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Riduzioni Melodiche
Riduzioni Melodiche
Diminuzioni melodiche
Diminuzione: processo attraverso il quale un intervallo composto di note lunghe
viene espresso in note di valore ritmico minore.
Varie le tipologie di intervento:
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Quanto segue è tratto, in sintesi, dal seguente testo: Forte, Allen e Gilbert, Steven E., Introduction to
Schenkerian Analysis, New York-London, W.W. Norton & Company, 1982.
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È immediato verificare i procedimenti attraverso i quali una melodia articolata come
quella originaria sia stata ridotta ad uno schema molto più essenziale:
Occorre mettere in evidenza che nella scelta delle note da conservare nella struttura
finale e quelle da eliminare, interverranno criteri di priorità inerenti a fattori di
pregnanza armonica, ritmica, metrica e via dicendo. In altre parole, sarà il contesto a
determinare se una nota può essere sottintesa nel procedimento di riduzione o deve
essere conservata.
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Nell’esempio precedente la riduzione delle note di passaggio porta a rivelare una
struttura consistente in tre salti melodici di terza, in cui i primi due, ritmicamente più
veloci, preparano il terzo, dilatato in valori ritmici maggiori. La parte d. dell’esempio ci
mostra invece una struttura ancora più essenziale che, a nostro parere, potrebbe essere
ancora più ridotta, in quanto sostanzialmente la melodia consisterebbe in tre altezze,
nell’ordine do, si, la, probabilmente corrispondenti alla prima e quarta nota con la
stanghetta diretta verso l’alto, e all’ultima nota in assoluto dell’esempio d., praticamente
coincidenti con la successione armonica I-V-I.
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La diminuzione melodica comporta fattori di espansione e di contrazione ritmica
come è possibile individuare in forma esplicita negli esempi b. e c.
In certi casi le note di volta possono essere date come note di volta incomplete,
assimilabili alle note sfuggite e alle reaching tones, profilandosi perciò come note di volta
in forma di suffisso o di prefisso alla nota reale cui sono riferite.
Ad esempio a misura 6 il sol diesis è di passaggio verso il la che non è altro che una
nota di volta incompleta, in questo caso di tipo suffisso, quindi sostanzialmente nota
sfuggita, del sol iniziale, come è ben visibile nella prima riduzione al pentagramma b.
Come per la nota di volta, la nota di passaggio può essere diretta o indiretta, a
seconda del caso che essa sia immediatamente contigua ad una delle note reali che sta
connettendo, oppure sia interrotta da una qualsiasi altra forma di diminuzione, sia nella
forma di salto consonante che di nota di volta. Con riferimento all’esempio precedente, il
fa di battuta 6 è separato dal sol iniziale attraverso la nota di volta la, riferentesi
anch’essa al sol precedente. Quindi il fa di passaggio è una nota di passaggio indiretta,
proprio in virtù della sua separazione dal sol.
In alcuni casi la nota di passaggio, di per sé dissonante, può essere sostenuta
attraverso configurazioni consonanti, come nell’esempio seguente:
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il sol della misura seconda, in effetti nota di passaggio tra il la bemolle precedente e
il fa successivo, considerando quindi il basso come sostanzialmente fermo su un la
bemolle, viene sostenuto e rivestito di maggiore importanza attraverso la configurazione
consonante generatasi, ovvero un accordo di mi bemolle maggiore allo stato
fondamentale.
Una struttura di maggior respiro è poi individuabile nelle note corrispondenti alle
armonie I-V-I, ovvero fa-sol-la, in cui il sol diviene nota di passaggio tra l’iniziale fa e il la
finale. Inoltre sono intravedibili, oltre a quello iniziale, altre strutture arpeggiate, con
riferimento alla riduzione del pentagramma b.: l’arpeggio discendente di tonica (fa-do-la)
alle misure 3-5, che termina sul sol, armonia di dominante, e quello seguente alle
battute 7-9, di dominante (sol-mi-do), che termina sul la finale dell’esempio.
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Una chiara comprensione della condotta delle voci è essenziale per l’analisi
schenkerana, in quanto questa si fonda su procedure analitiche che tengono in primaria
considerazione la dimensione orizzontale, melodica, delle composizioni musicali.
Melodia composita
Il concetto di melodia composita è strettamente associato con i concetti precedenti
di diminuzione e condotta delle voci.
L’esempio seguente tratteggia molto chiaramente un caso di melodia composita,
nella variazione successiva alla melodia di Corale:
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La variazione al pentagramma b. può essere considerata come un esempio di
melodia composita, ovvero una melodia che nei suoi movimenti riassume il moto delle
parti presente nel Corale di riferimento, struttura di per sé non melodica, ma armonica.
La melodia composita differisce dal salto consonante, in quanto mentre questo è la
proiezione di una singola voce attraverso le note di una triade, la melodia composita
comprende il dispiegamento attraverso le note di una o più triadi, in un senso più
elaborato e completo, inoltre riferendosi ad una struttura polifonica, spesso a due o tre
voci, e non ad una singola struttura lineare. Anche il basso albertino, in un certo qual
modo, potrebbe essere ricondotto alla categoria di melodia composita, essendo di fatto,
in maniera semplice, la realizzazione melodica di un decorso essenzialmente armonico.
La melodia composita, rispetto all’originale polifonico, ha per effetto la nuova
dislocazione delle altezze, rispetto alla contemporaneità implicita nella struttura
armonica.
In ogni caso però, comunque disposte, le altezze che formano la melodia composita
hanno sempre come riferimento la struttura armonica originaria, per cui è possibile
rintracciarla, nello stesso ordine, nella successione di altezze della melodia composita. In
altre parole, una melodia composita è l’espressione orizzontale di una struttura
armonica, ovvero verticale.
Esempi classici di melodie composite si trovano soprattutto nelle composizioni per
strumento solo di Bach, più genericamente in tutto il suo repertorio, nei soggetti di
Fuga, ma possono rintracciarsi anche in composizioni di altri periodi storici, sino alle
composizioni dei giorni nostri.2
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Ad esempio compositori come Luciano Berio e Luca Francesconi seguono talvolta procedimenti
compositivi riconducibili alla melodia composita; in particolar modo in Luca Francesconi spesso la
struttura originaria che genera una linea singola è una struttura polifonica, alcune volte anche piuttosto
complessa, che viene ripercorsa linearmente, anche più volte, seguendo tragitti differenti, da una singola
linea.
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Nell’esempio seguente troviamo una melodia e un accompagnamento che vengono
ridotti secondo il principio della melodia composita:
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In questo caso il modello intervallare lineare prende le forma di una semplice
progressione.
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Altri modelli intervallari lineari, in forma sintetica:
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Relazioni armoniche
L’armonia è un argomento molto vasto in tutte le sue ramificazioni. Nell’analisi
schenkeriana sono preliminarmente sufficienti pochi assiomi fondamentale.
Relazioni armoniche
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Le voci esterne, rappresentate in semibrevi, indicano un passaggio dal I al III, al V e
infine di nuovo al I grado. III e V sono preceduti dalla proprie dominanti secondarie.
Ovviamente un esempio di questo tipo è molto lontano dall’apparenza immediata
della partitura mozartiana, e viene qui proposto solamente per rappresentare il concetto
schenkeriano di armonia su larga scala.
L’esempio successivo mostra una ulteriore riduzione possibile del grafico relativo
all’esempio precedente:
Scambio di voci
Lo scambio di voci, in varie forme, è molto frequente nella musica di ogni periodo.
Esso coinvolge due voci sole, le quali si scambiano letteralmente le altezze. Un
esempio molto semplice, il cui schema intervallare armonico è 10-8-6, è il seguente:
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Si noterà come, con alcune differenze, il contesto funzionale non differisce troppo, almeno in prima
istanza, da quanto avviene nella teoria funzionale dell’Armonia.
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schenkeriano di prolungamento: la conservazione di una singola armonia in un tratto di
tempo.
In alcuni casi lo scambio di note può assumere contorni più complessi:
sostanzialmente in questo caso lo scambio avviene non tra singole altezze, ma tra
coppie di altezze. In alcuni casi questo schema può trovarsi nella forma 6-6-10-10.
Note implicite
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nota implicita non dà luogo a qualche conseguenza strutturale di una certa rilevanza,
non conviene prestarle più attenzione di quanta ne meriti.
Trasferimento di registro
Assiomi di base
Livelli strutturali
Nella sua definizione più semplice, la musica tonale è la musica scritta in una
tonalità. Per Schenker ciò significa che il movimento lineare delle parti procederà da una
delle note della triade di tonica, che assumerà il ruolo di altezza melodica primaria 4,
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“Kopfton”, ovvero “primary melodic tone”.
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mentre nell’arco dell’intero brano sarà rintracciabile un movimento discendente 5 che
riporterà il profilo melodico, inteso in senso lato, verso la tonica. In molti casi ciò si
riflette anche nel profilo melodico del tema stesso.
Il basso invece si configurerà nell’interezza del brano come una successione I-V-I 6,
in cui si arriva al V passando per il III, soprattutto nelle tonalità minori, dove il III
rappresenta la tonalità maggiore relativa.
La combinazione di “fundamental line” e di “bass arpeggiation” costituisce quella
che viene definita la struttura fondamentale 7 di una composizione tonale, che ne
rappresenta il livello ultimo, più profondo. Graficamente la struttura fondamentale
nell’analisi musicale viene rappresentata attraverso semibrevi o minime, solitamente con
la gambetta. Complessivamente si distinguono tre tipi di struttura fondamentale:
Notiamo che abbiamo una interruzione nel processo di scendente della linea
fondamentale (Urlinie), per cui a misura 5 la struttura termina la prima frase sulla
dominante, per riprendere il proprio decorso enunciando l’Ursatz completo nella frase
successiva, procedendo da tonica sino a dominante, terminando infine di nuovo a tonica.
Corrispondentemente abbiamo i gradi dell’Urlinie: 3-2 e dopo 3-2-1.
I due esempi successivi presentano rispettivamente gli altri due tipi di struttura
fondamentale:
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“Urlinie”, ovvero “fundamental line”.
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“Bassbrechung”, ossia “arpeggiation of the bass” o ancora “bass arpeggiation”.
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“Ursatz”, o “fundamental structure”.
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Notazione ritmica e notazione analitica
Nel processo di riduzione analitica vengono impiegati due tipi di notazione: ritmica
ed analitica.
La notazione ritmica è sostanzialmente quella tradizionalmente intesa, che
ritroviamo in partitura; la notazione analitica invece rende conto dell’importanza
strutturale della singola altezza, per cui il suo valore illustra la sua importanza in
relazione alla struttura melodica e armonica.
La testa delle note, le gambette, le travature e le legature sono gli elementi impiegati
nella notazione analitica per contrassegnare il livello di importanza delle note così
rappresentate. Quindi gruppi di note strutturalmente affini riceveranno lo stesso
trattamento in relazione alla notazione analitica, potranno essere congiunte con una
travatura o con legature, a seconda del loro livello di importanza.
Il primo livello di riduzione, che generalmente elimina semplicemente le note
estranee all’armonia, può ancora conservare la notazione ritmica. Successivamente sarà
necessario passare alla più consona notazione analitica. Ad esempio:
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Il pentagramma b presenta la riduzione di quello a secondo una notazione di tipo
analitico. La notazione ritmica infatti non può delineare altro al di fuori del primo passo
nella riduzione, ovvero del livello esterno.
L’esempio precedente di Mozart può essere inizialmente ridotto:
La lettura di questo esempio è più complessa, in special modo per quanto riguarda
la scelta della nota iniziale dell’Urlinie, ovvero il do diesis o il mi. Infatti scegliendo il do
diesis avremmo la linea do diesis-si-la, in decime parallele col basso, secondo uno dei
modelli già osservati, per di più sul battere di ogni misura. Tuttavia questa
interpretazione comporterebbe a battuta 3 un la, membro dell’Urlinie, come componente
di un accordo dissonante; si preferisce allora scegliere il mi come nota fondamentale
dell’Urlinie.
Negli esempi precedenti troviamo un simbolo grafico nuovo: la linea diagonale. Nella
notazione analitica essa indica parti esterne connesse strutturalmente anche se
temporalmente dislocate in momenti differenti. In una riduzione ulteriore possono essere
verticalizzate, o perlomeno possono essere pensate in questo modo.
Il concetto di prolungamento
Il concetto di prolungamento è basilare nell’analisi schenkeriana. Esso si riferisce ai
modi in cui un elemento musicale – una nota (prolungamento melodico) o un accordo
(prolungamento armonico) – rimangono effettivi senza essere rappresentati letteralmente
in ogni momento. Il prolungamento armonico è più facile ad individuarsi. Nell’esempio
precedente di Haydn, troviamo alla prime due misure l’accordio di tonica prolungato
attraverso l’accordo di sottodominante. Ulteriori esempi di prolungamento possono
essere:
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L’esempio a presenta la prima frase che inizia e termina in tonica, la seconda che
inizia in tonica e si dirige verso la dominante, l’ultima che inizia e termina nell’ambito
della tonica. L’esempio b prolunga l’armonia di tonica attraverso la successione II-V che
può riferirsi ad un prolungamento interno del V, per cui sostanzialmente la tonica viene
prolungata nella successione I-V-I. Nell’esempio c ogni battuta è auto-referenziale con un
prolungamento per battuta dell’armonia presente.
Il prolungamento melodico si basa sul concetto di diminuzione: la diminuzione
mantiene l’effetto della nota diminuita anche se questa non è presente letteralmente per
tutto il tempo della diminuzione. Troviamo tre tipi differenti di prolungamento:
1. movimento da una specifica nota, normalmente una scala diatonica
discendente o un arpeggio
2. movimento verso una data nota attraverso una scala diatonica ascendente o
un arpeggio
3. movimento intorno ad una specifica nota, solitamente attraverso note di volta
superiori o inferiori.
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La nota primaria va intesa come “Kopfton”, ovvero “primary melodic tone”.
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L’ascesa iniziale da si bemolle a fa dà enfasi al re intermedio tra le due altezze.
Occorre decidere quale sia la nota iniziale dell’Urlinie, se il fa o il re. Ci viene in aiuto il
fatto che a battuta 6 troviamo una progressione iniziante da mi bemolle, che ricollega
questa nota direttamente al fa di misura 3, che può essere considerato in un certo qual
modo il momento iniziale della progressione.
In altri casi i prolungamenti possono essere evidenziati da un modello intervallare
lineare che porta sulla nota principale dell’Urlinie. Nel secondo grafico dell’esempio
precedente abbiamo ad esempio una successione di seste parallele a batt. 6 che
riconduce al mi bemolle, che sarà perciò considerato ulteriormente come nota
dell’Urlinie, stabilendo inequivocabilmente il fa come prima nota dell’Urlinie (il re non
sarebbe potuto essere, in quanto l’Urlinie, discendendo, non sarebbe potuta andare al mi
bemolle così ben evidenziato dal modello intervallare lineare delle seste parallele).
Possiamo applicare ulteriori riduzioni:
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Prolungamento della nota primaria: arpeggio
Analogamente a quanto esposto in precedenza, l’arpeggio rappresenta un’altra
forma di prolungamento della nota primaria. L'arpeggio di primo ordine ascende
attraverso la triade di tonica sino alla nota primaria, svolgendo una funzione simile a
quella dell’ascesa iniziale. Ad esempio:
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Il secondo esempio illustra, oltre all’arpeggio iniziale sull’accordo di tonica, un
analogo procedimento riservato all’accordo di dominante, ovvero un “parallelismo”,
secondo la definizione di Schenker.
Ogni forma di ascesa iniziale, lineare o in arpeggio che sia, è parte del profilo
naturale di ogni forma musicale: crea un’attesa legata alla tensione, che,
presumibilmente, troverà la propria risoluzione nella successiva discesa, in fase di
distensione.
È importante ricordare che un movimento di prolungamento può sia precedere che
seguire la nota strutturale cui si riferisce.
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di dominante. Avremo allora che l’intervallo melodico coinvolto nel prolungamento non è
altro che la “orizzontalizzazione”, se così possiamo dire, di un intervallo armonico
presente all’interno dell’armonia obiettivo e fine del prolungamento: fa-re come intervallo
armonico della triade di tonica e la-mi bemolle come intervallo armonico della settima di
dominante. In casi come questo si parla di dispiegamento lineare di un intervallo, e nella
fase di riduzione successiva tale fenomeno può essere rappresentato direttamente in
forma verticale:
La doppia legatura applicata sia alla voce del basso che ai numeri romani indica,
nelle convenzioni di Schenker, una progressione alla dominante per mezzo del II o del IV
grado. Le doppie frecce chiariscono, dove necessario, l’uso della linea diagonale. La
freccia singola indica o una condotta di voce o un trasferimento di registro, per cui la
linea strutturale assolta da una voce continua in un’altra voce in un registro differente.
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Uno studio sistematico del trasferimento di registro può essere osservato nella
sonata K 331 di Mozart:
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della linea fondamentale, mentre questa riprende il suo decorso all’interno del registro
principale a battuta 14, dove si conclude appunto il trasferimento di registro verso il
grave, con il ritorno all’ambito di partenza.
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