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CU55142095
87VM;JN La Bucolica di Virgi
Columbia University
inthe City ofNew York

THE LIBRARIES
MIN ACI

SIG DEBIMV

‫יהוה‬
R

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BO

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VEN
CO
LL
EG
A

HORT-14-2
LA

BUCOLICA
DI

VIRGILIO

TRADOTTA ED ILLUSTRATA
DA

QUIRICO VIVIANI
COLLA GIUNTA

D'UNA TAVOLA DI VARIE LEZIONI

TRATTE DA DUE ANTICHI CODICI MANOSCRITTI

E DEL CATALOGO
DE'

TRADUTTORI ITALIANI

UDINE
PEI FRATELLI MATTIUZZI
M. DCCC. XXIV.
NELLA TIPOGRAFIA PECILE
14

87 VM

JN
III

PROEMIO

LA traduzione della Bucolica di Virgi

lio fu uno de' primi tentativi poetico-lette

rarj della mia freschissima gioventù. Com

piuto il lavoro nel corso di due mesi io


me n'andai col mio scartabello dal co:

Giuseppe Urbano Pagani Cesa , nome ce


lebre , e a me carissimo , ossia ch'io lo

veneri come uno de' miei principali mae

stri , o che lo consideri quale uno de'

miei più sinceri ed ottimi amici . In cen

ni brevi e schiettissimi egli lodò la mia


intenzione , ma non l'effetto ; ed io , che

sapeva non poter egli parlarmi se non il


vero riposi il mio scritto nel numero

delle cose da doversi obbliare , nè più

ad esso vi pensai per gran tempo . Nel


1816. il caso fece che il ch. sig. abate

Giuseppe Berini mi leggesse alcune sue no

te botaniche alla Bucolica ; la qual lettura


mi suscitò il desiderio di pur ripescare

il ms. della mia versione . Alla rivista che

80030
IV

io ne feci conobbi da me medesimo la

rettitudine del primo giudicio ; ma non


disperai che una novella fatica fosse del

tutto per me gettata , se io mi vi met


tessi a tutt' uomo.

Diceva il dotto Padre Lamì , che la

Bucolica di Virgilio dovrebbe essere im


parata a memoria da tutti i giovani ; e
per l'esperienza che io avea fatto inse

gnando le belle lettere mi era convinto ,


che per inspirare il gusto ne' teneri ani

mi degli adolescenti non vi può essere

miglior libro. Le cose dal poeta rappre

sentate sono tutte analoghe alla natura ed

all' età giovanile : le pitture degli oggetti

che più allettano la immaginazione e il


cuor de' fanciulli sono ivi tratteggiate dal
di ma
pennello medesimo della natura ,
niera che quando loro si spiegano le e

gloghe virgiliane non si accorgono´ quasi

d'essere ritenuti nella scolastica disciplina,


ma s'immaginano di trovarsi fra le cam

pestri delizie, cogliendo fiori , o pascolan

do agnelletti , e si credono presenti alle


altercazioni e alle gare dei pastorelli .
Ma dopo tutto questo io avea ragion
di credere che non agevolmente un mae

stro nelle scuole potrebbe condurre i gio


vani alla perfetta intelligenza di quell'o
pera , che se da un lato presenta i van

taggi da me accennati , offre dall' altro

difficoltà ancora maggiori , ove si trovi


che l'autore riferisca le allegorie ivi es

presse sotto immagini pastorali , a soggetti


inerenti alla storia o ai costumi e talvol

ta anco allo stato delle scienze del seco

lo in cui scriveva. Laonde io pensai che

per far cosa dilettevole non solo , ma u


tile veracemente , era necessario internarsi

quanto mai si potesse nel testo , e studia

re tutte le relazioni che le cose per noi


oscure od ambigue aver possono colla sto
ria e coll' indole di quell' età , e quindi
affatto investirsene dello spirito , dopo di

che si potea pensare ad eseguire una ver


sione , la quale acconciamente nella no

stra lingua esprimesse i pensieri del ro


mano cantor de' bucolici carmi , e rad

doppiasse il vantaggio e il diletto dell'u


so di questo libro .
VI

Ecco perciò manifestata l'idea da cui

partì la mia deliberazione di rifare il pri


"
mo volgarizzamento della Bucolica : per
chè se si avesse trattato solamente di tra

durre secondo il metodo degli altri vol


garizzatori , la versione del Manara ( e for

se anche alcun'altra ) poco potea lasciar


mi che aggiungere alla italiana poetica
elocuzione .

Nè , se l'ab . Berini si fosse mostrato


restio nel concedermi le sue note botani

che , * le quali mi servissero di scorta per


la traslazione esatta dei nomi dei fiori e

delle piante dal latino all'italiano ( forse

questo è uno de' gravi peccati d'ogni tra


duttore ) io non mi sarei tampoco accin

to a questo lavoro. Ma poichè egli si mo

strò sì cortese da compiacermi , ciò mi fu


sprone all' impresa , e consultati istorici ,
comentatori ed eruditissimi amici , procu

rai di prepararmi in modo da poter met


tere in italiano i versi inimitabili di Vir

gilio . Se io debbo confessare il vero , an

che dopo assiduamente esaminato il testo,


nell'atto del tradurre vedendomi 1 di fron
1

VII

te un originale così perfetto più volte mi


mancò l'animo ; più volte gettai la pen

na disperatamente per sentirmi inabile ad


imitare i magici suoi colori , e per tre
anni non feci che cancellare e sempre

cancellare i miei manoscritti. Cercai in

vano nei nostri volgarizzatori un qualche

modello che io potessi seguire più da vi


cino , ed avrei senza dubbio lasciata in

completa l'opera , se la ripetuta lettura


dell' Aminta del Tasso non mi avesse ad

ditato un qualche sentiero per giungere

al termine di questo scabrosissimo viag


gio. M'accorsi che dalla Bucolica di Vir
gilio il gran Torquato avea attinto lo stile
della sua Favola pastorale , che ne avea

rapito i fiori più belli , e che questa fu


forse la cagione dello straordinario suc
cesso di quel poema. Quindi ho studiato
per quanto ho potuto di restituire a Vir

gilio il suo , e di tenere quel semplicissi

mo andamento nel verseggiare che si sen

te nell' Aminta , ed ho usato di quelle in

genue espressioni , e di quelle facili pa


role che s'intendono fin da un fanciullo,
VIII

guardandomi scrupolosamente da ogni ri

cercatezza di vocaboli , e da ogni traspo


sizione che inverta l'ordine naturale dei

sentimenti . Ho tentato poi, per quanto mi


fu possibile, d'accordare l'armonia del ver

so sciolto, da me usato ne' dialoghi , all'in

tonazione dell'esametro virgiliano : e dal


l'altra parte siccome mi parve , che per

l'indole della nostra poesia le canzoni pa

storali meglio s' accomodassero all'armonia

lirica, feci uso di quei varj metri che più


mi serviano ad esprimere i soggetti can
tati dal Poeta latino .

Ognuno vede che con questo princi

pio io più che ogn' altro dovea attenermi


al consiglio di Orazio di non rendere pa
rola per parola , e che a motivo della ri

ma obbligata non potea fare a meno del

soccorso degli epiteti , tuttochè sempre non

si trovino nell' originale : il che vuolsi

maggiormente permesso ove il soggetto



del cantare sia lirico. Lo spirito , e lo sti
le dell'autore ; ecco ciò che io mi sfor

zai possibilmente di mettendo


cogliere ;
i sus
in pratica per ottener questo scopo
IX

J
sidj , che mi somministrava la nostra lin

gua.
Terminata la versione ho lasciato ri

posare alquanto il mio scritto , e dopo

non breve tempo rivedutolo mi diedi a

ricorreggerlo , non diffidando di poter ap

parecchiare un libretto utile ai giovanetti


studiosi . Ho perciò riunito tutti i mate

riali de' quali mi giovai nel corso del mio


lavoro , e li disposi con ordine , fortifi
1
cando colle respettive annotazioni il sen

so da me ricavato da parecchi luoghi o


scuri e difficili del latino. E in queste

annotazioni ho riportato l'autorità di tut

ti quei comentatori , che primeggiano per


"
purità di giudizio , e per profondità di
dottrina , come l' Heyne , senza però se

guirli ove la storia o la critica parlava

contro di loro . Per tale ragione mi sono

opposto più d'una volta ad uno de' più


benemeriti traduttori di Virgilio , " al So

lari , il quale se deve essere ammirato per


l'erculea fatica di tradurre verso per ver

so, non può però lodarsi ove gli piacque


d'alterare ad arbitrio il testo , trarne
X

un senso del tutto diverso da quel del

l'autore. E per far toccare con mano che


non errai nel trasferire i nomi dei fiori

e delle piante dall' una nell' altra lingua ,


esposi quanto ho appreso dall' ab. Berini ,

e contrassegnai le sue note con la lettera

B. iniziale del suo cognome. Per lo che

si giungerà ancor più facilmente a cono-´


scere come l' intendimento finissimo di

Virgilio abbia saputo vivificare le imma


gini poetiche colla virtù sostanzial della

scienza : onde quand' egli ti accenna una

pianta o un fiore , tu dei sempre indicar

questi oggetti col loro nome speciale , o

cogli attributi che li facciano riconoscere,

se non vuoi correr pericolo di alterare

la gradazione de' colori poetici con cui

egli abbellisce le sue descrizioni .

Una tale operetta così ordinata com


parisce ora alla luce , munita eziandio di

una tavola di varie lezioni , che osservai

sopra due preziosi codici manoscritti , Fu

no della libreria Florio , l'altro della Guar

neriana , alcune delle quali ho anche se


guito , ove io vedea che mi si sciogliea
}
XI

# no i dubbj che sussistono ne' testi co


muni.

Ciò fatto io riduco a tre capi l'utili

tà immediata di questa fatica :

1. Che i giovanetti possano con age


volezza intendere il senso dell'Autore ,

esercitandosi nel medesimo tempo senza

laboriosità nello studio delle lingue lati


na e italiana :

2. Che insensibilmente per via del di

letto si abitui la immaginazione e l'ani

mo loro a quelle impressioni , dalle quali


dipende la formazione del gusto:
3. Che nel recitare i dialoghi dei pa

stori e le varie canzoni italiane acquisti


no il tuono necessario alla conveniente

espressione degli affetti , sì nel linguaggio

semplice che nel figurato.


Se io di tal maniera operando abbia
procurato alla gioventù un libro non del

tutto inutile , lo lascierò decidere ai veri

dotti , dai quali m'attendo un severo sì ,

ma giusto giudizio .
XII

VARIE LEZIONI VIRGILIANE

TRATTE DAI CODICI

FLORIO E GUARNERIANO

La lettera F. significa Florio , G. Guarneriano , st. Stam→


pa; e s'intende la più comune.

EGLOGA I.
Verso 12 st. turbatur F. turbamur
99 18 st. prædixit F. praedicit. Nel G. manca il verso.
22 27 st. Et quæ tanta F. Sed quae tanta .
" 54 st. Hinc . F. hic
"2 64 st. labatur F. solvantur
"" 68 st. En unquam F. En nunquam
29 73 st. perduxit F. produxit
29 80 st. poteris F. poteras
‫ ور‬So st. hac nocte F. G. hanc noctem

EGLOGA II.
Verso 7 st. coges G. cogis
29 15 st. fastidia G. fastigia
:ོ ;

18 st. vaccinia F. baccinia


;་
པ:
;

24 st. Aracintho F. Arachynthe


27 st. fallat F. fallit
50 st. vaccinia F. baccinia
57 st. certes. • F. certas
58 st. Eheu F. Heu hew
72 st. junco F. vinco

EGLOGA III.
Verso 27 st. stridenti F. cantando
29 27 st. disperdere F. deperdere
"" 37 st. Alcimedontis F. Alchymedontis
53 44 st. Alcimedon F. Alchymedon
29 55 st. herba F. umbra
39 55 st. consedimus G. considimus
"" 62 st. Phæbo F. Phoebi
"" 74 st. quod me F. si me
39 81 st. nobis Amaryllidis G. tristes Amaryllidis
99 84 st. quamvis est F. quamvis sit
2 100 st. Eheu . . F. G. Heu heu
100 st. in ervo . F. in agro G. in arvo
" 105 st. oculus F. oculis
XIII
3 EGLOGA IV.
Verso 3 st. sint . F. sunt
9.9 17 st. patriis G. propriis
26 st. facta F. fata
33 st. infindere F. infigere

41 st. robustus F. G. robustis


53 st. tam .. F. tum
56 st. huic mater quamvis , F. huic pater quamvis , anh huợc
aut huic pater mater
93

59 st. dicet . F. dicat


61 st. tulerunt . F. tulerant

EGLOGA V.
Verso 7 st. sparsit F. spargat
8 st. certet . F. certat
9
3

50 st. Baccho F. Bacchi


5.9 62 st. jactant ‫ و‬F. tollunt
29 90 st. paribus nodis F. nodis paribus

EGLOGA VI.
Verso 13 st. Mnasylos F. Massilus
99 16 st. delapsa F. dilapsa
99 23 st. Quo vincula F. Quid vincula
‫در‬ 38 st. imbres F , ignes
99 56 st. Dictæe G. Dircaee
99 74 st. quam . F. aut quam
29 77 st. lacerasse F. laniasse
99 83 st. lauros . F. colles

EGLOGA VII.
Verso 6 st. Hic mihi F. Huc mihi
"" 12 st. viridis • F. virides
22 15 st. depulsos F. expulsos
99 22 st. meo Codro . · F. modo Codro
9.9 41 st. Sardois . F. Sardonicis

EGLOGA VIII.
Verso 26 st. quid non F, quid nos
29 34 st. promissaque F. prolixaque
29 60 st. munus morientis . • F. morientis munus
99 70 st. Ulixi . • F. Ulixis
" 107 st. est et Ilax . F. est Hilas
,, 109 st. jam parcite carmina . F. jam carmina parcite
EGLOGA IX.
Verso 6 st. hædos F. agnos
22 13 st. dicunt F. referunt
XIV
Verso 26 st. necdum . F. nondum
"9 46 st. suspicis F. respicis
29 48 st. frugibus • F. fructibus
39 62 st. in urbem . F. ad urbem
99 64 st. cantantes F. cantando

EGLOGA X.
Verso 13 st. etiam flevere . F. nec non flevere
99 19 st . upilio . F. opilio
29 19 st. bubulci : F. bibulci G. subulci
99 32 st. vestris F. G. nostris
99 32 st. periti .. F. parati
99 33 st. quiescant . . F. quiescent
39 35 st. vestrique . • F. vesterque
"" 39 st. vaccinia. F. baccinia
.‫د‬ 50 st. condita . F. cognita
‫در‬ 56 st. vetabunt F. movebunt
99 62 st. Amadriades rursum • G. Hamadriades ruris
‫دو‬ 67 st. Nec si · F. Non si
xy

INDICE

Varie lezioni virgiliane tratte dai Codici


Florio e Guarneriano · pag. XII
ARGOMENTO dell' Egloga I. ‫در‬ 3
EGLOGA I. "" 4
Annotazioni all' Egloga I. "" 17.
ARGOMENTO dell' Egloga II. ‫در‬ 39
EGLOGA II. · "" 40
Annotazioni all' Egloga 11. "" 51
ARGOMENTO dell' Egloga III. ‫در‬ 61
EGLOGA III. "" 62
Annotazioni all' Egloga III. "" 83
ARGOMENTO dell' Egloga IV. 29 91
EGLOGA IV. "" 92
Annotazioni all' Egloga IV. 29 1ΟΙ
ARGOMENTO dell' Egloga V. ,, 109
EGLOGA V. "" 112
Annotazioni all' Egloga V. ,, 127
ARGOMENTO dell' Egloga VI. 29 135
EGLOGA VI.
"" 136
Annotazioni all' Egloga VI. ‫ در‬147
ARGOMENTO dell' Egloga VII. 22 155
EGLOGA VII. "" 156
Annotazioni all' Egloga VII. , 169
"
ARGOMENTO dell' Egloga VIII. pag. 173
XVI

EGLOGA VIII. "" 174


Annotazioni all' Egloga VIII. ,, 193
ARGOMENTO dell' Egloga IX. ‫ در‬201
EGLOGA IX. "" 202 1
Annotazioni all' Egloga IX. 22 213
ARGOMENTO dell' Egloga X. ,, 215
EGLOGA X. • 33 216
Annotazioni all ' Egloga X. ,, 229
"Catalogo delle traduzioni italiane della Buco
lica di Virgilio ‫ ور‬239
LA

BUCOLICA

DI

VIRGILIO
17
TITIRO

EGLOGA PRIMA

ARGOMENTO

In quest'egloga , nella persona di Meli

beo , che si suppone essere un pastore


del territorio di Mantova , è rappresen

tata la sciagura di quelli che prendendo

le parti di Bruto e di Cassio contro Ot

taviano perdettero le loro terre , dal vin


citore distribuite ai suoi veterani. Nel

la persona di Titiro è raffigurato Virgi

lio , che per favore d'Augusto ricuperò


il paterno poderetto , e fu colmato di

beni.
4
m

EGLOGA PRIMA.

MELIBOEUS , TITYRUS.

MELIBOEUS.

I Tityre , tu patulae recubans sub tegmine fagi

Silvestrem tenui Musam meditaris avena:

Nos patriae fines , et dulcia linquimus arva ;


Nos patriamfugimus: tu, Tityre, lentus in umbra
5 Formosam resonare doces Amaryllida sylvas.

TITYRUS.

O Meliboee , Deus nobis haec otia fecit ;

Namque erit ille mihi semper deus : illius aram


Saepe tener nostris ab ovilibus imbuet agnus.

Ille meas errare boves , ut cernis , et ipsum

10 Ludere quae vellem calamo permisit agresti.

MELIBOEUS.

Non equidem invideo, miror magis ; undique totis


Usque adeo turbatur agris. En ipse capellas

Protinus aeger ago :hanc etiam vix,Tityre, duco;


5

EGLOGA PRIMA.

MELIBEO TITIRO.

MELIBEO.

Titiro , I
itiro , tu sotto quell' ampio faggio
Posando desti la silvestre Musa

Con la sottil zampogna ; e noi fuggiamo


I paterni confini e i dolci campi.
Noi la patria fuggiam , tu lento all'ombra 5

Fai risonar le selve in ogni lato


Amarillide bella.
TITIRO.
O Melibeo

A me questi ozii ha fatto un dio , chè sempre


Ei per me sarà dio : sovente il sangue
D'un tenero agnellin della mia greggia 10

Bagnerà l'altar suo : ch ' egli permise ,


. Come tu vedi , a queste mie giovenche
Errare ove a lor piace , e a me quai voglio
Arie cantar su la zampogna agreste.
MELIBEO.
Io non t'invidio " ma bensì stupisco : 15

Tutto è scompiglio in questi campi : ah ! vedi


4. Che innanzi a me sospingo , egro , le capre ,
E appena questa meschinella , o Titiro ,
6

15 Hic inter densas corylos modo namque gemellos,

Spem gregis , ah! silice in nuda connixa reliquit.


Saepe malum hoc nobis, si mens non laevafuisset,
De coelo tactas memini praedicere quercus :

Saepe sinistra cava praedixit ab ilice cornix.

20 Sed tamen , ille deus qui sit , da , Tityre, nobis.

TITYRUS.

Urbem , quam dicunt Romam , Meliboee , putavi


Stultus ego huic nostrae similem , quo saepe
solemus

Pastores ovium teneros depellere faetus.

Sic canibus catulos similes , sic matribus haedos

25 Noram : sic parvis componere magna solebam.


Verum haec tantum alias inter caput extulit urbes,

Quantum lenta solent inter viburna cupressi.

MELIBOEUS.
Et quae tanta fuit Romam tibi causa videndi ?

TITYRUS.

Libertas : quae sera tamen respexit inertem ,

30 Candidior postquam tondenti barba cadebat :


Respexit tamen , et longo post tempore venit,

Postquam nos Amaryllis habet , Galatea reliquit :


7

Posso condur , che su la nuda pietra


20
Or si sgravò di due gemelli , speme
Della mia greggia , ed ahi ! lasciolli entrambi
Fra que' densi nocciuoli ! Or mi ricordo
Che un tanto mal mi predicean le querce
Fulminate dal cielo , e la sinistra
Cornacchia dalla cava elce , se tardo 25

Io non era di mente : ah ! ma infin parla ,


Titiro , di chi sia cotesto iddio .
TITIRO.
Io , Melibeo , fra me credea , da stolto "
Che la città , che chiaman Roma , fosse
Simile a questa nostra , a cui siam usi 30

Noi pastori cacciare i freschi agnelli :


Si i cagnolini assomigliava ai cani ,
I capretti alle madri , ed alle umili
Le magnifiche cose ; e veramente
35
Tanto quella città solleva il capo
Su l'altre , quanto levansi i cipressi
Sovra i lenti viburni .
MELIBEO .
E qual fu mai
La cagion che t'ha mosso a veder Roma ?
TITIRO .
Libertà , che guardò me neghittoso
Poichè la barba mi cadea più bianca 49

Sotto il rasojo , e benchè tarda alfine


Mostrommi il viso , e venne a consolarmi
Dopo tant' anni ; da quel dì che tutto
8

Namque fatebor enim ) dum me Galatea tenebat,


Nec spes libertatis erat , nec cura peculi ,

55 Quamvis multa meis exiret victima septis ,


Pinguis et ingratae premeretur caseus urbi ,

Non unquam gravis ære domum mihi dextra


redibat.

MELIBOEUS.
Mirabar , quid moesta deos , Amarylli , vocares ,

Cui pendere sua patereris in arbore poma.


40 Tityrus hinc aberat. Ipsae te, Tityre, pinus ,

Ipsi te fontes , ipsa haec arbusta vocabant.

TITYRUS.

Quidfacerem ? neque servitio me exire licebat,


Nec tam praesentes alibi cognoscere divos .

Hic illum vidi juvenem , Meliboee , quotannis

45 Bis senos cui nostra dies altaria fumant.

Hic mihi responsum primus dedit ille petenti :

Pascite, ut ante , boves , pueri : submittite tauros.

MELIBOEUS .
Fortunate senex ! ergo tua rura manebunt !
9

Son d'Amarilli , è Galatea lasciommi.


Perchè , lo deggio dir , mentre fra i lacci 45
Stava di Galatea , non v'era speme
Di libertà , nè di peculio cura ;
E benchè molte vittime portassi
Via da la mandra , e che premess ' io sempre

Grassi formaggi alla cittade ingrata , 50

Non mi pesava l'oro in mano quando


Tornava a casa .
MELIBEO.

Io non poteva allora


Immaginar perchè , Amarilli , mesta
Chiedessi aita ai numi , e a chi lasciassi
Pendenti i pomi sul nativo ramo. 55

Ma Titiro era lungi : e i pin te , Titiro ,


E te chiamavan pur gli arbusti e i fonti.
TITIRO.
Che far dovea ? Non era a me concesso
Nè uscir di servitù , nè pur poteva
Sentire in altro suol così vicina fo

La presenza de ' numi . O Melibeo ,


Qui mi fu dato di veder quel giovine ,
Pel quale il nostro altar devoto ogn'anno
Fuma dodici volte : ei primo diede
Questa risposta alle mie preci umili : 65

Pastor , pascete , come pria , gli armenti ,


E riponete ai vostri tori il giogo.
MELIBEO.
O vecchierello fortunato , ah ! dunque
10

Et tibi magna satis , quamvis lapis omnia nudus,


50 Limosoque palus obducat pascua junco :

Non insueta graves tentabunt pabula foetas ,

Nec mala vicini pecoris contagia laedent.


Fortunate senex ! hic , inter flumina nota ,

Et fontes sacros , frigus captabis opacum.

55 Hinc tibi, quae semper vicino ab limite sepes,

Hyblaeis apibus florem depasta salicti ,

Saepe levi somnum suadebit inire susurro.


Hinc alta sub rupe canet frondator ad auras;

Nec tamen interea raucae , tua cura, palumbes,


Go Nec gemere aeria cessabit turtur ab ulmo.

TITYRUS.

Ante leves ergo pascentur in aethere cervi,


Et freta destituent nudos ' in litore pisces ;

Ante , pererratis amborum finibus , exul

AutArarim Parthus bibet, aut Germania Tigrim,

65 Quam nostro illius labatur pectore vultus.

MELIBOEUS.

At nos hinc alii sitientes ibimus Afros,


II

Ti resteranno i tuoi terreni tutti ,


Da' quali avrai frutto per te bastante , 70
Benchè sieno sassosi , ed i tuoi paschi
Sien tutti ingombri di palustri giunchi :
Qui già non fia che inusitato pasto
Desti le voglie alle pregnanti agnelle ,
Nè rio contagio di vicino gregge 75
Giammai le offenda. O vecchierel felice !
Qua in mezzo ai noti fiumi e ai sacri fonti
Godraiti il fresco di quest' ombre amene.
Quinci la siepe del vicin confine ,
Laddove l'api iblee succhiano sempre 80

I fiori del salceto , a te sovente

Con placido gratissimo susurro


Infonderà soave il molle sonno :
E udrai lo sfrondator cantare all' aure
Sotto la rupe , ed incessabilmente 85
Gemeranno le rauche colombelle

A te sì care , e gemerà con loro


Il tortore amoroso in cima all'olmo.
TITIRO

Pria pasceransi in aria i cervi , e i mari


Lascieranno sul lido ignudi i pesci , 90
Pria peregrini l'un dell' altro al suolo
Berrà il Germano in Tigri , e il Parto in Sona ,
Pria che tolta mi sia da questo petto

L'immagine di lui.
MELIBEO.

Ma noi ramminghi
12

Pars Scythiam , et rapidum cretae veniemus


Oaxen ,

Et penitus toto divisos orbe Britannos.

En unquam patrios longo post tempore fines,


70 Pauperis et tuguri congestum cespite culmen,
Post aliquot, mea regna videns , mirabor aristas?

Impius haec tam culta novalia miles habebit ?

Barbarus has segetes ? En quo discordia cives


Perduxit miseros ! en queis consevimus agros!

75 Insere nunc, Meliboce, pyros, pone ordine vites.


Ite meae , felix quondam pecus , ite capellae :

Non ego vos posthac , viridi projectus in antro,


Dumosa pendere procul de rupe videbo :

Carmina nulla canam :non, me pascente, capellae,

·80 Florentem cytisum et salices carpetis amaras.

TITYRUS.

Hic tamen hac mecum poteris requiescere nocte

Fronde super viridi. Sunt nobis mitia poma ,

Castaneae molles , et pressi copia lactis :


13

Altri agli Afri assetati , altri agli Sciti , 95


Altri del torbo Oasse in riva , ed altri
Andremo fino agli ultimi Britanni
Dalla terra disgiunti. Ahi lasso ! adunque
Al confin della patria in alcun tempo
Non tornerò ? Nè dietro a rade spiche 100
Il colmo del mio povero tugurio
Di cespuglio ammontato , un dì mio regno ,
Fiso mirando non vedrò più mai?
Or dunque si godrà l'empio soldato
Questi novali sì ben culti , e i barbari J05

Divoreranno queste biade ? Ah ! dove ,


Dove mai la discordia insana trasse
I cittadini miserandi ! Or vedi

Per chi noi seminammo i campi ! oh ! vanne


Or innesta i tuoi peri , o Melibeo , 110
Poni in ordin le viti : andate , andate ,
O capre , un tempo mia felice greggia :
Ah ! ch'io non vi vedrò più , steso in seno
A verde grotta , inerpicar lontano
Su la sterposa rupe ; o capre mie , 115

Da me più non udrete altre canzoni 9


Nè brucherete più , perch' io vi pasca ,
Il citiso fiorito o il salcio amaro.
TITIRO.

Ma questa notte puoi dormir con meco


Sopra la verde fronda : io serbo in casa 120

Molli castagne , delicati pomi ,


E tengo copia di rappreso latte :
14
Et jam summa procul villarum culmina fumant ,

$5 Majoresque cadunt altis de montibus umbrae.


15

E già tu vedi da lontano il fumo


Sorger da i colmi de le ville , e omai
Dai monti alti cader la maggior ombra. 125
17

ANNOTAZIONI

ALL EGLOGA PRIMA.

Vers.1.Tityre etc. Lo parole di Melibeo sono quel


le di uno de' seguaci della libertà , i quali per la fer
mezza delle loro opinioni si tirarono addosso la ven
detta degli usurpatori ; e Titiro è dal poeta rappre
sentato per un adulatore , il quale per interesse esalta
fino alle stelle colui che soggiogò colle astuzie e col
le armi l'antica repubblica . Non posso dissimulare che
mi sembra stranezza del Servio , del Cerda e d'altri
commentatori , il credere che per Melibeo debba in
tendersi Cornelio Gallo . Per lui può ben gloriarsi il
Friuli di aver dato i natali ad uno squisito poeta ,
non però la repubblica di aver posseduto un cittadi
no di animo libero e virtuoso .
1. Recubans. Il P. Solari nelle Note giustificative
alle bucoliche dice d'aver usato nella traduzione il
vocabolo assiso invece di sdrajone , come più pittore
SCO. È naturale che chi canta o suona debba starsene
piuttosto seduto che sdrajato ; ma mi pare che sareb
be più pittoresco ancora il dipingere Titiro non SO
lamente seduto sotto il faggio , ma anche appoggiato
al tronco , lo che si esprime appunto col latino recu
bans , che vuol dire seduto con tutta la immaginabile
comodità.
1 . Fagi. Fagus silvatica , albero subalpino . B.
6. Deus nobis etc. Qui il Cerda , contro il Ser
vio , chiama Virgilio massimo adulatore. Anche il no
stro Tasso ha imitato Virgilio :
2
18

Ó Dafne , a me quest'ozio ha fatto Dio ,


Colui, che Dio qui può stimarsi. Am. att. 2. sc . 2 .
ma in questi v'è meno aria di adulazione. Il Tasso
non era stato educato nella romana Repubblica , per
ciò si può facilmente perdonargli tale incensata.
10. Ludere. Questo verbo usato da Virgilio nel sen
so di cantare non prendesi per cantare assolutamen
te , ma per cantar cose liete , cantare per passatempo.
10. Calamo. Fuscello di pianta arundinacea .
13. Aeger. L' Heyne così nota a questa parola :
affecto quamvis corpore , nisi aeger pro aegre accipias.
Io non lo intenderei mai nel primo senso , ma bensì
nel senso traslato ; cioè in uno stato di malinconia
procedente dall' afflizione dell'animo. In questo signi
ficato lo usarono più d'una volta i nostri poeti ita
liani ; p . e . il Petrarca disse :
OB 99 Egri del tutto e miseri mortali . “
E il Casa nel bellissimo sonetto al sonno :
33 ... o de' mortali
"" Egri confor to . "
Nella versione ho dunque ritenuto la stessa voce che
mi sembra espressiva e veramente poetica.
13. Duco. L ' Heyne spiega il duco col fune trahit.
Non credo che il condurre domandi il sussidio della
corda. Non è forse più patetica la pittura della pe
corella la quale , a stento sì ma volontariamente , va
dietro alla guida del suo pastore ?
14. Corylos. Corylus avellana : nocciuolo che alli
gna in tutte le siepi e boschi . B.
15. Connixa. Volentieri mi accordo con quegl' in
terpreti , i quali nel suono di questa voce sentono es
pressa la difficoltà del parto.
16. Si mens non laeva fuisset. Io ho seguìta l'in
19

terpretazione dell ' Heyne che per laeva intende stupi


da , tarda.
17. Quercus. Le quercie particolarmente della spe
zie : quercus robur. B.
18. Saepe sinistra etc. Questo verso manca in
quasi tutti gli antichi codici , e perciò fu omesso an
che in qualche edizione moderna ; ma siccome con
tiene in se certo senso profetico ho creduto bene ser
barlo.
18. lice. Elce o leccio : quercus ilex. Questa
pianta alligna in parecchj monti dell' Italia , e più
ancora nell' Illirio , cominciando dalla fonte del Tima
vo. Chiamasi cava o bucata , perchè il suo tronco ,
consumato dal tempo , diventa comodo asilo pegli uc
celli notturni , ed anche per altri uccelli che vanno
a deporvi le loro uova. B.
18. Cornix. La cornacchia : corvus corone. Non
v ' ha quasi alcuno che o poco o molto non creda ai
presagi. Il gracchiare delle cornacchie , il gemere dei
gufi , l'ululare dei cani ecc. sono suoni sempre udi
ti di mala voglia da coloro il bene o male de' qua
li sta intieramente in mano della fortuna. La cornac
chia da Plinio è reputata uccello di malo augurio ; e
Svetonio in Domit. cap . 23. dice che questo uccello
annunziò la morte a Domiziano : ante paucos quam
occideretur dies , cornix in capitolio eloquuta est: ɛsai
Távta xaλws. Nec defuit qui ostentum sic interpreta
retur :
Nuper Tarpejo quae sedit culmine cornix
Est bene non potuit dicere , dixit erit.
E tra i nostri Italiani il Petrarea dice poeticamente :
"" Qual destro corvo o qual manea cornice
,, canti il mio fato ec. (6
20
E il Tasso nell' Aminta att. 3. sc. 3. 29 sinistra

99 Cornice d'amarissima novella. "


Nè è da stupirsi che questi grandi abbiano prestata
qualche fede ai presagi , se Machiavello , ch'è più
filosofo di tutti , così si esprime con tutta la buona
fede nel libro primo dei Discorsi cap . 56 . ,, Si vede
,, per gli antichi e per gli moderni esempj , che mai
‫ رو‬non venne alcuno grave accidente in una città o
"" provincia che non sia stato da indovini , o da ri
"" velazioni , o da prodigi o da altri segni celesti pre
"" detto. "
20. Urbem. La seguente comparazione fra Roma
e le altre città è conforme al senso dei Romani , i
quali reputavano quella sola veramente città , e le al
tre le chiamavano castella. Vedi fra gli altri Quintil. 、
lib. 9. cap. 2 .
21. Huic nostrae etc. Intende parlare di Manto
va , verso la quale usa un linguaggio di spregio , per
aver ella mostrato di far poco conto della virtù di
lui ; lo che si accorda con quella antica verità : ne
mo propheta in patria sua.
26. Viburna . Le vavorne : viburnum lantana. Pic
colo arbusto da siepe : ha le foglie alquanto larghe
e bianchiccie al di sotto , e produce bacche rosse
aggruppate. B.
26. Cupressi. I cipressi : cupressus semper virens. B.
28. Libertas. Se Virgilio sotto la persona di Titiro
raffigura un servo fatto libero , secondo la nota del
Turnebo mentovata dal Cerda e tenuta per solida dal
l' Heyne , non bisogna più dire che Titiro sia Virgi
lio medesimo , perchè non abbiamo alcun dato cer
to ch'egli fosse uno di + quei servi fatti liberi collo
spectatus satis , cioè con quelle parole che si profe
21

ferivano per significare che il tale avea servito abba


stanza , significando in quel caso la parola libertas pro
priamente la liberazione della servitù . Ma io credo con
buona pace di sì valenti commentatori , che Virgilio

intenda qui quella libertà che deriva dallo svincola


mento da ciò che può essere di ostacolo alla felicità
della vita , e , prima di tutto , il possedimento di quel
le cose con cui si possa soddisfare senza pena ai

proprj bisogni. Sotto questo aspetto egli venera Au


gusto come un Dio , e crede meritarsi scusa per la
prodigalità delle sue adulazioni . Però la libertà di vi
vere al presepio di Augusto non era quella di un sa
vio , potendo essere anch'ella caduca, come lo poteva
essere quello che la donava . Nessuno Stoico l' avrebbe
intesa a questo modo. Orazio stesso , tuttochè pecora
dello stesso ovile , la pensava altrimenti quando disse :
Quisnam igitur liber? sapiens , sibique imperiosus ,
Quem neque pauperies , neque mors , neque vin
cula terrent ,

Responsare cupidinibus , contemnere honores ,


Fortis , et in seipso totus teres atque rotundus.
Externi ne quid valeat perleve morari
In quem manca semper ruitfortuna. Hor. l. 2. sat.7.
29. Candidior postquam etc. Qui s'imbrogliano
quegl' interpreti , i quali vogliono che Virgilio raffi
guri se stesso nella persona di Titiro , non potendo
eglino accordare questo passo con l'età in cui il poe
ta compose l'egloga. In quanto a me opino che sia
questo un modo di dire proverbiale , il quale signi
fichi , per così esprimermi , l' età del buon giudizio ,
nello stesso modo che si dice volgarmente anche fra
noi cominciano a venire a quello i capelli bianchi ,
cioè comincia a pensare sul serio.
22
29. Tondenti. A quel tempo i Romani aveano lu
so di radersi la barba ; così Plinio lib. 3. cap . 59 :
Primus omnium radi quotidie instituit Aphricanus : se
quens divus Augustus cultris semper usus est.
30. Respexit tamen et longo etc. Il Solari dice in
torno a questo verso : 99 lo credo intruso da chi te

32 meva che il respexit non racchiudesse anche il ve


nit. La ripetizione immediata del postquam , che
33
99 lega l'epoche , mi parve da preferirsi al secondo
"" respexit , forse affettuoso , ma guasto dal longo post
,, tempore dopo il sera e il candidior ".
Confesso che io non sento il guasto del respexit,
e che non trovo qui che un gruppo di affetti , ap
punto senza cert' ordine , il che mi pare naturalissi
mo ne' vecchi , i quali si commuovono e si confon
dono alla rimembranza di quelle cose passate , che ca
gionarono loro o gravi affanni o grandi piaceri . Per
tal ragione io ho ritenuto il verso come perfettamen
te virgiliano.
31. Amaryllis. Il Cerda e altri molti sostengono
che sotto il nome di Amarilli debba intendersi Ro
ma , e Mantova sotto quello di Galatea ; e ciò desu
mono dall ' aver detto il Poliziano che il nome arcano
di Roma sia Amarillide ; ma questo istesso nome è
pur quello che Titiro dà ad una donna sua aman
te , a lui più cara dell' altra chiamata Galatea , la
quale era una civetta che gli ghermiva quel poco sol
do ch' egli ricavava dagli agnelli e dai formaggi ven .
duti nella città. Oltre di ciò il nome arcano di Ro
ma non era veramente Amaryllis , ma Saturnia , CO
me si deduce da Minuzio Felice cap. 22. Ottav. , da
Varrone ling. lat. lib. 4. cap. 7. , da Virgilio nel
l'Eneide lib . 8. v. 357. , e da Dionigi d ' Alicarnasso lib.
23
1. cap. 34. , e lib. 2. cap. 2. , la quale osservazione fu
fatta dal chiarissimo filologo padovano ab. Furlanetto ,
che l'Italia riguarda a ragione come uno de ' piu va
lorosi di oggidì .
33. Peculi. Per peculium non è sempre necessario
intendere la moneta che alcuno raccoglieva per libe
rarsi dalla schiavitù del padrone , potendo benissimo
significare quel denaro che ognuno può accumulare
stando sotto la podestà di qualcheduno . Perciò quan
do Virgilio era incatenato da Galatea , dum me Ga
latea tenebat , non potea empiere il suo borsiglio , per
chè tutto andava a satollare le capricciose voglie di
colei ..

34. Victima. Agnelli e capretti che si vendeano


ai devoti per uso de' sagrifizii .
37. Mirabar quid moesta Deos , Amarylli, vocares.
Anche qui si esce dalle ambagi degl' interpreti se si
continua a credere che il nome di Amarilli sia quel
lo di una donna , altrimenti non si può più intende
re il senso , e bisogna rimediare col dire che vi sia
sbaglio nel testo , e che invece di Amarylli debbasi
leggere Galatea ; ma ciò sarebbe assurdo , perchè Man
tova era stata di sopra accennata da Titiro come cit
tà ingrata e poco curante di lui , e perciò non v'e
ra ragione che si dolesse per la sua lontananza 9
tanto meno essendo egli andato a far la corte a quel
l'Augusto, dal quale i Mantovani furono rovinati.
38. Poma. Nome generico di tutte le frutta d' al
bero . B.
39. Pinus. Il pino dai pinocchi ; pinus picea. B.
42. Praesentes cognoscere divos. Gl'interpreti in
tendono praesentes per faventes , propitios , e ciò andrà
bene ; però deve supporsi che il benefizio venga tras
1

24

messo dalla presenza stessa del nume . E qui appunto


pare che Virgilio sostenendo l'allegoria della divinità
di Augusto voglia dire che è andato a prostrarsi ai
piedi di questo Iddio , perchè manifestasse a lui favo
revolmente la sua volontà : cognoscere divos ; lo che
si vede ancora più chiaro badando ai versi seguenti :
Hic illum vidi etc. Tutti quelli che implorano il soc
corso della divinità procurano sempre di andarla a
consultare dov ' ella si mostra sotto forme visibili , for
se coll'idea che la presenza si del nume che del sup
plicante renda più efficace la preghiera . Praesentiam
saepe divi suam declarant. Cic. de Nat. Deor. lib. 2 .
Del che si trovano esempj sì nei libri degli autori
sacri , come dei poeti gentili . Così nella scrittura : ac
cedamus huc ad Deum. Reg. lib. 1. cap . 14. e : Deus
ecce Deus. Virg. lib . 2.
43. Juvenem . Ottaviano , il quale potea avere cir
ca 22. anni .
44. Bis senos. Intendesi dodici volte all'anno. Era
no questi sagrifizii , secondo Turnebo ed il Cerda , che
chiamavansi sacra menstrua , e si facevano in ciasche
dun mese .
45. Responsum. La parola responsum deve inten
dersi per oracolo ; nel qual senso la usò Cicerone
nel secondo libro Della nat. degli Dei : Multa de aru
spicum responsis commemorare possum.
46. Pascite ut ante boves pueri etc. Questo verso
non è riferibile a Titiro il quale non era nè ragazzo nè
servo , ma è una espressione vaga e sentenziosa confor
me a quelle degli oracoli , talchè Titiro udendo che i
ragazzi e i servi , a cui fu sempre affidato il governo
degli animali , poteano ancora riprendere i consueti
uficj conchiuse , che i suoi beni erano in salvo , e
25

tale fu anche la conseguenza che ne trasse Melibeo


rispondendo : fortunate senex etc. Ma l' Heyne , per non
deviare dalla prima sentenza , che Titiro fosse un ser
vo, spiega così quel verso : facultas nobis data est , ut
nos pueri vernae , servi , libere pascéremus et tauros
submitteremus .
46. Submittite tauros. Il submittere secondo alcuni
significa accoppiamento per la propagazione , e perciò
il Solari tradusse : ,, o fanti ,
"" Pasco a mandre , qual pria , lor spose a tori.
Ma il Servio spiega il submittere per aggiogare jugo
ad arandum. Il Rueo segue l'interpretazione del Ser
vio come più semplice e conveniente ; motivo per cui
fu pure da me prescelto il senso del Servio .
47. Fortunate senex ! Anche questo imbroglio del
senex si toglie subito , considerando che Virgilio , tut
tochè ancor giovine , raffigura se stesso sotto la per
sona d'un vecchio , sì per iscusare la sua fragilità nel
l'accettare le largizioni di Augusto , volendo dire che
un vecchio prudente deve adattarsi al corso degli av
venimenti , non avendo più forza nè da operare nè da
patire gli stenti , come pure per far vedere che il mag
gior benefizio ch' ei potea ottenere da Augusto era
quello di lasciarlo godere felice vita in mezzo alle de
lizie del suo poderetto . E qui Virgilio ha mostrato a
mio parere somma delicatezza di animo. Quai beni
più dolci di godere , nella vecchiaja , la vita qui de
scritta con tanto affetto da Melíbeo ? Ma se queste pa
role si riferissero ad un uomo giovine , come appunto
era Virgilio quando scriveva l'egloga , sarebbero esse
riuscite così dolci e patetiche ? Lascio ciò giudicare
non ai freddi commentatori , ma a quegli animi che
sono talmente temperati da poter gustare le virgiliane
26

bellezze : questi ultimi solamente sentono subito la


convenienza del testo senza bisogno di commentarlo.
E chi vuol convincersi che la felicità villereccia fosse
la sola desiderata dal nostro poeta non ha che a leg
gere l'amenissima descrizione della vita rustica nel li
bro secondo della georgica :
O fortunatos nimium sua si bona norint
Agricolas etc.
47. Tua rura. Il tua , a mio credere , distrugge af
fatto l'asserzione del Turnebo , del Cerda , dell' Hey
ne ec. , i quali intesero che Titiro , e in conseguenza
Virgilio , fosse un uomo di condizione servile ; perchè
qui si tratta di conservazione di fondi paterni , e non
di beni comprati dopo il riscatto . Forse che il Cerda
per non contraddirsi ha omesso di fare a questo luo
go veruna annotazione.
48. Et tibi magna satis etc. Qui si loda la buona
agricoltura di Titiro , il quale sapea trar frutto bastan
te dalla sua campagna , divisa in campi arati ed in
pascoli , ad onta della sterilità del terreno .
49. Junco. "" Pianta perenne degli acquitrini , si
,, milissima alla ginestra , ma non fa fusto nè foglie
99 ed è di più maniere. I contadini se ne servono per
"" legare le piante , fare sporte , graticole da giunca
,, ta , e per altri usi rusticali. Il midollo di quella spe
93 cie che da botanici è detta juncus conglomeratus
29 serve per far lucignoli che diconsi stoppini perpe
"" tui " ( Alberti Diz. univ. ) .
50. Foetas. L ' Heyne spiega il foetas coll' enixas
intendendo con ciò le pecore che hanno partorito di
fresco , e il graves vuole che significhi aegras partu :
tentare , così egli prosiegue , de morbis proprie : ita
non necesse cum aliis distinguere post pabula , et gra
27
ves , gravidas , foetas autem quae peperere intelligere
ut Cerda fecit. Insueta tandem pabula , vel quia igna
rum pecus non sentit noxias herbas esse , quas depa *
-scit : vel omnino quia corporibus infirmis ea non salu
bria sunt , quibus non adsueverunt. Quanto a me va
do alla semplice , e intendo che foetas faccia l ' ufi
cio di sostantivo , e graves di aggiunto , essendo natu
rale , che le pecore pregne abbiano maggior difficoltà
di camminare pel peso che portano nel ventre. E che
qui intendasi delle pregne , e non di quelle che han
no partorito , lo prova il tentabunt, e l'insueta aggiun
to al pabula , stantechè i cibi insoliti e strani soglio
no sempre invogliare ardentemente le pregnanti.
51. Nec mala vicini pecoris contagia laedent. I pa
stori , che non hanno beni proprii , anche al giorno d'og.
gi vanno a pascolare nei beni detti comunali , dove

trovandosi molte pecore di diversi padroni si assem


brano facilmente le une con le altre , e quelle infette
comunicano il male alle sane . Uno dunque dei van
taggi di Titiro era quello di aver paschi proprii senza
bisogno dei comunali , dal che ne avveniva ch' egli
era fuori del pericolo d'infettar la sua greggia. I ma
li epidemici si chiamano contagi , perchè si comunica
no col contatto .
A
52. Flumina nota ; cioè quelli che cominciò a ve
dere appena nato , e perciò compresi negli oggetti da
lui più amati di tutti. Erano questi il Pò e il Mincio.
53. Fontes sacros. I fonti si chiamavano sacri per
chè si credea che fossero protetti da qualche dio o
dea. Questa religione sembra esser venuta dall'oriente
e sopra tutto dai Persiani. Erodoto lib. I. e Strabone
lib. XV. annoverano fra gli Dei dei Persiani Giove ,
il Sole , la Luna , Venere , il Fuoco , i Venti e l'Acqua,
28

i quali numi essi non adoravano simboleggiati sotto ve


runa forma umana , e perciò non aveano templi , nè alta
ri , nè statue. Parimente Porfirio nell' Antro delle ninfe
dice che Eubulo nelle montagne vicine alla Persia
consecrò la nativa spelonca , da cui scaturiva una fonte.
I sacrifizj all'Acqua si faceano in questo modo :
scavavasi una fossa vicino ad un lago o ad un fiume
o ad una fonte , ed ivi si scannava la vittima , guar
dandosi bene che il sangue non andasse a tingere l'ac
qua vicina , perchè questa era giudicata profanazione ;
poscia i maghi abbruciavano le carni sovrapposte al
lauro e al mirto ; e mentre cantavano un inno spar
geano olio , latte e miele mescolati insieme , non già
nel fuoco o nell'acqua , ma sulla terra ( Ved . Stan
lejo Fil . orient. 1. 2. ).
54. Sepes. Se non m'inganno , nella traduzione da
me fatta di questo passo , è espresso il vero senso
del testo chiamato dal Rueo satis intricatus. Sembra
mi sommamente poetico il ritenere la siepe come og
getto conciliante il sonno , perchè da quella esce il
ronzio delle api , le quali sono prima udite che vedu
te da quegli che va a sedersi sotto per riposare . Il
poeta non deve descrivere le cose colle particolarità
d'un fisico , ma secondo la prima impressione che es
se fanno sui sensi . Vedasi a questo proposito ciò che
io ho detto nella nota 6. del cap. XXI . del Purg. di
Dante nell' ediz. Udinese.

55. Hyblaeis apibus. Nel modo col quale Virgilio


parla delle api iblee pare che quelle del monte Ibla
fossero d'una razza particolare e migliori delle comu
ni. Questa distinzione da api ad api non è immagi
naria. Il chiarissimo entemologo genovese Massimilia
no Spinola ha osservato una differenza fra le api del
29
sud , e quelle del nord . È da osservarsi che le api
frequentano i salici in due differenti stagioni , cioè
sul principio della primavera e sul finire della state.
In primavera si cibano del poline , e nell' altra sta
gione raccolgono le secrezioni zuccherine de' gorgoglio
ni che abitano su quelle piante . Al tempo di Virgi
lio non si sapeano queste particolarità , perciò egli
suppone che le api delibino i fiori del salice anche
nella stagione che si dorme all'ombra , cioè nella state. B.
55. Salicti. S'intende una piantagione di salci , i
più comuni dei quali sono le specie salix alba , salix
vimenalis. Di queste due specie di salici si formavano
e si formano in qualche luogo anche presentemente
i salcetti vicino alle siepi , somministrando la prima
specie i pali pel sostegno delle viti , e la seconda i
vinchi per la ligatura delle stesse. B.
56. Frondator. Io non credo che frondator voglia
dire potatore , come taluno ha tradotto , nè che sia
quello che i Greci chiamano Sevdporoμos , cioè ligno
rum caesor 2 e che Plinio chiama arborator ; ma cre
do piuttosto che voglia dire sfrondatore , cioè quegli
che spoglia le viti e gli alberi delle foglie per darle
da mangiare ai vitelli , ed agli agnelletti che non si
mandano al pascolo.
57. Palumbes. Sembra che questi non sieno i co
lombi propriamente detti selvatici , ma che sieno di
quelli mezzo addimesticati , e che si conservano in
certe torricelle fatte a tale uopo nelle case campestri ,
Love si radunano a stormi , e d' onde volano libera
mente a pascolare per le campagne, e ritornano a per
nottare e a fare il nido. Per questo non ha dato al
tro aggiunto a palumbes fuorchè tua cura ; mentre al
palumbes nell ' egloga III. ha dato l'aggiunto di aeriae .
30

Secondo Cuvier appartengono questi alla spezie co


lumba Livia Brisson.
58. Turtur. Tortora comune : columba turtur.
59. In aethere cervi. Sono stato sul dubbio s ' io
dovea preferire la lezione in aethere o in aequore , tro
vandosi e l'una e l'altra nei codici antichi , ed in pa
recchie edizioni ; ma avendo considerato l'epiteto di
leves dato dal poeta a cervi mi sono tenuto alla le
zione più comune , cioè in aethere , immaginandomi
che quest' argomento ab impossibili spicchi di più ,
mentre si esprime non solo la impossibilità di cibar
si , ma anche di sostenersi , come sarebbe nell'aria
ad onta della conosciuta leggerezza del cervo ; tanto
più che il cervo ogni volta ch'è tradito dalla terra si
affida all'acqua. V. Bonnet Contemplazione della Nat.
t. III. p . XII . c. 44. Questa spezie di cervi è denomi
nata cervus elephus.
Parmi in oltre dover aggiungere che il Tasso , il

quale imitando potea alterare il testo , trovò cosa più


conveniente seguire la lezione comune .
"" Et allor questa semplice e devota
"" Religion mi si torrà dal core ,
"" Che d'aria pasceransi in aria i cervi ,
"" E che mutando i fiumi e letto e corso ,
66
"" Il Perso bea la Sona , il Gallo il Tigre .
Amint. att. 2. sc. 2 .
60. Pererratis amborum finibus etc. Qui Virgilio
parla del confine occidentale sì della Germania che del
la Partia. I Parti venuti dalla Scizia aveano conqui
stato quelle terre asiatiche , che si comprendevano fra
quella regione e il fiume Tigri , il quale ha le sue
sorgenti nei monti dell' Armenia , e passando per l'an
tica Caldea si scarica nel Golfo Persico ; dall' altro
1

31

canto l'Arari ( ora detto Saona ) , che nasce nei monti


Voghesi e si scarica nel Rodano , è indicato da Vir
gilio quasi confine della Germania , non essendo il
Reno confine stabile dei Germani di quel tempo. Si
trova nei commentarj di Cesare , che i Germani oltre
passarono quel fiume, e scacciati i Galli tennero lun
gamente le loro terre ; locchè conferma anche Tacito
con queste parole : caeterum Germaniae vocabulum re
cens et nuper additum : quoniam qui primi Rhenum
transgressi Gallos expulerint , ac nunc Tungri tunc
Germani vocati sunt. ( De morib. German . ) . Il Poe
ta dunque fu abbastanza esatto col porre l'Arari per
confine della Germania.
61. Aut Ararim etc. L ' Heyne censura questo ver
so come contenente troppa erudizione per un pastore..
Questa censura potrebbe essere ragionevole se il pa
store che parla fosse uno di quelli che in tempi pa
cifici se ne stanno tranquillamente a pascere le loro
gregge nelle montagne fra la semplicità e le delizie
della vita pastorale ; ma nel momento in cui ardeva
no nella Repubblica romana le guerre interne ed e
sterne , e in cui fiorivano i più illustri capitani del
mondo , mentre Cesare avea guerreggiato nelle Gallie
sul fiume Arari e nella Germania , e Pompeo sul
Tigri contro quel Mitridate che diede tanto che fare
ai Romani , e finalmente nel tempo in cui questo istes
so pastore avea perduti i suoi campicelli ei suoi pa
scoli , per aver aderito alla parte degli uomini liberi ,
non trovo improbabile che Titiro faccia menzione del
l' Arari , della Germania , del Tigri e dei Parti ; e
perciò chiedo perdono a questo insigne critico se non
posso assentire alla sua opinione.
63. At nos hine ali etc. Dopo la battaglia di Fi
32

lippi, in cui perirono Bruto e Cassio , Ottaviano tor


nò in Italia , e distribuì con esempio inaudito d'in
giustizia e di crudeltà le possessioni e le città de' suoi
avversarj ai soldati veterani ; la qual cosa lo scellera
to Antonio suo collega chiamava riforma dell'Italia ,
come si legge in App . lib. 5. A quel tempo Antonio
trovavasi nell' Asia , e l'Europa era piena di guerre ,
di calamità e di pericoli , sicchè non restava pei mi
seri coloni , scacciati dai loro poderi , altro rifugio
fuorchè l'emigrare nelle terre più strane e remote del
mondo conosciuto. Non è poi da stupirsi che un Me
libeo pastore abbia saputo nominar queste terre , es
sendochè la loro celebrità era anzi grandissima , per
l'impossibilità che aveano avuto i Romani di soggio
garle , sì per la difficoltà dei loro siti che per la fie
rezza dei loro abitatori. Di tali cose lontane e diffi
cili si raccontano sempre miracoli , e il volgo che tut
to crede e ingrandisce sempre ammirativamente ne
parla. Il pensier del poeta fu dunque di accennare i
paesi ancora intatti dalle armi romane , come luoghi
di salvamento per coloro che erano espulsi dalle pro
prie abitazioni. Nomina perciò Afros sitientes , volendo
indicare colla parola sitientes ch'erano gli abitatori di
quella parte dell' Africa deserta , aspra , arenosa , ch'è
sotto la linea , ed a cui al riferir di Strabone nel lib.
2. della Geografia non eranvi andati ancora eserciti ,
e comprendeva questa gli Etiopi , i Garamanti , i Mau
rusii , i Negriti , i Getuli. Dopo gli Africani nomina
gli Sciti , popoli erranti , feroci , liberi e padroni del
le regioni settentrionali dell' Asia , che erano difesi dal
regno de' Parti , a cui aveano dato origine e che resi "
steva con tanto vigore ai Romani. In quanto poi al
l'Oasse non dubito che non si debba accettare l'opi
33

nione del Servio , e leggersi non Cretae , cioè dell'i-·


sola di Creta , ma cretae cioè di terra creta , per cui
diventa torbido , la quale opinione è anche sostenuta
dal ch. avvocato Fea come attesta il Solari . E ciò si
comprova dal trovarsi il vero Oasse nella Mesopota
mia , la quale si dovea considerare essa pure come
paese di ricovero , essendo situata oltre i Parti i Me
di e gli Armeni , nazioni non mai bene domate dai
Romani. Se Virgilio avesse nominato un Oasse del
l'isola di Creta avrebbe 4 commesso uno sbaglio geo

grafico, che non può supporsi in uomo di sì vasto sa


pere ; e di più , quand' anche un fiume di questo nome
fosse stato veramente in Creta , il che è dubbioso " ,
non avea alcuna grande particolarità per esser noto
ad un pastore ; e il ritenere uno sproposito per un vez
zo in bocca di Melibeo , come opína il Solari , è un
gusto tutto suo proprio , per cui diremo : trahit sua
quemque voluptas. Oltre di ciò Virgilio nuocerebbe
alla sua idea , chiaramente manifestata , d'indicare i
siti non ancora occupati dai vincitori del mondo , non
potendo egli dir questo di Creta , la quale a quel
tempo era stata soggiogata da Metello , detto Cretico
per aver trionfato in quella guerra , dopo di che l'i
sola era divenuta colonia romana , come si può vede
re in Vellej . Paterc . lib . 2. , e nella geografia di Stra
bone lib. 15. Per ultimo il poeta nomina i Britanni
come rifugio degli esuli , perchè disgiunti dal mondo ,
come avea detto Catullo : horribiles et , ultimosque
Britannos , e perciò liberi ancora dal giogo romano "
tuttochè fosse andato Cesare a visitarli . 1 E che tali
allora si reputassero lo si vede chiaramente dalle se
guenti parole di Tacito nella vita d'Agricola : primus
omnium Romanorum divus Julius , quamquam prospe
3
34

ra pugna terruerit incolas , ac litore potitus sit , po


test videri ostendisse posteris , non tradidisse : mox bel
la civilia , et in rempublicam versa principum arma ,
ac longa oblivio Britanniae etiam in pace. Così colla
storia di que' tempi, se non m'inganno , viene rischia
rato anche questo passo della più importante , e più
bella delle egloghe virgiliane.
66. En unquam etc. Questo passo sembra agl ' in
terpreti fra tutti difficilissimo . Alcuni intendono che
l'aristas debba prendersi in senso di stagioni , come
fu usato da Claudiano ( de 4. cons. Honor. ) : decimas
emensus aristas , volendo dire per dieci anni. Così la
pensava anche il Vico ( Scienza Nuov. ediz . di Livor
no , pag. 278. ) , il quale porta innanzi questo verso
virgiliano in prova ,, dell' infelicità dello spiegarsi delle
prime genti latine , " non avvertendo in ciò quel cele
bre filologo , che male egli applicava ad un rozzo pa
store de' primi tempi latini l'espressioni di un pasto
re , che dal poeta si rappresenta vivente nel secolo
d'Augusto, Altri opinano , che per aristas debbano in
tendersi le spiche di frumento ; ed avvi pure taluno
che vorrebbe , come il Solari , dichiarare apocrifi i
tre versi consecutivi. "" La brama , egli dice , che
29 avrebbe il pastore di rivedere la patria , e le cose
03 già sue, è in natura ; ma il modo con cui la espri
"" me non è da Virgilio , anzi neppure da poeta mez
,, zano. " Lodo il coraggio di questo valente critico ,
il quale non vuole esser pedante per rispetto all' an
tichità de' codici ; ma senza perdermi in obbiezioni,
nè in lunghi comenti del testo , dirò che non si de
ve esitare a prendere l'aristas in significato di spi
che , e che la bellezza di questi versi si fa senti
re nei teneri affetti espressi dal contadino , che dopo
35
tanti anni di dolorosa lontananza ritornato ai confini
della sua patria , cerca con guardo ansioso , espresso
nel mirabor , il luogo della sua abitazione , e che ri
conosce i proprj campi , vedendo il colmo della sua
casetta che sporge dietro di loro. Il cespes e l'aliquot
aristas esprime la selvatichezza quasi totale del pode
re , per la mancanza del padrone ; espressioni tanto
più patetiche in quanto che si fa sentire il contrap
posto del mea regna , dimostrante l'antica floridezza di
quei terreni.
69. Impius miles. A ragione , perchè questi solda
ti pugnarono a favor dei tiranni .
69. Novalia. Maggesi , campi riposati che si pre
parano e si coltivano per seminare nell'anno dietro :
Novale est, quod alternis annis seritur. ( Plin . I. 18. c. 9. )
70. Barbarus. Qui penso col Cerda che Virgilio
voglia caricare di questa odiosità non i soldati vera
mente Romani , ma quei delle nazioni conquistate , che
furono incorporati nelle legioni romane ; sicchè il ro
mano esercito potea dirsi contractus ex diversissimis
gentibus. ( Ved. Tac. vit . Agr. )
jo. En quo discordia etc. Virgilio vuol dunque
far comparire turbolenti e sediziosi quei cittadini che
combatterono sotto gli stendardi della Repubblica ? Ta
li potrebbero eglino considerarsi , se antecedentemente
Roma fosse stata una monarchia ; ma il governo le
gittimo era quello della Repubblica , e per conseguen
te sediziosi e turbolenti furono i seguaci di Cesare e
di Augusto , e tiranni possono chiamarsi costoro che
sovvertirono gli ordini legittimi dello stato. Nessuna
espressione si può trovare, a mio credere, più artifi
ziosa di questa , colla quale il poeta vuol far sentire
dalla bocca stessa degl' infelici proscritti , ch'essi non
36

hanno che ad incolpar se medesimi dei mali che sof


frono.
77. Florentem cytisum. Il citiso dei Romani , secondo
Sprengel e secondo il Berini , è senza dubbio la specie
medicago arborea. Di questo frutice parla diffusamente
Plinio nel lib. 13. sez . 47. Il Marsilli fino dall' anno 1795.
avea primo di tutti spiegata questa opinione in una me
moria letta all' accademia di scienze e lettere di Padova.

.‫ د‬La pianta , egli diceva , in cui parmi che si possa


,, senza equivoco riconoscere il citiso legittimo del
"" l'antichità , è quella specie di medicago , da Turne
‫ رد‬forzio nominata medicago trifolia frutescens , incana ,
,, e da Linneo definita medicago leguminibus lunatis
"" margine integerrimis , e chiamata dal Miller medica
.‫ د‬arborea. “ ( Ved . Mem. Acc. Tom. I. Padova 1809. )
79. Fronde super viridi. S'intende il foraggio recen
te che si ammassava sfrondando i pioppi e gli olmi . B.
79. Mitia poma. Questi sono i pomi dolci , detti
domestici perchè addimesticati coll' innesto .
80. Castaneae molles. Supponendosi questo dialogo
accaduto nella state, per castagne molli devono inten
dersi le castagne lessate . Anche qui v'è una quistio
ne fra il Servio , il Marcello , il Turnebo . Per ispie
gare la tenerezza delle castagne una sì seria quistione ?
80. Pressi copia lactis. S'intende formaggio , giun
cata , ed altri composti di latte rappreso .
81. Et jam summa etc. I due ultimi versi son de
gni del pennello inimitabile di Virgilio . Nessun pittore
avrebbe saputo dipingere gli oggetti con maggior ve
rità di colorito al sopraggiungere della notte.
81. Culmina. A quel tempo non v'erano cammini ,
ma si lasciava scoperta la stanza nella quale si face
va fuoco ; e perciò Virgilio parla con precisione di
37
cendo che si vedeano fumare i colmi delle case . B.
82. Majoresque cadunt altis de montibus umbrae.
Per ombre maggiori io intendo precisamente la notte
che sta per cadere sul mondo . Il significato dell' ul
timo verso è ben differente da quello del verso che
trovasi nell' Egloga II .: Et sol crescentes decedens
duplicat umbras ; il che vuol dire prima del tramon
tar del sole , perchè allora le ombre ad ogni istan
te si raddoppiano , ma non sono ancora giunte le
maggiori di tutte, cioè quelle che coprono il mondo .
Queste cominciano a discendere dalle montagne subi
to che il sole è sotto l'orizzonte , momento in cui
da lontano si vede sollevarsi il fumo , perchè a quel
l'ora le donne villereccie apparecchiano la cena ai la
voratori che s'incamminano verso le loro case . A
maggior chiarezza citerò qui Virgilio stesso nel li
bro II. dell' Eneide :
nox humida coelo
Praecipitat
Vertitur interea coelum , et ruit Oceano nox
Involvens umbra magna terramque polumque .
E che altro è quell'umbra magna se non l'ombra
maggiore di tutte , ossia l'ombra notturna ?
CORIDONE

EGLOGA SECONDA

ARGOMENTO

Coridone , sotto il cui nome sta forse

nascosto Virgilio , si lagna in quest'eglo

ga, che Alessi , creduto da alcuni Alessan

dro fanciullo dedito ad Asinio Pollione ,

non corrisponda al suo amore . Egli usa

d'un linguaggio dolcissimo e seducente

per indurlo ne' suoi desiderii , ma alfine

sdegnatosi della renitenza di colui, e ver

gognandosi della propria debolezza , termi


na col disprezzarlo e col pensare a cose

più utili e oneste .


40

EGLOGA SECUNDA
***

CORYDON.

I Form osum
ormo sum pastor Corydon ardebat Alexin ;
Delicias domini; nec quid speraret habebat.

Tantum inter densas, umbrosa cacumina,fagos


Assidue veniebat . Ibi haec incondita solus

5 Montibus et sylvis studio jactabat inani :

O crudelis Alexi , nihil mea carmina curas ?


Nil nostri miserere ; mori me denique coges.

Nunc etiam pecudes umbras etfrigora captant;


Nunc virides etiam occultant spineta lacertos ;

10
Thestylis et rapido fessis messoribus aestu
Allia serpillumque herbas contundit olentes.

At mecum raucis , tua dum vestigia lustro ,


41

EGLOGA
GLOGA SECONDA

CORIDONE.

Il Pastor Coridone ardea d'amore

Pel vago Alessi del padron tesoro ;


Nè avea di che sperar , ma pur venia
Spesso nel loco , ove più densi i faggi
Intreccian l' alte ombrose cime , ed ivi 5

Solo , del suon di questi incolti versi


Invano empieva le foreste e i monti.

Crudele Alessi , ah ! porgere

Non vuoi tu dunque orecchio ai versi miei ?


Di me pietà non toccati : 10

Morire io deggio , e tu cagion ne sei.


Ora gli armenti godono
Il fresco sotto i densi alberi ombrosi ,
Ed i ramarri posano

Entro il più folto de ' cespugli ascosi. 15


Ai mietitor , che languono

Fra i rapidi del sol bollenti raggi ,


L'affaccendata Testili

Trita l'aglio e il serpillo , olenti erbaggi.


E mentre attento io seguito 20

I tuoi vestigi , or che l'ardor più cuoce ,


42
Sole sub ardenti resonant arbusta cicadis.

Nonne fuit satius, tristes Amaryllidis iras

15 Atque superba pati fastidia ? nonne Menalcan ?


Quamvis ille niger , quamvis tu candidus esses.

O formose puer , nimium ne crede colori :


Alba ligustra cadunt, vaccinia nigra leguntur.

Despectus tibi sum, nec qui sim quaeris, Alexi ;

20 Quam dives pecoris nivei, quam lactis abundans.


Mille meae Siculis errant in montibus agnae.

Lac mihi non aestate novum, non frigore defit.

Canto quae solitus , si quando armenta vocabat,


Amphion Dircaeus in Actaeo Aracyntho.

25 Nec sum adeo informis : nuper me in litore vidi,

Cum placidum ventis staret mare. non ego


Daphnin
Judice te mutuam , si nunquam fallat imago.
43

Meco risonan gli alberi


Delle cicale dalla rauca voce .
Non fu me' d' Amarillide

L'ire e i dispetti sofferir , non anco 25

Meglio a Menalca stringerti ,


Quantunque nero ei fosse , e tu sii bianco ?
1
Fanciullo formosissimo ,
Ah! in tua bianchezza non fidar poi molto ;
Cade il ligustro candido , 30

E , ancorchè bruno , il bel giacinto è colto.


Io dispettoso sonoti ,
Alessi , nè ch' io sia tu chiedi mai :
Nè qual di bianche pecore

Numer posseda , e s'abbia latte assai. 35


Mille ne' monti Siculi

Ho erranti agnelle ; e nella state ardente ,


Nonchè nel verno rigido ,

Sempre gustar poss' io latte recente.


Io canto la medesima 40
Canzone che cantava Anfion Dirceo ,
Quando l'armento docile
Solea chiamar nell' Aracinto Atteo.

Non son poi tanto orribile :


Già mi vid' io dalla marina sponda , 45
Quando sul piano liquido
Taceano i venti e non moveasi un'onda.
Se dice il ver l'immagine ,
Dafni non credo che in beltà m'avanzi ;
Voglio che tu sii giudice , 50

E il paragon non temo a te dinanzi.


44
O tantum libeat mecum tibi sordida rura ,

Atque humilis habitare casas , et figere cervos ,

30 Haedorumque gregem viridi compellere hibisco !

Mecum una in sylvis imitabere Pana canendo.


Pan primus calamos cera conjungere plures
Instituit: Pan curat oves, oviumque magistros.

Nec te poeniteat calamo trivisse labellum.


35 Haec eadem ut sciret , quid non faciebat A

myntas ?

Est mihi disparibus septem compacta cicutis


Fistula , Damoetas dono mihi quam dedit olim ,"
• Et dixit moriens : Te nunc habet ista secundum.

Dixit Damoetas : invidit stultus Amyntas.

40 Praeterea duo , nec tuta mihi valle reperti,

Capreoli , sparsis etiam nunc pellibus albo ,


Bina die siccant ovis ubera; quos tibi servo.

Jam pridem a me illos abducere Thestylis


orat :
45

Ah ! meco venir piaciati


Ne' sordidi per te villaggi agresti ;
Nè d'abitare increscati
Al fianco mio nei casolar modesti. 55
Talor con me ' trafiggere

I teneri godrai lesti cervetti ,


E con la verde e tenera
Altea cacciare al pasco i bei capretti.
Meco di Pane i numeri 60
Imiterai ne' boschi : ei con la cera

Primo congiunse i calami ;


Pane alle greggie , ed ai Pastori impera.
Nè ti doler che frangasi
Il labbricciuolo con la canna scabra , 65

Aminta per apprendere


Oh quante volte affaticò le labra !
Sette cicute dispari

Ha la zampogna che sovente io suono ;


E tal zampogna diedemi 70
Già da gran tempo il buon Dameta in dono.
A me in morir porgendola :
Sii tu , mi disse , possessor secondo :
Udiva , e ardea d'invidia
Lo stolto Aminta del suo cor nel fondo. 75
Due cavrioli io serboti ,

Presi in rischiosa valle , il dorso adorni


Di bianchi segni : asciugano

Ambe le poppe a un'agna in tutti i giorni ;


E a te li serbo : Testili 80

Per trarli seco m' importuna ognora ,


46

Etfaciet; quoniam sordent tibi munera nostra.

45 Huc ades , o formose puer. tibi lilia plenis

Ecceferunt nymphae calathis : tibi candida Nays


Pallentes violas et summa papavera carpens ,

Narcissum et florem jungit bene olentis anethi.

Tum , casia atque aliis intexens suavibus herbis,


50 Mollia luteola pingit vaccinia caltha.

Ipse ego cana legam tenera lanugine mala ,


Castaneasque nuces,mea quas Amaryllis amabat.

Addam cerea pruna : et honos erit huic quo


que pomo.
Et vos , o lauri, carpam, et te, proxima myrte :

55 Sic positae quoniam suaves miscetis odores.

Rusticus es, Corydon, nec munera curat Alexis;

Nec, si muneribus certes , concedat Jolas.

Eheu , quid volui misero mihi ! floribus au


strum

Perditus , et liquidis immisi fontibus apros.


47

E avralli alfin , se sordidi


A te saranno i nostri doni ancora.
Fanciullo leggiadrissimo ,
Omai t'affretta , in questo loco vieni : 85
Ve' che le Ninfe arrecanti

I canestrin di fiordalisi pieni.


Per te la bianca Najade
Papaver sommi e di narciso il fiore
Coglie , e viole pallide , 90
E fior d'aneto di fragrante odore :
Poi la gradita casia
Con altre erbe soavi intesse e stringe ,

E col gentil fiorrancio


I teneri giacinti avviva e pinge. 95
Ed io per te di tenera
Lanugin bianche mele , e delicate
Castagne andrò a raccogliere ,
Che ad Amarilli nostra eran sì grate.
Corrò la prugna cerea 100
Di questo pomo a onor ; voi pure allori
Isfronderò > e te prossimo

Mirto , che dolci insiem mescete odori.


O Coridone , o semplice !
Non cura Alessi ingrato i doni tuoi ; 105
Giammai co' doni vincerlo

D ' Jola al paragon sperar non puoi.


Che feci ? I fiori , ahi misero !
Io diedi in preda al fiero Austro fatale ,
E dentro al fonte limpido 110

Spinsi il bavoso e lurido Cinghiale.


48

60 Quemfugis, ah demens ! habitarunt Di quoque

sylvas ,

Dardaniusque Paris. Pallas , quas condidit, arces

Ipsa colat. nobis placeant ante omnia sylvae.


Torva leaena lupum sequitur , lupus ipse ca

pellam ,

Florentem cytisum sequitur lasciva capella :


65 Te Corydon , o Alexi . trahit sua quemque vo

luptas.

Aspice ; aratra jugo referunt suspensa juvenci,

Et sol crescentes decedens duplicat umbras :

Me tamen urit amor. quis enim modus adsit


amori ?

Ah Corydon , Corydon quae te dementia cepit!


70 Semiputata tibi frondosa vitis in ulmo est.
Quin tu aliquid saltem potius , quorum indi
get usus ,

Viminibus mollique paras detexere junco ?

} 73 Invenies alium , si te hic fastidit , Alexin.


49

Chi fuggi , ah folle ? Piacquero


Le selve ai Numi ed al Dardanio Pari :
Stia1 nelle rocche Pallade
Da lei costrutte , i boschi a noi sien cari. 115
La lionessa seguita

Il Lupo , il Lupo sempre in traccia è gito


Della capretta pavida ,
La capra segue il citiso fiorito ;
Te Coridone , o Alesside. 120
È ciaschedun dal suo piacer rapito.
1

Oh ! vedi stanchi traggonsi diretro


I buoi l'aratro al giogo appeso , e il sole
Addoppia in suo partir le crescenti ombre ;
Ma me non cessa amor d'ardere : ah ! quale 125
Avrà misura amor ? O Coridone ,

Coridon qual ti prese insania ? Mira


Mezzo potata ancor piena di fronde
La vite là su l'olmo . Ai molli giunchi
Pon mano e ai vinchi , e quelle cose appresta 130

Di che l'uso abbisogna : altri potrai


Trovar , se a schifo t'ha cotesto Alessi.

4
t

44

1
51

ANNOTAZIONI

ALL
' EGLOGA SECONDA.

Vers . I. Formosum etc. Noi chiamiamo bello tutto :


ciò che generalmente desta piacere col mezzo del senso
della vista o dell' udito ; ma nel significato di questa
voce bello non è compresa alcuna delle particolarità
dell' obietto che produce in noi il sentimento della bel
lezza . I Latini colla voce pulcher esprimeano ciò che
noi esprimiamo colla voce bello ; ma siccome essi in .
tendeano , che l'essenziale della bellezza di un obietto
stèsse nella composizione delle forme , così , volendo
indicare specialmente la bellezza d'un uomo o d'una
donna , usavano la parola formosus o formosa , che è
quanto dire di belle forme ; e ciò ad esempio dei Gre
ci, che colla particella e belle , e il nome poççi' forma
componeano il vocabolo uogos , che è il formosus dei
Latini. In quanto alla giusta proporzione di cadauna
delle parti componenti un corpo , ed alla riunione del
le medesime in un tutto proporzionale , il gusto deve
essere generalmente uniforme ; per quello poi che ap
partiene alla particolarità del colore , può questo ap
parire diverso sopra forme somigliantisi senza che per
ciò gli obietti debbano dirsi men belli . Che presso gli
antichi la bellezza fosse riposta essenzialmente nelle
forme , e che a ciò si riferisca la parola formosus , si
può vedere dal seguente esempio tratto dal secondo
Libro de Inventione dell'oratore Romano . Zeusi chia
mato dai Crotoniati a dipingere un ' Elena domanda lo
ro : quasnam virgines formosas haberent : illi autem
52
statim hominem duxerunt in palaestram , atque ei puc

ros ostenderunt multos , magna praeditos dignitate


Cum puerorum igitur formas et corpora magno hic
opere miraretur :: Horum ,, inquiunt illi , sorores sunt
apud nos virgines ; quare qua sint illae dignitate , po
teris ex his suspicari. Praebete igitur quaeso , inquit 9
ex istis virginibus formosissimas , dum pingo id quod
pollicitus sum vobis . Non so comprendere perchè sia
stata quasi obbliata questa parola , che pure usavano
gli antichi scrittori Italiani. Questo tuo sposo è più
formoso ec. ( Scal . S. Agost. ) e il Boccaccio : era
formosa e di piacevole aspetto e il Poliziano : due
formosi delfini etc.
1. Alexin . Alessi era un bel ragazzo , che Cori
done desiderava di possedere in qualità di delicato.
Si trovano alcune lapidi sepolcrali di que' tempi che
serbano memoria di tali garzoni .
9. Lacertos. La varietà verde della specie lacerta
viridis. B..
1. 11. Allia. Aglio. Allium oleraceum. B.
11. Serpillumque. Serpillo . Thimus serpillum. Er
ba odorosa che sorge per tutte le vie , e per tutti i
prati asciutti. B.
L ' Heyne crede , sulla autorità di Plinio e d'altri ,
che i contadini si cibassero di quest'erbe , supponendo
che l'acutezza del loro odore facesse fuggire gli scor
pioni ed i serpenti. Sembra però che questa opinione
volgare siasi smarrita con tante altre fantasie de ' no
stri antenati. Presentemente si fa uso di tali erbe odo
rose soltanto per dar grato sapore ai cibi.
·
18. Alba ligustra cadunt , vaccinia nigra leguntur.
L'illustre naturalista Domenico Viviani professore
nella Università di Genova ( nel lessico zoo - botanico
53
Virgiliano , posposto alla traduzione del Solari alla
1
pagina 282. dell' edizione di Genova 1810. ) si mo
stra dell'opinione di quei commentatori di Virgilio , i,
quali credono , che Coridone , per la preferenza del
bruno sul bianco , adduca in prova 7 una sola pianta ,
che è il ligustro ( ligustrum vulgare ) , il quale produ
ce fiori bianchi , che si lasciano cadere per terra , e
bacche nere che si raccolgono per la tintura , di mo
do che alba ligustra debba intendersi pei detti fiori ,
e vaccinia nigra per queste bacche . Egli soggiugne
inoltre che questa interpretazione è più favorevole al
la bellezza e concisione del verso citato.

Contro questa opinione insorge il Berini , ed asse


risce 29 ch'ella non si può accettare , subitochè non
,, può provarsi che gli antichi raccogliessero le bac
99 che del ligustro per l'uso menzionato , e che alla
"" sua fruttificazione appropriassero il nome di vacci
,, nio , con cui denotavano il mirtillo : vaccinium mir
"3 tillus , le bacche del quale sono succose , come le
39 qualifica Ovidio , ed erano ricercate dagl' Italiani per
‫ در‬adescare gli uccelli , e dai Galli per tingere le vesti
39 dei servi ; ed a questo arbusto , non alle bacche del
"" ligustro , come vorrebbe il prof. Genovese , deve
23 riferirsi il passo di Plinio lib . XVI. cap . 18. da es
99 so allegato vaccinia Italiae in aucupiis sata , Gal
23 liae etiam purpurea tingendi causa ad servitiorum
,, vestes. Il mirtillo , segue il Berini , dallo stesso Pli
29 nio lib. XXI. cap. 26. , è denotato col nome di gia
"" cinto , col qual nome indica pure la pianta a bulbo ,
29 che serviva a reprimere la pubertà dei ragazzi da
"" mercato. Il mirtillo dicevasi giacinto perchè colle
22 sue bacche dava il color della viola. La pianta a
‫ در‬bulbo non somministra alcun succo , e non è detta
54
99 giacinto , cioè pianta del color di viola , fuorchè
sua corolla : essa adunque non può essere
›, per la
39 che la cipollina violetta : hyacinthus comosus : ed
"" in fatti Dioscoride nel lib. IV. cap. 65. descrive in
"" maniera il suo giacinto a bulbo , che è impossibile
99 il non vedervi la nostra cipollina , a cui devono
,, riferirsi i vaccinii virgiliani. "
A favore del professor Genovese stanno alcuni au
tori citati dal Vossio ( Etimol . ad voc. Viola ) , de'qua
li è espressa opinione che vaccinium venga dal gre
co Barívia , o meglio ancora dal latino bacca , cangian
dosi il b in c. Ciò parrebbe tanto più vero , in quan
to che nel cod. antico ms. virgiliano della libreria
Florio è scritto nettamente baccinium e baccinia. Se
non che il Vossio medesimo si discosta da tale eti
mologia , e tiene che vaccinium significhi propriamen
re giacinto. Io pure mi sono appigliato a questo pa
rere, specialmente dopo d'aver ragionato su tale argo,
mento col celebre naturalista sig. Brocchi , il quale
manifestò a chiare note , che per vaccinium non pren
derebbe egli mai le bacche del ligustro , ma bensì una
qualche specie di giacinto. Tuttochè però la sentenza
del Brocchi non lasci più luogo a dubbj , nondimeno
a maggiore schiarimento di questo passo , riferirò la
eruditissima nota dell'insigne Giovanni Martyn , che
si trova nella sua traduzione inglese di Virgilio. Ec
co com' egli si esprime : "" Debbo osservare , che il
,, vaccinium , nominato da Virgilio nelle cgloghe se
. ‫ د‬conda e decima , non è diverso dal fiore che in al
;; tri luoghi egli chiama hyacinthus poichè questo è
"" il nome greco , e il primo è il nome latino deri
‫ رد‬vato dal greco . Gli Eolii che affettavano di can
99 giare l' nel dittongo ou come Suyarng in dayarng
55

;; scrivevano jaxíndior, e duanırov in luogo del dimi


,, nutivo δακίνθιον ; e ουακίννιον in lettere romane è vac
, cinium. Quest' opinione è confermata dal verso del
,, l'egloga decima :
99 Et nigrae violae sunt ; et vaccinia nigra ; "
il quale è una traduzione alla lettera di un verso di
Teocrito :
‫ دو‬Και τοἶον μελαν ἐντι , κι ἀγραπτὰ δάκινθος.
cioè : E sonovi la viola negra ed il giacinto scritto :
,, ove Virgilio stesso traduce xxvdos per vaccinium . "
Dopo sì evidente spiegazione , non restando più
equivoco che il vaccinium non sia un fior di giacinto ,
sia permesso anco al traduttore di osservare , che l'in
terpretazione dell' illustre professore di Genova, quan
d'anche potesse sostenersi collo sforzo dell'ingegno ,
anzichè favorevole , sarebbe nociva alla bellezza del
verso. Nessun poeta più di Virgilio è giusto , e in
pari tempo ameno nelle comparazioni . Paragonando
la bellezza di Alessi con quella di Menalca parlava di
due soggetti che per la diversità del colore l'uno • po
tea piacer più dell' altro . Volendo addurre in prova
un argomento di similitudine , dovea dunque cercarlo
non sopra un soggetto solo , ma sopra due soggetti
l'uno dall' altro disgiunti , com'erano quelli sui quali
egli volea far cadere la comparazione . Il ligustro è
candido , ma è fior volgare , e niuno lo cura ; all'in
contro il giacinto , benchè fosco , è bramato da tutti. Il
paragonar Alessi ad un ligustro volgare è un artifizio
finissimo per pungerlo , e destargli invidia per la lode
data a Menalca paragonandolo ad un fior sì pregiato
qual è il giacinto. Aggiungasi che l'uso di paragonare
i giovinetti ai fiori è frequentissimo nei poeti , e in
Virgilio se ne trovano non pochi esempi. Ma tutte
56
queste bellezze indispensabili alla vera poesia svani
rebbero , e il paragone cesserebbe di essere sì giusto
e delicato , se in questo verso , invece dell' idea d'un
fiore così grazioso , ci si svegliasse quella di alcune
bacche triviali , le quali si colgono per tingere le ve
sti dei servi .
20. Quam dives pecoris nivei , quam lactis abundans.
H Solari ed altri legano nivei con lactis piuttosto che
con pecoris. Può giovare ad essi l'esempio di Ovidio nel
lib. XIII. v. 830. delle Metamorfosi : Lac mihi niveum
semper adest : però parmi ozioso l'epiteto di niveum al
latte , non potendo immaginarcerlo senza che si desti in
noi la nozione della candidezza. Ma il nivei attributo
del pecoris serve a far sentire , essere più pregiato il
bestiame quanto più s'approssima alla bianchezza.,
$
24. Amphion : padre della musica , secondo Plinio
lib. VII. cap. 56. Cantando radunò la gente che ha
innalzato le mura di Tebe , il di cui territorio chia
mavasi Dirceo dalla fonte Dirce che vi scaturiva. Co
sì Anfione per esser Tebano dicesi Dirceo .
"
24. Actaeo Aracynto . Per evitar la questione del
l'Actaeo , dal Servio preso pro litorali , invece che
pro Atheniensi ( poichè l' Aracinto è un Monte Teba
no ) , e non volendo far dire uno sproposito a Virgilio ,
che non lo disse per certo , neppure maestrevolmente ,
come , cred' io scherzando , sotto tale aspetto glielo
attribuisce il Solari , io tradussi Attèo. Avrò io poi
fatto invece uno sproposito coll' adottare questa pa
rola ? Non sarò senza dubbio il solo che abbia fatto
spropositi , ma avrò almeno vendicato Virgilio da que
sta ingiuria.
25. Nec sum adeo informis etc.
2% Non son❜io
57

"" Da disprezzar , se ben me stesso vidi


"" Nel liquido del mar , quando l'altr❜ieri
"" Taceano i venti , et ei giacea senz ' onda.
(Aminta att. 2. sc. I. )
E il Petrarca avea pur esso per lo innanzi qui tinto
il pennello :
66
‫ ور‬E nel suo letto il mar senz'onda giace.
( Sonet. 131. p . 1. )
30. Hibisco. Il malvavischio : althaea officinalis.
Si adopera per parar innanzi i capretti di latte che
non si vogliono offendere. B,
36. Cicutis. Lo Sprengel nota che questo stromen
to musicale era formato colla cicuta velenosa : cicuta
virosa. Ma siccome questa pianta è di cattivo gusto e
di cattivo odore , così pare che dovesse intendersi per
cicuta qualunque altra umbellata pianta più innocen
te, di stelo fistoloso. Essendo però quella di Coridone
una zampogna fatta molto tempo prima ch'ei ne fos
se possessore , è supponibile che disseccandosi perdes
se il cattivo odore e il cattivo gusto. B.
45. Lilia. Questi gigli sono i mughetti : convalla
ria majalis. B.
47. Pallentes violas. Le violacciocche gialle, bian
che e rosse. Cheirantus cheiri . B.
47. Summa papavera. Le corolle del papavero
d'orto papaver somniferum. B.
48. Narcissum. Narcissus poeticus. B.
48. Anethi. Anethum graveolens. B.
49. Casia. Secondo il Martyn la casia di Virgilio
è il cneoron bianco di Teofrasto , che corrisponde al
la thymelaea di Plinio e di Dioscoride , e produce il
granum cnidium. Cresce sulle montagne aride nei
luoghi non coltivati , e nei climi caldi. Col Martyn con
58

corda il Viviani di Genova , il quale tiene appunto che


la casia Virgiliana , sia la specie Daphne thimelaea .
Il Berini all'opposto crede che sia questa la specie
Daphne cneorum , a cui il Brignoli dà il nome ita
lianò di laureola odorata. Di questa seconda il Beri
ni stesso me ne additò gran copia sulle rive ghiajose
dell'Isonzo .
50. Caltha. Il fiorrancio : calendula officinalis . B.
Col fiorrancio la Najade ha compiuto il mazzolino
destinato ad Alessi. Qui si vede che l'anima di Vir
gilio ha saputo scegliere i fiori di quelle tinte , dalla
unione delle quali risulta la varietà e l'armonia de'
colori. Il papavero ha la tinta rossa , il fiorrancio la
gialla , il giacinto la turchina , colori primitivi , di cui
fanno uso i pittori , anche presentemente che l'arte
è giunta alla sua perfezione. Per far poi risaltare viep
più questi colori , scelse in primo luogo il bianco del
narciso , e distribuì poscia le tinte sopra un campo
verde-scuro , formato dalle foglie di parecchie erbette
odorate , e in tal modo ne risultò la vera armonia del
colorito richiesta dall' arte. Da ciò si comprende che
Virgilio sentiva che la bellezza del colorito dipendea
dalla gradazione armonica delle tinte. Dicendo che
la Najade col fiorrancio dipinge i giacinti , era lo stes
so che noi dicessimo coi termini dell' arte , che il co
lor giallo avvicinato al turchino rileva il secondo e
lo fa comparire più vivo , il che non accaderebbe col
solo color turchino .
51 Ipse ego cana legam tenera lanugine mala .
Queste sono le cotogne : pyrus cydonia. Il poeta le
chiama cana ossia canute , per indicarvi il tempo in
cui sono immature , coperte di peluria e bianche . Do
po la ricolta , collo star riposte maturano deponendo
59
la peluria , e divengono gialle del vero colore del
l'oro . B.

52. Castaneasque nuces. Il Solari chiama queste


castagne marroni , perchè , essendo la nux castarica
detta da Macrobio nel lib. 2. de' Saturnali c. 14. He
racleotica , suppone egli che le castagne d'Eraclea non
fossero nè le castaneae molles dell'egloga I. , nè le ca
staneae hirsutae dell' egloga VII . , e perciò vuole che
gli sia permesso di chiamarle marroni nella sua ver
sione. Quanto a me credo che in tutti tre i luoghi ,
ne' quali Virgilio parla di castagne , voglia sempre
parlare delle "" più grosse e più pregiate , 66 ma che
chiami le 7 medesime in un luogo molles , perchè les
sate , in un altro hirsutae , perchè chiuse ancora nel
riccio , e qui dia loro il nome comune di castaneae

nuces per indicare il momento in cui appajon più lu


centi e belle , cioè appena che sono cavate dal guscio .
Ma se queste castagne sono veramente i marroni, un
traduttore Veneziano non si servirebbe mai di questo
vocabolo , a cagione di certa non troppo onorevole e
troppo nota allusione .
53. Cerea pruna. Varietà della specie prunus do
mestica. Queste prugne sono dette dai Francesi les
prunes de S. Catherine . B.
54. Lauri. L'alloro : laurus nobilis . B.
54. Myrte. Il mirto : myrtus communis. B.
57. Concedat Jolas. Jola era il padrone di Alessi ,
e in quel concedat sta riposto il senso della maggior
possanza ch'egli avea di corrompere il fanciullo coi
regali che non Coridone . Così l'intese l' Heyne , e
così lo intese il Solari che egregiamente tradusse que
sto verso :
"" Nè a far gara di don ti cede Jola. ,,
60

61. Dardaniusque Paris. Allude alla storia favo


losa di Paride che vivea nelle selve , quantunque fi
glio di un re di Troja.
61. Quas condidit arces. Si dice che Pallade ab
bia fabbricata la città di Atene. Ma sotto il nome di
Pallade era adombrata la sapienza , supponendosi che
frutto di sublime consiglio sia stato quello della fon
dazione delle città.
70. Frondosa vitis. Io non sono del parere di quel
li che pensano , che frondosa debba riferirsi all'ol -

mo. Credo piuttosto che debba riferirsi alla vite , per


chè essendo estate , e vedendosi la vite frondosa sen
za che se ne fosse terminata la potatura , si manife
stava così vie maggiormente la negligenza dell' agri
coltore .
1

PALEMONE

EGLOGA TERZA

ARGOMENTO

II
1 contrasto insorto fra i due pastori Me

nalca e Dameta , il quale comincia dal

rimprovero che si fanno scambievolmente

de' loro difetti , li conduce ad una sfida

di canto. Si depone un premio per chi

sarà il vincitore , e Palemone pastore as

sennato è scelto per giudice. Si canta al

ternamente ; ma i pastorelli sembrano piut

tosto di voler sopraffarsi l'un l'altro col

l'arguzia degl' indovinelli , di quello che

con la bellezza della poesia . Il giudice

non potendo intendere il senso di questi

enigmi conchiude , che non è da lui il pro


ferir la sentenza , e lodandoli entrambi

pone fine amichevolmente alla lite.


62

EGLOGA TERTI A.

MENALCAS , DAMOETAS , PALAEMON

MENALCAS.

Dic mihi, Damoeta, cujum pecus? anMelibaei?

DAMOETAS.

Non: verum Aegonis. nuper mihi tradidit Aegon.

MENALCAS.

Infelix o semper, oves, pecus! ipse Neaeram

Dumfovet , ac , ne me sibi praeferat illa, veretur,


5 Hic alienus oves custos bis mulget in hora :

Et succus pecori , et lac subducitur agnis.

DAMOETAS.

Parcius ista viris tamen objicienda memento.

Novimus et qui te , transversa tuentibus hircis ,

Et quo, sed faciles Nymphae risere, sacello.

MENALCAS.

10 Tum , credo , cum me arbustum videre Myconis ,


63
n

EGLOGA TERZA

MENALCA , DAMETA , PALEMONE .

MENALCA.

Dimm i ,, Da
immi meta
Dame ta , è questo forse il gregge I
ᎠᎥ Melibeo ?
DAMETA.

Mai no , d'Egone : ei stesso


Dianzi mel diede a custodir.
MENALCA.
O greggia 5

Di pecorelle sventurate sempre !


Mentre il loro padron cova Neera
Per gelosia di me , le lascia a questo
Stranio custode , che in un'ora sola
Le munge ben due volte ; e così strugge 10

Le madri , e toglie agli agnelletti il latte .


DAMETA .

Ehi ! guarda pria di rinfacciare a un uomo


Sì fatte cose : anch'io so dir chi t'abbia ...
Torto i becchi guatando ... e so in qual cella ……
.
Ma facili ne risero le Ninfe. 15
MENALCA.
Oh ! sì, fui visto con malvagia ronca
Per entro all'albereto di Micone
1
64

Atque mala vites incidere falce novellas.


DAMOETAS.

Aut hic ad veteres fagos , cum Daphnidis arcum

Fregisti et calamos : quae tu , perverse Menalca,

Et cum vidisti puero donata , dolebas :

15 Et , si non aliqua nocuisses , mortuus esses.

MENALCAS.

Quid domini facient , audent cum taliafures ?


Non ego te vidi Damonis , pessime , caprum

Excipere insidiis , multum latrante Lycisca ?


Et cum clamarem : Quo nunc se proripit ille ?
20 Tityre , coge pecus : tu post carecta latebas.

DAMOETAS.
An mihi cantando victus non redderet ille ,

Quem mea carminibus meruisset fistula caprum?

Si nescis, meus ille caper fuit : et mihi Damon


Ipse fatebatur: sed reddere posse negabat.

MENALCAS.

25 Cantando tu illum ? aut unquam tibi fistula cera

Juncta fuit? non tu in triviis , indocte , solebas


Stridenti miserum stipula disperdere carmen ?
65

Incider tutte le novelle viti.


DAMETA.

No , tu vuoi dir là presso i vecchi faggi ,


Quando , o perverso , la zampogna e l'arco 20

Tu scavezzasti a Dafni , e invidioso


Che in don gli avesse quel fanciullo , in core
Te ne cruciavi ; e se non t'era dato

Fargli alcun mal , già ne saresti morto.


MENALCA .

Che faranno i padron , se si sfacciati 25


Son' anco i ladri ? Non ti vid' io forse
Con gli occhi miei rubar , malvagio , un capro

Di soppiatto a Damon , mentre Licisca


Fortemente abbajava ? Ed io gridai :
Ehi ! dove va colui ? Titiro , presto
Raccogli la tua greggia : ma tu intanto 30
Fra carici ti stavi quatto quatto.
DAMETA.
E che ? Damon non mi dovea quel capro ,
Che col canto e col suon di mia zampogna
Io vinto avea contro di lui ? Quel capro
Era mio , se nol sai , nè ciò negava 35
Damone stesso ; ma dicea soltanto
Che non poteva renderlo.
MENALCA .
Cantando

Tu quello hai, vinto? Oh dimmi , quando giunte


Con cera avestu' canne ? Tu che sempre

Solevi , o stolto , con stridula paglia 40

Sperder ne' trivii una canzon meschina ?


5
66
DAMOETAS,
Vis ergo inter nos, quid possit uterque , vicissim,

Experiamur ? ego hanc vitulam, neforte recuses,

30 Bis venit ad mulctram , binos alit ubere foetus,

Depono tu dic , mecum quo pignore certes.

MENALCAS.
De grege non ausim quicquam deponere tecum .

Est mihi namque domi pater , est injusta noverca :

Bisque die numerant ambo pecus , alter et haedos .


35 Verum id, quod multo tute ipsefatebere majus ,
Insanire libet quoniam tibi , pocula ponam

Fagina , caelatum divini opus Alcimedontis :

Lenta quibus torno facili superaddita vitis


Diffusos hedera vestit pallente corymbos.
40 In medio duo signa , Conon : et quis fuit alter ,

Descripsit radio totum qui gentibus orbem ?

Tempora quae messor , quae curvus arator ha


beret ?

Necdum illis labra admovi , sed condita servo .

DAMOETAS

Et nobis idem Alcimedon duo pocula fecit ,

45 Et molli circum est ansas amplexus acantho :


1

67

DAMETA .
Vuoi tu che tosto ne veniamo a prova ?
Ed io scommetterò questa giovenca ;
Nè la dei ricusar , perchè la mungo
Due volte al giorno , e due vitelli allatta.
Ma di' , qual pegno di depor tu pensi ? 45
MENALCA.

Io del mio gregge non scommetto nulla ;


Chè a casa ho il padre e una matrigna ingiusta ,
Che numerando van mattina e sera

Ambo il bestiame , ed i capretti entrambi


Ricontan pur : ma se ti frulla in seno 50

Bizzarria d'impazzir , porrò tal cosa


Che più tu stesso pregierai : son due
Coppe di faggio , opra d' intaglio , fatte
Dal divo Alcimedonte ; il facil tornio
Disegnò sopra una ritorta vite , 55
Che dell' avviticchiata ellera intorno

Veste gli smorti grappoli diffusi.


Son due figure in mezzo : è l'un Conone ;
L'altro ( qual ch'ei si fosse ) che alle genti
Tutta col raggio misurò la terra , 60

E segnò tutti de ' lavori i tempi


Al mietitore e all'arator ricurvo.

Queste due coppe non fur tocche ancora


Dalle mie labbra , ma le serbo ascose.
DAMETA.
Ed anco a me lo stesso Alcimedonte 65

Fece due nappi : ornò di molle acanto


I manichi all' intorno , e sculse in mezzo
68

Orpheaque in medio posuit, sylvasque sequentes.


Necdum illis labra admovi , sed condita servo.

Siadvitulam spectas, nihil estquod pocula laudes.

MENALCAS.

Nunquam hodie effugies. veniam , quocumque


vocuris.

50 Audiat haec tantum vel qui venit ,ecce Palaemon :

Efficiam posthac ne quemquam voce lacessas.

DAMOETAS.

Quin age, si quid habes; in me mora non erit ulla:


Nec quemquam fugio. tantum , vicine Palaemon,
Sensibus haec imis ( res est non parva) reponas .

PALAEMON.

55 Dicite: quandoquidem in molli consedimus herba.


Et nunc omnis ager, nunc omnis parturit arbos :

Nuncfrondent silvae, nunc formosissimus annus.


Incipe , Damaeta : tu deinde sequere , Menalca .
Alternis dicetis : amant alterna Camenae.

DAMOETAS.

60 Ab Jove principium Musae : Jovis omnia plena:


Ille collit terras , illi mea carmina curae.
69
Il vate Orfeo con le seguaci selve.
Ancora i labbri miei non li toccaro ,

Chè li tengo riposti. Ma due coppe 70


D'una giovenca a paragon son niente.
MENALCA.

Oggi non fuggirai ; verrò dovunque


Tu mi saprai chiamar : solo mi basta
Che sia presente alcun .... oh ! viene appunto
All' uopo Palemòn : io ti vo' torre

Il pazzo umor di provocare altrui. 75


DAMETA.

Su via , se sei ben preparato , canta :


Pronto son' io , nè fuggo alcun ; soltanto
O Palemon , che vieni , attento ascolta ,
E serba tutto in mente : è affar non lieve.
PALEMONE.

Cantate , or che sediam sull'erba molle. 80

Ora ogni campo , ora ogni pianta frutta ,


Or frondeggian le selve , or nel più bello
È l'anno. Orsù , vieni Dameta , primo
Pònti a cantar , e tu , Menalca , il segui.
I versi canterete alternamente , 85
Ch' aman le Muse l'alternar de' versi.

ᎠᎪᎷᎬᎢᎪ .
Da Giove incominciamo
O Muse : in tutto è Giove ,
Sue grazie in terra ei piove
Suoi questi carmi son . 1

!
70
MENALCAS.

Et me Phoebus amat: Phoebo sua semper apudme

Munera sunt lauri , et suave rubens hyacinthus.

DAMOETAS.

Malo me Galatea petit , lasciva puella ;

65 Et fugit ad salices , et se cupit ante videri.

MENALCAS.

At mihi sese offert ultro, meus ignis, Amyntas:

Notior ut jam sit canibus non Delia nostris.

DAMOETAS.

Parta meae Veneri sunt munera : namque notavi

Ipse locum , aeriae quo congessere palumbes.

MENALCAS.

70 Quod potui , puero , sylvestri ex arbore lecta


Aurea mala decem misi : cras altera mittam.

DAMOETAS.

O quoties, et quae nobis Galatea locuta est !

Partem aliquam, venti, divum referatis ad aures.


71
MENALCA.
Son caro a Febo : io serbo 90
I lauri ed i giacinti
Di bel vermiglio pinti ,
Al Nume amico don.
DAMETA.
Me Galatea col pomo ,
Ninfa lasciva , chiama , 9.5
E fugge ai salci , e brama
Di farsi pria veder.
MENALCA .
Spontaneo viene Aminta ,
Mia fiamma , a questo seno ,
Tal che son noti meno 100
A Delia i miei levrier.
DAMETA.
Nati per la mia Venere
Son cari doni e belli ,
Notai ' ve i colombelli
Portando l'esca van. 105
1
MENALCA.
D'alber silvestre scegliere
Sol dieci pomo d'oro
Potei pel mio tesoro
Altri n' avrà doman.
DAMETA.
Oh quante Galatea 110

Cose mi disse , e quali !


O venti , agl'immortali
Fatene alcuna udir.
72
MENALCAS.

Quid prodest, quod me ipse animo non sper


nis , Amynta ,

75 Si, dum tu sectaris apros , ego retia servo ?

DAMOETAS.

Phyllida mitte mihi : meus est natalis , Jola :

Cum faciam vitula pro frugibus , ipse venito

MENALCAS.

Phyllida amo ante alias : nam me discedereflevit:

Et , longum , formose vale , vale , inquit , Jola.

DAMOETAS.

80 Triste lupus stabulis , maturis frugibus imbres ,


Arboribus venti , nobis Amaryllidis irae.

MENALCAS.

Dulce satis humor , depulsis arbutus haedis ,


Lenta salix foeto pecori , mihi solus Amyntas .

DAMOETAS.

Pollio amat nostram, quamvis est rustica, Musam :


85 Pierides , vitulam lectori pascite vestro.
73
MENALCA.
Che non mi sprezzi , Aminta ,
È van " se mentre lesto 115

Segui i cignali , io resto


Le reti a custodir.
DAMETA.
O Jola , inviami Fille ;
È il mio natal ; tu aspetta
Quando la vitelletta 120

Pei campi immolerò.


MENALCA.
Amo fra tutte io Fille ,

Che pianse al partir mio >


E addio , mio bello , addio

A lungo replicò . 125


DAMETA.
Al gregge il lupo , agli alberi
Il vento , al gran funesta
La pioggia , e l'ira infesta
È d'Amarille a me.
MENALCA .
Dolce è alle pregne il salcio 130
L'arbuto agli spoppati ,
E l'acqua ai seminati ,
E il solo Aminta a me.
DAMETA.
Mia Musa , ancorchè rustica ,
A Pollion par bella : 135
Pascete una vitella ,
O Muse , al buon lettor.
74
MENALCAS.

Pollio et ipsefacit nova carmina . pascite taurum,

Jam cornupetat , et pedibus qui spargat arenam.

DAMOETAS.

Qui te, Pollio, amat, veniat, quo te quoque gaudet.

Mella fluant illi , ferat et rubus asper amomum.

MENALCAS.

90 Qui Bavium non odit , amet tua carmina , Maevi :

Atque idem jungat vulpes , et mulgeat hircos.

DAMOETAS.

Qui legitis flores , et humi nascentia fraga ,

Frigidus , o pueri , fugite hinc , latet anguis


in herba.

8 MENALCAS.

Parcite , oves, nimium procedere: non bene ripae

95 Creditur , ipse aries etiam nunc vellera siccat.

DAMOETAS.

Tityre , pascentes a flumine reice capellas :

Ipse , ubi tempus erit, omnes in fonte lavabo.


75
MENALCA.
Pollione in nuovo stile

Verseggia : un toro egli abbia,


Che col piè sparga sabbia 140

E adopri il corno ancor.


DAMETA .
O Pollion chi t'ama C

Teco agli onori ascenda


La quercia il mel gli renda ,
Gli frutti amomo il prun. 145
MENALCA.
Ami i tuoi canti , o Mevio ,
E insiem le volpi giunga
Ed i caproni munga ,
Se a Bavio amico è alcun.
DAMETA.
Figli , che fiori é fragole 150

Dal suol cogliete , ah ! tosto


Fuggite , il serpe ascosto
Freddo fra l'erbe sta.
MENALCA.
Non procedete , o agnelle ,
La riva è infida ognora , 155
L'ariete il vello ancora
Asciutto ben non ha.
DAMETA.
Dal fiume le caprette ,
O Titiro , allontana 9
Chè a tempo alla fontana 160
Tutte le laverò .
76
MENALCAS.

Cogite oves, pueri : si lac praeceperit aestus ,


Ut nuper, frustra pressabimus ubera palmis

DAMOETAS.

100 Eheu , quam pingui macer est mihi taurus


in arvo !

Idem amor exitium est pecori , pecorisque ma

gistro.
MENALCAS.

His certe neque amor caussa est: vix ossibus


haerent.

Nescio qui teneros oculus mihi fascinat agnos.


DAMOETAS.

Dic,quibus in terris, et eris mihi magnus Apollo,

105 Tres pateat coeli spatium non amplius ulnas.

MENALCAS.

Dic, quibus in terris inscripti nomina regum

Nascantur flores : et Phyllida solus habeto.

PALAEMON.

Non nostrum inter vos tantas componere lites :

Et vitula tu dignus et hic , et quisquis amores


77
MENALCA.
Fanciulli , il gregge adunisi ,
Se il latte al sole ardente
S'asciuga , inutilmente
Le poppe io spremerò. 165
DAMETA.
Ahi ! che nel pingue prato
Smunto il mio tauro mugge :

Amor gli armenti strugge ,


Strugge i pastori Amor.
MENALCA.
Ma questi Amor non punge , 17.0
E son pur ossa e pelli :
Chi volge ai freschi agnelli
Lo sguardo ammaliator ?
DAMETA.
Dimmi , e ti stimo Apollo ,
In quale ignoto suolo 175

Tre braccia appajan solo


Di ciel , nè più nè men.
MENALCA .
Di regio nome inscritto
Dimmi ove il fior si mostra ,

E poi Fillide nostra


Stringiti solo al sen. 180

PALEMONE.
Figliuoli miei , qui 'l giudicar tal lite
Non è da noi della giovenca degno
Tu sei , Dameta , e tu , Menalca , e chiunque
78
110 Aut metuet dulces , aut experietur amaros.

Claudite jam rivos , pueri : sat prata biberunt .


79
Tema amor dolce , ovver lo provi amaro .

Bebbero i prati assai , chiudete i rivi. 163


>

1
81

ANNOTAZIONI

ALL EGLOGA TERZA.

Vers.7.Parcius ista viris . Rimprovero pieno d' i


ronia , fatto ad uno , conosciuto per la sua infame li
bidine. Questi tali chiamavansi donne. Di Cesare di
cevasi ch'era il marito di tutte le mogli , e la mo
glie di tutti i mariti . Svetonio nella vita di Vespasia
no al cap. 13. narra , che questo Imperatore rispose
ad un uomo di nota impudicizia : ego tamen vir sum.
8. Novimus et qui te etc. L ' Heyne spiega così
questa reticenza : non me latet , te inter greges , hir
cis intuentibus , et in ipso sacello Nympharum turpi
libidine pollutum esse.
9. Sacello. Questo sacello , che alcuni traducono
per tempietto , fu creduto da altri , forse con ragione ,
uno di quegli antri che per essere abitati dalle Nin
fe riputavansi sacri .
20. Carecta. Pare che per carecta debbano sottoin
tendersi in generale le piante maggiori delle fosse palu
dose , come le mazzasorde , le carici maggiori ec. B.
34. Alter et haedos. Gli antichi interpreti inten
dono alter per alteruter. "" Alteruter etiam haedos ut
cura propensior indicetur , cum etiam haedorum nu
merus requiratur. " Virg. Mar. Interpr. veteres 2
edente notisque illustrante Angelo Maio , Mediolani
1818. pag. 20. ) .
-37. Alcimedontis. Alcimedonte è un nome finto ,
non trovandosi menzionata alcuna altra opera di que
sto artefice ( Interpr. vet. loc. cit. ) . A questa opinio
6
82

ne si accorda l ' Heyne , reputando che Virgilio poe


ticamente immaginasse i detti due nappi 6incisi dal
coltello di un pastore . Gl' interpreti stessi al torno
facili annotano scalptura . Se non che all' Heyne sem
bra poco proprio l' usare torno pro scalpro seu cul
tro. Ma non è poi difficile che un ferro a guisa di
coltello fosse adattato sopra qualche macchinetta che
avesse qualche similitudine col tornio , e che Virgi
lio abbia a questa dato un tal nome. Anche a' no
stri giorni i contadini fanno uso di queste macchinet
te per pulire ed anco intagliare i vasi di legno.
38. Superad lita vitis etc. Alcuni comentatori vo
gliono che il nome di hedera debba riferirsi ai racemi ,
e quello di vitis alla pianta che li produce , seguitando
in ciò Plinio , che chiama il vimine dell' edera viticu
lam. Ma sì il Cerda che l' Heyne pensano che Virgilio
voglia nominare in questo luogo la vite che produce
l'uva , intorno alla quale spesso si vede serpeggiando
abbarbicarsi l'edera. Evvi un passo nel primo idillio
di Teocrito v. 29. , che sembra essere stato presente
a Virgilio quando scrisse quest' egloga , ove in un
vaso pastorale , fra le altre cose , è intagliato un fiore
detto poros ( helicrisus ) , intorno a cui s'avviticchia
l'ellera , diffondendo qua e là i suoi racimoli. Il pas
so di Teocrito spiega chiaramente quello di Virgilio ,
talchè una diversa interpretazione non potrebbe esse
re che un errore .
39. Corymbos. I corimbi sono i mazzetti dell'ede
ra in fioritura. Chiamansi da Virgilio pallidi , a ca
gione del colore dei loro petali. B.
Nei vecchi interpreti trovasi che per corimbi s'in
tendeano i frutti dell' edera , i quali consistono in cer
ti grappoletti , formati dall' unione di parecchi grani
83

simili a quelli dell'uva : corymbi sunt hed ... fructus


:
granis h... inser se coeunt ( Interpr. vet. loc. cit. ) .
40. Duo signa. L'antico grammatico Anneo Cer
nuto suppone, che duo signa significhino due libri non
ancora da Virgilio pubblicati ( Interpr . vet. pag. 3. ) .
L'autorità di Gellio che nel Lib. II . 6. e nel lib. VIII.
10. , e quella di Macrobio che nel V. de' Saturn . 19.
lodano la dottrina di Cornuto non mi farebbero pe
rò adottare questa interpretazione. Parmi evidente che
nel mezzo del vaso fossero scolpiti que' due che no
mina egli in appresso ed è naturale che dovendo
ricordare due filosofi illustri che fossero noti ai pa
stori era da nominarsi un geometra ed un astrologo ,
essendochè le prime scienze, dirò così , pratiche , a cui
attesero gli uomini , furono quelle di misurare la terra
e di osservare il sole , la luna , le stelle , e i loro
movimenti e giri . Che poi Virgilio per Conone in •
tendesse precisamente quel Conone di cui parla Ca
tullo nella chioma di Berenice , e che per l'altro non
indicato volesse intender Eudosso , o Arato , o Ippar
co , o Archimede , o Esiodo ec. ciò non è facile l'in
dovinare ; nè gran fatto importa il saperlo. Quello
che importa , e che comprendesi facilmente , si è che
vuole egli indicare con questi due segni i due primi
sapienti , che si meritarono poco meno che un culto , 1
per aver dato opera primi di tutti alle scienze più
necessarie agli agricoli ed ai pastori .
45. Amplexus acantho . 99 L'acanto molle de' Ro
mani, come apparisce dalla descrizione che ne fa Pli
nio nel lib. XXII . cap . 22. , è la nostra brancorsina ,
acanthus mollis. Tutti gli espositori convengono che i
manichi dei due bicchieri di Dameta avessero la forma
delle foglie della brancorsina , ma non hanno spie
34

gato se fossero le sue foglie radicali , ovvero le flo


rali , che si dicono brattee. Le foglie radicali sono
assai frastagliate , e furono dagli architetti prese per
norma de' fregi del capitello Corintio. Un paniere cir
condato dalle foglie radicali della brancorsina ( da
esso appunto si prese l'idea del capitello Corintio )
fa , come si vede , una bella comparsa sulla sommità
d'una colonna ; ma pare che un tale ornamento non
convenga ai fianchi d'un vaso . Forse meglio conver
rebbero le foglie florali . Sono esse al di fuori inca
vate in forma di cucchiajo , come sembra che do
vessero esserlo i due manichi laterali , pei quali si ten
gono i vasi quando si sostengono con ambedue le
mani. Questi manichi possono rappresentare tanto una
sola di queste foglie , quanto anche parecchie : quin
di l'ansas amplexus acantho par che voglia significa
re, che i manichi erano per ogni parte incavati in for
ma di molle acanto. " Così il Berini , il quale benchè
non porga questa nota che in via di semplice con
gettura , e che sia in appresso rimasto ancor più inde
ciso sulla propria opinione quando seppe che si veg
gono alcuni vasi ornati di foglie radicali di acanto "
tuttavia dovrebbe rinforzarsi nel suo pensiero per un
passo ch'io osservai nella vita di Benvenuto Cellini , ed
è il seguente . ,, Ne' mie' acciari io intagliava profon
;; damente a sottosquadro ( che vuol dire incavo pro
"" fondo ) ; che tal cosa non si usava pe ' lavori tur
‫ ور‬cheschi Benchè nell' Italia siamo diversi di mo
"" da di far fogliami : perchè i Lombardi fanno bel
"" lissimi fogliami ritraendo foglie d'ellera e di vital
32 ba con bellissimi girari , le quali fanno molto pia
39 cevol vedere . I Toscani e i Romani in questo ge
‫ ور‬nere presero molto migliore elezione , perchè con
,,
1

85

‫ در‬traffanno le foglie d'acanto , detto brancorsina , co'


Co
,, suoi festucchi e fiori , girando in diversi modi ec.
( Vita di Benv. Cellini . Colonia . Pietro Martello pag.
37. ) . A dir vero i festucchi e fiori della branca orsina
dovrebbero essere le foglie florali , come vuole il Be
rini . E i Toscani e i Romani al tempo di Benvenu
to doveano aver seguito nell'ornato il gusto de' vec
chi artefici. Ma su ciò sono da consultarsi gli autori
che trattano dei vasi antichi tra quali Hamilton e
Tischbeinio , e in particolare una nota del Bottigerio
sui vasi dipinti .
50. Venit ecce Palaemon . I vecchi interpreti asse
riscono che questo Palemone • sia Augusto : Palae
monem Augustum intelligit , qui judex sit Poetarum
(loc. cit. ) . Perme non so intendere qui che il nome i
deale d'un pastore.
57. Formosissimus annus. È indicata la prima
vera , quando comunemente fioriscono l'erbe e gli
alberi. La fioritura era considerata dai Romani , co
me il parto dei vegetabili : Pariunt vere cum florent
( Plinio lib. XVI . cap . 25. ) . I nostri moderni natura
listi dietro la scuola di Linneo sostengono , che la fe
condazione dei vegetabili succeda al tempo della fio
ritura. B.
60. Jovis omnia plena. Qui allude alla sentenza di
Arato citata da S. Paolo negli atti degli Apostoli ,
cap . XVII. v . 28. Ε , αύτα γαρ ζῶμεν καὶ κινουμεδα , καὶ
εσμεν . Β .
63. Suave rubens hyacinthus. Questi giacinti sono
i panacciuoli, che in primavera comunemente si tro
vano pei prati e pei seminati . B.
Vedi anche Sprengel Hist. rei herbariae lib. 3. cap. 3 .
64. Malo mea Galatea petit. In tutte le traduzio
86
ni di Virgilio da me vedute trovai , che malo me Ga
latea petit fu preso nel senso che la fanciulla abbia
tirato un pomo a Dameta per farlo accorgere ch'es
sa andava a nascondersi nel salceto. In quanto a me
ben pensando ho creduto di trovare nel malo petit
un modo di dire allegorico ; il che mi venne conferma
to da una erudita nota del P. De- la Cerda , il qua
le adduce parecchi esempi tratti dall'idil. 5. di Teo
crito , dalle nuvole di Aristofane , e dalle lettere d'A
risteneto , coi quali prova che petere malis vuol dire
incitare ad amore. Questa allegoria , che trasse la sua
origine nell' oriente, passò ai Greci , i quali posero i
pomi sotto la protezione di Venere , come si può ve
dere nello Scoliaste d' Aristofane , e in Artemidoro nel
la Interpretazione dei sogni. Pausania descrive un si
mulacro di Venere che teneva in una mano alcune
teste di papaveri , e nell' altra un pomo . Traducendo
io col pomo chiama , invece di un pomo scaglia , mi
parve di servir meglio al senso allegorico , di quello
che non abbiano fatto gli altri traduttori .
69. Palumbes. Colombi d'alto volo .
71. Aurea mala . Il Mart yn sostiene, che questi sie
no i pomi granati : poma punica ; e l' Heyne approva
questa opinione. Ma il Berini crede , e non a torfø ,
che sieno le cotogne : pyrus cydonia ; le quali quando
si colgono sono vestite di bianca peluria , ma dopo lun
ga conservazione diventano di color d'oro ; come si
è veduto nell' egloga seconda. Virgilio col silvestri
ex arbore lecta intende d'indicare il luogo dove in
altro tempo furono colte ; e vuol far sentire la diffe
renza di queste poma da quelle domestiche , che altro
ve son dette da * lui mitia. Anche il Viviani di Geno
va tiene che i pomi d'oro sieno le cotogne , e non so
87

lo opina che cotogne sieno i pomi d'oro ( aurea ma


la ) , ma eziandio i pomi delle Esperidi ( Hesperidum
mala ) mentovati nell' egloga 6. v. 61. Da lui sono
addotte due prove , l' una del condottiere della ce
lebre spedizione degli Argonauti , raffigurato nell' Er
cole Farnese , il quale ha fra le mani tre pomi co
togni , e l'altra di alcuni versi di Properzio , tra cui
v' ha il seguente :
Illi poma tulit decussa Cydonia ramo.
In aggiunta a queste prove io riferirò un luogo d'I
bico conservatoci da Ateneo , che risolve pienameute
la questione. Vere quidem cotoneae mali ( xvdávia, µndides).
irrigatae fluctibus fluviorum , ubi virginum hortus im
mortalis , et vites crescentes umbrosis sub germinibus
pampineis florent ( Henr. Stef. nei lirici greci , ediz.
II. greco- latina pag. 91. ) .
82. Arbutus. Il corbezzolo , arbutus unedo . B.
83. Lenta salix. È il salcio detto salix vitelli
na. B.
84. Pollio . Asinio Pollione , uomo consolare ,
tigiano d'Augusto , ed amico di Virgilio e d' Orazio ,
fu il primo in Roma a concepire l'idea dello stabi
limento di una pubblica libreria ( Ved . Plin . st. Nat.
lib. VII. cap. 31. ) .
86. Nova carmina cioè mirabili , dice il Monti
nella Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vo
cabolario della Crusca ( t. 3. p. 1. pag. 181. ) . Se in
latino il nova può intendersi per mirabili , ritenendo
anche nella traduzione Italiana la stessa voce , si po.
trà prenderla nel medesimo senso . Oltre di * ciò così
traducendo non si esclude neppure l'opinione di al
tri , i quali credono che il nova carmina si riferisca
ai versi tragici scritti da Pollione ; nel qual genere di
88
componimento dicono che non erasi prima eserci
tato .
89. Rubus asper. Rogo da macchia. rubus fructi
cosus. B.
89. Amomum. L'amomo dei Greci e de' Latini 2
che in seguito fu detto hamama dagli Arabi , è una
pianta indiana , che si adoperava nella composizione
degli unguenti : esso è la specie Cyssus vitiginea. Si
arrampica sugli alberi , ha le foglie come la vite , e

produce a grappoli i grani simili al pepe. B.


92. Humi nascentia fraga. Queste sono le fragole
comuni dette da Linneo fragaria vesca , e che Virgilio
• dice figlie della terra ( humi nascentia ) per distinguer
le dalle fragole arboree , che sono le bacche del cor
bezzolo . Aliud corpus est terrestribus fragis , aliud
congeneri eorum unedoni : quod pomum simile fru
tici , terraeque gignitur . Così Plin . St. Nat . lib . XV.
cap. 24. B.
93. Anguis. Anguis frigidus. Chiamavasi frigidus
per la proprietà sua delateria. B.
100. Quam pingui macer est mihi taurus in arvo !
In alcuni ms. leggesi in arvo , come leggo io , ma al
Berini e ad altri sembra migliore la lezione in ervo ,
perchè più acconcia , dicono essi , ad intendere l'os
servazione di Dameta. L'ervo è il veggiolo : vicia er
vilia. Si seminava allora il veggiolo ne ' campi per uso
di foraggio , come si fa presentemente del trifoglio , e
dell'erba medica. Ciò parte dalla supposizione che i
copiatori abbiano cangiato l'e in a. Però è da osser
varsi che in parecchi codici è scritto in agro ( così
il cod. Virg. della Libreria Florio ) , il che serve a
tenere per più legittima la lezione arvo . Nè mi pare
che senta bene il Pierio ( Castigat. Virgil. ) , e dietro
89

di lui il Vossio ( Etimol. voc. Ervum ) trovando non


so che di ozioso nella lezione in arvo , mentre piut
tosto riesce ozioso l'aggiunto di pingui all'ervo : per
chè l'erba non è pingue in se stessa , ma solamente
atta a generar la pinguedine . E quand' anche si voles
@
se chiamarla tale per traslato , l'epiteto tornerebbe
ancora più inutile , essendo proprietà già conosciuta
di quel legume l'ingrassare l'animale che lo mangia.
Non è così del campo , il quale porta con se l'attri
buto comunissimo , anche a di nostri , di grasso o di
magro , a norma della natura del sito e dello stato
della coltivazione. Dunque è detto egregiamente : tau
rus macer est in arvo pingui.
103. Fascinat agnos . La magia era di due sorte ,
l'una operava col canto 2 e dicevasi carmen , l'altra
col gesto , e dicevasi fascinum : la prima direbbesi ac
conciamente incanto , e la seconda affascinamento , e
fattucchieria. Il dimagramento magico degli agnelli di
pendeva da un atto degli occhi , e perciò era magia
d'affascinamento . B.

105. Coeli spatium . Questo sito del Mondo sem


bra essere la valle di Tempe nella Tessaglia , per
la quale passa il Peneo . Essa è fiancheggiata dai
monti Ossa ed Olimpo che sono altissimi , e perciò
stando al basso non si può vedere che un breve
spazio di cielo. Peneus inter Ossam et Olympum ne
morosa convalle defluit quingentis stadiis , dimidio ejus
spatii navigabilis. In eo cursu Tempe vocatur quinque
millium passuum longitudine , et ferme sequis jugeri
latitudine , ultra visum hominis attollentibus se dextra
laevaque leniter convexis jugis. Così Plinio lib. IV.
cap. 8. B.
106. Quibus in terris . Queste terre sono le valli
go
della Svizzera , per le quali cresce spontaneamente
la speronella : Delphinium Ajacis , sul fiore della qua
le trovasi una foglia , a cui fu dato il nome di net
tario , ove distinguonsi queste lettere A. I. A. , che
si possono considerare , come un cominciamento del

nome del Re Ajace. B.


109. Et vitula tu dignus etc. , Questo verso e il
seguente furono reputati dall'Hey ne opera di qualche
grammatico che gli ha intrusi in quest' egloga. Così
la pensa il Solari , e così io pure la penso. E vera
mente se tale fosse stato il giudizio di Palemone , fa
rebbe poco onore e al giudice , e a chi ha trasmessa

ai posteri la sua sentenza .


POLLIONE

EGLOGA QUARTA

ARGOMENTO

Fu creduto finora generalmente, che que

sta egloga fosse stata scritta per celebrare


la nascita di Salonino figlio di Asinio Pol

lione , ma secondo la opinione del som


mo filologo Ennio Quirino Visconti non
si riferisce a Pollione , se non perchè fu

composta sotto il suo consolato . A quel


tempo stava Roma in espettazione del
parto di Livia Drusilla ( già madre di Ti

berio e di Germanico ) che Augusto avea


sposato gravida. È dunque chiaro , che
Virgilio ha apparecchiato per questo par
to il suo carme genetliaco : ma essendo
nata una bambina , invece di un bambi

no , nè poi essendo venuta altra prole ,


l' egloga fu allora lasciata di vista , e di
venne in appresso un mistero per dieciot

to secoli , e lo sarebbe ancora , se l'alta


dottrina del Visconti non ce lo avesse

svelato .

:
.92

EGLOGA QUARTA

POETA

I Sicelides
icelides Musae, paulo majora canamus.

Non omnes arbusta juvant, humilesque myricae.

Si canimus sylvas , sylvae sint consule dignae.


Ultima Cumaei venit jam carminis aetas ;

5 Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo.


Jam redit et Virgo , redeunt Saturnia regna ;

Jam nova progenies coelo demittitur alto.

Tu modo nascenti puero , quo ferrea primum

Desinet, ac toto surget gens aurea mundo ,

10 Casta , fave, Lucina : tuus jam regnat Apollo.

Teque adeo decus hoc aevi , te consule , inibit


Pollio , et incipient magni procedere menses :

Te duce , si qua manent sceleris vestigia nostri ,

Irrita perpetua solvent formidine terras.

15 Ille deum vitam accipiet , divisque videbit


93

EGLOGA QUARTA

IL POETA

Sicul e Muse , solleviamo il canto :


icule I
D'umili tamerigi e d'arbuscelli
Tutti non han diletto : e se le selve

Si cantano da noi , d'un consol degne


Sieno le selve. Il tempo ultimo giunse
Del Cumeo vaticinio ; alfin rinasce
De' secoli l'eccelso ordin vetusto ,

E la Vergin ritorna , e tornan seco


I regni di Saturno. Omai divina
Progenie a noi manda dall'alto il Cielo. 10
Deh ! vieni ratta , e al bambinel nascente ,
Per cui tosto avrà fin la ferrea etade
E l'aurea gente sorgerà nel mondo "
Casta Lucina , il tuo favore appresta :
Apollo tuo già regna . O Pollione 15
L'onor di nostra età fra noi si mostra

Mentre consol tu sei ; da te felice


Principio avranno i mesi ; e s'orma impressa
Rimane ancor di nostre colpe antiche ,
Cancellerassi , e ormai secura e sciolta 20

Dal perpetuo terror sarà la terra.


Vivrà il fanciullo degli Dei la vita ;
94

Permixtos heroas , et ipse videbitur illis ;


Pacatumque reget patriis virtutibus orbem.

At tibi prima , puer , nullo munuscula cultu ,

Errantes hederas passim cum baccare tellus


20 Mixtaque ridenti colocasia fundet acantho :

Ipsae lacte domum referent distenta capellae


Ubera ; nec magnos metuent armenta leones :

Ipsa tibi blandos fundent canabula flores :


Occidet et serpens , et fallax herba veneni

25 Occidet; Assyrium vulgo nascetur amomum.


At simul heroum laudes et facta parentis

Jam legere , et quae sit poteris cognoscere virtus,

Molli paullatim flavescet campus arista ,

Incultisque rubens pendebit sentibus uva ,


30 Et durae quercus sudabunt roscida mella.

Pauca tamen suberunt priscae vestigiafraudis ,

Quae tentare Thetim ratibus, quae cingere muris

Oppida, quae jubeant telluri infindere sulcos :


95

Vedrà gli eroi commisti ai Numi ; ei stesso


In mezzo a quelli moderar vedrassi
Dal paterno valor pacato il mondo. 25

E a te , vago fanciul , la terra in copia


Germoglierà spontanea 1 eletti doni
D'ellere serpeggianti e d'intrecciate
Bacchere , e in un la colocasia mista
Al festevole acanto . Le caprette 30
Le poppe porteran di latte gonfie

Al chiuso loro ; e dentro al folto bosco


Non temerà l'armento i gran leoni
E fin le culle a te fioretti ameni
Pulluleranno ; morirà tra l'erbe 35

Il rio serpente , struggerassi il germe


Delle fallaci velenose piante ,
E dell' Assirio amomo in ogni loco
Sarà fecondo il suol. Ma quando dato
Ti fia di legger degli eroi le lodi , 40
E le gesta del padre , e insiem potrai
Discerner ciò che sia valore , i campi
A poco a poco di mature spiche
Biondeggeranno sull ' inculto pruno
Pender vedrassi rosseggiante l'uva , 45
Ed il celeste rugiadoso mele
Le quercie suderan dal duro tronco.
Ma pur qualch'orma della fraude anticat
Al mondo rimarrà , che ancor ci spinga
A tentar Teti con la fragil naye › 50

A murar borghi , e il suol rigar di solchi :


96

35 Alter erit tum Tiphys, et altera quae vehat Argo


Delectos heroas : erunt etiam altera bella ,

Atque iterum ad Trojam magnus mittetur A


chilles .

Hinc, ubi jam firmata virum te fecerit aetas,

Cedet et ipse mari vector , nec nautica pinus


40 Mutabit merces ; omnis feret omnia tellus .

Non rastros patietur humus , non vinea falcem;

Robustus quoque jam tauris juga solvet arator.


Nec varios discet mentiri lana colores :

Ipse sed in pratis aries jam suave rubenti


45 Murice , jam croceo mutabit vellera luto ;

Sponte sua sandyx pascentes vestiet agnos.

Talia secla , suis dixerunt , currite , fusis


Concordes stabili fatorum numine Parçae,

Aggredere o magnos,aderitjam tempus, honores,


50 Cara deum soboles, magnum Jovis incrementum:

Adspice convexo nutantem pondere mundum ,


Terrasque , tractusque maris , coelumque pro

fundum ;
Adspice , venturo laetentur ut omnia seclo.

O mihi tam longe maneat pars ultima vitae ,

55 Spiritus et , quantum sat erit tua dicere facta !


97
Chè un nuovo Tifi sorgerà , novella
Argo vedrassi veleggiar ricarca
D'eletti eroi : feroci guerre allora
Rinnoveransi , e un iracondo Achille 55

Di nuovo a Troja giungerà ; ma come


Uom tu sarai di vigorosa etade ,
Più non andranno per l'ondoso mare
I naviganti a commutar le merci ;
Chè tutto ovunque produrrà la terra : бо
Nè il campo i rastri , nè l' adunche falci
La vigna soffrirà : dal giogo sciolti
Saranno i buoi dall' arator robusto ;

Nè variopinte di color mentiti


Mostreransi le lane : in mezzo ai prati 65

O in porporino cangierassi o in giallo


Il vello del montone , e i tenerelli
Agnellini pascenti il sandicino
Senz' arte tingerà. Giorni sì belli
Volgete , o fusi , dissero le Parche , 70
Concordi all' immortale ordin de' fati.
Alfine ascendi ( e verrà il tempo ) agli alti
Onori , o degli Dei prole diletta ,
Grande di Giove alunno: oh ! mira il mondo

Convesso traballar ; mira le terre 75

E gli ampj mari , e il cielo immenso , mira


Tutto esultare al secolo venturo.

Deh ! la mia vita fino ai dì più tardi


Scorra , e tal' estro animator mi duri,
Qual m'è d'uopo cantar l' alte tue gesta ; 80

7
98
Non me carminibus vincet nec Thracius Or

pheus ,
Nec Linus : huic mater quamvis , atque huic

pater , adsit;

Orphei, Calliopea ; Lino , formosus Apollo.


Pan etiam Arcadia mecum si judice certet ,

60 Pan etiam Arcadia dicat se judice victum.

Incipe , parve puer , risu cognoscere matrem ;


Matri longa decem tulerunt fastidia menses.

Incipe , parve puer : cui non risere parentes ,


Nec deus hunc mensa, dea nec dignata cubili est.
99
Chè me non vincerà co' carmi suoi
Nè il Tracio Orfeo , nè Lino : e s ' anco Pane ,
Giudice Arcadia , mi sfidasse al canto ,
Giudice Arcadia , si darebbe ei vinto.
Comincia , o fanciullino , al dolce riso
A conoscer la Madre : ella sofferse 85
Fastidii lunghi di ben dieci lune ;
Comincia , o fanciullino : a chi non vide
Il riso in volto ai genitori , ad esso
Negò il Nume la mensa , e Giuno il letto . 89
IOL

ANNOTAZIONI

ALL EGLOGA QUARTA.

Vers. 2. Myri
yri
cacae. Tamarix gallica . B.
3. Sylvae sint consule dignae. I Consoli aveano
un' ispezione sulle selve , la qual provincia chiamavasi
minore per distinguerla dalle maggiori , che chiama
vansi consulares , il che viene confermato da questo
passo di2 Svetonio ; Eamdem ob causam opera opti
matibus data est , ut provinciae futuris consulibus mi
pimi negotii , idest sylvae , callesque decernerentur. '
4. Cumaei carminis. Versi della Sibilla di Cuma.
5. Magnus ab integro etc. Il periodo Platonico ,
quando finalmente tutti gli astri și trovano nel pri
mo punto delle loro rivoluzioni per ricominciarne un
secondo .
6. Virgo. Astrea, dea della giustizia , figlia di Gio
ve e di Temide . Dicesi allegoricamente che nell' età
dell'oro si trattenne in terra , e pei delitti degli uo
mini partissene , ę stabilissi in cielo , ove forma la
costellazione della Vergine.
6. Saturnia regna. Sotto il regno di Saturno fiorì
l'età dell' oro. Questa età poetica confondesi da ta
luni con l' età patriarcale .
10. Lucina. Secondo il sistema allegorico degli an
tichi , Lucina dovrebbe esser Giunone , sotto la qua
le divinità era simboleggiata l'aria , come si può ve
dere in Plutarco nella vita e poesia d'Omero . Chia
mavasi poi Lucina per essere illuminata dalla luce,
e dicevasi casta , perchè l' aria col mezzo della luce
102

diventa purissima. Inoltre , siccome chi nasce è pri


ma di tutto investito dall' aria , era di buon augurio
il nascere , quando essa era sgombra dai cattivi vapo
ri , ed illuminata dal sole ( stantechè le prime im
pressioni che ricevono i nostri sensi giovano molto a
formare la nostra natura o felice o infelice ) ; e quin
di Lucina era invocata come dea favorevole ai parti.
Favorevolissima poi invocavasi nel momento in cui il
poeta annunziava bello e lucentissimo il sole , sotto
la immagine del quale intendendo egli Augusto pro
nosticava che il giorno della nascita di quel bambino
non poteva non essere fausto pel genere umano.
11. Teque adeo decus hoc aevi. Si vede chiaramen
te che Pollione è affatto secondario a quest' egloga ,
e che non è qui introdotto se non perchè era grande
amico di Augusto , e perchè Virgilio , avendo con lui
tanta famigliarità ed amicizia , volle addurre , come
una delle circostanze di buon augurio pel • mondo ,
la nascita di questo fanciullo nei giorni del suo con
solato .
13. Sceleris vestigia. Così Orazio parlando della
guerra civile di Bruto e di Cassio si esprime : Quo
quo scelesti ruitis ? ( Epod . od . 7. ) .
14. Irrita perpetua . etc. È da avvertirsi che questo
verso si riferisce alle proscrizioni cagionate dalle guer
re civili.
17. Patriis virtutibus. Il patriis virtutibus è un abla
tivo appartenente all ' orbem pacatum , non già all'ille ;
e così sussiste sempre la sentenza del Visconti.che
questi sia un figlio di Livia. Le virtù patrie non pos
sono riferirsi a Pollione , il quale non avea governato
il mondo , ma bensì ad Augusto , che lo avea paci
ficate.
103

19. Errantes hederas. Edera comune . Hedera helix. B.


19 Baccare. Non è la bacchera vera descritta da
Dioscoride Lib. III . cap . 51. , la quale è la cana
picchia sanguigna , gnaphalium sanguignum : questa
era una pianta che umiliava i troppo pretendenti ,
come consta dalla egloga VII . v . 26. e seguente . È
questa la nostra bacchera , asarum Europaeum , la
quale giusta la etimologia che ne fa Plinio Lib.
XII. cap. 13. dicevasi così , araguv , perchè è una
pianta da sfregio . Essa ha bensì le foglie come l ' e
dera , ma il suo simbolo è ben diverso. Una corona
di edera per un poeta è una decorazione che lo e
salta ; una corona di asaro è per lui un ricordo che
lo umilia. Questa tempera di esaltamento e di umilia
zione era atta ad indicare l'età dell'oro che stava per
rinnovellarsi , perchè era stile dei Romani di unire
nelle grandi solennità i simboli contrarj . Così dal car
·
ro dell' Imperatore pendeva l'effigie del membro del
l'uomo , fascinus , perchè serviva di correttivo al
la ubbriachezza della gloria. Vedi Plinio lib . XVIII.
cap. 4. B.
20. Acantho. L'acanto , acanthus mollis , era per
gli antichi un'erba da spalliera che coltivavasi per
ornamento dei giardini , come si ha da Plinio lib .
XXII . cap. 22. Ma l'acanto non è di alcun uso eco.
nomico e medicinale . La colocasia al contrario , che
è la fava greca , arum colocasia, produce radici com
mestibili : quindi in quella bella età , in cui tutto do,
veva essere combinato con sapienza ed equità , stava
bene che il terreno non restasse ingombrato dall' inu
tile acanto senza esservi aggiunta qualche altra erba
utile. B.
24. Fallax erba veneni . Erbe velepose , ma che
104
ingannano nell'apparenza, come tra le altre l'atropa bel
ladonna , le bacche della quale , che hanno perfetta
somiglianza colla ciliegia , mangiate cagionano una
frenesia mortale. B.
25. Assyrium amomum. Il Martyn chiama Assirio
l'amomo , perchè è una pianta che regna nella Me
dia e nell' Armenia. Ma il Berini asserisce che è così
detto perchè si comperava nei mercati dell' Assiria.
26. Facta parentis. L' Heyne inclina alla lezione
facta parentum , nella supposizione che così abbia det
to Virgilio per onorare insieme tutti i maggiori di
questo fanciullo ; ma dal verso medesimo si compren
de che il poeta ha già fatta accortamente la distin
zione da questi e quelli , dicendo che di quelli leg
gerà le lodi , ma del padre leggerà le imprese , e co
noscerà quanto grande sia la virtù .
28. Molli arista . Io credo che la spiga matura
del frumento si chiami molle, perchè prendendola in
mano , e stringendola si sente ch'ella mollemente re
siste.
29. Sentibus. Questi spini sono i rosai da mac
chia , rosa canina , che dai latini dicevansi sentes ; e
dai greci κυνόσβατα . Β .
30. Roscida mella. Si credeva che allora il miele
scendesse colla rugiada dal cielo nei calici dei fiori ,
ove poscia fosse raccolto dalle api . Ved . Plin. lib. X.
cap. 12. B.
44. Murice. Qui viene indicato il murice da por
pora che è quella chiocciola che i Veneziani dicono
garusola da mare , murex brandaris . Il suo mollusco
è fornito di alcune glandule , dalle quali si separa un
succo violetto , come si produce il succo nero nella
gran parte delle seppie. L'inchiostro della china è il

1
105

succo concentrato che si raccoglie da una seppia abi


tatrice di que' mari . Il succo nero delle seppie si am
massa in un sacco apposito di mano in mano che se
ne fa la secrezione, e perciò è facile all' uomo di po
terselo procurare. Non è così del succo porporino dei
murici : esso viene sparso per ‫ ין‬acqua , e sopra la
gelatina , detta cerume da Aristotele , in cui restano
avvolti i loro feti al nascere. Gli antichi avevano l'ar
te di preparare la porpora ; perchè sapevano cogliere
questo succo col mezzo di certi ordigni a modo di
nasse, che vengono descritti da Plinio lib . IX. c. 36.
Il cerume aristotelico è in fili colorati , e viene ri
cercato avidamente da certi polipi di mare che și di
cono anemoni , actinae . Questi filamenti esposti ad un
moderato calore si sciolgono in un liquido di color
di viola, quale appunto era la porpora antica . Il mor
dente per fissare questo succo sulla lana sarebbe la
soda , che Plinio nel lib. IX. cap . 38. chiama sale , e
nitro nel lib. XXX. cap. 10. Fra i diversi tuoni del
la porpora eravi anche il blando rosso , suave rubens ,
come appare da Plinio lib. XXI . cap . 8. B.
44. Luto. Questo croceo loto è l'estratto coloran
te , che si ottiene col mezzo della bollitura dell'erba
che dicesi guaderella , reseda luteola. Questa pianta
cresce spontaneamente lungo le strade e coltivasi in
parecchi luoghi dell' Europa per l'uso della tintura. B.
45. Sandyx. Il color del sandice era un giallo
aranciato. Questo colore per l'uso della pittura otte
nevasi mescendo insieme a parti eguali sandaraca e
rubrica , come lo dice Plin. nel lib. XXXV. cap. 5.
I detti minerali non erano atti a colorire la lana , e
perciò Virgilio col nome di sandice indicò un vege
tabile , come osserva lo stesso Plipio nel citato luogo.
106
L'erba che poteva dare il rancio del sandice era for
se il zaffrone , carthamus tinctorius. Al rinnovella
mento dell' età dell'oro per questi colori sarebbe sta
to superfluo di ricorrere alle tintorìe , perchè sareb
bero diventati naturali per la lana . B.
49. Jovis incrementum ad imitazione di Omero
che chiama i re alunni di Giove , diorgepers.
50. Nutantem mundum. Vuol dire che il mondo
traballa , nello stesso modo che suol fare nella pros
sima apparizione della divinità .
54. Spiritus. L' Heyne intende qui per spirito
ingegno , e vigore poetico. Traducendo io estro , par
mi d' avere espresso il vero senso di questa parola.
60. Incipe , parve puer , risu etc. I genitori ecci
tano al riso i bambini col sorridere che fanno pri
ma essi medesimi verso di loro. Risu dunque è qui
applicabile alla madre e al figlio . È vero però che i
bambini non ridono prima del quarantesimo giorno ,
come osserva Plinio nel lib . VII. cap. 1 .; ma Vir
gilio vuol promuovere questo riso prima del tempo ;
e ciò perchè trattandosi d' un figlio tale tutto dovea
essere miracoloso . Oltre di che quella ripetizione an
siosa dell'incipe parve puer dimostra l'impazienza del
poeta di vedere il principio di quel fausto secolo da
esso in quest' egloga pronosticato.
62. Cui non risere parentes . Io trovo che la le
zione comune accettata dall' Heyne è da preferirsi a
quella del La Cerda , qui non risere parentes , ed a
quella ultimamente inventata dal Solari , qui non ri
sere parenti. Parmi che il senso della prima sia na
turalissimo , volendo dire il Poeta che quelli , i quali
per qualche malattia o deformità non destavano il riso
sul volto de' genitori non erano ammessi a quella lieta
107
cerimonia che si praticava ai bambini delle case gran
di di Roma alcuni mesi dopo la loro nascita, il che
consisteva nel collocarli sopra una mensa dedicata
ad Ercole , e sopra un letto consacrato a Giunone ,
che si allestivano per loro nell' atrio del palazzo, af
finchè fossero ammessi agli onori che soleano impar
tire queste due divinità .
DAFNI

EGLOGA QUINTA

ARGOMENTO

Quest' egloga rappresenta due pastori


che si uniscono per cantare a vicenda.
L'uno piange la morte di Dafni , l'altro

ne celebra l'apoteosi. Avvi chi crede , sot


to il nome di Dafni adombrato Giulio

Cesare , ucciso nel Senato e " poi anno

verato nello stuolo degli Dei , chi Flacco

Marone fratello di Virgilio , chi Salonino

figlio di Pollione morto immaturamente ,

chi Quintilio Varo perito in Germania

con tre legioni , chi un giovine detto Jo


la morto alla caccia , e chi finalmente

vuole che sia questo un Dafni pastore

assai celebrato in Sicilia , dov' eravi un

fonte che portava il suo nome , ed a cui


i Siciliani ogni anno sacrificavano . A que

st'ultima opinione io inclinerei più volen


tieri che alle altre , primieramente perchè

si ha da Diodoro nel lib. 4. , che il det


to Dafni fu inventore del verso pastora

" le , in secondo luogo perchè i riti dei sa

grifizj indicati nell' apoteosi sono piuttosto


di costume Siciliano che Romano , e in

terzo luogo perchè il lamento per la mor

te di Dafni sarebbe riuscito più affettuo


so , se il cuore di Virgilio lo avesse ri

ferito a qualche suo congiunto ed amico ,


ovvero a qualche illustre Romano .

t
1

1
112

EGLOGA QUINTA

MENALCAS , MOPSUS
1
MENALCAS.

Cur no
ur nonn ,, Mops , boni quon c
e iam onvenimu
ambo , s

Tu calamos inflare leves , ego dicere versus ,

Hic corylis mixtas inter consedimus ulmos ?


MOPSUS.

Tu major, tibi me est aequum parere, Menalca;

5 Sive sub incertas zephyris motantibus umbras ,

Sive antro potius , succedimus: adspice ut antrum


Sylvestris raris sparsit labrusca racemis.

MENALCAS.
Montibus in nostris solus tibi certet Amyntas .

MOPSUS.

Quid,si idem certet Phoebum superare canendo?

MENALCAS.
10 Incipe , Mopse, prior : si quos aut Phyllidis ignes,

Aut Alconis habes laudes , aut jurgia Codri.


113
www

EGLOGA QUINTA

MENALCA , MOPSO

MENALCA.

o ,, poichè qua c'incontriamo , e sai


Lopso
Mops
Tu ben dar fiato alla siringa , ed io

So bene verseggiar , sediamci all' ombre


Di quei densi nocciuoli e di quegli olmi.
MOPSO .
Tu sei di me maggior , e d'obbedirti 5
È mio dover , Menalca ; ma quell'ombre
Si muovon sempre al ventolar dei r rami :
Meglio fia in una grotta : oh , ve'là un antro ,
Che la vite silvestre serpeggiando

Sparse qua e là di rari grappolini. 10


MENALCA .

In questi monti può contender teco


Il solo Aminta.
MOPSO.
Aminta ? oh che di' mai ?

Ei crede superar lo stesso Apollo.


MENALCA .

Comincia , Mopso , or via , se qualche verso


Hai sull' ardor di Fille , o sulle lodi IG
D'Alcone , o sulle risse aspre di Codro :
8
114

Incipe; pascentes servabit Tityrus haedos.

MOPSUS.

Immo haec in viridi nuper quae cortice fagi

Carmina descripsi, et modulans alterna notavi ,

15 Experiar : tu deinde jubeto certet Amyntas.

MENALCAS.

Lenta salix quantum pallenti cedit olivae ,


Puniceis humilis quantum saliunca rosetis ,
Judicio nostro tantum tibi cedit Amyntas.

Sed tu desine plura , puer ; successimus antro.

MOPSUS.

20 Extinctum Nymphae crudeli funere Daphnin


Flebant: vos, coryli, testes, et flumina, Nymphis,

Quum , complexa sui corpus miserabile nati ,

Atque deos atque astra vocat crudelia mater.

Non ulli pastos illis egere diebus

25 Frigida , Daphni , boves ad flumina; nulla ne


que amnem

Libavit quadrupes , nec graminis attigit herbam.


Daphni , tuum Poenos etiam ingemuisse leone's
Interitum montesque feri sylvaeque loquuntur.

Daphnis et Armenias curru subjungere tigres,


30 Instituit , Daphnis thyasos inducere Baccho ,
Et foliis lentas intexere mollibus hastas.
115
Orsù comincia omai : Titiro intanto
Avrà l'occhio ai capretti intenti al pasco.
MOPSO,

Anzi quei carmi vo ' provar , che or ora


Incisi modulando in sulla verde 20

Scorza d'un faggio , a gioco alterno , e poi


Fa tu venire a lottar meco Aminta.
MENALCA.
Quanto il pieghevol salcio al bianco ulivo ,
E l'umil pallidetta saliunca
Cede alla rosa scarlattina , tanto , 25

A mio parere , a Mopso cede Aminta.


Silenzio ormai , garzon ; siam già nell'antro.

MOPSO.
Da crudel morbo il caro Dafni estinto
Piangean le Ninfe : o voi , corili e fiumi ,
Vedeste della madre il duol dipinto 50

Sul viso smorto , e sugli afflitti lumi ,


Quando , stringendo il freddo figlio al seno ,
Crude chiamò le stelle , ingiusti i numi.
Nessun gli armenti , o Dafni , al prato ameno
Guidò in quei giorni , o ai freschi rivi , o ai fonti; 35
Nè bruto bebbe in fiume , e cibò fieno.
Per te ( diconlo i boschi e i feri monti )
Gli Africani leoni in lamentose

Voci ruggiro , e rattristar le fronti.


Dafni alle tigri Armene il giogo impose ; 40
Aste lente intrecciò con molle fronda ,
E feste e balli al buon Lieo compose .
116
Vitis ut arboribus decori est , ut vitibus uvae,

Ut gregibus tauri , segetes ut pinguibus arvis ,

Tu decus omne tuis. Postquam te fata tulerunt ,

35 Ipsa Pales agroș , atque ipse reliquit Apollo.

Grandia saepe quibus mandavimus hordea sulcis

Infelix lolium et steriles nascuntur avenae.

Pro molli viola , pro purpureo narcisso ,

Carduus et spinis surgit paliurus acutis.

40 Spargitehumumfoliis, inducitefontibus umbras,

Pastores ; mandat fieri sibi talia Daphnis.

Ettumulumfacite, et tumulo superaddite carmen :


DAPHNIS EGO IN SILVIS HINC VSQVE AD SIDERA NOTVS ,
FORMOSI PECORIS CVSTOS , FORMOSIOR IPSE.

MENALCAS.

45 Tale tuum carmen nobis , divine poeta ,

Quale soporfessis in gramine , quale per aestum


Dulcis aquae saliente sitim restinguere rivo :

Nec calamis solum aequiparas , sed voce ma

gistrum ;

Fortunate puer , tu nunc eris alter ab illo.


117
La vite all'olmo , e dove l'uva abbonda
E di fregio alla vite , al gregge il toro ,
Le biade alla campagna ampia e feconda ; 45

Così tu desti a' tuoi pregio e decoro :


Ma poichè ti furò l'acerbo fato
Febo e Pale fuggir dai campi loro .
Se quello che si spesso ho seminato
Orzo sublime ne ' miei solchi io guardo , 50

Veggo che loglio e steril vena è nato.


Dove scorgea molli viole il guardo
E purpurei narcisi , or veder suole
D'acute spine il paliuro , e il cardo .

3145
Spargete frondi al suol , chè Dafni il vuole , 55

Pastori , e i fonti con le piante ombrate .


Fate un sepolcro , e sien dolci parole "
Espresse in breve carme , ivi segnate :
DAFNI SON' IO : DI ME FINO ALLE STELLE
VOCE SONO DA QUESTE SELVE AMATE : 60
PIÙ BELLO GUARDIAN DI GREGGI BELLE .
MENALCA .
Come è soave il sonno ai lassi e stanchi

Stesi sull'erba verde , e com'è dolce


Spegner la sete al fonte che zampilla ,
Così il tuo canto mi ristora l'alma 65

O poeta divin. Non solo uguagli


Nel suon della zampogna il tuo maestro ,
Ma nella voce ancora : o fortunato

Fanciullo , or tu , dopo di lui , se' primo .


118

40 Nos tamen haec quocumque modo tibi nostra


vicissim

Dicemus , Daphninque tuum tollemus ad astra ;

Daphnin ad astra feremus : amavit nos quo

que Daphnis.
MOPSUS..

An quidquam nobis tali sit munere majus ?

Et puer ipse fuit cantari dignus , et ista


43 Jampridem Stimicon laudavit carmina nobis .
MENALCAS.

Candidus insuetum miratur limen olympi ,

Sub pedibusque videt nubes et sidera Daphnis.

Ergo alacris sylvas et cetera rura voluptas ,

Panaque pastoresque tenet, Dryadasque puellas;

50 Nec lupus insidias pecori , nec retia cervis


Ulla dolum meditantur : amat bonus otia Daph
nis.
119

Io nondimen , comunque siensi , i miei 7༠


Carmi dirò per alternare , e Dafni
Al Cielo innalzerò ; sì Dafni al Cielo

Innalzerò , che me pur Dafni amava.


MOPSO

E qual dono maggior potresti farmi ?


Invero era il fanciul degno di canto , 75

E molto prima Stimicone stesso ,


Meco parlando , commendò i suoi versi.

MENALCA .
Già Dafni candido
D ' Olimpo vede
80
La soglia insolita ;
E sotto al piede
Gli astri e le nuvole
Gode mirar.

I campi allegransi
Pei divi onori , 85

Nei boschi esultano


Pane e i pastori :
Aman le Driadi
Balli intrecciar.

Al gregge insidie 90
Non tende il lupo
Ai cervi celeri
Nel vallon cupo

Reti ingannevoli
Tese non son. 95
120

Ipsi laetitia voces ad sidera jactant


Intonsi montes; ipsae jam carmina rupes ,

"

Ipsa sonant arbusta : DEUS , DEUS ILLE , ME

NALCA.

55 Sis bonus o felixque tuis ! en quatuor aras ›

Ecce duas tibi , Daphni ; duas , altaria Phoebo.

Pocula bina novo spumantia lacte quotannis

Craterasque duo statuam tibi pinguis olivi ;

Et multo in primis hilarans convivia baccho ,


60 Ante focum, si frigus erit , si messis , in um
bra ,
121

Or Dafni placido
Ama i riposi :
Gl' intonsi esultano
Monti festosi ,

Le rupi innalzano
Di carmi suon . 100

E fino gli alberi


Sonar io sento
Con incessabile
Dolce concento :
Menalca , UN NUME , 105
UN NUME É QUEL.

Quattro qui veggonsi


Altari intatti ,

Due per Apolline


Due per te fatti ; IIO
Deh ! sii propizio
Nume novel.
Io di freschissimo
Latte spumanti
Due nappi , e d'ottimo 115
Olio altrettanti ,
Ogn' anno , o Dafnide ,
Ti sacrerò .
Nel mio convivio
Con vin non poco 120
Esilarandomi ,
L'inverno al foco ;
In selva ombrifera
La state andrò .
122

Vina novum fundam calathis Arvisia nectar.


Cantabunt mihi Damoetas et Lyctius Aegon;

Saltantes Satyros imitabitur Alphesibocus.

Haec tibi semper erunt, et quum solemnia vota


65 Reddemus Nymphis, et quum lustrabimus agros.

Dumjuga montis aper,fluvios dumpiscis amabit,


Dumque thymo pascentur apes , dum rore ci
cadae ,

Semper honos nomenque tuum laudesque ma


nebunt.
123

E mentre Arvisio 125

A quando a quando
Novello nettare
Andrò versando ,
Egon di Candia
Versi farà. 130

Unirà il facile
Suono Febeo
Dameta il celebre ,

l
E Alfesibeo ,
Saltando , i Satiri 135

Imiterà.
Queste farannosi
Ostie votive
Ne' di festevoli
Sacri alle Dive , 140
' Ne' dì che a Cerere
Sacri saran.
Finchè il selvatico
Monte i cinghiali ,
I pesci mutoli 145
1 L'onde vitali ?
E il timo florido
L'api ameran ;
Finchè le stridule.
Arse cicade 150
Nutrirà il balsamo
Delle rugiade ,
Fama , onor , cantici
Dafnide avrà .

51
124

Ut Baccho Cererique , tibi sic vota quotannis

70 Agricolae facient : damnabis tu quoque votis.

MOPSUS.

Quae tibi, quae tali reddam pro carmine dona ?


Nam neque me tantum venientis sibilus austri ,

Necpercussajuvant fluctu tam litora , nec quae


Saxosas inter decurrunt flumina valles.

MENÁLCAS.

75 Hac te nos fragili donabimus ante cicuta :


Haecnos:,,Formosum Corydonardebat Alexin:"

Haec eadem docuit: ,, Cujumpecus ? an Meliboei?“

MOPSUS.

Attu sume pedum, quod, me quum saepe rogaret,

Non tulit Antigenes (et erat tum dignus amari ),

80 Formosum paribus nodis atque ære, Menalca.


125

Come gli agricoli 155


Cerere ogn'anno
E Bromio invocano ,
Te invocheranno ,
E ai voti Dafnide
Gli obbligherà. 160

MOPSO.

Oh ! qual mai ti darò premio condegno


Pel tuo canto , che ancor più mi ricrea
Del sibilo dell' Austro , quando spira ,

E più m'alletta del lido sonante ,


Che percosso è dall' onda , e più dei fiumi 165
Scorrenti in mezzo alle sassose valli ?
MENALCA.
Anz' io prima ti do questa siringa
Che m'insegnò a cantar : 39 Pel bello Alessi

Il pastor Coridone ardea d'amore " "


Ed anco m'insegnò : Quel gregge è forse 170
Di Melibeo ? "
MOPSO.

Ma tu prendi 'l vincastro


Che tante volte Antigene mi chiese
Invan ( quantunque ei l'amor mio si fosse ) ,
Di nodi pari , e di metallo adorno. 175
127

ANNOTAZIONI

ALL EGLOGA QUINTA.

Vers. 3. Ulmos gli olmi . Ulmus campestris . B.


7. Labrusca. La labrusca è la vite delle macchie ,.
che noi diciamo volgarmente uccellesca , perchè vien
propagata dagli uccelli che ne portano qua e là le
sementi. Le viti che in Europa provengono dalle sc
menti sono tutte degenerate di qualità . B.
10. Phillidis ignes etc. Evvi chi crede che per que
sta Fillide debba intendersi l'amante di Demofoonte ,
per Alcone quel Cretese , che vedendo un serpente
avviticchiato a suo figlio , lo uccise con un tiro di
freccia senza offendere il fanciullo , e finalmente per
Codro l'ultimo re d'Atene che si gittò nelle schiere
de' nemici per salvare la patria . Ma è forse più pro
babile che questi non sieno che tre nomi pastorali
immaginarj , come lo sono Menalca e Mopso , e tutti
gli altri che si trovano in queste egloghe. Inoltre
non par naturale che un pastore , il quale potea be
nissimo essere informato delle cose Romane , lo fosse
egualmente delle cose Greche , e tanto più che non
erano questi personaggi della più grande celebrità.
14. Alterna notavi. Osserva qui , e ben giustamente ,
l' Heyne , che dev'essere stata non tanto picciola fat .
tura l'incidere tutto questo carme sulla scorza d'un
albero.
16. Salix. Il salice giallo da vinchi. Salix vitel
lina, B.
16. Olivae. Olea europea . B.
128
17. Saliunca. La spiga nana delle Alpi . Valeria
na supina . La Saliunca adoperavasi a que' tempi , co
me si fa da noi della lavandola , che frapponesi al
la biancheria negli armadj . Plinio nel lib . 21. cap. 7 .
la crede piuttosto un'erba che un fiore , perchè si
raccoglieva per tal uso prima della sua fioritura . B.
17. Rosetis . La damaschina . Rosa Damascena. Nel
testo dicesi punicea , perchè è del colore del calice
del melagrano , che indicavasi col nome di punico :
ma il colore del calice del melagrano è un vero sear
latto . B.

20. Extinctum Nimphae. L ' Heyne disse egregia


mente , che luctus super Daphnidem satis declarat lu
sum ingenii , non verum affectum et sensum ex funere
vero (pag. 106. ) Non si può scusare il Tasso di aver
preso , non dirò ad imitare , ma a spogliare quest'e
gloga , per comporre il poemetto del Rogo di Corin
na, se non colla stessa sua dedicatoria a Fabio Or
sini ; dalla quale apparisce ch' ei lo scrisse secondo
l'invenzione e il disegno datogli da lui , affermando
con ischietta semplicità , ch' egli a guisa d'istrumen
to senz' anima è stato mosso dalla sua volontà e dal
suo favore (Ved . dedic. al Rog. di Corinna colla data
di Casa 1588. ) .
Per dimostrare colla prova alla mano ciò che di
ventino gli affetti di quest' egloga privi del magico
verso Virgiliano , e per conforto dell' umile mia tra
duzione , ho voluto qui porli sott ' occhio de' leggito
ri , trasferiti ne' versi del gran Torquato.
"" Pianser le Ninfe la sua acerba morte :
‫ ور‬Testimonj voi sete abeti e faggi
39 Che udiste il pianto , e voi fontane e rivi ,
93 Che più cresceste al lagrimoso umore :
129
‫ ارد‬Niuno allor condusse a ber gli armenti ,
"" Non gustò fera le turbate fonti ,
"" Nè toccò per dolor l'erba del prato .
,, Gemeva ancora al tuo morir , Corinna ,
"" L'Africano leon , la tigre Ircana ,
"" Come dicon le selve , e i feri monti .....

"" Come ad arbor la vite , a vite l'uva ,


"" Tauro agli armenti , e biada ai grassi campi ;
22 Così tu fosti ai tuoi , Corinna , onore.
"" Poscia che t'involò l'acerba morte
29 Pale medesma abbandonò piangendo
"" Le sue nude campagne , e seco Apollo ;
"" E nei solchi in cui già fu sparso il grano
"" Vi signoreggia l'infelice loglio ,
29 E la sterile avena , o felce appresso
"" Sventurata , che frutto non produce ,
99 E in vece pur di violetta molle
"" Di purpureo narciso , e di giacinto
"" Il cardo sorge , e con le spine acuto
"" Il 4

"" Di verdi fronde voi l'arida terra


99 O pastori , spargete , e i chiari fonti
,, Coprite intorno pur con l'ombra fosca ,
"" Che l'istessa Corinna il vi comanda ,
29 Fate il sepolcro , e nel sepolcro il carme
"" Aggiungete piangendo ai bianchi marmi .
"" Giaccio io Corinna qui da terra al cielo ,
29 E dalle verdi selve all' auree stelle
"" Nota per fama di beltà pudica .
TIRSI.
29 Di bello armento guardian più bello ,
9
130

29 Tale è il tuo canto a noi , divin Poeta ,


29 Qual sopra l'erba verde il dolce sonno
99 All'uom già stanco , e nell' estivo ardore
29 Dolce rivo ch'estingua ardente sete ;
29 Nè con le canne sole il mastro agguagli ,
"2 Ma con la voce , e coi soavi accenti.
29 Fanciullo avventuroso , or tu sarai
"" Secondo a lui , ma sol d'età secondo.
"" Noi canteremo i nostri versi a prova ,
29 Qualunque paja il nostro modo e l'arte ,
99 E Corinna alzerem fino alle stelle ,
99 Sin ' alle stelle innalzerem Corinna ,
"" Ch'io non fui degno di vederla in terra ,
22 Ma spero forse di vederla in cielo.
AMINTA .
29 Qual fu di questo mai più caro dono ?
"" Ella fu degna del tuo chiaro canto ,
"" E il tuo canto lodar Batto e Menalca .
TIRSI.
99 La candida Corinna il bianco cerchio ,
"" E il candor non usato in ciel rimira ,
! 99 E vede sotto i piè le vaghe nubi
"" In mille forme , e l'argentata luna ,
‫ ور‬E l'altre stelle , e lor viaggio torto.
33 Però del suo piacer s'allegra il bosco ,
39 E si riveste omai la verde spoglia
39 Di Pan albergo e di Pastori e Ninfe ;
‫ دو‬Nè lupo insidia alle lanose gregge ,
‫ رو‬Nè tendono le reti inganno a cervi.
‫ در‬Ama Corinna l'ozio , e l'ozio in cielo :
"" Ma la fatica s'ange in sulle porte
99 Del tenebroso inferno , ove dolente
"" Sta fra la schiera d'infiniti mali .
131

"" I monti adorni di fiorite chiome


"" Alzano nel piacer le voci al cielo ,
"" Suonan l'inculte rupi i vaghi carmi ,
25 Dei vaghi carmi ancor suonano i boschi :
99 Diva fu , Diva fu Corinna , o parve ;
22 E se in terra fu Dea , che fia nel cielo ?
"2 Ecco ( se a te non basta , o Dea , la tomba )
22 Quattro alziam qui bianchi e politi altari ,
23 Duo , o Corinna , a te , duo a Diana ,
‫ در‬E d'anno in anno spargeremo intorno
"" Tazze spumanti pur di novo latte ,
"" A te duo vasi di liquor d'oliva
,, Porrò , Corinna , e le più adorne mense
"" Farà Bacco più liete , in ampio vetro
39 Versandosi il prezioso e nobil vino ,
23 E canteranno a te Lizio ed Egone ,
99 I Satiri saltanti Alfesibeo
,, Inviteranno ; o Dea , riguarda i giuochi ,
99 E avrai perpetui questi onori in terra ,
99 E quando renderem solenni voti
29 Alle Ninfe de' fiumi e delle selve ,
29 E quando purgheremo i nostri campi .
"" Mentre il cinghial de ' monti i duri gioghi ,
"" Mentre il pesce amerà gli ondosi fiumi ,
99 Mentre si pasceran l'api de ' fiori ,
55 E di rugiada avran celeste eibo
"" Le canore cicale , in terra sempre
:" Più saldo rimarrà che in salda pietra
99 L'onor tuo , la tua laude , e il chiaro nome.
92 Come a Cerere , a Bacco , a te , Corinna ,
99 I doni porterà da' verdi campi
39 Il tuo rozzo cultor con larga mano ,
2.2 E tu condannerai con voti , o Diya .
#

132
AMINTA.
"" Quali a te , quali per si colti versi
"" Render doni potrò degni del canto ,
"" Perchè non tanto il sibilar dell ' Austro ,
"" Nè d'onda , che si rompa al salso lido
‫ در‬Udir mi giova il suono , o quel d'un fiume
"" Precipitante per sassose valli .
l'Hey
30. Daphnis thiasos inducere Baccho . Tanto l'l
ne che parecchi altri comentatori seguono qui Suida
che chiamò il tiaso un coro sacro , e Ateneo , il quale
( ripetendo ciò che disse Euripide ) afferma che per
tiaso s'intende quella moltitudine che segue Bacco .
Se così è le danze riconoscono la loro origine dal .
l'uso primitivo del vino. L'allegria cagionata da que
sto liquore ha portato naturalmente uomini , doune , fan
ciulli ad affollarsi confusamente , ed a gridare e a sal
tare. In seguito qualche uomo avveduto diede a questa
confusione di gente una forma più regolare. Da un epi
gramma d'incerto autor greco sopra il sepolcro d'Or
feo , il quale secondo Pausania nelle Beotiche trova
vasi fra l'Elicona e la città di Coronea , sembra che
Orfeo medesimo sia stato l'ordinatore di questi cori :
Orphea qui thiasos invenit primus Iaccho
Ducere , et heroo nectere verba pede.
( Epigr. antol. graec, lat. redd . a Raim. Cunichio
cap. 5. ep. 1. )
35. Pales. Dea che presiedeva ai paschi , ed è
Vesta o Cibele. La sua festa celebravasi il 19. di
Aprile.
35. Apollo. Si supponeva che Apolline protegges
se i campi , perchè egli pure menò la vita pastorale ,
quando ebbe in custodia gli armenti del re Am
meto .
133

36. Hordea grandia . Si prende per qualunque ce


reale. B.
37. Lolium. Vedi Teofrasto Stor. delle piante
lib. II. cap. 5. È il loglio zucco , lolium tumulentum ,
che credevasi per errore provenire dalla degenerazione
dell' orzo e del frumento. Plin. lib. XVIII . cap. 17. B.
37. Avenae. L'avena selvatica , che è l'avena fa
tua . E ancora opinione del contadino che il frumen
to degeneri in loglio e in avena ; ciò deducendo for..
se dall' aver veduto che il campo spossato dalla ri
produzione del frumento , per più anni genera quan
tità di questa gramigna . B.
38. Molli viola. Le viole mammole : viola odo
rata. B.
38. Narcisso . Narcissus poeticus . Questi fiori han
no sul nettare un orlo rosso , per cui furono detti
purpurei. B.
39. Carduus. Stoppone. Per cardi vengono indi
cate molte piante diverse di genere e di specie , fra
le quali infesta moltissimo i seminati la specie ser
ratula arvensis. B.
39. Paliurus. Le marruche : Ramnus paliurus.
40. Inducite fontibus umbras. Il Solari cangia la
lezione così inducite frondibus aras , e prende l'in
ducere per induere , piacendogli togliere per tal modo
quell' ambiguità che regnava nella lezione comune.
Ma l'ambiguità è sciolta dopo la spiegazione del
l'Heyne , il quale dice : mihi videtur res sic expedien
da , ut tumulum juxta fontem factum intelligamus.
pag. 110.
71. Arvisia nectar. Vino che dicevasi anche Aru
sio dal nome del monte in cui se ne faceva la ven
demmia . Questo monte appartiene a Chio. Tutti i vini
134

di quell'isola erano celebratissimi , come consta da


Plinio lib. XIV . cap. 1. , ma più di tutti era quello
del monte Arusio . Il vino di Chio dicesi vino di
Scio , e mantiensi ancora in pregio . B.
76; Dum rore cicadae. Gli antichi credevano che
le cicale vivessero di sola rugiada , come si vede in
Plinio St. Nat. lib. XI . cap . 26 .; ma ciò non è vero :
le cicale nel loro stato di perfezione traggono il suc
co dagli alberi con certe setole , e nello stato di lar
ve rodono le radici delle erbe . B.
78. At tu sume pedum. Gl' interpreti antichi così
descrivono questo bastone pastorale. Pedum est bacu
lum recurvum " quo pastores utuntur ut adminiculum
Gradum pro
pedum sit , ut ait Ennius in Ifigenia : ‫رو‬
ferre pedum nitere. " Cessas o fid... ,, Porro est re
curvum , 66 quia eo pastores pedes ovium retrahere
soleant ( p . 3. ) . t
SILEN O

EGLOGA SESTA

ARGOMENTO

Virgilio racconta a Varo come i due


I
giovinetti Cromi e Mnasillo assalirono Si

leno , che dormiva riscaldato dal vino , e

l'obbligarono a cantare la natura delle

cose. Il canto di Sileno è una narrazio

ne poetica , in cui sono espressi i dogmi

fisici di Epicuro . Se è vero , che il Poe

ta in Sileno voglia raffigurare Silone , al

la scuola del quale egli e Varo appresero

la filosofia , è da credersi pure che nei

due giovinetti voglia rappresentare sè e

l'illustre suo condiscepolo .


136

GLOGA SEXTA
EGLOGA

POETA

I Prima
rima Syracusio dignata est ludere versu
Nostra , neque erubuit sylvas habitare , Thalia.

Quum canerem reges etproelia, Cynthius aurem


Fellit , et admonuit : Pastorem , Tityre , pingues

5 Pascere oportet oves , deductum dicere carmen.

Nunc ego ( namque super tibi erunt qui di


cere laudes ,

Vare , tuas cupiant , et tristia condere bella )


Agrestem tenui meditabor arundine musam.

Non injussa cano. Si quis tamen haec quoque , si


quis
10 Captus amore leget, te nostrae , Vare , myricae ,
Te nemus omne canet: nec Phoebogratior ulla est

Quam sibi quae Vari praescripsit pagina nomen .

Pergite, Pierides, Chromis et Mnasylos in antro

Silenum pueri somno videre jacentem ,

15 Inflatum hesterno venas , ut semper , Iaccho :


137

EGLOGA SESTA

IL POETA

Pri scherzar col Siciliano verso


ma scherzar
rima I

Degnò Talia , nè d'abitar le nostre


Selve ebbe a schivo ; ma poichè le guerre
Presi a cantare e i regi , Apollo venne
A tirarmi l'orecchio , e ad ammonirmi : 5

Badino , disse , a pasturar la greggia ,


O Titiro , i pastori , e all'umil canto .
Io dunque , o Varo , sulle lievi canne
Andrò svegliando la mia Musa agreste :
Chè a te non mancherà chi in cor la brama 10
Senta di celebrar l'alte tue lodi ,

E le battaglie sanguinose. Io canto


Prescritti carmi ; ma se v' ha chi provi
Qualche diletto in questi versi umìli ,
I nostri tamerigi , e i nostri boschi 15
Udrà sonar del nome tuo : chè a Febo

Più di quella non v' ha pagina cara


Che di te parla , o Varo. Omai seguite >
Muse , l'usato stile. I giovincelli
Cromi e Mnasillo videro Sileno , 20

Che in un antro dormia supin , le vene


Gonfio , qual sempre suol , d'esterno bacco.
138

Serta procul tantum capiti delapsa jacebant ,


Et gravis attrita pendebat cantharus ansa .
Aggressi (nam saepe senex spe carminibus ambo

Luserat ) injiciunt ipsis ex vincula sertis.

20 Addit se sociam , timidisque supervenit Ægle,

Egle Naiadum pulcherrima ; jamque videnti

Sanguineis frontem moris et tempora pingit.


Ille dolum ridens : Quo vincula nectitis ? inquit :

Solvite me , pueri ; satis est potuisse videri.


25 Carmina quae vultis cognoscite : carmina vobis;
Huic aliud mercedis erit. Simul incipit ipse.

Tum vero in numerum Faunosque ferasque vi


deres

Ludere , tum rigidas motare cacumina quercus:

Nec tantum Phoebo gaudet Parnassia rupes,

30 Nec tantum Rhodope mirantur et Ismarus


Orphea. 1

Namque canebat uti magnum per inane coacta

Semina terrarumque animaeque marisque fuis


sent,

Et liquidi simul ignis ut his exordia primis


Omnia , et ipse tener mundi concreverit orbis :
139

Scevri dal capo sol giaceano i serti


E da manico attrito il grave fiasco
Pendeagli. L'assaliro incontanente 25

I due fanciulli , e ( poichè il vecchio il canto


A lor promise tante volte , e sempre
Entrambi li beffò ) coi serti stessi
Da terra tolti l'annodaro stretto.

Mentre pendeano timorosi e incerti 30

S'unì compagna all'uopo Egle più bella


Delle Najadi tutte , e a lui già desto
Iva pingendo con sanguigne more
Le tempie e il volto. Rise allor Sileno
Del puerile inganno : o sempliciotti , 35

Disse , perchè si m'anuodaste ? Basti


L'avermi sì veduto , omai , fanciulli ,
Sciogliete questi nodi , e i desiati

Versi ascoltate a voi do versi ; d'altro


Farò dono a costei. Qui a dir comincia. 40
Veduto avresti turba innumerevole

Saltando festeggiar di fiere e satiri ,


E delle querce l'alte cime e rigide
Scuotersi e tremolar : tale ad Apolline
Festa non fa la rupe sua Parnassia , 45

Nè si d' Orfeo stupiro Ismaro e Rodope.


Egli cantava come uniti gli atomi
Nel vano immensurabile produssero
La terra , l'acqua , il puro fuoco , e l'aere ;
E come congelato il mondo liquido 50

Indurossi il terren , si rinserrarono


140
35 Tum durare solum ; et discludere Nerea ponto

Coeperit , et rerum paulatim sumere formas :


Jamque novum terrae stupeant lucescere solem ;
Altius atque cadant submotis nubibus imbres :

Incipiant sylvae quum primum surgere ,quumque


40 Rara per ignotos errent animalia montes.

Hinc lapides Pyrrhae jactos , Saturnia regna ,


Caucasiasque refert volucres , furtumque Pro
methei.

His adjungit Hylan nautae quo fonte relictum


Clamassent ; ut littus , HYLA, HYLA , omne sonaret.

45 Et fortunatam , si nunquam armenta fuissent ,


Pasiphaen nivei solatur amore juvenci.

Ah! virgo infelix , quae te dementia cepit?


Proetides implerunt falsis mugitibus agros ;

At non tam turpes pecudum tamen ulla se


cuta est

50 Concubitus , quamvis collo timuisset aratrum ,

Et saepe in levi quaesisset cornua fronte.

Ah! virgo infelix , tu nunc in montibus erras :


141
L'acque nel mare , e a poco a poco apparvero

Composte in tante e sì diverse immagini


Le cose tutte . Ed ei cantò che attonite
Vider le terre il nuovo Sol risplender , 55
e
E che dal suolo alto levati i nuvoli

Cadder le pioggie ; e quando ancora erravano


Non molti gli animai pei monti incogniti .
Indi i sassi di Pirra , ed il Saturnio
Regno narrava ; gli avoltoj del Caucaso 60
E di Prometeo il furto . A questo aggiungere
Gli piacque in su qual fonte Ila smarritosi
I mesti naviganti alto chiamasser ,
o
E il lido a quelle voci lamentevol
i
ILA ILA rispondess in suon di gemito . 65
e
E la felice inver bella Pasifae ,

Se gli armenti giammai nati non fossero ,


Cantò , quasi pietoso consolandola
Perchè struggeasi pel torello niveo.
Ah , vergine infelice ! 70
Qual follia nel tuo cor piantò radice !
Falsi muggiti alzaro anco le Pretidi
Nella campagna Argiva ,
Ma di nefando e reo bestial concubito
Niuna il desio sentiva , 75
Benchè sul collo di portar temessero
L'aratro duro e greve ,

E l'alte corna con la man cercassero

" In sulla fronte lieve.


Ah ! sciagurata vergine , 80

Tu vai per monti e colli


142

Ille , latus niveum molli fultus hyacintho,

Ilice sub nigra pallentes ruminat herbas ,

55 Aut aliquam in magno sequitur grege. Clau


dite , Nymphae ,

Dictaeae Nymphae,nemorumjam claudite saltus;

Si qua forte ferant oculis sese obvia nostris


Errabunda bovis vestigia : forsitan illum,

Aut herba captum viridi, aut armenta sequutum ,

60 Perducant aliquae stabula ad Gortynia vaccae.

Tum canit Hesperidum miratam mala puellam :


Tum Phaethontiadas musco circumdat amarae

Corticis, atque solo proceras erigit alnos.

Tumcanit ,errantem Permessi adflumina Gallum


65 Aonas in montes ut duxerit una sororum >

Utque viro Phoebi chorus assurrexerit omnis ;

Ut Linus haec illi divino carmine pastor ,

Floribus atque apio crines ornatus amaro ,


Dixerit : Hos tibi dant calamos , en accipe ,
Musae ,

70 Ascraeo quos ante seni , quibus ille solebat


143
Ei poggia il lato candido
Sovra i giacinti molli
E pallid' erbe rumina
Sotto d' un' elce bruna , 85

O in greggia innumerevole
Va seguitando alcuna.
Ninfe Dittee , affrettatevi ,
Tutti i varchi del bosco chiudete ,
Se alcun bovin vestigio

30
Qua là impresso nel suolo vedete :
Se dietro al gregge il veggono ,
O in verde erbosa valle ,
Seco le vacche il guidano
Nelle Gortinie stalle . 95
Poscia cantò come le mele Esperie
Fermaro la fanciulla a correr agile ,
E come di muscoso amaro cortice
Vestironsi le suore Fetontiadi

E s'allungaro in pioppi ritti altissimi. 100


Indi a cantar seguì di Gallo erratico
" In riva del Permesso , e come addusselo

Seco una musa alla montagna Aonia ,


4
E tosto alzossi di tal vate al giugnere
Del divo Apollo il sacro coro armonico ; 105
E come Lino , quel pastor sì celebre ,
Cui l'appio amaro e i fiori il crine adornano ,
A lui dicesse in divo suon dolcissimo :
Prendi , o Gallo : le Muse a te concedono
Questa zampogna , che all'antico Esiodo 110
144

Cantando rigidas deducere montibus ornos .

His tibi Grynaei memoris dicatur origo ,

Ne quis sit lucus quo se plus jactet Apollo.

Quid loquar? aut Scyllam Nisi , aut quam fama


secuta est

75 Candida succinctam latrantibus inguina mon


stris

Dulichias vexasse rates , et gurgite in alto


Ah! timidos nautas canibus lacerasse murinis ;

Aut ut mutatos Terei narraverit artus ?

Quas illi Philomela dapes , quae dona pararit ?


80 Quo cursu deserta petiverit , et quibus ante
Infelix sua tecta supervolitaverit alis ?

Omnia quae, Phoebo quondam meditante , beatus

Audiit Eurotas , jussitque ediscere lauros ,

Ille canit. pulsae referunt ad sidera valles :


85 Cogere donec oves stabulis numerumque referre
1
Jussit , et invito processit Vesper olympo.
145

Diedero in pria , su cui cantando i rigidi


Orni dai monti al piano ei fece scendere :
Con essa tu celebrerai l'origine
Della selva Grinea , perchè non siavi

Bosco verun , di cui più Febo vantisi. 115


Che di Scilla dirò da Niso genita ?
O dell' altra , di cui Fama vocifera
Che tutta cinta l'anguinaja candida
Di mostri orribilissimi che latrano

Le navi sommergesse di Dulichio ; 120


Ed ahi ! facesse i naviganti pavidi
Dilacerar dai cani suoi marittimi ?

Che dirò pur come cantò di Tereo ,


Di cui le membra si cangiaro in upupa ,

E quali doni , e qual vivanda orribile 125


Gli desse Filomena , e come celere
Vagasse pei deserti , e in pria la misera
Sopravolasse ai tetti tuoi domestici ?
Ciò che l'Eurota udì beato ed ilare

Da Febo un tempo , e fece ai lauri apprendere , 130


Canta Silen percosse intorno eccheggiano
Le valli , ed alle stelle il rumor levasi ,
Finchè alla sera il sopraggiunger d' Espero ,

Malgrado al Cielo , dai pastor fe ' spingere


Le greggi al chiuso , e ricontarne il numero . 135

IO
147

ANNOTAZIONI

ALL EGLOGA SESTA.

Vers . 1.A
1.Syyracus
racu io versu. Lo stile di Teocrito di
Siracusa , gl'idilii del quale da Virgilio furono presi
per modello delle sue egloghe.
1. Dignata est. Secondo gli antichi interpreti ecco
l'ordine della costruzione : Prima nostra Thalia di
gnata est ludere versu Syracusio .... volendo dire che
la sua prima musa si abbassò a cantare versi pasto
rali sul dignata est poi essi comentano : adroganter
dictum , quasi potuerit majora scribere quam bucoli
con , quod ex facili compositione ( pag. 5. ).
3. Cynthius. Sembrerebbe che per Cintio dovesse
intendersi Apollo , il quale è così nominato dal mon
te Cinto dell'Isola di Delo , ma gl'interpreti antichi
spiegano Cynthius per Augusto , e forse a ragione ,
perchè Augusto era veramente il nume che ispirava
Virgilio. Perciò disse nell'egloga prima : Deus nobis
haec otia fecit.
5. Deductum carmen . L' Heyne segue l'interpre
tazione del Servio e di parecchi altri comentatori , i
quali spiegano il deductum per tenue , considerando
questo un traslato preso dalla lana , la quale si ridu
ce in filo sottile ; secondo quello d'Orazio :
Tenui deducta poemata filo.

Ma gl'interpreti antichi che spiegano deductum per


tenue , gracile , subtile , dicono che ciò trae origine
dall'uccellatore : origo ab aucipe . A maggiore schia
rimento di questo luogo il ch . Mai riportò il seguente
148

passo di Frontone , nel lib. 2. delle orazioni , intor


no all' origine dell'eloquenza : Vocis modulatae ama
tores primas audisse feruntur aves vernas luco ора
co. Post pastores recens repertis fistulis se adque pe
cus oblectabant . Visae fistulae longe avibus modula
tiores.
7. Vare. Questi è Quintilio Varo , per la morte
del quale Virgilio restò addolorato , come si legge in
Orazio lib . 1. Ode 24.0
7. Tristia condere bella . Tristia o è epiteto di
tutte le guerre prese in generale , o si riferisce par
ticolarmente alle guerre civili , le quali furono tanto
funeste a quelli contro i quali furono intraprese ( In
1 terpr. vet. loc . cit. ) .
19. Injiciunt vincula. Sileno , Proteo e Fauno non
vaticinavano se non erano legati .
22. Sanguineis moris . Queste sono le more acer
be , le quali colla maturazione diventano negre , lo

che sapevasi anche dagli antichi , come consta da Pli


nio lib. XV. cap . 24. Il moro delle more acerbe , mo
rus nigra , è un albero che alligna in tutta l'Europa
meridionale . Il moro bianco , morus alba , della di
cui foglia nutronsi i filugelli , è originario dell' Assiria
e della China , e non fu introdotto in Europa che
al tempo dell' Imperator Giustiniano . B.
30. Rhodope et Ismarus. Nomi dei due monti del
la Tracia , patria d ' Orfeo.
31. Namque canebat . Qui Virgilio accenna in e
pilogo il discorso di Sileno sulla formazione del mon
do , ch'è in sostanza l'esposizione del sistema d'Epi
curo. Questo Filosofo voleva che da tutta l'eternità
avessero avuto esistenza alcuni corpicciuoli indivisi
bili , ch'egli diceva atomi : siccome poi questi cor
149
picciuoli venivano portati in giù dal proprio peso ,
così credette di poter supporre che si sieno incon
trati insieme , ed abbiano colle diverse loro combina
zioni formato i quattro elementi , che si dicono ter
ra , acqua , aere , fuoco. Il mondo coll'assortimento
delle cose che vi sono entro ( secondo il suo modo
di pensare ) emerse da questi quattro elementi nel
l'incontro che accadde la reciproca separazione vo
luta dalla loro respettiva natura. Parmi che Epicuro
abbia concepito la formazione del mondo fuori degli
atomi sparsi nel vuoto , al modo con cui il latte col
moto di fermentazione interna si divide in crema 9
cascio , e siero . B.
41. Lapides Pyrrhae. Si legge nelle metamorfosi
d'Ovidio lib. I. cap . 11. e 12. , come Pirra e Deucalio
ne , salvati dal diluvio della Tessaglia dietro le insinua
zioni di Temide, abbiano fatto rinascere la specie u-
mana col gettarsi dietro le spalle i sassi.
42. Furtumque Promethei. Lo stesso Ovidio nelle
Metamorfosi lib. 1. cap . 4. racconta che Prometeo fi
glio di Giapeto animò col fuoco rapito al Cielo una
statua da lui formata colla creta. Giove in pena di
ciò lo fece incatenar da Vulcano sul monte Cauca
che non
so , ove un avoltojo gli rosicchia il cuore ,
cessa mai di rinascere .
43. Hylan. Giovine bellissimo amato da Ercole .
Andò cogli Argonauti a Colco , ove fu rapito dalle
Ninfe nell'incontro che assetato andò ad una fonte
per bere. Questa è la favola comune , ma gl ' in
terpreti non si accordano nel supporre che questo
giovinetto sia stato il prediletto di Ercole , trovandosi
nell'interprete d'Apollonio , che Ila fu l'innamorato di
Polifemo , non d'Ercole ; e negli Erotici di Plutar
150
co , che Ercole amava non Ila " ma Jolao. Comun
que siasi , Virgilio , trattandosi d'una favola , deve a
ver ritenuto la più comune. Di questo Ila disse Ju
venale nella Satir. I. v. 164. ·
Aut multum quaesitus Hylas urnamque secutus.
46. Pasiphaen. Pasifae figlia del Sole e di Per
seide , e moglie di Minosse , s' innamorò d'un toro
in castigo d'aver palesato a Vulcano gli amori di Ve
nere con Marte. Ella partorì il Minotauro 9 mostro
mezzo uomo e mezzo toro , che fu ucciso da Te
seo , e che Dante Inf. c . 12. v. 12. chiama infamia
di Creti.
47. Virgo infelix. Il Servio e parecchi altri co
mentatori osservando che virgo , nel senso che si dà
comunemente a questa parola , male assai conveniva a
Pasifae , ricorsero alla sua etimologia , e desunsero
che Virgilio la usò nel suo primitivo senso , cioè di
donna di verdissima età : virgo a viridiore aetate di
cta • est ( De la Cerd . alla not . 10. dell' egl. 6. )
48. Praetides. Le Pretidi figlie di Preto caddero
nella manìa di credersi cangiate in vacche , ciò che
ad esse avvenne in gastigo d'essersi credute più bel
le di Giunone. Si vuole che la mania delle Pretidi
fosse stata prodotta dalla lebbra . Il medico Melampo
le guarì col far dar loro la caccia da giovini robu
sti. Se ciò successe convien dire che il moto gagliar
do abbia in esse promossa la traspirazione , per cui
cessò la lebbra e là manìa . B.
56. Dictaeae Nymphae . Così chiamate dal nome
di un monte dell' Isola di Creta , ove inamorossi Pa
sifae del toro.
60. Gortynia , o Cortinia. Gortina era una città
nei dintorni di detta Isola.
151

61. Hesperidum mala . Gli aranci . Varietà della spe


cie citrus medica. Così nota lo Sprengel lib . 2. cap. 3 .;
ma io mi riporto alla nota del v. 71. dell' egloga 3. A.
maggior conferma che questi sieno i cotogni viene un
passo d' Ovidio dov'egli narra la favola di Atalanta .
Obstupuit virgo , nitidique cupidine pomi
Declinat cursus , aurumque volubile tollit
( Met. lib. 1o. v. 666. ).
Si conosce chiaramente che l'epiteto di nitido con
viene assai più al cotogno che abbia perduto la pe
luria , che non all' arancio.
61. Miratam puellam . Essa è Atalanta , la quale
non voleva aver per isposo se non chi l'avesse vin
ta nel corso . Ippomane la vinse , perchè ella ritar
dossi .
62. Phaetontiades. Questa metamorfosi delle so
relle di Fetonte in olni o pioppi , come leggesi in al
tri poeti , è descritta da Ovidio ( Metamorfosi lib. II.
cap. 9. ) .
63. Proceras alnos. Ontani . Alnus oblonga. B.
65. Aonas in montes. Il monte Parnasso così det
to da Aonia ch'era uno de' nomi della Beozia.
68. Apio amaro . Il Sedano. Apium graveolens. B.
70. Ascreo seni. Esiodo , il quale nacque da A
scra nella Beozia.
71. Ornos rigidas. L'orno. Fraxinus ornus. B.
72. Grynei. Bosco così detto da Grinio o Grinia
città dell' Eolide nell' Asia minore , su di che è da
vedersi Strab. lib. XIII. e Paus. I.
74. Aut Scyllam Nisi , aut quam etc. Il Solari si
serve d'una lezione la quale fa vedere che qui Vir
gilio nomina due Scille , non la sola figliuola di Ni
so , che si sa essere stata cangiata in uccello , e quin
152

di non potea essere la figlia di Forco cangiata in mo


stro . marino , che fu fatale alla ciurma d' Ulisse . La
lezione del Solari è la seguente :
Quid loquar , ut Scyllam Nisi , et quam ....
Il cod . Fl . e il Guarneriano , ed alcune buone stam
pe hanno una lezione , che rende lo stesso senso "
ed è espressa in questo modo :
Quid loquar aut Scyllam Nisi , aut quam etc.
E così Virgilio in questo passo non ha bisogno nè
delle giustificazioni del Servio , nè del Cerda , il pri
mo de ' quali volea che qui fossero mischiate in una
le due favole , e l'altro volea dimostrare che anch
la figlia di Niso fu trasmutata in mostro marino.
76. Dulichias rates. Così dette da una delle Isole
possedute da Ulisse .
77. Canibus marinis . Le cagnee. Squalus carcha
rias. Questo è il più vorace di tutti i pesci d'alette
cartilaginose . Ha la bocca e la lingua tutta coperta.
di denti addentelati . Arriva ad una enorme grandez
za. Linneo crede che sia stato un pesce di questa,
specie quello che ha inghiottito il profeta Giona. B.
78. Terei mutatos hortus. La bubbola. Upupa
Epops. Tereo fu trasformato in bubbola quando ta
gliò la lingua a Filomela sua cognata. B.
79. Philomela. Il rosignuolo. Motacilla Luscinia . B.
Parmi che gl'interpreti , per voler tenersi al senso let
terale , abbiano male sciolta la questione mitologica che
apparisce a questo luogo di Virgilio. Alcuni , e fra
gli altri l ' Heyne , opinano che il poeta abbia segui
to quelli che credono che Filomela sia stata trasfor
mata in rondine. La favola di Filomela mutata in rosi
gnuolo era troppo comune perchè un poeta il quale
deve scrivere per tutti dovesse seguire quella ch'era
153

solamente nota a pochi . Intendono essi che dapes e


dona pararit si riferisca a Progne che gli apprestò
in vivanda il figliuolo per vendetta della violenza fat
ta alla sua sorella ; ma il pararit secondo me è da
riferirsi a Filomela , la quale chiusa nel carcere , e
tagliata la lingua , descrisse coll'ago sulla tela la sua
storia infelice alla sorella Progne. Con tal lavoro es
sa e non Progne era veramente quella che appa
recchiava la cena fatale. I versi poi seguenti indica
no chiaramente ch'essa cangiatasi in rosignuolo prese
la direzione di Atene , e nel passare andò sorvolan
do dinanzi alla casa paterna , lo che è affettuosissi
mamente espresso colla parola infelix. Chiunque leg
gerà con qualche attenzione la favola 8. del libro 6.
delle Metamorfosi di Ovidio , troverà che Virgilio
espresse egregiamente questa istoria secondo la intel
ligenza comune , e che non c'era bisogno di tanta
laboriosità di cervello per facilmente spiegarla.
86. Vesper. Nome del pianeta di Venere , quan
do apparisce in Cielo all'avvicinarsi della notte.
MELIBEO

EGLOGA SETTIMA

ARGOMENTO

Narra Melibeo che due Arcadi , Tirsi e

Coridone , aveano sfida di canto. Melibeo

riferisce i versi dell' uno e dell' altro , e

finalmente dichiara che Tirsi rimase vinto ,

e che Coridone riportò la palma.


156
www

EGLOGA SEPTIMA
**

MELIBOEUS , CORYDON ET THYRS IS.

MELIBOEUS .

I Forte
orte sub arguta consederat ilice. Daphnis ;

Compulerantque greges Corydon et Thyrsis


in unum ;

Thyrsis oves , Corydon distentas lacte capellas ;


Ambo florentes aetatibus , Arcades ambo ,
5 Et cantare pares , et respondere parati.

Huc mihi, dum teneras defendo afrigore myrtos ,

Vir gregis ipse caper deerraverat : atque ego

Daphnin

Adspicio . Ille ubi me contra videt: Ocius , inquit,

Huc ades, o Meliboee; caper tibi salvus,et haedi:

10 Et, si quid cessare potes , requiesce sub umbra ;


Huc ipsi potum venient per prata juvenci ;

Hic viridis tenera praetexit arundine ripas

Mincius , eque sacra resonant examina quercu

Quid facerem ? neque ego Alcippen , nec Phyl


lida habebam ,
157

EGLOGA SETTIMA

MELIBEO , * CORIDONE E TIRSI .

MELIBEO.

Sotto
otto un elce fischiante a caso Dafni
S'era posto a seder ; e Coridone
E Tirsi aveano mescolato il gregge ;

Tirsi le pecorelle , e Coridone


Le sue caprette , turgide le poppe 5

Di latte ; entrambi nell'età fiorita ,


Arcadi entrambi , ed emuli nel canto ,
E apparecchiati alle risposte alterne .
Quivi , mentre io difendo i tenerelli

Mirti dal freddo , veggo che sviato JO

Erasi il becco maschio della greggia :


In punto allor vien Dafni , che mi dice :
O Melibeo , vien qua , già sono in salvo
I tuoi capretti e il becco ; siedi all'ombra
Se puoi fermarti un poco : i tuoi giovenchi 15
Verranno via dal prato a ber soletti .
Qui l Mincio adombra e fa verdi le rive
Con le tenere canne , ed uno sciame

D'api risuona in questa sacra quercia.


Che far ? Io non aveva Alcippe , o Fille , 20
158
15 Depulsos a lacte domi quae clauderet agnos ;

Et certamen erat , Corydon cum Thyrside , ma

gnum .
Posthabui tamen illorum mea seria ludo.

Alternis igitur contendere versibus ambo


Coepere; alternos Musae meminisse volebant .

20 Hos Corydon , illos referebat in ordine Thyrsis.


CORYDON.

Nymphae , noster amor , Libethrides, aut mihi


carmen ,

Quale meo Codro , concedite ; proxima Phoebi


Versibus ille facit : aut , si non possumus omnes ,

Hic arguta sacra pendebit fistula pinu.

THYRSIS.

25 Pastores , hedera crescentem ornate poetam ,

Arcades , invidia rumpantur ut ilia Codro :

Aut , si ultra placitum laudarit , baccare frontem

Cingite , ne vati noceat mala lingua futuro .

CORYDON.

Setosi caput hoc apri tibi, Delia , parvus


159
Che a casa mi chiudesse gli agnellini .
Tolti dal late , e Coridone e Tirsi
Avean gara fra lor grande di canto .
Alfin posposi ai giuochi lor le mie
Domestiche faccende. Intanto entrambi 25
Incominciaro ad alternare i versi ,
Poichè volean le Muse i versi alterni ;

Coridon questi , e quei cantava Tirsi.


CORIDONE.
O sacre Ninfe del Libetrio fonte ,

30
Mia dolce cura e amore ,

Spirate i versi a me cortesi e pronte ,


Come al mio Codro , a Codro almo cantore ,
Non tanto a Febo imitator lontano ;
O se ciò chiedo invano ,

Qui al sacro pin vedrassi appesa e muta


335

La mia zampogna arguta.


TIRSI .
Arcadi , ornate me vate crescente
D'ellere verdeggianti ,

E scoppj a Codro il cor d' invidia ardente ;


Che s'egli oltre il dover mi lodi e canti , 40
Di baccheri cingete a me le tempia ,
Che la rea lingua ed empia
Non possa al vate , non ancor maturo ,
Scemar l'onor futuro.
CORIDONE.
Micon fanciullo , o Delia generosa , 45
Ti porge in don la testa
160

30 Et ramosa Mycon vivacis cornua cervi.

Si proprium hoc fuerit , levi de marmore tota


Puniceo stabis suras evincta cothurno.
1

THYRSIS.

Sinum lactis, et haec te liba , Priape, quotannis

Expectare sat est : custos es pauperis horti.


35 Nunc te marmoreum pro temporefecimus; at tu,
Si foetura gregem suppleverit , aureus esto.

CORYDON.

Nerine Galatea , thymo mihi dulcior Hyblae,


Candidior cycnis , hedera formosior alba ,

Quum primum pasti repetent praesepia tauri,


40 Si qua tui Corydonis habet te cura , venito.

THYRSIS.

Immo ego Sardois videar tibi amarior herbis ,


Horridior rusco , projecta vilior alga ;
161

Di cinghial setoloso , e la ramosa


Fronte d'un cervo , onor della foresta :"

Se durerà per me ciò che m'è caro ,


Scolpita in marmo raro , 50

Cingerà il piè della tua bella immago


Roseo coturno vago .

TIRSI .

Di latte un vaso sol , Priapo , chiedi ,


E una focaccia all'anno ,

Che di scarso orticello a guardia siedi. 55

Di marmo or ti formai ; ma se faranno


Le greggi , che del feto han grave il seno ,

Figliando , l'ovil pieno ,


Allor dirò che con gentil lavoro
Tu si scolpito in oro. 60
CORIDONE.

Figlia di Nereo , bella Galatea ,


Di te più dolce mai
Non fummi il timo della rupe Iblea ;
La bianca edra in beltà vinci d'assai "

E del cigno il candor del tuo men bello : 65


Allor ch'entro al cancello
Sazj i tori verran , se in cor mi tieni ,
A Coridon , deh ! vieni.
TIRSI.

Di me fia l'erba Sarda a te più grata ,


E il rusco orrido meno , 70
E men vil l'alga sul lido gettata ,
II
162
Si mihi non haec lux toto jam longior anno est.

Ite domum , pasti , si quis pudor ., ite , juvenci,

CORYDON.

45 Muscosi fontes , et somno mollior herba,


Et quae vos rara viridis tegit arbutus umbra ,

Solstitium pecori defendite : jam venit aestas

Torrida, jam laeto turgent in palmite gemmae.

THYRŞIS.

Hicfocus , et taedae pingues; hic plurimus ignis


50 Semper , et assidua postes fuligine nigri ;

Hic tantum Boreae curamus frigora, quantum

Aut numerum lupus, aut torrentia flumina ripas.

CORYDON.

Stant et juniperi , et castaneae hirsutae ; `


Strata jacent passim sua quaque sub arbore

poma ;
55 Omnia nunc rident ; at, si formosus Alexis
1.63

Se più d'un anno questo di sereno


Per me col suo durar non oltrepassi.
Inver la mandra i passi

O saturi giovenchi omai volgete , 75


Se pur pudore avete.
CORIDONE.
Muscose fonti , e tu che al sonno inviti
Di lui più molle erbetta ,
Verde arboscello , i cui rami fioriti
Fanno rara al terreno ombra freschetta , 8Q
Ah ! dal solstizio il gregge riparate ;
Vien la torrida estate ,

E lungo i tralci omai mostra la vite


Le gemme inturgidite.
TIRSI.

Qui un amplo focolar , qui pingue tede , 85


Qui sempre acceso fuoco ,
Qui di densa fuliggine si vede
L'imposta incrosticata : in questo loco
Noi si temiam la boreal freddura,
Quanto aver può paura 90
Del gregge il lupo , ed il torrente alpino
Dell'argine vicino.
CORIDONE.
Stanno i ginepri e le castagne irsute ,
E tante veggo e tante
Sotto la pianta lor poma cadute : 100
Tutto è ridente intorno e verdeggiante ,

Mentre il leggiadro Alessi il cor mi bea ;


164

Montibus his abeat , videas et flumina sicca.

THIRSYS.

Aret ager ; vitio moriens sitit aeris herba ;

Liber pampineas invidit collibus umbras :

Phyllidis adventu nostrae nemus omne virebit ;


60 Juppiter et laeto descendet plurimus imbri.

CORYDON.

Populus Alcidae gratissima , vitis laccho ,


Formosae myrtus Veneri, sua laurea Phoebo :

Phyllis amat corylos ; illas dum Phyllis amabit ,


Nec myrtus vincet corylos , nec laurea Phoebi.

THYRSIS.

65 Fraxinus in sylvis pulcherrima , pinus in hortis

Populus in fluviis , abies in montibus altis ;

Saepius at si me , Lycida formose , revisas ,


Fraxinus in sylvis cedat tibi , pinus in hortis.
165
Ma se la sorte rea
Ti chiamerà lontano , i fiumi stessi
Si seccheranno , o Alessi. 105
TIRSI.
Ardono i campi e muojon l'erbe molli
Languide su lo stelo ;
Bacco l'ombre pampinee invidia ai colli ;
Ma poi che Fille sotto questo cielo
Si mostrerà , rinverdirassi il bosco , 110
E l'aer di nubi fosco
In larghe scenderà stille dilette
A ravvivar l'erbette.
CORIDONE.
La vite a Bacco , e il pioppo è ad Ercol grato ,
A Vener la mortella , 115
È Febo de' suoi lauri innamorato ,
Sono i corili amor di Fille bella ;
E fin che a Fille piaceranno quelli
Saran di lor men belli
I mirti , e di beltà saran minori 120
Di Febo i sacri allori.
TIRSI.
Bello ne ' boschi il frassino verdeggia ,
L'orto del pin si vanta ,
Il ritto ioppo i fiumi ama e vagheggia ,
È dei monti l'abete amica pianta ; 125
Ma se Licida bel verrai qui spesso ,
Fia che il frassino istesso

A te ne' boschi il primo onor conceda "


E il pin negli orti il ceda.
166
MELIBOEUS.

Haec memini , et victum frustra contendere

Thyrsin.

༡༠ Ex illo Corydon Corydon est tempore nobis.


167
MELIBEO.
Di questo io mi ricordo : invano Tirsi 130
S'affaticò a contender : da quel giorno
Coridon da noi s'ha per Coridone.
169

ANNOTAZIONI

ALL EGLOGA SETTIMA

Vers .4.Arcades ambo . Osserva l'Heyne essere


cosa strana che gli Arcadi pascessero le greggi nel
la campagna di Mantova.
5. Et cantare pares , et respondere parati. Così
sono quelli che noi ora chiamiamo improvvisatori.
6. Defendo a frigore . È osservabile come nella
stagione in cui è rappresentata l'egloga , si parlasse
di difendere i mirti dal freddo . Se non che per fri
gus qui s'intende l'Aquilone , il quale soffia a tutte
le stagioni nell' Italia settentrionale , e nell'atto che
apporta il freddo rompe anche con violenza e fra
cassa le piante. Il difendere adunque i mirti tenerelli
vuol dire fortificarli co ' pali , affinchè non siano sca
vezzati dal vento aquilonare .
21. Libethrides. Le Muse dicevansi così da Libe
tra , nome d'un fonte che sgorga dall' Elicona ( Ved .
Strab . 9. ).
22. Meo Codro . Codro par qui detto poeticamen
te , ma alcuni credono che sotto un tal nome sia
adombrato qualche poeta amico di Virgilio . Chi cre
de esser questi Cornificio , chi Cinna
Cinna ,, chi Val
gio . Erano tutti poeti riputatissimi , ma nessuno
più di Valgio , di cui scrisse Tibullo a Messala. IV.
I. 179. :
Est tibi qui possit magnis se accingere rebus
Valgius , aeterno propior non alter Homero .
( Interpr. vet. pag. 7. )
170
30. Cervi. I cervi vivono moltissimo . Plinio rae
conta nella Stor. Nat . lib. VIII . cap. 32. , che si so
no presi alcuni cervi , al tempo d'Alessandro Magno ,
colla collana che loro fu messa al collo un secolo
innanzi. B.
32. Cothurno puniceo . I coturni diconsi punicei ,
perchè sono del colore del calice del melagrano ( Ve
di le note all ' Egloga V. v. 17. ) .
33. Liba. Le offelle da sacrificio dicevansi liba dai
Latini. Per ciascuna di queste offelle vi volevano due
libbre e sei oncie di formaggio pesto , una di fari
na , ** ed un uovo . Si faceva la cottura in una padel
la tra le foglie . Vedi Catone delle cose rustiche cap.
LXXV. B.
37. Nerine Galatea. Galatea si diceva Nereide , per
chè figlia di Nereo . Coridone dà il nome di questa
ninfa alla sua bella.
37. Thimo Hyblae. Il timo del monte Ibla è una
specie di santoreggia , saturegia capitata . Nelle note
all Egloga I. v. 5. si osservò che il monte Ibla della Si
cilia era famoso per una specie particolare di Api. B.
38. Hedera alba. Varietà dell' edera comune. He
dera Helix. B.
41. Sardois herbis. Dioscoride , nel lib. II. cap.
166. , dice che l'erba di Sardegna è il ranuncolo più
lanuginoso del suo genere , quindi deducesi dagli eru
diti che possa essere la specie di ranunculus phila
notis. Nasce in riva ai ruscelli , e somiglia nelle foglie
al prezzemolo . B.
42. Rusco. Specie di pungitopo , ruscus aculeatus.
Servio e Martyn lo chiamano virgultum breve acutis
foliis et pungentibus. B.
42. Projecta alga. L'alga de' vetraj . Due sono le
171
piante marittime , che formano l'alga de ' vetraj ; l'u
na è la specie Kernera oceanica , e l'altra dicesi zo
stera marina. B.
45. Muscosi fontes. Molti muschi diversi di gene
re e di specie nascono col favore dell ' umidità dei
fonti . B.

48. In palmite gemmae. Le gemme delle quali si


devono sviluppare i tralci dell'anno seguente B.
49. Taedae pingues. Queste sono le assicelle da
lume , che si fanno indistintamente col legno di qua
lunque pino ; esse dicevansi in generale taedae dai
Latini , ma non era propriamente tale se non quella
dell' albero che da essi dicevasi taeda , ed è la specie
pinus ambra. Al lume delle assicelle di questo pino
si conduceva la sposa in casa dello sposo la sera del
le nozze . Vedi Plin. lib. XVI . cap. 10. Virgilio qui
indica le comuni assicelle da lume. B.
53. Juniperi. Ginepri. Juniperus comunis. Le bac
che de' ginepri si maturano in tempo d'inverno , e le
castagne al principio dell' autunno , e perciò è vero
che queste due specie ritengono le loro frutta in
tempo di state . B.
58. Liber invidit. Vuol dire che la vite della pia
nura soffre maggior siccità di quella della collina ,
perchè la vite della collina mantiene l'umido col mez
zo dei lavori. B.
61. Populus Alcidae . Il pioppo . Populus alba . B.
66. Abies. L'albero detto volgarmente pezzo . Pi
nus picea . B.
65. Fraxinus. Il frassino . Fraxinus excelsior. B.
68. Pinus in hortis. Il pino dai pinocchi . Pinus
pinea. B.
70. Ex illo Corydon etc. Questo verso fu rigetta
172
to dal Solari come apocrifo , giudicandolo egli una
cattiva imitazione di un buon verso di Teocrito fatto
da altra mano . Lo stesso Heyne dura fatica a cre
derlo di Virgilio . Volendolo sostenere per legittimo
si potrebbe osservare , che secondo la etimologia gre
ca di questo nome intendendosi per xogos quella lo
doletta coronata, che noi chiamiamo volgarmente cap
pelluta , il poeta ha voluto dire che Coridone in quel
giorno diede a divedere d'esser degno del nome ch'e
gli portava il qual giuoco di parole non è fuor d'u
so fra la gente volgare . Piuttosto mi fermerei sopra
l'altra osservazione dell' Heyne ; cioè che rimane dub
bioso in che veramente Coridone superi Tirsi .

10 X
L'INCANTESIMO

EGLOGA OTTAVA

ARGOMENTO

Sono narrate in questa egloga le cure amo

rose dei due pastori Damone ed Alfesibeo ;

il primo de' quali , in disperazione d'esse

re abbandonato dall' amante , sfoga le sue

pene con un lamento poetico ; dopo di

che è determinato di darsi morte . L' al

tro pastore sembra di volerlo consolare

rispondendogli con un canto, in cui sono

espressi gl' incantesimi popolari de' tempi

antichi ; col qual modo una donna inna


morata ottenne di richiamar l'amatore che

da lei erasi allontanato.


174
imw

EGLOGA OCTAVA

PHARMACEUTRIA

DAMON , ALPHESIBOEUS

I Pastoru m musam Damonis et Alphesiboei,


astorum
Immemor herbarum quos est mirata juvenca

Certantes , quorum stupefactae carmine lynces ,


Et mutata suos requierunt flumina cursus ;

5 Damonis musam dicemus et Alphesiboei.

Tu mihi , seu magni superas jam saxa Timavi ,

Sive oram Illyrici legis aequoris; en erit umquam

Ille dies , mihi quum liceat tua dicere facta?


En erit, ut liceat totum mihiferre per orbem

10 Sola Sophocleo tua carmina digna cothurno ?

A te principium ; tibi desinet : accipe jussis


Carmina coepta tuis , atque hanc sine tempo
ra circum

Inter victrices hederam tibi serpere lauros.


175

EGLOGA OTTAVA

L'INCANTESIMO

DAMONE E ALFESIBEO

De' due pastor , Damone e Alfesibeo "


Al cui concento alterno le giovenche
Maravigliate abbandonaro il pasco ,
Restar le linci stupefatte , e i fiumi
Fermaro il corso lor ; dei due pastori 5

Damone e Alfesibeo , la musa io canto.


Deh ! mi seconda , o tu , sia che tu salga
I sassi soprapposti al gran Timavo ,
Ovvero che veleggi costeggiando
10
Le spiaggie dell ' Illiria. E quando mai
Per me verrà quel lieto dì , ch'io possa
Cantar l'alte tue gesta , e a tutto il mondo
I tuoi carmi recar , che solo degni
Son del coturno Sofocleo ? Sacrai

A te il principio , a te consacro il fine. 15

Or dunque accogli i versi incominciati


Per tuo volere , e lascia che quest'edra
Ti serpa in su le tempia , mista al sacro
Lauro vittorioso e trionfale.
176

Frigida vix coelo noctis decesserat umbra ,

15 Quum ros in tenera pecori gratissimus herba,


Incumbens tereti. Damon sic coepit olivae :

Nascere , praeque diem veniens age , Lucifer,


almum ;

Conjugis indigno Nisae deceptus amore


Dum queror, etdivos (quamquam nil testibus illis
20 Profeci ) extrema moriens tamen alloquor hora.

Incipe Maenalios mecum , mea tibia , versus.

Maenalus argutumque nemus pinosque loquentes

Semper habet; semper pastorum ille audit amo


res ,

Panaque, quiprimus calamos non passus inertes.

25 Incipe Maenalios mecum , mea tibia ,

Mopso Nisa datur : quid non speremus amantes ?


177
Appena la fresc'ombra della notte 20

Era dal ciel svanita , quando l'erba


Molle di dolci stille rugiadose
Gratissima è all'armento , allor Damone
Poggiato ad un ulivo alto e rotondo
Incominciò il suo canto in questi - accenti. 25

Deh sorgi in oriente ,


Astro bello , forier del dì vegnente ,

Mentre , sposo tradito , alzo querele


Contro Nisa infedele ,

32939
Ed invoco gli Dei 30
Nel dì della mia morte ;

Benchè , per invocarli , io non potei


Trovar pietà nella mia cruda sorte.
Versi d'Arcadia intuono ,

Comincia , ed accompagnami , -35

Zampogna mia , col suono.


Sempre in Arcadia s'odono

I boschi e i pin canori :


Ascolta ognora il Menalo
I pastorali amori , 40

E Pan che primo ai calami


Feo lasciar l'ozio e divenir sonori.
Versi d'Arcadia intuono ,
Comincia ed accompagnami ,
1
Zampogna mia , col suono . 45
Che mai sperar potremo amanti miseri ?
Nisa a Mopso si dà.
12
178

Jungentur jam gryphes equis , aevoque sequenti

Cum canibus timidi venient ad pocula damae.

Mopse , novas incide faces; tibi ducitur uxor :

30 Sparge , marite , nuces ; tibi deserit Hesperus


Oetam .

Incipe Maenalios mecum , mea tibia , versus.

O digno conjuncta viro ! dum despicis omnes ,

Dumque tibi est odio mea fistula, dumque ca

pellae ,

Hirsutumque supercilium , promissaque barba ;


35 Nec curare deum credis mortalia quemquam!

Incipe Maenalios mecum, mea tibia , versus.

Sepibus in nostris parvam te roscida mala ,


Dux ego vester eram , vidi cum matre legentem;

Alter ab undecimo tum me jam ceperat annus ,

40 Jam fragilespoteram a terra contingere ramos :


179
Cavalli e grifi noi vedrem congiungersi
Nella futura età ,
Col veltro al fonte il pauroso daino 50
A dissetarsi andrà.

O Mopso , incidi tronchi e faci accendi ,


Ora che moglie prendi ;
Spargi le noci , o sposo ;
A te lascia l'Oeta Espero ascoso . 55
Versi d'Arcadia intuono ,
Comincia ed accompagnami ,

Zampogna mia , col suono.


O in ver congiunta ad ottimo
Marito di te degno , 60

Tu sprezzi la mia fistola ,


Ed hai le capre e ogni pastore a sdegno :
La lunga barba , e il folto irsuto pelo
Delle mie ciglia abbomini ;
Ne credi che alcun Dio lassù nel cielo 65
Le cose umane domini.
Versi d'Arcadia intuono "
Comincia ed accompagnami ,
Zampogna mia , col suono.
Insieme con tua madre , ancor piccina , 70
Nell'orto mio ti vidi i pomi cogliere
Bagnati di rugiada mattutina
( Io camminava innanzi a voi guidandovi ) ,
Incominciati tredici anni avea ,

Da terra i rami fragili 75


Toccare io già potea ;
I

180

Ut vidi , ut perii , ut me malus abstulit error !

Incipe Maenalios mecum , mea tibia , versus.

Nunc scio quidsit Amor : duris in cotibus illum

Ismarus , aut Rhodope, aut extremi Garamantes,

45 Nec generis nostri puerum nec sanguinis, edunt.

Incipe Maenalios mecum , mea tibia , versus .

Saevus Amor docuit natorum sanguine matrem

Commaculare manus : crudelis tu quoque, mater!

Crudelis mater magis , an puer improbus ille ?


50 Improbus ille puer; crudelis tu
tu quoque , mater.

Incipe Maenalios mecum , mea tibia , versus.

Nunc et oves ultro fugiat lupus ; aurea durae

Mala ferant quercus ; narcisso floreat alnus ;


181

Ti vidi , e senza accorgermi


Perdei me stesso , oh Dio ,
Qual folle error fu il mio !
Versi d' Arcadia intuono , 80

g
Comincia ed accompagnami ,

Zampogna mia , col suono.


Ora conosco Amor : Ismaro , o Rodope ,
Oi Garamanti delle terre estreme

Vita gli diero fra le rupi rigide , 85


Chè nato Amor non è d'umano seme.
Arcadi versi intuono ,
Comincia ed accompagnami ,

Zampogna mia , col suono.


Madre spietata e barbara , 90
Calda d'amore insano

Dei figli nelle viscere


Insanguinò la mano.
Chi potrà dir se più crudele e perfido
Fosse d'Amore , o della madre il core. 95
In ver tu fosti , o
o madre , crudelissima ,
Ma crudo , al par di lei , tu fosti , Amore.
Versi d'Arcadia intuono
Comincia ed accompagnami ,

Zampogna mia , col suono . 100

I lupi or dalle pecore


Impauriti fuggano ,
Di pomi d'oro cariche
Le quercie annose incurvinsi ,
Fior di narciso spuntino 105
182

Pinguia corticibus sudent electra myricae ;

55 Certent et cycnis ululae ; sit Tityrus Orpheus ,

Orpheus in sylvis , inter delphinas Arion.

Incipe Maenalios mecum , mea tibia , versus.

Omnia vel medium fiant mare : vivite , sylvae ;

Praeceps aerii specula de montis in undas


60 Deferar: extremum hoc munus morientis habeto .

Desine Maenalios , jam desine , tibia , ` versus.

Haec Damon:vos,quae responderit Alphesiboeus:


Dicite , Pierides : non omnia possumus omnes.

Effer aquam , et molli cinge haec altaria vitta ,

65 Verbenasque adole pingues et mascula tura ,


Conjugis ut magicis sanos avertere sacris
Experiar sensus : nihil hic nisi carmine desunt.
183

Su gli alni ; elettro sudino


I tamerigi fragili
E di cantar s'attentino

Co' cigni a prova l'ulule ; 100


Titiro Orfeo diventi ,
Orfeo ne' boschi , e fra i delfin marittimi
Spieghi nuovo Arion musici accenti.
Versi d'Arcadia intuono ,
Tu pur comincia e seguimi , 115

Zampogna mia , col suono.


Tutto abbia fin del mar dentro alle cupe

Voragini profonde ;
O selve addio : giù dall' aerea rupe
Di questo monte io piomberò nell'onde : 120
Presso al morire io sono ,
Abbiti questo , o Nisa , estremo dono.
Non più cantar poss ' io ,
Zampogna mia , deh ! cessino
I suoni tuoi col mio. 125
Così Damon or voi ridite , o Muse ,
Ciò che rispose Alfesibeo cantando ; 1
Tutti per tutto far nati non siamo.

L' acqua lustrale arrecami 9

Cingi l'altare con la molle benda , 130

E le pingui verbene il fuoco incenda.


Fumano i maschi incensi ,
Io dello sposo i sensi
Sconvolger tenterà con questo incanto :
Qui tutto è pronto , manca solo il canto. 135
184
Ducite ab urbe domum , mea carmina , duci

te Daphnin.

Carmina vel coelo possunt deducere Lunam :


70 Carminibus Circe socios mutavit Ulyssei ;

Frigidus in pratis cantando rumpitur anguis.

Ducite ab urbe domum , mea carmina , duci

te Daphnin.

Terna tibi haec primum triplici diversa colore


Licia circumdo , terque haec altaria circum

75 Effigiem duco : numero deus impare gaudet.

Ducite ab urbe domum , mea carmina , duci

te Daphnin.

Necte tribus nodis ternos , Amarylli , colores ;

Necte , Amarylli , modo : et , Veneris , dic,


vincula necto.

Ducite ab urbe domum , mea carmina , duci

te Daphnin.
185

O carmi , secondate il mio deṣio :


Dalla città traete ,

Traete Dafni nell'albergo mio.


Possenti i carmi sono
Di far la luna scendere dal cielo ; 140
Circe de' carmi al suono

Mutò d'Ulisse ai socj e forma e pelo


Nel prato i carmi al gelid' angue in seno

Estinguono il veleno.
O carmi , secondate il mio desio : 145
Dalla città traete ,

Traete Dafni nell'albergo mio.

Con questo filo triplice


In tre color distinto
Te ben tre volte ho cinto ; 150

Ed or porto l'immagine
Tre volte intorno a questi sacri altari ;
Godon gli Dei del numero dispari .
O versi miei , compite il mio desio :
Dalla città traete , 155

Traete Dafni nell'albergo mio.


Bella Amarillide
Tessi tre vincoli
Di tre color.
Poi di' , di Venere 160

Qui i nodi intrecciansi ,


Nodi d'amor.
O versi miei , compite il mio desio :
Dalla città traete ,

Traete Dafni nell'albergo mio. 165


186 1

80 Limus ut hic durescit , et haec ut cera liquescit

Uno eodemque igni ; sic nostro Daphnis amore.


Sparge molam , et fragiles incende bitumine
lauros :

Daphnis me malus urit; ego hanc 1 in Daph


nide laurum .

Ducite ab urbe domum , mea carmina , duci

te Daphnin.

85 Talis amor Daphnin,qualis quumfessajuvencum


Per nemora atque altos quaerendo bucula lucos

Propter aquae rivum viridi procumbit in ulva


Perdita , nec serae meminit decedere nocti ,

Talis amor teneat , nec sit mihi cura mederi.

go Ducite ab urbe domum , mea carmina , duci

te Daphnin.

Has olim exuvias mihi perfidus ille reliquit ,

Pignora cara sui , quae nunc ego, limine in ipso,


Terra,tibi mundo:debent haec pignora Daphnin.

Ducite ab urbe domum , mea carmina , duci

cite Daphnin.
187
Come s'indura questa fosca argilla
Al foco , e come dal medesmo ardore
Questa cera si sface e si distilla ,
Tal Dafni strutto sia dal nostro amore ;

Spargasi farro e sale , e la favilla , 170


Accesa col bitume , arda e divore
Il crepitante allòr ; Dafni m' infiamma
Ed io l'accenderò con questa fiamma.
O carmi , secondate il mio desio :
Dalla città traete , 175
Traete Dafni nell'albergo mio.
Qual la giovenca tenera ,
Cercato invano alla foresta e al monte

Il suo caro torel , perduta sdrajasi


Sull'alga verde in riva a un chiaro fonte 180

Nè di partir si cura
All'avanzarsi della notte oscura ;
Così l'amore a Dafni accenda l'alma ,
E invan speri da me conforto e calma.
O versi miei compite il mio desio : 185
Dalla città traete ,
Traete Dafni nell'albergo mio.
I cari pegni , che lasciommi il perfido ,
Ascondo , o terra , in te , sotto le soglie ,
Chè Dafni debbon rendermi 190
Queste dilette spoglie.
O versi miei compite il mio desio :
Dalla città traete

Dafni traete nell' albergo mio.


288

95 Has herbas atque haec Ponto mihi lecta venena

1Ipse dedit Moeris : nascuntur plurima Ponto.


His ego saepe lupum fieri , et se condere sylvis

Moerim , saepe animas imis excire sepulcris ,


Atque satas alio vidi traducere messes.

100 Ducite ab urbe domum , mea carmina, duci

te Daphnin.

Fer cineres , Amarylli , foras , rivoque fluenti

Transque caput jace ; nec respexeris. His ego


Daphnin
Aggrediar : nihil ille deos , nil carmina curat.

Ducite ab urbe domum , mea carmina , duci

te Daphnin.

105 Aspice : corripuit tremulis altaria flammis

Sponte sua,dumferre moror, cinis ipse.Bonum sit !


189

Meri quest' erbe diedemi , 195

Meri questo veleno ,


Colto nel suolo Pontico ,

Che di veleni è pieno :


Meri con questi ( io vidilo )
'200
Spesso cangiossi in lupo ,
E poscia andò a nascondersi
Nel bosco denso e cupo .
Destar lo vidi l'anime .

Fuor dell' avel profondo ,


205
Ei semi sparsi traggere
D'uno in un altro fondo.
O versi miei , compite il mio desio :
Dalla città traete ,
Dafni traete nell' albergo mio.
Presto , Amarillide 210

Al rio scorrevole

Porta le ceneri ,
E dietro spargile
Senza guardar.
215
Con queste Dafnide
Io voglio vincere
Che i carmi e i numini
Osa sprezzar.
O versi miei , compite il mio desio :
Dalla città traete , 220

Dafni traete nell' albergo mio.

Oh , vedi uscir dal cenere >


Poichè a portarlo indugiasi ,
Fiamme spontanee e tremule ,
190

Nescio quid certe est: et Hylax in limine latrat.


Credimus? an qui amant ipsi sibi somniafingunt?

109 Parcite , ab urbe venit, jam parcite , carmi


na , Daphnis.
191
Che sull' altar sfavillano , 225

Questo è felice augurio.


Chi sia non so , ma al limitare appresso
Odo Ilace abbajar .
Lo crederò ? chi sa ? gli amanti spesso
Son facili a sognar. 230

O versi miei , compiuto è il mio desio ;


Non più : dalla città vien Dafni mio.
193

ANNOTAZIONI

ALL EGLOGA OTTAVA.

Vers.3 .Lync es . Per linci devono intendersi i lupi


ynces.
cervieri , Felis lynx. B.
6. Tu mihi. Asinio Pollione.
6. Timavi. Se Pollione , invece di prendere la via
del mare d'Illiria , avesse tenuto la via di terra , do

vea andare per la strada montuosa che per un mi


glio e più allora costeggiava il Timavo . Questa sor
gente ora esce dalla montagna per cinque bocche , si
riunisce dopo alcuni passi in un solo alveo , e dopo
un breve corso si scarica in mare : ma in que' tempi
si diffondeva in un lago di qualche estension e . Livio
nel lib. I. cap . 1. della V. Decade , parlando della spe
dizione del Consolo A. Manlio verso l'Istria dice :
Profectus ab Aquileja consul , castra ad lac um Tima
vi posuit. In forza di questo allagamento restavano
in mezzo alle acque due piccole colline sassose , per
le quali ora si passa andando da Monfalcone al ca
stello di Duino : cosicchè Plinio ( lib. 3. cap . 18. ) le
annoverò fra le isole rinomate dell' Adriatico ; per
chè da una di esse scaturiva una termale , che cre
sceva e calava a seconda del flusso e del riflusso del
mare. Clare ante ostia Timavi calidorum fontium cum
aestu maris crescentium. Giungeva a cresc ere questo
lago l'Isonzo , il quale lambiva a que' tem pi i mon
ticelli di Monfalcone , come lo dimostrano le ghiaje
deposit ate , e gli avanzi d'un superbo ponte di pietra
che si trovarono sotterra . Il silenzio di Plinio sopra
I3
194
l'Isonzo può derivare dall' averlo egli considerato co
me una delle sorgenti che formavano il lago del Tima
vo. Il tempo cangiò la faccia del luogo citato dagli an
tichi autori , ed ora non si può più decidere quali sie
no le nove bocche nominate da Virgilio ; nè più si
sente il gran mormorìo del monte espresso dal poeta
nel lib . 1. dell'Eneide v. 250. , quando non si volesse
dire , che ai poeti è permesso il parlare delle cose lon
tane in modo non esattamente consono al vero. B.
7. Sive oram etc. Ciò Pollione faceva colla flotta
che doveva essere al suo comando quando trovavasi
nell'Illirio.
10. Sola Sophocleo etc. I versi degni del Sofocleo
coturno sono le tragedie , che scrisse Pollione , come si
legge in Orazio lib. II . Ode 1. Dal verso antecedente
sembra che Pollione non abbia mai voluto promulgare
le sue tragedie , e che Virgilio abbia chiesto di po
terne parlare al pubblico.
" 17. Lucifer. Con questo nome chiamavasi il pia
neta di Venere , quando appariva in cielo la mattina.
18. Conjugis. Così chiamavasi perchè era stata a
lui fidanzata .
* 21. Maenalios. Portavano i versi il nome del mon
te Menalo , perchè colà comunemente cantavasi dai
pastori dell' Arcadia , che andavano al pascolo coi lo
ro armenti. Poteva servire d'intercalare ai versi di
Damone la sonata di flauto , sia che stata fosse sem
plice , sia che le fosse stata aggiunta qualche canzone
villereccia sulla stessa aria , simile alla carciofola , che
i Napolitani de' tempi presenti cantano per intercala
re delle loro canzoni. B.
27. Gryphes. I Grifi secondo Plinio erano mostri
immaginarj dell' Etiopia colle orecchie lunghe , e col
195
naso adunco ( St. Nat. lib. 10. cap. 49. ) . L' Ippogrifo ,
ch'è il soggetto di molte belle ottave del Furioso &
suppone verificata la copula de' grifi co' cavalli . Il
Servio crede vera l'esistenza de ' grifi , e il chiarissi
mo Conte Luigi Bossi osserva che Marco Polo par
lando dei grifi o grifoni manifestò idee consentanee a
quelle del Servio , e forse di tutti i naturalisti de'
bassi tempi. Vedi le dissert . del P. ab. Zurla intor
no a Marco Polo ed altri illustri viaggiatori venezia
ni. Venez . 1818. pag. 239.
1
28. Damae. Il daino . Cervus dama . B.
29. Novas incide faces. Si eccita Mopso 1 a spac
care le facelle , perchè possa al loro lume condurre
la nuova sposa alla sua casa. Le facelle per occasione
di nozze non si facevano indistintamente da ogni le
gno , ma dal teda , come si disse nelle note all' Eglo
ga antecedente v. 49. B.
30. Sparge nuces. Ora invece delle noci si dispen
sano i confetti ; ma non era prezzo della cosa che
per un poco di zucchero si lasciasse andar in dimen
ticanza l'espressivo simbolo delle noci . Esse sono l'em
blema della copula de' sessi per la loro divisione in
ispicchj , che prima sono aggiogati in due , e poi in
quattro lo sono poi specialmente della copula uma
na , perchè questi spicchj sono inclusi entro ad un
guscio , il quale rappresenta il rito del matrimonio
che stende il velo del mistero sopra un atto di con.
cupiscenza . B.
30. Oetam. Oeteas noctifer ignes ( Catull. 59. 7. ) .
3
L'Eta che ora dicesi monte Banina , stendesi al nord
dell' Arcadia dall' Est all' Ovest ( Ved . Strab. lib. 9. ) ,
perciò vi si vede sopra Venere tanto la sera che
196
la mattina . Al tramontar del Vespero si conduceva
la sposa a casa .
41. Ut vidi , ut perii etc. Voltaire in un Virgilio
ch'ei teneva sempre per mano segnò col lapis rosso
questo solo verso della Bucolica , forse perchè contiene
la più viva e profonda esclamazione che possa uscire
da un cuore infocato dalla passione amorosa .
44. Ismarus , aut Rhodope. Nomi di due monti
il primo de' quali appartiene all' Epiro , ed il secondo
alla Tracia.
44. Garamantes. Popoli della Libia inferiore.
47. Sanguine matrem . Medea per vendicarsi di
Giasone divenuto amante di Glauce figlia di Creonte
Re di Corinto uccise sugli occhi suoi i due figli che
avea concepiti con lui.
52. Aurea mala. In questo luogo pare che deb
bansi intendere gli arancj per indicare la singolarità
della produzione delle querce. B.
54. Electra. Questo elettro è l'ambra gialla : suc
cinum electricum che indicavasi anche col nome di
succino. In allora si credeva che il succino stillasse
dagli alberi , ma non si trovava che all' isole Glossarie
nell' Oceano Settentrionale ( Ved. Plin. lib. XXXVII.
cap. 3. ) . B.
55. Cycnus. Il Cigno . Cycnus olor. B.
55. Ululae. Sono i civettoni , Strix ulula . B.
56. Delphinas. Il Delfino. Delphinus Delphis . B.
56. Arion . Arione era sul punto di essere assas
sinato dai marinaj che lo conducevano a casa : egli
chiese loro in grazia di poter suonare la sua lira pri
ma di morire. La dolcezza di quella suonata radunò
i delfini presso alla barca : egli saltò sopra uno di
197
essi , che portollo salvo alla sua patria ( Vedi Plinio
lib. IX. cap . 8. ) . B.
64. Effer aquam. L'acqua si adoperava pel lava
mento delle mani , che suolevasi premettere ai sa
crifizj . B.
64. Vitta. Queste bende dovevano attorcersi nelle
"
cordicelle qui sotto espresse nel v. 78. B.
65. Verbenasque . Le frondi d'alloro indicate qui
sotto nel v. 84. , le quali diconsi verbene , perchè de
stinate ad ardere in un sacrifizio. Qualunque erba , e
qualunque fronde verde d'alloro denominavasi verbe
na , quando era destinata agli usi della Religione
( Ved . Plin. Stor. Nat. lib. XXII . cap. 2. ) . B.
65. Mascula thura . Dicevasi maschio l'incenso che
resta rotondo col gocciolamento : quod ex eo ( thure )
rotunditate guttae pependit masculum vocamus ( Plin .
St. Nat. lib. XII. cap . 14. ) . B.
66. Avertere sensus. Bellissima ed altamente filoso
fica espressione. Vuol dire cangiar i sentimenti , gli
affetti , il cuore .
67. Nisi carmina desunt. Alfesibeo prende per sog
getto della sua poesia la giovine Amarillide , che ri
corre alla magia , per trarre a casa il suo sposo Daf
ni , che la trascura , e vive lunge da lei . Ella fa sa
crifizj e proferisce carmi ; il che vuol dire , che
cerca d' ottenere l'intento. suo coll' affascinamen
to , e coll' incanto , ch' erano i due modi d'operare
della magia , come si disse nelle note all ' egloga III .
V. 103.
68. Mea carmina. Qui per carmi si devono in
tendere le parole incantatrici che doveano proferirsi
con sommesso mormorìo , giusta il rito della magia.
Potevano proferirsi in tal modo tanto i versi d'Al
198
fesibco , quanto qualunque altra formula magica che
servisse d'intercalare agli stessi versi .
71. Anguis. Le biscie restano assopite per l'odo
re del sedano di montagna : ligusticum levisticum . Que
sta è un'arte antica , perchè se ne fa memoria nel
Salmo 57. v. 6. Ella è naturale , ma per impostura
fu riferita alla magia. B.
75. Effigiem. L' effigie era doppia , essendovene
una di cera , ed un ' altra di creta. Amarillide , coll'at
torcere le bende e col girare intorno all'altare , inten
deva di ravvolgere le idee del suo sposo .
81. Daphnis amore . Cioè che si ammollisca per
Amarillide , e diventi duro colle altre amanti.
82. Sparge molam. Le vittime si aspergevano di
mola quando erano sull'altare , e perchè appunto era
no sparse di mola si dicevano immolate. Che cosa
era la mola ? Era la farina salata del farro abbrusto
lito. Il farro abbonda di glutine , che deve distrug
gersi coll'abbrustolarla , quando si voglia che la fa
rina di questo grano riesca in polenta. Numa Pom
pilio che voleva assuefare i Romani all'uso della po
lenta , come a cibo sano ed economico , per deter
minarli ad abbrustolare il farro ommise ogni osserva
zione di chimica vegetabile , e fece loro vedere che con
ciò si uniformavano alla volontà degli Dei , i quali non
• aggradivano la farina del farro senza sì fatta prepara
zione ( Vedi Plin. Stor . Nat. lib. XVIII . cap. 2. ) . B.
82. Lauros. L'alloro crepita quando è sul fuoco
per causa delle vescicchette d'olio essenziale , di cui
sono sparse le sue foglie. Amarillide voleva che le
verbene poste sul suo altare ardessero , e perciò scel
se l'alloro in confronto di qualunque altra erba e
fronda d'albero . B.
199
87. Viridi in ulva. L'erbe che più frequentemen
te si trovano sulle rive de' fiumi sono appunto le ca
rici , particolarmente le specie carex acuta , carex
stricta etc. B.
101. Fer cineres. Cioè la cenere ch' era rimasta
sull'altare dopo la combustione delle verbene d' al
loro. B.
96. Ponto. Nel Ponto nascono molti veleni , spe
zialmente del genere degli aconiti .
103. Nihil ille Deos. Qui s'intendono gli amma
liamenti , ai quali gli Dei hanno concesso l'efficacia .
Lo spargimento della cenere era l'ultima prova del
l'incanto .
NO
1

MERI

EGLOGA NON A

ARGOMENTO

Quest'egloga rappresenta due pastori per


nome Meri e Licida , che s'avviano verso
la città di Mantova . Cammin facendo Meri

si lagna con Licida che i soldati veterani

abbiano scacciati i coloni dalle proprie ter


re , e che se ne siano essi medesimi fatti

padroni. Licida avea udito dire che il va

lore poetico di Menalca avesse salvato il

podere di lui , del qual podere Meri era


il custode. Ma questi gli soggiunge , che

la violenza dei soldati non avea rispettato

la virtù di Menalca ; e che anzi per non

correre pericolo di perdere la vita contra


stando co' forti , era necessario non sola

mente soffrire e tacere , ma eziandio offe

rir loro in tributo le primizie della greg

gia errante . Meri si suppone essere il ca


staldo di Virgilio , Licida un contadino
della campagna di Mantova , e Menalca

Virgilio medesimo . Meri e Licida ingan


nano la via cantando diverse canzoni.
203

EGLOGA NONA

LYCIDAS , MOERIS

LYCIDAS.

I uo te , Moeri , pedes ? an , quo via ducit ,


Que
in urbem ?
MOERIS.

O Lycida, vivi pervenimus ; advena nostri


(Quodnumquam veriti sumus ) utpossessor agelli
Diceret: Haec mea sunt; veteres migrate coloni.

Nunc victi , tristes , quoniam fors omnia versat ,

5 Hos illi(quodnec bene vertat ! ) mittimushaedos.

LYCIDAS.

Certe equidem audieram,qua se subducere colles

Incipiunt , mollique jugum demittere clivo ,


Usque ad aquam et veteris , jam fracta cacu
mina , fagi ,
Omnia carminibus vestrum servasse Menalcam.

MOERIS.

10 Audieras; etfama fuit : sed carmina tantum


Nostra valent,Lycida,tela inter Martia , quantum

Chaonias dicunt, aquila veniente , columbas.


203

EGLOGA NONA

LICIDA E MERI

LICIDA .

Ovve
e volgi i tuoi passi , o Meri , forse I
Alla città , dove la via conduce ?
MERI.
O Licida , a tal fin noi siamo giunti :
( L'avresti detto mai ? ) che uno straniero
Entrato dentro ai nostri campicelli 5
Ardisse dirci : via di qua coloni ,

Son ' io il padrone : or mesti umiliati


( Già fa tutta la sorte ) a lui portiamo
( Oh gli faccian mal pro ! ) questi capretti .
LICIDA.
Diceasi pur , che ove comi 10
ncia il colle
A declinare , e vie via s'abbassa
Infino all'acqua , ed a quel faggio antico
Che ha i rami infranti , tutto avesse salvo
Menalca vostro col poter dei versi .
MERL

L'udisti , l'hanno detto , è ver ; ma i versi 15


Vaglion , Licida , tanto i versi nostri

Fra l'arme dei guerrier , quanto le imbelli


Colombe Dodonee presso gli artigli
204
Quod nisi me quacumque novas incidere lites

Ante sinistra cava monuisset ab ilice cornix ,

15 Nec tuus hic Mocris , nec viveret ipse Menalcas .

LYCIDAS.

Heu ! cadit in quemquam tantum scetus ! heu!


tua nobis

Paene simul tecum solatia rapta , Menalca !


Quis caneret Nymphas ? quis humum floren
tibus herbis

Spargeret, aut viridi fontes induceret umbra ?

20 Vel quae sublegi tacitus tibi carmina nuper ,


Quum te ad delicias ferres Amaryllida nostras ?

29 Tityre , dum redeo , brevis est via , pasce


capellas;
‫ در‬Et potum pastas age , Tityre ; et inter agen
dum
66
‫ رر‬Occursare capro , cornu ferit ille , caveto.

MOERIS.

25 Immo haec quae Varo necdumperfecta canebat:

,,Vare , tuum nomen ( superet modo Mantua


nobis ,
205

Dell' aquila che piomba : e se dall' elce


La cornacchia fatal non m'ammonia 20

Di non più litigar , forse or nè Meri ,


Nè lo stesso Menalca avrebbe vita.
LICIDA .

Ahimè dunque vi fu chi volse in petto


Si nefando misfatto ? Ohimè ! Menalca ,

Poco dunque mancò , ch'ogni sollazzo 25


Tolto con te non fosse ? Or chi alle Ninfe
Innalzerebbe il canto , e chi la terra
Spargerebbe di varie erbe fiorite ?
Chi coprirebbe i fonti d'ombra , ovvero
Chi immaginar potrebbe i versi , ch'io 30
Ti levai di soppiatto , alloraquando
Ad Amarilli , nostro amore , andavi ?
"" Infin ch'io torni , o Titiro ,
. ‫ ( د‬E breve è già il cammino )
‫ دو‬Pasci le capre , e sazie 35

" " Guidale al rio vicino.


"" Ma non andar guidandole ,
,, Titiro , al capro intorno ,
‫ ور‬Poichè quel capro indocile
‫ دو‬Suole adoprare il corno. 40
MERI.

Anzi quei versi , ch'ei cantava un giorno


Di Varo in lode , non ancor forniti.
,, Varo , il tuo nome agli astri
"" I cigni innalzeranno ,
59 Purchè di rei disastri 45
206

„ Mantua vae miserae nimium vicina Cremonae !)


66
‫ در‬Cantantes sublime ferent ad sidera cycni. «

LYCIDAS.

Sic tua Cyrneas fugiant examina taxos!

30 Sic cytiso pastae distendant ubera vaccae!

Incipe , si quid habes. Et me fecere poetam


Pierides ; sunt et mihi carmina ; me quoque
dicunt

Vatem pastores : sed non ego credulus illis.


Nam neque adhuc Varo videor nec dicere Cinna

35 Digna , sed argutos inter strepere anser olores.

MOERIS.

Id quidem ago ; et tacitus , Lycida , mecum


ipse voluto ,

Si valeam meminisse ; neque est ignobile carmen .

,, Huc ades,o Galatea:quis est nam ludus in undis?


‫ در‬Hic verpurpureum ; varios hic flumina circum

40 ‫ در‬Fundit humusflores;hic candida populus antro


,, Imminet , et lentae texunt umbracula vites.

‫ رو‬Huc ades: insani feriant sine litora fluctus. "

LYCIDAS.

Quid? quae te pura solum sub nocte canentem


1
207

99 Mantoa non senta il 1 danno ,


"" Mantova , alla meschina
"" Cremona , ahi sì vicina !
LICIDA.

Così le pecchie tue fuggano i tassi


Cirnei , così di citiso pasciute 50

Le tue vacche le poppe abbian rigonfie.


Su comincia a cantar , s ' hai qualche verso.
Me pur le Muse fer poeta , e versi
Io pur composi , e me chiamano pure
Vate i pastori , ma non son sì buono 55
Da creder loro ; io so che il canto mio
Degno non è di Varo , nè di Cinna ,
Anzi mi credo al paragone un'oca

Che in mezzo ai cigni armoniosi stride.


MERI.

Io pure or penso , e volgo nella mente 60


Se posso ricordarmi una canzone
C
Che a me non sembra , invero , ignobil tanto.
99 O Galatea , da tuoi marini liti
39 Vien, qual diletto aver si può nell'onde ?
"" Qui ride primavera , e fior graditi 65

"" A questi fiumi intorno il suol diffonde ;


"" Sta sopra l'antro il pioppo , e delle viti
"" Lente l'ombra s' intesse e si confonde ;
"" Qui vien , lascia che i lidi furibonda
"" Batta la tempestoșa e mugghiante onda. 70
LICIDA.

Che canto è quel , che in pura notte , o Meri,


208

Audieram ? Numeros memini , si verba tenerem.

MOERIS.

45 ,, Daphni,quid antiquos signorum suspicis ortus?


22 Ecce Dionaei processit Caesaris astrum ;

‫ رو‬Astrum, quo segetes gauderent frugibus , et

quo
‫ ور‬Duceret apricis in collibus uva colorem .
,,
" Insere , Daphni , pyros : carpent tua poma
66
nepotes.

50 Omnia fert aetas , animum quoque. Saepe ego


longos
Cantando puerum memini me condere soles.
Nunc oblita mihi tot carmina ; vox quoque Moe
rim

Jam fugit ipsa: lupi Moerim videre priores.


Sed tamen ista satis referet tibi saepe Menalcas.
LYCIDAS.

55 Caussando nostros in longum ducis amores.

Et nunc omne tibi stratum silet aequor, et omnes

( Aspice ) ventosi ceciderunt murmuris aurae.


Hinc adeo media est nobis via ; namque sepulcrum

Incipit apparere Bianoris. Hic ubi densas


209
T'udii solo cantar ? Io tengo in mente
I modi ancor , se ritenessi i versi.
MERI.

,, Ah , perchè contempli , o Dafnide ,


‫ در‬D'astri antichi il corso usato ? 75
99 Vedi omai l'astro di Cesare
99 Che nel cielo è sollevato.
29 Per quell' astro i campi fertili
99 S'empieran di bionde spiche ,
. ‫ د‬Saran tinte l'uve in porpora 80
99 Su le tue colline apriche.
1
99 Caro Dafni al paro innestinsi
99 I gemmati ramuscelli ,
"" I nepoti andranno a cogliere
99 Dolci pomi un di da quelli. 85
Ahi , con l'età tutto si perde , ed anco
L'animo si dilegua ; io da fanciullo
Spesso solea passar cantando i giorni ,
Ed or tutti obbliai que ' versi : a Meri
Manca perfin la voce : ah ! primi i lupi
30

Furono a veder Meri ; or bastin questi ,


Chè quanti vuoi te ne dirà Menalca .
LICIDA.

Con tali scuse il mio piacer ritardi.


Vedi , in suo letto sta senz'onda il lago ,
E cessò intorno il sibilo del vento . 95
Già siamo a mezza via : veggo il sepolcro
Di Bianoro non lontano : o Meri ,

Qui dove i potator stringon le dense

14
210

60 Agricolaestringuntfrondes, hic ,Moeri,canamus;

Hic hacdos depone : tamen veniemus in urbem.


Aut, si nox pluviam ne colligat ante veremur ,

Cantantes licet usque ( minus via laedet ) eamus :

Cantantes ut eamus , ego hoc te fasce levabo.

MOERIS.

65 Desine plura,puer ; et quod nunc instar agamus.


Carmina tum meliùs , quum venerit ipse , ca
nemus.
211

Frondi , cantiam ; deponi qua i capretti ,


Che tempo v'è per gire alla cittade : 100

Ma , perchè non ci colga e notte e pioggia ,


Cantiam per via , che ci parrà più corta.
E perchè meglio possi , andar cantando ,
Se vuoi , dal dosso leverotti il carco.
MERI.

Basta così figliuolo , or ci conviene 105

Quel che più preme oprar : versi migliori


Noi canterem , quando verrà Menalca ."
213

ANNOTAZIONI

ALL EGLOGA NONA.

Vers . 1.In urbem . Questa città è Mantova ; nè di


ciò v' ha dubbio , se si tiene che questa egloga sia
d'epoca anteriore alla prima , come dice il Solari ,
e se qui per Menalca deve intendersi Virgilio .
22. Amaryllida. De la Cerda vuole, anche a que
sto luogo , che Amarille sia Roma , ma io la sup
pongo un' amante comune dei due pastori.
27. Mantua vicina Cremonae . Nota il Solari " е
con finezza di giudicio : "" quel vicina non tanto ri
"" guarda la prossimità dei confini , quanto il consor
"" zio di fortuna. Le città così legate diceansi cogna
"" te , o sorelle. "
30. Cyrneas. Questo è il nome greco della Cor
sica . Pare che Virgilio attribuisca il gusto amaro del
mele della Corsica ai tassi che crescevano in quel
l'isola. Il tasso era creduto un albero tanto malefi
co , che si ripeteva l'origine della voce tossico dal
l'alterazione dell' aggettivo taxius ( Vedi Plinio Stor.
Nat. lib. XVI. cap. 10. ) Il nome botanico di questa
pianta è taxus baccata. B.
35. Adhuc Varo videor. Il Solari legge Vario , e
lo suppone quel poeta , di cui parla Orazio lib . 1 .
Ode 6. scriberis Vario fortis etc. Altri leggono Varo ,
e lo credono Alfeno Varo , giureconsulto spedito da
Ottavio legato ai Transpadani. Io non potrei mai ap
pigliarmi al Solari , dopo che di sopra , al v. 27., è
detto , che se per lui Mantova sarà salvata dalla rui
214
na , il suo nome sarà celebrato per tutta la campa
gna Mantovana.
36. Anser. L'oca . Anas anser. B.
36. Olor. Il cigno . Anas olor. B.
47. Ecce Dionei etc. Cioè di Cesare discende nte
da Venere , la quale dicevasi anche Dione , col qual
nome chiamavasi la madre di lei , ch'era figlia del
l'Oceano e di Tetide. Questa è la stella cometa che
apparve in cielo al tempo della morte di Cesare ; e
perciò fu creduto dal popolo che l'anima di lui fos
se passata alla sede degli Dei. Augusto cercò di con
solidare questa opinione nel popolo col far mettere
una stella sul suo simulacro ( Vedi Plin . Stor . Nat .
lib. II. cap . 25. ) .
51. Fert aetas animum . Per animo vuolsi inten
dere la memoria . Conforme alla sentenza di Cicerone
lib. 2. de Invent. c. 53. Memoria est , per quam ani
mus repetit illa quae fuerunt.
65. Hoc fasce. Gli agnelli che portava al suo av
versario .
61. Stringunt frondes. Vuole l'Heyne che strin
gere debba qui prendersi per decerpere , amputare.
L'uso degli agricoltori italiani è veramente di taglia
re e strappare non le nude foglie , ma le frasche e
i ramicelli frondosi , e poi sulla sera , quando le fron
di sono appassite dal sole , raccoglierli , formandone
piccoli fasci , e legandoli stretti ad uno ad uno con
una stramba. Questo mi pare il vero significato dello
stringunt densas frondes.
45
GALLO

EGLOGA DECIMA

ARGOMENTO

Rappresentasi in quest' egloga la passione

amorosa di cui Cornelio Gallo ardea per


la bella Licori . Virgilio descrive in prin

cipio lo stato in cui trovasi Gallo , e an


novera tutte le circostanze che giovano a

renderlo più sensibile . Poscia introduce

il personaggio medesimo a sfogare i pro

prj affetti , i quali sono soavissimi quan


to al magico stile con cui sono espressi ,
ma indegni per ciò che riguarda il sog
getto che li produce . Sembra che l'eglo

ga sia stata composta da Virgilio , non


già per consolar Gallo , come notano al
cuni ; ma per dare invece al mondo una
solenne testimonianza della sua debolezza

d'animo , nell' atto però che gli si lascia

il merito , e gli si conferma la lode di ec


cellente poeta .
216
www www

EGLOGA DECIMA
#0

POETA

I' Extremum hunc , Arethusa , mihi concede

laborem ;

Pauca meo Gallo , sed quae legat ipsa Lycoris ,

Carmina sunt dicenda: neget quis carmina Gallo?


Sic tibi , quum fluctus subterlabere Sicanos ,
5 Doris amara suam non intermisceat undam !

Incipe : sollicitos Galli dicamus amores ,


Dum tenera attondent simae virgulta capellae.

Non canimus surdis ; respondent omnia sylvae.

Quae nemora,aut qui vos saltus habuere,puellae


10 Naides , indigno quum Gallus amore periret?
Nam neque Parnassi vobis juga , nam neque
Pindi

Ulla moram fecere , neque Aonia Aganippe.

Illum etiam lauri , etiam flevere myricae ;


217
www www

EGLOGA DECIMA

IL POETA

to lavoro estremo , io te ne priego ,


uesto
Ques
Concedemi , Aretusa , io pochi versi
Cantar deggio al mio Gallo , e tai che debba
Licori stessa leggerli : e chi mai
Negherà versi a Gallo ? Ah ! così Dori 5
Amara all' onde tue non meschi l'onda ,
Mentre trascorri sotto il mar Sicano.

Su comincia a cantar meco gli affanni


Amorosi di Gallo , or che vaganti

Le sime capre sfrondano i virgulti ; 10


Noi non cantiamo ai sordi , eco fa il bosco.

Oh belle Ninfe Najadi ,

Deh qual foresta , o qual remoto loco


Nascoste vi tenea ,

Quando di vile amore indegno foco 15

Di Gallo il petto ardea ?


Chè allora i passi vostri
Non ritardò di Pindo
O di Parnasso il monte ,

Nè il chiaro d'Aganippe Aonio fonte. 20


Piansero i lauri amici ,
Piansero i tamerici ,
218

Pinifer llum etiam sola sub rupe jacentem


15 Maenalus et gelidi fleverunt saxa Lycaei.

Stant et oves circum ; nostri nec poenitet illas :

Nec te poeniteat pecoris , divine poeta ;


Et formosus oves ad flumina pavit Adonis.

Venit et upilio ; tardi venere bubulci :

20 Uvidus hiberna venit de glande Menalcas :

Omnes , Unde amor iste , rogant , tibi ? Venit

Apollo :
Galle , quid insanis ? inquit : tua cura Lycoris
Perque nives alium , perque horrida castra se
cuta est.:

Venit et agresti capitis Silvanus honore ,


25 Florentes ferulas et grandia lilia quassans.
Pan deus Arcadiae venit , quem vidimus ipsi
219
E il Menalo pinifero ,
E del Liceo gelato i duri sassi ,
Pianser vedendo Gallo 25
Solingo in ermo suolo ,
Steso sotto una rupe , immerso in duolo.
Stanno d'intorno a te le pecorelle
Nè tu rincresci a loro ;

Nè a te , divin poeta , increscan quelle , 30


Chè al bello Adon pur piacque
Guidar la greggia al pasco in riva all'acque.
Il pecorajo vien , vengono i lenti
Custodi degli armenti ,
Viene Menalca appresso 35

Per la ghianda invernal già fatto pingue ,


E ognun pensoso `dice :
Onde sì fatto amore ha la radice ?
Viene il divino Apollo : e perchè , grida ,
Gallo così deliri ? 40
Quella per cui sospiri
Cruda Licori infida

Or per un altro avvampa ,


E per nevi lo segue , e per lontani
Orridi siti dove Marte accampa. 45
Sen' viene anco Silvano
Cinto la fronte degli agresti onori ,
Le ferule squassando
E gli odorosi insiem gigli maggiori ;
Pan dell' Arcadia Iddio 50
Venir colà vid'io
220

Sanguineis ebuli baccis minioque rubentem .

Ecquis erit modus ? inquit, Amor non talia curat.


Nec lacrymis crudelis Amor , nec gramina rivis ,

30 Nec cytiso saturantur apes , necfronde capellae.

Tristis at ille : Tamen cantabitis , Arcades ,

inquit,
Montibus haec vestris : soli cantare periti

Arcades. O mihi tum quam molliter ossa quie


scant ,

Festra meos olim si fistula dicat amores !

35 Atque utinam ex vobis unus , vestrique fuissem

Aut custos gregis , aut maturae vinitor uvae !


Certe , sive mihi Phyllis , sive esset Amyntas,

Seu quicumque furor (quid tum , si fuscus


Amyntas ?
Et nigrae violae sunt, . et vaccinia nigra ) ,
40 Mecum inter salices lenta sub vite jaceret :

Serta mihi Phyllis legeret, cantaret Amyntas.


221

Di coccole sanguigne

D'ebbio , e di minio pinto e rosseggiante.


Quando , diss' ei , da tante 55

Pene ti scioglierai ?
I pianti e le querele
Non cura Amor crudele.

Nè il crudo amor di lagrime ,


Nè l'arse erbette saziansi dell ' onda , 60

Nè mai l'api di citiso ,


Nè le caprette della verde fronda.
Ma Gallo in suon dolente

Rispose : Arcadi , voi


Canterete i miei guai fra i vostri monti , 65
Sì voi sola in cantar perita gente .
Oh ! come mollemente

Coprirà l'ossa mie la terra lieve ,


Se un dì delle mie pene
S'udranno risonar le vostre avene. 70
Deh! fossi anch'io tra voi

Vendemmiatore o mandriano eletto ;


Chè allora Aminta o Fille ,

O qual si fosse che m'ardesse in petto ,


( E sia pur bruno Aminta , 75
Son bruni anche i giacinti ,
Son le viole nere )
Meco godria giacere
Tra mezzo i salci e l'intrecciate viti.
Fille i serti fioriti 80
M'intesserebbe " e intanto
Godrei d'Aminta il canto.
222

Hic gelidi fontes , hic mollia prata , Lycori


Hic nemus: hic ipso tecum consumerer aevo.

Nunc insanus amor duri me Martis in armis

45 Tela inter media , atque adversos detinet hostes :

Tuprocul apatria(nec sit mihi credere ) tantum

Alpinas , ah! dura nives et frigora Rheni

Me sine sola vides. Ah ! te nefrigora laedant !


Ah! tibi ne teneras glacies secet aspera plantas!

50 Ibo , et Chalcidico quae sunt mihi condita versu

Carmina , pastoris Siculi modulabor avena.


Certum est in sylvis, inter spelaea ferarum

Malle pati , tenerisque meos incidere amores


Arboribus : crescent illae ; crescetis , amores.

55 Interea mixtis lustrabo Maenala Nymphis,


223

O Licori , o Licori ,
Qui molli prati erbosi
Qui gelide fontane , 85

Qui verdi boschi ombrosi ,


Io qui mi struggerei
Con teco fino V al fin de' giorni miei.
Or io da un folle amore
Del duro Marte avvinto son fra l'armi , 90
Bersaglio ignudo dell'ostil furore ;
Tu dalla patria lungi
Crudel , senza di me , sola ten vai ,
( Ah nol credessi io mai ! )
Lungo il gelato Reno , 95
1
E fra le nevi alpine :
Deh! non t' offenda almeno

Il crudo freddo , ah ! vedi


Che gli aspri ghiacci acuti
Non piaghino que' tuoi teneri piedi. 100

Io dunque andrò cantando


Su la zampogna del pastor Sicano
Que' versi che composi
Sul Calcidico tuono :

Ch'io giurai di penar tra queste selve 105


Negli antri delle belve ,
E incider gli amor miei
Sui teneri arboscelli ;

Cresceran essi e gli amor miei con quelli.


Intanto scorrerò misto alle Ninfe 110
Per ogni dove il Menalo ,
124

Aut acres venabor apros ; non me ulla vetabunt


Frigora Parthenios canibus circumdare saltus :

Jam mihi per rupes videor lucosque sonantes


Ire ; libet Partho torquere Cydonia cornu

60 Spicula : tamquam haec sint nostri medicina

furoris,
Aut deus ille malis hominum mitescere discat !

Jam neque Hamadryades rursum nec carmi


na nobis

Ipsa placent , ipsae rursum concedite , sylvae :

Non illum nostri possunt mutare labores;

65 Nec si frigoribus mediis Hebrumque bibamus,


Sithoniasque nives hiemis subeamus aquosae ;

Nec si , quum moriens alta liber aret in ulmo ,


Aethiopum versemus oves sub sidere Cancri.

Omnia vincit Amor ; et nos cedamus Amori.

70 Haec sat erit , divae , vestrum cecinisse poetam ,


225

O caccierò i cignali irti e feroci ,


Chè a me non può vietare il freddo rigido
Sul Partenio girar coi can veloci.
E già mi par di correr fra le rupi , 115
In mezzo ai boschi cupi e risonanti ,
E là col. Partic' arco
Le cretiche vibrar freccie volanti ,

Quasi rimedio sia questo alla mia


Amorosa follia , 120
1
O che quel nume impari
Qualche pietà dagli uman casi amari.
Ah , ma che dissi ! io non ho più desio
Dell' Amadriadi ninfe ,

Nè trovo più piacer ne' versi usati : 125


Perdòno , o boschi amati ,
Parto di nuovo , addio.
Scemar non ponno amor fatiche o stenti 9
S'anco ne ' rigidi giorni del verno
Io me n'andassi a ber l'acqua dell' Ebro , 130

Oppur se gissi ne' piovosi e brevi


Per le scitiche nevi ,
Nè se pascessi tra gli Etiopi il gregge
Sotto il Cancro infiammato ,

Là dove sotto gli olmi alti la vite 135


Inaridita muore :

Tutto Amor vince , e me pur vinca Amore.

Bastin or questi versi , Aonie Dive ,


Che stavasi cantando il vostro vate ,
15
226

Dum sedet , et gracili fiscellam texit hibisco ,

Pierides vos haec facietis maxima Gallo ;


Gallo , cujus amor tantum mihi crescit in horas,

Quantum vere novo viridis se subjicit alnus.

75 Surgamus : solet esse gravis cantantibus umbra :

Juniperi gravis umbra : nocent et frugibus um


brae.

Ite domum saturae , venit Hesperus , ite , ca

pellae.
227
Mentre sedea tessendo una fiscella 140
Di gracil malvavischio : ah ' voi farete
Che Gallo gli abbia in sommo pregio ; Gallo
Per cui tanto mi cresce amor nel petto

Quanto cresce il verd'alno in primavera.


Leviamci , che a chi canta a lungo l'ombra 145

Suol esser grave , e più dell'altre quella


Del ginepro è nociva : anco alle messi
L'ombra fa danno : o mie caprette , andate
All'ovil , siete sazie , è sera , andate. 149
!
229

ANNOTAZIONI

ALL EGLOGA DECIMA.

Vers.1 .Arethusa. Chiamasi Aretusa una fonte


della Sicilia , che sgorga in vicinanza di Siracusa.
Secondo la mitologia fu trasformata in questa fonte
la vergine Aretusa per opera di Diana , col fine di
salvare una sua seguace dalla violenza d'Alfeo , ch'e
rasene innamorato. Virgilio invoca questa ninfa , per
chè appartenente alla Sicilia patria di Teocrito.
2. Gallo. Era questi Cornelio Gallo poeta illu
stre del secolo d'Augusto , riconosciuto già dagli sto
rici veritieri e dai critici giudiziosi , fuor d'ogni dub
bio, per Forogiuliese ( Fontanini Histor. litter. Aquilej .
pag. 18.; Liruti Notiz. de' Letterati del Friuli tom.
1. pag. 2. ) . Fu prefetto dell' Egitto , dove nell' anno
43. dell'età sua , e 728. di Roma ammazzossi di pro
pria mano . Non vanno d'accordo le istorie sulle cau
se di questa disperazione ; chi suppone aver egli
sparlato imprudentemente o anche congiurato contro
Augusto , e quindi essendo scoperto aver così evita
to una maggiore calamità : chi gli attribuisce furti
e rapine nella Provincia , per lo che accusato dai
senatori , e perduta la grazia dell' imperatore siasi
a tale estremo ridotto. Il Fontanini , nella citata Sto
ria letteraria aquilejese , vuole attribuire soltanto all'in
vidia dei grandi di Roma le accuse portate contro
di Gallo nondimeno , poichè non ebbe costui fama
di maschia virtù , non è da credersi che la sola for
230

tuna della quale godeva abbia potuto far


far nascere

quel terribile decreto del Senato , riferito da Dione nel


libro 53. , con cui è condannato all' esilio , ed è
proclamata la confisca di tutti i suoi beni a favore
di Augusto . Comunque siasi , le diverse ragioni della
sua disgrazia sono discusse eruditamente dal signor
Gian - Giuseppe Liruti nell' opera sopra allegata , dove
Cornelio Gallo è registrato come quegli che diede
principio alla storia letteraria di questa provincia.
Cornelio Gallo fu veramente poeta per lo stile da pa
ragonarsi a Tibullo , e forse anche allo stesso Virgi
lio. La presente egloga è una grande testimonianza
della stima in che lo teneva Virgilio medesimo . Egli
l' avea già prima decantato nell' egloga VI. v. 64. 65. ,
il che sarebbe sufficiente per la sua gloria , quando
pur si potesse mettere in dubbio non esser vero ciò
che asseriscono alcuni ( fra questi il Servio ) , che il
quarto libro delle Georgiche dal mezzo fino al ter
mine contenesse le sue lodi , e che poi per comando
di Augusto l'avesse mutato nella favola d'Aristeo .
Sonoro è l'elogio che ne fa di lui pure Ovidio :
Gallus et Hesperiis , et Gallus notus Eois ,
Ex sua cum Gallo nota Lycoris erit.
( Amor. lib. 3. Eleg. 15. )
Compose quattro libri di Amori , de ' quali non ci re
stano che alcuni frammenti : tradusse dal greco i versi
di Euforione , poeta di Calcide città dell' Eubea , e
di più si pretende da alcuni esser esso l'autore d'un
poemetto latino attribuito a Virgilio e intitolato Ci
ris. Tutte queste cose si possono vedere ampiamente
trattate nella più volte mentovata opera A del signor
Gian-Giuseppe Liruti.
231

2. Lycoris. Intorno a questa Licori il celebre an


tiquario e filologo udinese sig. co. Girolamo Asqui
ni , per tratto di cortesia e d'amicizia verso di me
si compiacque di comunicarmi la seguente nota , la
quale sola sarebbe più che sufficiente saggio della
sua profonda erudizione e sagacissima critica.
99 Io mi trovo inclinato a credere , che la famo
"" sa Licori tanto amata dal celebre nostro Cornelio
"" Gallo , e poi dalla stessa abbandonato per seguir
22 infedele tra balze e dirupi , perque nives , perque
39 horrida castra sui monti Retici , e Gallo - Carniei
55 nella Gallia Togata il triumviro Marcantonio , e
"" farsi tirare in cocchio scoperto da due leoni sotto
"" il nome di Citeride mima in aria di meretrice
22 ( Plin. Hist. Nat . 1. VIII . cap. 16. ) col suo drudo
"" a canto per Roma , e per le altre città italiane do
,, po la vittoria Farsalica , sia della stessa patria del
,, . suo primo amante , e originana anch' essa della
"" colonia Giulia- Carnica , o Forogiuliese , ora Zuglio,
99 capitale un tempo de ' Gallo- Carni . Ecco le ragio
"" ni , che m'inducono a redere , che la cosa sia ve
"" ramente così , pronto però sempre a ritrattarmi o
"" gni qual volta mi verrà fatto conoscere il contrario.
"" Convengono tutti gli autori , e comentatori di
"" Virgilio , che hanno parlato di Cornelio Gallo , e
29 della sua Licoride , ch'ella fosse liberta di un cer
33 to Volumnio Eutrapele Senatore ( Ruaeus in not.
99 Virg. ad us. Delph . ) , per cui fu anche chiamata
"" col nome di Volumnia ( Cic. Philipp . 2. 24. ) da
99 quello del suo primo padrone , che di serva l' ha
.‫ د‬dichiarata libera . Il solo Liruti ( Mem. de' Letterati
99 Friulani T. I. ) , non so con qual fondamento , lo
‫ ور‬escluda dal grado Senatorio facendolo uomo di
232

99 Commedia , senza citare autorità veruna. Servio il


39 più antico , e il più autorevole fra tutti i comen
,, tatori di Virgilio , lo chiama col nome semplice
,, mente di famiglia senza distinguerlo di grado , nè
‫ رو‬di condizione ; ma ciò non basta per far crede
,, re , che montasse le scene anch'egli , e seguisse il
,, genio della troppo vivace e fervida sua liberta.
" 2. Con tre diversi nomi era chiamata questa signo
,, ra, e sono Licori , Citeride , e Volumnia. L'ultimo
"" doveva essere senza dubbio il primo , ed il suo ve
,, ro , secondo l'uso degli antichi Romani coi loro
,, liberti , e liberte , che ritenevano sempre quello
"" del loro padrone. L'altro di Citeride era un SO
,, prannome distintivo , e il terzo di Licori Arcadico
22 impostogli dal suo primo amante , perchè , come
99 dice Servio , parlando appunto di costei , licet poe
" tis alia nomina pro aliis ponere (*) .
;
99 Ch ' ella fosse della medesima patria del no
39 stro Cornelio , e quindi Gallo- Carnica , e Forogiu
,, liese , me lo persuade l' essere stata liberta di
,, un. Folumnio. Tra le famiglie principali Romane
"" venute coi veterani ad abitare la colonia Giulia
"" Carnica , come dalle molte lapidi della medesima ,
"" mandate da Augusto nel suo * triumvirato dopo la

(*) Di questi nomi , dirò così arcadici o poetici , se ne


incontrano bene spesso nelle antiche lapidi dati alle donne.
Basti. vedere gl' indici del Grutero , e del Muratori nelle lo
ro gran raccolte d' Iscrizioni a persuadersene. Eccone alcu
ni pochi esempi senza portare le Iscrizioni intiere. CLAVDIA
LYCORIS. Grut. p. DLXXVIII. 7 = VERNASIA LYCORIS .
id. p. DCCXIII. 12 = ARRIA LYCORIS . Murat. p. MCDXVI.
13 ARRIA AMARYLLIS. id. p. MCXXXVI. 3 = AELIA
LESBIA. id. p . MXVII. 8 ≈ AELIA NYMPHA. id. p. MCLIX.
8 = ANNIA NICE . id. p . MCCXXXIX. n.º 12. etc. etc.
233

,, battaglia di Filippi ( Appian . bell. civ. I. V. Svet. in


"" Aug. c. XIII . ) , quando cioè la dedusse colonia
"" militare per Legge triumvirale , insieme coll' altra
"" sua sorella Giulia Concordia nel secondo suo conso
.‫ د‬lato , l'anno di Roma DCCXXI . , 32. anni prima
33 dell' Era volgare , e 29. di sua età in memoria di
99 Giulio Cesare suo padre adottivo , oltre l'Azzia ,
"" la Bebia , la Cominia , la Considia , la Cornelia
,, ( da cui il nostro Gallo ) , l'Erbonia , la Gavia , la
95 Giulia , la Giuvenzia , la Maria , la Quintilia , la
‫ ور‬Rutenia , e tante altre , che lungo sarebbe il no
23 minarle tutte , abbiamo anche la Volumnia , come
‫ در‬da questa bellissima Iscrizione conservataci in co
"" pia da un illustre viaggiatore del secolo XV . al
,, XVI. , il di cui manoscritto originale , a tutti osten
"" sibile , si conserva nella ricca e scelta biblioteca
"" del mio amicissimo Sig. Pietro Vitali professore di
"" lingua greca ed ebraica , ed altre orientali , nella R.
‫ رد‬Ducale Università di Parma , ed è la seguente :
Diis Manibus
Marcus VOLVMNIVS
Marci Filius ( ex Tribu ) CLAudia
VRBANVS
DECurio COLoniae IULiae KARnorum
II. VIR. Iuri Dicundo
Marcus VOLVMNIVS
ARDEATINVS
PATRONO . Bene Merenti
ET.IVLIAE
IVCVNDAE
VXORI KARISSimae
99 Nè l'asserzione del solo Rueo , per quanto io "
"" sappia , che egli fosse senatore indebolisce punto
234
99 la mia opinione. Bastava essere stato Decurione
‫ دو‬della sua colonia , come lo era il nostro Marco Vo
"" lumnio della lapide , per essere considerato tale
,, sapendosi da tutti , che i Decurioni delle colonie
,, rappresentavano quello stesso che era il Senato in
,, Roma , dal corpo dei quali si estraevano i ma
"" gistrati , e che il D. D. Decreto Decurionum delle
,, colonie , e municipii , rispondeva intieramente al
‫ دو‬S. C. Senato- Consulto Romano. Dunque nemmeno
,, per questo può dirsi assolutamente , che non fosse
,, Carnica , o Forogiuliese di patria la nostra Lico
"" ri. Ma al Rueo si oppone Cornelio Nepote , il qua
"" le (in Attici vita ) lo dichiara amico di Marcan
"" tonio , e soltanto prefetto dei fabri de' suoi eser
,, citi , cioè del corpo di quegli operai , che fabbri
99 cavano macchine da guerra " e servivano al maneg
59 gio delle medesime nell' espugnazione delle città e
35 delle fortezze , che si direbbe ora Sopraintendente
"" all' artiglieria ( Veget. de Re Milit. lib. II . cap . 12 .
22 Liv. lib. I. Pompon . Laet. de Magist. Rom. cap. 14.) .
25 Di qua si può inferire la causa per cui l'infedele
"" Licori abbia abbandonato il suo compatriota per
99 seguire Marcantonio amico del suo primo padro
‫ در‬ne Volumnio , e al servigio di lui negli eserciti.
,, La gente Volumnia , che fa parte delle prime
"" famiglie e più distinte della nostra colonia Car
"" nica-Forogiuliese , era una delle principali di Ro
99. ma sin dal principio della Repubblica , e si divi
"" deva in patrizia e plebea al dir del Panvinio ,
22 della quale è stato il console Publio Volumnio
"" Amintino Gallo l'anno di Roma 293. , prima del
,, l'Era volgare 461. secondo i computi più corretti
"" dell' Almeloveen ( Fastor. Romanor. Consular: Am
235

‫ رو‬stelodami 1740. ) , famiglia che si è sparsa , e di


22 latata per l'Italia , ed altre regioni del Romano
22 Impero , come si raccoglie dalle molte lapidi pres
"" SO i collettori delle medesime , essendo venuto un
29 ramo della stessa ad abitare anche tra i Carni- Fo
"" rogiuliesi. Il soprannome di Eutrapele tra gli altri
"" in quella famiglia usati , non fa caso per esclu
"" derlo dalla colonia Carnica , poichè essendo co
99 mune a molti individui della medesima poteva es
93 sere ritenuto anche da alcuni dei nostri , come
99 è quello di Urbanus , e l'altro di Ardeatinus della
,, nostra lapide per indicare che il primo dei due
‫ در‬Volumni in essa nominati dimorava in città , cioè
92 in Giulio stesso , e quindi Urbano , che in Urbe
,, habitat , e corrisponde in certa maniera a quello
29 di Eutrapele , che inducit sermonem urbanum , ac
‫ ور‬venustum ( Cic. pro Domo cap. 34. ) , cioè di un
29 parlare pulito , urbano , cittadinesco , ed il secondo
"" in un vico , o borgo della medesima , facilmente in
"" Arta , nel latino Ardea , villaggio a pochissima di
22 stanza da Zuglio , che ancor sussiste , e porta lo
99 stesso nome , e perciò Ardeatinus onde differen
22 ziarsi uno dall' altro , che avevano lo stesso preno
"" me di Marco. E ciò forse non sembrerà tanto im
"" probabile qualora si rifletta , che il primo di que
‫ ور‬sti due era insignito della carica principale di De
29 curione DECurio COLoniae IVLiae KARnorum ;
23 la qual carica corrisponde a quello di senatore ,
"" come si è detto , Splendidissimo chiamato in una
‫ در‬lapide Aquilejese questo medesimo pubblicata dal
‫ ور‬Bertoli ( Ant. d'Aquil. pag. 232. num . CCXCV. ) ;
‫ ور‬e da Monsig. del Torre nel suo Libro d'Anzio
"" ( pag. 359. ) SPLENDIDISSIMVS ORDO ; e l'al
236

‫ ور‬tra di Duumviro della medesima II. VIR. Iuri


-
"" Dicundo a quella di Console in Roma. "
Tutta questa illustrazione dee piacere singolar
mente ai Friulani , i quali come fondano nel secolo
d'Augusto la prima gloria della patria poesia , così
fonderanno in quello pure la fama della bellezza del
le loro donne.
4. Fluctus subterlabere Sicanos. La mitologia sup
pone che la trasformazione d' Aretusa in fonte sia av
venuta in Elide , e che Diana abbia fatto che le sue
acque passassero per un canale sotterraneo nella Si
cilia , perchè non si unissero in quelle di Alfeo ch'e
ra similmente stato trasformato in fiume.
5. Doris. Doride come figlia dell'Oceano e di Te
tide , e come sorella e moglie di Nereo , era princi
cipessa del mare , e perciò le onde di questo elemen
to si potevano ad essa pure riferire . Nota l'Heyne :
acqua salsa , ac marina.
11. Neque Parnassi . Il monte Parnasso , oye sog
giornavano le Muse , era un braccio del monte Pin
do , che si estendeva tra la Macedonia e la Tessaglia.
12. Aganippe. Fonte della Beozia.
15. Lycaei. Monte dell' Arcadia , come lo era il
Menalo .

18. Adonis. Figlio di Cinira , e di Mirra. Fu a


mato da Venere , ed ucciso da un cinghiale.
19. Tardi bubulci. Alcuni testi leggono subulci
custodi dei porci ; e il Servio approva si fatta lezio
ne. Ma il porcaro sembra essere stato Menalca per
la ragion della ghianda , di cui si parla in appresso ;
e perciò sto coll' Heyne e leggo bubulci , chiamati
tardi , come dice l' Heyne stesso , a lento et tardo
ingressu boum.
237

20. Uvidus hiberna venit de glande Menalcas. Qui


l' Heyne censura Virgilio come poco sagace , perchè
chiama Menalca uvidus glande hiberna , non essendo
più inverno , quando fioriscono i gigli e le ferule. Ma
il Servio ne avea già rettificato il senso , spiegan
do uvidus per pieno d'umore interno e liscio al di
fuori ( traendone la origine da uva ) , che noi direm
mo , alla foggia di Orazio , pingue e nitido. Menalca
erasi dunque impinguato cibandosi di ghianda nel
l'inverno , e perciò apparve tale anco nel fiorire del
la stagione .
25. Ferulas. Genere di piante di fusto midolloso ,
come la canape. Le principali spezie di questo gene
re sono ferula comunis , ferula nodiflora etc. B.
25. Grandia lilia. Sono i gigli di s . Antonio . li
lium candidum . B.
27. Ebuli . L'ebbio . Sambucus ebulus. ?
27. Minioque. Il minio degli antichi non è l' os
sido di piombo della chimica moderna , ma è il sol
furo di mercurio , che dicesi cinabro . Intorno al mi
nio degli antichi ( Vedi Plinio lib. XXXIII . cap. 7. ) . B.
28. Tamen cantabitis . Asserisce qualche critico
che i seguenti versi , che si mettono in bocca di Gal
lo siano di lui medesimo ( Lirut. loc. cit. ) . Chi co
nosce il valor poetico di Virgilio , e il metodo da lui
seguito nell'egloghe d'introdurre personaggi parlanti ,
non accetterà mai la predetta opinione.
8
39. Vaccinia nigra. Questi sono i giacinti orien,
tali di color di viola rammemorati nell ' egloga II .
V. 18. B.
44. Duri me Martis. Al Solari piace la lezione te ,
e nota : 99 La stereotipa di Didot è forse la sola ,
‫ در‬che mi prevenne a cangiare in te il me della vol
238
,, gata. Mal si difendeva quel me col pretesto che
99 l'amante pensa trovarsi dov'è l'amata. Sarebbe
29 dunque egualmente all'Alpi e al Reno : Eppur di
39 ce : Alpinas , ah dura ! nives , et frigora Rheni Me
99 sine sola vides ". Eppure , io dico , potrebbe spie
garsi un amore insano talmente m'invade , che por
ta dietro di te il mio cuore nei campi del duro Marte,
e così sono io costretto a seguirti con l'anima fra mez
zo all' armi de' miei fieri nemici : essendo probabile che
con tal nome chiamasse egli il suo rivale Antonio , e
l'esercito da lui comandato .
50. Chalcidico . Intende le sopra mentovate eglo
ghe di Euforione Calcedonese.
51. Pastoris Siculi . Teocrito .
56. Apros. Il Cinghiale. Sus aper. B.
57. Parthenios saltus. Il monte Partenio ch'è nel
l'Arcadia.
59. Partho cornu . I Parti erano famosi nel tirar
di freccia , ed aveano archi eccellenti.
60. Spicula. Le freccie dell'isola Cidonia , ch'era
uno de' nomi di Candia . Le freccie si facevano coi
calami della canna montana , arundo donax , al quale
uso erano attissime quelle che crescevano in detta
isola ( Vedi Plin. lib. XVI . cap. 36. ) . B.
65. Hebrumque. Fiume della Tracia ch ' ora dicesi
Marizza.
66. Sithionasque nives. La neve della Sitonide ?
col qual nome indicavasi la parte della Tracia con
finante colla Macedonia.
67. Liber. Parte interna della corteccia dell' albe
ra prendesi poeticamente per la corteccia intera , e
talvolta anche per l'albero stesso .
239

CATALOGO

DELLE TRADUZIONI ITALIANE

DELLA BUCOLICA DI VIRGILIO (*)

I.

BTCOLI
UCOLICA
CA tradotta da Bernardo Pulci. Firenze Antonio Mi
scomino 1481. in 4to. Oltre alla Bucolica di Virgilio tra
dotta in terza rima, altre si contengono di Francesco Ar
sochi , di Girolamo Benivieni , e di Jacopo Fiorini de
Boninsegni. Bella ed assai rara edizione. N' è stata
fatta una ristampa in Firenze , 1494. in 4. senza nome
di stampatore.
2.
VIRGILIO LA BUCOLICA , tradotta da Bastian Foresti , senza data
in 4. Apostolo Zeno la giudica edizione di Firenze ver
so il 1490. Il Libro è intitolato Ambitione , diviso in IX.
capitoli , seguiti da quattro libri, i quali altro non sono
che il volgarizzamento della Bucolica.
3.
VIRGILIO BUCOLICA. Ven. Cristoforo de Pensis 1494. in 4. Tra
duzione in verso volgare del P. Evangelista Fossa Ser
vita di Cremona.
Fu ristampata in Milano per Agostino di Vicomer
cato , in 8vo. , con questo titolo : Bucolica vulgare de
Virgilio composta per el clarissimo poeta frate Evan
gelista Fossa da Cremona. In carattere semigotico.
4.
BUCOLICA EGLOGA V. tradotta da Luttareo. Ven. 1525. in 8vo.
5.
LA BUCOLICA tradotta da Vincenzo Menni. Perugia , Girolamo
Bianchino , 1544. in 12. Registrata dal Fontanini e dal
Paitoni.

(*) Le notizie della maggior parte di queste versioni mi furono


comunicate dal ch. letterato e bibliografo sig. Bartolommeg Gamba.
A me appartengono le noterelle in carattere corsivo.
240
6.
LA BUCOLICA tradotta da Antonio Mario Negrisoli , con le ri
me del traduttore. Venezia 1552. , in 8vo.
7.
VIRGILIO LA BUCOLICA tradotta in verso sciolto da Andrea Lo
ri. Venezia 1554.in 12. Si ristampò molte volte sola , e
colla Georgica tradotta da Bernardo Daniello , e unita
mente all' Eneide del Caro.
La traduzione del Lori ha quella certa tal quale
semplicità di dialogo che conviene all'egloga. Ma in
vano si cerca in essa lo stile di Virgilio.
8.
VIRGILIO le CANZONI PASTORALI tradotte da Rinaldo Corso.
Ancona , Astolfo de' Grandi 1566. in 8vo. È una tra
duzione in verso sciolto della Bucolica. Sta al fine un'
ottava indrizzata ad Annibal Caro.
9.
VIRGILIO LA BUCOLICA tradotta da Girolamo Pallantieri. Bolo
gna 1603. in 8vo. Fu fatta una ristampa in Parma dai
Fratelli Borsi in 4. piccolo , nel 1760. L'edizione è bel
lissima con buone incisioni in legno . Il Paitoni ne par
la a lungo .
10.
EGLOGA PRIMA DI VIRGILIO in versi italiani. Sta alla pag.
484. delle poesie di Bernardo Filippini ( Vedi Pai
toni ).
II.
EGLOGA PRIMA DI VIRGILIO , tradotta da Costantino Sansonio .
Fermo 1607. in 4to.
12.
EGLOGA PRIMA DI VIRGILIO , in versi sdruccioli. Sta nelle Prose
e poesie del Tagliazucchi ( Vedi Paitoni ).
13.
LA BUCOLICA tradotta da Sperindio Ghirardelli. Vicenza , Gia
como Violati , 1614. in 12. È in versi sciolti ; e alcune
copie hanno il frontespizio in rame.
La versione non è da disprezzarsi.
14.
VIRGILIO LA BUCOLICA , traduzione di Antonio Ghisilieri Bolo
1 241
gnese, Bologna, Pisarri , 1708. in 12. Fu ristampata an
che tra le Poesie del Ghisilieri, Bologna , 1719. in 12 . È
in versi sciolti col testo latino di rincontro .
15.
LA BUCOLICA tradotta in terza rima dal dottor Andrea Dimi
dri di Malpignano. Napoli , Nicolò Monaco , 1720. in 12.
Traduzione ricordata dal Tassoni , e registrata dal Pai
toni , e dall' Argellati. Edizione arrichita di note.
16. 1
LA BUCOLICA tradotta da Parmindo Ibichense. È nel t. 7. del
Corpus Poetarum latinorum. Mediolani in regia curia ,
1731. in 4to.
17.
VIRGILIO EGLOGA VI. tradotta da Antonio Conti ( T. 1. Conti
Prose e Poesie , Venezia 1739. 4to. ) .
18.
LA BUCOLICA , traduzione di Paolo Rolli , Londra , 1742. in
8vo. Vi sono aggiunte alquante piccole note. Si è ri
stampata anche ne' poetici componimenti di Paolo Rol
li , Vol. primo , traduzione in versi sciolti.
Il Rolli avea miglior vena per le anacreontiche , che
non per li versi sciolti.
19.
VIRGILIO , EGLOGA QUINTA , spiegata da Giuseppe Bartoli. Ro
ma , Salomoni , 1758. in 4to. gr. „ Il ch. Giuseppe Bar
22 toli ( Padovano ) Antiquario di S. M. il Re di Sar
,, degna , passando per Roma volle così dare un saggio
‫ ور‬della sua vasta erudizione con una spiegazione della
‫ر‬,,‫ د‬Quarta Egloga Virgiliana , piena e ridondante di dot
"" trina sacra e profana , la quale dedicò all' impareg
,, giabile Papa Benedetto XIV. ". Così un giudizioso
scrittore.
20.
VIRGILIO LA BUCOLICA tradotta in rime Italiane da Prospero
Manara. Lat. Ital. Parma Monti , in 8vo. Molte sono le
ristampe che si fecero di questa versione. Luigi Bramie
ri in una sua lettera intorno all' Autore morto nel 1800.
dice, che al primo apparire in luce ottenne questa ver
sione per comun voto , e porto poi sempre senza con
16
242
trasto , il vanto d'essere la migliore fra le innumerabili
onde venne inondata l'Italia.
La traduzione del Manara avrebbe dovuto scorag
giare qualunque altro traduttore che non avesse avuto
in vista di richiamare ad una ancor maggiore semplicità
virgiliana i dialoghi dei pastori , omettendovi in quelli
la rima: perchè in onta dell'autorità del Sannazzaro
si dee sempre dire , che le rime convengono al canto ,
non mai al naturale discorso.
21.
VIRGILIO BUCOLICA tradotta da G. G. G. Carpi , 1764. in 12 .
Il Traduttore è il P. Gioachino Gabardi Gesuita. Nel
vol. 26. delle Novelle Letterarie di Firenze si malme
na questa versione , concludendo che sino l' Errata Cor
rige ha correzioni peggiori degli spropositi scorsi. 99 Chi
"" amasse di vedere mal trattato e guasto l'ammirabile
,, poeta Virgilio legga questa infelice Parafrasi in versi
99 sciolti ec. ec. ".
Ecco come comincia la seconda Egloga :
"" Di Auren bello , occhio dritto del Signorso
"" Era Ceccon pastor colto : ma il gramo
"" Nè un fil di speme avea ec.
22
LA BUCOLICA DI VIRGILIO, tradotta dall' Ambrogi. Sta nel cor
po dell' Opere di Virgilio tradotte dallo stesso Ambro
gi. Roma Zempel 1763-1765 , vol. 3. in foglio gr. fig. ,
e Roma 1770. vol. 4. in 8vo. La traduzione dell' Am
brogi non istà bene di fronte al testo virgiliano.
23.
VIRGILIO LA BUCOLICA , tradotta in versi sciolti da Fr. Soave ,
con un' Orazione di s. Basilio tradotta dal greco dallo stes
so. Roma Komareck, 1765. 8vo . piccolo. Prima tra le tra
duzioni moderne venuta in fama, e molte volte ristampata.
24.
VIRGILIO BUCOLICA , tradotta da Marchiò Balbi , con illustra
$ zioni. Venezia Girardi , 1767. in 8vo.
25.
VIRGILIO BUCOLICA E GEORGICA, traduzione letterale di Giusep
pe Maria Candido. Lat. Ital. Napoli, Pace, 1771. in 8vo.
243
26.
LA BUCOLICA DI VIRGILIO Volgarizzata da Giuseppe M. Pagni
ni. Sta nella superba edizione de' Bucolici Greco-latini.
Parma Stamp. Reale 1780. in 4to.
27.
VIRGILIO BUCOLICA , tradotta in versi sciolti da anonimo. Bo
logna , dalla Volpe 1784. in 12.
28.
VIRGILIO LA BUCOLICA , tradotta in ottave rime sdrucciole da
Arnaldo Tornieri. Vicenza, Giusto , 1786. in 8vo . gr. La
Famiglia Tornieri ha tradotte tutte le opere di Virgilio.
29.
VIRGILIO BUCOLICA , ridotta in prosa italiana da Giuseppe An
tonio Gallerone . Torino , Fea , 1790. in 12.
30.
LA BUCOLICA tradotta da Clemente Bondi. È unita alle Ge
orgiche dello stesso . Venezia 1809. vol. 2. in 12. La ver
sione del Bondi è certamente pregiabile per virgiliana
eleganza.
31.
VIRGILIO LA BUCOLICA , tradotta in verso ; da Lorenzo Crico.
Venezia , Zatta , 1792. 4to. fig. Con annotazioni sull'ar
tificio poetico delle Egloghe.
32.
LE BUCOLICHE DI PUBLIO VIRGILIO MARONE recate in altrettanti
versi italiani da Giuseppe Solari D. S. P. , munite dal
l'autore di note giustificanti il senso e la lezione ; cor
redate d'un lessico zoo-botanico dal P. P. Domenico Vi
viani. Genova , stamperia Giossi 1810. in 8vo .
Intorno a questo lavoro così s'espresse il giornale
intitolato Il Poligrafo nel num. XXXIII . dell'anno 1811 :
"" Della traduzione del Solari noi converremo , che ta
"" lora si scorge l'arte , si sente lo sforzo , e che qual
"" che colore meno schietto s'incontra. Noteremo anzi
", queste macchie con iscrupoloso rigore nella prima e
99 gloga , che sembra offrirne più che le altre , ma poi
"" lasceremo al giudicio degl'intelligenti , se tutto il re
,, sto non sia viva e chiarissimą luce di pura lingua e
27 di poetica elocuzione . “
244
33.
LA BUCOLICA , tradotta da Giovanni Fantini. Modena 1811 .
in 8vo.
34.
LA QUARTA EGLOGA DI VIRGILIO , tradotta da Quirico Viviani.
Udine Pecile 1811. in 8vo. Non registro questa mia li
bera versione , se non perchè cadendo essa in mano di
qualcheduno possa ravvisarvi la differenza dello stile
di quella dall'altra traduzione che ora si pubblica.
35.
VIRGILIO LA BUCOLICA recata in versi italiani da Domenico
Molajoni. Roma de Romanis , 1816. in 8vo.
36 .
LA BUCOLICA DI VIRGILIO. Brescia 1816. in 12.
La traduzione è di G. Nicolini ; ed è forse da con
siderarsi la migliore di tutte per la venustà dello sti
le , e pel modo del verseggiare. I canti paștorali sono
per lo più in versi rimati.
37.
VIRGILIO LE BUCOLICHE , recate in versi italiani da Giuseppe
Bandini. Parma , tipografia Ducale 1819. in 8vo.
245

LIBRI ED OPUSCOLI

IMPRESSI IN UDINE

DAI FRATELLI MATTIUZZI

DAL 1822 FINO A TUTTO MARZO 1824

PARTE DEI QUALI SI TROVANO VENDIBILI AL LORO NEGOZIO

AGLAJA Anassillide , Fiori anacreontici sparsi sulla


tomba di Canova 1822. in 8vo. L. -: 50
BARBIERI. ( Giovanni Maria Modenese ) Novelle scel
te , 1823. ediz. di soli 80 esemplari in 8vo. 3
in carta sottoimperiale • "" 3:00
Contengono queste novelle gli amori di alcuni
poeti provenzali, detti volgarmente Trovato
ri. L'autore è del secolo XVI, e lo stile è
forbito e pieno di grazia.
BASSI. ( Gio: Battista ) Il Tempio di Canova e la
Villa di Possagno , con tavole intagliate in
rame. 1823.
In 8vo. velina reale " 7:59
"" 4to. mezzanina "" IO : 00
"" 8vo. sottoimperiale 29 12 00
,, 8vo. imperiale "" 14:00
"" 4to. reale tinta "" 16:00
"" 4to. carta di disegno "" 18:00
Operetta di lusso , e pel suo contenuto molto
encomiata dalla Biblioteca Italiana.
BERINI. ( Giuseppe ) I due primi libri della Storia
Naturale di C. Plinio Secondo, stampati per
saggio di tutta l'opera, 1824 in 8vo. A spe
se dell' Autore.
BIANCHI. ( Giuseppe ) Ode per le Fontane di Udine
restaurate, 1823 in 8vo. Esemplari N. 150 , a
spese dell' autore.
BRAIDA. ( Monsig. Pietro Canonico ) Sancti Chromatii
Episcopi Aquilejensis Scripta etc. 1823. in 4to.
A spese dell' Autore 22 6:00
Opera importantissima , e piena di peregrine
notizie.
DANTE ALIGHIERI La divina Commedia giusta la le
zione del Codice Bartoliniano , col riscontro
246
di LXV testi a penna e delle prime edizioni,
aggiuntivi gli argomenti del codice Trivulzia
no scritto nel 1337, e i Frammenti latini del
codice Fontaniniano per opera di Quirico
Viviani. Vol. 2. in 8vo. 1823.
In carta Quadretta fina "" II : 00
22 Fioretta "" 13:00
99 8vo. massimo sottoimperiale "" 26:00
Festa campestre per le nozze Galetti e Polcenigo
1824. in 8vo.
L'autore n'è l'ab. Domenico Sabbadini.
FLORIO. ( Conte Daniele ) Salmi Scritturali e lezioni
di Giobbe , versione inedita in varj metri ,
1823 , in 32.
In carta comune 99 1:25
Tinta fina . 22 2:00
Sottoimperiale legatura alla francese . • 29 3:50
Detto , Tito , ossia la Gerusalemme distrutta , 1823
in 8vo. 22 I : 00
In carta velina "" 1:50
È questo il canto 3. del Poema. I due primi
si stamparono in Venezia nel 1819. I ca
ratteri e la forma sono gli stessi , e si ven
dono tutti al Negozio dei Fratelli Mattiuzzi.
MANIAGO. ( Conte Fabio ) Storia delle Belle Arti
Friulane , 1823 , in 8vo. "" 5:00
Opera generalmente encomiata per la erudi
zione , per lo stile , e pel gusto delle belle
arti che da capo a fondo vi domina.
MANTOVANI. ( Jacopo ) Ode per le Nozze Polcenigo
e Galetti , 1824. in 4to.
È dedicata al cav. Vincenzo Monti. Dopo
l'Ode v'è la lettera di risposta dello stes
so cav. Monti ; e in seguito alla lettera un'
Ode del Sig. Andrea Michieli Pellegrini
MANZONI. ( Alessandro ) Inni sacri , 1823 in 16 . L. - : 50
In carta velina 99 : 75
MARINELLI , Lettera ad un giovine che finita la sua
educazione entra nella società , 1823 , in 16. "" -: 50
MEMORIA STORICA della fondazione e progressi fino a'
nostri giorni del Monastero della Visitazione
in S. Vito del Tagliamento , 1823 in 8vo .
L'autore è sottoscritto C. G.
PEZZI. ( Alberto ) Cantico in morte di Antonio Ca
nova, 1823. in 8vo. piccolo. A spese dell' Au
tore. Esemplari N. 5o. in carta velina.
247
PLUTARCO , Le Vite degli uomini illustri tradotte da
Girolamo Pompei, con note tratte dal Comen
to di Dacier. 1822. 1823. 1824. vol. 17, in 16. ,, 44 : 74
In carta velina , leg alla Bodoniana` . ", 89:48
Questa edizione ha la particolarità di un ri
tratto intagl. in rame da Giacomo Aliprandi
per ciascheduna vita , la maggior parte co
piati dall' Iconografia di Ennio Quirino Vi
sconti: inoltre è decorata di 17 epistole de
dicatorie a 17 personaggi illustri per dignità
o per letteratura.
Rime e Prose di alcuni illustri Scrittori Friulani
del Secolo XVI , pubblicate la prima volta
per le nozze Nussi e Policreti, 1823 in 8vo.
spese del sig. Vincenzo Tamai. Ediz. di so
li 100 esemplari progressivamente numerati.
Gli autori sono Cornelio Frangipane , Eras
mo di Valvasone, Giuseppe Cillenio, Giulio
Liliano. Precedono a questi componimenti al
cuni cenni intorno agli autori medesimi. Fra
le altre cose merita d' essere osservata in
fine una lettera di Erasmo di Valvasone, dal
la quale si rileva aver egli esteso un lavoro
sopra la Georgica di Virgilio, il di cui ms.
si conserva nella libreria de' Nobili Sigg.
Conti Frangipani di Castello.
RINOLDI. ( Tommaso ) Capitolo per la nuova edizio
ne della Divina Commedia di Dante giusta il
Codice Bartoliniano in 8vo. Esemplari N. 100 .
SOSTERO . ( Angelus ) Aquæductibus Utini reparatis ,
1823 in 8vo. A spese dell' autore.
È un egloga in esametri e pentametri intitola
ta Nais.
VALVASONE DI MANIAGO . ( Jacopo ) Saggio Storico da
Raimondo a Pagano della Torre 1823 in 8vo.
A spese del Commendator Bartolini. Esem
plari N. 100.
Fu tratto questo Saggio dalla Storia de' Pa
triarchi d'Aquileja scritta dal Valvasone nel
sec. XVI. È preceduto da una graziosa ed
erudita lettera del Commendatore Bartolini,
ove è toccata particolarmente la dimora di
Dante nel Friuli , riferita dal Valvasone
nella vita di Pagano .
VIVIANI , La Bucolica di Virgilio tradotta in varj
metri, col testo a fronte , con illustrazioni
248
filologiche , istoriche , e botaniche. È arric
chita di un catalogo delle traduzioni ita
liane finora pubblicate, e d'una tavola di
varianti lezioni tratte da due preziosi co
dici in pergamena, l'uno della libreria Flo
rio, e l'altro della Guarneriana di S. Da
niele del Friuli 1824. Un vol. in 8vo. colla
·legatura vale . ‫در‬ 2:88
Idem in carta colorita , di cui ne furono
impressi soltanto 5 esemplari . 99 :
Detto , Tributo alla memoria Pio VII , 1823 in
Svo.. 29 -: 75
In carta sottoimperiale "9 1:25
Detto , Ode all'ombra di Canova , in 4to. gr. E
semplari N. 60 in carta reale.
ZORUTTI. ( Pietro ) Almanacco per l'anno 1824 , inti
tolato Il Strolic Furlan, in 32. A spese del
l'autore. Prezzo 99 I : 00
Contiene buon numero di composizioni poeti
che in varj metri, e tutte in dialetto friula
no. Il vigor delle immagini , la grazia del
lo stile, e i sali che vi sono sparsi per ogni
pagina, provano che questo dialetto non la
cede in vivacità e in espressione ad alcuno
dei 14 , di cui Dante si servi nell' esporre il
Sacro Poema.
Sotto il Torchio.

Saggio di Etimologie Toscane di Carlo Dati, trat


to dall' originale , che si conserva nella Li
breria Municipale di S. Daniele del Friuli,
Vi si aggiungono altri opuscoli inediti del
lo stesso autore. Testo di lingua.
Raccolta di lettere inedite di Autori celeberrimi
del Secolo XVIII , tratte dagli autografi.
Di questa copiosa edizione , e degl' importanti
oggetti contenuti nelle dette lettere , si darà
notizia particolare con apposito manifesto.
Lettere di Daniello Antonini da Udine a Galileo
Galilei , tratte dal ms. che si conserva nella
Libreria di S. Daniele. Saranno accompagna
te da una memoria sulla Vita civile e mili
tare dell' Antonini scritta dal Prof. Quirico
Viviani , che n'è l'editore.
ERRATA CORRIGE

Pag. 12. v. 68. v. 69.


Pag. 17. lin. 2. della libertà della libertà romana
Ibid. lin. 4. degli usurpatori degli usurpatori Triumviri
Ibid. lin. 13. d'animo libero d'animo libero.
e virtuoso
Pag. 85. not. 63. lin. 2. pa pancacciuoli
nacciuoli
Pag. 209. v. 82. al paro al pero
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