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ESTETICA

Quali confini per l’estetica musicale?


La stessa estetica nasce come disciplina filosofica autonoma solamente alla fine
del 700 e l’estetica della musica si sviluppa come ulteriore specificazione
dell’estetica non prima dell’800 con il famoso saggio di Hanslick “il bello musicale”
(1854). Si sarebbe tentati di concludere,come fece Benedetto Croce, che l’estetica in
quanto autonoma riflessione sull’arte sia una disciplina recente,e tanto più l’estetica
musicale,in quanto suo sottosettore. Oltre 20 secoli di riflessione sulla musica
sarebbero così cancellati.
Se invece l’estetica musicale viene definita seguendo criteri più empirici e si indica
quindi come facente parte della disciplina qualsiasi riflessione sulla musica,sulla sua
natura,allora il 700 ci apparirà semplicemente come una delle tante svolte nella
riflessione dell’arte e della musica,a partire dalla Grecia antica.

La musica e le altre arti


La riflessione sulla musica più che confini sfumati ha confini assai più ampi delle
parallele riflessioni sulle altre arti. Sostenere che la musica è un’arte particolare con
caratteri propri che la rendono diversa dalle altre arti,già significa affermare
qualcosa di impegnativo ( posizioni per un crociano ad esempio,assurde). Quando
Schumann all’inizio dell’ 800 formulò per bocca di Florestano ( suo personaggio
immaginario) il famoso aforisma: “l’estetica di un’arte è uguale a quella delle
altre;soltanto il materiale è diverso”, creò scompiglio. Alle sue spalle vi era una
cultura che per secoli aveva considerato la musica come una forma di espressione “a
parte” ed inferiore rispetto alle altre arti. Si può così comprendere il senso della
presa di posizione di Schumann e di altri romantici volti a “recuperare” la musica nel
regno dell’arte, per porla in una posizione di privilegio.

La storia della musica: una storia separata


La storia della musica è stata sino al XIX secolo di fatto e di diritto una storia
separata rispetto a quella delle altre arti. Sin dai tempi dell’antica Grecia la musica è
sempre stata considerata per diversi motivi un’arte dotata di scarso o nullo potere
educativo rispetto alla poesia,alla pittura o all’architettura,probabilmente proprio
perché era più difficile ed ostica da comprendere. Già nel 700 le arti erano state
distinte in arti del tempo ed in arti dello spazio,e senza dubbio la musica è tra le
prime. Tra le arti del tempo però,la musica occupa un posto a sé. Il compositore
anzitutto, deve possedere un grado di competenza e di specializzazione più alta
rispetto ad un letterato; l’interprete, che deve essere altrettanto preparato per il
delicatissimo compito che deve svolgere ,ovvero di far vivere e comunicare
l’esperienza musicale al pubblico; l’ascoltatore, su cui avrà un impatto emotivo.
Pertanto,l’elemento che ha maggiormente influito nel mantenere la musica
separata dalle altre arti è l’alto grado di specializzazione tecnica che essa richiede sia
al musicista compositore,sia al musicista interprete. Ed è stata proprio questa
specificità del mestiere di musicista a separarla dalle altre arti, e fino al XVIII secolo
nessuno ha mai contestato questa “diversità”. L’idea di Schumann secondo cui
l’estetica della musica sarebbe uguale alle altre arti è stata quindi rivoluzionaria. La
specializzazione a cui è condannata l’espressione musicale è stata spesso la causa
del suo declassamento a “mestiere”.

La musica, prisma dalle mille facce


Ogni epoca ha fatto corrispondere alla parola “musica” realtà assai diverse; infatti
come si è visto,non è una disciplina definibile in termini rigorosi: essa è piuttosto un
intreccio di riflessioni interdisciplinari di cui l’aspetto filosofico è solo una delle
componenti. E’ ovviamente indubbio che se la musica ha attratto categorie diverse
di pensatori significa che è una realtà multiforme,come un prisma dalle molteplici
sfaccettature, che può essere vista da molte diverse angolature. Se si tiene presente
questa natura complessa del fenomeno musicale e di conseguenza la pluralità di
competenze ed interessi che ha suscitato, non c’è da meravigliarsi se la ricostruzione
del pensiero musicale attraverso i secoli appare complicata. L’ESTETICA DELLA
MUSICA, cioè lo studio prevalentemente estetico della musica, riguarda un periodo
molto circoscritto del pensiero musicale,praticamente questi ultimi due secoli,epoca
in cui il valore estetico è diventato un valore autonomo.

Quali fonti per una storia dell’estetica musicale?


Ogni epoca ha i suoi testi, in cui il pensiero musicale è magari elettivamente
espresso e che non riguardano la musica in prima istanza,come in Platone ed
Aristotele per esempio, nei loro scritti politici “Repubblica” e “Politica”. Nel
Medioevo la situazione muta radicalmente,dal momento in cui la musica acquista
una rilevanza quasi esculsivamente religiosa. E,dal momento che la musica si
configurava essenzialmente come musica vocale,cioè come intonazione di un brano
liturgico,i testi di grammatica,di retorica,di metrica vengono a costituire fonti di
primaria importanza per ricostruire il pensiero medievale sulla musica. Infine,molto
importanti sono i documenti riguardanti il gusto del pubblico di una determinata
epoca,lo stile predominante e ancor più le modalità di esecuzione.
CAPITOLO 2
L’OCCIDENTE CRISTIANO E L’IDEA DI MUSICA

La dimensione estetica della musica


Questo breve studio,tratta soltanto il pensiero musicale occidentale; le civiltà
extraeuropee hanno un concetto del tutto diverso della musica,sono lontane dal
nostro sistema diatonico ed hanno sistemi di scrittura e di trasmissioni del tutto
diversi. La progressiva conquista da parte della musica di uno status
prevalentemente estetico è una vicenda propriamente occidentale e cristiana (il
cristianesimo giocherà un ruolo di primaria importanza). Non vi è una musica in
abstracto,ma tante musiche nella storia e tante idee di musica nelle varie civiltà.

Musica e poesia
Nella civiltà occidentale la musica si è sviluppata in simbiosi con la poesia,e gli
studiosi anche moderni si sono impegnati duramente a cercare le differenze tra il
linguaggio verbale e il linguaggio musicale. Tra musica e poesia vi è pertanto una
tensione generata forse proprio da questa affinità/diversità difficilmente definibile
ed afferrabile: oltre ad essere ambedue arti del tempo e non dello spazio,sono
anche arti che si fondano sull’articolazione del suono. Forse il fascino del canto e
della musica vocale in generale consiste proprio nel fatto che l’ascoltatore è
condotto al tempo stesso a partecipare a due linguaggi. Tutta la storia dell’occidente
potrebbe anche essere vista come una corsa alla ricerca di una propria
autonomia,acquistata faticosamente con il trionfo della musica strumentale in
epoca barocca.

Musica e matematica
Sin dai tempi di Pitagora la musica ha attirato l’attenzione dei matematici ed attorno
ad essa sono sempre fiorite idee matematiche:il suono è un fenomeno
fisicomisurabile con esattezza,in quanto un corpo vibrante emette, a seconda del
numero di vibrazioni al secondo,un suono di una determinata altezza. La scala
diatonica,in uso nella musica occidentale,è ordinata secondo sette suoni che stanno
fra loro in rapporti numerici semplici. Ovviamente, chi ritiene che la musica si fondi
su un complesso e rigido ordine matematico che il musicista non fa che scoprire e
che possegga una struttura essenzialmente razionale, rivendica l’indipendenza della
musica dalla poesia e da qualsiasi altro linguaggio artistico. Il linguaggio della poesia
è infatti del tutto eterogeneo nei suoi valori emotivi,rispetto all’arte dei suoni che
incarna un ben più alto ordine razionale dell’universo.

Musica e significato
Un altro tema ricorrente nella storia del pensiero musicale è la riflessione sul
“significato” stesso della musica. Due tesi si affrontano e si contrappongono: da una
parte i sostenitori di una concezione etica, secondo cui la musica influisca sui nostri
sentimenti; dall’altra i sostenitori di una concezione più edonistica della
musica,secondo i quali l’arte dei suoni tenderebbe innanzitutto a produrre un
piacere sensibile il cui fine si esaurisce in se stesso. Ovviamente tutto è collegato al
problema più vasto della relazione musica-poesia,chi ritiene che la musica non sia
un linguaggio,chi invece ritiene che sia in simbiosi con la poesia e che anzi, ne
potenzi i poteri semantici.

Musica e affetti
Che ci sia una stretta relazione tra musica e affetti,è già assodato. A partire dal 700 si
è affermato genericamente che la musica è imitazione o espressione dei sentimenti
e delle emozioni, e si è voluto con ciò sostenere che la musica abbia un rapporto
privilegiato con il nostro mondo emotivo piuttosto che con la ragione e i concetti;
affermazione importante per la futura estetica musicale. Ciò che distingue
radicalmente la musica dal linguaggio verbale è proprio il suo particolare rapporto
con il mondo degli affetti. Nella musica la frase musicale “assomiglia”, ha una
relazione con l’affetto che denota o che esprime; potremmo affermare che ci sia una
sorta di “isomorfismo” tra l’espressione musicale e gli affetti. L’elemento musicale
può quindi non soltanto aumentare considerevolmente l’efficacia del discorso
verbale , ma a volte può addirittura contraddirlo o vanificarlo. Così anche quando il
linguaggio dei suoni si rende autonomo, conserverà sempre un rapporto anche se
“polisemico” con il mondo delle emozioni e degli affetti.

Musica e passioni
E’ vero che sin dall’antichità più remota si è sempre affermato che esiste una
qualche relazione tra musica e passioni,anche se i filosofi, a comiciare da
Platone,l’hanno sempre condannata proprio per questo motivo, perché sembrava
che in virtù di questa relazione non fosse educativa, per i giovani che dovevano
tenersi lontani dalle passioni. La riflessione sulla relazione musica-passione è
diventata centrale nel pensiero musicale solamente a partire dal Rinascimento,e dal
secolo XVII si è sviluppata una corrente di pensiero incentrata proprio su questo
rapporto. Si è quindi inevitabilmente portati a parlare di melodramma, che più che
un genere è considerato un nuovo modello di musica, che rivoluzionò il mondo
occidentale, ed i cui è palese la relazione musica-passioni (ovviamente riguarda
anche la musica strumentale). La differenza presente tra il madrigale e l’opera per
esempio, è che nel primo le passioni e le emozioni sono statiche ed i quadri privi di
movimento,nella seconda invece le emozioni sono imitate nel loro sorgere, nelle
loro trasformazioni. La rivoluzione riguarda quindi soprattutto le modalità con cui si
cerca di presentare le passioni e la grande novità consiste nel trasmettere le passioni
in movimento: “MUOVERE GLI AFFETTI”. Non per nulla i primi melodrammi hanno
come soggetto la vicenda ispirata alla mitologia classica di Orfeo ed Euridice,come
celebrazione del potere della musica sull’animo umano. C’è una tendenza alla
teatralizzazione della musica,che si fa da teatro e che diventa l’elemento portante
dell’azione teatrale.
CAPITOLO 3

Storia della musica e metafisica della musica


Uno dei caratteri della nostra civiltà occidentale è l’elaborazione di una ben precisa
coscienza storica che si basa sul ricordo del proprio passato,sull’ergere a modello
momenti particolari della propria storia. Tutto ciò non è avvenuto per la musica, che
ha avuto una storia a parte rispetto alle altre arti,o meglio ancora, non l’ha avuto
sino a tempi molto recenti. Le numerose “querelles” di cui è assai ricca la storia della
musica sin dai tempi di Platone,sono sempre dispute tra stili diversi,ma
contemporanei o al massimo tra due generazioni; mai è stato preso come modello
uno stile del passato. La causa dell’assenza di una coscienza storica, è la vita
effimera che ha avuto la musica, sempre legata all’esecuzione,all’interpretazione e
quindi all’attimo,seppur intenso e vitale, che la fa provvisoriamente vivere,ma subito
dopo svanire. La notazione può supplire fino ad un certo punto a questo
“inconveniente”,ma il solo fatto che sia stata perfezionata solo in tempi
recenti,significa che non c’erano stimoli sufficienti a spingere i musicisti a
preoccuparsi del problema della posteriorità.

Marginalità storica della musica


La musica,praticamente sino all’età Barocca,ha sempre avuto una funzione artistica
marginale,o meglio,la sua esistenza è sempre stata vista in funzione di altri fini: per
accompagnare la poesia,cioè per enfatizzare la parola,come complemento della
funzione liturgica ecc. Da Pitagora sino ai nostri giorni,la musica ha incontrato uno
strano destino nella storia della cultura occidentale: da una parte emarginata e
considerata arte minore priva di implicazioni intellettuali,dall’altra rivalutata sino ai
più alti gradi nei suoi aspetti non udibili e non tangibili,cioè come pura astrazione.
Ma quest’ultima accezione di musica non rappresenta quella suonata ed eseguita
dai musicisti; essa è in altre parole la filosofia della musica (trattato “de musica” di
Plutarco).
Marginalità sociale del musicista
La marginalità storica della musica e soprattutto dell’esecuzione musicale trova un
puntuale riscontro nella marginalità sociale del musicista e dell’esecutore. Nel
Medioevo Guido d’Arezzo,invitava a considerare il musico pratico come “bestia”,e
sino al tardo Rinascimento il musicista non godeva di una considerazione molto più
alta e comunque non avvicinabile ai suoi colleghi architetti o pittori. Soltanto nel
XVIII secolo con Mozart e Haydn ci sono state le prime ribellioni all’umiliante
condizione di servitori nei palazzi nobiliari.

Musica “humana” e musica “mundana”


Una delle più antiche e tipiche teorie filosofiche è la bipartizione in musica
“mundana” e musica “humana”,cioè musica dei mondi e delle sfere celesti e musica
umana e degli strumenti: la prima ovviamente inudibile ed inafferabile,al più
pensabile dal filosofo e la seconda udibile ma irrilevante, ed in fondo disprezzabile in
quanto frutto di un lavoro servile. Questa famosa bipartizione,sopravvissuta sino
all’Illuminismo, ha contribuito al mantenimento della musica “humana” in questa
situazione di inferiorità; la musica procedeva per due canali distinti,quello teorico e
quello pratico,senza comunicare tra loro. I due piani si sono faticosamente
ricongiunti solo nel 700,quando la musica è lentamente uscita dal suo secolare
isolamento e la musica “mundana” si è come dissolta al vento della modernità.

Musica e cultura: tradizione culturale e tradizione colta


La musica,pur all’interno di una sua tradizione,di un suo mondo di suoni,ha saputo
travasare e trasporre con una dinamica molto maggiore i valori,gli stili e gli stilemi, le
proprie invenzioni dal mondo della musica dotta a quello della musica popolare e
viceversa,dalla tradizione orale a quella accademica. Antichissimi stilemi continuano
a vivere e ritrovano continuamente nuova e fresca vita,e ciò avviene non solo nei
canti popolari in cui la distanza di dieci e più secoli viene annullata come per
incanto; i modi gregoriani per esempio sono sopravvissuti per un processo di
rivalutazione storica,così stilemi popolari di altri paesi o di altri tempi,dall’Oriente e
dall’Estremo Oriente, hanno trovato vita nuova in tutt’altri contesti storici. La musica
si comunica,si spande,si tramanda,si trasmette da un popolo all’altro,travalicando
spesso barriere,confini politici,geografici e linguistici,con una dinamicità ed un’agilità
sconosciuta alle altre arti.

Per un diverso modello di storicità


Non per questo si deve concludere che la musica sia un eterno presente,in cui tutto
è concesso. Si tratta piuttosto di riconoscere che la musica mette in atto un diverso
modello di storicità e, di conseguenza,un diverso modello di memoria storica. La
musica ha offerto un modello inedito di come si può vivere e tramandare la storia,la
propria storia,al di fuori dei canali aulici ed accademici;modello né migliore e né
peggiore di quello umanistico e storicistico. La musica dunque non manca di
storia,né di coscienza storica; si può forse concludere che abbia una SUA storicità
che deriva da un diverso modo di vivere la propria storia e d’inserirsi in essa.

La teoria della ricezione


In tempi recenti si è posta maggior attenzione ai fenomeni connessi con la ricezione
della musica: la musica ha sempre un “destinatario”. La storia della ricezione,ad
esempio,può portare ad una riformulazione della storia della musica sotto
angolature assai nuove e promettenti; ovviamente l’accento viene a cadere in
questo caso più sul momento dell’interpretazione,dell’esecuzione e delle modalità
di ascolto che sul momento della produzione e sulla consistenza dell’opera d’arte al
momento della sua creazione. L’opera musicale è proiettata nel futuro e nella storia
in cui vive la sua vera vita,offrendosi all’interprete -sia esso l’esecutore che
l’ascoltatore- e dispiegando la sua vita proprio nella molteplicità delle
interpretazioni possibili. In questo campo,le osservazioni teoriche di Carl Dahlhaus
sono assai pertinenti,egli nota che: “la vistosa svolta –talora anche programmatico-
polemica- ,dell’interesse storiografico verso la storia della ricezione,si può intendere
come espressione e conseguenza della crisi in cui è caduto negli ultimi anni il
concetto dell’opera in sé chiusa,autonoma”.
CAPITOLO 4

Istinto e ragione nella musica


La musica,com’è stato più volte osservato sin dai tempi più antichi,più di ogni altra
forma di arte fa appello a quegli aspetti istintuali ed alogici della natura umana; e ciò
sembra essere in contrasto con un altro carattere della musica,e cioè con la sua
profonda razionalità. Molti studiosi hanno concluso però che il suono,il suo svolgersi
nel tempo secondo ritmi che non hanno nulla della regolarità dell’orologio,ha
piuttosto un’affinità con i nostri ritmi interiori,con il nostro modo di sperimentare il
fluire del tempo. La sua dimensione storica e razionale non contrasta con la sua
dimensione “naturale”: i due aspetti riescono a convivere e fanno si che l’arte dei
suoni abbia questo impatto più immediato sull’uomo,un richiamo alla nostra natura
più fisica. Forse si può immaginare una complicità originaria tra la natura temporale
del suono e l’interiorità dell’uomo in quanto natura prelogica;ipotesi più volte
avanzata da molti filosofi come Hegel e Schopenhauer,sino a pensatori più vicini a
noi quali Bergson. Anche Diderot, quando parlava di “cri animal” a proposito della
musica non diceva nulla di diverso.

Intepretazione e improvvisazione
Una conferma di questa natura ambigua della musica,sempre in bilico tra tradizione
e rivoluzione,può essere data da alcuni fenomeni caratteristici della sua vita,primo
fra tutti quello dell’interpretazione: è noto che tutte le arti cosiddette temporali
necessitano dell’interpretazione per poter rivivere oltre il momento della loro
creazione. L’interprete,il direttore d’orchestra o l’esecutore,contende a volte allo
stesso compositore il vanto della creatività,essendo una figura di grande rilievo
artistico dotata di autonomia. Com’è noto,l’interprete ha si il compito di “leggere” la
partitura,sia di ricreare con la propria personalità ciò che esiste nelle pieghe della
partitura. Molti filosofi e musicologi nel nostro secolo hanno evidenziato come
nell’atto dell’interpretazione si celi la natura stessa della musica,che è
essenzialmente improvvisazione. Nell’improvvisazione si rende evidente
quell’aspetto della creatività come impulso immediato; le pause, le
riflessioni,vengono fatte proprie dall’interprete che le vive “fisicamente” in prima
persona e le rende udibili e palpabili attraverso l’esercizio concreto della sua arte.

Ritorno alla natura


“Natura” che si oppone a “storia”: ciò che è naturale non ha rapporti con la storia,
sta prima ed esiste indipendentemente. “Ritorno alla natura” è un appello che ha
sempre risuonato nel corso della storia della musica e tale appello ha assunto un
significato sia conservatore come richiamo ad una tradizione talmente consolidata
da assumere i caratteri di ciò che è naturale,sia un significato rivoluzionario,come
incitamento a liberarsi dalle convenzioni sociali,per ritrovare quell’autenticità che
solo la natura possiede. Ma natura,va ancora precisato,può riferirsi sia alla natura
del linguaggio musicale,inteso come un oggetto la cui esistenza è indipendente dal
musicista creatore,sia al fruitore,alla sua psicologia percettiva,la quale è dotata di
possibilità ben circoscritte. Forse i linguaggi artistici,e la musica in modo
esemplare,nascono per l’appunto da questa stretta interazione tra natura e
storia,tra rumore e suono,tra invenzione e convenzione.

L’ascoltatore ideale e la “distanza” nell’ascolto della


musica
I linguaggi musicali sono ovviamente multipli e diversi tra loro ed è il fondamento
Naturale che fa si che una musica composta molti secoli fa ed in luoghi differenti sia
riconoscibile come diversa dalla nostra ma pur sempre come MUSICA. Se la nostra
conoscenza musicale ama sempre ritrovare ciò che ci è già noto,quando si trova di
fronte all’ignoto instaura dei meccanismi di attesa e di delusione da cui si genera la
“distanza”. Sicuramente se non conoscessimo il linguaggio tonale ascolteremmo in
modo del tutto diverso anche quello atonale e dodecafonico. La distanza non potrà
mai essere eliminata,ma quell’elemento naturale primordiale che esiste in tutti i
linguaggi musicali farà si che almeno in parte venga percepita e fruita.

Creazione musicale e generi musicali


Ci si chiede perché l’individualità e lo stile di un musicista cambi tanto a seconda
del genere scelto per la sua composizione: comporre una “Sonata” è diverso dal
comporre una “Sinfonia”. Generi come il Quartetto d’archi, variano nelle mani di
Beethoven,ma come anche il linguaggio atonale di Schonberg o Webern,implicano
sempre un certo rapporto col passato. E’ così che avvengono le grandi
trasformazioni,partendo da ciò che è sicuramente convenzionale e condiviso per
giungere a far trionfare ciò che rappresenta il nucleo più profondo della propria
individualità. Il rapporto con il pubblico, per questo, si è spesso spezzato nel 900,con
la conseguente reclusione del musicista in se stesso.

Musica “percepita” e musica “pensata”


Nella percezione musicale agiscono due forze: quella culturale, che indirizza l’ascolto
verso il riconoscimento di un patrimonio storico, forte della consapevolezza
dell’evoluzione della musica, e quella naturale, che invece informa l’ascolto della
dimensione naturalistica ed aprioristica. Queste due forze sono intrecciate e si
alimentano. Un problema nella percezione della musica nel Novecento è lo iato che
c’è fra il livello neutro, dunque tra la forma concepita dal compositore, e quella
percepita dall’ascoltatore.

Natura e storia nel linguaggio musicale


Da queste due forze derivano due idee differenti:
• per la prima, lo stato più sorgivo della percezione risiede nella natura dell’uomo,
indipendente dai condizionamenti culturali, storici e geografici;
• per la seconda, la percezione è frutto dell’abitudine ad ascoltare un tipo di
organizzazione sonora rispetto ad un’altra, e pertanto la percezione è un fenomeno
profondamente storicizzabile, modulato dai condizionamenti culturali.
Le rivoluzioni del linguaggio musicale avvenute nel 900’ hanno indotto i teorici a
ritenere che la percezione fosse un fenomeno più condizionato dal sostrato
culturale dell’ascoltatore che da una sua presunta predisposizione ad una
fantomatica naturalità, aprioristica e senza tempo. Pertanto l’orecchio si assuefa. In
questo clima, chi sosteneva l’esistenza di elementi percettivi non storicizzabili e
quindi universali, veniva tacciato di conservatorismo. Oggigiorno questo rischio non
esiste più, perché gli sviluppi del Novecento non vengono più analizzati nell’ottica di
un allontanamento dalla naturalità percettiva dell’orecchio umano, bensì in quanto
riconducibili ad una sorta di grammatica generativa, che sta all’origine della pluralità
dei linguaggi. Inoltre, il pensiero dialettico per cui ogni linguaggio contiene i germi
per la sua dissoluzione, è stato abbattuto. A favore della tonalità, assieme alla tesi
del condizionamento culturale (per cui il nostro orecchio di occidentali è molto più
avvezzo alla tonalità che all’atonalità – melodia seriale e melodia tonale - ) si è
schierata la tesi strutturalista, in base a cui effettivamente la tonalità presenta dei
pattern di intelligibilità che sono strutturalmente più facili ed immediati di quelli
della musica non tonale.

Intraducibilità e universalità del linguaggio musicale


Oltre ad avere delle tracce di universalità, il linguaggio musicale è anche
intraducibile rispetto a quello verbale ed anche rispetto ad un altro linguaggio
musicale, ma ciononostante, esso riesce a comunicare perlomeno una parte dei suoi
significati, anche a chi è totalmente estraneo ad una determinata tradizione
musicale. Questa intelligibilità è garantita dallo sfondo universale che accomuna
tutti i linguaggi musicali, anche i più distanti geograficamente. Pertanto, il fenomeno
della percezione musicale si fonda su di un innatismo non acquisibile con lo studio e
con la cultura, ed alla luce di queste strutture naturali, cercare di negarle sarebbe
assai grave.

Verso l’autonomia del linguaggio musicale


Buona parte dell’estetica settecentesca, basata sul principio di imitazione,
attribuisce alla musica il potere di rappresentare un contenuto altro, esterno alla
musica, come un’immagine, una forza della natura, e dunque vede nella musica un
contenuto che in realtà le è esterno, perché si appella al mondo delle immagini, dei
fenomeni della natura e dei sentimenti umani (riallacciati alle immagini, come
vulcano e rabbia, tempesta e agitazione). Pertanto, in base a questa estetica, la
musica vive di contenuti che in realtà diventano musicali solo perché si traducono in
musica, ma che inizialmente sono contenuti extra-musicali. Opposta a questa
estetica, vi è quella formalista, che celebra il concetto di musica assoluta. Tale
formalismo aveva l’obbiettivo di opporsi alla musica a programma, tanto cara ai
romantici tedeschi, Listz e Wagner fra i molti. L’idea dell’autonomia della musica
strumentale pura, o musica assoluta, viene elaborata nell’800’ ed è in netto
contrasto con quella precedente, settecentesca, che collocava la musica strumentale
ad un livello inferiore per la sua mancanza di concetti e di immagini. Rousseau era
esponente dell’estetica settecentesca,ed era uno di quelli che credeva che la musica
strumentale si collocasse ad un livello inferiore per la mancanza in essa di concetti.
Wagner ha coniato il termine di musica assoluta. L’assenza di riferimenti extra-
musicali, per l’estetica dell’Ottocento è proprio il vero motivo che determina la
superiorità della musica assoluta, che rinunciando a contenuti estranei ad essa
mette in luce la sua vera essenza. Oltre ad Hanslick e Dalhaus ci sono state altre
figure intellettuali, come Hoffmann e Wackenroder; quest’ultimo insisteva
sull’intraducibilità della musica in parole. Il punto di vista dell’estetica dell’800’
dischiude ad una questione: se l’essenza pura della musica risiede solo in se stessa e
non è traducibile né appellandosi a riferimenti extra-musicali né utilizzando il
linguaggio verbale, come si può parlare verbalmente della musica? Il concetto di
immaginazione allora non sarà extra-musicale, bensì legato ad immagini puramente
musicali.

Verso una globalizzazione del linguaggio musicale?


Nella storia della musica occidentale si sono susseguiti periodi musicali dominati da
tendenze verso la ricerca di un linguaggio universale, e da tendenze verso la
differenziazione dei linguaggi. Tutto l’Illuminismo è stato dominato dalla musica
dell’imperialismo viennese e dalla tendenza ad imporre uno stile classico per così
dire universale, mentre nell’800’ le spinte sono state di segno opposto, fino alla
prima metà del 900’ in cui la differenziazione ha raggiunto il momento più ricco. A
tale eterogeneità hanno concorso molte scoperte, come il recupero
dell’etnomusicologia, la crisi della tonalità ecc.ecc. Invece dagli ultimi decenni si sta
assistendo ad una rinuncia al pluralismo in favore di un linguaggio internazionale,
forse grazie allo sviluppo della musica elettronica e degli scambi culturali.

Il mondo antico

Dai pitagorici a Damone di Oa


Le testimonianze sulla musica dal mondo Greco antico sono numerose, ma per lo
più indirette e frammentarie, infatti, nonostante esse rivelino un rapporto della
musica privilegiato con la società, mancano totalmente le testimonianze dirette,
ovvero i documenti di notazione. Tutto il pensiero sulla musica dei greci è dominato
dalla rilevanza etica e sociale, positiva e negativa della musica, intesa nel suo valore
fortemente educativo. Col termine Musikee si intendeva un ampio spettro di
attività, dal teatro alla danza, dalla musica effettiva alla ginnastica. In ogni caso, la
musica è vista in senso utilitaristico, in quanto ha una sua utilità sociale. E’ con la
scuola pitagorica che la musica assume una rilevanza d’eccezione: in questo
tradizione il concetto di armonia è centrale, siccome esso è inteso nei suoi termini
metafisici come unificazione dei contrari. Aristotele estende tale concetto fino ad
abbracciare anche l’armonia dell’universo e dell’anima, sia nella Politica che nel De
anima. Filolao, appartenente alla scuola pitagorica, sosteneva che i rapporti fra i
suoni fossero riconducibili a rapporti fra numeri; da ciò ne consegue che i rapporti
fra i numeri possono essere assunti per decifrare l’armonia universale. Questi
parallelismi fra il suono ed il numero, sempre in riferimento all’armonia cosmica,
danno origine a delle astrazioni che mettono in risalto l’aspetto inudibile e
puramente metafisico della musica. Si aprirà così una frattura fra la musica
pensabile e metafisica e fra la musicale udibile ed eseguibile: da tale frattura, la
prima visione sarà sempre quella privilegiata, e forse sarà proprio la causa della
scarsa considerazione di cui godrà il musicista nei secoli a venire. Un altro concetto
fondamentale è quello di catarsi, per il quale la musica avrebbe il potere di ristabilire
l’armonia turbata nel nostro animo. I pitagorici hanno insistito su questo concetto
conferendogli una dimensione etica e pedagogica. Secondo Damone di Oa (filosofo
pitagorico), la catarsi espressa nella musica è allopatica, in quanto la musica imita la
virtù che si vuole inculcare nell’animo malato cancellando la sua cattiva inclinazione.
Aristotele invece parla di catarsi omeopatica, in base alla quale la correzione del
vizio si ottiene attraverso l’imitazione dello stesso vizio che affligge l’animo. Nel
pitagorismo verranno prese più direzioni, alcune moralistiche, altre matematiche,
altre enfatizzeranno l’aspetto metafisico ed altre ancora quello pedagogico politico.
In ogni caso, tutto ciò dimostra come la musica fosse legata al concetto di ethos.

Platone
In Platone è massimamente espresso il contrasto fra la musica pensata e quella
eseguita; in base a questo dissidio, in Platone vediamo coesistere considerazioni di
segno opposto.
• Musica humana: da un lato egli attribuisce alla musica solo l’effetto di produrre
piacere, discostandosi dalla visione etica pitagorica. Essendo finalizzata alle bassezze
del piacere, la musica è techne, cioè arte e non scienza, pertanto è sospetta, ma
tollerata solo nel caso in cui il piacere prodotto non agisca in senso contrario ai
principi dell’educazione. In prospettiva dell’educazione, la musica è un mezzo e non
un fine. Per Platone le buone musiche sono quelle consacrata dalla tradizione,
mentre le cattive musiche sono quelle del suo tempo, finalizzate solo al puro diletto.
• Musica mundana: in questo caso, la musica essendo oggetto della ragione ed in
quanto scienza, si avvicina alla filosofia fino a diventare filosofia essa stessa. In tale
concezione di musica inudibile e cosmica il concetto di armonia è centrale, perché
l’armonia della musica rispecchia quella dell’universo, inoltre diventa uno strumento
di conoscenza, simbolo e specchio dell’ordine divino. Con Platone, la frattura fra
musica pensata e suonata prenderà sempre più corpo.

Aristotele
Aristotele riprende i caratteri del pensiero musicale pitagorico e platonico, ma li
rivista alla luce del pensiero edonistico epicureo, tanto che con Aristotele il ruolo del
piacere della musica verrà accolto ed inserito in una proto-estetica. Avendo come
fine il piacere, Aristotele sostiene che la musica possa avere un suo spazio
nell’educazione, ma solo per il riposo dalle attività realmente edificanti ed
impegnative. In tal guisa, la musica diviene un modo di occupare i periodi di ozio, ma
con un’importante specificazione: la divisione fra musica ascoltata e musica
eseguita. La prima era consona anche agli uomini liberi, siccome l’ascolto non
impegna la manualità, mentre la seconda si addice solo agli uomini di grado più
basso, siccome per suonare uno strumento occorre esercitare un’attività manuale.
Tutto il pensiero musicale aristotelico s’impernia su questa differenza e ne viene
fatta menzione nel VIII libro della Politica. Aristotele prende spunto sia dalla teoria
pitagorica, secondo cui la musica è in relazione diretta con l’anima perché essa viene
armonizzata dalla musica, che dalla teoria di Damone, secondo cui il rapporto fra
musica ed anima va visto in un’ottica di imitazione: la musica suscita sia sentimenti
negativi che positivi, ponendosi in rapporto imitativo con essi. Nell’ambito di questi
sentimenti, l’artista può scegliere quelli che desidera; in ogni caso, il rapporto fra
sentimento e musica deve essere di natura omeopatica. Sempre nella Politica,
Aristotele afferma che musica vada praticata per usi molteplici, di cui non solo il
riposo o la catarsi, ma anche l’educazione; la sua mancanza di censura, per la prima
volta pone la musica in termini estetici, in cui il piacere viene accettato ed è più
svincolati da propositi moralistici.

Aristosseno – età ellenistica

Nei due libri pervenutici, Elementi di armonia ed Elementi di ritmica, Aristosseno per
la prima volta scinde l’esperienza musicale dalla filosofia, mettendo in primo piano
la percezione uditiva, rendendo indipendenti udito ed intelletto. Grazie a lui
l’interesse si affranca dal piano intellettuale per abbracciare quello sensibile, inoltre
egli insiste sulla reazione psicologica del singolo individuo, ritenendo che il legame
fra modo musicale (dorico ecc) ed ethos non fosse intrinseco nella musica, ma bensì
condizionato dalla storia; pertanto, come diceva il suo Maestro Aristotele, tutti i
modi hanno dignità di esistere. Aristosseno vedeva nei modi non solo il rapporto con
l’ethos, ma la loro bellezza oggettiva, in quanto belli strutturalmente.

Tra mondo antico e Medioevo


Il pensiero cristiano e l’eredità classica

Nell’ambito del cristianesimo, la musica viene considerata in relazione alla


preghiera, ai canti liturgici. Il pensiero musicale cristiano medioevale sgorga da
quello pagano greco-romano e da quello ebraico sinagogale. In questo contesto, le
visioni sulla musica sono due: come fonte di corruzione, puro edonismo perché
legata ai sensi e sviante dal richiamo spirituale, e come fonte di elevazione
spirituale, capace di potenziare il credo e la preghiera. Clemente Alessandrino, nel
suo “Protrettico ai greci” vede nella musica il potere caro ai pitagorici di porre
armonia conciliando gli opposti, ed in questo modo di ritrovare l’armonia cosmica,
siccome l’universo stesso è costituito da musica. Sant’Agostino invece, nel “De
Musica” e nelle “Confessioni”, è perfettamente consapevole della doppiezza della
musica, siccome oscilla fra il pericolo del piacere ed il suo potenziale di
potenziamento della fede, difatti scrive di approvare l’uso del canto in chiesa, poichè
lo spirito troppo debole trova nel canto un potenziamento del messaggio religioso.
Questa ambivalenza si riflette anche nella dicotomia fra la musica pensata come
scienza teoretica, non udibile, e quella eseguita, che inneggia al piacere dei sensi ed
all’imitazione delle passioni, quest’ultima peraltro giustificata da Aristotele. Severino
Boezio in “De institutione musica” afferma la superiorità della ragione sui sensi,
compiendo la famosa tripartizione: musica mundana, l’unica vera musica,
espressione dell’armonia celeste; musica humana, il riflesso di quella mundana ma
nel microcosmo umano; musica instrumentalis, quella vera e propria. Agostino e
Boezio sono i due pilastri che occorre tenere a mente in questo periodo.
Dall’astratto al concreto

La speculazione sulla musica dunque presenta un percorso che, partendo


(nell’epoca greca aurea) dalla considerazione prioritaria della musica celeste,
mentale e completamente avulsa dalla realtà, gradualmente l’abbandona , in favore
di un interesse più vicino ai problemi compositivi, esecutivi e pedagogici , riguardanti
la musica liturgica, più ci si avvicina all’anno Mille. Questa nuova visione, molto più
concentrata sulla musica effettiva, udibile, viene incarnata massimamente da Guido
D’Arezzo. Da qui in avanti tali interessi inizieranno a rivolgersi a questioni come il
ritmo, la grafia, e l’embrionale polifonia sorta con la nascita dell’Organum. Dopo
l’anno Mille, la musica tende ad organizzarsi con un grado sempre maggiore di
complessità, vanificando tutte le speculazioni troppo astratte che hanno
caratterizzato il basso Medioevo. Attorno al XIV secolo iniziano ad apparire le prime
timide considerazione sulla bellezza della musica, arte intesa come autonoma e che
trova la giustificazione nei suoni, indebolendo ulteriormente la concezione
teologicacosmologica e ponendo le basi per la nascita di una vera estetica musicale.

L’Ars antiqua e l’Ars nova


La diatriba fra quale dei due cammini la musica dovesse intraprendere diviene la
prima querelle in cui si confrontano due categorie estetiche. La bolla papale di
Giovanni XXII è eloquente in merito: egli condanna l’ars nova siccome ritiene che la
sua maggiore complessità polifonica, in cui la musica è fine a se stessa, la depriva del
suo ruolo di ispirazione religiosa; ma è proprio da ciò che si comprende come l’ars
nova sospinga la musica verso un binario nuovo, di autonomia nel suo valore
puramente auditivo. Da ora in avanti le ragioni della musica diventeranno sempre
più invadenti.

La nuova razionalità
I teorici dell’armonia e la scoperta degli affetti

Col Rinascimento, la dissoluzione delle dottrine medievali è ormai compiuta; in


questo scenario figura Johannes Tinctoris, teorico del secondo Quattrocento che nel
Diffinitorium Musicae dà alcune definizioni teoriche sull’armonia, consonanza e
dissonanza in chiave decisamente meno astratta e più oggettiva, mentre nel
Complexus effectum musices enumera i venti effetti prodotti sull’animo umano,
abbandonando la boeziana tripartizione. Questo atteggiamento più empiristico
riconosce nella musica l’unico scopo del piacere, e pertanto può essere associato
alla visione Aristotelica. Nel Rinascimento la visione della musica corre su un doppio
binario: da una parte si afferma una visione razionalistico-naturalistica per quanto
riguarda la teoria dell’armonia, dall’altra una visione psicologica. Gli ideali di
classicità e di recupero della misura e dell’equilibrio perverranno in musica con un
po’ di ritardo rispetto alle altre arti. Glareanus è un’altra figura importante; nel suo
Dodechakordon divide i musici in symphonetae e phonasci, i primi sono coloro che
scrivono a più voci, i secondi che scrivono melodie, ed egli preferisce i secondi
perché hanno il dono dell’invenzione, mentre i primi sono più eruditi ma meno
capaci di esaltare il senso delle parole. Gioseffo Zarlino sarà fra tutti la figura più
importante siccome si preoccupa di rifondare la teoria musicale sulla base di un
nuovo razionalismo che mira a giustificare l’uso degli intervalli musicali attraverso
una matematizzazione del mondo musicale. Egli fonda la sua teoria sugli armonici
superiori che danno il tono maggiore e su quelli inferiori che danno il tono minore.
In tal guisa, l’accordo maggiore trova una sua giustificazione naturale poiché esiste
in natura e pertanto è oggettivamente bello.

La nascita del melodramma

L’esigenza di una più precisa corrispondenza fra parola e musica e di una maggiore
comprensibilità delle parole è un fenomeno molto presente dalla fine del 500’;
difatti la maggiore congruenza fra parole e musica andava nella direzione del
muovere meglio gli affetti. Zarlino sarà promotore di una razionalizzazione del
linguaggio musicale volto ad eliminare contraddizioni fra il testo e gli accordi. La
Camerata de’ Bardi è la fucina in cui questa istanza verrà sviluppata. L’aspirazione
umanistica ad un recupero del senso della misura dell’antica Grecia iniziò a
polemizzare sul contrappunto, visto come astruseria che rendeva difficile l’uso
proprio e comprensibile della parola. La chiesa cattolica col Concilio di Trento
interpretò questa polemica, mentre nel mondo teorico speculativo, Vincenzo Galilei
si fece promotore di un attacco alla polifonia in favore della monodia, vista come più
naturale anche in virtù del fatto di esser stata utilizzata dai greci. Inoltre la polifonia
indeboliva la teoria degli affetti, siccome se ad ogni intervallo o modo corrispondeva
un affetto, le tecniche polifoniche, come i moti contrari ecc. non erano inquadrabili
in questa corrispondenza di affetti. Corrisposto a Galilei c’è Giovanni Artusi, di segno
opposto, il quale rifiutava un’influenza eteronoma sulla musica rivendicando
l’autonomia della musica, difendendo la polifonia, mettendosi in polemica con
Monteverdi, che invece operava nella direzione estetica della Camerata de’ Bardi. La
tendenza nel preferire l’autonomia della musica rispetto all’eteronomia si sviluppa
più nel mondo protestante-luterano che in quello cattolico. Più avanti Leibniz si
schiererà a favore dell’autonomia della musica, convinto che la musica possegga una
salda struttura matematica e che tale struttura si manifesti nella percezione uditiva,
scavalcando la razionalità. Rameau approfondirà l’armonia sul principio
dell’autosufficienza della musica, mentre Bach la porterà a livelli divini.
La teoria degli affetti e le polemiche sul melodramma
Tale teoria prende il nome di Affektenlehre, per la quale ci fosse una diretta
corrispondenza fra scelte musicali e gli stati emotivi; durante tutto il 600’ e fino al
700 tale teoria sarà così celebrata che si eleva ad una nuova retorica. Mursugia
Universalis di Kircher è un trattato in cui egli sostiene come vi siano in realtà un
varietà di composizioni uguale alla varietà di temperamenti dei compositori. La
teoria degli affetti trova origine nella sensibilità melodrammatica.

L’illuminismo e la musica

La teoria degli affetti nel Settecento

L’Affektenlehre sarà ripresa nel 700’ specie nel mondo tedesco, in cui la musica
strumentale è più rigogliosache in Italia e Francia, e la corrispondenza fra figura
musicale ed affetto sarà meglio determinata, più retorica.Nel Settecento si
svilupperà una polemica fra la nuova generazione di melodisti, vicini ad una musica
piùconnessa ai sentimenti, e gli antichi contrappuntisti dei quali Bach era il capofila,
esponenti di una visione più razionalistica della musica. La teoria degli affetti dunque
sarà l’asse portante della nuova concezione della musica come linguaggio dei
sentimenti, distante dal trionfo della polifonia. Charles Avison sta dallaparte della
concezione sentimentalistica.
Le ragioni della musica e le ragioni della poesia

Sempre nel corso del Settecento si acuisce il dibattito fra il rapporto musica e testo,
ed in particolare i limiti di convivenza dei due linguaggi, e l’eventuale subordinazione
di uno dei due. Il melodramma diviene ilterreno di scontro su cui s’innesta il
dibattito che vede nell’Opera un genere privo di contenuto morale e lontano dalla
ragione. Il razionalismo cartesiano, dilagante specie in Francia, fa sentire le proprie
reprimendenei confronti del genere dell’opera, soprattutto quella italiana, in cui
c’era poca coerenza letteraria e la musica si mostrava troppo disinteressata a fini
morali ed educativi. L’abate Raguenet metterà in luce ledifferenze fra l’opera
francese ed italiana,constatando una maggiore musicalità in quella italiana,
mentreLecerf si schiererà dalla parte della tradizione razionalistica di cui Lully è il
principale esponente operista. Il dibattito dunque diviene fra orecchio e ragione,
sentimento ed intelletto; tuttavia le ragioni dell’orecchio troveranno valide
argomentazioni solo nel secondo Settecento. La Francia sarà la terra eletta di queste
dispute.
Dalla ragione all’arte e dall’arte alla ragione
Rameau, antagonista di Lully, aveva l’ambizione di entrare nel mondo dotto che
aveva escluso la musica da secoli, e a tal proposito ribadì la concezione di musica
come di linguaggio scientifico, analizzabile con laragione. Il suo trattato di armonia
del 1722 procede in questa direzione, e vede nel fenomeno degli armonicisuperiori il
marcatore scientifico di tutta la musica, siccome essi danno la triade maggiore, e
quest’ultimacostruita sui I, IV e I dà la tonalità maggiore. Pertanto, il piacere
nell’ascoltare la musica sarebbe analizzabile razionalmente e giustificabile in
accordo con una naturalezza oggettiva della musica stessa. Il parametro privilegiato
è dunque l’armonia, specchio di leggi di natura e primum ideale da cui derivano
tutti gli altriparametri, mentre la melodia è gestita dal gusto.

Gli Enciclopedisti e le querelles

Il pensiero illuminista verrà interpretato dalla figura degli enciclopedisti, i quali


parleranno di musica comedel linguaggio privilegiato dei sentimenti. La seconda
rappresentazione della Serva Padrona a Parigi diede l’abbrivio ad una escandescenza
fra i sostenitori della musica francese e della musica italiana. Gli enciclopedisti si
schiereranno dalla parte della musica italiana, decantando in essa il trionfo del
sentimento e della melodia. Rousseau, che è stato uno dei più ferventi enciclopedisti
pro musica italiana, (mentreRameau stava agli antipodi), sosteneva che musica e
poesia dovessero rimanere unite assieme siccome dagli albori dell’arte queste due
forme erano unite; egli era contro alla polifonia. Con l’Illuminismo la musica entra
prepotentemente nel dibattito culturale e non più meta-artistico. Diderot diede un
altro contributo importante all’estetica musicale formulando per la prima volta il
primato della musica sulle altre arti, siccomeessa è l’espressione più immediata
delle passioni; inoltre vedeva nell’imprecisione semantica della musica strumentale
(che non avendo un testo non esprime concetti determinati) la possibilità di
esprimere unaricchezza concettuale incredibile. Un maggiore equilibrio fra
l’elemento musicale e quelle letterario si avrà nel melodramma solo con la riforma
di Gluck.

Dall’idealismo romantico al formalismo di Hanslick


La musica come linguaggio privilegiato

Il fenomeno che afferma l’autonomia della musica, iniziato nell’Illuminismo, nel


Romanticismo troveràterreno più fertile. L’asemanticità della musica rappresenterà
la prova della sua capacità di rivelare veritàinaccessibili con le parole, e pertanto la
musica sarà nel Romanticismo la regina fra le arti. In particolare, lamusica
strumentale sarà ambasciatrice di questa capacità.
La musica e i filosofi romantici
La musica si afferma come nodo centrale nel pensiero filosofico di molti filosofi
tedeschi dell’800’. Per Schelling la musica è l’arte più lontana dalla corporeità,
mentre in Hegel essa è la rivelazione dell’assolutonella forma del sentimento, grazie
all’affinità della sua struttura con la struttura dell’anima. PerSchopenhauer invece la
musica è l’immagine stessa della volontà e le altre arti emanano solo il riflesso di
un’essenza di cui la musica è piena espressione. In virtù di ciò, la musica per
Schopenhauer non deve essere descrittiva, perché rinuncerebbe alla sua
indeterminatezza semantica. Nel solco di queste teorie, la musicastrumentale viene
rivalutata proprio grazie alla indeterminatezza concettuale e si trovano
giustificazioniestetiche a nuove forme musicali come il poema sinfonico; inoltre è
caldeggiata la commistione della musicacon altre arti in modo da amplificare le
possibilità espressive.

Wagner e l’opera d’arte totale

Wagner riprende il pensiero di Rousseau di unione fra poesia e musica per elaborare
il concetto di opera d’arte totale,Gesamtkunstwerk, ovvero il dramma, in cui tutte le
arti s’incontrano; per Wagner il dramma è l’unica vera arte e bisogna tornare in
quello stato primigenio in cui poeta e musicista sono una cosa sola.Nietzsche
concepirà la musica come arte eletta, origine di tutte le arti, e più che di musica
forse bisognerebbeparlare di spirito musicale. Mentre Wagner privilegia il dramma,
Nietzsche privilegia la musica strumentalenella sua autonomia. Egli ritiene che la
musica sia dionisiaca, e che preceda e domini l’apollineo.

Dal formalismo alla sociologia della musica


Il formalismo si sviluppa dalla seconda metà dell’Ottocento e vedrà in Eduard
Hanslick uno dei pionieri, col suo saggio “Il bello Musicale”. In questo saggio egli
sostiene che le leggi del bello siano inscindibili dallecaratteristiche tecniche del
materiale artistico, pertanto la tecnica musicale non è un mezzo, bensì è la musica
stessa. Hanslick prende a bersaglio l’estetica del sentimento, quella wagneriana, e
ritiene che le idee espresse nella musica siano essenzialmente musicali e non
eteronome; la musica può imitare il moto di unprocesso psichico, ma non un
sentimento. Essa esaurisce in sé tutti i significati. Il pensiero di Hanslick saràun punto
di partenza per ulteriori sviluppi da parte delle generazioni a venire, che
attingeranno dall’attitudine analitico-scientifica per incanalare le riflessioni
musicologiche anche verso ambiti come l’acustica, la psicoacustica,ed altre discipline
di stampo empirista. Riemann riprende lo sfondo formalista e Carl Stumpf inquadra i
problemi dell’acustica nella loro rilevanza psicologica, aprendo all’estetica del 900’,
in base alla quale le leggi acustiche non sono più sufficienti a giustificare il discorso
musicale, perché vannointegrate alla psicologia uditiva. La musicologia francese ha
portato l’accento sulla rilevanza sociale della musica grazie agli studi di Jules
Combarieu.

La crisi del linguaggio musicale e l’estetica del Novecento

La critica e l’estetica musicale in Italia

La musicologia anglosassone e tedesca fino al primo Novecento aderiva al


formalismo di Hanslick, mentre inItalia i contesti speculativi erano molto più di
matrice idealistica crociana e gentiliana. Alfredo Parente sidistinse per aver proposto
due temi: l’unità delle arti; il valore della tecnica. Egli sostiene che le arti si
distinguano unicamente per la tecnica di cui si servono, e che la musica ricopra una
posizione d’eccezione siccome la facoltà lirica, caratterizzante nella musica, esiste
prescindendo dalla tecnica. Massimo Mila invececi parla di espressione
inconsapevole per giustificare le prese di posizione della musica del 900’, in
particolare di quella Neoclassica (Stravinskij) che nega ogni significato eteronomo
alla musica. Fra il 1930 e 1940 in Italia si apre una polemica fra Parente, che voleva
limitare la funzione dell’interprete ad una funzione tecnicoesecutiva, e Pugliatti, che
voleva enfatizzare la funzione creativa dell’interprete.
Il formalismo e le avanguardie

L’eredità del pensiero formalista di Hanslick è cruciale, e fra i compositori, Stravinskij


si farà nume tutelaredi questa concezione per cui la composizione è un atto
speculativo, lontano dal sentimentalismo,dall’intuizione, dall’ispirazione, in piena
opposizione all’estetica romantica. Egli rifiuta l’espressione come proprietà
immanente della musica.
La forma e il tempo musicale

Gisèle Brelet centrerà il suo pensiero estetico sul concetto di tempo musicale,
vedendo l’atto creativo come perenne dialogo tra la materia e la forma, e la forma
temporale della musica come intima rispondenza conla temporalità della coscienza.
Più tardi Brelet vedrà nella forma non più la temporalità della coscienza, bensì come
espressione del vissuto: la musica trova la sua struttura definitiva nell’attualità del
tempo vissuto. Jankèlèvitch fonda il suo pensiero sull’analisi del tempo e della forma
come profondità del vissuto. Boris de Schloezer è tra i primi studiosi ad affrontare la
questione della musica come struttura linguistica, agita dasimboli ripiegati su se
stessi, in un sistema multiplo di relazione sonore. Per de Schloezer il tempo
dellamusica è atemporale, perché venendo organizzato compositivamente in base a
visioni strutturali sofisticate,è come se non si facesse più tempo ma si trascendesse,
diventando tempo irrigidito in un’unità sincronica. Questa concezione della musica
come tempo irrigidito è comune a tutte le visioni della musica comestruttura. Levi-
Strauss ha una visione di tipo strutturalista, simile a de Schloezer, e sostiene che
l’ascolto di musica ben strutturata ci fa accedere ad una specie di immortalità.
Musica e linguaggio

Suzanne Langer ritiene che la musica sia un linguaggio emblematico perché esprime
i sentimenti ma inmaniera simbolica , sui generis, di modo che il significato non sia
convenzionalmente fissato ed esatto. La sua caratteristica è l’espressività ma non
l’espressione. Nella musica, secondo Langer, i sentimenti hanno una loro
presentazione simbolica che si attiene a leggi esclusivamente musicali. Leonard
Meyer invece rivolge la sua attenzione maggiormente alla psicologia dell’ascolto,
ritenendo che il significato della musica nasca dalprodotto di un’attesa, basata su di
una tensione e una soluzione. Tuttavia questo meccanismo è vincolatoallo stile,
difatti le stesse scelte compositive risultano diverse di stile in stile. L’idea di Meyer
naturalmente ha a che fare col sistema tonale.
Il pensiero musicale di fronte alla rivoluzione linguistica

La musicologia ha reagito di fronte alla trasformazione linguistica della musica,


evidenziando le condizioni di crisi dinanzi alla dissoluzione del sistema tonale.
Hindemith e Stravinskij si sono schierati contro l’assenza di naturalità del sistema di
Schoenberg, ribadendo che il linguaggio musicale dovesse sempre avere fondamenti
naturali. Adorno fornisce l’interpretazione più importante della dodecafonia ed in
generale dell’avanguardia tedesca, ed alla luce di metodologie marxiste,
sociologiche e psicoanalitiche, si polarizza sul rapporto musica-società, e più in
particolare sul rapporto fra strutture musicali e strutture sociali. La musica deve far
emergerein superficie ciò che è silenziato e latente in una società, e dunque
evidenziarne i dissidi, la falsità dei rapporti umani, smascherando l’ordine costituito.
Col decorso della Seconda scuola di Vienna e della musica post-weberniana, Adorno
la dichiarerà ormai vetusta, siccome conteneva dapprincipio i germi della sua
dissoluzione. Dagli anni 50’ in poi, con la morte di Schoenberg, la generazione dei
compositori sarà sempre più operante anche in una dimensione filosofica e
speculativa, rintracciabile in numerosi saggi deicompositori stessi.
La semiologia della musica

Levi-Strauss è stato il primo ad applicare alla musica strumenti della linguistica, e


Nicolas Ruwet haproseguito nel solco di questa nuova metodologia. Per Ruwet la
musica è un linguaggio, ma per esistere egarantire la sua comprensibilità deve
obbedire a regole precise che rendano chiare le comunicazioni. Lasemiologia della
musica si occupa appunto di individuare le regole che rendono possibile il
funzionamentodella musica come linguaggio. Il linguaggio seriale tradisce questo
funzionamento e Ruwet ritiene che lamusica di Webern faccia fatica a costruire un
sistema di rapporti differenziati; la brevità della musica di Webern sarebbe
giustificabile proprio in virtù dell’assenza di regole tipiche del linguaggio
continuativo. Gino Stefani invece insiste sul momento della comunicazione, in cui è
necessaria la presenza di codici, assimilati nel vissuto quotidiano, e l’individuazione
di tali codici è imprescindibile. Egli asserisce che lasemiologia, scienza dei significati,
debba tener conto di un doppio livello di indagine:
• Significante: struttura analitica del brano, grammaticale-sintattica
• Significato nella cultura, ovvero negli ascoltatori
La semiotica si regge sul principio per cui ogni segmentazione sul piano
dell’espressione (significante) è nellostesso tempo una segmentazione sul piano dei
contenuti (significato), e pertanto analizzare i due livelli in maniera indipendente è
inutile, siccome i due livelli si rimandano continuamente l’un l’altro. Da questa
imprescindibile interconnessione emerge il seguente quesito: se la segmentazione
linguistica a cui èsottoposto il significante deve sempre corrispondere alla parallela
segmentazione dei significati, esiste anche un livello neutro dell’analisi? Ed il
rimando sul piano del significato è emotivo o anche cognitivo? Nattiez e Ruwet si
sono concentrati molto su questo livello neutro, cercando di capire se fosse
possibile analizzare levarie unità, sottounità del testo musicale (significante) senza
tener conto delle relazioni che esse hanno colsignificato e col contesto tecnico
compositivo culturale in cui sono state concepite. A seconda che illinguaggio
musicale venga visto più dall’angolo visuale del significante o del significato-
destinatario, sorgono indirizzi di ricerca diversi.

L’analisi musicale

Oltre all’indagine della musica come linguaggio, o possibilità di linguaggio, la nascita


dell’alea ha aperto nuovi interrogativi sul concetto di creatività musicale, mentre la
musica elettronica ne ha aperto sulla natura del suono. L’allargamento dell’ascolto,
dell’educazione musicale, la diffusione di nuove tecnologie diriproduzione del
suono, sono tutti fenomeni che hanno inciso sulle nuove direzioni prese nel mondo
dellamusicologia. L’analisi musicale ha un ruolo cruciale nel pensiero musicale;
possiamo rintracciarne le primemanifestazioni negli stessi compositori, Schumann,
Hoffmann, ma tale disciplina diventerà ufficiale solo conRiemann, ma soprattutto
con Schenker, il quale riteneva che al di sotto di una pagina musicale
(composizioneintera) ci fosse sempre una struttura originaria nella quale trovare
l’unitarietà gestaltica di tutto il pezzo. Più che di struttura, si parla di strutture, che si
riducono all’individuazione di una ur-Linie , che è sempre melodica.Questa teoria è
riduzionistica e riecheggia la grammatica generativa di Chomsky. Ogni teoria
analiticanaturalmente privilegia la dimensione della musica che ritiene centrale e
pertanto quella riduzionistica ha a che fare coll’universo tonale. Rudolph Reti
svilupperà una metodologia simile a quella riduzionistica,dimostrando come nelle
opere dei grandi compositori le idee tematiche siano riconducibili per
affiliazionemotivica ad un unico motivo generatore.

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