Sei sulla pagina 1di 17

Semiografia musicale

Teoria e Analisi della Musica


Università degli Studi di Roma La Sapienza
16 pag.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
Semiografia Musicale

Chiara Maria D’Angelo

Anno Accademico 2016/2017

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
Indice

Premessa

Cap. I Storia della Notazione Musicale

Cap. II Notazione Musicale del Settecento e dell’ Ottocento


Cap. III Notazione Musicale del Novecento

Bibliografia

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
Premessa

Nel mondo classico, le notazioni musicali furono essenzialmente alfabetiche: in entrambi i sistemi della
tradizione greca a noi noti, lo strumentale e il vocale, i simboli grafici atti a denotare l’altezza dei suoni erano
perlopiù lettere, disposte in posizioni diverse a indicarne le possibili alterazioni, oppure intercalate ad altri segni
convenzionali, relativi al parametro della durata. I Romani sostituirono via via ai caratteri ionici quelli del
proprio alfabeto, che da quindici (dalla “A” alla “P”) diventarono infine sette intorno al IX secolo. Frattanto,
con la diffusione del canto gregoriano, si affermavano sempre più i neumi, sorta di derivazioni evolutive dagli
accenti quantitativi e dai simboli della prosodia latina, e remoti antenati, a loro volta, delle note che ancor oggi
sono in uso. Nel nostro appunto, perdurantemente attuale sistema standard, la presenza e funzione
dell’originario fattore logosemeiotico quale mezzo di de- notazione dell’altezza (ossia della frequenza) sonora è
del tutto venuta meno, ma è si è sviluppata un’area d’utilizzo degli elementi verbali che, dapprima circoscritta
all’aspetto agogico, a partire dalla seconda metà del Settecento si è vieppiù estesa anche al dinamico e
all’espressivo. Il che comporta, in una prospettiva d’ermeneusi filosofica (post-)analitica, alla riflessione di
Nelson Goodman una duplice serie di difficoltà e incongruenze, fra loro collegate.

La questione preliminare inerisce alla risaputa ripartizione delle tipologie artistiche fra autografiche e
allografiche: le une (per esempio, dipinti e sculture lapidee) la cui identità è connessa in maniera stringente alle
rispettive condizioni di creazione e conservazione nel tempo, al supporto fisico e all’inestricabile intimo
connubio di forma e materia (si ricordi Cesare Brandi), sicché presuppongono l’esistenza di un “originale”,
oggetto unico e irripetibile dotato perciò, secondo Walter Benjamin, di “aura”; le altre pensiamo alle opere
letterarie e musicali che, invece, non implicano affatto il problema dell’“autenticità”, essendone possibile, senza
che vi sia falsificazione o perdita d’identità, la produzione e replicazione in un numero infinito di esemplari, tra
ognuno dei quali non si dà alcuna sostanziale differenza. Un melodramma e una sonata pianistica, però, benché
allografiche al pari di un romanzo o un racconto, non constano soltanto di una pagina scritta, di uno “spartito”,
ma trovano il loro compimento ed estrinsecazione precipua nell’esecuzione; ognuna delle quali, ça va sans dire,
è inevitabile che sia diversa dall’altra, dipendendo da fattori non omologabili né interamente controllabili.
Nondimeno, queste opere restano sempre le medesime, e come tali sono ravvisate dagli ascoltatori-spettatori:
ciò avviene perché, secondo Goodman, esse possiedono un’identità a “istanza multipla”, che consente al
percepente di riconoscerle attraverso le innumeri potenzialità d’interpretazione.

La prima delle difficoltà cui accennavo è legata alla progressiva crescita sotto il profilo sia della quantità, sia
della rilevanza della sfera logosemeiotica nelle partiture musicali, principiata negli ultimi decenni del XVIII
secolo e accentuatasi soprattutto in coincidenza dell’epoca romantica: quando, in conformità a un’incipiente
tendenza all’iper-codificazione, non solo si allargò a dismisura il vocabolario delle indicazioni agogiche, ma si
sviluppò una terminologia di “prescrizioni” dinamiche ed espressive dalla vastissima e inesauribile casistica.
Dunque, ai tradizionali e invalsi «allegro», «andante» e «adagio», si aggiunsero precisazioni complementari
(«allegro vivace», «andantino mosso» etc.) relative al tempo o velocità di movimento dei brani, e ulteriori
diciture la cui minuziosità si accompagnava alla totale soggettività e a un’inversamente proporzionale
razionalità funzionale: da un «con la massima intensità» a «sempre diminuendo fino a spegnersi», da
«affettuoso» ad «amabile», da «appassionato» ad «agitato», sino agli ironici e ineffabili estremi di un Satie, che
non si peritava di chiedere al suo interprete di suonare «avec une légère intimité», «sans orgueil», «sur la

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
langue», «dans une grande bonté» o «en se regardant de loin»! Ebbene, se acconsentiamo che il cómpito
primario e fondativo di una partitura consista nell’identificare un’opera musicale, cui sarà lecito ascrivere
esclusivamente le esecuzioni a essa congruenti, bisognerà che il codice semiologico adottato dall’autore
ottemperi alle proprietà semantiche della disgiunzione e della differenziazione finita; criteri che il corpus
principale costituito da caratteri non-verbali del sistema standard rispetta in maniera paradigmatica, ma ai quali
contravviene, invece, l’insieme degli elementi alfabetici ospitati al suo interno. In effetti, dal momento che ogni
parola, come appare, è utilizzabile per indi- care il tempo, il fraseggio e l’espressione di un pezzo musicale, e
che, perciò, il numero delle prescrizioni possibili per esempio tra il “veloce” e il “lento” si dimostra, almeno in
linea di principio, illimitato, ne risultano trasgrediti entrambi i requisiti necessari e sufficienti in cui presenza è
ammesso parlare di notazionalità. Di conseguenza, occorre riconoscere che l’idioma grafico elaborato dalla ci-
viltà musicale europea nel corso del secondo millennio non risponde totalmente ai canoni goodmaniani dello
“spartito”, ma si suddivide in due sottocategorie, una sola delle quali si rivela conforme ai principi della
disgiunzione semantica e della differenziazione finita (dato che le linee e gli spazi del rigo fungono da
riferimenti chiari e certi per la determinazione delle altezze, e i simboli impiegati sono, in assoluto,
quantitativamente circoscritti), e quindi notazionale.
Per garantire la tenuta del sistema, si dovrà concludere, allora, che «i termini che indicano il tempo [ma anche
l’espressione, la dinamica e l’agogica] non possono essere parti integranti di uno spartito, nella misura in cui lo
spartito ha la funzione di identificare un’opera da esecuzione a esecuzione. [...] Queste specificazioni [...] sono
semmai indicazioni ausiliarie la cui osservanza o meno modifica la qualità di un’esecuzione ma non l’identità
dell’opera». Però, se tali elementi aumentano di ruolo e di numero, assumendo un’importanza crescente, nelle
intenzioni dell’autore, per la manifestazione della sua volontà di preordinare nella maniera più accurata la
performance interpretativa (proposito in sé contraddittorio, in quanto perseguito attraverso strumenti per nulla
esatti e definitori), si incrementano pure, per così dire, i fattori di disturbo, le componenti eterogenee e
perturbatrici rispetto alla notazionalità, che scompare del tutto nel caso che questi prendano il sopravvento sui
simboli non-verbali.
L’evenienza sembrerebbe meramente ipotetica e implausibile, ma si è verificata con ampia frequenza durante il
XX secolo: il richiamo più calzante è alle cosiddette “scritture d’azione”, che, diffuse in specie negli anni
sessanta e settanta, non determinavano i suoni nei loro parametri, bensì i procedimenti da porre in atto per
produrli, e si servivano, allo scopo, di caratteri cifrati, iconici (immagini, tavole, grafici, schemi etc.) o, appunto,
logosemeiotici. Paradossale e sorprendente è che l’orientamento ipercodificatorio che sovrintese da principio
all’immissione di siffatte “istruzioni operative” verbali nel corpo delle partiture musicali (si pensi a didascalie
ottocentesche come «lasciar vibrare a lungo», o alle prescrizioni miranti a ricavare dallo strumento effetti
singolari non significabili mediante i segni standard tradizionali) finì per sfociare nel suo diametrale opposto,
ossia nella prorompente esplosione della pratica aleatoria, che si tradusse nel proliferare di autentiche “opere
aperte”, in cui la voluta indeterminatezza delle partiture (ormai ben lungi dall’essere notazionali) concede
all’esecutore un margine assai consistente di libertà estemporanea.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
I. Storia della Notazione Musicale

La scrittura musicale ha una funzione importantissima: fissa l'altezza assoluta dei suoni e le loro durate.
La prassi della scrittura musicale fu un fenomeno molto tardivo rispetto alla nascita della pratica musicale. Nel
mondo greco la musica era tramandata oralmente e tale pratica rimase in uso fino ai primi secoli dell’era
cristiana.
Nel medioevo l'esigenza di avere una scrittura musicale, come la intendiamo oggi, si rivelò relativamente tardi.
Il canto gregoriano nasceva spontanenamente dalla parola del testo sacro, la struttura melodica era suggerita
dalle parole dei canti da intonare e l'altezza e la durata erano determinati dall'intonazione del testo sacro.
Ad interessarsi del problema furono i teorici che volevano stabilire un rapporto tra la musica latina e quella
greca.
Severino Boezio fu il primo trattatista del medioevo che impiegò le lettere dalla A alla P per indicare i punti di
suddivisione del monocordo di Pitagora.
La notazione si definì con Oddone da Cluny il quale applicò le lettere dell'alfabeto al sistema perfetto dei greci.
Tale notazione è ancora usata nei paesi anglosassoni.

La scrittura più importante fu la notazione neumatica, nella quale ci sono pervenuti i canti del repertorio
liturgico.
i neumi sono dei segni grafici, posti sulle sillabe del testo, senza nessuna linea che ne fissi l'altezza (per questo
sono detti neumi in campo aperto).
Tra i sec. VII-IX, la rapida diffusione del canto gregoriano favorì la notazione neumatica. Il valore di questa
scrittura era mnemonico, ciè serviva per ricordare ai cantori, aiutati dal magister che con i gesti della mano. tale
scrittura è definita chironomica.
I neumi fondamentali sono: virga (una nota ascendente), punctum (nota discendente), pes (due note ascendenti),
clivis (due note discendenti), scandicus (tre note ascendenti), climacus (tre note discendenti) e porrectus (tre
note ascendeti-discendenti). questi neumi erano combinati tra di loro formando gruppi articolati. Ogni scuola
europea adottava una sua grafia. Ricordaimo S. Gallo, Chatre, Mets.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
Per rendere tutto più semplice si decise di adottare la scrittura neumatica quadrata.
Non è noto chi fu il teorico che tracciò una linea sul testo che tracciava la posizione del fa e più tardi una
seconda linea che tracciava la posizione del do. Grazie a queste note si poteva risalire all'intonazione di tutte le
altre note.
Intorno all'anno 1000, Guido d'Arezzo sperimenta il tetragramma, quattro linee parallele che possono contenere
il ristretto numero di suoni del canto gregoriano.
Usando il tetragramma, era necessario fissare l'altezza delle note e pertanto si usarono due chiavi: queste chiavi
potevano assumere tre posizioni, in modo che le note potevano rimanere nel tetragramma:

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
(Inno a San Giovanni)

Quanto al ritmo solo nel sec. XII si inizi a sentire l'esigenza, per due ragioni principali: la nascita dell forme
polifoniche e lo sviluppo della monodia popolare.
Si iniziarono ad usare i Modi ritmici, ripresi dalla tradizione greca, basati sulla combinazine di tempi lunghi e
tempi brevi e che dalla metrica greca riprendevano i nomi: trocheo, giambo, dattilo, anapesto, spondeo, tribaico.
A differenza dei modi greci, i modi ritmici latini erano solo ternari, perchè il tre è il simbolo della trinità.
La teoria dei modi ritmici risultava insufficiente e pertanto si svilupperà la notazione mensurale con Francone
da Colonia e il suo "Ars Cantus mensurabilis". Il principio di questa notazione è quello di allargare le
possibilitàè offerte dalla teoria dei modi ritmici. Oltre alla longa e alla brevis, Francone introdusse altri due
valori: la maxima o duplex longa e la semibrevis.
Combinando quattro valori e scomponendoli in due oppure tre più piccoli, era possibile ottenere combinazioni
ritmiche maggiori. La polifonia fu determinante per lo sviluppo della scrittura musicale: nel 1300 in Francia fu
introdotta la minima che compare per la prima volta in un trattato di Philippe de Vitry.
Le suddivisioni fondamentali che si potevano ottenere erano principalmente 3:
MODUS: divisione della longa in 3 brevi (modus perfectus)
TEMPUS: divisione della brevis in 3 semibrevis (tempus perfetum) o in 2 brevi (tempus imperfectum)
PROLATIO: divisione della semibrevis in 3 minime (prolatio major) o in 2 minime (prolatio minor).
Ci sono delle considerazioni da fare: le suddivisioni ternarie erano ritenute perfette mentre quelle binarie
imperfette. Inoltre, la notazione antica era mensurale ma non isometrica, cioè non conosceva le battute
concepite come ugulai per numero di movimenti.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
Dopo il 1450 si perse l'abitudine di annerire le note: si segnanvano solo i contorni. Questa notazione è detta
bianca. Tale sistema rimane invariato fino al 1600 quando con la nascita della stampa musicale e dell'incisione,
le note diventano rotonde e spariscono le legature che caratterizzano la notazione quadrata. Nascono le nostre
moderne forme musicali.

Il pentagramma è figlio del Rinascimento, rimasto invariato fino ai nostri giorni, e dobbiamo la sua adozione al
grande teorico Gioseffo Zarlino.
Anche le Chiavi utilizzate da Guido d'Arezzo hanno subito delle modifiche nel corso dei secoli:

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
II. Notazione Musicale del Settecento e dell’ Ottocento

Come si è detto, almeno la prima metà del settecento fu interessata sul piano stilistico dall’ultima fase del barocco,
lungo la quale l’uso del basso continuo era ancora regolare, se non altro nei contesti che non precorrevano l’avvento
del classicismo.

Parte di recitativo tratto dalla Johannes-Passion di Johann Sebastian Bach

La “Passione secondo Giovanni” è una composizione della prima metà del settecento. Il recitativo, in quest’epoca,

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
era un brano per voce e basso continuo sia nel melodramma sia nelle cantate. Si noti la nutrita presenza di
indicazioni numeriche che corredano il basso continuo: trattandosi di un brano caratterizzato da fortissimo pathos (è
il momento in cui Pietro piange per aver rinnegato il Cristo tre volte), la sua realizzazione genera una lunga serie di
dissonanze accordali.
In generale, nel diciottesimo secolo nacquero alcune importantissime forme compositive (la sinfonia, il quartetto
d’archi…) ed altre conobbero un’evoluzione di grande significato (la sonata, il concerto, le cantate…). Alcuni
strumenti musicali, inoltre, tra settecento ed ottocento raggiunsero la propria maturità tecnica ed espressiva anche
attraverso l’evoluzione della loro struttura e l’acquisizione di nuove caratteristiche fisico-acustiche: in primo luogo il
pianoforte e diversi strumenti a fiato. L’evoluzione tecnica della scrittura per i diversi strumenti – inclusi gli archi –
assecondava il virtuosismo crescente degli esecutori.
Tutto ciò ebbe abbondanti ricadute sulla notazione musicale, che guadagnò in flessibilità e fu essa stessa protagonista
di un’evoluzione semiografica continua.
L’uso delle chiavi, delle indicazioni speciali per gli strumenti traspositori, delle indicazioni tecniche ed espressive, dei
segni d’articolazione, di dinamica, di agogica era ricchissimo e spesso diversi compositori ne diedero, almeno in parte,
versioni personalizzate e piegate alle loro personali esigenze creative. Nel passaggio dai manoscritti degli autori alle
versioni a stampa prodotte dagli editori, tuttavia, in molti casi tali indicazioni subirono drastiche riduzioni e
modifiche anche per ragioni di economicità nel lavoro tipografico e di semplificazione nei confronti dei potenziali
esecutori, i quali non sempre erano musicisti professionisti; in parecchi casi, anzi, si trattava di dilettanti non provvisti
di grande preparazione tecnica.

Inizio del secondo brano delle Davidsbündlertänze per pianoforte di Robert Schumann (1810 - 1856)

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
Frammento del Quintetto op. 114 per clarinetto e archi di Johannes Brahms (1833-1897)

La tonalità d’impianto del brano è si minore (il che comporta naturalmente la presenza di due diesis in chiave). Si
noti che l’unico strumento traspositore del quintetto è il clarinetto in la: la sua parte, quindi, è scritta in tonalità di
re minore, in maniera che l’effetto tonale dell’esecuzione sia appunto si minore. Si osservi, inoltre, che la notazione
degli strumenti più gravi del quartetto d’archi, la viola e il violoncello, è contraddistinta rispettivamente dalla chiave
di contralto e dalla chiave di basso.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
Ouverture Tragica di Johannes Brahms (1833 - 1897)

Si tratta di una composizione destinata all’orchestra sinfonica. La tonalità d’impianto è fa maggiore (1 bemolle
in chiave). In partitura si ritrovano le caratteristiche notazionali dei vari strumenti: ad esempio l’uso delle
chiavi e delle tonalità trasposte. Gli strumenti (dall’alto): ottavino (Kleine Flöte = flauto piccolo), 2 flauti, 2
oboi, 2 clarinetti in si bemolle (la lettera B nella notazione alfabetica tedesca, come già ricordato a pag. 12,
esprime il si bemolle), due fagotti, quattro corni (di cui il primo e il secondo in re, il terzo e il quarto in fa), due
trombe in re, tre tromboni (Posaune = trombone), un basso tuba, timpani (Pauken) in re e la, primi violini,
secondi violini, viole (Bratsche = viola), violoncelli, contrabbassi.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
Si noti, tra l’altro, la presenza delle diverse chiavi: chiave di basso per fagotti, terzo trombone, basso tuba,
timpani, violoncelli, contrabbassi; chiave di tenore per primo e secondo trombone; chiave di contralto per le
viole.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
III. Notazione Musicale del Novecento

Anche sul piano della notazione musicale il novecento è una fucina inesauribile di innovazioni e sperimentazioni,
spesso conseguenze dell’inquieta ricerca di nuovi linguaggi che possano costituire un’alternativa credibile al
linguaggio tonale. Le tecniche seriali, inaugurate a Vienna dalla Dodecafonìa di Schönberg, Berg e Webern, hanno
ricoperto un ruolo significativo almeno nella prima metà del novecento, seppur messe seriamente in discussione per il
loro essere “inorganiche” da personalità d’autorevolezza assoluta come Wilhelm Furtwängler.
La Scuola di Darmstadt, nel cuore del secolo, è stata un crocevia di fondamentale importanza per l’evoluzione dei
linguaggi musicali in divenire e per la nascita di nuovi idiomi. Aspetti davvero peculiari del novecento, inoltre, sono
la ricerca e la sperimentazione attuate individualmente dagli autori proprio sui fronti linguistici, che hanno portato
spesso ad apparati notazionali ampiamente personalizzati, al punto che per molte opere di compositori del novecento
(Stockhausen, Boulez, Sciarrino, Penderecki…), nelle rispettive edizioni a stampa, si rende necessaria la presenza di
istruzioni per la corretta interpretazione dei segni e dei simboli impiegati.
In tutto ciò il ruolo della scrittura strumentale è di enorme importanza, poiché anche su questo versante il novecento
è stato un secolo di formidabili evoluzioni: le tecniche strumentali, in generale, hanno incrementato
abbondantemente il loro bagaglio e i compositori hanno sfruttato a fondo tutte le nuove risorse disponibili.

L’inizio del Quartetto per archi n. 2 di Krzysztof Penderecki (*1993)

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
Frammento tratto da Improvisation ajoutées di Mauricio Kagel (*1931)

Si noti l’assenza di pentagramma: in questo caso si potrebbe tornare a parlare di “notazione adiastematica”.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)
Bibliografia

Storia della Semiografia Musicale, Guido Gasperini, Ristampa dell’edizione di Milano,1905.

La notazione musicale contemporanea, aspetti semiotici estetici, Andrea Valle, EDT, 2003.

Volume 1 di Storia della musica occidentale, Mario Carrozzo e Cristina Cimagalli, Armando Editore, 2001.

Document shared on www.docsity.com


Downloaded by: sara-b-15 (sara.btg.95@gmail.com)

Potrebbero piacerti anche