Sei sulla pagina 1di 10

Rosei racemi

aulenti di pesco
germinavan,
il trillar dei laridi
augelli largheggiavan
alla quiete
ponderosa,
ch’insignorirsi dei
redoli del
borgo meo stava,
realità d’animo.

‘Oh Silentium sapido


de lusingo,
de indugio.
‘Oh Locus brullo
ch’l cor gemita
a fiutarti in
quadro tale.

De prosarpia l’ardore
divelto fu, celebrale
discordia el fomite.
Paeninsŭla mea
estenuata d’epidemia
com’naufrăgus in
pelago Pacìfico.
Rugiadosa aura
d’ora sesta,
ch’ubertoso
germe di fior
dissipando vai,
nell’agro ampolloso
aureo,
rosaceo quanto
le gote tue
Oh’ Fanciulla
d’albedine
ardore

Vespero
Evo, che
germini il
roseto,
sapido di speme
il cor vesti,
al principio del
rinfiorar’ tuo,
Oh’ trionfante
Veste
‘Oh magnanima borgata,
dirimpetto ‘l varco
di mia dimora,
l’occhi meis
rimiran te,
villa dai quieti
agri che cullar
sanno, l’anima
di chi a te vien,
come fecero
col perduto amor
del pensator
sommo, Vico

‘Oh aureo ramo,


che alle pendici
del Monte della Stella
tu, pulluli.
Sui tuoi cadevoli
fianchi si
pronunziarono novelle
di gloriose selci
che, urtate
da maritata donna,
benedictio - onis
pe’ soave Madonna
della Stella,
donavan

‘Oh inenarrabile loco,


Omignano,
copiose genti
paludiron Te
Locus antiquum
immane l’elegantia
tua è,
vestale dell’historia
di quest’agro,
magione di
chi eleatico
voll’esser,
mecenate
di nostri scrittoi,
‘l duca di
Redolenti humus
de nostro Signore,
lapalissiano
ch’io proferisca di Te,
Oh Parmenide
‘Oh meo Amorem,
admirabĭlis anĭma,
che possa
semper tu
mirar el’ cor mio,
gremito d’incantevol
amor’ e
corolle porpuree
di aulenti
rose in fior,
l’evo di questo vespro
fluisce cogitando
di Te,
sognando
scorci dell’urbis
aeternae,
sfiora dello spirito
meo il derma
un boccio angelico,
angelus paladino
nostrum,
loro benedictio – onis
per immortālis nostrum
Amorem,
nunc et usque in aeternum!
‘Oh aulente brama,
mio fato,
mio agio,
solitario loco ove
poss’io trovar
premura,
fenditure celate
nei vespai dello
spirito mio,
mi appello a te
nella quiete
di codesto infausto
vespro,
combinato da
carestia,
decodifico che
l’idolo nostro
stesso sia usbergo,
sia riparo,
minuzia sacra
ch’imprescindibile
debb’esser
in noi
‘Mi frater,
rimembro
che’l tempus
dell’esodo tuo,
pretiosus dies
in cui la
balia di nostra
dimora
pronunzió in
me
la voce della
nomina
in disputa
tua,
puerile fanciulla
allor’ io ero,
ponderavo un
valoroso te,
ardito e glorioso,
nel mentre che
l’epoca defluiva
l’evo della
puerizia mea
logorandosi andava,
com’il
tribolo che il
cor vestiva,
custodire
spoglio di te
il focolare noster
ardua mansione
fu,
seducenti volte celesti
salpai con sognante
fiato nell’attesa
di rinvenire a te, la
tenebrosa sera
fluiva cullando
l’anima mia fra
le possenti braccia
di Morfeo,
nel tentativo vano
di trovar
requie,
in fronte al
fiato dell’eclissi
della vita tua,
il secolo
si concretò
e scorgerti io,
più non
puote.
Prolisso le sponde
del profluvio dell’argilla
mia,
‘Oh Alento,
rimembro il riso
dei pargoli della
landa tua,
il pigolare dei
pennuti dell’avi,
la fragranza
dei tuoi papaveri
rosati,
rimembro l’albori
miei, primordiale
vestigia,
cimeli di te;
in ogni rango del
globo cui sfioro
indosso il flashback
di te, Oh’ Alento,
di tutta la marea
scrutata coi bulbi
miei,
con verità, ti
rivelo: illustre e
affascinante qual
tu sei,
nessun’ loco potrà
essere mai.
Ove mediti d’evadere,
in quell’evo in cui,
incappa l’uggia
nella psiche tua,
eclissare la rogna
non abrogherà
il tuo duolo,
liquefazione ventura
non puoi calzare,
divenire suo propizio,
persuaderlo e idolatrarlo,
forse,
solamente in tal modo,
logorarlo, puoi.

Potrebbero piacerti anche