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Storia dei concetti musicali: linguaggio, melodia, spazio e stile

Università l'Orientale Napoli

Giampiero MORETTI

Descrizione
Il fine della ricerca è la determinazione storica dei tre concetti fondamentali di Linguaggio,
Melodia, e Spazio mirando ad individuare le premesse filosofiche dell'impiego di tali
concetti e le loro ripercussioni in ambito storico-filosofico. Attraverso una descrizione
storico-genetica dei concetti che dà conto della permanenza e delle evoluzioni del concetto
considerato, verranno presi in esame trattati di teoria musicale, musicologici, storico-
filosofici, di estetica e poetica, secondo un'ampia visione interdisciplinare che privilegia i
nessi tra teoria musicale e pensiero filosofico, tra prassi musicale e riflessione musicologica,
vale a dire i luoghi, o nodi storici, nei quali tali concetti musicali-filosofici emergono con
concreta visibilità, pregnanza di senso, determinatezza storica, rilievo semantico, spessore
scientifico, forme diversificate, fisionomia filosofica, dimensione metaforica. Ad eccezione
di melodia, i concetti presi in esame non denotano una precisa dimensione della
composizione musicale bensì aspetti della comunicazione musicale che hanno spesso
mutato fisionomia nei vari periodi storici.

MELODIA – Il concetto di melodia difficilmente può essere trattato nei suoi vari aspetti
prescindendo dalla varia terminologia che lungo la storia e nelle diverse lingue si è usata in
relazione ad esso. Nell'antichità il senso del greco melodia si sovrappone solo parzialmente
al latino cantus, che implica un campo semantico più ampio e nella stessa lingua greca esso
non può essere adeguatamente inquadrato senza una riflessione su tutte le parole terminanti
in «-odia/edia» (prosodia, salmodia, tragedia, commedia, …), oltre che su concetti come
nomos, tropos, tonos. Anche in latino non si può prescindere da vari termini, in particolare
modulatio e concentus che aprono due aree semantiche di grande estensione, rilevanza e
fortuna storica. Un inquadramento del canto e della melodia nei sistemi di pensiero appare
fin dalle religioni più antiche, nel pensiero animistico, nello sciamanesimo, nei miti
cosmogonici e di fondazione, fino ad arrivare alle religioni monoteiste (si pensi alle pagine
di Agostino e Ambrogio, dentro la tradizione cristiana). Il canto assume in questi contesti un
valore che va ben oltre l'estetica e tocca la Weltanschauung nel suo complesso, la politica,
l'etica, la pedagogia, la psicologia, come sarà anche nelle dottrine pitagoriche e da qui alla
tradizione filosofica successiva.
Il canto e il repertorio di melodie è sacro e perciò stesso apparentemente immutabile, come
è per il canto gregoriano lungo tutto il Medioevo (un'eco di questo pensiero si ritrova secoli
dopo nell'opera di Wackenroder). Fino a tutto il Medioevo i trattati di retorica e di poetica
spesso si occupano di canto, a volte in maniera esplicita ma raramente entrando in
profondità negli aspetti musicali che lo concernono, di cui si occupano invece trattati
dedicati alla musica in quanto scienza (almeno dagli Elementa Harmonica di Aristosseno,
che prevedono una sezione dedicata alla "melopea" e così anche nei successivi scritti
filosofici di Kircher, Descartes e Mersenne). Si tratta di due tradizioni che raramente si
incontrano sul piano del pensiero se non per scontrarsi, come nella distinzione ricorrente tra
musicus e cantor, quest'ultimo paragonato in senso dispregiativo ad una bestia; d'altra parte
lo stesso Boezio aveva tenuto a specificare che nei suoi scritti si occupava di musica e non
del canto dei poeti.
Con il Rinascimento, il canto si avvia ad assumere nuovi valori che saranno promossi dalla
fiorentina Camerata de' Bardi e si elaborerà il concetto di "recitar cantando", insieme all'idea
di superiorità del canto solistico sulla polifonia. Nel secolo XVIII con Rousseau, Herder e
Jacob Grimm si pone in diretta relazione la melodia, il canto, con la nascita del linguaggio e
con i suoi aspetti prosodici (la questione avrà lunga vita e susciterà l'interesse anche di
numerosi scienziati dei secoli successivi); la melodia si trova al centro di un discorso teorico
in contrapposizione all'armonia e ancora alla polifonia e il "bel canto" si avvia a divenire un
ideale, non senza polemiche. Con il Romanticismo si accentua il valore della melodia come
elemento centrale della tradizione popolare e dei caratteri dell'identità nazionale (così in
Herder, Hamann, Goethe). Per Schopenhauer lo svolgimento della melodia si paragona alla
storia della volontà stessa, mentre la varietà nei repertori melodici corrisponde alle
differenze tra gli individui. Wagner svilupperà il concetto di "melodia infinita", nei riguardi
del quale Nietzsche elaborerà un discorso critico. Agli antipodi del pensiero romantico, un
diverso filone di pensiero, del quale Hanslick è il primo esponente, sottolinea la natura
artificiale della melodia. In Husserl il concetto di melodia presenta uno sviluppo peculiare
come idea del "continuo", dell'unità nella successione, mentre la nozione novecentesca di
"serie" (Schoenberg) si contrappone esplicitamente a quella tradizionale di melodia.
Una nuova accezione del termine è rappresentata dalla Klangfarbenmelodie (cfr.
Harmonielehre, 1911).
LINGUAGGIO - L'idea di musica come linguaggio rinvia ad una pluralità di accezioni,
relative anche alla stessa polivocità del termine «linguaggio» nell'uso attuale. L'idea che la
musica possa presentare caratteri analoghi a quelli del linguaggio inteso come lingua parlata
si trova già nell'antichità, in particolare in Platone e, tra i discepoli di Aristotele, in
Aristosseno e Adrasto, per poi essere ripresa e trasmessa al medioevo soprattutto da
Calcidio nel suo commento alla traduzione latina del Timeo (sec. IV d. C.). Così la
trattatistica musicale medievale mostra una quantità di termini riferibili alle grammatiche, in
particolare quelle di Donato (sec. IV d. C.) e Prisciano (secc. V-VI d. C.), che ebbero larga
diffusione, ed anche ai trattati di retorica (soprattutto la Rhetorica ad Haerennium, attribuita
a Cicerone). In epoca umanistica e rinascimentale, la riscoperta classica amplia la
disponibilità di testi sull'argomento (ad esempio l'Institutio di Quintiliano). Si ricordi anche
che le ipotesi sull'origine dei segni della notazione musicale rinviano al modello dei sistemi
di scrittura verbale. Accanto a questa idea di musica come linguaggio, si riscontra quella di
una musica come componente della Langue, come emerge ad esempio dal catalogo esiodeo
delle muse (sec. VI a. C.), dai vari studi sulla metrica (come il De musica di Agostino) e
sulla retorica - soprattutto nella parte riguardante l'actio (almeno a partire dal Gorgia e dalla
sofistica ateniese) o, ad un livello più generale, quando la retorica diviene "poetica" (come
nel Convivio dantesco). Di particolare rilevanza per la storia della musica, sono i dialoghi
delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo (1525), opera di grammatica e retorica
volgare che indugia non poco sul valore fonico e "armonico" della lingua. Nell'ambito della
tradizione retorica Quintiliano sostiene che questa consentirebbe all'oratore di suscitare
nell'ascoltatore stati emotivi come gioia, tristezza, odio, amore. Di retorica si occupano
anche Agostino, Boezio, Marziano Capella, Isidoro di Siviglia e Vincenzo Bellovacense.
Nel Rinascimento troviamo numerosi trattati, quali quelli del Listenius, G. Dressler, J.
Burmeister, ma è senz'altro in epoca barocca che la retorica assume proporzioni
straordinarie giungendo a permeare ogni aspetto della cultura, in particolare quella gesuitica.
In ambito musicale viene codificata la "teoria degli affetti" con la nascita di figure retoriche
musicali (Affektenlehre, Figurenlehre), con l'analisi degli effetti della musica sull'anima,
con la classificazione degli stili: tra i maggiori teorici, Mersenne, Descartes, Kircher
mettono in relazione tra loro musica, matematica, teologia, medicina, astrologia, metafisica
e prassi esecutiva. Nel XX secolo studiosi come Goldschmidt, Kretzshmar, Schering hanno
evidenziato nelle loro opere l'importanza della retorica per la teoria e l'estetica musicale. La
linguistica moderna tocca, in più di un caso, gli aspetti musicali della lingua trattando di
fonetica, prosodia, poetica, fino agli importanti collegamenti studiati da Fonágy nell'ambito
delle valenze psicologiche di tali fenomeni linguistico-musicali. Né è poi trascurabile la
valutazione della comunicazione sonora animale considerata come una forma di
"linguaggio" e, soprattutto laddove sia ravvisabile una certa elaborazione ritmica e/o
melodico-timbrica, di elementi riconducibili propriamente al "linguaggio musicale" (in
particolare nel canto degli uccelli). A questo proposito si veda la la recente bibliografia «
biomusicologica ». Questo tema si ricollega alla questione dell'origine della musica che,
secondo una tra le varie ipotesi antiche, venne agli uomini per imitazione del canto degli
uccelli (ad esempio nel teorico duecentesco Gill di Zamora), tema che rinvia a quello
dell'origine del linguaggio. Su ciò si vedano i filosofi dei secc. XVIII-XIX (Rousseau,
Herder e Jacob Grimm pongono in diretta relazione il canto con la nascita del linguaggio e
con i suoi aspetti prosodici) e le nuove prospettive fornite da vari contributi cognitivisti più
recenti. Il tema dell'origine del linguaggio e della musica compare nella prospettiva
filogenetica e in quella ontogenetica riferite allo sviluppo del bambino e le sue prime forme
di conoscenza e comunicazione, ad esempio negli studi di Imberty e Janov. Antica è la
concezione della musica come «linguaggio mistico», lingua degli angeli, lingua della
divinità, nelle religioni orientali, nel cristianesimo, nella mistica islamica, ecc.. In questo
ambito vanno ricondotti anche i vari discorsi agli uccelli (vedi la predica di San Francesco)
o gli esempi di uccelli messaggeri (la colomba/Spirito Santo di San Gregorio, ma anche la
tradizione ebraica della dettatura dei Libri sapienziali a Re Salomone). Anche la concezione
della musica come linguaggio analogico, simbolico e allegorico ha tradizione antica (si veda
ad esempio Rabano Mauro e Ildegarda di Bingen) e, a questo proposito, si dovranno altresì
tenere presenti gli studi novecenteschi di Leonard Meyer, Susan Langer ed altri autori. In
questo senso si dovranno considerare anche i riferimenti musicali alla complessione umana,
alla medicina, all'etica, all'astronomia/logia e al sapere in generale. Nell'unione tra simbolico
e mistico è fondamentale il ruolo dei linguaggi rituali, sacri, di cui la musica è spesso parte
ineliminabile. Infine, si consideri come il linguaggio appaia sempre più spesso nella forma
di « codice », tanto che gli elementi matematici della musica si presentano, a partire
dall'antichità ai giorni nostri, nell'aspetto più generalmente « matematico » ascritto alla
natura ed alla sua interpretazione, per arrivare infine alle formulazioni « informatico-
musicali » di tale prospettiva.
SPAZIO - La considerazione della dimensione spaziale della musica è legata in primo
luogo alle riflessioni sulla natura del suono, della sua produzione e della percezione uditiva
a partire dalla filosofia presocratica, da cui gradualmente si arriva alla trattazione "moderna"
dei fenomeni acustici (si veda Kircher su eco e risonanza) e agli studi sulla natura
ondulatoria del suono e sulle vibrazioni (Beeckmann, Descartes, Benedetti, G. Riccati,
Bacon); a queste prospettive si collegano anche le speculazioni fisico-matematiche sul
cosmo, con i concetti di musica mundana e "armonia delle sfere" (dal pitagorismo fino al
Medioevo di Boezio e oltre). Il problema della musica nello "spazio dell'ambiente umano" è
stato solitamente affrontato in modo empirico ma spesso ha assunto valenze culturali e
filosofiche di grande importanza; si pensi alla costruzione dell'Odeon di Damone di Oa, al
"coro" nelle chiese cristiane, all'architettura del teatro all'italiana, alle composizioni musicali
incentrate sul trattamento spaziale della musica – ad esempio l'uso del modello
architettonico nelle misure del mottetto Nuper rosarum di Dufay (sec. XV); oppure le opere
dell'architetto/compositore novecentesco Xenakis – o sul trattamento musicale dello spazio
– si pensi a Stockhausen ma anche alla musique d'ameublement –, alle collaborazioni tra
grandi architetti e compositori quali Varése, Nono o Berio; lo spazio dell'ambiente umano
può addirittura definire un'idea di musica o un genere, come per la musique de chambre e
per la Hausmusik. Nel secolo XX molto importanti sono gli studi sul «paesaggio sonoro»
svolti da Murray Schafer, uno studio dei suoni del mondo in chiave ecologica e fisica dove
lo spazio coincide con il suono medesimo: importante è inoltre la nozione di spazio come
«spazio diastematico» in G. Dorfles. Si tenga conto a questo proposito di come la musica
abbia potuto trasferirsi nello "spazio grafico" in virtù dell'introduzione della notazione
musicale (proprio la diastemazia, o la notazione in campo aperto, ne sono esempi eloquenti);
d'altra parte la terminologia correlata allo "spazio" ha sempre fornito un bagaglio di
metafore fondamentale per poter parlare di musica e suono: suoni alti o bassi, intervalli
come distanze tra suoni, l'idea di scala, le posizioni late o strette degli accordi. Si può
considerare inoltre come la musica abbia trovato un "luogo" anche nello "spazio figurativo",
non soltanto nel ricorso all'allegorismo o alla rappresentazione realistica quanto con
l'espressionismo – pensiamo a Kandinski o a Klee -, il futurismo e altre correnti
novecentesche. Da tenere presente la conferenza di Heidegger sull'arte e lo spazio, nonché il
concetto di Hohlraum in E. Bloch. Anche il collegamento tra musica e "spazio geografico" è
molto antico; si pensi alle denominazioni geografiche delle harmoniai greche - concetti di
portata non solo musicale – e soprattutto al ruolo della musica nella definizione e nella
costituzione degli "spazi" legati alle identità nazionali e religiose, questione che ha finito per
chiamare in causa filosofi, politici o letterati anche di spicco: se ne vedano ad esempio i
riflessi sui repertori liturgici locali nei riti cristiani medievali, sulla "contrapposizione" tra
musica francese e italiana nel secolo XIV, sulla Querelle des buffons settecentesca o infine
sui nazionalismi ottocenteschi e noventeschi.

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