte popolare. Sorsero così i famosi laudari, che

custodirono la memoria della lauda fino ai nostri giorni. Ma dei circa duecento giunti

sino a noi, soltanto due contengono, oltre ai testi, anche le melodie, assumendo per

questo un’importanza enorme: il codice 91 dell’Accademia Etrusca di Cortona e il Ma-

gliabechiano II.I.122 della Biblioteca Nazionale di Firenze. Dei due, il primo è il più

antico ed ha un valore artistico certamente maggiore, poiché rispecchia la lauda nella

sua essenza più pura e perfetta, non ancora contaminata da certi gusti e tendenze al

virtuosismo vocale, che in seguito ne causeranno la decadenza.

Cortona

9
A. M. TERRUGGIA, In quale momento i Disciplinati hanno dato origine al loro teatro?, in AA. VV., Il
movimento dei Disciplinati nel settimo centenario dal suo inizio, in appendice al «Bollettino della Depu-
tazione di Storia patria per l’Umbria», 9, Perugia 1962, pp.434-459.
7
CAPITOLO PRIMO

Il laudario cortonese: datazione e contenuto

Il prezioso codice fu ritrovato nel 1876, «abbandonato in un sottoscala di libreria in

condizioni deplorabili», da Girolamo Mancini, bibliotecario della Biblioteca dell’Acca-

demia Etrusca e del Comune di Cortona. 10 Rimasto nascosto per secoli, consunto ai

bordi e mancante di fogli di guardia, fu ripulito, rilegato e catalogato col numero 91;

tuttora conservato nella stessa Biblioteca, rappresenta per la città di Cortona motivo di

vanto e di prestigio, costituendo, almeno finora, la testimonianza più antica di melo-

dia su testo in lingua volgare italiana, nonché un importantissimo documento lette-

rario.

Il laudario appartenne alla Confraternita di S. Maria delle Laude, operante presu-

mibilmente dalla fine del Duecento in poi presso la chiesa di S. Francesco, costruita tra

il 1245 e il 1253 dal frate cortonese Elia Coppi, secondo ministro generale dei Minori, e

aperta al culto dal 1254.11 Il volumetto è costituito da 171 carte di pergamena, e si può

dividere in due parti: la prima, di formato cm. 22,6 x 17,2, va dalla carta 1 alla 122 e

contiene 45 laude, probabilmente trascritte da una sola mano, tutte corredate delle ri-

spettive melodie fino alla prima strofa, eccetto la quinta (Ave Maria gratia plena), per

la quale è presente il rigo musicale senza notazione. La seconda parte, più recente e di

formato minore (la larghezza si riduce a cm. 21,5), ha inizio con l’indice dei componi-

menti della prima serie (dalla carta 133recto alla 135verso) e prosegue con altre 19 lau-

de prive di musica (136recto - 171verso); fu compilata a varie riprese (almeno tre), gra-

zie all’intervento successivo di più persone. Tra le due parti si frappone un quaderno

di dieci carte (dalla 123 alla 132), contenente altre due laude musicate (Benedicti e’llau-

dati e Salutiam divotamente), probabilmente inserito nel codice in epoca successiva,

forse agli inizi del Trecento. Le melodie del codice ammontano dunque a 46. Il testo

10
GIROLAMO MANCINI, I manoscritti della libreria del Comune e dell’Accademia Etrusca di Cortona,
Cortona 1884, p. 51 (ristampa in Inventario dei mss. delle biblioteche d’Italia).
11
GIROLAMO MANCINI, Cortona nel Medioevo, Firenze 1897, p. 53 (ristampa a cura dell’Editrice grafi-
ca l’Etruria, Cortona 1992).
8
poetico è scritto in caratteri gotici, mentre la notazione è quadrata (detta anche corale

italica o corale romana)12 con chiavi di DO e di FA, su rigo di due, tre o quattro linee, a

seconda dell’estensione del canto.

Per quanto riguarda la datazione del manoscritto non possiamo fare altro che sup-

posizioni: secondo il Mancini la prima parte sarebbe stata scritta prima del 1250 poiché

mancante di laude in onore del Beato Guido Vagnottelli, morto intorno a quella stes-

sa data, e in onore di S. Margherita, morta nel 1297, i quali, entrambi amatissimi dal

popolo, furono venerati come Santi non appena passati ad altra vita; tali laude sono

presenti invece nella seconda parte della raccolta, che per questo motivo risalirebbe si-

curamente agli inizi del Trecento.13

Guido Mazzoni pone la stesura della prima parte tra la nascita del moto perugino

dei Disciplinati e la morte di S. Margherita, quindi «tra il 1260 e il 1297, senza determi-

nazione più stretta di confini, ma piuttosto nella ipotesi risalendo verso la prima data

anzi che scendendo verso la seconda».14 Si può tuttavia osservare (e sottoscrivo un’os-

servazione già fatta da Giorgio Varanini) che la Confraternita di Santa Maria delle

Laude era un’associazione di Laudesi, legata a un ambiente tipicamente francescano, e

difficilmente può essere sorta su esempio dei Disciplinati, i quali per lungo tempo

continuarono a dare manifestazione di penitenza nelle strade e nelle piazze, fondan-

do le loro prime confraternite solo agli inizi del Trecento (la prima di cui possediamo

statuto e laudario è quella di Santo Stefano in Assisi, fondata nel 1324).15

Anche il Liuzzi accetta come termine ante quem il 1297 (sempre in riferimento alla

prima parte ed escludendo con certezza le due laude del quaderno centrale, aggiunto

posteriormente), ma sposta il possibile termine iniziale verso il 1270 per la presenza

12
«Corale in quanto, dal tredicesimo secolo in poi, essa è tipica notazione della monodia gregoriana a ca-
rattere precipuamente collettivo; romana o italica in contrapposto alla gotica, propria dei manoscritti
medievali germanici, la quale ha conservato ne’ suoi segni maggior somiglianza con le forme de’ neumi an-
tichi» (FERNANDO LIUZZI, La lauda e i primordi della melodia italiana, Roma, Libreria dello Stato
1934, 2 voll.; vol. I, pp. 182-183).
13
Cfr. GIROLAMO MANCINI, I manoscritti…, op. cit., p. 51, ed anche Laudi francescane dei Disciplinati
di Cortona, «Miscellanea francescana», IV, 1889, pp. 48-54.
14
GUIDO MAZZONI, Laudi cortonesi del sec. XIII , «Il propugnatore», n.s., II, 1889, p. II, pp.205-270 e III,
1890, p. I, pp. 5-48.
15
Cfr. Laude cortonesi dal secolo XIII al XV, a cura di GIORGIO VARANINI, LUIGI BANFI e ANNA CE-
RUTI BURGIO, con uno studio sulle melodie cortonesi di GIULIO CATTIN, Firenze, Leo S. Olschki Editore
1981, volume I, tomo I, pp. 32-33.
9
di una lauda attribuita a Jacopone da Todi, (T roppo perde ‘l tempo ki ben non t’ama),

convertitosi soltanto nel 1268. Ora, se fino a qualche tempo fa l’attribuzione della lau-

da poteva dirsi sicura, per il fatto che in parecchi altri manoscritti medioevali essa vie-

ne assegnata allo stesso autore, gli studi e le ricerche più recenti hanno portato a galla

l’incertezza, tantoché molti editori di testi jacoponici la escludono dal novero delle au-

tentiche.16 Del tutto infondata poi è l’ipotesi del Liuzzi secondo la quale Jacopone sa-

rebbe autore, oltre che del testo, anche della melodia: non abbiamo nessuna documen-

tazione dalla quale risulti che il poeta fosse anche musico.

L’opinione di Pellegrino Ernetti è che l’antologia sia stata redatta tra il 1259 e il 1270,

poiché la lauda Madonna santa Maria è la stessa che i Flagellanti cantavano in latino

nell’anno della grande devotio, il già citato 1260. Il cronista contemporaneo Bartolo-

meo Scriba ne riporta anche le parole:“Madonna Sancta Maria, recipite peccatores, et


17
rogetis Jesum Christum ut nobis parcere debeat”. Il ragionamento potrebbe far pen-

sare a dei contatti tra Laudesi e Disciplinati, che certamente ci furono, ma non esclude

che la compilazione del codice possa essere avvenuta anche dopo.

Un’ipotesi più credibile ci sembra quella di Giorgio Varanini, basata sulle ricerche

di Gilles-Gérard Meersseman, delle quali abbiamo già accennato precedentemente. Il

fatto che, in base a questi studi, la confraternita senese di S. Maria e S. Domenico, fon-

data nel 1267, debba essere considerata la prima associazione di laudesi mai esistita e

che, secondo la biografia del Sansedoni, l’istituzione passò da Siena ad altre città vici-

ne, tra cui forse Cortona, assieme a Firenze, Lucca e Pisa, lascerebbe supporre una data-

zione del nostro manoscritto non anteriore al 1267, «restando inidentificato un ter-

mine non post quem, non potendosi», secondo il Varanini, «assumere come sicuri gli

argomenti addotti dal Mancini e almeno in parte accolti dal Mazzoni». Inoltre, «dal

momento che in tutte queste città si compilarono laudari corredati di notazione musi-

cale nei quali di frequente ricorrono le medesime composizioni, sembra possibile pen-

sare che proprio Siena sia stata il centro di irradiazione di parte almeno dei testi (i

16
Cfr. IACOPONE DA TODI, Laude, edizione a cura di FRANCO MANCINI, Bari, Laterza 1974.
17
PELLEGRINO M. ERNETTI - LAURA ROSSI LEIDI, Il laudario cortonese n. 91 , EDI-PAN, Roma 1980;
la lauda cortonese ne riporta la traduzione quasi letterale: “Madonna Santa Maria, mercé de noi peccato-
ri! Faite prego al dolçe Cristo ke ne degia perdonare!”.
10
quali certo avranno subito le modifiche e gli adattamenti del caso, se non altro nella

coloritura linguistica) e non improbabilmente anche delle musiche». 18 Ma quest’ulti-

ma argomentazione non può essere provata, poiché l’originario laudario della confra-

ternita di S. Maria e S. Domenico è andato perduto, e così anche quelli delle altre fra-

ternite di laudesi di Siena.

A questo punto mi sia permesso di aggiungere alcune considerarazioni su un altro

fattore, che interessò profondamente la vita dei cortonesi a partire dal 1272: l’influsso

di Santa Margherita, che proprio in quell’anno, venendo da Laviano, giunse a Corto-

na, fresca del suo pentimento per la vita passata e fortemente intenzionata a espiare i

propri peccati attraverso una dura penitenza personale. Alle lunghe ore di preghiera e

alle continue autoprivazioni e umiliazioni del proprio corpo (da lei sempre disprez-

zato, poiché dotato di singolare bellezza) la santa accompagnava un’intensa e assidua

opera di carità e sostegno dei poveri, guadagnando ben presto l’ammirazione e la sti-

ma di tutti i cortonesi, che l’amarono e la protessero sempre con grande gelosia.

Qualche tempo dopo il suo arrivo a Cortona, Margherita trovò asilo dai Frati del

convento di S Francesco, proprio quello costruito da frate Elia, nella cui chiesa ebbero

sede i nostri laudesi. Ora, un’insistente tradizione popolare, purtroppo, almeno fino-

ra, non documentata, attribuisce a Margherita una larga parte di merito nella fonda-

zione della confraternita: pare infatti che lei stessa cantasse le laudi e che, nei momen-

ti di maggior fervore, amasse promuovere tra la gente questa forma di devozione, così

tipica di quella spiritualità francescana, alla quale ella fu sempre profondamente legata

(fu ammessa al Terz’Ordine di S. Francesco nel 1275). Di questo troviamo conferma

nella famosa “Legenda de vita et miraculis Beatae Margaritae de Cortona”, scritta in

latino nel 1308 dal confessore della santa, il cortonese fra’ Giunta Bevegnati. Al para-

grafo 10 del capitolo VI si legge su Margherita quanto segue: «In beatissimae Magdale-

nae vigilia, quae prius surgere propter infirmitatem non poterat, in fervorem ascen-

dens animarum et laudum, subito revocata est ita plenissime, quod omnes adstantes

18
Tratto da Laude cortonesi dal secolo XIII al XV, op. cit., vol. I, tomo I, p.39 e seguenti.
11
mirati sunt: fecitque in illa iucunditate sero illo divinas cantari laudes.» 19 Sempre

nella suddetta Legenda si parla della costruzione di un nuovo oratorio 20 al di sotto

della chiesa principale di S. Francesco, in un ambiente già scavato a suo tempo da frate

Elia ma non completato; tale oratorio, voluto da Margherita stessa e completato nel

1285, doveva avere lo scopo di ospitare tutti coloro che avessero voluto sfogare libera-

mente il proprio fervore in lacrime e gemiti rumorosi (e forse nel canto?), senza con

questo disturbare la preghiera più meditativa e silenziosa di quelli che stavano di so-

pra, nonché il normale svolgimento delle liturgie; il passo è al paragrafo 32 del capito-

lo IX, con parole dette da Gesù stesso a Margherita durante uno dei loro numerosi col-

loqui (la notizia ha valore a prescindere dal credere o meno all’attribuzione divina del

discorso!): «...Et dicas fratribus meis, quod non timeant loci noui ampliationem, ut

spatium ad flendum habeant in orationibus suis, sine impedimento secretarum ora-

tionum. De loco vero superiori, noveris, quod propter obliquam intentionem quam

habuit ille qui primo cepit, multum displicuit mihi in capiendo eum: non tamen

19
«Nella vigilia della festa di Santa Maddalena, durante la quale non poté levarsi dal letto prima del
tempo a causa della sua infermità, (Margherita) fu all’improvviso e con tanta pienezza risvegliata al
fervore di spirito e alla lode che tutti quelli che stavano attorno rimasero stupiti. In quella circostanza
fece cantare, con grande giubilo, le lodi del Signore.» (traduzione di ELIODORO MARIANI, Vicenza,
L.I.E.F. 1978).
20
Nell’oratorio già esistente, adiacente alla sagrestia, Margherita soleva spesso ritirarsi per poter pre-
gare da sola, senza essere vista da altri; faceva questo per non dare spettacolo ai molti i curiosi, prove-
nienti da ogni dove per la sua fama, che entravano in chiesa non per pregare, ma per vederla durante le
sue estasi e i suoi colloqui con Gesù.
12
propter hec verba permictant fratres, quod auferatur eis prefatus locus». 21 L’oratorio in

questione corrisponderebbe a quello della Confraternita dei laudesi: così afferma con

sicurezza padre Ludovico Bargigli da Pèlago (1725-1795), socio dell’Accademia Etrusca

di Cortona, che per primo tradusse in italiano la Legenda, facendola precedere da un-

dici dissertazioni e arricchendola di numerose note esplicative. Nella terza disserta-

zione (p. 46), parlando dell’oratorio, lo definisce come un luogo costruito «sotto la

chiesa di S. Francesco, in sito lasciato vacuo, ma informe da frate Elia, allorché fece

edificare la Chiesa. Vedesene ancora la porta d’ingresso rimurata, dalla parte di fuora

della facciata anteriore di essa Chiesa di S. Francesco a destra della porta principale, ed

a sinistra di chi entra. Quivi fu eretta in appresso una pia Confraternita detta “de’ Lau-

desi in S. Francesco”, soppressa dopo l’anno 1537, allorché instituita in quell’anno

l’Unione de’ luoghi pii di Cortona, furono ad essa incorporati i beni tutti de’ luoghi pii

particolari di detta Città, amministrati da’ Laici. Dopo la qual soppressione, fu l’orato-

rio, muratane la porta, distribuito in più sepolcri, colle lapide, ed aperture sepolcrali

nella superior Chiesa (che ultimamente pur sono state serrate): ne’ quali sepolcri chi è

disceso, avanti che si serrassero, attesta avervi vedute varie nicchiette con immagini,

e bassi-rilievi di Santi; segno, che comprova viemaggiormente esservi stato per

l’avanti un oratorio... » .

21
«Di’ inoltre ai miei frati che non abbiano timore di ampliare il loro nuovo Oratorio dove potranno avere
spazio per piangere, nelle loro preghiere, senza disturbare le meditazioni personali. Quanto alla chiesa
superiore tu sai che mi fece dispiacere colui che la cominciò a causa della sua non retta intenzione; tutta-
via per questo che ho detto, non consentano i Frati di venir privati di tale luogo» (traduzione di ELIODO-
RO MARIANI, Vicenza, L.I.E.F. 1978). I frati avevano qualche scrupolo circa la costruzione del nuovo
oratorio, perché lo consideravano superfluo e avevano timore che non si confacesse alla regola di povertà
dell’Ordine; probabilmente fra’ Giunta, autore della Legenda, la pensava in modo diverso e con la scusa
del “messaggio divino” riferitogli da Margherita aggirò l’ostacolo e consentì che venisse completato. Il
“colui” che cominciò la chiesa e procurò dispiacere a Gesù “a causa della sua non retta intenzione” è frate
Elia. Ora, bisogna sapere che frate Elia apparteneva a una delle famiglie più nobili e rinomate di Corto-
na, i Coppi, ed era uomo di singolare cultura e intelligenza, avendo compiuto dei buoni studi giuridici:
Francesco stesso lo volle alla guida dell’Ordine perché ne comprese l’acume e le grandi capacità di gover-
no e organizzazione, che avrebbero assicurato una volta per tutte la stabilità del movimento francescano
all’interno della Chiesa. Il suo intento fu sempre quello di assicurare potenza e splendore al suo ordine:
probabilmente il convento cortonese da lui costruito fu giudicato troppo bello per essere una dimora di frati
francescani e la “non retta intenzione” di frate Elia fu ritenuta quella di mirare troppo a una vana osten-
tazione di magnificenza piuttosto che a un’opera di sana e sincera pietà. Nonostante questo i frati si guar-
darono bene dal cederlo ad altri: infatti, morto frate Elia nel 1253, fuori dell’Ordine e senza eredi, il Ve-
scovo Guglielmino di Arezzo avanzò pretese sulla sua casa e di conseguenza sulla Chiesa di S. Francesco
da lui costruita; di qui l’esortazione di Cristo (o di fra Giunta...) affinché i Frati non abbandonassero spon-
taneamente tale luogo, per rifugiarsi semplicemente nell’oratorio sottostante, come il vescovo avrebbe vo-
luto.
13
Dunque, se vogliamo credere a una qualche influenza di Margherita nella fonda-

zione della Confraternita, se non altro nell’aver rinnovato il fervore religioso dei cor-

tonesi attraverso la sua stessa presenza altamente vivificatrice nella città, e se la Con-

fraternita ebbe effettivamente sede nel nuovo oratorio, costruito nel 1285, possiamo

stabilire un termine post quem per la datazione del manoscritto, più avanzato nel

tempo rispetto ai precedenti, e cioè l’anno di costruzione del suddetto oratorio, il 1285.

A tutto questo bisogna aggiungere che fra’ Giunta, autore della Leggenda, nel 1290 fu

trasferito al capitolo di Siena; poi, nel 1297, fu ritrasferito a Cortona, appena in tempo

per assistere alla morte di S. Margherita. Chissà se, in quei sette anni di permanenza a

Siena, egli non abbia avuto dei contatti con i laudesi di S. Maria e S. Domenico, e non

abbia poi voluto fondare una confraternita come quella all’interno del proprio con-

vento? In questo caso la datazione del manoscritto si sposterebbe ancora più avanti, ai

primissimi anni del Trecento.

********************************

Diamo adesso uno sguardo alla tematica delle varie laude: le prime 16 sono tutte

dedicate alla Madonna 22 e costituiscono un gruppo compatto a se stante; la 17 è dedica-

ta a S. Caterina d’Alessandria, la 18 a Maria Maddalena; il gruppo che va dalla 19 alla

32 ripercorre le varie fasi del cosiddetto anni circulum, costituito da Natale, Quaresi-

ma, Risurrezione, Ascensione, Pentecoste e Trinità; 23 la 34 e la 36 riguardano il di-

sprezzo del mondo, la 33 e la 35 l’amore a Cristo. Segue un gruppo di laude dedicate

ai vari Santi: la 37 e la 38 a S. Francesco, la 39 a S. Antonio da Padova, la 40 di nuovo

22
La quinta lauda, Ave Maria gratia plena, è priva di notazione musicale.
23
Non è escluso che il ciclo di laude dalla 19 alla 28 sia stato concepito per essere utilizzato all’interno di
Sacre Rappresentazioni, in occasione di feste popolari e religiose: infatti il carattere tendenzialmente
drammatico delle laude che lo costituiscono si differenzia da quello più contemplativo, meditativo o in-
vocante tipico delle altre e la raccolta fu disposta secondo un piano di successione scenica «idealmente al-
meno possibile a vedersi, a seguirsi, per così dire a viversi da ognuno: il che del resto rientra nel bisogno
d’espressione immediata, palpabile, penetrante, icastica, nell’anelito verso la concretezza drammatica
ch’ebbe il duegento» (FERNANDO LIUZZI, op. cit., vol. I, p. 57).
14
alla Maddalena,24 la 41 a S. Michele Arcangelo, la 42 a tutti i Santi, 25 la 43 e la 44 a S.

Giovanni Battista; la 45 è un’esortazione all’amore verso Cristo; la 46 è dedicata agli

Apostoli; la 47 costituisce il saluto finale alla Madonna.

La notevole varietà poetica e musicale che caratterizza i componimenti del lauda-

rio denuncia chiaramente che essi appartennero a periodi diversi e che non furono

opera di un solo autore; il fatto che quattro laude contengano all’interno di una delle

strofe il nome di Garzo (Altissima luce, Ave Vergene gaudente, Spiritu Sancto glorio-

so e Amor dolçe sença pare) non è sufficiente a dimostrare che questo personaggio sia

l’artefice dell’intera raccolta; egli fu forse il compilatore, cioè colui che ne stabilì il con-

tenuto scegliendo i migliori canti allora in circolazione e ordinandoli secondo un cri-

terio estetico ben preciso; tra questi avrà poi inserito quattro laude di propria composi-

zione, quelle appunto che riportano il suo nome. Sulla sua identità sono state avanza-

te varie ipotesi: una è che egli fosse il famoso Garzo dell’Incisa in Valdarno bisnonno

del Petrarca, ma, secondo l’opinione di molti, tra cui anche Giorgio Varanini, sembra

la meno probabile. Infatti questo doctore, come egli stesso si autodefinisce nelle laude,

venne descritto dal suo prestigioso discendente come “vir sanctissimus...ingenio,

quantum sine cultura literarum fieri potuit, clarissimo”” e “vir ut literatrum inops,

sic praedives ingenii”, il che, come il Varanini fa notare, contrasta nettamente con la

notevole abilità letteraria di cui egli da prova nelle laude. Il Petrarca parla anche della

sua straordinaria longevità, affermando che sarebbe vissuto fino alla veneranda età di

104 anni; ora, poiché in un atto scritto dal notaio ser Parenzo, figlio del personaggio in

questione e nonno del Petrarca, risulta che Garzo era già morto nel 1269, la sua nascita

risalirebbe a ben 104 anni addietro, cioè al 1165; ciò significa che egli avrebbe composto

laude già dalla fine del 1100, cosa storicamente impensabile. Si potrebbe supporre una

sua attività compositiva in età molto avanzata, ma questo ci sembra poco probabile.

Interessante è l’ipotesi dello stesso Varanini: dato che il nome di Garzo ricorre, ol-

24
Il fatto che il Laudario contenga ben due laude alla Maddalena, è significativo in riferimento a quanto
da me ipotizzato sull’influsso stimolante di S. Margherita nell’attività dei laudesi; chi era Margherita,
se non una seconda Maddalena?
25
Secondo il Liuzzi la stesura veramente primitiva del codice doveva limitarsi a questa lauda, sia perché
era uso terminare queste raccolte con la celebrazione di tutti i Santi, sia perché da questo punto in poi la
notazione potrebbe essere d’altra mano (Cfr. FERNANDO LIUZZI, op. cit., vol. I, p. 31).
15
tre che nel cortonese, in molti altri codici toscani del Trecento, si può pensare che egli

sia stato uno dei personaggi di maggior spicco nella prima fase della storia dei laudesi,

forse proprio uno di quei primi maestri senesi che guidarono le “scholae” di fanciulli

o di adulti di cui ci parla fra’ Recupero d’Arezzo nella già citata biografia del Beato

Sansedoni (e in questo caso il titolo di doctore assumerebbe proprio il significato di

maestro, che in fin dei conti è quello più rispondente al termine latino); volendo fan-

tasticare, potremmo aggiungere l’idea che Garzo possa aver conosciuto il già citato fra’

Giunta Bevegnati, trasferito da Cortona a Siena per sette anni, e che quest’ultimo,

nell’intenzione di fondare una confraternita di laudesi a Cortona (dove sarebbe dovu-

to ritornare nel 1297), abbia affidato a lui il compito della compilazione del manoscrit-

to, che sarebbe poi servito per l’apprendimento e lo studio delle laude da parte degli

appartenenti al nuovo sodalizio.

Chiesa di S. Francesco a Cortona

16
CAPITOLO SECONDO

Struttura delle laude e ipotesi sulla prassi esecutiva

Nella seguente tabella è riportata la struttura poetica e melodica di ciascuna lau-

da26 :

LAUDE Struttura poetica Struttura melodica


1) Venite a laudare xxy aa/ay XY AB/XıYı
2) Laude novella xx aa/ax XY XA/BY
3) Ave, donna santissima xx aa/ax XY AB/CD
4) Madonna santa Maria xyzk aaaz ABCD (manca la strofa?)
5) Ave Maria gratïa plena xy aa/ay -
6) Ave, regina glorïosa xy aa/ay XY AY/XY
7) Da ciel venne messo novello xx aa/ax XY XX/AY
8) Altissima luce, col grande splendore xy aa/ay XY AA/XıYı
9) Fami cantar l'amor di la beata xy aa/ay XY XY/XY
10) O Maria, d'omelia xyz aa/abz XYZ AA/XıYıZı
11) Regina sovrana de gram pïetade xy aa/ay XY AA/X(abbreviato) Yı
12) Ave , Dei genitrix xy aa/ay XY AA/BYı
13) O Marïa, Dei cella xx aa/ax XY AB/XıY
14) Ave, vergene gaudente xx aa/ax XY AB/CX
15) O divina virgo, flore xx aa/ax XY AY/XY
16) Salve, salve, virgo pia xx aa/ax XY AB/AC
17) Vergene donçella da Dio amata xx aa/ax XY AB/CD
16) Peccatrice, nominata xx aa/ax XY AA/XıYı
19) Cristo è nato et humanato xyzy abcb/dbey (ababcddy) XYZK ABZK/CDZıKı
20) Glorïa 'n cielo e pace 'n terra xy aa/ay XY AB/CD
21) Stella nuova 'n fra la gente xx aa/ax XY XY/XY
22) Plangiamo quel crudel basciare xx aa/ax XY AB/CD
23) Ben è crudele e spïetoso xyyx abab/bccx XYXY ABAB/XYXY
24) De la crudel morte de Cristo xy aa/ay XY AA/Xı(Y)
25) Dami conforto, Dïo, et alegrança xx aa/ax XY XY/XY
26) Onne homo ad alta voce xx aa/ax XY AB/XıYı
27) Iesù Cristo glorïoso xyyx abab/bccx XYZK ABAB/XYZK
28) Laudamo la resurrectïone xx aa/ax XY AB/AB
29) Spiritu sancto, dolçe amore xx aa/ax XY AA/XıY
30) Spirito sancto glorïoso xx aa/ax XY AB/CD
31) Spirito sancto, dà servire xx aa/ax XY XYı/XY

26
Ho adoperato le indicazioni esponenziali (ad esempio Xı o Yı) solo nei casi in cui le frasi melodiche si
ripresentino sensibilmente variate, oppure identiche, ma ad un’altezza differente. Devo anche dire che,
nel compilare il soprastante schema e nel confrontarlo con quelli già esistenti del Liuzzi e del Terni, ho ri-
scontrato alcune discrepanze, soprattutto per quanto riguarda gli schemi melodici.
17
32) Alta Trinità beata xx aa/ax XY AA/XıY
33) Troppo perde 'l tempo ki ben non t'ama xy abab/aby XY AYAY/BXıYı
34) Stomme allegro et latioso xyyx abab/bccx XYZK ABCD/XYZK
35) Oimè lasso e freddo lo mïo core xxy aa/ay XYZ XX/YZ
36) Chi vole lo mondo desprecçare xx aa/ax XY XA/XY
37) Laudar vollio per amore xx aa/ax XY AA/XY
38) Sïa laudato san Francesco xyz aa/az XYZ XY/XA
39) Ciascun ke fede sente xxy ababab/ccy XYZ ABABAB/XYZ
40) Magdalena degna da laudare xx aa/ax XY AB/CY
41) L'alto prençe archangelo lucente xx aa/ax XY AB/CD
42) Faciamo laude a tutt'i sancti xyxy yaya/yaay (abab/abcy) XYXZ AYAY/AYXZ
43) San Iovanni al mond'è nato xy aa/ay XY AB/XYı
44) Ogn'om canti novel canto xy aa/ay XY AB/CD
45) Amor dolçe senza pare xx aa/ax XY XA/XY
46) Benedicti e˙llaudati xyxy abab/bccy XYZY ABCD/(XYZY)
47) Salutiam divotamente xyzy xaxa/ay XYZK XYXY/ZK

La struttura poetico-melodica della lauda è riconducibile a quella della ballata

profana, per la presenza della tipica distinzione tra ritornello (ripresa) e strofe (stanze).

La stanza di ballata si divide notoriamente in due parti: la prima comprende due mu-

tazioni, di due versi ciascuna e di struttura identica; la seconda, detta volta, funge da

collegamento per il ritorno della ripresa, poiché il suo primo verso rima con il verso

finale delle mutazioni (concatenatio), mentre l’ultimo verso ripete la rima conclusiva

della ripresa.27 Ecco una ballata maggiore di Guido Cavalcanti (1258 ca.–1300) col relati-

vo schema:

Era in pensier d’amor quand’i’ trovai x Ripresa


due foresette nove. y
L'una cantava: «E' piove y
gioco d'amore in noi». x

Era la vista lor tanto soave a Prima mutazione


e tanto queta, cortese e umile, b
ch'i' dissi lor: «Vo' portate la chiave a Seconda mutazione
di ciascuna vertù alta e gentile. b
Deh, foresette, no m'abbiate a vile b Volta
per lo colpo ch'i' porto; c
questo cor mi fu morto c
poi che'n Tolosa fui». x

27
A seconda del numero dei versi che compongono la ripresa, la ballata si distingue in minima, piccola
(entrambe con ripresa di un solo verso),minore (due versi), mezzana (tre o quattro versi) maggiore (quattro
versi) e stravagante (più di quattro versi).
18
Alcune laude sono vere e proprie ballate (nn. 19, 23, 27, 34, 39, 42, 46) e della bal-

lata hanno sostanzialmente anche lo schema melodico fondamentale (XY–ABAB/XY

o XY–ABCD/XY). Tuttavia, gli schemi poetici più frequentemente usati sono quelli

xx-aa/ax e xy-aa/ay, dalla cui analisi emergono alcune particolarità: l’articolazione in

ritornello e strofe tipica della ballata viene rispettata, ma la struttura della strofa è di-

versa, poiché non vi sono mutazioni vere e proprie, bensì quattro versi, di cui tre

hanno la stessa rima, mentre l’ultimo riprende quello finale della ripresa. In base a

questa proprietà, si suole distinguere la ballata vera e propria dalla cosiddetta

lauda–ballata, caratterizzata appunto dallo schema xx-aa/ax oppure xy-aa/ay; tale sche-

ma è anche detto strofe zagialesca, da zagial o zejel, antica forma metrica arabo-anda-

lusa, inseritasi in ambito latino dal medioevo in poi. Lo studioso Clemente Terni ha

da tempo ipotizzato una diretta derivazione della lauda dallo zagial; nel suo volume

sul Laudario di Cortona,28 troviamo l’esempio di uno zagial di Abulhasàn ben Salem,

tratto dal manoscritto 80 della biblioteca nazionale di Madrid:

x Biguad Raya (Matla)


y Ajla adar atasab

a Ama tarah mofza (Markaz)


a Mitlo-sahab almorza
a Bir-rud ad mochza
x Saca Raya (Kufl)
y Min safu ma-ssahab.

b Alaih hits el modama (Markaz)


b Undor fi sacl lama
b Jaf-ar-riad hemama
x Facam jataya (Kufl)
y Madat lo cal harab.

Ecc…

28
CLEMENTE TERNI, Laudario di Cortona , edizione a cura del Centro italiano di studi sull’alto medioe-
vo, Spoleto 1992, pag. LXXII.
19
La somiglianza con gli schemi poetici delle laude è evidente (benché non perfet-

ta, visto che nella strofa dello zagial vengono riprese entrambe le rime della ripresa,

anziché una sola). Pur non disponendo di melodie arabe zagialesche, il Terni suppone

la stessa derivazione anche dal lato musicale e cerca di dimostrarla facendo riferimen-

to al villancico spagnolo, che costituirebbe la continuazione più fedele nel tempo del-

lo zagial: alcuni villancicos del Cancionero de los siglos XV- XVI sarebbero, secondo la

sua ipotesi, autentici zagial rielaborati in forma polifonica. Egli ne riporta uno (Si la

noche es temorosa) avente la seguente struttura:

VILLANCICO
O

STRUTTURA POETICA STRUTTURA MUSICALE


x Estribillo X
y (coro) Y

a Mudanza A
a (solista) A
a Vuelta X
y (coro) Y

Come si vede, nel villancico, la stessa melodia dell’estribillo viene applicata

identica, o appena variata, alla vuelta; di conseguenza, tra la volta poetica e quella

musicale esiste un evidente rapporto di asimmetria.29 Diciotto laude cortonesi su qua-

rantasei (nn. 13, 23, 24, 25, 27, 29, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 39, 42, 43, 45, 46, 47) avrebbero la

stessa organizzazione poetico-musicale, il che dimostrerebbe la loro netta derivazione

dallo zagial.

Volendo giustificare l’avvenuta compenetrazione delle forme zagialesche con

quelle del genere liturgico (il cui influsso nelle laude sarebbe riscontrabile nel ritmo
29
Una delle forme in cui ricorre spesso identità perfetta tra volta poetica e musicale è il virelai dei tro-
vieri francesi, il cui schema più frequente, sia poetico che melodico, è AB per la ripresa, CC per le muta-
zioni e di nuovo AB per la volta. Lo studioso Friedrich Ludwig avanzò l’ipotesi di un avvicinamento degli
schemi della lauda a quelli del virelai, ma già il Liuzzi mise in evidenza che una delle differenze mag-
giori tra le due forme era proprio l’asimmetria tra volta poetica e volta musicale. Inoltre nel virelai le
due mutazioni hanno melodia identica, mentre tale caratteristica, di derivazione sequenziale, si riscontra
in meno della metà delle laude.
20
libero delle melodie) il Terni riporta anche l’esempio di un conductus in latino del se-

colo XII, Cedit frigus hiemale, recante uno schema affine ai precedenti

(xxy–xxxxy/XYZ–AAXYZ) e afferma che molte composizioni simili si diffusero dai

monasteri di Ripoll e Montserrat, «dove ebbe il suo massimo sviluppo quel movi-

mento culturale promosso nel periodo della Reconquista dal colto abate Bernardo

dell’Ordine di Cluny in Sahagùn». Secondo il suo parere «le scuole poetiche di detti

monasteri, volendo nuovamente introdurre l’uso del latino come mezzo di riconqui-

sta al Cristianesimo, si sarebbero valse di schemi strofici e melodie arabe, costruendo

su di essi composizioni latine, sì che queste, grazie a tale espediente, venissero più fa-

cilmente assimilate dal popolo, che già conosceva tali schemi strofici e tali melodie.

D’altra parte l’influsso dei monasteri di Ripoll e di Montserrat fu grande anche fuori

di Spagna, per esempio su S. Marziale di Limoges e Fleury sur Loire. Niente vieta di

pensare che tale influenza giungesse fino in Italia soprattutto attraverso i rapporti che

la Catalogna aveva con Genova e con Pisa».30

Stabilito l’insieme delle laude a schema zagialesco, Terni suddivide il resto del re-

pertorio in laude a forma innodica (soltanto la n∞ 4), ritornellata (nn. 8, 10, 11, 16, 17,

18, 20, 26, 38, 44), litaniatica (nn. 6, 9, 15, 19, 21, 28) e responsoriale (nn. 1, 2, 3, 7, 12, 14,

22, 30, 33, 40, 41), indicando per ciascun genere le rispettive modalità di esecuzione dal

punto di vista formale: esclusa la lauda n∞ 4, a forma innodica, da eseguirsi col coro

diviso in due gruppi che cantano a turno le varie strofe fino alla fine, egli basa tutte le

altre sull’alternanza tra un cantor, cioè un solista, e il coro. Nelle laude a forma zéjele-

sca il coro intona la ripresa, il solista canta le mutazioni, e il coro riprende con la vol-

ta; viene eliminata la ripetizione della ripresa tra una strofa e l’altra poiché, come ab-

biamo già visto, la volta di ciascuna strofa ha la stessa identica melodia e il Terni ritie-

ne inutile ripeterla due volte di seguito. In quelle a forma litaniatica, cantor e coro in-

tonano un verso ciascuno, alternandosi così fino alla fine. Nelle laude a forma re-

sponsoriale, invece, il cantor intona il primo verso della ripresa, che viene conclusa

dal coro; il cantor prosegue con le mutazioni e metà della volta e il coro canta l’altra

metà; anche qui viene eliminata la ripresa tra una strofa e l’altra. Infine, nelle laude a
30
CLEMENTE TERNI, op. cit., pag. LXXII.
21
forma ritornellata, il coro canta la ripresa e il cantor l’intera strofa; stavolta la ripresa

viene intercalata regolarmente tra una strofa e l’altra, «per una ragione puramente

musicale e non metrica. E dicendo ragione di carattere musicale o melodico non in-

tendo riferirmi solamente alla necessità di ristabilire il modo o tono iniziale attraver-

so la ripetizione dell’estribillo quando la strofa, compresa la vuelta, è in modo o tono

diverso, ma anche a quando la strofa (si intende la strofa musicale), incorporando la

vuelta, termina in posizione di moto od ha carattere di sospensione».31

L’ipotesi del Terni è senza dubbio affascinante, ma lascia un pò perplessi per la sua

ricercatezza; come già ha osservato Giulio Cattin, il punto più debole, è «l’obbligo di

procedere a un confronto mediato dal villancico»32 , preso nella sua forma del quindi-

cesimo secolo, ovvero ben due secoli dopo il periodo di maggior diffusione delle lau-

de. Comunque, il modello esecutivo proposto dal Terni per le laude zagialesche si

pone parzialmente in linea con quello già suggerito a suo tempo dal Liuzzi, sulla base

di ragioni esclusivamente musicali: nelle laude che presentano perfetta identità melo-

dica tra ripresa e volta è senz’altro inutile, «anzi dannoso all’economia melodica com-

plessiva, l’insistere immediato e ostinato nello stesso motivo»,33 ovvero la ripetizione

della ripresa dopo ogni stanza.

Sul problema formale si è pronunciato anche Agostino Ziino, che dopo aver ri-

scontrato l’estrema varietà di sfumature e varianti strutturali delle laude cortonesi, si

astiene da una classificazione per schemi come quella del Terni e, assegnando alla teo-

ria araba il valore di pura ipotesi, preferisce ricondurre le origini poetico-musicali del-

la lauda alla ballata popolare; 34 in più, a seguito di numerosi raffronti da lui operati tra

laude e altri tipi di composizioni paraliturgiche mediolatine, sottolinea la forte possi-

bilità di influssi provenienti dal repertorio delle sequenze. 35 Ziino assegna alle laude

una natura responsoriale, come quella della ballata: a suo parere, la volta ha una fun-

31
CLEMENTE TERNI, op. cit., pag. LXVIII.
32
G. CATTIN, Le melodie cortonesi: acquisizioni critiche e problemi aperti, in Laude cortonesi dal secolo
XIII al XV, op. cit., vol I, tomo II, pag. 499.
33
FERNANDO LIUZZI, op. cit., vol. I, p. 41.
34
AGOSTINO ZIINO, Strutture strofiche nel laudario di Cortona, Palermo, Lo Monaco 1968, volume con
appendice separata.
35
AGOSTINO ZIINO, Testi religiosi medioevali in notazione mensurale, nel vol. L’«Ars nova» italiana
del Trecento, IV, Certaldo, Edizioni Centro di Studi... 1978, pp. 447-491.
22
zione sostanzialmente musicale, poiché ripetendo parzialmente o interamente le

rime e la musica della ripresa, ne prepara il ritorno, indicando al coro il momento in

cui deve essere cantata. Perciò suggerisce, per tutte le laude, un’esecuzione fondata

sull’alternanza di solista e coro, articolata nel modo seguente: ripresa (solista) - ripresa

(coro) - stanza (solista) - ripresa (coro) ecc…

Secondo me, la sostanziale asimmetria esistente tra testo e melodia nella gran parte

dei componimenti lascia presumere che molte laude siano contrafacta, ovvero melo-

die liturgiche e profane preesistenti, adattate a testi nuovi. Di tale procedimento, assai

diffuso nel tredicesimo secolo, troviamo un esempio esplicito all’interno dello stesso

codice cortonese: la lauda n∞ 11 (Regina sovrana, de gran pïetade) è un contrafactum

della n∞ 8 (Altissima luce col grande splendore), la cui melodia viene conformata, con

evidenti cambiamenti, alla diversa struttura del nuovo testo. E proprio in base a que-

sta ipotesi si potrebbe spiegare la grande varietà strutturale melodica che contraddi-

stingue le laude con testi zagialeschi: l’adeguamento di una melodia preesistente ad

un testo nuovo avrà costretto l’adattatore a operare numerosi tagli, aggiunte o mani-

polazioni, effettuati secondo il proprio gusto musicale; di conseguenza, la nuova

struttura melodica sarà risultata o ridotta o ampliata rispetto all’originaria, e a volte,

meno regolare e simmetrica. Certo sarebbe impossibile ricostruire le varie derivazio-

ni, ma si può tentare di ipotizzarne qualcuna: la lauda n∞ 28, ad esempio, potrebbe es-

sere la melodia di una ballata a cui è stata eliminata la volta [XY-ABAB/(XY)]; nelle

laude con schema XY–AB/XY potrebbe invece mancare una delle due mutazioni

[XY–AB(AB)/XY]; o ancora, certe frasi potrebbero essere state utilizzate o ripetute più

di una volta, a discapito di altre meno interessanti, oppure messe in un ordine diffe-

rente da quello originale; ciò spiegherebbe la stranezza di schemi come quello della

n∞ 2 (XY–XA/BY), della n∞ 7 (XY–XX/AY) e di molte altre.

Dunque non si può escludere la probabilità che molti testi zagialeschi siano nati

autonomamente; dimodoché la loro struttura potrebbe derivare da un’intenzione

premeditata e ben precisa dei laudesi, volta a facilitare l’apprendimento dei canti an-

che al popolo: all’adozione del verso base ottonario, che per il suo carattere ritmico e

23
cadenzato era spesso utilizzato nei componimenti a larga diffusione, potrebbe essersi

affiancato l’uso dello schema strofico aaax, semplice e facilmente memorizzabile. In

fondo, lo stesso schema è sostanzialmente avvicinabile alla lassa monorima delle

narrazioni epico-cavalleresche, che i cantastorie girovaghi diffusero con grande suc-

cesso nelle piazze e nei sagrati delle chiese cittadine già a partire dal dodicesimo seco-

lo.36

Per quanto riguarda il problema esecutivo delle laude, nessuna ricostruzione di

presunte prassi originarie potrà mai essere avvalorata con sicurezza. Bisogna infatti

considerare quanta importanza avesse, in tutta la monodia medioevale, il fattore co-

stante dell’improvvisazione: il testo musicale in notazione neumatica non era altro

che un punto di riferimento per la memoria, una traccia sulla quale si potevano porre

abbellimenti, suscettibile di cambiamenti melodici e formali dettati dal gusto degli

esecutori o dalle esigenze del caso. Dimodoché l’esecuzione delle laude poteva sensi-

bilmente variare da un esecutore all’altro, o da un ambiente all’altro; basti osservare la

differenza tra le versioni di stessi componimenti, presenti sia nel codice cortonese che

in quello Magliabechiano. A questo bisogna aggiungere la diversità delle situazioni,

come la presenza o l’assenza di strumenti musicali, la necessità di cantare all’interno

di sacre rappresentazioni o processioni religiose, l’ispirazione momentanea degli ese-

cutori; tutti fattori che avranno certamente influenzato, volta per volta, l’aspetto for-

male delle laude. È probabile, ad esempio, che si decidesse di assegnare alcune parti

della melodia agli uomini, altre alle donne, oppure di alternare gruppi di due o tre

strofe alla ripetizione della ripresa e altre cose del genere. In fondo, se le confraternite

di laudesi ebbero come scopo fondamentale quello di cantare laude in maniera tecni-

camente più perfetta e raffinata, l’importanza da esse conferita all’aspetto musicale

dell’esecuzione sarà stata tale da consentirgli il passaggio attraverso esperienze sempre

nuove e diverse.

Dunque le prassi esecutive delle laude furono certamente più di una, e la loro labo-

riosa ricostruzione dovrebbe tenere conto di molti fattori. Tuttavia, limitandosi a con-

36
Non dobbiamo dimenticare che certe laude, soprattutto quelle del gruppo centrale, hanno un carattere
spiccatamente narrativo e a volte quasi dialogico (come nel caso della n∞ 27).
24
siderare un’esecuzione vocale, a prescindere da possibili, anzi probabili presenze stru-

mentali, si potrebbe ipotizzare un modulo esecutivo musicalmente funzionale, desu-

mendolo esclusivamente dalla struttura melodica dei componimenti. Nel tentare

questo, dividerò le laude in tre gruppi fondamentali: il primo comprende tutti quei

componimenti (in verità la maggior parte) con la volta melodica differente dalla ri-

presa (Es: XY–AB/CD), o uguale solo nell’ultima frase (Es: XY–AB/CY), per i quali la

regolare intercalazione della ripresa (affidata al coro) alle strofe (eseguite dal solista)

mi sembra la soluzione migliore (laude nn. 1, 2, 3, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 16, 17, 18, 19,

20, 22, 24, 26, 28, 29, 30, 32, 33, 38, 40, 41, 42, 43, 44, 47). L’idea del Terni di eseguire le

laude con schema XY–AB/CY (o simili) eliminando la ripresa e affidando al coro solo

l’ultima frase della strofa (Y) è forse un pò riduttiva per la funzione del coro stesso;

inoltre, la prima frase della ripresa (che è spesso quella più interessante) dovrebbe es-

sere eseguita soltanto all’inizio per poi scomparire definitivamente, dimodoché la

lauda perderebbe parte della sua ricchezza melodica, inclinando verso una monotonia

certamente evitabile. Accolgo dunque l’ipotesi di Ziino, che giustifica il ritorno della

rima e della frase melodica finale della ripresa nella fine della strofa con la necessità di

indicare al coro il momento in cui la ripresa stessa deve essere ripetuta. Questo modu-

lo esecutivo, a mio parere, non contrasta con la presenza dell’artificio delle coblas cap-

finidas, secondo il quale la prima parola di ogni strofa è la stessa con cui termina la

strofa precedente; la presupposta continuità tra una strofa e l’altra è garantita dal tim-

bro della voce solista, che scompare e riappare proprio alla fine e all’inizio di ciascuna

strofa.

Le laude del secondo gruppo sono invece quelle che presentano perfetta identità

melodica tra ripresa e volta (nn. 23, 27, 31, 34, 35, 36, 37, 39, 45, 46); condividendo il già

citato suggerimento del Liuzzi (vedi pag. 22) ritengo preferibile non ripetere la ripresa

tra le varie strofe e affidare la volta al coro.

Nell’ultimo gruppo (laude nn. 6, 9, 15, 21, 25), i componimenti hanno struttura

melodica esplicitamente litaniatica (XY–XY/XY oppure XY–AY/XY); l’esecuzione più

indicata mi pare dunque quella prescritta dal Terni, in base alla quale le frasi dispari

25
(X o A) vengono assegnate al solista e quelle pari (Y) al coro.37

Per la lauda n∞ 4, costituita da un solo periodo musicale a forma innodica, si po-

trebbero adottare, sia la canonica alternanza tra solista e coro, sia un’esecuzione antifo-

nica tra voci maschili e femminili. 38 In questa lauda, così come in quelle del primo e

del secondo gruppo, si rende necessaria l’intonazione del solista, che può cantare l’in-

tera ripresa prima del coro, oppure solo la frase iniziale, qualora la ripresa sia costitui-

ta da più di due frasi.

37
Inspiegabilmente, il Terni non include in questo gruppo la lauda n∞ 25; vi inserisce invece le nn. 19 e 28,
che a mio parere non dovrebbero figurarvi.
38
È molto probabile che l’originaria esecuzione processionale di questa lauda da parte dei Disciplinati,
prevedesse la regolare alternanza tra solista e popolo; il popolo avrà cantato solo le parole della ripresa,
poiché è impensabile che conoscesse a memoria quelle delle altre strofe, dando così luogo ad un’esecuzione
poeticamente ritornellata, ma musicalmente innodica.
26
CAPITOLO TERZO

Il problema della trascrizione

La notazione corale romana del laudario cortonese si avvale dei seguenti neumi:

punctum ; virga ; longa o duplex longa ; plica ; pes o podatus ; cli-

vis ; torculus ; porrectus ; scandicus ; climacus . Tale notazio-

ne indica con precisione l’altezza delle note, ma non consente di stabilirne l’eventuale

valore. Dico eventuale, perché il problema più difficile da risolvere per una trascrizio-

ne in grafia musicale moderna delle laude (come degli altri canti monodici medioeva-

li su testi in volgare) sta proprio in questo: la monodia medioevale non liturgica, deve

ritenersi completamente estranea agli schemi ritmicamente scanditi tipici della musi-

ca mensurale? E in caso negativo, come risalire ad essi? Da sempre gli studiosi hanno

cercato di fare chiarezza, effettuando ricerche e proponendo le proprie chiavi di lettura

nel tentativo comune di restituire la perduta identità alle antiche melodie, ma i dubbi

più assillanti rimangono tuttora irrisolti.

Sin dal diciottesimo secolo si pensò che le figure semplici della notazione corale

(virga, punto, rombo, rombo caudato) corrispondessero ai valori fissi di lunga, breve,

s e m i b r e v e e minima, secondo un sistema di suddivisione binaria identico a quello

moderno: una lunga = due brevi, una breve = due semibrevi ecc... ; questa teoria fu so-

stenuta e divulgata dai massimi studiosi del tempo (De la Ravalière, 1742; De Laborde,

1780; Burney, 1782; Forkel, 1801). Verso il 1830, il musicologo francese François Louis

Perne adottava ancora più rigidamente questo tipo di concezione; tuttavia, rifacendosi

alle regole dell’Ars cantus mensurabilis di Francone da Colonia (metà secolo tredicesi-

mo), dava preferenza, per le sue trascrizioni, ai tempi ternari (3/8 o 3/4). A lui si op-

posero decisamente molti studiosi successivi (Kiesewetter, Fischer, Schmidt, Stade,

Ambros, De Coussemaker, Riemann e Bäumker), che preferirono riavvicinarsi alle

prime interpretazioni settecentesche, pur ammettendone l’incertezza. Questi primi

metodi di trascrizione ebbero risultati pratici perlopiù infelici, poiché danneggiarono

27
molto spesso la naturalezza del canto e il fluire del metro poetico.

Idee innovatrici furono introdotte dal Fischer, il quale, nel trascrivere alcune me-

lodie tedesche contenute nel manoscritto di Jena (secolo quattordicesimo) constatò

che, ad indicare le note semplici, era stata usata esclusivamente la virga; la trascrizio-

ne di quest’ultima col valore di longa avrebbe causato un’estrema rigidità di pronun-

cia, il che lo spinse a negare quella corrispondenza fissa e ad interpretare l’uso della

virga come indice di un ritmo più “discorsivo”, più elastico, del tutto affine a quello

gregoriano. A questo principio si associarono senza esitazione Ambros e Fétis: il pri-

mo ne estese l’applicazione a tutta la lirica dei Minnesänger tedeschi, il secondo anche

a quella dei trovatori e trovieri francesi; tutta la monodia medioevale venne dunque

svincolata dai canoni del mensuralismo.

Le reazioni non tardarono a manifestarsi: pur condividendo il presupposto del Fi-

scher, secondo il quale ai segni della notazione corale monodica non poteva attribuirsi

alcun significato mensurale, molti studiosi rifiutarono l’ipotesi del ritmo libero grego-

riano, sostenendo che l’originaria struttura delle melodie doveva essere ricostruita

con altri mezzi. Un metodo largamente utilizzato all’inizio del nostro secolo

(soprattutto nel repertorio francese) fu quello basato sull’applicazione dei modi ritmi-

ci,39 ma dette luogo a risultati che sono stati posti in dubbio, perché è sembrata eccessi-

va l’estensione di una notazione nata per la polifonia ai repertori monodici. Si comin-

ciò allora a pensare che l’elemento più valido per risalire al ritmo delle melodie non

poteva essere uno schema precostituito, ma qualcosa di più connaturato con la melo-

dia stessa, ovvero il metro poetico. Sulla base di questo principio il tedesco Hugo Rie-

mann elaborò una nuova teoria, detta della Vierhebigkeit (quaternarietà), secondo la

quale una melodia tendenzialmente sillabica poteva facilmente ricondursi a uno

schema di quattro misure di due tempi, dove accenti ritmici del verso e tempi forti

della battuta musicale potessero coincidere tra loro. La teoria fu condivisa e applicata

più o meno liberamente da molti altri studiosi dell’epoca, tra i quali Runge, Bernoulli,

Saran, Wolf e Ludwig.

39
Schemi ritmici ternari derivati dai piedi della poesia greca e latina (trocheo, giambo, dattilo ecc...),
nati in seguito allo sviluppo della polifonia per consentire l’andamento misurato e simultaneo delle voci.
28
Friedrich Ludwig fu il primo ad interessarsi in modo più approfondito dei reperto-

ri laudistici italiani (fino allora quasi sconosciuti), trascrivendo due laude cortonesi

secondo il criterio del Riemann (Gloria ‘n cielo e pace ‘n terra e Stella nova ‘n fra la

gente).40 Le sue pubblicazioni precorsero di poco l’edizione del lavoro monumentale di

Fernando Liuzzi, 41 contenente il facsimile dei due laudari musicati (cortonese e fio-

rentino) con relative trascrizioni, nonché un ampio studio introduttivo sui vari

aspetti della materia. L’opera rappresenta ancora oggi un punto di riferimento fonda-

mentale in questo campo; all’autore spetta infatti il merito di aver affrontato ex novo

un gran numero di problemi, e di aver presentato la trascrizione delle laude insieme

alla riproduzione fotografica del manoscritto originale, compiendo un atto di lealtà e

aprendo il cammino ad ulteriori ricerche. Il Liuzzi condivide in pieno la teoria della

Vierhebigkeit, e la applica abbastanza rigorosamente nelle sue trascrizioni: dopo aver

osservato che il verso più semplice e comune nelle laude è l’ottonario piano, con gli

accenti sulle sillabe dispari (1, 3, 5 e 7), ne definisce il ritmo musicale interno, regolare

e scandito, schematizzandolo simmetricamente in quattro battute di due tempi ciascu-

na:

1 2 3 4
O di- vi- na vir- go, flo- re
1 2 3 4 5 6 7 8

Ad ogni sillaba deve dunque corrispondere un tempo di battuta. Assegnando a cia-

scun tempo il valore di un quarto 42 il Liuzzi procede alla trascrizione in notazione

moderna, aggiustando gli eventuali melismi all’interno di un unico tempo:

40
FR. LUDWIG, Die geistliche nichtliturgische, weltliche einstimmige und die mehrstimmige Musik des
Mittelalters..., in Handbuch der Musikgeschichte, Francoforte, Guido Adler 1924, pp. 179-180; più nota la
seconda edizione: Berlino, M. Hesse 1930, I, pp. 211-212.
41
FERNANDO LIUZZI, op. cit..
42
Nella propria versione il Ludwig preferì usare le minime anziché le semiminime.
29
3

&œ œ œ œ œ bœ œœœœ œ œ œ œ
œ œ œ œ œ
O di - vi - na vir - go, flo - re au - lo - ri - ta - d'o - gne au - lo - re

Nel caso di ipermetrie, ipometrie o spostamento di accenti in altre sedi sillabiche,

lo schema quaternario viene mantenuto grazie alla contrazione o estensione metrica

di note poste su sillabe atone, o con l’aggiunta di anacrusi. Raramente, viene impiega-

to il ritmo ternario, anziché binario (come nel caso di Ave, donna santissima o di Al-

tissima luce), per donare maggior scorrevolezza e naturalezza alla melodia, ma sem-

pre rispettando l’organizzazione di quattro misure.

Sui risultati pratici di questo metodo si sono pronunciati vari esperti, molti dei

quali, pur riconoscendo l’importanza del lavoro del Liuzzi, hanno suggerito sistemi di

trascrizione meno rigidi: in effetti lo schema quaternario può presentare forzature,

soprattutto nei confronti di melodie alquanto fiorite. Lo studioso contemporaneo

Giulio Cattin, autore di un celebre saggio sulle melodie cortonesi, riassume così l’opi-

nione generale dei vari musicologi: «annotiamo l’unanime riconoscimento che la

trascrizione del Liuzzi conduce ad esiti accettabili e perfino esteticamente perspicui nel

caso di melodie sillabiche; il risultato non è più tale nelle melodie ornate o, tanto peg-

gio, melismatiche, per le quali lo schema delle quattro misure binarie diviene un rigi-

dissimo letto di Procuste, ove le note delle ligaturae si assiepano in innaturali ed ine-

seguibili valori».43

Le prime recensioni significative sul lavoro del Liuzzi furono quelle di due musi-

cologi, lo svizzero Jacques Handschin44 e la francese Yvonne Rokset.45 Il primo resta so-

stanzialmente in linea con la teoria della Vierhebigkeit, accentrando l’attenzione su

certi schemi metrico-ritmici quantitativi della poesia classica (saffici, asclepiadei ecc...)
43
G. CATTIN, Le melodie cortonesi: acquisizioni critiche e problemi aperti, in Laude cortonesi dal secolo
XIII al XV , a cura di GIORGIO VARANINI, LUIGI BANFI e ANNA CERUTI BURGIO, Firenze, Leo S.
Olschki Editore 1981, vol I, tomo II, p. 487. Il saggio contiene un’importante rassegna delle ipotesi formu-
late sull’argomento e un’analisi critica dei vari metodi di trascrizione proposti negli ultimi anni come al-
ternativa a quello del Liuzzi.
44
J. HANDSCHIN, Über die Laude - a propos d’un livre recent, «Acta Musicologica», X, 1938, pp. 14-31.
45
Y. ROKSETH, Les laude et leur édition par M. Liuzzi, «Romania», LXV, 1939, pp. 383-394.
30
da tenere presenti nell’individuazione del ritmo musicale del verso; sostiene inoltre

la necessità formale di intercalare costantemente la ripresa alle varie stanze. La secon-

da condivide in linea di massima il principio dell’uguaglianza sillabica nell’ottonario,

ma mette in primo piano il rispetto dell’identità ritmica dei temi a ritorno periodico,

subordinando a questo tutti gli altri fattori di interpretazione; il Liuzzi aveva preferito

mantenere la coincidenza tra sillabe toniche dei versi e tempi forti delle battute musi-

cali ed era stato costretto a trascrivere frasi melodicamente identiche con ritmiche

sempre diverse. La Rokseth non ammette questa scelta, sostenendo che «il ritorno dei

temi musicali è quasi il solo fatto costante nella struttura delle laude».

Un diverso metodo di trascrizione fu proposto dallo spagnolo Higinio Anglés, che,

dopo essersi interessato di laude a più riprese, condensò il suo pensiero in un saggio

apparso nel 1968.46 A suo parere la notazione dei laudari costituirebbe la transizione da

quella gregoriana a valori indeterminati a quella dei modi ritmici e sarebbe mensura-

le, data la sua somiglianza con la notazione evoluta di una sessantina di Cantigas spa-

gnole; cosicché assegna valori fissi a figure e ligaturae, secondo un criterio molto sem-

plice: nota singola = un tempo (ovvero un quarto), ligatura binaria = un tempo

(diviso in due ottavi), ternaria = un tempo (una terzina di ottavi), quaternaria = due

tempi (quattro ottavi), quinaria = due tempi (il primo composto da una terzina di ot-

tavi, il secondo da una duina semplice) e così via. Ne risulta una costante alternanza

di misure binarie e ternarie, che elimina il problema dell’eccessiva riduzione dei va-

lori. Ma il criterio appare troppo semplicistico e i risultati della sua applicazione susci-

tano numerosi dubbi e perplessità.

Al 1957 risale la trascrizione delle melodie francescane da parte di Giorgio Canuto,47

il cui scopo non filologico fu esclusivamente quello di restituire le melodie al popolo

per un utilizzo pratico all’interno della liturgia. Giudicando ineseguibili le trascrizioni

del Liuzzi egli preferisce affidarsi al ritmo libero; di conseguenza appone gli ictus sole-

smensi, ma cede alla tentazione di usare note lunghe e lo fa in base a scelte di gusto

46
HIGINIO ANGLÉS, The musical Notation and Rhythm of the italian Laude, in Essays in Musicology: A
Birthday offering for Willi Apel, Indiana University, H. Tischler 1968, pp. 51-60.
47
42 Laudi Francescane dal laudario cortonese del XIII secolo, trascritte da G. Canuto, armonizzate da N.
Praglia, Roma, N. Praglia 1957.
31
del tutto arbitrarie e ingiustificate (addirittura su sillabe atone); alcune laude, poi, sono

inspiegabilmente trascritte in versione mensurale. Ne deriva una sorta di

“arrangiamento moderno”, che induce a criticare la natura stessa dell’intento; l’ac-

compagnamento d’organo (troppo pieno di armonie e perciò invadente) e le numero-

se modifiche testuali (il popolo non poteva certo cantare nella lingua del duecento)

non fanno che allontanare le laude dalla propria origine.

Una trascrizione simile nella finalità, ma condotta con criteri mensurali, era già

apparsa nel 1936 a cura di Nicola Garzi:48 in essa, valori di semiminime e crome ven-

gono rispettivamente assegnati a sillabe toniche e atone, mentre i gruppi neumatici

sono trascritti in crome (anche terzine). Il metodo, come d’altronde quello del Liuzzi,

non consente l’adattamento della stessa melodia alle varie strofe, poiché la posizione

degli accenti tonici delle sillabe varia inevitabilmente a seconda della natura del ver-

so.

Senza dubbio più interessante è l’ipotesi interpretativa di Raffaello Monterosso,

espressa ampiamente in un suo saggio del 1960: 49 egli esclude un adattamento delle

melodie laudistiche al ritmo libero, riscontrando in esse «una struttura architettonica-

mente moderna di domande e risposte, di antecedente e conseguente» che ne risulte-

rebbe danneggiata, e sottolineando la loro destinazione a testi poetici e non prosastici;

condivide il concetto di partenza del Liuzzi, ovvero che solo il ritmo del testo può

suggerire quello della melodia, ma rifiuta lo schema coercitivo delle quattro battute

binarie, subordinato al principio della corrispondenza fissa tra tempi forti e sillabe to-

niche. Suggerisce invece di partire dall’analisi dei singoli “piedi” del verso, che, a cau-

sa dell’anisosillabismo,50 possono essere di varia natura (dattili, giambi ecc.); essi sono

organizzati in base ad un unico elemento, ovvero la sillaba, che perciò viene elevata a

unità di misura musicale. Così, «se a una sillaba corrisponde una sola nota, questa

dura quanto la sillaba stessa; ma se più note si accompagnano alla sillaba, esse riduco-
48
Le laude del laudario cortonese secondo la trascrizione in musica figurata dell’acc. Can. Don NICOLA
GARZI, in Accademia Etrusca di Cortona - Secondo Annuario 1935 , Roma, Stab. Tip. Risorgimento 1936,
pp. 11-36.
49
RAFFAELLO MONTEROSSO, Il linguaggio musicale della lauda dugentesca, in AA.VV., Il movimento
dei Disciplinati nel Settimo Centenario del suo inizio (Perugia 1260) , in appendice al «Bollettino della
Deputazione di Storia patria per l’Umbria», 9, Perugia 1962, pp. 476-494.
50
La presenza, all’interno di un testo omoritmico, di versi di misura differente.
32
no proporzionalmente la loro durata per uniformarsi, entro limiti non assolutamente

rigidi, al tempo base della sillaba». I problemi relativi alle irregolarità dei versi vengo-

no dunque eliminati e ad ogni piede viene adattata una battuta propria, dotata di un

suo tempo forte e di uno o due deboli; il risultato è quello di una morbida declama-

zione, arricchita qua e là da abbellimenti. Rimane purtoppo irrisolto l’inconveniente

dell’eccessiva contrazione dei melismi, già riscontrato nella trascrizione del Liuzzi.

Inoltre non è detto che tutti i melismi siano abbellimenti, ovvero che le loro note sin-

gole debbano avere un valore sempre e obbligatoriamente inferiore a quello della nota

assegnata a una sola sillaba. Il Monterosso si limitò a teorizzare il criterio, mentre la

sua rigorosa attuazione pratica fu effettuata da Piero Damilano nella trascrizione di tre

laude.51

Rispondente ai criteri di interpretazione del canto gregoriano è la trascrizione di

Pellegrino Ernetti:52 egli sostiene che la scrittura neumatica del codice «è strettamente

quella quadrata romana gregoriana con tutte le caratteristiche dei codici gregoriani

graduali, antifonali, responsoriali dell’epoca del Laudario Cortonese. Qualora pertanto

si dovessero trascrivere queste laude in forma metrica, ovviamente bisognerebbe tra-

scrivere in altrettanto simile metrica tutti i suddetti brani gregoriani: cosa assoluta-

mente assurda!». La calorosa affermazione si concretizza nel rigoroso rispetto dell’iso-

cronia delle note, escludendo anche gli episemi.

Più recente è il già citato lavoro di Clemente Terni, nel quale, assieme alla trascri-

zione “semidiplomatica” (sono indicate solo le altezze delle note) ve n’è una per con-

certo, organizzata in base al modulo esecutivo-formale da lui postulato. Il Terni so-

stiene che le melodie devono essere interpretate «in ritmo libero nella accezione ac-

centualista e solesmense, e non in quella mensuralista» e dedica ampio spazio a una

vasta serie di disquisizioni, la cui notevole complessità richiede, ai fini di una totale e

non sempre facile comprensione, un diretta consultazione del volume.

Cito per ultima la trascrizione mensurale di Vincenzo Lucchi,53 che riscontra, nella

51
PIERO DAMILANO, Musica religiosa popolare agli albori della letteratura italiana, «Musica Sacra»
(Milano), anno 81, s. II, 1957, pp. 99-111.
52
PELLEGRINO ERNETTI–LAURA ROSSI LEIDI, Il laudario cortonese n. 91, EDI–PAN, Roma 1980.
53
LUIGI LUCCHI, Il laudario di Cortona, Vicenza, L.I.E.F. 1982.
33
maggior parte delle laude, la presenza di fasi ritmiche già ben definite, in genere a

suddivisione ternaria, come nei due seguenti esempi:

Lauda n∞ 8:

œ
& œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ bœ œ bœ œ œ œ œ œ œ œ
Al - tis - si - ma lu - ce col gran- de splen - do - re, in voi, dol- çea- mo- re, a- giam con - so - lan - ça

Lauda n∞ 31:

& œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ #œ œ œ œ œ œ œ œ #œ œ œ œ
Spi - ri - to san - cto, dà ser - vi - re, dan - n'al co - re de te sen - ti - re!

Tali fasi costituirebbero l’indizio di un fondamentale andamento ritmico ternario,

il cui spontaneo flusso regolare risulta occasionalmente danneggiato dalla presenza di

gruppi di due, quattro o più note; perciò, attribuendo ai laudesi una sensibilità ritmica

tale da permettergli di percepire queste incongruenze, Lucchi suppone l’esistenza di

una consuetudine, in base alla quale i cantori sarebbero stati in grado di contrarre o

espandere istintivamente il valore delle note nei gruppi in eccesso o in difetto, al fine

di ottenere una completa isocronia delle fasi ritmiche:

Lauda n∞ 8:

j j j j j
& 68 œj œj œj œ œ œ œj œj j œ œ œj œj œj œj œ b œJ œJ œJ Jœ œ œ œj œ œ œ œj
œ
Al - tis - si lu - ce col gran- de splen - do- re, in voi, dol
- - çea - mo- re, a- giam con- so - lan - ça

Lauda n∞ 31:

6 œ œ
& 8 J J œJ œ œ œJ œ Jœ œ œ œj œj # œ œ œ œ œ œ œj œj # œj œ œ j
œ
Spi - ri - to san - cto, dà ser - vi - re, dan- n'al co - re de te sen - ti - re!

34
Questo metodo di trascrizione è adottato per la maggior parte delle laude, con l’uso

sistematico dei tempi 3/8 e 6/8. Il risultato musicale è senz’altro accattivante, ma la to-

tale assenza di trascrizioni in ritmo binario lascia un po’ perplessi; in effetti, la ritmica

binaria fu sempre fortemente connaturata alla sensibilità musicale degli italiani, così

come quella ternaria ai francesi. Inoltre, le restanti laude vengono trascritte in ritmo

libero a valori isocroni; Lucchi giustifica questa scelta riconoscendo (suo malgrado) la

scarsa adattabilità di tali melodie al ritmo ternario e sottolineando l’affinità di alcune

di esse con celebri intonazioni gregoriane54 (l’inciso iniziale della lauda 45 ricorda, ad

esempio, quello dell’Ave maris stella gregoriana).

Queste, fino ad ora, le più significative soluzioni proposte per l’interpretazione del-

le melodie cortonesi e della monodia medioevale in volgare. Nonostante le varie edi-

zioni e i numerosi interventi sull’argomento da parte degli studiosi, importanti pro-

blemi sembrano ancora sub judice: le opinioni dei musicologi sono diverse o addirit-

tura contrastanti, e in alcuni casi, piuttosto drastiche. Così, se Liuzzi esagera nell’uso

quasi esclusivo dei ritmi binari e nel rispetto della quadratura del fraseggio, Lucchi fa

lo stesso con quelli ternari, mentre Terni esclude totalmente la possibilità di ritmi

scanditi; forse, l’interpretazione del repertorio laudistico necessita di soluzioni più

elastiche, da valutare, se non caso per caso, almeno per diversi gruppi di profili melo-

dici.

********************************

L’adozione della teoria del ritmo libero gregoriano sembra incontrare seri proble-

mi. A mio avviso va esclusa per i seguenti motivi fondamentali:

1) Da un confronto diretto tra le laude comuni del laudario cortonese e del Maglia-

bechiano fiorentino emerge palesemente, soprattutto nel secondo, la presenza di ab-

bellimenti, da intendere nel senso di “fioriture”, ovvero gruppi di note aggiunti allo

scopo di “ornare” la melodia principale, e non di allungarla e appesantirla inutilmen-

54
A mio parere, il fatto che i laudesi attingessero incisi dal repertorio liturgico non implica che ne mante-
nessero anche il ritmo libero; in fondo, le melodie originali erano basate su testi in latino, mentre i testi
delle laude sono in volgare, lingua tipicamente “accentuativa”, che si presta bene ai ritmi scanditi e rego-
lari.
35
te come i gregorianisti sostengono. Osserviamo, ad esempio, il seguente paragone tra

le due differenti versioni della lauda Ave donna santissima:

Cortonese & œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ Aœ œ œ œ œ œ œ œ
A - ve, don - na san - tis - si - ma, re - gi - na po - ten -

Magliabechiano &œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
A - ve, don - na sanc- tis - si - ma, re - gi - na po - ten -

&œœœœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
tis - si - ma! La ver - tù ce - le - sti - a - le col- la

&œ œ œ œ œ œ œ
œ œ œœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
tis - si - ma! La ver - tù ce - le - sti - a - le col- la

& œ œ œ œ œœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
œ
gra - ti - a su - per - na - le en te, vir - go vir - gi - na -

& œ œ Aœ œ œ œ œ œ Aœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ Aœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
gra tia su - per - na - le in te, - vir - go vir - gi - na -

& œ œ œA œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
œ
le, di - sce - se be - ni - gnis - si - ma.

& œ œ œA œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
œ œ œ œ œ
le, di - sce - se be - ni - gnis - si - ma.

L’interpretazione a valori isocroni renderebbe assai diverse le due melodie: quella

fiorentina, più melismatica, risulterebbe troppo estesa rispetto alla cortonese, tanto da

sembrare sensibilmente differente. In fondo, gli abbellimenti di queste laude non sono

altro che formule melodiche convenzionali, stereotipi melodici che verranno in gran

parte utilizzati nelle composizioni dell’Ars Nova del Trecento, durante la quale assu-

36
meranno fisionomia metrica ben precisa; a mio parere non è da escludere che, già nel

repertorio monodico laudistico e profano (trovatori e trovieri) della fine del Duecen-

to, si eseguissero a valori definiti. Da questo punto di vista, tra le varie trascrizioni dei

laudari, quella del Liuzzi si rivela interessante, poiché molti dei suddetti stereotipi

presentano una veste metrica molto simile a quella che avranno in seguito. Osservia-

mo la lauda magliabechiana Ave donna santissima nella versione del Liuzzi:

4 j œ œ bœ 3 3

&4 œ œ œ œ œ J œ œ œ ‰ œj œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ Œ
œ œ bœ œ œ
A - ve, don - na sanc - tis - si - ma, re - gi - na po - ten - tis - si - ma!

3 3

&œ œ œ œ œ œ œ œ œœ œœ œ œœœœœ œ œ œ œ œ bœ œ œ œ œ œ œ œ
La ver - tù ce - le - sti - a - le col - la gra- tia su - per - na - le

3 3
3

& œ bœ œ œ œ œ œ œbœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
œ
œ bœ œ œ œ œ œ œ œ œ
œ œ
in te, vir - go vir - gi - na - le, di - sce - se be -

&œ œ œ œ œ œ œ œ œ

ni - gnis - si - ma.

La figurazione posta sulle prime sillabe della strofa (la virtù celestïale....) sarà larga-

mente usata durante l’Ars Nova, così come le quartine sulla prima e sulla terza sillaba

della parola virginale, nonché i numerosi gruppi irregolari di terzine, seguite da dui-

ne regolari. Ecco una ballata di Francesco Landino (1335 ca.–1397), dove le suddette fi-

gurazioni appaiono più volte:

37
6 j
3

œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ. œ œ œ Œ œ
1

B 4 ˙. œ œ œ œ œ aœ
Si ti son sta to e vo - gli'es- - ser fe -

B 64 ˙ œ œ œ ˙ œ œ œ aœ
œ œ ˙ œ ˙ œ
Si ti son sta - t'e vo - gli'es - ser fe -

Œ œ œ œ œ œ ˙ ˙. œ œ œ œ œ aœ
4

B ˙ œ œ œ œ œ œ œ w.
de - le, Per -

B ˙ ˙ A˙ ˙. ˙ Aœ w. ˙ ˙ œ œ
de - le, Per -

œ œ œ œ a œ œ Œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ ‰ œj œ œ œ œ
3 3

˙ œ
8 3

B œ
ché non vol - gia pia - ta le tuo' ve -

B ˙ œ œ ˙ ˙ œ œ ˙ ˙ Œ œ œ œ
ché non vol - gia pia - ta le tuo' ve -

Œ œ œ a œ œ œ œ œ ‰ œj œ ‰ œj œ ‰ œj œ ‰ œ œ œ œ œ œ œ a œ
11

B ˙

B ˙ ˙ ˙ ˙ Œaœ ˙ Œ œ œ Œ œ
œ

œ œ œ œ
3

. .. w œœ œœ ˙ œ Œ œ œ œœœœ
B w œ
14

J J œ
le. Cru - da sel - vag - gia don - na bel la - e

.. ˙ ˙ œ œ.
B w. w œ Aœ ˙ œ œ ˙
J
le. Cru - da sel - vag - gia don - na bel - l'e
E non fa - rà tua du - rez - za tal

38
j
Œ œ œœ œ œ œ Ó
18

B ˙ œ œ œ œ œœ œ œ w œ. œ œ œ œ œ œ œ
va - ga? Io

B ˙ ˙ ˙ œ œ œ œ œ œ w Ó ˙ ˙ ˙
va - ga? Io
pia - ga Ch'a

Œ œ œ Œ œ œ œ œ œ aw œ Œ
22

B œ aœ œ œ J J
pur ti vin - ce - rò di lun - ga pro -

B ˙ œ œ bœ œ œ œ œ w œ
˙ œ Œ
pur ti vin - ce - rò di lun - ga pro - va.
ser - vir te mio fe non sie più no - va.

œaœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ ..
25

B aœ w.
va.

B w ˙ ˙ #˙ w. ..
˙

Mi sembra dunque che, sotto questo profilo, il metodo di trascrizione del Liuzzi

possa essere rivalutato. Il principio di corrispondenza tra tempi forti delle battute e ac-

centi ritmici del verso appare senz’altro valido. Il maggior difetto consiste, come già

osservato, nel forzato rispetto dello schema a quattro battute di due tempi, che ha cau-

sato spesso l’eccessiva contrazione dei melismi. Questo problema si potrebbe risolvere

sia con una diversa disposizione dei valori all’interno dello stesso schema quaterna-

rio, sia, nei casi più difficili, con una sua dilatazione a cinque o sei battute. In fondo i

laudesi improvvisavano e una stessa lauda poteva cambiare sensibilmente da un’ese-

cuzione all’altra: varianti e aggiustamenti nelle fioriture saranno stati frequenti. Per-

ciò, anziché avventurarsi in un’ennesima trascrizione delle laude, converrebbe forse

accomodare il lavoro del Liuzzi, che dal punto di vista musicale ha dato risultati tutto

sommato soddisfacenti; in sede di esecuzione, basterà condurre il ritmo con una certa

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elasticità di scansione, soprattutto nel caso di laude molto melismatiche.

Altro problema importante dei laudari è quello delle alterazioni. Con lo sviluppo

della musica ficta (a partire dal Tredicesimo secolo), il sistema esacordale ideato da

Guido D’Arezzo [basato sugli esacordi n a t urale ( u t – r e – m i – f a – s o l – l a ) , durum

(sol–la–si–do–re–mi) e molle (fa–sol–la–si bemolle–do–re)] si arricchì di nuovi esa-

cordi, provocando l’introduzione di nuove alterazioni cromatiche; ad esempio,

nell’esacordo re/si fu posto il fa diesis, cosicché tra la terza e la quarta nota vi fosse

sempre il semitono (re–mi–fa diesis–sol–la–si). Purtoppo per noi, tali alterazioni non

venivano quasi mai scritte. 55 Sappiamo tuttavia che, in genere, le alterazioni veniva-

no utilizzate principalmente in tre casi: per eliminare l’intervallo melodico di tritono

(es.: si bemolle–do–re–mi; il mi diventava bemolle); nelle cadenze conclusive (in pre-

senza di note di volta inferiori, per ridurre la distanza di tono a quella di semitono);

per bellezza (fuit inventa falsa musica causa necessitatis et causa pulchritudinis, ut pa-

tet in cantinellis coronatis) .56 È dunque palese la difficoltà di una sicura ricostruzione

melodica, benché questo problema, in confronto a quello dell’interpretazione ritmica,

si presenti assai meno gravoso.

Un’ultima riflessione va fatta sulla presenza della plica, figura di dubbia trascrizio-

ne; così ce la descrive l’Anonimo di S. Vittore (Dodicesimo secolo): «plica est nota di-

visionis ejusdem soni in gravem et acutum, et debet formari in gutture cum epiglot-
57
to». E ancora, Gerolamo di Moravia, due secoli dopo: «Est autem reverberatio bre-

vissimae notae ante canendam notam anticipatio, qua scilicet mediante sequens assu-

mitur. Flores subitas non alia quam plica longa, inter quam et immediate sequentem

note brevissime ponuntur ob armonice decorem».58 Da queste due definizioni, sebbe-

ne distanti nel tempo, si può intuire che la plica non era altro che un abbellimento, da

55
Era massima medioevale “non debet falsa musica signari” (le alterazioni non si devono scrivere).
56
EDMOND DE COUSSEMAKER, Scriptorum de Musica Medii Aevi nova series, 4 volumi, Parigi
1864–1876.
57
EDMOND DE COUSSEMAKER, Histoire de l’Harmonie au Moyen Age, Parigi 1852. «La plica è una
nota divisionale dello stesso suono al grave e all’acuto e deve essere formata nella gola, con l’epiglotti-
de».
58
EDMOND DE COUSSEMAKER, Scriptorum de Musica Medii Aevi nova series, 4 volumi, Parigi
1864–1876. «È invero la ripercussione di una nota brevissima, che anticipa la nota da cantare, con la quale
perciò quella seguente viene intonata. I flores non sono altro che una plica lunga, tra la quale e la nota im-
mediatamente successiva si aggiungono note brevissime per bellezza armonica».
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risolvere in più modi, a seconda del caso: spesso era un’anticipazione della nota se-

guente, oppure, nel caso di note ribattute, una semplice nota di volta, o, ancora, una

nota sfuggita. La plica poteva essere superiore ( ) o inferiore ( ); nel nostro laudario

troviamo solo quella superiore, che può essere risolta nei seguenti modi:59

Lauda n∞ 8:

6 j j j j j j j j j
& 8 œ œ œ œ œ œ œ œ œj œj œ œ œ œ
Al - tis- si - ma lu - ce col gran- de splen - do- re,

Lauda n∞ 4:

j œj œj œj œj œ œj œ œj œj œ œ
œ œ œ œ œ œj œ . œ
Fai - te p re - go al dol- çe Cri - sto k e ne d e - gia p e r - do - na - re!

Lauda n∞ 30:

j
6 j j œ œ bœ œ bœ œ œ œb œ b œ œ œ œ
& 8 œ œ b œJ J
Spi - ri - to san - cto glo - ri - o - so,

Il recupero del repertorio laudistico ai fini di una riesecuzione moderna non è

dunque facile, data la presenza dei numerosi dubbi e interrogativi sopra esposti. Oggi,

la grande sostanza di un simile lavoro è in genere affidata al buon gusto, alla musica-

lità e allo spirito intuitivo degli adattatori; il basarsi sulle poche certezze raggiunte

deve certo servire a “non uscire troppo dal seminato”, benché il seminato sia in verità

assai poco distinguibile.

59
Nei seguenti esempi utilizzo l’interpretazione ritmica del Lucchi, il quale, tuttavia, risolve la plica
delle tre laude in altro modo.
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