STUDIO SUL
LAUDARIO DI CORTONA
INTRODUZIONE
Le ricerche di vari studiosi hanno ormai appurato che tra il decimo e il dodicesimo
(confratriae, scholae), ispirate sia dall’esigenza mistica di una più intensa partecipazio-
del clero. Scopo delle assemblee era quello di lodare e ringraziare Dio attraverso la
devote di ogni genere. La struttura di quelle primitive intonazioni era certamente ele-
mentare, impostata su brevi periodi ripetuti più volte, simile a quella dell’inno o del-
cata l’origine lontana della lauda, canzone spirituale di carattere popolare, nata al di
fuori della liturgia, che così tanta importanza ebbe nella vita religiosa del popolo ita-
liano.
Il termine lauda prende origine da alcune definizioni analoghe già in uso nella
pratica liturgica del tempo: con laus si indicava ad esempio l’Alleluja della messa; lau-
des era il nome della seconda delle quotidiane otto ore canoniche dell’Ufficio; laudes
erano anche i salmi 148, 149 e 150, cantati nell’ufficio del Mattutino; furono dette an-
cora laudes le farciture esclamative e invocative (tropi) inserite nel testo del Gloria in
excelsis. Dunque il canto di lode era già largamente presente nella liturgia tradiziona-
nuove laudes, le cui melodie furono composte di sana pianta o comunque riadattate
da canti preesistenti.
Tali canti, naturalmente monodici, dedicati a Gesù, alla Vergine e ai vari santi, fu-
2
ne del volgare, lingua molto più stimolante, poiché comprensibile a tutti i fedeli. An-
in versetti di volgare umbro (noto anche come Cantico delle Creature o Cantico di
Frate Sole) costituiscono un celebre esempio del nuovo genere. Ispirate a un passo di
Daniele e al salmo 148 (una delle tre laudes sopracitate), dovettero essere certamente
cantate: lo dimostra la presenza dei righi musicali (purtroppo rimasti privi di notazio-
ne) nel Codice 338 della Biblioteca comunale di Assisi, che ne contiene la lezione più
antica. Francesco, con i suoi frati ioculatores Domini, percorreva le strade dell’Umbria
glorificando Dio con gioiosi canti di lode; se è vero quanto attesta Tommaso da Cela-
no, e cioè che egli amasse cantare in lingua francigena, è molto probabile che si ispi-
rasse alle canzoni religiose del monaco Gautier de Coinci (1177-1236), che in quel pe-
te nelle vie e nelle piazze, esce dunque dall’ambito ristretto delle confraternite e, gra-
zie all’uso del volgare, diventa un efficace mezzo di richiamo alla fede nel popolo.
Mendicanti sorti nel contempo si diffuse con grande rapidità, alimentando la nascita
di un nuovo fervore religioso; d’altra parte gli animi erano ben disposti ad accogliere
parole di pace e di speranza, in un contesto storico, quello degli inizi del Duecento,
ciniche ambizioni dei potenti, causa di tante guerre e disordini: l’anno 1233, detto
mentale nello sviluppo della lauda, che dopo poco tempo sarebbe sfociato in vera e
volgare (non si può parlare di vera e propria lauda) che, secondo il cronista contem-
3
da Schio) intonava tra i fedeli durante il suo peregrinare, precedendo la parola Allelu-
pagnandosi appunto con una piccola cornetta di bronzo o di ottone, eseguiva i versetti
in forma alternata con il coro dei fanciulli, che lo seguivano a grandi frotte portando
in mano rami d’albero e candele accese. Nelle chiese e nelle piazze egli innalzava il
Patre!”, e i ragazzi ripetevano a voce alta ciò ch’egli aveva detto. Poi ripeteva le stesse
Infine ripeteva per la terza volta le parole aggiungendo: “sia lo Spiritu Sancto!”. E do-
po: “Alleluja, Alleluja, Alleluja!”. Poi suonava la tromba e predicava ancora con pa-
L’anno della commozione religiosa più intensa fu senza dubbio il 1260, durante il
quale, dopo un lungo periodo di preghiera e penitenza trascorso nella solitudine delle
montagne umbre, giunse a Perugia l’eremita Ranieri Fasani; vestito di sacco e fune, il
leggendario frate percorreva le strade della città osannando Dio e flagellandosi le spal-
le nude, dando in tal modo pubblico esempio di durissima disciplina espiatoria, che
egli riteneva necessaria per riconquistare la purezza e la dignità spirituale agli occhi
tarlo, flagellandosi a loro volta le spalle (i cosiddetti flagellanti) e cantando laude vol-
gari in onore del Signore. Nacque così la compagnia dei Disciplinati di Gesù Cristo,
che, diversamente dalle altre confraternite, alla pratica del canto accompagnava anche
1
Cfr. SALIMBENE DE ADAM, Cronica, Bari 1942, vol. I, pagg. 99-100.
4
quella dell’autoflagellazione. L’impeto e l’esaltazione generale contagiarono numero-
cuni Geisslerlieder (canti di flagellanti) tedeschi della metà del quattordicesimo secolo.
degli oratori stabili e continuarono a coltivare la pratica del canto, dando vita ad un
un certo senso confraternite specializzate nel canto delle laude e perciò dette dei Lau-
questo nuovo tipo di compagnie da quelle già diffuse, la prima di cui si possano affer-
Maria delle Laude, 4 istituita dal vescovo Tommaso Fusconi nel 1267 e operante nella
Maria e S. Domenico) e autenticandone gli statuti col proprio sigillo. 5 Una delle parti
più interessanti del documento è quella che riguarda le riunioni della fraternita:
«Stabiliamo che ogni giorno, di sera, all’ora cioè di Compieta o poco prima, secondo la
stagione, si svolga la riunione nella sede dei Domenicani di Campo Regio per cantare
mo che nella seconda domenica del mese, di buon mattino, i membri della fraternita
si riuniscano in Campo Regio per ascoltare le laude, la messa e la predica. Per identico
2
GIULIO CATTIN, La monodia nel medioevo, E.D.T., nuova edizione ampliata riveduta e corretta del
1991, p.176.
3
GILLES GÉRARD MEERSSEMAN, Ordo fraternitatis - Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, in
collaborazione con G. P. Pacini, Roma, Herder 1977, 3 voll..
4
Ibid., pagg. 954-955.
5
Ibid., doc. 20, pp. 1029-1034.
5
fine e alla stessa ora i membri si riuniscano nel medesimo luogo ogni lunedì successi-
vo (alla seconda domenica del mese) e si canti una messa funebre per le anime dei
confratelli defunti e dei loro parenti… Dato a Siena, nel mese di settembre 1267.»6 Al-
tre notizie in merito si ricavano dalla biografia del beato Ambrogio Sansedoni, frate
Domenicano di Siena entrato nell’ordine nel 1237 e morto nel 1286. La biografia fu
composta dal suo contemporaneo fra Recupero d’Arezzo, del convento di S. Domeni-
co in Campo Regio, sulla base di alcune testimonianze raccolte da Ildebrando de’ Papa-
roni, confratello del beato: da alcuni passi risulta che il Sansedoni ebbe vita molto atti-
tamente anche di quelle specialmente dedicate ad laudes divinas (cioè quelle dei lau-
desi), precisando che in esse erano state istituite scholae di fanciulli regolarmente spe-
sati ed educati per cantare le laude, e che sull’esempio di Siena, confraternite di quel
genere erano sorte anche in altre città vicine.7 Quest’ultima indicazione ci spinge a
supporre che la confraternita di S. Maria e S. Domenico fu, tra quelle dei laudesi, 8 la
Disciplinati e laudesi percorsero dunque due strade ben distinte, giungendo a ri-
sul tema della Passione promuovendo, agli inizi del XIV secolo, lo sviluppo della lau-
quindi la nascita del teatro volgare; ai Laudesi va invece il merito della diffusione del-
la lauda lirica, caratterizzata da temi più vari e dall’esigenza di una maggiore cura tec-
nali delle rispettive confraternite, già fissate e descritte con dovizia di particolari dalla
studiosa Angela Maria Terruggia: quelle dei Laudesi, composte di uomini e donne,
6
Altre parti della lettera sono riportate in La monodia nel medioevo, opera citata di GIULIO CATTIN,
p.242.
7
Cfr. Acta Sanctorum, die XX Martii, III, 212, § 14 e M. CANAL, «Analecta sacri ordinis fratrum praedi-
catorum», XXI, 1933-1934, pp. 155-172, 224-235; v. p. 165.
8
È necessario correggere l’uso spesso improprio che gli studiosi del passato fecero del termine “laudesi”,
riferendolo indistintamente alle varie compagnie, senza discernere quelle che assegnarono al canto delle
laude un ruolo semplicemente complementare o secondario, da quelle per le quali tale canto rivestiva in-
vece un’importanza primaria ed essenziale. È a quest’ultime che spetta di diritto la denominazione di
confraternite dei “laudesi”, poiché nacquero ed operarono con l’unico scopo di cantare le laude, curandone
in particolar modo la prassi esecutiva.
6
erano costituite «all’unico scopo di cantare le laude alla sera e nei giorni festivi»,
mentre quelle dei Disciplinati, composte di soli uomini, cantavano durante la devo-
zione, che si faceva «generalmente il venerdì sera e la mattina della domenica e delle
altre feste».9
repertorio tra le varie associazioni portarono a fare raccolta dei numerosi componi-
menti: d’altra parte, alla metà del Duecento, la lauda era ormai pervenuta alla sua for-
ma definitiva, quella della ballata profana, dalla quale dovette trarre non poche mo-
venze di ritmo e di carattere; ed era il momento migliore perché fosse elevata, anche
raffinato esempio della più spontanea arte popolare. Sorsero così i famosi laudari, che
custodirono la memoria della lauda fino ai nostri giorni. Ma dei circa duecento giunti
sino a noi, soltanto due contengono, oltre ai testi, anche le melodie, assumendo per
gliabechiano II.I.122 della Biblioteca Nazionale di Firenze. Dei due, il primo è il più
sua essenza più pura e perfetta, non ancora contaminata da certi gusti e tendenze al
Cortona
9
A. M. TERRUGGIA, In quale momento i Disciplinati hanno dato origine al loro teatro?, in AA. VV., Il
movimento dei Disciplinati nel settimo centenario dal suo inizio, in appendice al «Bollettino della Depu-
tazione di Storia patria per l’Umbria», 9, Perugia 1962, pp.434-459.
7
CAPITOLO PRIMO
demia Etrusca e del Comune di Cortona. 10 Rimasto nascosto per secoli, consunto ai
bordi e mancante di fogli di guardia, fu ripulito, rilegato e catalogato col numero 91;
tuttora conservato nella stessa Biblioteca, rappresenta per la città di Cortona motivo di
rario.
mibilmente dalla fine del Duecento in poi presso la chiesa di S. Francesco, costruita tra
il 1245 e il 1253 dal frate cortonese Elia Coppi, secondo ministro generale dei Minori, e
aperta al culto dal 1254.11 Il volumetto è costituito da 171 carte di pergamena, e si può
dividere in due parti: la prima, di formato cm. 22,6 x 17,2, va dalla carta 1 alla 122 e
contiene 45 laude, probabilmente trascritte da una sola mano, tutte corredate delle ri-
spettive melodie fino alla prima strofa, eccetto la quinta (Ave Maria gratia plena), per
la quale è presente il rigo musicale senza notazione. La seconda parte, più recente e di
formato minore (la larghezza si riduce a cm. 21,5), ha inizio con l’indice dei componi-
menti della prima serie (dalla carta 133recto alla 135verso) e prosegue con altre 19 lau-
de prive di musica (136recto - 171verso); fu compilata a varie riprese (almeno tre), gra-
zie all’intervento successivo di più persone. Tra le due parti si frappone un quaderno
di dieci carte (dalla 123 alla 132), contenente altre due laude musicate (Benedicti e’llau-
forse agli inizi del Trecento. Le melodie del codice ammontano dunque a 46. Il testo
10
GIROLAMO MANCINI, I manoscritti della libreria del Comune e dell’Accademia Etrusca di Cortona,
Cortona 1884, p. 51 (ristampa in Inventario dei mss. delle biblioteche d’Italia).
11
GIROLAMO MANCINI, Cortona nel Medioevo, Firenze 1897, p. 53 (ristampa a cura dell’Editrice grafi-
ca l’Etruria, Cortona 1992).
8
poetico è scritto in caratteri gotici, mentre la notazione è quadrata (detta anche corale
italica o corale romana)12 con chiavi di DO e di FA, su rigo di due, tre o quattro linee, a
Per quanto riguarda la datazione del manoscritto non possiamo fare altro che sup-
posizioni: secondo il Mancini la prima parte sarebbe stata scritta prima del 1250 poiché
mancante di laude in onore del Beato Guido Vagnottelli, morto intorno a quella stes-
sa data, e in onore di S. Margherita, morta nel 1297, i quali, entrambi amatissimi dal
popolo, furono venerati come Santi non appena passati ad altra vita; tali laude sono
presenti invece nella seconda parte della raccolta, che per questo motivo risalirebbe si-
Guido Mazzoni pone la stesura della prima parte tra la nascita del moto perugino
dei Disciplinati e la morte di S. Margherita, quindi «tra il 1260 e il 1297, senza determi-
nazione più stretta di confini, ma piuttosto nella ipotesi risalendo verso la prima data
anzi che scendendo verso la seconda».14 Si può tuttavia osservare (e sottoscrivo un’os-
servazione già fatta da Giorgio Varanini) che la Confraternita di Santa Maria delle
difficilmente può essere sorta su esempio dei Disciplinati, i quali per lungo tempo
do le loro prime confraternite solo agli inizi del Trecento (la prima di cui possediamo
Anche il Liuzzi accetta come termine ante quem il 1297 (sempre in riferimento alla
prima parte ed escludendo con certezza le due laude del quaderno centrale, aggiunto
12
«Corale in quanto, dal tredicesimo secolo in poi, essa è tipica notazione della monodia gregoriana a ca-
rattere precipuamente collettivo; romana o italica in contrapposto alla gotica, propria dei manoscritti
medievali germanici, la quale ha conservato ne’ suoi segni maggior somiglianza con le forme de’ neumi an-
tichi» (FERNANDO LIUZZI, La lauda e i primordi della melodia italiana, Roma, Libreria dello Stato
1934, 2 voll.; vol. I, pp. 182-183).
13
Cfr. GIROLAMO MANCINI, I manoscritti…, op. cit., p. 51, ed anche Laudi francescane dei Disciplinati
di Cortona, «Miscellanea francescana», IV, 1889, pp. 48-54.
14
GUIDO MAZZONI, Laudi cortonesi del sec. XIII , «Il propugnatore», n.s., II, 1889, p. II, pp.205-270 e III,
1890, p. I, pp. 5-48.
15
Cfr. Laude cortonesi dal secolo XIII al XV, a cura di GIORGIO VARANINI, LUIGI BANFI e ANNA CE-
RUTI BURGIO, con uno studio sulle melodie cortonesi di GIULIO CATTIN, Firenze, Leo S. Olschki Editore
1981, volume I, tomo I, pp. 32-33.
9
di una lauda attribuita a Jacopone da Todi, (T roppo perde ‘l tempo ki ben non t’ama),
convertitosi soltanto nel 1268. Ora, se fino a qualche tempo fa l’attribuzione della lau-
da poteva dirsi sicura, per il fatto che in parecchi altri manoscritti medioevali essa vie-
ne assegnata allo stesso autore, gli studi e le ricerche più recenti hanno portato a galla
l’incertezza, tantoché molti editori di testi jacoponici la escludono dal novero delle au-
tentiche.16 Del tutto infondata poi è l’ipotesi del Liuzzi secondo la quale Jacopone sa-
rebbe autore, oltre che del testo, anche della melodia: non abbiamo nessuna documen-
L’opinione di Pellegrino Ernetti è che l’antologia sia stata redatta tra il 1259 e il 1270,
poiché la lauda Madonna santa Maria è la stessa che i Flagellanti cantavano in latino
nell’anno della grande devotio, il già citato 1260. Il cronista contemporaneo Bartolo-
sare a dei contatti tra Laudesi e Disciplinati, che certamente ci furono, ma non esclude
Un’ipotesi più credibile ci sembra quella di Giorgio Varanini, basata sulle ricerche
fatto che, in base a questi studi, la confraternita senese di S. Maria e S. Domenico, fon-
data nel 1267, debba essere considerata la prima associazione di laudesi mai esistita e
che, secondo la biografia del Sansedoni, l’istituzione passò da Siena ad altre città vici-
ne, tra cui forse Cortona, assieme a Firenze, Lucca e Pisa, lascerebbe supporre una data-
zione del nostro manoscritto non anteriore al 1267, «restando inidentificato un ter-
mine non post quem, non potendosi», secondo il Varanini, «assumere come sicuri gli
argomenti addotti dal Mancini e almeno in parte accolti dal Mazzoni». Inoltre, «dal
momento che in tutte queste città si compilarono laudari corredati di notazione musi-
cale nei quali di frequente ricorrono le medesime composizioni, sembra possibile pen-
sare che proprio Siena sia stata il centro di irradiazione di parte almeno dei testi (i
16
Cfr. IACOPONE DA TODI, Laude, edizione a cura di FRANCO MANCINI, Bari, Laterza 1974.
17
PELLEGRINO M. ERNETTI - LAURA ROSSI LEIDI, Il laudario cortonese n. 91 , EDI-PAN, Roma 1980;
la lauda cortonese ne riporta la traduzione quasi letterale: “Madonna Santa Maria, mercé de noi peccato-
ri! Faite prego al dolçe Cristo ke ne degia perdonare!”.
10
quali certo avranno subito le modifiche e gli adattamenti del caso, se non altro nella
ma argomentazione non può essere provata, poiché l’originario laudario della confra-
ternita di S. Maria e S. Domenico è andato perduto, e così anche quelli delle altre fra-
fattore, che interessò profondamente la vita dei cortonesi a partire dal 1272: l’influsso
na, fresca del suo pentimento per la vita passata e fortemente intenzionata a espiare i
propri peccati attraverso una dura penitenza personale. Alle lunghe ore di preghiera e
alle continue autoprivazioni e umiliazioni del proprio corpo (da lei sempre disprez-
opera di carità e sostegno dei poveri, guadagnando ben presto l’ammirazione e la sti-
Qualche tempo dopo il suo arrivo a Cortona, Margherita trovò asilo dai Frati del
convento di S Francesco, proprio quello costruito da frate Elia, nella cui chiesa ebbero
sede i nostri laudesi. Ora, un’insistente tradizione popolare, purtroppo, almeno fino-
ra, non documentata, attribuisce a Margherita una larga parte di merito nella fonda-
zione della confraternita: pare infatti che lei stessa cantasse le laudi e che, nei momen-
ti di maggior fervore, amasse promuovere tra la gente questa forma di devozione, così
tipica di quella spiritualità francescana, alla quale ella fu sempre profondamente legata
latino nel 1308 dal confessore della santa, il cortonese fra’ Giunta Bevegnati. Al para-
grafo 10 del capitolo VI si legge su Margherita quanto segue: «In beatissimae Magdale-
nae vigilia, quae prius surgere propter infirmitatem non poterat, in fervorem ascen-
dens animarum et laudum, subito revocata est ita plenissime, quod omnes adstantes
18
Tratto da Laude cortonesi dal secolo XIII al XV, op. cit., vol. I, tomo I, p.39 e seguenti.
11
mirati sunt: fecitque in illa iucunditate sero illo divinas cantari laudes.» 19 Sempre
della chiesa principale di S. Francesco, in un ambiente già scavato a suo tempo da frate
Elia ma non completato; tale oratorio, voluto da Margherita stessa e completato nel
1285, doveva avere lo scopo di ospitare tutti coloro che avessero voluto sfogare libera-
mente il proprio fervore in lacrime e gemiti rumorosi (e forse nel canto?), senza con
questo disturbare la preghiera più meditativa e silenziosa di quelli che stavano di so-
pra, nonché il normale svolgimento delle liturgie; il passo è al paragrafo 32 del capito-
lo IX, con parole dette da Gesù stesso a Margherita durante uno dei loro numerosi col-
loqui (la notizia ha valore a prescindere dal credere o meno all’attribuzione divina del
discorso!): «...Et dicas fratribus meis, quod non timeant loci noui ampliationem, ut
tionum. De loco vero superiori, noveris, quod propter obliquam intentionem quam
habuit ille qui primo cepit, multum displicuit mihi in capiendo eum: non tamen
19
«Nella vigilia della festa di Santa Maddalena, durante la quale non poté levarsi dal letto prima del
tempo a causa della sua infermità, (Margherita) fu all’improvviso e con tanta pienezza risvegliata al
fervore di spirito e alla lode che tutti quelli che stavano attorno rimasero stupiti. In quella circostanza
fece cantare, con grande giubilo, le lodi del Signore.» (traduzione di ELIODORO MARIANI, Vicenza,
L.I.E.F. 1978).
20
Nell’oratorio già esistente, adiacente alla sagrestia, Margherita soleva spesso ritirarsi per poter pre-
gare da sola, senza essere vista da altri; faceva questo per non dare spettacolo ai molti i curiosi, prove-
nienti da ogni dove per la sua fama, che entravano in chiesa non per pregare, ma per vederla durante le
sue estasi e i suoi colloqui con Gesù.
12
propter hec verba permictant fratres, quod auferatur eis prefatus locus». 21 L’oratorio in
questione corrisponderebbe a quello della Confraternita dei laudesi: così afferma con
di Cortona, che per primo tradusse in italiano la Legenda, facendola precedere da un-
zione (p. 46), parlando dell’oratorio, lo definisce come un luogo costruito «sotto la
chiesa di S. Francesco, in sito lasciato vacuo, ma informe da frate Elia, allorché fece
edificare la Chiesa. Vedesene ancora la porta d’ingresso rimurata, dalla parte di fuora
della facciata anteriore di essa Chiesa di S. Francesco a destra della porta principale, ed
a sinistra di chi entra. Quivi fu eretta in appresso una pia Confraternita detta “de’ Lau-
l’Unione de’ luoghi pii di Cortona, furono ad essa incorporati i beni tutti de’ luoghi pii
particolari di detta Città, amministrati da’ Laici. Dopo la qual soppressione, fu l’orato-
rio, muratane la porta, distribuito in più sepolcri, colle lapide, ed aperture sepolcrali
nella superior Chiesa (che ultimamente pur sono state serrate): ne’ quali sepolcri chi è
disceso, avanti che si serrassero, attesta avervi vedute varie nicchiette con immagini,
l’avanti un oratorio... » .
21
«Di’ inoltre ai miei frati che non abbiano timore di ampliare il loro nuovo Oratorio dove potranno avere
spazio per piangere, nelle loro preghiere, senza disturbare le meditazioni personali. Quanto alla chiesa
superiore tu sai che mi fece dispiacere colui che la cominciò a causa della sua non retta intenzione; tutta-
via per questo che ho detto, non consentano i Frati di venir privati di tale luogo» (traduzione di ELIODO-
RO MARIANI, Vicenza, L.I.E.F. 1978). I frati avevano qualche scrupolo circa la costruzione del nuovo
oratorio, perché lo consideravano superfluo e avevano timore che non si confacesse alla regola di povertà
dell’Ordine; probabilmente fra’ Giunta, autore della Legenda, la pensava in modo diverso e con la scusa
del “messaggio divino” riferitogli da Margherita aggirò l’ostacolo e consentì che venisse completato. Il
“colui” che cominciò la chiesa e procurò dispiacere a Gesù “a causa della sua non retta intenzione” è frate
Elia. Ora, bisogna sapere che frate Elia apparteneva a una delle famiglie più nobili e rinomate di Corto-
na, i Coppi, ed era uomo di singolare cultura e intelligenza, avendo compiuto dei buoni studi giuridici:
Francesco stesso lo volle alla guida dell’Ordine perché ne comprese l’acume e le grandi capacità di gover-
no e organizzazione, che avrebbero assicurato una volta per tutte la stabilità del movimento francescano
all’interno della Chiesa. Il suo intento fu sempre quello di assicurare potenza e splendore al suo ordine:
probabilmente il convento cortonese da lui costruito fu giudicato troppo bello per essere una dimora di frati
francescani e la “non retta intenzione” di frate Elia fu ritenuta quella di mirare troppo a una vana osten-
tazione di magnificenza piuttosto che a un’opera di sana e sincera pietà. Nonostante questo i frati si guar-
darono bene dal cederlo ad altri: infatti, morto frate Elia nel 1253, fuori dell’Ordine e senza eredi, il Ve-
scovo Guglielmino di Arezzo avanzò pretese sulla sua casa e di conseguenza sulla Chiesa di S. Francesco
da lui costruita; di qui l’esortazione di Cristo (o di fra Giunta...) affinché i Frati non abbandonassero spon-
taneamente tale luogo, per rifugiarsi semplicemente nell’oratorio sottostante, come il vescovo avrebbe vo-
luto.
13
Dunque, se vogliamo credere a una qualche influenza di Margherita nella fonda-
zione della Confraternita, se non altro nell’aver rinnovato il fervore religioso dei cor-
tonesi attraverso la sua stessa presenza altamente vivificatrice nella città, e se la Con-
fraternita ebbe effettivamente sede nel nuovo oratorio, costruito nel 1285, possiamo
stabilire un termine post quem per la datazione del manoscritto, più avanzato nel
tempo rispetto ai precedenti, e cioè l’anno di costruzione del suddetto oratorio, il 1285.
A tutto questo bisogna aggiungere che fra’ Giunta, autore della Leggenda, nel 1290 fu
trasferito al capitolo di Siena; poi, nel 1297, fu ritrasferito a Cortona, appena in tempo
per assistere alla morte di S. Margherita. Chissà se, in quei sette anni di permanenza a
Siena, egli non abbia avuto dei contatti con i laudesi di S. Maria e S. Domenico, e non
abbia poi voluto fondare una confraternita come quella all’interno del proprio con-
vento? In questo caso la datazione del manoscritto si sposterebbe ancora più avanti, ai
********************************
Diamo adesso uno sguardo alla tematica delle varie laude: le prime 16 sono tutte
32 ripercorre le varie fasi del cosiddetto anni circulum, costituito da Natale, Quaresi-
22
La quinta lauda, Ave Maria gratia plena, è priva di notazione musicale.
23
Non è escluso che il ciclo di laude dalla 19 alla 28 sia stato concepito per essere utilizzato all’interno di
Sacre Rappresentazioni, in occasione di feste popolari e religiose: infatti il carattere tendenzialmente
drammatico delle laude che lo costituiscono si differenzia da quello più contemplativo, meditativo o in-
vocante tipico delle altre e la raccolta fu disposta secondo un piano di successione scenica «idealmente al-
meno possibile a vedersi, a seguirsi, per così dire a viversi da ognuno: il che del resto rientra nel bisogno
d’espressione immediata, palpabile, penetrante, icastica, nell’anelito verso la concretezza drammatica
ch’ebbe il duegento» (FERNANDO LIUZZI, op. cit., vol. I, p. 57).
14
alla Maddalena,24 la 41 a S. Michele Arcangelo, la 42 a tutti i Santi, 25 la 43 e la 44 a S.
rio denuncia chiaramente che essi appartennero a periodi diversi e che non furono
opera di un solo autore; il fatto che quattro laude contengano all’interno di una delle
strofe il nome di Garzo (Altissima luce, Ave Vergene gaudente, Spiritu Sancto glorio-
so e Amor dolçe sença pare) non è sufficiente a dimostrare che questo personaggio sia
l’artefice dell’intera raccolta; egli fu forse il compilatore, cioè colui che ne stabilì il con-
terio estetico ben preciso; tra questi avrà poi inserito quattro laude di propria composi-
zione, quelle appunto che riportano il suo nome. Sulla sua identità sono state avanza-
te varie ipotesi: una è che egli fosse il famoso Garzo dell’Incisa in Valdarno bisnonno
del Petrarca, ma, secondo l’opinione di molti, tra cui anche Giorgio Varanini, sembra
la meno probabile. Infatti questo doctore, come egli stesso si autodefinisce nelle laude,
quantum sine cultura literarum fieri potuit, clarissimo”” e “vir ut literatrum inops,
sic praedives ingenii”, il che, come il Varanini fa notare, contrasta nettamente con la
notevole abilità letteraria di cui egli da prova nelle laude. Il Petrarca parla anche della
sua straordinaria longevità, affermando che sarebbe vissuto fino alla veneranda età di
104 anni; ora, poiché in un atto scritto dal notaio ser Parenzo, figlio del personaggio in
questione e nonno del Petrarca, risulta che Garzo era già morto nel 1269, la sua nascita
risalirebbe a ben 104 anni addietro, cioè al 1165; ciò significa che egli avrebbe composto
laude già dalla fine del 1100, cosa storicamente impensabile. Si potrebbe supporre una
sua attività compositiva in età molto avanzata, ma questo ci sembra poco probabile.
Interessante è l’ipotesi dello stesso Varanini: dato che il nome di Garzo ricorre, ol-
24
Il fatto che il Laudario contenga ben due laude alla Maddalena, è significativo in riferimento a quanto
da me ipotizzato sull’influsso stimolante di S. Margherita nell’attività dei laudesi; chi era Margherita,
se non una seconda Maddalena?
25
Secondo il Liuzzi la stesura veramente primitiva del codice doveva limitarsi a questa lauda, sia perché
era uso terminare queste raccolte con la celebrazione di tutti i Santi, sia perché da questo punto in poi la
notazione potrebbe essere d’altra mano (Cfr. FERNANDO LIUZZI, op. cit., vol. I, p. 31).
15
tre che nel cortonese, in molti altri codici toscani del Trecento, si può pensare che egli
sia stato uno dei personaggi di maggior spicco nella prima fase della storia dei laudesi,
forse proprio uno di quei primi maestri senesi che guidarono le “scholae” di fanciulli
o di adulti di cui ci parla fra’ Recupero d’Arezzo nella già citata biografia del Beato
maestro, che in fin dei conti è quello più rispondente al termine latino); volendo fan-
tasticare, potremmo aggiungere l’idea che Garzo possa aver conosciuto il già citato fra’
Giunta Bevegnati, trasferito da Cortona a Siena per sette anni, e che quest’ultimo,
to ritornare nel 1297), abbia affidato a lui il compito della compilazione del manoscrit-
to, che sarebbe poi servito per l’apprendimento e lo studio delle laude da parte degli
16
CAPITOLO SECONDO
da26 :
26
Ho adoperato le indicazioni esponenziali (ad esempio Xı o Yı) solo nei casi in cui le frasi melodiche si
ripresentino sensibilmente variate, oppure identiche, ma ad un’altezza differente. Devo anche dire che,
nel compilare il soprastante schema e nel confrontarlo con quelli già esistenti del Liuzzi e del Terni, ho ri-
scontrato alcune discrepanze, soprattutto per quanto riguarda gli schemi melodici.
17
32) Alta Trinità beata xx aa/ax XY AA/XıY
33) Troppo perde 'l tempo ki ben non t'ama xy abab/aby XY AYAY/BXıYı
34) Stomme allegro et latioso xyyx abab/bccx XYZK ABCD/XYZK
35) Oimè lasso e freddo lo mïo core xxy aa/ay XYZ XX/YZ
36) Chi vole lo mondo desprecçare xx aa/ax XY XA/XY
37) Laudar vollio per amore xx aa/ax XY AA/XY
38) Sïa laudato san Francesco xyz aa/az XYZ XY/XA
39) Ciascun ke fede sente xxy ababab/ccy XYZ ABABAB/XYZ
40) Magdalena degna da laudare xx aa/ax XY AB/CY
41) L'alto prençe archangelo lucente xx aa/ax XY AB/CD
42) Faciamo laude a tutt'i sancti xyxy yaya/yaay (abab/abcy) XYXZ AYAY/AYXZ
43) San Iovanni al mond'è nato xy aa/ay XY AB/XYı
44) Ogn'om canti novel canto xy aa/ay XY AB/CD
45) Amor dolçe senza pare xx aa/ax XY XA/XY
46) Benedicti e˙llaudati xyxy abab/bccy XYZY ABCD/(XYZY)
47) Salutiam divotamente xyzy xaxa/ay XYZK XYXY/ZK
profana, per la presenza della tipica distinzione tra ritornello (ripresa) e strofe (stanze).
La stanza di ballata si divide notoriamente in due parti: la prima comprende due mu-
tazioni, di due versi ciascuna e di struttura identica; la seconda, detta volta, funge da
collegamento per il ritorno della ripresa, poiché il suo primo verso rima con il verso
finale delle mutazioni (concatenatio), mentre l’ultimo verso ripete la rima conclusiva
della ripresa.27 Ecco una ballata maggiore di Guido Cavalcanti (1258 ca.–1300) col relati-
vo schema:
27
A seconda del numero dei versi che compongono la ripresa, la ballata si distingue in minima, piccola
(entrambe con ripresa di un solo verso),minore (due versi), mezzana (tre o quattro versi) maggiore (quattro
versi) e stravagante (più di quattro versi).
18
Alcune laude sono vere e proprie ballate (nn. 19, 23, 27, 34, 39, 42, 46) e della bal-
o XY–ABCD/XY). Tuttavia, gli schemi poetici più frequentemente usati sono quelli
ritornello e strofe tipica della ballata viene rispettata, ma la struttura della strofa è di-
versa, poiché non vi sono mutazioni vere e proprie, bensì quattro versi, di cui tre
hanno la stessa rima, mentre l’ultimo riprende quello finale della ripresa. In base a
lauda–ballata, caratterizzata appunto dallo schema xx-aa/ax oppure xy-aa/ay; tale sche-
ma è anche detto strofe zagialesca, da zagial o zejel, antica forma metrica arabo-anda-
lusa, inseritasi in ambito latino dal medioevo in poi. Lo studioso Clemente Terni ha
da tempo ipotizzato una diretta derivazione della lauda dallo zagial; nel suo volume
sul Laudario di Cortona,28 troviamo l’esempio di uno zagial di Abulhasàn ben Salem,
Ecc…
28
CLEMENTE TERNI, Laudario di Cortona , edizione a cura del Centro italiano di studi sull’alto medioe-
vo, Spoleto 1992, pag. LXXII.
19
La somiglianza con gli schemi poetici delle laude è evidente (benché non perfet-
ta, visto che nella strofa dello zagial vengono riprese entrambe le rime della ripresa,
anziché una sola). Pur non disponendo di melodie arabe zagialesche, il Terni suppone
la stessa derivazione anche dal lato musicale e cerca di dimostrarla facendo riferimen-
to al villancico spagnolo, che costituirebbe la continuazione più fedele nel tempo del-
lo zagial: alcuni villancicos del Cancionero de los siglos XV- XVI sarebbero, secondo la
sua ipotesi, autentici zagial rielaborati in forma polifonica. Egli ne riporta uno (Si la
VILLANCICO
O
a Mudanza A
a (solista) A
a Vuelta X
y (coro) Y
identica, o appena variata, alla vuelta; di conseguenza, tra la volta poetica e quella
rantasei (nn. 13, 23, 24, 25, 27, 29, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 39, 42, 43, 45, 46, 47) avrebbero la
dallo zagial.
quelle del genere liturgico (il cui influsso nelle laude sarebbe riscontrabile nel ritmo
29
Una delle forme in cui ricorre spesso identità perfetta tra volta poetica e musicale è il virelai dei tro-
vieri francesi, il cui schema più frequente, sia poetico che melodico, è AB per la ripresa, CC per le muta-
zioni e di nuovo AB per la volta. Lo studioso Friedrich Ludwig avanzò l’ipotesi di un avvicinamento degli
schemi della lauda a quelli del virelai, ma già il Liuzzi mise in evidenza che una delle differenze mag-
giori tra le due forme era proprio l’asimmetria tra volta poetica e volta musicale. Inoltre nel virelai le
due mutazioni hanno melodia identica, mentre tale caratteristica, di derivazione sequenziale, si riscontra
in meno della metà delle laude.
20
libero delle melodie) il Terni riporta anche l’esempio di un conductus in latino del se-
colo XII, Cedit frigus hiemale, recante uno schema affine ai precedenti
monasteri di Ripoll e Montserrat, «dove ebbe il suo massimo sviluppo quel movi-
mento culturale promosso nel periodo della Reconquista dal colto abate Bernardo
dell’Ordine di Cluny in Sahagùn». Secondo il suo parere «le scuole poetiche di detti
monasteri, volendo nuovamente introdurre l’uso del latino come mezzo di riconqui-
su di essi composizioni latine, sì che queste, grazie a tale espediente, venissero più fa-
cilmente assimilate dal popolo, che già conosceva tali schemi strofici e tali melodie.
D’altra parte l’influsso dei monasteri di Ripoll e di Montserrat fu grande anche fuori
di Spagna, per esempio su S. Marziale di Limoges e Fleury sur Loire. Niente vieta di
pensare che tale influenza giungesse fino in Italia soprattutto attraverso i rapporti che
Stabilito l’insieme delle laude a schema zagialesco, Terni suddivide il resto del re-
pertorio in laude a forma innodica (soltanto la n∞ 4), ritornellata (nn. 8, 10, 11, 16, 17,
18, 20, 26, 38, 44), litaniatica (nn. 6, 9, 15, 19, 21, 28) e responsoriale (nn. 1, 2, 3, 7, 12, 14,
22, 30, 33, 40, 41), indicando per ciascun genere le rispettive modalità di esecuzione dal
punto di vista formale: esclusa la lauda n∞ 4, a forma innodica, da eseguirsi col coro
diviso in due gruppi che cantano a turno le varie strofe fino alla fine, egli basa tutte le
altre sull’alternanza tra un cantor, cioè un solista, e il coro. Nelle laude a forma zéjele-
sca il coro intona la ripresa, il solista canta le mutazioni, e il coro riprende con la vol-
ta; viene eliminata la ripetizione della ripresa tra una strofa e l’altra poiché, come ab-
biamo già visto, la volta di ciascuna strofa ha la stessa identica melodia e il Terni ritie-
ne inutile ripeterla due volte di seguito. In quelle a forma litaniatica, cantor e coro in-
tonano un verso ciascuno, alternandosi così fino alla fine. Nelle laude a forma re-
sponsoriale, invece, il cantor intona il primo verso della ripresa, che viene conclusa
dal coro; il cantor prosegue con le mutazioni e metà della volta e il coro canta l’altra
metà; anche qui viene eliminata la ripresa tra una strofa e l’altra. Infine, nelle laude a
30
CLEMENTE TERNI, op. cit., pag. LXXII.
21
forma ritornellata, il coro canta la ripresa e il cantor l’intera strofa; stavolta la ripresa
viene intercalata regolarmente tra una strofa e l’altra, «per una ragione puramente
musicale e non metrica. E dicendo ragione di carattere musicale o melodico non in-
tendo riferirmi solamente alla necessità di ristabilire il modo o tono iniziale attraver-
L’ipotesi del Terni è senza dubbio affascinante, ma lascia un pò perplessi per la sua
ricercatezza; come già ha osservato Giulio Cattin, il punto più debole, è «l’obbligo di
procedere a un confronto mediato dal villancico»32 , preso nella sua forma del quindi-
cesimo secolo, ovvero ben due secoli dopo il periodo di maggior diffusione delle lau-
de. Comunque, il modello esecutivo proposto dal Terni per le laude zagialesche si
pone parzialmente in linea con quello già suggerito a suo tempo dal Liuzzi, sulla base
di ragioni esclusivamente musicali: nelle laude che presentano perfetta identità melo-
dica tra ripresa e volta è senz’altro inutile, «anzi dannoso all’economia melodica com-
Sul problema formale si è pronunciato anche Agostino Ziino, che dopo aver ri-
astiene da una classificazione per schemi come quella del Terni e, assegnando alla teo-
ria araba il valore di pura ipotesi, preferisce ricondurre le origini poetico-musicali del-
la lauda alla ballata popolare; 34 in più, a seguito di numerosi raffronti da lui operati tra
bilità di influssi provenienti dal repertorio delle sequenze. 35 Ziino assegna alle laude
una natura responsoriale, come quella della ballata: a suo parere, la volta ha una fun-
31
CLEMENTE TERNI, op. cit., pag. LXVIII.
32
G. CATTIN, Le melodie cortonesi: acquisizioni critiche e problemi aperti, in Laude cortonesi dal secolo
XIII al XV, op. cit., vol I, tomo II, pag. 499.
33
FERNANDO LIUZZI, op. cit., vol. I, p. 41.
34
AGOSTINO ZIINO, Strutture strofiche nel laudario di Cortona, Palermo, Lo Monaco 1968, volume con
appendice separata.
35
AGOSTINO ZIINO, Testi religiosi medioevali in notazione mensurale, nel vol. L’«Ars nova» italiana
del Trecento, IV, Certaldo, Edizioni Centro di Studi... 1978, pp. 447-491.
22
zione sostanzialmente musicale, poiché ripetendo parzialmente o interamente le
cui deve essere cantata. Perciò suggerisce, per tutte le laude, un’esecuzione fondata
sull’alternanza di solista e coro, articolata nel modo seguente: ripresa (solista) - ripresa
Secondo me, la sostanziale asimmetria esistente tra testo e melodia nella gran parte
dei componimenti lascia presumere che molte laude siano contrafacta, ovvero melo-
die liturgiche e profane preesistenti, adattate a testi nuovi. Di tale procedimento, assai
diffuso nel tredicesimo secolo, troviamo un esempio esplicito all’interno dello stesso
della n∞ 8 (Altissima luce col grande splendore), la cui melodia viene conformata, con
evidenti cambiamenti, alla diversa struttura del nuovo testo. E proprio in base a que-
sta ipotesi si potrebbe spiegare la grande varietà strutturale melodica che contraddi-
un testo nuovo avrà costretto l’adattatore a operare numerosi tagli, aggiunte o mani-
ni, ma si può tentare di ipotizzarne qualcuna: la lauda n∞ 28, ad esempio, potrebbe es-
sere la melodia di una ballata a cui è stata eliminata la volta [XY-ABAB/(XY)]; nelle
laude con schema XY–AB/XY potrebbe invece mancare una delle due mutazioni
[XY–AB(AB)/XY]; o ancora, certe frasi potrebbero essere state utilizzate o ripetute più
di una volta, a discapito di altre meno interessanti, oppure messe in un ordine diffe-
rente da quello originale; ciò spiegherebbe la stranezza di schemi come quello della
Dunque non si può escludere la probabilità che molti testi zagialeschi siano nati
premeditata e ben precisa dei laudesi, volta a facilitare l’apprendimento dei canti an-
che al popolo: all’adozione del verso base ottonario, che per il suo carattere ritmico e
23
cadenzato era spesso utilizzato nei componimenti a larga diffusione, potrebbe essersi
cesso nelle piazze e nei sagrati delle chiese cittadine già a partire dal dodicesimo seco-
lo.36
presunte prassi originarie potrà mai essere avvalorata con sicurezza. Bisogna infatti
che un punto di riferimento per la memoria, una traccia sulla quale si potevano porre
esecutori o dalle esigenze del caso. Dimodoché l’esecuzione delle laude poteva sensi-
differenza tra le versioni di stessi componimenti, presenti sia nel codice cortonese che
cutori; tutti fattori che avranno certamente influenzato, volta per volta, l’aspetto for-
male delle laude. È probabile, ad esempio, che si decidesse di assegnare alcune parti
della melodia agli uomini, altre alle donne, oppure di alternare gruppi di due o tre
strofe alla ripetizione della ripresa e altre cose del genere. In fondo, se le confraternite
di laudesi ebbero come scopo fondamentale quello di cantare laude in maniera tecni-
nuove e diverse.
Dunque le prassi esecutive delle laude furono certamente più di una, e la loro labo-
riosa ricostruzione dovrebbe tenere conto di molti fattori. Tuttavia, limitandosi a con-
36
Non dobbiamo dimenticare che certe laude, soprattutto quelle del gruppo centrale, hanno un carattere
spiccatamente narrativo e a volte quasi dialogico (come nel caso della n∞ 27).
24
siderare un’esecuzione vocale, a prescindere da possibili, anzi probabili presenze stru-
questo, dividerò le laude in tre gruppi fondamentali: il primo comprende tutti quei
componimenti (in verità la maggior parte) con la volta melodica differente dalla ri-
presa (Es: XY–AB/CD), o uguale solo nell’ultima frase (Es: XY–AB/CY), per i quali la
regolare intercalazione della ripresa (affidata al coro) alle strofe (eseguite dal solista)
mi sembra la soluzione migliore (laude nn. 1, 2, 3, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 16, 17, 18, 19,
20, 22, 24, 26, 28, 29, 30, 32, 33, 38, 40, 41, 42, 43, 44, 47). L’idea del Terni di eseguire le
laude con schema XY–AB/CY (o simili) eliminando la ripresa e affidando al coro solo
l’ultima frase della strofa (Y) è forse un pò riduttiva per la funzione del coro stesso;
inoltre, la prima frase della ripresa (che è spesso quella più interessante) dovrebbe es-
lauda perderebbe parte della sua ricchezza melodica, inclinando verso una monotonia
certamente evitabile. Accolgo dunque l’ipotesi di Ziino, che giustifica il ritorno della
rima e della frase melodica finale della ripresa nella fine della strofa con la necessità di
indicare al coro il momento in cui la ripresa stessa deve essere ripetuta. Questo modu-
lo esecutivo, a mio parere, non contrasta con la presenza dell’artificio delle coblas cap-
finidas, secondo il quale la prima parola di ogni strofa è la stessa con cui termina la
strofa precedente; la presupposta continuità tra una strofa e l’altra è garantita dal tim-
bro della voce solista, che scompare e riappare proprio alla fine e all’inizio di ciascuna
strofa.
Le laude del secondo gruppo sono invece quelle che presentano perfetta identità
melodica tra ripresa e volta (nn. 23, 27, 31, 34, 35, 36, 37, 39, 45, 46); condividendo il già
citato suggerimento del Liuzzi (vedi pag. 22) ritengo preferibile non ripetere la ripresa
Nell’ultimo gruppo (laude nn. 6, 9, 15, 21, 25), i componimenti hanno struttura
indicata mi pare dunque quella prescritta dal Terni, in base alla quale le frasi dispari
25
(X o A) vengono assegnate al solista e quelle pari (Y) al coro.37
trebbero adottare, sia la canonica alternanza tra solista e coro, sia un’esecuzione antifo-
nica tra voci maschili e femminili. 38 In questa lauda, così come in quelle del primo e
del secondo gruppo, si rende necessaria l’intonazione del solista, che può cantare l’in-
tera ripresa prima del coro, oppure solo la frase iniziale, qualora la ripresa sia costitui-
37
Inspiegabilmente, il Terni non include in questo gruppo la lauda n∞ 25; vi inserisce invece le nn. 19 e 28,
che a mio parere non dovrebbero figurarvi.
38
È molto probabile che l’originaria esecuzione processionale di questa lauda da parte dei Disciplinati,
prevedesse la regolare alternanza tra solista e popolo; il popolo avrà cantato solo le parole della ripresa,
poiché è impensabile che conoscesse a memoria quelle delle altre strofe, dando così luogo ad un’esecuzione
poeticamente ritornellata, ma musicalmente innodica.
26
CAPITOLO TERZO
La notazione corale romana del laudario cortonese si avvale dei seguenti neumi:
ne indica con precisione l’altezza delle note, ma non consente di stabilirne l’eventuale
valore. Dico eventuale, perché il problema più difficile da risolvere per una trascrizio-
ne in grafia musicale moderna delle laude (come degli altri canti monodici medioeva-
li su testi in volgare) sta proprio in questo: la monodia medioevale non liturgica, deve
ritenersi completamente estranea agli schemi ritmicamente scanditi tipici della musi-
ca mensurale? E in caso negativo, come risalire ad essi? Da sempre gli studiosi hanno
nel tentativo comune di restituire la perduta identità alle antiche melodie, ma i dubbi
Sin dal diciottesimo secolo si pensò che le figure semplici della notazione corale
(virga, punto, rombo, rombo caudato) corrispondessero ai valori fissi di lunga, breve,
moderno: una lunga = due brevi, una breve = due semibrevi ecc... ; questa teoria fu so-
stenuta e divulgata dai massimi studiosi del tempo (De la Ravalière, 1742; De Laborde,
1780; Burney, 1782; Forkel, 1801). Verso il 1830, il musicologo francese François Louis
Perne adottava ancora più rigidamente questo tipo di concezione; tuttavia, rifacendosi
alle regole dell’Ars cantus mensurabilis di Francone da Colonia (metà secolo tredicesi-
mo), dava preferenza, per le sue trascrizioni, ai tempi ternari (3/8 o 3/4). A lui si op-
27
molto spesso la naturalezza del canto e il fluire del metro poetico.
Idee innovatrici furono introdotte dal Fischer, il quale, nel trascrivere alcune me-
che, ad indicare le note semplici, era stata usata esclusivamente la virga; la trascrizio-
cia, il che lo spinse a negare quella corrispondenza fissa e ad interpretare l’uso della
virga come indice di un ritmo più “discorsivo”, più elastico, del tutto affine a quello
a quella dei trovatori e trovieri francesi; tutta la monodia medioevale venne dunque
scher, secondo il quale ai segni della notazione corale monodica non poteva attribuirsi
alcun significato mensurale, molti studiosi rifiutarono l’ipotesi del ritmo libero grego-
riano, sostenendo che l’originaria struttura delle melodie doveva essere ricostruita
con altri mezzi. Un metodo largamente utilizzato all’inizio del nostro secolo
(soprattutto nel repertorio francese) fu quello basato sull’applicazione dei modi ritmi-
ci,39 ma dette luogo a risultati che sono stati posti in dubbio, perché è sembrata eccessi-
ciò allora a pensare che l’elemento più valido per risalire al ritmo delle melodie non
poteva essere uno schema precostituito, ma qualcosa di più connaturato con la melo-
dia stessa, ovvero il metro poetico. Sulla base di questo principio il tedesco Hugo Rie-
mann elaborò una nuova teoria, detta della Vierhebigkeit (quaternarietà), secondo la
schema di quattro misure di due tempi, dove accenti ritmici del verso e tempi forti
della battuta musicale potessero coincidere tra loro. La teoria fu condivisa e applicata
più o meno liberamente da molti altri studiosi dell’epoca, tra i quali Runge, Bernoulli,
39
Schemi ritmici ternari derivati dai piedi della poesia greca e latina (trocheo, giambo, dattilo ecc...),
nati in seguito allo sviluppo della polifonia per consentire l’andamento misurato e simultaneo delle voci.
28
Friedrich Ludwig fu il primo ad interessarsi in modo più approfondito dei reperto-
ri laudistici italiani (fino allora quasi sconosciuti), trascrivendo due laude cortonesi
secondo il criterio del Riemann (Gloria ‘n cielo e pace ‘n terra e Stella nova ‘n fra la
Fernando Liuzzi, 41 contenente il facsimile dei due laudari musicati (cortonese e fio-
rentino) con relative trascrizioni, nonché un ampio studio introduttivo sui vari
aspetti della materia. L’opera rappresenta ancora oggi un punto di riferimento fonda-
mentale in questo campo; all’autore spetta infatti il merito di aver affrontato ex novo
osservato che il verso più semplice e comune nelle laude è l’ottonario piano, con gli
accenti sulle sillabe dispari (1, 3, 5 e 7), ne definisce il ritmo musicale interno, regolare
na:
1 2 3 4
O di- vi- na vir- go, flo- re
1 2 3 4 5 6 7 8
40
FR. LUDWIG, Die geistliche nichtliturgische, weltliche einstimmige und die mehrstimmige Musik des
Mittelalters..., in Handbuch der Musikgeschichte, Francoforte, Guido Adler 1924, pp. 179-180; più nota la
seconda edizione: Berlino, M. Hesse 1930, I, pp. 211-212.
41
FERNANDO LIUZZI, op. cit..
42
Nella propria versione il Ludwig preferì usare le minime anziché le semiminime.
29
3
&œ œ œ œ œ bœ œœœœ œ œ œ œ
œ œ œ œ œ
O di - vi - na vir - go, flo - re au - lo - ri - ta - d'o - gne au - lo - re
di note poste su sillabe atone, o con l’aggiunta di anacrusi. Raramente, viene impiega-
to il ritmo ternario, anziché binario (come nel caso di Ave, donna santissima o di Al-
tissima luce), per donare maggior scorrevolezza e naturalezza alla melodia, ma sem-
Sui risultati pratici di questo metodo si sono pronunciati vari esperti, molti dei
quali, pur riconoscendo l’importanza del lavoro del Liuzzi, hanno suggerito sistemi di
Giulio Cattin, autore di un celebre saggio sulle melodie cortonesi, riassume così l’opi-
trascrizione del Liuzzi conduce ad esiti accettabili e perfino esteticamente perspicui nel
caso di melodie sillabiche; il risultato non è più tale nelle melodie ornate o, tanto peg-
gio, melismatiche, per le quali lo schema delle quattro misure binarie diviene un rigi-
dissimo letto di Procuste, ove le note delle ligaturae si assiepano in innaturali ed ine-
seguibili valori».43
Le prime recensioni significative sul lavoro del Liuzzi furono quelle di due musi-
cologi, lo svizzero Jacques Handschin44 e la francese Yvonne Rokset.45 Il primo resta so-
certi schemi metrico-ritmici quantitativi della poesia classica (saffici, asclepiadei ecc...)
43
G. CATTIN, Le melodie cortonesi: acquisizioni critiche e problemi aperti, in Laude cortonesi dal secolo
XIII al XV , a cura di GIORGIO VARANINI, LUIGI BANFI e ANNA CERUTI BURGIO, Firenze, Leo S.
Olschki Editore 1981, vol I, tomo II, p. 487. Il saggio contiene un’importante rassegna delle ipotesi formu-
late sull’argomento e un’analisi critica dei vari metodi di trascrizione proposti negli ultimi anni come al-
ternativa a quello del Liuzzi.
44
J. HANDSCHIN, Über die Laude - a propos d’un livre recent, «Acta Musicologica», X, 1938, pp. 14-31.
45
Y. ROKSETH, Les laude et leur édition par M. Liuzzi, «Romania», LXV, 1939, pp. 383-394.
30
da tenere presenti nell’individuazione del ritmo musicale del verso; sostiene inoltre
ma mette in primo piano il rispetto dell’identità ritmica dei temi a ritorno periodico,
subordinando a questo tutti gli altri fattori di interpretazione; il Liuzzi aveva preferito
mantenere la coincidenza tra sillabe toniche dei versi e tempi forti delle battute musi-
cali ed era stato costretto a trascrivere frasi melodicamente identiche con ritmiche
sempre diverse. La Rokseth non ammette questa scelta, sostenendo che «il ritorno dei
temi musicali è quasi il solo fatto costante nella struttura delle laude».
dopo essersi interessato di laude a più riprese, condensò il suo pensiero in un saggio
apparso nel 1968.46 A suo parere la notazione dei laudari costituirebbe la transizione da
quella gregoriana a valori indeterminati a quella dei modi ritmici e sarebbe mensura-
le, data la sua somiglianza con la notazione evoluta di una sessantina di Cantigas spa-
gnole; cosicché assegna valori fissi a figure e ligaturae, secondo un criterio molto sem-
(diviso in due ottavi), ternaria = un tempo (una terzina di ottavi), quaternaria = due
tempi (quattro ottavi), quinaria = due tempi (il primo composto da una terzina di ot-
tavi, il secondo da una duina semplice) e così via. Ne risulta una costante alternanza
di misure binarie e ternarie, che elimina il problema dell’eccessiva riduzione dei va-
lori. Ma il criterio appare troppo semplicistico e i risultati della sua applicazione susci-
del Liuzzi egli preferisce affidarsi al ritmo libero; di conseguenza appone gli ictus sole-
smensi, ma cede alla tentazione di usare note lunghe e lo fa in base a scelte di gusto
46
HIGINIO ANGLÉS, The musical Notation and Rhythm of the italian Laude, in Essays in Musicology: A
Birthday offering for Willi Apel, Indiana University, H. Tischler 1968, pp. 51-60.
47
42 Laudi Francescane dal laudario cortonese del XIII secolo, trascritte da G. Canuto, armonizzate da N.
Praglia, Roma, N. Praglia 1957.
31
del tutto arbitrarie e ingiustificate (addirittura su sillabe atone); alcune laude, poi, sono
se modifiche testuali (il popolo non poteva certo cantare nella lingua del duecento)
Una trascrizione simile nella finalità, ma condotta con criteri mensurali, era già
apparsa nel 1936 a cura di Nicola Garzi:48 in essa, valori di semiminime e crome ven-
sono trascritti in crome (anche terzine). Il metodo, come d’altronde quello del Liuzzi,
non consente l’adattamento della stessa melodia alle varie strofe, poiché la posizione
degli accenti tonici delle sillabe varia inevitabilmente a seconda della natura del ver-
so.
espressa ampiamente in un suo saggio del 1960: 49 egli esclude un adattamento delle
condivide il concetto di partenza del Liuzzi, ovvero che solo il ritmo del testo può
suggerire quello della melodia, ma rifiuta lo schema coercitivo delle quattro battute
binarie, subordinato al principio della corrispondenza fissa tra tempi forti e sillabe to-
niche. Suggerisce invece di partire dall’analisi dei singoli “piedi” del verso, che, a cau-
sa dell’anisosillabismo,50 possono essere di varia natura (dattili, giambi ecc.); essi sono
organizzati in base ad un unico elemento, ovvero la sillaba, che perciò viene elevata a
unità di misura musicale. Così, «se a una sillaba corrisponde una sola nota, questa
dura quanto la sillaba stessa; ma se più note si accompagnano alla sillaba, esse riduco-
48
Le laude del laudario cortonese secondo la trascrizione in musica figurata dell’acc. Can. Don NICOLA
GARZI, in Accademia Etrusca di Cortona - Secondo Annuario 1935 , Roma, Stab. Tip. Risorgimento 1936,
pp. 11-36.
49
RAFFAELLO MONTEROSSO, Il linguaggio musicale della lauda dugentesca, in AA.VV., Il movimento
dei Disciplinati nel Settimo Centenario del suo inizio (Perugia 1260) , in appendice al «Bollettino della
Deputazione di Storia patria per l’Umbria», 9, Perugia 1962, pp. 476-494.
50
La presenza, all’interno di un testo omoritmico, di versi di misura differente.
32
no proporzionalmente la loro durata per uniformarsi, entro limiti non assolutamente
rigidi, al tempo base della sillaba». I problemi relativi alle irregolarità dei versi vengo-
no dunque eliminati e ad ogni piede viene adattata una battuta propria, dotata di un
suo tempo forte e di uno o due deboli; il risultato è quello di una morbida declama-
dell’eccessiva contrazione dei melismi, già riscontrato nella trascrizione del Liuzzi.
Inoltre non è detto che tutti i melismi siano abbellimenti, ovvero che le loro note sin-
gole debbano avere un valore sempre e obbligatoriamente inferiore a quello della nota
sua rigorosa attuazione pratica fu effettuata da Piero Damilano nella trascrizione di tre
laude.51
Pellegrino Ernetti:52 egli sostiene che la scrittura neumatica del codice «è strettamente
quella quadrata romana gregoriana con tutte le caratteristiche dei codici gregoriani
scrivere in altrettanto simile metrica tutti i suddetti brani gregoriani: cosa assoluta-
Più recente è il già citato lavoro di Clemente Terni, nel quale, assieme alla trascri-
zione “semidiplomatica” (sono indicate solo le altezze delle note) ve n’è una per con-
stiene che le melodie devono essere interpretate «in ritmo libero nella accezione ac-
vasta serie di disquisizioni, la cui notevole complessità richiede, ai fini di una totale e
Cito per ultima la trascrizione mensurale di Vincenzo Lucchi,53 che riscontra, nella
51
PIERO DAMILANO, Musica religiosa popolare agli albori della letteratura italiana, «Musica Sacra»
(Milano), anno 81, s. II, 1957, pp. 99-111.
52
PELLEGRINO ERNETTI–LAURA ROSSI LEIDI, Il laudario cortonese n. 91, EDI–PAN, Roma 1980.
53
LUIGI LUCCHI, Il laudario di Cortona, Vicenza, L.I.E.F. 1982.
33
maggior parte delle laude, la presenza di fasi ritmiche già ben definite, in genere a
Lauda n∞ 8:
œ
& œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ bœ œ bœ œ œ œ œ œ œ œ
Al - tis - si - ma lu - ce col gran- de splen - do - re, in voi, dol- çea- mo- re, a- giam con - so - lan - ça
Lauda n∞ 31:
& œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ #œ œ œ œ œ œ œ œ #œ œ œ œ
Spi - ri - to san - cto, dà ser - vi - re, dan - n'al co - re de te sen - ti - re!
gruppi di due, quattro o più note; perciò, attribuendo ai laudesi una sensibilità ritmica
una consuetudine, in base alla quale i cantori sarebbero stati in grado di contrarre o
espandere istintivamente il valore delle note nei gruppi in eccesso o in difetto, al fine
Lauda n∞ 8:
j j j j j
& 68 œj œj œj œ œ œ œj œj j œ œ œj œj œj œj œ b œJ œJ œJ Jœ œ œ œj œ œ œ œj
œ
Al - tis - si lu - ce col gran- de splen - do- re, in voi, dol
- - çea - mo- re, a- giam con- so - lan - ça
Lauda n∞ 31:
6 œ œ
& 8 J J œJ œ œ œJ œ Jœ œ œ œj œj # œ œ œ œ œ œ œj œj # œj œ œ j
œ
Spi - ri - to san - cto, dà ser - vi - re, dan- n'al co - re de te sen - ti - re!
34
Questo metodo di trascrizione è adottato per la maggior parte delle laude, con l’uso
sistematico dei tempi 3/8 e 6/8. Il risultato musicale è senz’altro accattivante, ma la to-
tale assenza di trascrizioni in ritmo binario lascia un po’ perplessi; in effetti, la ritmica
binaria fu sempre fortemente connaturata alla sensibilità musicale degli italiani, così
come quella ternaria ai francesi. Inoltre, le restanti laude vengono trascritte in ritmo
libero a valori isocroni; Lucchi giustifica questa scelta riconoscendo (suo malgrado) la
di esse con celebri intonazioni gregoriane54 (l’inciso iniziale della lauda 45 ricorda, ad
Queste, fino ad ora, le più significative soluzioni proposte per l’interpretazione del-
blemi sembrano ancora sub judice: le opinioni dei musicologi sono diverse o addirit-
tura contrastanti, e in alcuni casi, piuttosto drastiche. Così, se Liuzzi esagera nell’uso
quasi esclusivo dei ritmi binari e nel rispetto della quadratura del fraseggio, Lucchi fa
lo stesso con quelli ternari, mentre Terni esclude totalmente la possibilità di ritmi
elastiche, da valutare, se non caso per caso, almeno per diversi gruppi di profili melo-
dici.
********************************
L’adozione della teoria del ritmo libero gregoriano sembra incontrare seri proble-
1) Da un confronto diretto tra le laude comuni del laudario cortonese e del Maglia-
bellimenti, da intendere nel senso di “fioriture”, ovvero gruppi di note aggiunti allo
54
A mio parere, il fatto che i laudesi attingessero incisi dal repertorio liturgico non implica che ne mante-
nessero anche il ritmo libero; in fondo, le melodie originali erano basate su testi in latino, mentre i testi
delle laude sono in volgare, lingua tipicamente “accentuativa”, che si presta bene ai ritmi scanditi e rego-
lari.
35
te come i gregorianisti sostengono. Osserviamo, ad esempio, il seguente paragone tra
Cortonese & œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ Aœ œ œ œ œ œ œ œ
A - ve, don - na san - tis - si - ma, re - gi - na po - ten -
Magliabechiano &œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
A - ve, don - na sanc- tis - si - ma, re - gi - na po - ten -
&œœœœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
tis - si - ma! La ver - tù ce - le - sti - a - le col- la
&œ œ œ œ œ œ œ
œ œ œœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
tis - si - ma! La ver - tù ce - le - sti - a - le col- la
& œ œ œ œ œœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
œ
gra - ti - a su - per - na - le en te, vir - go vir - gi - na -
& œ œ Aœ œ œ œ œ œ Aœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ Aœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
gra tia su - per - na - le in te, - vir - go vir - gi - na -
& œ œ œA œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
œ
le, di - sce - se be - ni - gnis - si - ma.
& œ œ œA œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
œ œ œ œ œ
le, di - sce - se be - ni - gnis - si - ma.
fiorentina, più melismatica, risulterebbe troppo estesa rispetto alla cortonese, tanto da
sembrare sensibilmente differente. In fondo, gli abbellimenti di queste laude non sono
altro che formule melodiche convenzionali, stereotipi melodici che verranno in gran
parte utilizzati nelle composizioni dell’Ars Nova del Trecento, durante la quale assu-
36
meranno fisionomia metrica ben precisa; a mio parere non è da escludere che, già nel
repertorio monodico laudistico e profano (trovatori e trovieri) della fine del Duecen-
to, si eseguissero a valori definiti. Da questo punto di vista, tra le varie trascrizioni dei
laudari, quella del Liuzzi si rivela interessante, poiché molti dei suddetti stereotipi
presentano una veste metrica molto simile a quella che avranno in seguito. Osservia-
4 j œ œ bœ 3 3
&4 œ œ œ œ œ J œ œ œ ‰ œj œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ Œ
œ œ bœ œ œ
A - ve, don - na sanc - tis - si - ma, re - gi - na po - ten - tis - si - ma!
3 3
&œ œ œ œ œ œ œ œ œœ œœ œ œœœœœ œ œ œ œ œ bœ œ œ œ œ œ œ œ
La ver - tù ce - le - sti - a - le col - la gra- tia su - per - na - le
3 3
3
& œ bœ œ œ œ œ œ œbœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ
œ
œ bœ œ œ œ œ œ œ œ œ
œ œ
in te, vir - go vir - gi - na - le, di - sce - se be -
&œ œ œ œ œ œ œ œ œ
bœ
ni - gnis - si - ma.
La figurazione posta sulle prime sillabe della strofa (la virtù celestïale....) sarà larga-
mente usata durante l’Ars Nova, così come le quartine sulla prima e sulla terza sillaba
della parola virginale, nonché i numerosi gruppi irregolari di terzine, seguite da dui-
ne regolari. Ecco una ballata di Francesco Landino (1335 ca.–1397), dove le suddette fi-
37
6 j
3
œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ. œ œ œ Œ œ
1
B 4 ˙. œ œ œ œ œ aœ
Si ti son sta to e vo - gli'es- - ser fe -
B 64 ˙ œ œ œ ˙ œ œ œ aœ
œ œ ˙ œ ˙ œ
Si ti son sta - t'e vo - gli'es - ser fe -
Œ œ œ œ œ œ ˙ ˙. œ œ œ œ œ aœ
4
B ˙ œ œ œ œ œ œ œ w.
de - le, Per -
B ˙ ˙ A˙ ˙. ˙ Aœ w. ˙ ˙ œ œ
de - le, Per -
œ œ œ œ a œ œ Œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ ‰ œj œ œ œ œ
3 3
˙ œ
8 3
B œ
ché non vol - gia pia - ta le tuo' ve -
B ˙ œ œ ˙ ˙ œ œ ˙ ˙ Œ œ œ œ
ché non vol - gia pia - ta le tuo' ve -
Œ œ œ a œ œ œ œ œ ‰ œj œ ‰ œj œ ‰ œj œ ‰ œ œ œ œ œ œ œ a œ
11
B ˙
B ˙ ˙ ˙ ˙ Œaœ ˙ Œ œ œ Œ œ
œ
œ œ œ œ
3
. .. w œœ œœ ˙ œ Œ œ œ œœœœ
B w œ
14
J J œ
le. Cru - da sel - vag - gia don - na bel la - e
.. ˙ ˙ œ œ.
B w. w œ Aœ ˙ œ œ ˙
J
le. Cru - da sel - vag - gia don - na bel - l'e
E non fa - rà tua du - rez - za tal
38
j
Œ œ œœ œ œ œ Ó
18
B ˙ œ œ œ œ œœ œ œ w œ. œ œ œ œ œ œ œ
va - ga? Io
B ˙ ˙ ˙ œ œ œ œ œ œ w Ó ˙ ˙ ˙
va - ga? Io
pia - ga Ch'a
Œ œ œ Œ œ œ œ œ œ aw œ Œ
22
B œ aœ œ œ J J
pur ti vin - ce - rò di lun - ga pro -
B ˙ œ œ bœ œ œ œ œ w œ
˙ œ Œ
pur ti vin - ce - rò di lun - ga pro - va.
ser - vir te mio fe non sie più no - va.
œaœ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ œ ..
25
B aœ w.
va.
B w ˙ ˙ #˙ w. ..
˙
Mi sembra dunque che, sotto questo profilo, il metodo di trascrizione del Liuzzi
possa essere rivalutato. Il principio di corrispondenza tra tempi forti delle battute e ac-
centi ritmici del verso appare senz’altro valido. Il maggior difetto consiste, come già
osservato, nel forzato rispetto dello schema a quattro battute di due tempi, che ha cau-
sato spesso l’eccessiva contrazione dei melismi. Questo problema si potrebbe risolvere
sia con una diversa disposizione dei valori all’interno dello stesso schema quaterna-
rio, sia, nei casi più difficili, con una sua dilatazione a cinque o sei battute. In fondo i
cuzione all’altra: varianti e aggiustamenti nelle fioriture saranno stati frequenti. Per-
accomodare il lavoro del Liuzzi, che dal punto di vista musicale ha dato risultati tutto
sommato soddisfacenti; in sede di esecuzione, basterà condurre il ritmo con una certa
39
elasticità di scansione, soprattutto nel caso di laude molto melismatiche.
Altro problema importante dei laudari è quello delle alterazioni. Con lo sviluppo
della musica ficta (a partire dal Tredicesimo secolo), il sistema esacordale ideato da
nell’esacordo re/si fu posto il fa diesis, cosicché tra la terza e la quarta nota vi fosse
sempre il semitono (re–mi–fa diesis–sol–la–si). Purtoppo per noi, tali alterazioni non
venivano quasi mai scritte. 55 Sappiamo tuttavia che, in genere, le alterazioni veniva-
senza di note di volta inferiori, per ridurre la distanza di tono a quella di semitono);
per bellezza (fuit inventa falsa musica causa necessitatis et causa pulchritudinis, ut pa-
tet in cantinellis coronatis) .56 È dunque palese la difficoltà di una sicura ricostruzione
Un’ultima riflessione va fatta sulla presenza della plica, figura di dubbia trascrizio-
ne; così ce la descrive l’Anonimo di S. Vittore (Dodicesimo secolo): «plica est nota di-
visionis ejusdem soni in gravem et acutum, et debet formari in gutture cum epiglot-
57
to». E ancora, Gerolamo di Moravia, due secoli dopo: «Est autem reverberatio bre-
vissimae notae ante canendam notam anticipatio, qua scilicet mediante sequens assu-
mitur. Flores subitas non alia quam plica longa, inter quam et immediate sequentem
ne distanti nel tempo, si può intuire che la plica non era altro che un abbellimento, da
55
Era massima medioevale “non debet falsa musica signari” (le alterazioni non si devono scrivere).
56
EDMOND DE COUSSEMAKER, Scriptorum de Musica Medii Aevi nova series, 4 volumi, Parigi
1864–1876.
57
EDMOND DE COUSSEMAKER, Histoire de l’Harmonie au Moyen Age, Parigi 1852. «La plica è una
nota divisionale dello stesso suono al grave e all’acuto e deve essere formata nella gola, con l’epiglotti-
de».
58
EDMOND DE COUSSEMAKER, Scriptorum de Musica Medii Aevi nova series, 4 volumi, Parigi
1864–1876. «È invero la ripercussione di una nota brevissima, che anticipa la nota da cantare, con la quale
perciò quella seguente viene intonata. I flores non sono altro che una plica lunga, tra la quale e la nota im-
mediatamente successiva si aggiungono note brevissime per bellezza armonica».
40
risolvere in più modi, a seconda del caso: spesso era un’anticipazione della nota se-
guente, oppure, nel caso di note ribattute, una semplice nota di volta, o, ancora, una
nota sfuggita. La plica poteva essere superiore ( ) o inferiore ( ); nel nostro laudario
troviamo solo quella superiore, che può essere risolta nei seguenti modi:59
Lauda n∞ 8:
6 j j j j j j j j j
& 8 œ œ œ œ œ œ œ œ œj œj œ œ œ œ
Al - tis- si - ma lu - ce col gran- de splen - do- re,
Lauda n∞ 4:
j œj œj œj œj œ œj œ œj œj œ œ
œ œ œ œ œ œj œ . œ
Fai - te p re - go al dol- çe Cri - sto k e ne d e - gia p e r - do - na - re!
Lauda n∞ 30:
j
6 j j œ œ bœ œ bœ œ œ œb œ b œ œ œ œ
& 8 œ œ b œJ J
Spi - ri - to san - cto glo - ri - o - so,
dunque facile, data la presenza dei numerosi dubbi e interrogativi sopra esposti. Oggi,
la grande sostanza di un simile lavoro è in genere affidata al buon gusto, alla musica-
lità e allo spirito intuitivo degli adattatori; il basarsi sulle poche certezze raggiunte
deve certo servire a “non uscire troppo dal seminato”, benché il seminato sia in verità
59
Nei seguenti esempi utilizzo l’interpretazione ritmica del Lucchi, il quale, tuttavia, risolve la plica
delle tre laude in altro modo.
41