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Alunna: Lidia Vitrano

a.a 2020-2021
Corso: AFAM I - Storia della musica classica
LA MUSICA IN FILOSOFIA

La musica è stata da sempre parte integrante della vita dell’uomo; inizialmente diffusa per
tradizione orale, poi scritta, grazie all’invenzione del fonografo meccanico da parte di T.A
Edison (1878) capace di registrare migliaia di canti e musiche strumentali e di ottenere così
fedeli fonogrammi.
Da qui nasce l’etnomusicologia, o musicologia comparata, il cui ne è il confronto delle
musiche dei popoli extraeuropei fra loro e con quelle dei popoli occidentali.

La musica accompagna come una ‘’colonna sonora’’ tutta la storia dell’uomo,


coinvolgendo sentimenti, intelligenza e sensibilità.
Non esiste, infatti, cultura nel mondo che non si esprima attraverso essa, ma non a tutte le
culture appartiene la domanda sul senso della musica che, in quanto portatrice di
contenuti teorici e di signi cati altamente simbolici, si può ritenere una sorta di loso a in
suoni, in grado di elaborare pensieri sul mondo e di interpretare e trasformare la vita
individuale e collettiva. Per la sua misteriosa capacità di fascinazione ed incantamento,
nonché per la sua funzione paideutica (educativa), la musica costituisce un forte stimolo
alla speculazione loso ca occidentale sin dai primi pensatori greci via via lungo il
medioevo, l’età moderna e sino ai giorni nostri.
Ecco perché più in là si parlerà di ‘ loso a della musica’, branca della loso a che ha
come oggetto di studio la musica e si pone delle domande in merito al senso di essa e alla
sua origine.
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ETA’ GRECO - ROMANA (31 a.C - 529 d .C)
Da sempre vi è una stretta correlazione tra musica e loso a.
La nascita della loso a e il sorgere delle teorie musicali sono eventi strettamente collegati.
Tuttavia, è di certo antecedente al sorgere del pensiero loso co l’importanza che la musica
riveste nel mondo greco, di cui le antiche leggende, i miti danno evidente testimonianza.
La musica è ritenuta l’arte più dionisiaca, in grado di far rinascere la parte più irrazionale di
noi stessi.
La lira di Orfeo è l’immagine del potere della musica, che con il suo canto trascinava i sassi, le
piante e le belve.
E’ ancora il mito a narrare di An one che con il suono della lira muove le pietre per costruire
le mura di Tebe.
Tutte le favole musicali del mondo mitologico, dunque, assegnano, alla musica un potere quasi
soprannaturale, e non a caso, le due gure più simboliche della musica nella Grecia antica
sono divinità:

1. Apollo: suonatore di lyra


2. Dioniso: suonatore di aulòs

La lyra era una strumento a corde, formato da una cassa di risonanza dalle cui estremità
salivano due bracci collegati in alto da un giogo. Tra la cassa e il giogo erano tese le corde:
dapprima 4, poi 7. Si suonava pizzicando le corde con un plettro solitamente d’avorio.

L’aulos era uno strumento a ato ad ancia doppia, simile al nostro òboe.
Importato dalla Frigia asiatica.
Era diffuso l’aulos doppio che l’esecutore imboccava simultaneamente. Una striscia di cuoio
che gli girava intorno al capo lo aiutava a fermare tra le labbra le imboccature dei due
strumenti.

La melodia si muoveva a piccoli intervalli, con frequenti ritorni sulla nota centrale, scarsa la
vivacità del ritmo.
L’elemento primario della musica era il tetracordo, insieme di quattro suoni discendenti,
comprendenti due toni e un semitono, compresi nell’ambito di un intervallo di quarta giusta.

L’ampiezza degli intervalli di un tetracordo caratterizzava i 3 generi della musica greca:


diatonico, cromatico, enarmonico:
Il tetracordo di genere diatonico era costituito da 2 intervalli di tono e un semitono, era il
genere più antico e diffuso.
Il tetracordo di genere cromatico era costituito da un intervallo di terza minore e 2 intervalli di
semitono.
Il tetracordo di genere enarmonico era costituito da un intervallo di terza maggiore e 2 micro-
intervalli di un quarto di tono ciascuno.
Nei tetracordi di genere diatonico la collocazione dell’unico semitono distingueva i tre modi:
dorico, frigio, lidio.
Il tetracordo dorico aveva il semitono al grave, il frigio al centro, e il lidio all’acuto. I tetracordi
erano di solito riuniti a due a due, e potevano essere disgiunti o congiunti. L’unione di due
tetracordi formava un’armonia.
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LA DOTTRINA DELLA MUSICA
Hermann Abert (musicologo e critico musicale tedesco) suddivide la sensibilità musicale in tre
gradi:
1. Ritmo
2. Melodia
3. Musica vera e propria

Il ritmo è l’elemento più sensuale della musica, quello che ha in uenza solamente sica. La
melodia ha un’ef cacia psichica, emotiva, affettiva, in ne il terzo grado è la pura contemplazione
artistica. I Greci si trovavano nella seconda di queste condizioni, per loro la musica aveva valore
solo in quanto agiva sulla loro anima e anche sulla loro volontà.
Si stabilì che l’azione della musica fosse di tre specie fondamentali, a seconda che producesse un
atto di volontà; paralizzasse la volontà stessa; o provocasse uno stato di ebbrezza, di estasi:

ETOS ENERGICO ETOS SNERVANTE ETOS ESTASIANTE

LA DOTTRINA DELL’ETHOS
Un aspetto comune a molte civiltà antiche (Cina, India, Israele, Islam, Grecia) fu la convinzione che
la musica potesse in uire sul comportamento degli uomini. Così nacque in Grecia la dottrina
dell’ethos, la quale indicava le relazioni esistenti tra alcuni aspetti del linguaggio musicale e
determinati stati d’animo.

Per Aristotele (384 a.C - 322 a.C) la dottrina dell’ethos era un aspetto della teoria dell’imitazione
‘’chi ascolta una musica che imita una determinata passione, rimane ispirato dalla medesima;… chi
ascolta un giusto tipo di musica, inclinerà a sviluppare una giusta personalità’' (Repubblica).
Quindi per Aristotele la musica imita delle determinate passioni, e l’uomo ascoltandola viene
in uenzato da essa (i tre tipi di ethos).
Aristostele sosteneva che le emozioni, e la musica stessa avessero origine dal movimento. La
musica è un movimento che ci coinvolge, mentre le emozioni sono ciò che è d’interno all’uomo,
trovando la loro origine nell’anima che ‘’tende sempre verso qualcosa’’.
Il nucleo centrale della dottrina consisteva nel riconoscere che ad ogni armonia era attribuito un
proprio ethos, cioè un carattere, un sentimento.
Per esempio secondo Platone (III libro della Repubblica):

- L’armonia dorica era virile, grave


- L’armonia frigia spontanea e dolce
- L’armonia lidia molle e conviviale
- L’armonia misolidia lamentosa
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L’EDUCAZIONE MUSICALE
Il pensatore che per primo intuì l’importanza della musica nell’educazione fu l’ateniese
Damone, contemporaneo e amico di Pericle (V sec a.C) e maestro di Socrate, il cui pensiero
ci è noto grazie a varie testimonianze.
La pratica della musica era, per Platone, semplice educazione, cioè paideia. Gli
allenamenti musicali, sia vocali che strumentali, dovevano essere obbligatori. Ogni
cittadino doveva esercitarsi nella musica dalla prima fanciullezza no ai trent’anni. La
musica, nelle scuole di Sparta, aveva la precedenza sulla grammatica.
Aristotele assegna alla ‘’mousikè’’ (che ingloba l’arte dei suoni, la poesia e la danza) una
parte rilevante dell’educazione giovanile:
“L’insegnamento della musica è adatto alle tendenze di persone in giovane età, che non
sopportano nulla che non sia accompagnato da qualche piacere, e la musica è per sua
natura una delle cose più piacevoli”.
Aristotele, tuttavia, pur riaffermando che la musica debba essere accolta per la sua
bellezza, all’opposto della tradizione, riabilita in modo signi cativo la musica pratica (“ è
importante che i giovani non solo ascoltino, ma pratichino anche l’arte”). Di conseguenza, da
Aristotele è considerato virtuoso, se praticato nei momenti di “otium”, anche il suonare
uno strumento senza alcuna preclusione circa i modi, i ritmi e il tipo di strumento.

I grandi insegnamenti di Aristotele entrano nella teoria musicale grazie ad un suo


discepolo, Aristosseno di Taranto (375 a.C - 322 a.C) il maggior teorico greco della musica.
Fu il primo che ebbe veramente coscienza della realtà artistica del pezzo musicale, il primo
losofo ad essere stato anche musicista e che abbia sentito, pur non riuscendo ancora a
individuarla, la necessaria presenza dello spirito nell’opera d’arte.
La musica, inoltre, secondo Aristotele e i suoi discepoli, aveva funzione di catarsi:
imitando le passioni che opprimono l’uomo, la musica libera il suo animo dagli affanni;
questa sorta di puri cazione avveniva ad esempio durante la visione delle tragedie, quasi
come fosse una sorta di medicina omeopatica.
A proposito di tragedie, Euripide ricondusse la musica, portandola sulla scena, al suo
primo e più vero dominio (stadio più profondo), quello dell’inconscio: essa coglie, cioè, i
sentimenti nelle loro origini più profonde, in quello che hanno di più astratto, rappresenta
non gli oggetti della passione, ma i moti di essa.
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PITAGORA:
La prima dottrina loso ca ad avere un’attenzione per la musica è quella che si sviluppa
all’interno della scuola pitagorica.
In essa una serie di personaggi si richiamano agli insegnamenti del caposcuola Pitagora
(580 a.C - 495 a.C), gura a metà strada tra storia e leggenda perché, secondo un mito
popolare sarebbe stato glio di Apollo.
Pitagora sosteneva che i suoni fossero più di una semplice vibrazione di un corpo in
oscillazione, e che nell’ascolto di essi si preannunci la ricerca di un ordine matematico
quale substrato del mondo della natura. Egli è, pertanto, il primo pensatore ad avviare una
ri essione concettuale sulla musica come simbolo o espressione di un’armonia superiore
che si esplica per mezzo di proporzioni numeriche (‘’i numeri sono i musicisti del cielo’’).

La musica, per questa ragione, viene considerata da Pitagora veicolo di ascesa, di ingresso
nel mondo ultraterreno dove risuonano le sfere celesti, e si tramanda che in punto di morte
egli abbia chiesto che venisse suonato il “monocordo”o ‘’canon pitagorico’’ lo strumento
da lui inventato che mediante la semplice suddivisione di una corda (da cui prende il
nome) consente di costruire una “scala musicale” con i primi quattro numeri naturali
[nella speculazione pitagorica rappresentano il punto (l’1), la linea (il 2), la gura piana (il
3), la gura solida (il 4) e insieme formano una gura sacra chiamata “Tetra- ktys” o
triangolo quaternario, una sorta di compendio dell’intero universo, in cui la somma, da
qualsiasi vertice si muova, dà sempre 10, espressione di potenza, verità e totalità]. Questa
scala musicale di sette suoni, racchiusa all’interno di tre intervalli consonanti (2/1
intervallo di ottava , 3/2 intervallo di quinta, 4/3 intervallo di quarta) è destinata ad avere
grande fortuna e a rimanere in uso senza subire modi cazioni no al medioevo.
Prese una corda tendendola alle estremità in modo controllato, mettendola poi in
vibrazione. Probabilmente con l'aiuto di una cassa armonica ascoltò il suono generato.
Provò poi a dimezzare la lunghezza della corda, ascoltando il suono ottenuto. Scoprì che
questo suono era in stretta relazione col primo, risuonando con una frequenza doppia. In
altre parole aveva scoperta l'ottava, vale e dire l'intervallo tra il suono della voce di un
uomo adulto e quella di una donna o di un bambino, che "cantano" la stessa nota.

“Esercitatevi al monocordo!”, si narra esclami Pitagora, poco prima di esalare l’ultimo


respiro, esortando i suoi discepoli a non trascurare lo studio musicale di questo importante
strumento per continuare la ricerca dei rapporti aritmetici che individuano i rapporti
acustici consonanti. Sollecitazione di certo non rimasta inascoltata se, circa un secolo dopo,
Filolao, uno dei suoi maggiori discepoli, approfondendo gli studi su quello strumento,
perviene all’elaborazione del “tetracordo” e, precisando i rapporti numerici corrispondenti
agli intervalli fra le quattro corde della lira, coglie l’armonia invisibile” fondata sulle tre
consonanze insite nei primi quattro numeri.
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LA MUSICA DEI ROMANI
Solo dopo la conquista della Grecia (146 a.C) la musica occupò un posto di rilievo nella
vita pubblica e nei divertimenti del popolo romano.
L’attività musicale diventò molto intensa durante gli ultimi decenni della Repubblica e
crebbe nei primi due secoli dell’Impero. L’imperatore Nerone (37-38 d.C) amava esibirsi in
pubblico e partecipava a competizioni citaristiche. Canti monodici e corali di carattere
rituale erano considerati essenziali nelle solennità pubbliche quali feste religiose, giochi.
Anche i romani ritenevano che la musica doveva far parte della formazione scolastica dei
giovani appartenenti ai ceti più elevati.
Dopo l’annessione della Grecia, af uirono a Roma in gran numero cantanti, strumentisti,
danzatori provenienti dalla Siria e dall’Egitto oltre che dalla Grecia.
Crebbe il numero e la richiesta di musicisti professionisti e aumentò la presenza della
musica non solo durante i banchetti e gli spettacoli (mimi, pantomime) ma anche nei
circhi, durante i combattimenti dei gladiatori.
Questi aspetti si accentuarono durante la decadenza della civiltà romana.
Poiché la musica era ormai associata solo ai riti pagani e a spettacoli di sangue, i Padri
della Chiesa espressero la loro avversione e proibirono ai cristiani di partecipare agli
spettacoli. Tale atteggiamento riguardò sia le composizioni vocali che strumentali.

Tra le diverse testimonianze storiche e letterarie pervenuteci, riguardo la musica (Terenzio,


Cicerone, Svetonio, Quintiliano, Sant’Agostino) non si trova alcun documento utile per
poter ricostruire i brani, segno che, in de nitiva, tra i Romani si riscontra una certa
predilezione, più che per la produzione,
per l’ascolto musicale, quasi che la musica costituisca semplicemente una piacevole forma
di spettacolo, a cui il cittadino preferisce assistere anziché partecipare.
Anche sul piano educativo alla musica, che ha avuto un posto preminente nella paidéia
ellenica, i Romani non attribuiscono un ruolo così importante nella formazione del
cittadino. Tuttavia possiamo dire che a Roma si sviluppano e si perfezionano gli strumenti
musicali provenienti da ogni regione.
La musica romana, infatti, abbinata anche a spettacoli indigeni quali l’atellana e il
fescennino, inizialmente si sviluppa sotto l’in uenza etrusca, caratterizzata dal
preponderante ricorso agli strumenti a ato, in una fase successiva utilizza gli strumenti a
corda, di chiara provenienza greca, quali la lira, e in ne, soltanto in tarda età si serve di
strumenti musicali originali, fra i quali di assoluto rilievo è l’organo a màntici (negli organi
di piccole dimensioni, il mantice veniva azionato da un collaboratore o dall’organista
stesso; in questo caso l’organista suonava soltanto con la mano destra. I grandi organi
delle cattedrali invece erano alimentati da più mantici azionati da decine di persone
contemporaneamente) o pneumatico (evoluzione prettamente romana, dovuta a Erone e a
Vitruvio, di quello“idraulico” greco), ampiamente utilizzato soprattutto durante l’età
imperiale (27 a.C - 476 d.C). Quasi unico fra gli strumenti antichi, è proprio l’organo a
passare in eredità al mondo cristiano e medievale allorché, con la ne dell’impero e con la
trasformazione di Roma in capitale della cristianità, la musica rinasce in chiesa e ritrova in
questo strumento il suono privo di decadimento che ben si adatta all’accompagnamento
del canto corale e la ricchezza timbrica adeguata a dare risalto alle diverse fasi delle
celebrazioni religiose.
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ETA’ CRISTIANA:

“La musica rende gli uomini più pazienti e più dolci ... perché essa è un dono di Dio e non degli
uomini” Martin Lutero

«La musica ha una fondamentale componente spirituale: rende meno arida, meno egoista, meno
violenta la società» Uto Ughi

Il cristianesimo dei primi secoli considera la musica peccaminosa e, manifestando nei


confronti di essa una forte avversione, bandisce dai luoghi sacri gli strumenti musicali,
ritenendoli non degni e meno versatili della voce umana nell’esecuzione delle melodie.

CANTO GREGORIANO
A partire dall’VIII secolo, con l’affermarsi del “gregoriano” (da San Gregorio Magno), canto «vocale» che si caratterizza
per l’assenza di accompagnamento musicale, vi è la predominanza della parola sulla musica e segna per i secoli
successivi la via che conduce nel Basso Medioevo, dalla loso a scolastica in poi, ad un accorto allontanamento dalla
musica.
Lo stile melodico del canto gregoriano è inconfondibile: gli intervalli sono diatonici ed il ritmo libero è cantato ‘’a
cappella’’. La melodia è monodica (tutti cantano all’unisono). La durata e l’altezza delle note si percepisce attraverso una
serie di simboli chiamati neumi. La tonalità delle melodie gregoriane è basata su otto modi ecclesiastici, che de niscono
un sistema chiamato octoechos. L’esecuzione è antifonale, ovvero al celebrante risponde il coro. Il repertorio gregoriano
può trovarsi sia in forma diastematica che adiastematica: rispettivamente con o senza riferimenti spaziali. Solitamente i
brani con la scrittura diastematica risalgono all’XI secondo d.C., poiché tale scrittura fu introdotta da Guido D’Arezzo
(991 - 1050 d.C) con il rigo musicale. Egli è considerato come l’ideatore della moderna notazione musicale e del
tetragramma (4 righe) che rimpiazzò la notazione neumatica. Inoltre, per aiutare i cantori nell’apprendimento delle
melodie scritte sul rigo musicale elaborò un metodo, chiamato solmisazione, basato sulla successione di sei suoni
(esacordo) con il semitono situato in posizione centrale. Egli lo derivò dalle sillabe iniziali dei versi dell’inno a San
Giovanni Battista. Dalle sillabe iniziali di questo inno ha praticamente derivato i nomi delle note.
Sempre al monaco benedettino si deve l’invenzione della mano guidoniana, utilizzata come esercizio mnemonico, per
aiutare a ricordare l’esatta intonazione dei gradi della scala, poiché il canto ancora non veniva accompagnato da
strumenti.
In tutto il Medioevo gli strumenti musicali raramente vengono impiegati nelle attività di culto. Le esecuzioni di canti
sacri, estensione della preghiera a Dio, devono rimanere immuni da qualsiasi contaminazione e, pertanto, non debbono
essere accompagnate da melodie strumentali in quanto “l’impiego di strumenti – scrive San Tommaso - o per il carattere del
suono o per la ricercatezza tecnica distrae dalla nalità della preghiera e dalla unione con Dio”. Tuttavia, va tenuto presente che lo
stesso San Tommaso ritiene che di per sé “non sono da escludere dalle esecuzioni musicali gli strumenti che meglio
esprimono e assecondano i sentimenti religiosi, come il auto per la tranquillità e la fermezza dell’anima, gli strumenti a
corda per la dolcezza della contemplazione nel dialogo con Dio e, soprattutto l’organo per ‘’l’entusiasmo religioso che è
capace di suscitare” e in quanto tale quest’ultimo è, infatti, già da secoli l’unico strumento ammesso nelle cerimonie
liturgiche. Al contrario, nella musica profana, che si sviluppa nel corso del Medioevo ed è ampiamente presente nelle
feste popolari, nelle cerimonie pubbliche, nei castelli e nelle corti, trovano spazio, come si può evincere dai documenti
icono-gra ci e dalle miniature, numerosi strumenti musicali: liuto, viella, salterio, ghironda, tra gli strumenti a corda,
chiamati “tensibilia”; auto, tromba naturale o chiarina, bombarda, cornamusa, tra i ati, “in atilia”; tamburo, timpano,
sistri, crotali, tra le percussioni, “percussionalia”. Le melodie della musica profana, però, utilizzate come
accompagnamento alla voce da suonatori di origine popolare (menestrelli, giullari, cantastorie) sono andate in gran parte
perdute, perché trasmesse soltanto in forma orale. Sicché, paradossalmente, gli unici documenti a noi pervenuti dell’arte
strumentale sono relativi agli accompagnamenti musicali di messe e cerimonie che, avendo lo scopo di creare
un’atmosfera di raccoglimento, di arricchire la preghiera e di accrescere la solennità della funzione religiosa, vengono
scritti per mantenerli inalterati e fedeli alla tradizione.
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