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LUOGO/
SPAZIO badare nell’analisi alle opposizioni: interno/esterno (da non confondere con spazio scenico
e spazio extra-scenico) e privato/pubblico, registrare eventuale simultaneità scenica su
spazi differenti, estrarre da NT e da HT la disposizione e mobilità scenica secondo gli assi
verticale (alto/basso), orizzontale (destra/sinistra) e di profondità (davanti/dietro), le quali
si risolvono in opposizioni quali centrale/decentrato, vicino/lontano e in movimenti che
possono produrre avvicinamento, distanziamento, accentramento, decentramento etc. o
mantenere invece i dati spaziali per lungo tempo (stasi ma anche movimenti circolari ad
es.), magari incrociando la fissità di arredi e oggetti scenici alla mobilità dei personaggi o
viceversa
TEMPO fondamentale determinare il rapporto fra reale Spielzeit (tempo della rappresentazione;
quanto tempo si impiega a rappresentare il testo drammatico nella sua interezza?) e
gespielte Zeit (tempo rappresentato, o volendo: tempo dell’azione: quanto dura l’azione
fittizia rappresentata nel suo complesso), sia a livello macro-stutturale (intero dramma), sia
delle sue singole parti. Si tratta di una opposizione simile a quella, forse più nota, che si
applica ai testi narrativi: quella tra tempo del discorso (Erzählzeit: tempo impiegato a
raccontare una storia) e tempo della storia (erzählte Zeit, tempo in cui la storia raccontata
si è svolta).
Dal rapporto tra le due dimensioni temporali discendono fenomeni di accelerazione o di
rallentamento, di dilatazione o di concentrazione. Dall’incrocio fra dimensione temporale
e spaziale deriva il già descritto fenomeno della presenza di scene simultanee o soluzioni
tecnico-drammaturgiche specifiche (vd. sotto resoconto del messaggero e teicoscopia, ma
anche uso della comunicazione epistolare o costruzione di disparità d’informaizone tra
personaggi e tra personaggi e pubblico). Dall’analisi dei dati temporali si può determinare
se un dramma / una parte di dramma presenti una linearità o una circolarità/ciclicità o forti
tratti di discontinuità temporale. Infine, elemento da considerare nella analisi delle strutture
temporali è l’esistenza (implicita o esplicita) di un antefatto (accadimenti precedenti
l’inizio dell’azione che influiscono su di essa) e la chiusura o meno, nel finale, delle
dinamiche aperte nel corso del dramma (c’è il cosiddetto ‘scioglimento’? si rimanda a un
‘post-azione’?).
Orazio (Ars poetica, 13 a.C.): dalla struttura del dramma sofocleo deriva la strutturazione cd.
‘classica’ in 5 atti. Nella tradizione si diffondono anche strutture a 3 o 4 atti, raramente 6; l’atto unico
e l’opera in due atti sono più tipiche del dramma moderno e contemporaneo. Nelle strutture a numeri
dispari prevale la tripartizione introduzione-complicazione-scioglimento, quelle pari favoriscono
contrapposizioni o parallelismo; l’uso di prologhi ed epiloghi (o preludi, ‘finali’) serve a per ottenere
ulteriori segmenti anche nel teatro moderno e contemporaneo.
Il criterio per determinare la micro-segmentazione drammaturgica di un dato testo è la
configurazione ( = numero pers. contemporaneamente in scena). Ogni cambio di configurazione
produce, almeno sul piano strutturale, un nuovo momento scenico (non necessariamente
corrispondente alla divisione che il testo propone esplicitamente a livello di NT!).
Tradizione ‘francese’ – bipartizione gerarchica acte / scène, con enfasi sull’atto. Regole
strutturali (mai palco vuoto tra scene = configurazione 0; transizione tra scene attraverso un
personaggio che permane in configurazione; I atto in cui si presenta l’intera compagine scenica e ogni
presupposto necessario) rendono infatti l’atto (tra apertura e chiusura sipario) la principale unità
strutturale, coesa sul piano spazio-temporale. Ex. classico tedesco: Goethe, Torquato Tasso (1790).
Se l’atto (ted. Akt, dal latino, o anche Aufzug, nel senso di ‘alzata’ di sipario) risponde a una
logica drammaturgica (azione), e la scena (ted. Szene, dal greco, e con accezione leggermente diversa
Auftritt, nel senso di ‘entrata’ in scena), la cosa si complica in altri modelli drammatici, a cominciare
da quello shakespeariano. Quest’ultimo, tendenzialmente tripartito e non legato alle strette regole
classiciste, prevede infatti un concetto di scena (scene) che è legato al cambio di ambientazione e
corrisponde per molti versi al Bild (quadro) di tanta drammaturgia brechtiana (cambia la
scena/scenografia, cambia il quadro/Bild: ha molto a che fare dunque con la dimensione visuale, e lo
si sente nel nome); ciascuna Szene / ciascun Bild contiene dunque una serie di momenti scenici
determinati da entrata o uscita di personaggi. Szenen / Bilder sono in tal senso unità strutturali
composite (= non minime) che sono a metà fra l’atto da un lato e la scena in senso stretto (Auftritt:
unità minima). In questa struttura a tre livelli Akt – Bild – Auftritt è tendenzialmente il
Bild/quadro/Szene ad avere la maggiore importanza. Esempio tedesco può essere proprio la
Dreigroschenoper che andiamo ad analizzare (1928, dove l’autore utilizza esplicitamente il termine
Bild) oppure, per restare nel teatro di prosa, Dantons Tod di Georg Büchner (1835, dove troviamo,
all’interno dei quattro atti, ampie sequenze non numerate, la cui indicazione iniziale è comunque
proprio relativa al luogo/ambientazione: ‘una stanza’, ‘strada’…).
Abbiamo dunque la seguente doppia tradizione che (per la ambiguità del termine Szene, per il fatto
che non sempre la divisione è totalmente esplicitata e per le notevoli differenze storiche e tipologiche,
oltre alle numerosissime eccezioni ‘che confermano la regola’) va verificata di volta in volta su ogni
testo drammatico nel momento in cui se ne descriva la struttura.
Akt/Aufzug I II
Akt/Aufzug I
Auftritt I,1a I,1b I,1c I,1a I,1b I,1a I,1b I,1c I,1d
A) Piramide di Freytag (Technik des Dramas, 1863) – siamo in piena continuità con le poetiche e la
riflessione antica rinascimentale, incrementata con estetica idealistica. Il pyramidaler Bau che Gustav
Freytag individua è determinato dal conflitto (protagonista vs. antagonista, fondamentalmente) quale
elemento di base dell’azione drammatica; è particolarmente applicato al dramma in cinque atti:
Seguendo dunque tale schema, nel I atto avviene l’esposizione della situazione (con eventuale
antefatto) con presentazione del gruppo dei personaggi coinvolti – al loro interno c’è un conflitto più
o meno latente che, attraverso il cosiddetto momento stimolante, si accende nel II atto e produce un
incremento tensivo che porta l’azione in una determinata direzione. Nel III atto il conflitto giunge al
culmine, nel quale si determinano le sorti del conflitto medesimo (verso un esito positivo o negativo
ad es.) e dunque il fatto che poi l’azione ‘cada’, ovvero proceda verso la fine (IV atto), non senza un
momento ritardante (che pare dunque poter invertire il corso degli eventi). Nel V atto il conflitto
giunge a essere sciolto, vuoi perché interviene la catastrofe o perché un’agnizione risolve la
situazione, o per altro scioglimento ancora. La struttura è dunque determinata da un intrecciarsi e
dipanarsi del conflitto, immaginato come un nodo che giunge a stringersi strettissimo per poi
sciogliersi, traccia di una sorta di energia del dramma che si esplica in salita e discesa della tensione.
Come altre formalizzazioni di questo tipo, lo schema di Freytag finisce per essere normativo
perché nega a priori efficacia a un testo drammatico che non sia basato sul conflitto o che non segua
questa specifica modalità di intreccio e scioglimento, che in ultima analisi è determinata
culturalmente. Esso non ha dunque un valore assoluto, ma storico, riflettendo peraltro le opinioni di
un autore drammatico, quale era lo stesso Freytag; spiega anche perché per tutto l’Ottocento
drammaturgie moderne non riducibili a questo schema siano state poco apprezzate e invece riscoperte
quando, tra fine secolo e Novecento, nuove estetiche letterarie e teatrali si sono affermate.
Ulteriori e specifiche considerazioni si potrebbero fare per l’aspetto formale e le soluzioni strutturali
delle parti del dramma, specie per l’inizio e per la fine. Sul finale, che ‘classicamente’ (nel dramma
a forma chiusa) deve risolvere tutti i conflitti aperti (slacciare il ‘nodo’, avvenga ciò in senso positivo
o negativo a seconda delle prospettive), si pensi a soluzioni già attestate nel dramma antico come il
deus ex machina. L’apparizione di un ‘dio’ per mezzo di un meccanismo scenico sta qui in generale
per l’intervento di qualcuno/qualcosa dall’esterno, in extremis, come modalità di proporre una
soluzione di conflitti altrimenti non risolvibili o non risolvibili in un determinato modo; considerato
dai classicisti più puri uno stratagemma non adatto (secondo la regola che il dramma deve contenere
in sé tutto ciò che è necessario e sufficiente al suo intero svolgimento), nel teatro moderno e
contemporaneo può anche essere utilizzato a fini ironico-satirici – vd. Brecht! Tipico delle forme
moderne e contemporanee è poi il finale aperto, che contro ogni convenzione non risolve tutti i
conflitti gli intrighi e non porta tutti i personaggi a piena e pari contezza e consapevolezza bensì lascia
indeterminato il risolversi o meno del ‘nodo’, affidandolo a un futuro non rappresentato o al pubblico.
Per chiudere questa sezione, si legga come in cui lo scrittore francese Antoine de Rivarol, di origine
italiana, si prendeva gioco a fine Settecento delle regole strutturali e della ripetitività degli schemi
drammaturgici – un buon modo per rimanere lucidi sulla necessaria elasticità analitica:
Tragedia: Commedia:
Atto I – L’eroe morirà Atto I – L’innamorato si sposerà
Atto II – Non morirà Atto II – Non si sposerà
Atto III – Morirà Atto III – Si sposerà
Atto IV – Non morirà Atto IV – Non si sposerà
Atto V – Muore Atto V – Si sposa