Musica e poesia
Nella civiltà occidentale la musica si è sviluppata in simbiosi con la poesia,e gli
studiosi anche moderni si sono impegnati duramente a cercare le differenze tra il
linguaggio verbale e il linguaggio musicale. Tra musica e poesia vi è pertanto una
tensione generata forse proprio da questa affinità/diversità difficilmente definibile
ed afferrabile: oltre ad essere ambedue arti del tempo e non dello spazio,sono
anche arti che si fondano sull’articolazione del suono. Forse il fascino del canto e
della musica vocale in generale consiste proprio nel fatto che l’ascoltatore è
condotto al tempo stesso a partecipare a due linguaggi. Tutta la storia dell’occidente
potrebbe anche essere vista come una corsa alla ricerca di una propria
autonomia,acquistata faticosamente con il trionfo della musica strumentale in
epoca barocca.
Musica e matematica
Sin dai tempi di Pitagora la musica ha attirato l’attenzione dei matematici ed attorno
ad essa sono sempre fiorite idee matematiche:il suono è un fenomeno
fisicomisurabile con esattezza,in quanto un corpo vibrante emette, a seconda del
numero di vibrazioni al secondo,un suono di una determinata altezza. La scala
diatonica,in uso nella musica occidentale,è ordinata secondo sette suoni che stanno
fra loro in rapporti numerici semplici. Ovviamente, chi ritiene che la musica si fondi
su un complesso e rigido ordine matematico che il musicista non fa che scoprire e
che possegga una struttura essenzialmente razionale, rivendica l’indipendenza della
musica dalla poesia e da qualsiasi altro linguaggio artistico. Il linguaggio della poesia
è infatti del tutto eterogeneo nei suoi valori emotivi,rispetto all’arte dei suoni che
incarna un ben più alto ordine razionale dell’universo.
Musica e significato
Un altro tema ricorrente nella storia del pensiero musicale è la riflessione sul
“significato” stesso della musica. Due tesi si affrontano e si contrappongono: da una
parte i sostenitori di una concezione etica, secondo cui la musica influisca sui nostri
sentimenti; dall’altra i sostenitori di una concezione più edonistica della
musica,secondo i quali l’arte dei suoni tenderebbe innanzitutto a produrre un
piacere sensibile il cui fine si esaurisce in se stesso. Ovviamente tutto è collegato al
problema più vasto della relazione musica-poesia,chi ritiene che la musica non sia
un linguaggio,chi invece ritiene che sia in simbiosi con la poesia e che anzi, ne
potenzi i poteri semantici.
Musica e affetti
Che ci sia una stretta relazione tra musica e affetti,è già assodato. A partire dal 700 si
è affermato genericamente che la musica è imitazione o espressione dei sentimenti
e delle emozioni, e si è voluto con ciò sostenere che la musica abbia un rapporto
privilegiato con il nostro mondo emotivo piuttosto che con la ragione e i concetti;
affermazione importante per la futura estetica musicale. Ciò che distingue
radicalmente la musica dal linguaggio verbale è proprio il suo particolare rapporto
con il mondo degli affetti. Nella musica la frase musicale “assomiglia”, ha una
relazione con l’affetto che denota o che esprime; potremmo affermare che ci sia una
sorta di “isomorfismo” tra l’espressione musicale e gli affetti. L’elemento musicale
può quindi non soltanto aumentare considerevolmente l’efficacia del discorso
verbale , ma a volte può addirittura contraddirlo o vanificarlo. Così anche quando il
linguaggio dei suoni si rende autonomo, conserverà sempre un rapporto anche se
“polisemico” con il mondo delle emozioni e degli affetti.
Musica e passioni
E’ vero che sin dall’antichità più remota si è sempre affermato che esiste una
qualche relazione tra musica e passioni,anche se i filosofi, a comiciare da
Platone,l’hanno sempre condannata proprio per questo motivo, perché sembrava
che in virtù di questa relazione non fosse educativa, per i giovani che dovevano
tenersi lontani dalle passioni. La riflessione sulla relazione musica-passione è
diventata centrale nel pensiero musicale solamente a partire dal Rinascimento,e dal
secolo XVII si è sviluppata una corrente di pensiero incentrata proprio su questo
rapporto. Si è quindi inevitabilmente portati a parlare di melodramma, che più che
un genere è considerato un nuovo modello di musica, che rivoluzionò il mondo
occidentale, ed i cui è palese la relazione musica-passioni (ovviamente riguarda
anche la musica strumentale). La differenza presente tra il madrigale e l’opera per
esempio, è che nel primo le passioni e le emozioni sono statiche ed i quadri privi di
movimento,nella seconda invece le emozioni sono imitate nel loro sorgere, nelle
loro trasformazioni. La rivoluzione riguarda quindi soprattutto le modalità con cui si
cerca di presentare le passioni e la grande novità consiste nel trasmettere le passioni
in movimento: “MUOVERE GLI AFFETTI”. Non per nulla i primi melodrammi hanno
come soggetto la vicenda ispirata alla mitologia classica di Orfeo ed Euridice,come
celebrazione del potere della musica sull’animo umano. C’è una tendenza alla
teatralizzazione della musica,che si fa da teatro e che diventa l’elemento portante
dell’azione teatrale.
CAPITOLO 3
Intepretazione e improvvisazione
Una conferma di questa natura ambigua della musica,sempre in bilico tra tradizione
e rivoluzione,può essere data da alcuni fenomeni caratteristici della sua vita,primo
fra tutti quello dell’interpretazione: è noto che tutte le arti cosiddette temporali
necessitano dell’interpretazione per poter rivivere oltre il momento della loro
creazione. L’interprete,il direttore d’orchestra o l’esecutore,contende a volte allo
stesso compositore il vanto della creatività,essendo una figura di grande rilievo
artistico dotata di autonomia. Com’è noto,l’interprete ha si il compito di “leggere” la
partitura,sia di ricreare con la propria personalità ciò che esiste nelle pieghe della
partitura. Molti filosofi e musicologi nel nostro secolo hanno evidenziato come
nell’atto dell’interpretazione si celi la natura stessa della musica,che è
essenzialmente improvvisazione. Nell’improvvisazione si rende evidente
quell’aspetto della creatività come impulso immediato; le pause, le
riflessioni,vengono fatte proprie dall’interprete che le vive “fisicamente” in prima
persona e le rende udibili e palpabili attraverso l’esercizio concreto della sua arte.
Il mondo antico
Platone
In Platone è massimamente espresso il contrasto fra la musica pensata e quella
eseguita; in base a questo dissidio, in Platone vediamo coesistere considerazioni di
segno opposto.
• Musica humana: da un lato egli attribuisce alla musica solo l’effetto di produrre
piacere, discostandosi dalla visione etica pitagorica. Essendo finalizzata alle bassezze
del piacere, la musica è techne, cioè arte e non scienza, pertanto è sospetta, ma
tollerata solo nel caso in cui il piacere prodotto non agisca in senso contrario ai
principi dell’educazione. In prospettiva dell’educazione, la musica è un mezzo e non
un fine. Per Platone le buone musiche sono quelle consacrata dalla tradizione,
mentre le cattive musiche sono quelle del suo tempo, finalizzate solo al puro diletto.
• Musica mundana: in questo caso, la musica essendo oggetto della ragione ed in
quanto scienza, si avvicina alla filosofia fino a diventare filosofia essa stessa. In tale
concezione di musica inudibile e cosmica il concetto di armonia è centrale, perché
l’armonia della musica rispecchia quella dell’universo, inoltre diventa uno strumento
di conoscenza, simbolo e specchio dell’ordine divino. Con Platone, la frattura fra
musica pensata e suonata prenderà sempre più corpo.
Aristotele
Aristotele riprende i caratteri del pensiero musicale pitagorico e platonico, ma li
rivista alla luce del pensiero edonistico epicureo, tanto che con Aristotele il ruolo del
piacere della musica verrà accolto ed inserito in una proto-estetica. Avendo come
fine il piacere, Aristotele sostiene che la musica possa avere un suo spazio
nell’educazione, ma solo per il riposo dalle attività realmente edificanti ed
impegnative. In tal guisa, la musica diviene un modo di occupare i periodi di ozio, ma
con un’importante specificazione: la divisione fra musica ascoltata e musica
eseguita. La prima era consona anche agli uomini liberi, siccome l’ascolto non
impegna la manualità, mentre la seconda si addice solo agli uomini di grado più
basso, siccome per suonare uno strumento occorre esercitare un’attività manuale.
Tutto il pensiero musicale aristotelico s’impernia su questa differenza e ne viene
fatta menzione nel VIII libro della Politica. Aristotele prende spunto sia dalla teoria
pitagorica, secondo cui la musica è in relazione diretta con l’anima perché essa viene
armonizzata dalla musica, che dalla teoria di Damone, secondo cui il rapporto fra
musica ed anima va visto in un’ottica di imitazione: la musica suscita sia sentimenti
negativi che positivi, ponendosi in rapporto imitativo con essi. Nell’ambito di questi
sentimenti, l’artista può scegliere quelli che desidera; in ogni caso, il rapporto fra
sentimento e musica deve essere di natura omeopatica. Sempre nella Politica,
Aristotele afferma che musica vada praticata per usi molteplici, di cui non solo il
riposo o la catarsi, ma anche l’educazione; la sua mancanza di censura, per la prima
volta pone la musica in termini estetici, in cui il piacere viene accettato ed è più
svincolati da propositi moralistici.
Nei due libri pervenutici, Elementi di armonia ed Elementi di ritmica, Aristosseno per
la prima volta scinde l’esperienza musicale dalla filosofia, mettendo in primo piano
la percezione uditiva, rendendo indipendenti udito ed intelletto. Grazie a lui
l’interesse si affranca dal piano intellettuale per abbracciare quello sensibile, inoltre
egli insiste sulla reazione psicologica del singolo individuo, ritenendo che il legame
fra modo musicale (dorico ecc) ed ethos non fosse intrinseco nella musica, ma bensì
condizionato dalla storia; pertanto, come diceva il suo Maestro Aristotele, tutti i
modi hanno dignità di esistere. Aristosseno vedeva nei modi non solo il rapporto con
l’ethos, ma la loro bellezza oggettiva, in quanto belli strutturalmente.
La nuova razionalità
I teorici dell’armonia e la scoperta degli affetti
L’esigenza di una più precisa corrispondenza fra parola e musica e di una maggiore
comprensibilità delle parole è un fenomeno molto presente dalla fine del 500’;
difatti la maggiore congruenza fra parole e musica andava nella direzione del
muovere meglio gli affetti. Zarlino sarà promotore di una razionalizzazione del
linguaggio musicale volto ad eliminare contraddizioni fra il testo e gli accordi. La
Camerata de’ Bardi è la fucina in cui questa istanza verrà sviluppata. L’aspirazione
umanistica ad un recupero del senso della misura dell’antica Grecia iniziò a
polemizzare sul contrappunto, visto come astruseria che rendeva difficile l’uso
proprio e comprensibile della parola. La chiesa cattolica col Concilio di Trento
interpretò questa polemica, mentre nel mondo teorico speculativo, Vincenzo Galilei
si fece promotore di un attacco alla polifonia in favore della monodia, vista come più
naturale anche in virtù del fatto di esser stata utilizzata dai greci. Inoltre la polifonia
indeboliva la teoria degli affetti, siccome se ad ogni intervallo o modo corrispondeva
un affetto, le tecniche polifoniche, come i moti contrari ecc. non erano inquadrabili
in questa corrispondenza di affetti. Corrisposto a Galilei c’è Giovanni Artusi, di segno
opposto, il quale rifiutava un’influenza eteronoma sulla musica rivendicando
l’autonomia della musica, difendendo la polifonia, mettendosi in polemica con
Monteverdi, che invece operava nella direzione estetica della Camerata de’ Bardi. La
tendenza nel preferire l’autonomia della musica rispetto all’eteronomia si sviluppa
più nel mondo protestante-luterano che in quello cattolico. Più avanti Leibniz si
schiererà a favore dell’autonomia della musica, convinto che la musica possegga una
salda struttura matematica e che tale struttura si manifesti nella percezione uditiva,
scavalcando la razionalità. Rameau approfondirà l’armonia sul principio
dell’autosufficienza della musica, mentre Bach la porterà a livelli divini.
La teoria degli affetti e le polemiche sul melodramma
Tale teoria prende il nome di Affektenlehre, per la quale ci fosse una diretta
corrispondenza fra scelte musicali e gli stati emotivi; durante tutto il 600’ e fino al
700 tale teoria sarà così celebrata che si eleva ad una nuova retorica. Mursugia
Universalis di Kircher è un trattato in cui egli sostiene come vi siano in realtà un
varietà di composizioni uguale alla varietà di temperamenti dei compositori. La
teoria degli affetti trova origine nella sensibilità melodrammatica.
L’illuminismo e la musica
L’Affektenlehre sarà ripresa nel 700’ specie nel mondo tedesco, in cui la musica
strumentale è più rigogliosache in Italia e Francia, e la corrispondenza fra figura
musicale ed affetto sarà meglio determinata, più retorica.Nel Settecento si
svilupperà una polemica fra la nuova generazione di melodisti, vicini ad una musica
piùconnessa ai sentimenti, e gli antichi contrappuntisti dei quali Bach era il capofila,
esponenti di una visione più razionalistica della musica. La teoria degli affetti dunque
sarà l’asse portante della nuova concezione della musica come linguaggio dei
sentimenti, distante dal trionfo della polifonia. Charles Avison sta dallaparte della
concezione sentimentalistica.
Le ragioni della musica e le ragioni della poesia
Sempre nel corso del Settecento si acuisce il dibattito fra il rapporto musica e testo,
ed in particolare i limiti di convivenza dei due linguaggi, e l’eventuale subordinazione
di uno dei due. Il melodramma diviene ilterreno di scontro su cui s’innesta il
dibattito che vede nell’Opera un genere privo di contenuto morale e lontano dalla
ragione. Il razionalismo cartesiano, dilagante specie in Francia, fa sentire le proprie
reprimendenei confronti del genere dell’opera, soprattutto quella italiana, in cui
c’era poca coerenza letteraria e la musica si mostrava troppo disinteressata a fini
morali ed educativi. L’abate Raguenet metterà in luce ledifferenze fra l’opera
francese ed italiana,constatando una maggiore musicalità in quella italiana,
mentreLecerf si schiererà dalla parte della tradizione razionalistica di cui Lully è il
principale esponente operista. Il dibattito dunque diviene fra orecchio e ragione,
sentimento ed intelletto; tuttavia le ragioni dell’orecchio troveranno valide
argomentazioni solo nel secondo Settecento. La Francia sarà la terra eletta di queste
dispute.
Dalla ragione all’arte e dall’arte alla ragione
Rameau, antagonista di Lully, aveva l’ambizione di entrare nel mondo dotto che
aveva escluso la musica da secoli, e a tal proposito ribadì la concezione di musica
come di linguaggio scientifico, analizzabile con laragione. Il suo trattato di armonia
del 1722 procede in questa direzione, e vede nel fenomeno degli armonicisuperiori il
marcatore scientifico di tutta la musica, siccome essi danno la triade maggiore, e
quest’ultimacostruita sui I, IV e I dà la tonalità maggiore. Pertanto, il piacere
nell’ascoltare la musica sarebbe analizzabile razionalmente e giustificabile in
accordo con una naturalezza oggettiva della musica stessa. Il parametro privilegiato
è dunque l’armonia, specchio di leggi di natura e primum ideale da cui derivano
tutti gli altriparametri, mentre la melodia è gestita dal gusto.
Wagner riprende il pensiero di Rousseau di unione fra poesia e musica per elaborare
il concetto di opera d’arte totale,Gesamtkunstwerk, ovvero il dramma, in cui tutte le
arti s’incontrano; per Wagner il dramma è l’unica vera arte e bisogna tornare in
quello stato primigenio in cui poeta e musicista sono una cosa sola.Nietzsche
concepirà la musica come arte eletta, origine di tutte le arti, e più che di musica
forse bisognerebbeparlare di spirito musicale. Mentre Wagner privilegia il dramma,
Nietzsche privilegia la musica strumentalenella sua autonomia. Egli ritiene che la
musica sia dionisiaca, e che preceda e domini l’apollineo.
Gisèle Brelet centrerà il suo pensiero estetico sul concetto di tempo musicale,
vedendo l’atto creativo come perenne dialogo tra la materia e la forma, e la forma
temporale della musica come intima rispondenza conla temporalità della coscienza.
Più tardi Brelet vedrà nella forma non più la temporalità della coscienza, bensì come
espressione del vissuto: la musica trova la sua struttura definitiva nell’attualità del
tempo vissuto. Jankèlèvitch fonda il suo pensiero sull’analisi del tempo e della forma
come profondità del vissuto. Boris de Schloezer è tra i primi studiosi ad affrontare la
questione della musica come struttura linguistica, agita dasimboli ripiegati su se
stessi, in un sistema multiplo di relazione sonore. Per de Schloezer il tempo
dellamusica è atemporale, perché venendo organizzato compositivamente in base a
visioni strutturali sofisticate,è come se non si facesse più tempo ma si trascendesse,
diventando tempo irrigidito in un’unità sincronica. Questa concezione della musica
come tempo irrigidito è comune a tutte le visioni della musica comestruttura. Levi-
Strauss ha una visione di tipo strutturalista, simile a de Schloezer, e sostiene che
l’ascolto di musica ben strutturata ci fa accedere ad una specie di immortalità.
Musica e linguaggio
Suzanne Langer ritiene che la musica sia un linguaggio emblematico perché esprime
i sentimenti ma inmaniera simbolica , sui generis, di modo che il significato non sia
convenzionalmente fissato ed esatto. La sua caratteristica è l’espressività ma non
l’espressione. Nella musica, secondo Langer, i sentimenti hanno una loro
presentazione simbolica che si attiene a leggi esclusivamente musicali. Leonard
Meyer invece rivolge la sua attenzione maggiormente alla psicologia dell’ascolto,
ritenendo che il significato della musica nasca dalprodotto di un’attesa, basata su di
una tensione e una soluzione. Tuttavia questo meccanismo è vincolatoallo stile,
difatti le stesse scelte compositive risultano diverse di stile in stile. L’idea di Meyer
naturalmente ha a che fare col sistema tonale.
Il pensiero musicale di fronte alla rivoluzione linguistica
L’analisi musicale