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1
6.
La
Sonata
Theory:
l’esposizione
in
due
parti
e
la
cesura
mediana
Rispetto
alla
TFF
di
Caplin,
l’approccio
alla
forma
classica
di
Darcy
e
Hepokoski
rivela
un’enfasi
maggiore
sui
cosiddetti
parametri
secondari
della
musica.
Questa
differenza
si
ripercuote
più
di
tutto
sull’analisi
della
funzionalità
tematica
e
sulla
concezione
complessiva
dell’esposizione.
Darcy
e
Hepokoski
si
occupano
poco,
o
nulla,
della
funzionalità
di
base
e
fraseologica,
che
analizzano
utilizzando
in
larga
parte
le
stesse
categorie
funzionali
di
Caplin.
Rispetto
a
Caplin
emergono
profonde
differenze
nella
concezione
dei
formati
espositivi.
Abbiamo
visto
nel
capitolo
5
che
per
Caplin
esiste
un
unico
formato
dell’esposizione,
caratterizzato
sempre
dalla
successione
sintattica
delle
funzioni
formali
di
tema
principale,
transizione,
tema
subordinato
e
sezione
conclusiva,
anche
nei
casi
di
assenza
di
cesura
tra
le
funzioni
di
transizione
e
tema
subordinato
(la
fusione
formale-‐
funzionale
Transizione/Tema
subordinato).
Al
contrario,
per
Darcy
e
Hepokoski
la
presenza,
o
l’assenza,
di
cesura
–
collocata
grosso
modo
al
centro
dell’esposizione
e
per
questo
definita
cesura
mediana
–
determina
due
formati
espositivi
differenti:
il
primo,
caratterizzato
dalla
presenza
della
cesura
e
denominato
esposizione
in
due
parti,
corrisponde
in
larga
parte
al
modello
normativo
di
Caplin.
Accanto
a
un’esposizione
in
due
parti
loro
teorizzano
un
secondo
formato,
definito
esposizione
continua,
in
cui
è
assente
una
cesura;
quest’assenza
determina
significativamente
anche
l’assenza
della
funzione
di
tema
secondario
(il
loro
modo
di
denominare
la
funzione
del
tema
nel
nuovo
tono),
una
delle
differenze
più
profonde
con
la
TFF.
Un’altra
importante
differenza
tra
la
ST
e
la
TFF
è
il
ricorso,
nella
prima,
al
concetto
di
tema
conclusivo,
da
Caplin
escluso
per
una
supposta
impossibilità
di
poterne
differenziare
il
contenuto
funzionale
su
basi
esclusivamente
sintattiche.
Il
concetto
di
tema
conclusivo
si
legherà
strettamente
a
un’altra
fondamentale
interpunzione
del
decorso
musicale,
la
“chiusura
strutturale
dell’esposizione”
(Essential
Expositional
Closure).
Queste
due
punteggiature,
la
Cesura
Mediana
(Medial
Caesura,
d’ora
in
poi
CM)
e
la
Chiusura
Strutturale
dell’Esposizione
(CSE)
diventeranno
in
tal
modo
i
cardini
della
loro
strategia
analitica.
Qualsiasi
analisi
dovrà
considerare
con
grande
attenzione
prima
di
tutto
la
CM,
per
definire
se
il
formato
espositivo
sarà
in
due
parti
o
continuo,
e
poi
la
CSE,
per
individuare
l’inizio
della
zona
conclusiva.
Dovrà
inoltre
esaminare
le
strategie
circostanti
queste
articolazioni
formali
che
potrebbero
eventualmente
condizionarne
l’effetto
complessivo.
In
questo
capitolo
inizieremo
a
occuparci
della
CM
e
dell’esposizione
in
due
parti.
6.1
La
Cesura
Mediana
e
l’esposizione
in
due
parti
Ogni
esposizione
di
sonata
condivide
lo
stesso
disegno
tonale
orientato
dalla
tonica
iniziale
al
raggiungimento
di
un
nuovo
tono
(di
norma,
il
V
in
maggiore
e
il
III
in
minore).
A
fronte
di
questo
stesso
disegno
tonale,
un’esposizione
può
assumere
due
differenti
disegni
retorici:
l’esposizione
in
due
parti
e
l’esposizione
continua.
La
differenza
tra
questi
due
formati
è
determinata
dalla
presenza,
o
meno,
di
una
chiara
interruzione
nel
flusso
della
musica,
interruzione
che
Darcy
e
Hepokoski
definiscono
Cesura
Mediana
(CM).
La
CM
determina
una
divisione
in
due
parti
dell’esposizione,
con
la
seconda
parte
che
inizia
con
un
tema,
spesso
contrastante,
nel
nuovo
tono.
L’assenza
di
CM,
invece,
determina
l’esposizione
continua,
caratterizzata
significativamente
dall’assenza
della
funzione
di
tema
secondario;
nelle
loro
parole,
“if
there
is
no
medial
caesura,
there
is
no
secondary
theme”.
In
un’esposizione
in
due
parti
abbiamo
l’organizzazione
formale
illustrata
nella
Tav.
6.1:
6.1
organizzazione
formale
di
un’esposizione
in
due
parti
parte
1
parte
2
CM
CSE
P
TR
’
S
/
C
:⎥
⎥
La
parte
1
comprende
l’affermazione
del
tono
iniziale
e
una
forte
spinta
carica
di
energia
verso
il
raggiungimento
della
CM.
Essa
si
articola
in
due
zone
o
spazi
di
azione:
la
zona
del
Tema
Primario
(P)
e
la
2
zona
di
Transizione
(TR),
e
culmina
nella
CM
(indicata
dall’apostrofo).
La
parte
2
contiene
il
materiale
successivo
alla
CM
e
si
estende
fino
alla
fine
dell’esposizione,
generalmente
marcata
dal
segno
di
ritornello.
Essa
comprende
la
zona
del
Tema
Secondario
(S)
e
la
Zona
conclusiva
C).
La
funzione
principale
di
S
è
garantire
l’affermazione
del
nuovo
tono
con
la
prima
CAP
che
procede
a
nuovo
materiale,
un
evento
che
è
definito
Chiusura
Strutturale
dell’Esposizione
(CSE,
indicato
dallo
slash,
la
Essential
Expositional
Closure).
La
CSE,
oltre
a
chiudere
strutturalmente
l’esposizione,
svolge
anche
l’importante
compito
di
separare
S
dall’inizio
della
zona
C.
La
funzione
di
quest’ultima
zona
è
postcadenzale,
cioè,
essa
interviene
dopo
la
CSE,
le
fine
dell’esposizione.
Spesso
la
zona-‐C
si
suddivide
in
più
temi
(C1,
C2,
ecc.).
Lo
schema
riprodotto
nella
Tav.
6.2
illustra
la
traiettoria
tonale
fondamentale
di
un’esposizione
in
due
parti,
orientata
dalla
tonica
iniziale
alla
prima
CAP
nel
nuovo
tono
(la
linea
tratteggiata
più
ampia).
Questa
traiettoria
complessiva
si
articola
in
due
momenti
distinti;
il
primo,
svolto
da
P
e
da
TR
è
costituito
dal
raggiungimento
della
CM
(la
linea
obliqua
ascendente),
il
secondo,
svolto
specificamente
da
S
(la
linea
tratteggiata
più
piccola),
realizza
la
CAP
nel
nuovo
tono.
Tav.
6.2
Traiettoria
tonale
di
un’esposizione
in
due
parti
*
Dal
punto
di
vista
metodologico,
analizzare
un’esposizione
secondo
i
criteri
della
ST
di
Darcy
e
Hepokoski
significa
occuparsi
principalmente
delle
punteggiature
fondamentali
che
articolano
il
decorso
musicale
di
un’esposizione.
Per
prima
cosa,
si
stabilirà
se
c’è
una
CM
–
cioè,
se
il
formato
espositivo
è
in
due
parti
o
è
continuo
–
e
poi
si
individuerà
la
CSE
per
distinguere
la
zona
del
tema-‐S
da
quella
del
tema-‐C.
6.2
La
CM:
definizione
e
cenni
preliminari
La
CM
è
quella
breve
interruzione
che
divide
l’esposizione
in
due
parti.
Nei
tempi
rapidi,
come
spesso
sono
i
primi
movimenti
di
sonate,
sinfonie
e
musica
da
camera,
una
CM
è
solitamente
costruita
attorno
a
una
SC
fortemente
articolata.
La
CM
e
la
SC,
pur
essendo
elementi
di
uno
stesso
processo,
vanno
intese
come
momenti
di
tempo
concettualmente
distinti:
anche
se
a
volte
concidono,
generalmente
il
punto
di
arrivo
semicadenzale
precede
il
punto
di
articolazione
della
vera
e
propria
CM.
Come
vedremo,
il
V
semicadenzale
può
prolungato
per
diverse
battute
prima
che
si
realizzi
la
vera
e
propria
articolazione
della
CM.
In
termini
più
ampi,
l’intero
processo
dall’arrivo
del
V
semicadenzale
fino
alla
letterale
esecuzione
della
CM
può
essere
definito
strong
dominant-‐complex
(la
definizione
è
di
William
Horne),
un
“complesso
dominantico
forte”.
Anche
se
l’intero
processo
ha
spesso
il
suo
inizio
(la
SC)
molto
prima
del
suo
punto
di
arrivo
(la
CM),
noi
lo
sintetizzeremo
con
le
abbreviazioni
I
o
i:SC
CM
oppure
V
o
III:SC
CM
collocate
al
di
sotto
del
punto
di
articolazione
effettiva
della
CM;
queste
abbreviazioni
significano
CM
costruita
attorno
a
una
semicadenza
nel
tono
principale
(I
o
i)
oppure
attorno
a
una
SC
nel
nuovo
tono
(V
o
III
a
seconda
del
modo
maggiore
o
minore).
*Nello
schema
CEE
sta
per
CSE.
3
È
importante
sottolineare
la
duplice
funzione
svolta
da
una
CM,
come
delimitazione
della
fine
della
prima
parte
dell’esposizione
(da
qui
l’aggettivo
“mediana”)
e
nello
stesso
tempo
come
gesto
enfatizzato
che
rende
disponibile
la
seconda
parte.
La
CM
è
il
mezzo
che
permette
di
aprire
lo
spazio-‐S
e
definisce
il
tipo
di
esposizione.
Perché
la
CM
sia
in
grado
di
operare
con
efficacia
soprattutto
nei
tempi
rapidi,
occorre
un
notevole
impiego
di
energia.
Questa
energia
è
fornita
dalla
TR.
Come
regola
pratica,
una
volta
che
è
iniziata
la
TR,
una
dinamica
forte
sarà
tenuta
costante
o
crescerà
di
intensità
fino
alla
vera
e
propria
CM.
Ogni
calo
di
energia
o
di
vigore
–
qualsiasi
diminuendo
o
abbassamento
nel
livello
di
intensità
–
appare
illogico
e
richiederà
un’attenta
riflessione
analitica.
6.3
Defaults
armonici
di
una
CM
La
CM
è
solo
il
momento
finale
–
l’interruzione
o
il
gap
finale
–
di
un
processo
più
ampio
costruito
attorno
a
una
SC
o
nel
tono
principale
(I
o
i:SC
CM)
o
nel
nuovo
tono
(V
o
III:SC
CM)
dell’esposizione.
Di
queste
due
opzioni,
V
o
III:SC
CM
è
quella
più
utilizzata.
La
definiremo
default
di
primo
livello,
un
opzione
spesso
impiegata
in
lavori
di
più
ampie
dimensioni.
In
questo
tipo
di
CM,
nel
corso
della
TR
i
compositori
raggiungono
e
intensificano
il
V
del
nuovo
tono
(il
V
del
V
o
del
III),
preparando
così
l’ingresso
della
nuova
tonica
che
segnerà
l’inizio
di
S
e
della
seconda
parte
dell’esposizione.
Si
tratta,
in
sostanza
del
processo
armonico
che
Caplin
definisce
transizione
modulante.
In
lavori
di
dimensioni
più
contenute,
spesso
troviamo
un’altra
opzione,
il
default
di
secondo
livello,
I
o
i:SC
CM,
impiegata
con
una
certa
costanza,
ma
meno
dell’opzione
precedente.
In
questo
caso,
la
CM
è
costruita
attorno
al
V
del
tono
principale,
senza
quindi
modulare
nel
nuovo
tono
(la
transizione
non
modulante
di
Caplin).
Il
tema-‐S
può
iniziare
direttamente
nel
nuovo
tono
per
la
coincidenza,
nelle
esposizioni
di
modo
maggiore,
tra
il
V
del
tono
principale
e
la
nuova
tonica
(cioè,
il
V
del
tono
principale
e
il
I
del
nuovo
tono
sono
lo
stesso
accordo).
Nelle
esposizioni
di
modo
minore
il
secondo
default,
i:SC
CM,
è
praticato
molto
più
raramente,
quasi
sicuramente
perché
il
V
del
tono
principale
su
cui
è
articolata
la
CM
e
il
I
del
nuovo
tono
su
cui
inizia
il
tema-‐S
sono
accordi
diversi,
in
forte
conflitto
tonale
tra
loro.
Questo
conflitto
tonale
si
produce
perché
la
sensibile
(7^)
nel
V
di
un
tono
minore
determina
una
falsa
relazione
cromatica
con
il
5^
contenuto
nel
I
del
nuovo
tono.
Questa
situazione
si
presenta
nell’esposizione
del
Finale
della
Sonata
per
pianoforte
in
Do
minore
op.
10/1
di
Beethoven
(Es.
6.1).
Es.
6.1
Beethoven,
Sonata
per
pianoforte
in
Do
minore,
op.
10/1,
Finale
(1-‐18)
La
TR
inizia
a
b.
8
e
rimane
fino
alla
fine
nel
tono
principale
(una
TR
non
modulante),
culminando
a
b.
16
in
un
fortissimo
accordo
di
Sol
maggiore,
il
V,
su
cui
è
articolato
un
secondo
default
di
CM,
i:SC
CM.
L’accordo
di
Sol
maggiore
di
b.
16
contiene
la
sensibile,
il
si
beq.,
mentre
la
triade
di
Mib
maggiore,
con
cui
inizia
il
tema-‐S
a
b.
17,
contiene
il
sib,
il
5^
del
nuovo
tono.
La
successione
immediata
tra
si
beq.
di
b.
16
e
sib
di
b.
17
determina
una
relazione
cromatica
molto
dura,
una
sorta
di
non
sequitur
tonale,
a
differenza
del
più
comune
primo
default,
in
cui
la
nuova
tonica
è
preparata
dalla
sua
dominante.
Sebbene
la
maggior
parte
delle
esposizioni
utilizzi
prevalentemente
questi
primi
due
default,
Darcy
e
Hepokoski
teorizzano
la
possibilità
di
CM
più
rare,
costruite
su
una
CAP
in
uno
dei
due
toni
dell’esposizione
–
una
differenza
radicale
rispetto
a
Caplin
per
il
quale
una
TR
deve
sempre
essere
articolata
da
una
SC
e
le
CAP
denotano
esclusivamente
le
funzioni
formali
dei
temi
principali
e
subordinati.
Il
default
di
terzo
livello
è
costituito
da
V
o
III:CAP
CM,
cioè
da
una
CM
costruita
sulla
tonica
del
nuovo
tono.
Teorizzare
una
possibilità
di
questo
tipo
ha
notevoli
conseguenze
sul
piano
della
relazione
tra
disegno
tonale
e
funzioni
formali
di
un’esposizione.
Supporre
che
una
TR
possa
chiudere
con
una
CM
sulla
CAP
nel
nuovo
tono
significa,
infatti,
che
la
nuova
tonica
precede
l’inizio
del
tema-‐S,
contrariamente
ai
primi
due
default
in
cui
la
nuova
tonica
e
l’inizio
del
tema-‐S
in
genere
coincidono.
Potremmo
dire
che
nei
primi
due
default
di
CM
disegno
tonale
e
configurazione
formale
sono
“in
fase”
mentre
nel
terzo
default
sono
“fuori
fase”.
Si
faccia
molta
attenzione
a
questo
default
di
CM.
Essendo
costruito
su
una
CAP
nel
nuovo
tono,
la
prima
che
si
presenta
nell’esposizione,
questa
cadenza
contiene
il
rischio
potenziale
di
essere
confusa
con
la
CSE,
la
chiusura
strutturale
dell’esposizione
che
delimita
l’inizio
della
zona-‐C.
Se
è
realmente
così,
non
ci
sarà
4
allora
CM
e
l’esposizione
sarà
continua
(si
vedano
i
due
sottotipi
di
esposizione
continua
nel
capitolo
7).
Questo
significa
che
V
o
III:CAP
CM
costituisce
sempre
un
caso
estremamente
problematico
dal
punto
di
vista
analitico.
Il
quarto
e
ultimo
default
è
costituito
da
I
o
i
CAP
CM.
In
questo
caso,
la
CM
sarà
articolata
da
una
CAP
nel
tono
principale
e
il
nuovo
tono
entrerà
direttamente
senza
alcun
tipo
di
preparazione
(la
cosiddetta
modulation
phrase,
modulazione
diretta).
Si
tratta
di
un’opzione
assai
rara,
di
cui
gli
stessi
Darcy
e
Hepokoski
elencano
solo
pochissimi
casi.
Per
molti
teorici,
tra
cui
Caplin,
quando
si
passa
direttamente
da
una
CAP
nel
tono
principale
alla
nuova
tonica
è
in
realtà
assente
del
tutto
la
funzione
di
transizione.
La
Tav.
6.3
riassume
il
quadro
dei
quattro
default
armonici.
Tav.
6.3
Sintesi
dei
quattro
defaults
armonici
di
una
CM
opzioni
modo
maggiore
modo
minore
frequenza
di
impiego
primo
livello
V:SC
CM
III:SC
CM
molto
frequente
secondo
livello
I:SC
CM
i:SC
CM
frequente
terzo
livello
V:CAP
CM
III:CAP
CM
rara
(e
problematica)
quarto
livello
I:CAP
CM
i:CAP
CM
molto
rara
6.4
Rinforzi
retorici
di
una
CM
Un
aspetto
molto
significativo
nella
ST
è
costituito
dal
modo
in
cui
è
descritto
il
processo
complessivo
che
culmina
nella
CM.
Darcy
e
Hepokoski
in
questo
caso
spostano
l’accento
dagli
aspetti
specificamente
armonici
della
CM
–
quelli
appena
elencati
–
a
quelli
genericamente
retorici.
La
loro
indagine
mostra
che
l’intero
processo
culminante
nel
raggiungimento
finale
di
una
CM
di
primo
o
di
secondo
livello
(le
opzioni
più
comuni)
presenta
una
serie
di
rinforzi
normativi,
sintetizzati
nella
Tav.
6.4.
Tav.
6.4
Rinforzi
retorici
di
una
CM
di
primo
e
di
secondo
livello
1. raggiungimento
di
un
V
semicadenzale
mediante
un
#4^
in
una
delle
voci
esterne
o
un
b6^
nel
basso
2. prolungamento
del
V
semicadenzale
(dominant-‐lock,
la
standing-‐on-‐the-‐dominant
di
Caplin)
mediante
un
pedale,
generalmente
con
accordi
di
4/6
di
volta
3. forte
spinta
carica
di
energia
tra
il
V
semicadenzale
e
la
vera
e
propria
articolazione
della
CM,
con
dinamica
forte
e
aumento
dell’attività
ritmica
di
superficie
(in
questa
fase
il
forte
nel
livello
delle
dinamiche
è
mantenuto
costante
o
addirittura
aumenta
di
intensità)
4. articolazione
della
CM
con
“colpi
di
martello”
(hammer-‐blows,
in
genere
tre)
5. Pausa
generale
(PG)
subito
dopo
i
colpi
di
martello,
oppure
riempimento
della
PG
con
un
breve
raccordo
melodico
(RC,
riempimento
della
cesura)
6. Subito
dopo
la
CM
e
la
PG
o
il
RC,
diminuzione
improvvisa
della
dinamica
(piano)
e
inizio
del
tema-‐S
e
della
seconda
parte
dell’esposizione
nel
nuovo
tono
L’es.
6.2
mostra
le
bb.
1-‐22
da
un’esposizione
di
Mozart,
un’ottima
illustrazione
dei
sei
rinforzi
retorici
appena
descritti.
Es.
6.2
Mozart,
Sonata
per
pianoforte
in
Re,
K.
284,
I
(1-‐22)
Dopo
il
tema-‐P
(bb.
1-‐9),
la
TR
ha
inizio
elidendosi
con
la
fine
dell’unità
precedente.
Questa
TR,
sotto
il
profilo
funzionale,
è
costituita
da
una
presentazione
(bb.
9-‐12)
seguita
da
una
continuazione
(bb.
13-‐17)
e
da
una
persistenza
sulla
dominante
(bb.
17-‐21),
un
chiaro
disegno
di
sentence.
Si
osservi
come
i
sei
punti
precedenti
sono
“letteralmente”
dispiegati
nella
musica.
Punto
3:
La
b.
13,
l’inizio
della
continuazione,
è
improvvisamente
marcata
da
una
dinamica
forte,
tanto
più
dirompente
dopo
il
piano
della
precedente
presentazione.
Il
forte
permane
fino
alla
fine
della
transizione,
b.
21,
il
punto
in
cui
è
articolato
un
secondo
default
di
CM,
I:SC
CM
(punto
3).
In
un’esecuzione
non
sarebbe
inopportuna
una
scelta
interpretativa
che
nello
slancio
della
performance,
tendesse
“naturalmente”
a
un
aumento
del
livello
della
dinamica
verso
un
fortissimo.
5
Punto
1:
Si
osservi
come
è
raggiunto
il
V
semicadenzale
di
b.
17;
la
frase
di
continuazione,
a
partire
da
b.
13,
introduce
una
forte
ascesa
al
ritmo
di
un
grado
per
battuta
(la
voce
superiore
mi-‐fa#-‐sol-‐sol#-‐la,
2^-‐3^-‐4^-‐#4^-‐5^
nel
tono
principale).
Nello
stesso
tempo,
il
basso
muove
al
V
con
un
movimento
cromatico
discendente
6^-‐b6^
(si-‐sib,
bb.
15-‐16).
Punto2:
Il
V
semicadenzale
è
poi
prolungato
da
un
dominant-‐lock,
un
blocco
sulla
dominante.
Punto
4:
La
CM
è
articolata
a
b.
21
con
tre
colpi
di
martello.
Punto
5:
PG,
il
momento
di
silenzio
in
tutte
le
voci
della
texture
sul
quarto
tempo
della
battuta.
Punto
6:
a
b.
22,
un
improvviso
calo
del
livello
della
dinamica
segnala
l’inizio
di
un
tema-‐S
piano
e
cantabile
nel
nuovo
tono
di
La
maggiore,
il
V
del
tono
principale,
l’opzione
più
frequente
per
S
nelle
esposizioni
di
fine
‘700.
Si
tenga
conto
che
non
sempre
le
TR
enfatizzano
il
processo
di
raggiungimento
della
CM
con
la
presenza
di
tutti
i
sei
punti
precedenti.
Potrebbe,
per
es.,
mancare
il
blocco
sulla
dominante,
o
non
esserci
i
colpi
di
martello.
Un
aspetto,
comunque,
non
dovrebbe
mancare:
la
forte
spinta
carica
di
energia
dovrebbe
caratterizzare
qualsiasi
processo
di
transizione.
In
assenza
di
un
chiaro
accumulo
di
energia,
si
dovrà
considerare
con
molta
attenzione
cosa
sta
realmente
succedendo;
molto
spesso,
zone
di
TR
indebolite
sotto
il
profilo
dell’intensità
delle
dinamiche
producono
effetti
sull’unità
successiva.
Un
elemento
di
grande
importanza
è
ovviamente
il
V
semicadenzale.
Tuttavia,
abbiamo
visto
che
è
possibile
avere
CM
articolate
su
una
CAP
nel
nuovo
tono.
In
questi
casi,
il
processo
non
tende
naturalmente
a
sottolineare
un
V,
ma
un
I.
Pertanto,
mancherà
il
rinforzo
retorico
del
punto
1.
In
ogni
caso,
avremo
una
forte
spinta
verso
l’articolazione
finale
della
CAP.
Sarà
questo
l’aspetto
essenziale
che
caratterizzerà
in
casi
del
genere
una
CM.
6.5
Ordine
di
dispiegamento
temporale
delle
opzioni
di
CM
Un
aspetto
connesso
all’identificazione
di
una
CM
è
la
sua
adeguatezza
temporale
–
la
sua
precisa
collocazione
all’interno
di
un’esposizione.
Darcy
e
Hepokoski
ritengono
che
in
generale
la
CMpossa
ricorrere
in
un
range
percentuale
abbastanza
ampio,
nella
loro
disamina
dal
15
al
75%
dell’intera
esposizione.
La
loro
ricerca
sul
repertorio
strumentale
del
periodo
classico
ha
evidenziato
i
seguenti
dati
specifici:
Il
secondo
default
di
CM,
I:SC
CM,
è
la
prima
opzione
praticabile
in
ordine
di
tempo.
Essa
ricorre
generalmente
tra
il
15
e
il
45%
dell’esposizione.
Oltre
il
45%,
e
soprattutto
in
lavori
di
ampie
dimensioni,
diventa
rara,
una
conferma
che
questa
opzione
di
CM,
se
impiegata,
denota
immediatamente
lavori
di
più
piccole
dimensioni.
In
lavori
di
dimensioni
maggiori,
l’opzione
più
frequente
è
il
primo
default,
V:SC
CM.
Quest’opzione
tende
infatti
a
presentarsi
tra
il
25
e
il
50%,
più
raramente
il
60%.
La
terza
opzione,
V:CAP
CM
ricorre
invece
ancora
più
avanti,
tra
il
50
e
il
70%,
raramente
il
75%.
I
valori
per
l’opzione
più
rara,
I:CAP
CM
non
sono
specificati,
ma
è
presumibile
che
si
tratti
di
occorrenze
precoci.
Lo
schema
riportato
nella
Tav.
6.5
riassume
l’ordine
di
dispiegamento
temporale
delle
varie
opzioni.
Non
si
confonda
l’ordine
di
ricorrenza
temporale
con
il
tipo
di
default
armonico:
per.
es.,
la
prima
CM
disponibile
in
ordine
di
tempo
è
il
default
di
secondo
livello,
I:SC
CM.
Tav.
6.5
Dispiegamento
temporale
delle
opzioni
di
CM
25%
50%
75%
100%
Esposizione:
I-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐I-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐I-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐I-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐I
CM
disponibile:
I-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐I
I:SC
CM
I-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐I
V:SC
CM
I-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐I
V:CAP
CM
6
Qualche
osservazione
può
essere
utile.
L’ordine
in
cui
ricorrono
le
varie
opzioni
di
CM
si
spiega
per
ragioni
di
natura
tonale.
Naturalmente,
I:SC
CM
si
rende
disponibile
come
prima
possibilità
perché
il
tono
principale
è
il
primo
che
appare
in
ordine
di
tempo,
mentre
la
seconda
e
la
terza
opzione
sono
successive
perché
il
tono
secondario
interviene
dopo.
Una
seconda
osservazione
riguarda
l’uso
strategico
delle
varie
opzioni.
Un
compositore,
per
es.,
può
fingere
di
articolare
una
prima
opzione
di
CM,
I:SC
CM.
Oltrepassato
il
range
temporale
per
attuare
questa
opzione,
egli
sceglie
l’opzione
successiva,
V:SC
CM
(si
veda
a
tal
proposito
il
paragrafo
successivo
sulla
CM
declinata).
In
stretta
correlazione
con
questo
punto
è
il
fatto
che,
in
linea
generale,
ogni
opzione
è
di
norma
accessibile
solo
una
volta
nel
corso
di
un’esposizione,
un
aspetto
che
Darcy
e
Hepokoski
definiscono
come
“principio
di
non-‐ridondanza”
delle
opzioni
di
CM
(nonredundancy).
Ricorrendo
a
una
loro
descrizione
metaforica,
è
come
se
inizialmente
al
compositore
fosse
dato
un
solo
gettone
per
ogni
possibile
CM;
una
volta
giocato
o
esaurito,
questo
gettone
non
può
essere
più
riutilizzato,
ma
occorre
spenderne
un
altro.
Per
questo
motivo,
oltrepassato
il
limite
temporale
in
cui
un’opzione
è
accessibile,
il
compositore
procede
all’impiego
dell’opzione
successiva.
Un
ultimo
aspetto
da
considerare
è,
ovviamente,
la
flessibilità
dei
valori
percentuali.
Le
cifre
riportate
sono
solo
dei
valoro
medi
calcolati
sulla
base
del
repertorio
esaminato,
ma
potrebbero
benissimo
variare
in
una
composizione
specifica.
In
ogni
caso,
questi
dati
possono
essere
un’utile
guida
nella
nostra
decisione
analitica.
Per
es.,
se
stiamo
valutando
come
possibile
CM
una
CAP
nel
nuovo
tono,
un
terzo
defaut
V:CAP
CM,
e
questa
cadenza
ricorre
oltre
il
limite
del
70%
della
durata
complessiva
dell’esposizione,
dovremmo
tenere
nella
dovuta
considerazione
il
fatto
che
questa
CAP
potrebbe
denotare
non
tanto
una
CM
quanto
una
CSE.
Pertanto,
la
nostra
supposizione
iniziale
circa
la
collocazione
della
CM
potrebbe
benissimo
essere
sbagliata.
Affronteremo
questi
aspetti
nella
parte
dedicata
all’analisi
(cap.
8).
6.6
Il
riempimento
della
cesura:
qualche
indicazione
analitica
Abbiamo
visto
nel
punto
5
della
Tav.
6.4
che
uno
dei
tratti
retorici
tipici
del
processo
che
caratterizza
l’espressione
efficace
di
una
CM
è
la
presenza
di
una
pausa
generale
(PG),
un
momento
di
silenzio
in
tutte
le
voci
della
texture
che
segue
l’articolazione
forte
della
CM.
La
funzione
della
PG
è
di
fondamentale
importanza:
essa
consente
un
immediato
“arresto”
della
forza
dinamica
che
si
è
sviluppata
nel
corso
della
transizione,
permettendo
l’ingresso
di
un
tema-‐S
con
un
livello
di
intensità
inferiore
(un
piano).
In
breve,
consente
un
cambiamento
improvviso
di
ambientazione
sonora
per
l’inizio
della
seconda
parte
dell’esposizione.
Molto
spesso,
però,
la
PG
non
è
presente,
perché
al
suo
posto
troviamo
un
breve
raccordo
musicale
in
una
sola
voce,
spesso
il
basso,
che
collega
la
CM
con
l’inizio
del
tema-‐S.
Questo
breve
raccordo
melodico
è
definito
Caesura-‐Fill,
riempimento
della
cesura
(RC).
L’es.
6.3a
illustra
mostra
un
caso
di
RC.
Il
RC
è
il
breve
raccordo
evidenziato
nella
b.
27.
Es.
6.3a
Mozart,
Sonata
per
pianoforte
in
Sib,
K.
281,
III
(26-‐29)
L’es.
6.3b
evidenzia
il
precedente
riempimento,
per
mostrare
uno
dei
modi
più
comuni
in
cui
esso
è
realizzato,
mediante
una
discesa
lineare
da
5^
a
1^
in
un
V:SC
CM
(nell’esempio
il
re
è
una
volta
superiore
di
5^).
Tuttavia,
il
riempimento
può
essere
anche
più
ampio
e
complicato,
come
nei
casi
di
riempienti
espansi
che
possono
anche
occupare
molte
battute
di
musica.
Una
caratteristica
del
riempimento,
oltre
al
fatto
di
ridurre
al
minimo
il
numero
delle
voci
(molto
spesso
una
sola
linea)
è
la
dinamica
piano.
Il
riempimento
si
caratterizza
proprio
per
questa
sua
dinamica
recessiva.
Un
riempimento
con
un
livello
dinamico
forte,
o
con
un
crescendo,
pone
seri
problemi
di
interpretazione
analitica,
che
andranno
valutati
con
molta
accuratezza.
Infatti,
la
funzione
specifica
del
riempimento
è
dare
espressione
sonora
(tradurre
in
suoni)
quello
che
è
uno
dei
momenti
retorici
più
significativi
dell’esposizione:
la
diminuzione
dell’intensità
per
consentire
l’ingresso
di
un
tema-‐S
piano.
Due
aspetti
finali
vanno
menzionati.
Per
prima
cosa,
si
ricordi
che
un
riempimento
è
un
raccordo
che
occupa
lo
spazio
di
tempo
generalmente
destinato
alla
PG.
In
tal
senso,
esso
non
appartiene
né
alla
TR,
né
al
tema-‐S.
In
secondo
luogo,
non
si
faccia
confusione
tra
un
riempimento
e
il
levare
con
cui
spesso
inizia
il
tema-‐S,
un
elemento
che
occupa
lo
spazio
destinato
alla
PG,
ma
che
appartiene
totalmente
già
alla
zona-‐S.
7
raggiungimento
di
una
nuova
CM,
ora
un
primo
default,
V:SC
CM,
l’opzione
successiva
in
ordine
di
tempo.
Il
V
del
nuovo
tono
è
raggiunto
a
b.
34
e
prolungato
fino
a
b.
36,
dove
è
marcato
da
due
ripetizioni
in
sforzando
(un’allusione
ai
colpi
di
martello).
Una
battuta
di
riempimento
(b.
37-‐38,
un’elaborazione
cromatica
della
discesa
diatonica
sol-‐fa-‐mi-‐re-‐do,
5^-‐4^-‐3^-‐2^-‐1^)
collega
la
fine
della
TR
con
l’inizio
di
un
tema-‐S
piano
nel
nuovo
tono
di
Do
maggiore
(si
osservi
l’ordinario
decrescendo
che
realizza
la
tipica
dinamica
recessiva
del
riempimento).
In
questa
esposizione
la
strategia
impiegata
è
abbastanza
chiara.
Tuttavia,
la
descrizione
da
sola
non
è
forse
sufficiente
a
spiegare
la
scelta
compositiva
di
Beethoven.
Un
analista
(e
un
musicista)
scrupoloso
probabilmente
si
domanderebbe
perché
Beethoven
decide
di
rimanere
in
uno
spazio
TR
quando
a
b.
26
avrebbe
potuto
procedere
senza
apparenti
problemi
con
la
seconda
parte
dell’esposizione,
lanciando
un
tema-‐S
nel
nuovo
tono.
Forse,
egli
individuerebbe
in
alcune
complicazioni
dinamiche
che
percorrono
la
prima
parte
della
TR
il
motivo
di
questa
inattesa
decisione.
Se
osserviamo
con
attenzione
le
bb.
18-‐25,
ci
accorgiamo
che
sotto
il
profilo
delle
dinamiche,
la
TR
subisce
un
processo
di
“indebolimento”.
A
b.
18
è
indicato
un
crescendo
che,
secondo
le
convenzioni
dello
stile,
dovrebbe
condurre
nel
momento
del
raggiungimento
del
V
semicadenzale
a
una
dinamica
forte,
o
almeno
questa
sarebbe
un’attesa
plausibile.
A
b.
20,
il
V
è
raggiunto
e
di
lì
prolungato,
ma
la
dinamica
recede
improvvisamente
al
piano,
e
così
rimane
fino
alle
ultimissime
battute
della
TR
(bb.
24-‐25),
quando
Beethoven
sembra
operare
una
sorta
di
“tentativo
disperato”
di
recuperare
un
livello
normativo
di
intensità
forte
(si
osservi
l’indicazione
del
crescendo
in
queste
battute).
Probabilmente,
queste
deficienze
nel
livello
delle
dinamiche
possono
essere
alla
base
della
scelta
di
declinare
la
CM,
annullandone
l’effetto
(“Non
va
così!”)
e
di
rimandare
l’apertura
delle
seconda
parte
dell’esposizione
(“Non
ora
e
non
qui,
ma
qui!”).
Si
tratta,
ovviamente,
di
argomentazioni
velate
sempre
da
un
residuo
di
opinione
soggettiva,
che
in
ogni
caso
pervade
qualsiasi
interpretazione,
qualunque
sia
il
metodo
analitico
adoperato.
Il
quarto
e
ultimo
caso
di
CM
declinata
è
senza
dubbio
il
più
complesso
e
problematico.
Come
la
Tav.
6.7
descrive
nel
punto
4,
dopo
una
CM
potenzialmente
valida
abbiamo
un’unità
tematica
nel
nuovo
tono
marcata
da
una
dinamica
forte.
Il
problema
sta
nel
fatto
che
questa
unità
nel
nuovo
tono
potrebbe
benissimo
essere
un
tema-‐S,
nonostante
non
sia
piano
e
lirico:
nello
stile
classico,
i
temi-‐S
forti
sono
tutt’altro
che
improbabili
e
costituiscono,
pertanto,
un’opzione
selezionabile.
Per
questo
motivo,
che
questa
situazione
determini
una
CM
declinata
è
una
decisione
difficile
da
prendere,
almeno
non
con
lo
stesso
contenuto
di
certezza
dei
primi
tre
casi.
Per
farlo,
dovremo
essere
davvero
convinti
che
non
sia
appropriato
classificare
come
tema-‐S
il
materiale
forte
nel
nuovo
tono.
Tuttavia,
bisogna
procedere
con
molta
cautela.
Oltre
a
trattarsi
di
un
tema-‐S
forte,
questa
nuova
unità
potrebbe
magari
essere
una
deformazione
dinamica
o
testurale
di
un
tema-‐S,
una
scelta
deliberata
del
compositore
di
oltrepassare
qualsiasi
opzione
convenzionale,
scegliendo
una
dinamica
forte
e/o
una
texture
che
richiamano,
ma
non
sono,
una
TR.
Nei
casi
dubbi,
sarà
assolutamente
preferibile
che
l’analisi
si
limiti
a
sottolineare
l’ambiguità
contenuta
nella
musica
che
segue
il
primo
effetto
di
CM.
La
difficoltà
di
decidere
con
assoluta
certezza
in
casi
di
questo
tipo
è
mostrata
nel
successivo
esempio
d
Beethoven
(es.
6.5).
Es.
6.5
Beethoven,
Sonata
per
pianoforte
in
Mib,
op.
7,
I
(bb.
1-‐65)
In
questa
esposizione,
la
TR
inizia
a
b.
17
elidendosi
con
la
fine
del
tema-‐P.
A
b.
25,
la
TR
entra
nel
vivo
con
passando
dal
piano
a
un
fortissimo
e
a
b.
35
è
raggiunto
il
V
semicadenzale
del
nuovo
tono,
poi
prolungato
con
un
tipico
blocco
sulla
dominante
(dominant-‐lock)
fino
a
b.
39,
punto
in
cui
è
articolata
una
prima
opzione
di
CM,
V:SC
CM.
Due
battute
di
riempimento
(RC,
bb.
39-‐40)
annunciano
l’ingresso
di
un
tema-‐S
e
l’inizio
della
seconda
parte
dell’esposizione.
Proprio
questo
sembra
realizzarsi
a
partire
da
b.
41,
dove
troviamo
un
tema
di
9
battute,
una
sentence
con
una
continuazione
leggermente
estesa,
chiuso
da
una
CAP
nel
nuovo
tono
a
b.
49.
Un
nuovo
raccordo
melodico
(bb.
49-‐50)
porta
a
b.
51
a
una
ripetizione
leggermente
variata
di
questo
tema
con
una
nuova
CAP
a
b.
59.
La
domanda
analitica
che
a
questo
punto
dovremmo
porci
è
la
seguente:
questa
unità
tematica
ripetuta
due
volte
svolge
adeguatamente
la
funzione
di
tema-‐S?
Seguendo
i
rigidi
criteri
tonali
e
cadenzali
della
TFF
di
Caplin,
la
risposta
dovrebbe
essere
senz’altro
affermativa:
il
tema
ripetuto
nelle
bb.
41-‐59
è
nel
nuovo
tono
della
dominante,
Sib
maggiore,
ed
è
chiuso
da
una
forte
CAP.
Anche
adottando
il
punto
di
vista
della
ST
potremmo
giungere
alla
stessa
9
conclusione.
Tuttavia,
la
domanda
non
è
superflua,
come
potrebbe
sembrare
sulle
prime,
come
testimoniano
alcune
brevi
discussioni
analitiche
di
questa
esposizione,
e
in
particolare
di
questo
tema,
da
parte
di
autorevoli
teorici.
A.B.
Marx,
per
es.,
riflettendo
su
questo
tema
ripetuto,
osservò
che
esso,
nonostante
fosse
per
lui
un
tema
subordinato,
manifestava
un
chiaro
carattere
di
transizione
in
virtù
della
continuità
di
movimento
ritmico
rispetto
alle
unità
precedenti
(il
tema-‐P
e
la
TR).
Sulla
stessa
lunghezza
d’onda
si
è
collocato
Carl
Dahlhaus,
il
quale
ha
affermato,
in
anni
più
recenti,
che
questa
unità
è
il
primo
di
due
secondi
temi
(second
subjects)
dell’esposizione,
anche
se
il
secondo
dei
due,
quello
che
inizia
sul
secondo
tempo
di
b.
59,
sembra
essere
il
vero
secondo
tema
in
virtù
della
sua
cantabilità.
A
quel
che
mi
risulta,
Barry
Cooper
è
stato
l’unico
a
sostenere
che
questa
unità,
per
il
suo
carattere
energetico,
appartiene
funzionalmente
ancora
alla
transizione,
e
che
il
vero
secondo
tema
(il
nostro
S)
inizia
senza
dubbio
con
l’unità
lirica
e
piano
di
b.
59.
Che
la
situazione
sia
difficile
da
stabilire
con
certezza,
è
testimoniato
dal
fatto
che
lo
stesso
Cooper
in
uno
scritto
precedente
aveva
affermato
che
il
secondo
tema
iniziava
invece
a
b.
41.
William
Horne,
in
un
recentissimo
articolo
sul
tema
secondario
della
sinfonia
Eroica,
ha
invece
sostenuto
senza
mezzi
termini
che
le
bb.
41-‐59
svolgono
una
funzione
di
tema
subordinato.
Questo
breve
reportage
delle
opinioni
di
alcuni
autorevoli
musicologi
è
una
lampante
manifestazione
che
l’individuazione
della
funzionalità
formale
del
tema
nelle
bb.
41-‐59
è
tutt’altro
che
scontata.
Anche
i
teorici
che
propendono
per
una
classificazione
delle
bb.
41-‐59
come
un
tema
secondario
(Marx,
Dahlhaus
e
Horne)
non
possono
fare
a
meno
di
rilevarne
la
profonda
ambiguità.
La
mia
idea
è
che
questa
ambiguità
sia
determinata
da
un
forte
conflitto
tra
parametri
diversi:
tonalità
e
cadenza
muovono
naturalmente
in
direzione
di
una
funzione
di
tema-‐S,
mentre
texture
e
continuità
di
movimento
ritmico
denotano
altrettanto
chiaramente
una
continuità
funzionale
con
la
zona
di
transizione.
La
Tav.
6.8
mostra
che
se
nel
nostro
giudizio
analitico
prevalgono
i
fattori
primari
della
tonalità
e
della
cadenza
(se
seguiamo
Caplin,
per
capirci)
non
possiamo
non
giungere
alla
conclusione
che
le
bb.
41-‐59
sono
un
tema-‐S
e
che
la
CM
sia
articolata
a
b.
39
(riga
a).
Se,
al
contrario,
consideriamo
come
prevalenti
i
parametri
secondari
o
genericamente
retorici
della
texture
e
della
continuità
di
movimento
ritmico
(se
portiamo,
cioè,
alle
estreme
conseguenze
l’originaria
e
acuta
osservazione
di
Marx
sul
carattere
tipo-‐TR
di
questa
unità)
potremmo
benissimo
arrivare
alla
conclusione
che
si
tratta
della
seconda
parte
di
una
TR;
in
questo
caso
la
CM
proposta
a
b.
39
è
declinata
e
la
vera
CM
corrisponde
alla
CAP
di
b.
59,
un
terzo
e
raro
default
V:CAP
CM
(riga
b).
Ma
se
pensiamo,
come
io
penso,
che
molto
spesso
i
diversi
parametri,
pur
ponendosi
in
aperto
conflitto,
hanno
uguale
peso
nella
definizione
della
funzionalità
tematica
allora
potremmo
benissimo
supporre
una
sovrapposizione
di
funzioni
formali:
l’unità
alle
bb.
41-‐59
“è”
nello
stesso
tempo
una
TR
e
un
tema-‐S
(riga
c).
Tav.
6.8
Beethoven,
Sonata
per
pianoforte
in
Mib,
op.
7,
I
(bb.
1-‐65):
confronto
analitico
bb.
1-‐17
17-‐40
41-‐59
59…
Unità
tematiche
1
2
3
4
1 2
a
-‐
V:SC
CM
a
b.
39
P
TR
S
S
1 2
b
-‐
V:CAP
CM
a
b.
59
P
TR
TR
S
Funzioni
formali
TR
2
c
-‐
sovrapposizione
1 _______ 2
P
TR
S
di
funzioni
formali
1
S
Vorrei
chiudere
questo
paragrafo
evidenziando
un
aspetto
che
correla
l’impiego
della
strategia
retorica
della
CM
declinata
con
il
principio
di
non-‐ridondanza
della
CM.
Proposta
una
CM,
se
questa
è
poi
declinata
dalla
musica
successiva,
essa
non
è
più
genericamente
riutilizzabile,
e
il
compositore
procede
di
norma
alla
realizzazione
del
default
successivo
in
ordine
di
tempo:
ne
“La
Primavera”
(es.
6.4)
Beethoven
declina
a
b.
26
un
secondo
default,
I:SC
CM,
optando
a
b.
36
per
un
primo
default,
V:SC
CM,
mentre
nell’op.
7
egli
declina
un
primo
default,
V:SC
CM,
a
b.
41,
optando
poi
per
un
terzo
default,
V:CAP
CM,
a
b.
59.
In
ambedue
i
casi
si
procede,
pertanto,
alla
realizzazione
dell’opzione
successiva.
10
L’esposizione
del
primo
movimento
della
Sonata
per
pianoforte
in
Do
maggiore
op.2/3
di
Beethoven
(es.
6.6)
è
un
esempio
classico
di
BTM.
La
Tav.
6.10
ne
sintetizza
la
configurazione
formale.
Es.
6.6
Beethoven,
Sonata
per
pianoforte
in
Do,
Op.
2/3,
I
(esposizione,
bb.
1-‐49)
Il
tema-‐P
(bb.
1-‐13)
è
una
sentence
con
una
continuazione
ripetuta
per
effetto
della
CAI
di
b.
8.
Chiude
con
una
CAP
a
b.
13,
punto
in
cui
inizia
la
TR
elidendosi
con
la
tonica
finale
di
P.
La
TR
presenta
immediatamente
i
tratti
retorici
tipici
di
questa
funzione
formale:
la
dinamica
è
subito
fortissimo
e
questo
livello
permane
fino
alla
fine
(b.
26).
Alle
bb.
20-‐21
un
movimento
cromatico
del
basso
4^-‐#4^-‐5^
conduce
sulla
dominante
del
tono
principale,
immediatamente
prolungata
da
accordi
di
volta,
fino
all’articolazione
di
un
secondo
default
di
CM
alle
bb.
25-‐26.
Tre
impliciti
colpi
di
martello
(i
sol
ribaditi
sui
tempi
forti
delle
battute)
e
una
PG
preludono
all’ingresso
di
un
tema-‐S.
A
b.
27
in
effetti
è
presente
un
modulo
tematico
(TM1)
con
carattere
cantabile
e
piano,
ma
nel
tono
parallelo
della
dominante
minore,
Sol
minore
invece
che
11
maggiore.
Questo
modulo
tematico
ha
quindi
chiare
caratteristiche
retoriche
di
S.
Tuttavia,
è
tonalmente
instabile
e
cromatico:
le
prime
6
bb.
(27-‐32)
iniziano
in
Sol
minore
ma
deviano
poi
verso
il
Re
minore,
dove
l’unità
di
6
bb.
è
ripetuta
letteralmente
(bb.
33-‐38).
Questa
successiva
unità
di
6
battute
poi
conduce
al
La
minore
(b.
39)
punto
in
cui
la
texture
e
la
dinamica
cambiano
improvvisamente,
segnalando
l’inizio
di
un
nuovo
modulo
con
evidenti
caratteristiche
di
una
nuova
TR
(TM2).
Questo
modulo
ritorna
in
Sol
minore
(bb.
40-‐41),
per
culminare
ora
nella
sua
dominante,
l’accordo
di
Re
maggiore
di
b.
43.
Questa
dominante
è
tipicamente
raggiunta
attraverso
un
accordo
alterato
(la
sesta
aumentata
sul
terzo
tempo
di
b.
42,
contenente
nello
stesso
tempo
il
b6^
nel
basso
e
il
#4^
nella
voce
superiore)
e
prolungata
per
due
battute
fino
al
raggiungimento
di
una
nuova
CM
(b.
45),
ora
un
V:SC
CM,
un
primo
default,
l’opzione
successiva
disponibile
in
ordine
di
tempo.
Un
riempimento
della
cesura
(RC,
bb.
45-‐46)
collega
la
fine
di
questo
nuovo
modulo
di
transizione
all’inizio
di
un
nuovo
tema-‐S
dolce
e
cantabile
(TM3).
Sarà
questo
tema
a
garantire
la
CSE
dell’esposizione
con
la
prima
CAP
nel
nuovo
tono
sul
battere
di
b.
77
(non
mostrata
nell’esempio
6.6).
Questa
descrizione
analitica
rivela
la
presenza
nelle
bb.
27-‐47
di
una
tipica
organizzazione
trimodulare
dello
spazio
S:
il
TM1
corrisponde
al
primo
modulo-‐S
cantabile
in
Sol
minore
successivo
alla
prima
CM
(bb.
27-‐
39);
il
TM2
alla
nuova
attività
d
TR
culminante
nel
raggiungimento
della
seconda
CM
(bb.
39-‐46);
il
TM3
al
nuovo
tema-‐S
che
fornirà
la
CSE
(bb.
47-‐77).
Tav.
6.10
Configurazione
formale
del
primo
movimento
della
Sonata
in
Do
op.
2/3
(esposizione)
bb.
1-‐13
13-‐26
27-‐39
39-‐46
47-‐77
78-‐85
85-‐90
Unità
1
2
3
4
5
1 2 3
TM
TM
TM
1 2
Funzioni
formali
P
TR
C
C
modulo
S
nuovo
modulo
TR
nuovo
tema-‐S
BTM
CM
e
CSE
I:SC
CM
V:SC
CM
CAP/CSE
6.9
Cenni
su
due
deformazioni
della
CM
Con
il
termine
di
“deformazione”
Darcy
e
Hepokoski
indicano
alterazioni
retoricamente
significative
di
una
procedura
standard.
Una
deformazione
non
pregiudica
la
funzione
di
un
momento
dell’organizzazione
formale,
ma
ne
modifica,
a
volte
in
modo
estremo,
la
realizzazione
stabilita
dalle
norme
e
dalle
convenzioni
tipiche
dello
stile.
In
questo
breve
paragrafo
parlerò
solo
brevemente
di
due
procedure
di
deformazione
dell’espressione
retorica
di
una
CM.
La
prima
è
di
natura
armonica.
Abbiamo
visto
che
una
CM
è
di
norma
costruita
attorno
a
una
SC
in
uno
dei
due
toni
dell’esposizione
(i
primi
due
default).
Una
SC,
per
definizione,
richiede
la
presenza
di
un
V
in
posizione
fondamentale.
Tuttavia,
capita
a
volte,
che
una
chiara
articolazione
cesurale
che
apre
lo
spazio-‐S
sia
realizzata
da
un
rivolto
del
V,
come
avviene
nell’Ouverture
in
Do
minore
“Coriolano”
di
Beethoven
(CM
deformata
su
un
V6
del
nuovo
tono,
Mib
maggiore,
b.
50).
L’altra
deformazione
è
di
natura
dinamica.
Uno
degli
aspetti
retorici
più
importanti
nel
processo
che
culmina
nell’articolazione
finale
della
CM
è
il
mantenimento,
o
addirittura
l’aumento,
di
una
dinamica
forte
(il
punto
3
della
Tav.
6.4).
A
volte,
invece,
questa
dinamica
sembra
subire
un
improvviso
arresto
(come
se
sbattesse
contro
un
ostacolo
inatteso)
o
in
fase
di
preparazione
della
dominante
(su
una
predominante)
o
forse
nello
stesso
momento
in
cui
si
raggiunge
la
dominante
semicadenzale.
Questo
improvviso
calo
nel
livello
della
dinamica
determina
una
deformazione
che
Darcy
e
Hepokoski
definiscono
CM
bloccata.
Molto
spesso,
il
blocco
dinamico
che
si
produce
nell’imminenza
di
una
CM
determina
conseguenze
sul
successivo
svolgimento
della
forma
(una
CM
declinata,
per
es.).
Sia
ne
“La
Primavera”
(es.
6.5)
che
nella
Sonata
op.
7
(es.
6.6)
la
transizione
presenta
nel
suo
svolgimento
una
deficienza
dinamica
di
questo
tipo
(un
piano
invece
di
un
forte
convenzionale)
e
in
ambedue
i
casi
abbiamo
rilevato
conseguenze
formali
sulla
definizione
funzionale
dell’unità
successiva
alla
prima
CM.