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Apollonio Rodio è considerato l’allievo prediletto di

Ha alle sue spalle una formazione nelle biblioteche e la cosa più interessante è che in realtà opera una
innovazione assoluta all’interno del genere etico che era quello che Callimaco rifiutava. Compie perciò una
trasformazione assoluta e tocca quel genere letterario definito intoccabile, che nessuno toccava perché era
considerato perfetto così com’era. Vale la pena studiare Apollonio Rodio intanto per la sua controversa
esperienza e amicizia con Callimaco, poi anche per il fatto che è assolutamente interessante e coinvolgente
vedere come Apollonio è riuscito effettivamente a innovare partendo da quella tradizione che risultava così
anacronista e scomoda a Callimaco.

A 30 anni fu nominato bibliotecario della biblioteca di Alessandria, da Tolomeo ebbe l’incarico


dell’educazione del figlio di (?). Dovette andare in esilio a Rodi per la scarsa considerazione che diedero i
cittadini alle argonautiche. lui è nato ad Alessandria e si trasferì a Rodio. A questo trasferimento non furono
estranee la rivalità con Eratostene è l’inimicizia con Callimaco. In seguito Apollonio fu ritenuto degno di
stare nella biblioteca, ma probabilmente è un errore del compilatore bizantino nell’interpretazione
dell’essere degno di stare in biblioteca. Intendeva non la sua presenza fisica, ma la presenza dei suoi testi.
Questa inimicizia con Callimaco nasce da una serie di fraintendimenti, intanto tutto parte da
un’espressione, un giambo, un frammento di Callimaco in cui questo parla di un fantomatico nemico che
definisce ibis, un uccello spregevole che si nutre solo di carogne, orrendo. Sembrerebbe perciò che questo
ibis fosse paragonato ad Apollonio (?). questo Apollonio è in questo modo criticatissimo, perché lo avrebbe
in un certo senso tradito. Apollonio rodio per lungo tempo viene considerato un autore non ellenistico,
nelle caratteristiche e nella poetica.

Le Argonautiche furono una sfida, ovvero modificare i canoni di un genere così già codificate. Prendono il
nome dalla nave argo su cui si imbarcò Giasone con i suoi compagni che vengono definiti argonauti. Questo
poema, contrariamente a cosa succede in tutti i poemi epici, è suddiviso in quattro libri , è perciò
estremamente coinciso, sono pochissimi, trattare il poema epico in quattro libri è una grande impresa. Di
questi 4 libri il terzo occupa interamente la figura di Medea, e questa sembra essere un’interessantissima
innovazione.

Nella Medea, così come era capitato nell’Ecale di Callimaco, viene oscurata la figura maschile di Giasone
che diviene una sorta di comparsa, assumendo nella parte centrale e più importante il ruolo della
protagonista assoluta. Medea diventa protagonista assoluta perché Apollonio rodio la analizza in tutte le
sue sfumature, in tutte l’alternarsi della sua personalità, del suo carattere e sentimenti. Quando Medea
incontra Giasone per la prima volta, ella è inesperta d’amore, di passione, anche se è una divinità che
instilla in lei questa passione infrenabile, ella ne è assolutamente terrorizzata, ella sente l’attrazione fisica
nei confronti di Giasone, e tutto questo le procura terrore e ansia. Ciò comporta una lotta continua contro
questa sua stessa passione, ella cerca di opporsi a questa sua passione, non vuole piegarsi all’amore, non sa
nemmeno cosa le succederà, fa di tutto per allontanare da sé questa passione, per salvarsi, non riuscendovi
poi l’attrazione diventa sempre più forte, e questa lotta diventa impari, Medea non vince. Medea,
abbandonata alla passione, diventa la dea esperta della passione, fino a diventare una maga spietata, che
utilizza tutti gli strumenti possibili e immaginabili per aiutare l’uomo di cui si è innamorata. Giasone è un
amekanos, incapace di agire, Medea è invece colei che attiva tutte le azioni, colei grazie a cui tutte le azioni
vengono innescate e portate a termine. Vediamo questa bellissima trasformazione, da inesperta, ad
esperta della passione fino a maga. Se Medea non avesse agito, l’impresa di Giasone non sarebbe potuta
andare a termine. Medea arriverà ad uccidere addirittura il suo stesso fratello, e a coinvolgere le figlie di
Peria ad uccidere il padre in un modo molto barbaro. Le convince che è in grado di ridare la gioventù a loro
padre se riuscissero a metterlo in una sostanza che darà al padre immortalità e giovinezza. Con un trucco fa
vedere un agnello che diventa agnellino. Il padre invece muore sofferente. Ciò ci mostra la crudeltà di
Medea, Medea viene analizzata in tutte le sue sfumature, anche in quelle più inquietanti e preoccupanti.
Giasone è un anti eroe, in realtà tutto è partito da lui, che doveva conquistare il vello d’oro, e ci riesce
grazie a Medea. Medea abbandona addirittura la sua patria, e vive un sogno d’amore che porterà grandi
conseguenze. Egli aveva sicuramente presente la Medea di Euripide, in cui avevamo visto un tentativo di
analisi psicologica, ma qui c’è un maggiore approfondimento, diventa una vera a propria analisi psicologica,
rientra in quei interessi tipici dell’ellenismo nei confronti dei moti dell’animo, della passione e di tutto ciò
che ad essa è connesso. Vi è infatti quella tendenza tipica dell’ellenismo ad analizzare i moti e i sentimenti
dell’uomo. Possiamo capire che questo rientra nelle caratteristiche dell’ellenismo. Apollonio dimostra lo
sperimentalismo, va infatti ad innovare un genere letterario codificato facendone qualcosa di nuovo e
assolutamente diverso, e rientra anche nella visione di innovazione e originalità, una tra le caratteristiche
principali della poetica di Callimaco, c’è anche la brevitas, 4 libri per un poema epico rappresentano
veramente il minimo sindacale. In confronto ai 24 libri dell’Odissea sono brevissimi. La brevitas è una
caratteristica ellenistica. Questa è un’opera perciò prevalentemente ellenistica.

Il viaggio degli argonauti è un viaggio che viene assolutamente trascritto e raccontato come un diario di
bordo, e viene rappresentato quasi come una carta geografica, tutte le tappe del viaggio vengono
attentamente proposte, tanto che si può delineare una sorta di mappa del viaggio stesso. C’è una grande
attenzione all’elemento descrittivo, e il desiderio dell’autore di dare motivazione dell’origine di un nome
(come un luogo) o la genealogia di una divinità. Tutto ciò rientra in quella poesia eziologica (che va a
ricercare l’aition, la ragione) che ha caratterizzato l’ellenismo. Vediamo il tempo del racconto e della
vicenda, che chiaramente non possono coincidere, e viene arricchito da un intreccio abbastanza lungo,
dove tutto non si può raccontare in tempo reale, essendo un intreccio si avvale di quelle tecniche narrative
come flashback, ellissi, riportando tutto in forma sintetica o attraverso altre soluzioni ciò che è avvenuto
prima e non può essere raccontato. In tutto ciò merita una particolare attenzione il ruolo ricoperto dalla
divinità. È un mondo in cui agiscono gli uomini, gli dei ci sono ma per esempio è Medea che compie le
decisioni, come quella di uccidere il fratello. È vero che intervengono gli dei, ma è anche vero che sono gli
uomini che compiono le azioni.

Apollonio è noto a tutti come il poeta di Medea, quasi equiparato ad Euripide. La grande novità è quella di
aver riservato uno spazio così ampio all’amore e soprattutto di avere osservato con occhi nuovi il
divampare di questa passione, inizialmente inesperta. Questo è l’aspetto che colpisce di più, il progresso,
l’evoluzione dell’amore di Medea. Medea vede Giasone circondato come da una luce particolare, gli appare
l’uomo più bello che abbia mai visto. È una ragazza che vede il suo primo amore, e vede un contrasto tra i
doveri imposti dall’aidos (il pudore, la vergogna) e la passione. Medea è la donna sedotta e abbandonata,
ricorda per esempio la Didone virgiliana, che quando vede Enea è colta da una passione irrefrenabile che la
porta a dimenticarsi di tutto il resto. Medea più volte, nel colloquio con Giasone, assomiglia ad Arianna,
dissociandosi dal suo destino, dirà a Giasone che neanche lei è uguale ad Arianna. Apollonio gioca col mito
consolidato, ipotizzando scenari inediti. Medea nel corso del poema è protagonista di un viaggio interiore, e
l’amore la porta a scoprire sé stessa. Ha tanto colpito anche nelle generazioni future, il fatto più
straordinario è appunto vedere questa giovanetta inesperta diventare una donna così spietata, che uccide
addirittura il fratello. Apollonio diventa il narratore di una vicenda interiore con una straordinaria novità,
adotta non più la famosa oggettività omerica ma il criterio della focalizzazione ristretta, ovvero il punto di
vista dei personaggi. Froid elabora il complesso di Medea, delle madri che poi uccidono i figli. di questi
quattro libri pensiamo al ruolo che ha Medea in questo poema, quella del quarto libro è la nuova Medea, se
confrontata a quella del terzo libro. Nel quarto libro commette infatti il suo primo delitto. Questa
descrizione di Medea sembrerebbe quasi la degna conclusione di quel processo di analisi del mondo
femminile iniziato da Euripide, si raggiunge la conclusione con la Medea di Apollonio Rodio. Sono versi di
una modernità assoluta e sono la testimonianza che l’Ellenismo rappresenta un’assoluta rivoluzione. La
medea del terzo e quarto libro sono contemporaneamente la stessa persona ma due persone molto
differenti. La bellezza di questi versi e dell’analisi del personaggio la si ravvisa nel momento in cui si realizza
che si sta parlando della stessa persona. Le figure divine sono secondo canoni della cultura ellenistica
quotidianizzate. Sono raffigurate come donne e uomini (ex. Apollo), sono egoiste, mediocri, vendicatisi,
dispettosi, il ruolo degli dei si rivela però importante. Manca però quel sentimento religioso tipico della
cultura precidente.

L’opera di Apollonio non si basa solo sull’etica ma anche sulla produzione teatrale precedente, molti episodi
a livello espressivo lo ricordano molto.

Il narratore è onnipresente e onnisciente, cambia la focalizzazione ma ha praticamente tutte le conoscenze


e gli elementi che il resto dei personaggi non hanno. L’opera di Apollonio è perciò innovativa, poliedrica,
enigmatica, ha un testo ben costruito nell’intreccio, in tutte le allusioni e in tutto ciò che si può leggere tra
le righe di questo poema appare un poema che va ben oltre le apparenze immediate. È un’opera come
tutte le opere ellenistiche, complessa, che richiede diverse conoscenze, per l’esigenza di continuare e
spiegare continuamente origine di nomi e situazioni di una tradizione ellenistica.

Per quanto riguarda lo stile si parla spesso di stile, ectrasisi(?), vi è un sapiente uso delle similitudini, poi vi è
anche la tecnica del scorcio, che sintetizza i tempi ed evita doppioni e ripetizioni inutili.

La lingua usata è quella dell’epos, la lingua omerica, vengono riproposti gli apax, però, pur riprendendo le
clausole omeriche, le famose espressioni formulari, ma le riprende con delle leggere varianti. Compaiono
spesso neologismi, parole rare, il lessico è talvolta ricercato, viene riutilizzata la lingua lirica e tragica ma
anche quella dell’ambito storiografico, il metro è quello omerico ma rafforzato dagli enjambement, creano
un verso che è si un esametro, ma allo stesso tempo un esametro del tutto nuovo.

08/01/2021

Nell’ellenismo è molto importante la poesia bucolica. Non nasce nell’ellenismo perché in realtà
nell’ellenismo trova una sua codificazione. L’attenzione alla natura c’è sempre stata, in tutti i generi letterari
della cultura greca, come anche nella tragedia (per esempio descrizione peste nell’edipo re o in Tucidide, o
la descrizione della grotta di calipso). Mai prima dell’Ellenismo la natura era assoluta ad un’importanza tale
da avere un genere letterario suo, indipendente. Bucolica viene da bucolos, che significa pastore. La poesia
bucolica dice chiaramente quale è non solo l’ambientazione ma anche l’argomento, i temi cari a questo
genere, la natura e la poesia che vanno di pari passo. L’ambientazione è sempre la campagna e i
protagonisti i pastori, che in realtà sono poeti travestiti da pastori, in quando fare pastori non è la loro
attività principale. Sono frequentissime le gare poetiche (che sono molto famose in lingua sarda, che
costituiscono un elemento importante anche della cultura e letteratura sarda. Sono quelle gare ex
temporanee che avvengono tutt’ora in Sardegna, che sono diverse da quelle che avvengono per esempio in
medio campidano, ma quello che le accomuna è l’improvvisazione, la capacità di improvvisare. Il padre
della poesia bucolica in Grecia è Teocrito, colui che codifica la poesia bucolica, facendola assurgere ad un
genere letterario proprio, unico e autonomo, gli dà dunque identità letteraria. Da questo momento vi sarà
un’attenzione costante al mondo della natura, come mai? In quanto l’ellenismo è il momento delicato per
l’uomo ellenico, tutta la ita dell’individuo subisce delle trasformazioni evidenti, nascono megalopodi, in cui
la vita non si svolge più seguendo il ritmo dell’uomo, ma secondo ritmi frenetici. La natura diventa una
sorta di angulus, un luogo privilegiato in cui poter riprendere e ristorare fisico e animo. È un luogo
appartato, in cui l’uomo può ritrovare il proprio equilibrio ritrovando il contatto con la natura. La vita era
diventata perciò troppo frenetica. Un’altra ragione è quella di avere la necessità di ideare e costruire, un
genere letterario nuovo che corrisponda ai criteri dell’originalità e dello sperimentalismo. Teocrito è
creatore fondamentalmente di idilli, da idilion, terminologia che non è ancora stata chiarita precisamente
ma l’etimologia più accrediti sarebbe quella di “piccolo bozzetto di vita quotidiana”, piccoli bozzetti grazie a
cui l’autore ci fornisce dei quadretti di vita bucolica, campestre.
Della vita di Teocrito si sa poco e nulla, le conoscenze erano già scarse dai biografi antichi, tanto che
dovettero servirsi delle opere del poeta per ricreare la vita dell’autore. Nel 28esimo Idillo egli ci informa di
essere nato a Siracusa. È un uomo che viaggia abbastanza, molto importante è Alessandria, soggiornò qui
tra il 274 e il 270, periodo in cui vi era un acceso dibattito che vedeva due schieramenti opposti, da uno i
tradizionalisti e dall’altra gli innovatori, tra cui Callimaco. Teocrito è un cittadino, questa poesia bucolica la
vedrà esattamente con gli occhi di un cittadino. Teocrito sarà l’ispiratore, il punto di riferimento di un altro
grande poeta, Virgilio, che nelle bucoliche prenderà spunto appunto da lui. L’ambientazione siciliana e della
magna Grecia caratterizzano l’opera di Teocrito, noi abbiamo un’attenzione alla descrizione della natura,
che è la natura dell’ambiente mediterraneo, che vede come protagonisti dei pastori, che sono dei poeti
travestiti da pastori. Nel suo Idillio più famoso, il settimo, l’autore sente l’esigenza di spiegare che colui che
sta parlando è pastore perché i suoi abiti ne confermano l’identità, di conseguenza descrive gli abiti del
pastore, in quanto si sente in dovere di descrivere una cosa non propria. Teocrito non scrive solo idilli di
carattere pastorale, ma è anche autore di componimenti che hanno come sfondo i cittadini e la città e
vengono definiti “Mimi urbani”. In Teocrito c’è la natura, il mondo pastorale, e c’è una natura che accoglie e
conforta le pene dei pastori, una natura che offre ristoro nei momenti in cui il sole batte violentemente e
c’è caldo, oppure quando ci si deve riposare da una fatica del lavoro, ma queste fatiche non vengono mai
descritte, noi non vedremo mai un pastore al lavoro, ma lo vedremo al riposo. Le pene sono pene d’amore,
facilmente superabili, che non devastano nell’animo dei protagonisti. Alla base di tutto ciò vi è la gara
poetica, intanto si può parlare di gara nel momento in cui vi sono due contendenti, uno proponente, che
propone il tema della gara, uno il rispondente, che risponde al tema proposto, cercando di essere sempre
attinente al tema proposto, poi un giudice di gara e il premio della gara stessa. Il canto o la gara possono
avvenire con due modalità principali, o il canto a botta e risposta (un dialogo serrato tra i due contendenti)
oppure ciascuno dei due recita il proprio canto. In Teocrito abbiamo due esempio, nelle Etalisie (7imo
idillio) vi è un canto che ciascuno dei due esegue singolarmente, nel quinto invece vi è il canto a botta e
risposto o canto amebeo (da amebeomai, rispondere). Il giudice decide in maniera insindacabile il vincitore,
vince chi riesce a mantenere le corrispondenze sia orizzontali che verticali. Il premio è o un semplice
bastone che rappresenta lo scettro e la padronanza del genere poetico, quasi al pari di una investitura vera
e propria, oppure il capro più bello del gregge, una capra, una pecora. Uno studioso, Gregorio Serrao, aveva
individuato delle similitudini molto interessanti tra gli idilli di Teocrito e gli idilli che avvenivano in Sardegna,
e scoprì che si svolgevano esattamente come li descriveva Teocrito, soprattutto quelle che rappresentano il
canto Amebeo, quello a botta a risposta, in sardo “Sa sterria e sa torrada” la sterria quello che propone il
tema, sa torrada è la risposta. È fondamentale la capacità di improvvisazione, il partecipante deve attenersi
al tema proposto. Non basta al rispondente attenersi al tema, ma deve trovare sempre la corrispondenza
esatta e una grande padronanza della lingua, con le varie corrispondenze. Nel quinto idillio uno dei due
perde perché mentre il primo ha proposto un amore eterosessuale, il secondo propone un amore
omosessuale. È interessante vederlo in lingua greca, perché le corrispondenze stanno anche nell’utilizzare
per esempio sempre nomi femminili. Gregorio Serrao, che era siciliano, non sardo, ha potuto osservare con
occhi più limpidi e con maggiore obbiettività cose che magari ai sardi, vedendola tutti i giorni, non sarebbe
dato sull’occhio. Gregorio ha girato i paesini della Sardegna e ha ascoltato questa gare poetiche ed è
arrivato alla conclusione che non ci fosse una grande differenza tra le gare sarde e le gare amebee.
L’attenzione alla natura in Teocrito risponde innanzitutto al desiderio di portare una poetica del vero, non vi
è un ambiente più vero e semplice di quello pastorale, risponde anche al criterio dell’originalità. A buon
diritto Teocrito può essere perciò definito il padre della poesia bucolica. In Teocrito vi è la consapevolezza
di fare una poetica di cui è convinto e attribuisce tantissima importanza. La semplicità è assolutamente
apparente, perché poi vedremo la complessità e la raffinatezza di Teocrito, non solo per i temi trattati, ma
anche per le scelte linguistiche, metriche, che non si discostano dalle scelte di Callimaco e di Apollonio
Rodio. La stessa raffinatezza di questi due autori la troviamo anche in Teocrito. Quello che colpisce è la
capacità di Teocrito di mettere tutte le sue esperienze in questi componimenti. Egli scrive idilli, epigrammi,
carmi, che influenzeranno la poetica successiva, in particolare Virgilio. Intanto c’è un registro letterario
raffinatissimo, animato in gran parte da figure e vicende di origine mitologica, con riferimenti geografici di
aria greca, l’ambientazione della campagna siciliana, e un patrimonio culturale di assoluto interesse, quello
agro pascolare siciliano che ci dà proprio l’idea di tutto il lavoro fatto da Teocrito. Diciamo che l’ispirazione
la trova negli strumenti musicali a fiato dei pastori. I ritmi e i suoni sono quelli del mondo agro pastorale. È
una ricostruzione molto raffinata, perché ricordiamo che sono poeti travestiti da pastori.

Il settimo idillio è uno dei più importanti, in quanto si riscontra una forma di investitura poetica. È quello in
cui si ravvisano le tipiche caratteristiche degli idilli teocritei, per caratteristiche e ambientazioni. L’idillio è
conosciuto come settimo idillio o “Le etalisie”, perché si riferisce a delle feste che vengono chiamate Etalisie
che si celebravano in onore della Dea Demetra, l’ambientazione è quella tipica della poesia bucolica. È
mezzogiorno, i due protagonisti, sfiniti dal caldo, decidono di riposarsi dal viaggio. “non eravamo ancora a
metà strada e incontrammo un viandante. Un capraio, una pelle rossiccia da caprone, una vecchia veste
con una cintura, sorridendo”. notiamo l’attenzione nel descrivere gli abiti del capraio “nessuno poteva
avere dubbi che fosse un capraio”, perché indossava una vecchia veste e abiti tipici dell’abbigliamento
consueto dei pastori. Teocrito sente perciò l’esigenza di chiarire di descrivere l’abbigliamento, pe che fosse
un vero pastore, perché l’ambiente pastorale di cui parla non è quello che gli è più consoni e più familiare,
ma guarda al mondo dei pastori con l’occhio di un cittadino, quindi nel momento in cui parla di natura egli
non può non guardarla con quell’atteggiamento che è tipico di chi è vissuto nella città e quindi non sente
sue quelle caratteristiche del mondo bucolico e ha la necessità di ricorrere ad una didascalia. Licida e
Semichida sono i protagonisti di questo idillio. Dopo la descrizione del pastore continua, si capisce che si è
in mattinata inoltrata, che il sole di mezzogiorno batte con violenza, in cui le pietre sono spaccate dal sole, e
neanche la lucertola non osa neanche comparire fuori dalle pietre per il caldo. Successivamente inizia la
gara, abbiamo l’ambientazione climatica, un momento di pausa, e cosa si fa tra pastori in un momento di
pausa? Una gara poetica. Semichida e Licida si incontrano, e dopo aver riconosciuto il valore e la grandezza
di Semichida, Licida non dimentica di dire che anche lui è comunque un ottimo cantore. Dalle parole si
emerge la poetica della verità, tutti hanno la necessità di presentarsi come poeti che esprimono la poetica
del vero (caratteristica ellenistica), e vi è anche la distanza di prendere le distanze dalla poetica precedente.
“Ti dono il bastone”, il capraio dà a Licida il bastone, vi è dunque una vera investiture (il capraio è il giudice).
Il pastore è amico delle muse (come in Esiodo, quando le muse dissero al personaggio che lui è poeta della
verità, e gli danno l’investitura, dicendo anche di cantare loro all’inizio e alla fine del canto), il poeta del
vero. C’è il prendere la distanza dalla poesia epica e dagli imitatori spesso non all’altezza della poesia epica.
Teocrito prede le distanze da tutto l’ambiente che va raccontando, questo lo fa non perché detesti
l’ambiente agro pascolare, ma perché non può avere nei confronti del genere pastorale un coinvolgimento
più intenso, lui è figlio della città, questo ambiente lo può guardare solo con questo distacco, non gli è
familiare. La differenza con le bucoliche di Virgilio è che in Virgilio sono presenti anche altri temi, come
quello politico. Inoltre Virgilio rappresenta i pastori in modo assolutamente differente, in quanto cerca di
rappresentare anche il momento di sofferenza e di difficoltà.

Teocrito e Virgilio raccontato entrambi il mondo pastorale, Virgilio è in un certo senso il continuo della
poesia bucolica, quando riprende questo genere letterario si rifà invece a lui, è un passo fondamentale.
“Bucoliche”, già dal titolo capiamo che si rifà al genere pastorale, e non può assolutamente ignorare
l’opera. Possiamo capire quanto sia stata fondamentale e importante Teocrito per la poesia bucolica. Vi è
però una differenza. Virgilio viene proprio dall’ambiente pastorale, Teocrito invece dal mondo della città,
Alessandria Rodi Siracusa. I luoghi in cui si è formato sono quelli cittadini, e non può non guardare al mondo
pastorale con l’occhio di un cittadino, è meno addentro alle problematiche e alla vita dei pastori. Noi
abbiamo in Teocrito una rappresentazione della natura molto dettagliata precisa realistica, riconosciamo
infatti tutta l’ambientazione e gli sfondi della natura della magna grecia, mentre per quanto riguarda i
pastori c’è meno realismo, in quanto sono poeti travestiti da pastori, sono certamente più raffinati, dediti al
canto, non vengono rappresentati nei loro problemi o sofferenze ma bensì nei momenti di pausa. Le pene
rappresentate sono pene d’amore alleviate da un canto, non di sofferenza, manca la sofferenza del lavoro
tipica di Virgilio.

Titiro e Menibeo, i protagonisti in Virgilio, dialogando tra loro, esprimono un elemento che potrebbe essere
estraneo al mondo bucolico, l’elemento politico. Titito vive felice nei campi, Meribeo subisce invece la
confisca dei terreni, costretto ad andare via. Virgilio rappresenta infatti due condizioni opposte. Nell’incipit
della bucolica infatti Meribeo dice: “O Titiro, tu che stai disteso all’ombra di un ampio faggio”, questo
dovere del riposo è l’immagine della condizione diversa dei due. Meribeo è costretto ad andare via, Titito
può rimanere nella campagna per godersi i momenti di riposo. L’esito è totalmente differente.

L’ambientazione dei due poeti è però diversa, lo vediamo nell’11esimo idillo, in quello di Polifemo. Teocrito
parla anche di Polifemo, molto diverso da quello dell’Odissea, uguale solamente di aspetto fisico, brutto,
con un occhio solo. Nell’odissea non genera niente di costruttivo, è espressione di forza bruta, immane,
feroce, bestiale, su cui ha la meglio l’intelligenza e l’astuzia di Odisseo. In Teocrito vi è invece un Polifemo
totalmente differente. Tecorite invia a Nicia un’epistola in cui dice che l’unica soluzione alla sofferenza
d’amore è la poesia, e in questa lettera parla dell’amore di Polifemo nei confronti della ninfa Galatea. È un
Polifemo giovane, quasi imberbe, pochissima barba, rappresentato sin dall’incipit come un Polifemo
innamorato. È una passione da folle, che genera sofferenza, diventa una passione incontenibile, in quanto
impedisce a chi la prova di portare a termine i doveri, come quello di curare le pecore. Vi è un Polifemo
innamorato della ninfa Galatea, che non corrisponde il suo amore, e canta “Io lo so perché fuggi bella
bambina, perché ho un unico occhio, un solo sopracciglio, non sono bello, ma sappi che se acconsentirai al
nostro amore non ti mancheranno mai formaggio, latte, caprette, e potremmo godere di questa natura che
ci circonda”. Quando Polifemo si dichiara, parte da ciò che ha sempre sotto gli occhi “tu più bianca del latte,
più altera di una vitella, più lucente dell’uva, tenera come un agnello, dolce mela”, fa una dichiarazione che
potrebbe sembrare ridicola ma in realtà non lo è perché prende come bianco il più bianco quello del latte, il
simbolo dell’alterigia era la vitella. La carnagione liscia la paragona al velluto della buccia delle pesche,
lucente come l’uva. Tutte queste similitudini costituiscono il mondo di Polifemo, per mettere in risalto le
qualità di Galatea fa riferimento al suo mondo. Fa anche un po’ di tenerezza, si descrive nella sua bruttezza,
è molto critico verso sé stesso, è consapevole di essere brutto. Ciò non è molto diverso da una poesia di
Umberto Saba, che scrisse la poesia “A Mia moglie”, che doveva essere una sorta di dichiarazione d’amore,
ma la moglie non apprezzò minimamente tanto che il poeta fu costretto a giustificarsi e scusarmi, perché
paragonandola ad animali lui voleva mettere in evidenza le qualità della moglie. Lui la paragona a tanti
animali, ad una pollastra, ad una lunga e magra cagna, ad un coniglio. Lo stesso Umberto Saba fu costretto
a dare una spiegazione ad ogni sua poesia, e per questa poesia fece una solta di excusatio per la moglie, che
dice si fosse offesa particolarmente. La donna infatti si è fermata al paragone con l’animale, invece avrebbe
dovuto intendere la qualità che l’animale aveva paragonata a lei stessa. Alla fine questo Polifemo che
piange per amore, mica si ammazza o si dispera, dice chi se ne importa, ho intorno a me tutto questo, la
natura, questa è la medicina migliore per tutte le pene, compresa quelle d’amore. Se non lo vuole lei, ci
sarà qualcun’altra che gradirà tutti i beni che produce. Prima di concludere Polifemo fa un invito a Galatea,
perché non provi a trascorrere una notte nella mia grotte, per provare cosa si prova, c’è la vite, c’è l’acqua
fresca. Le descrive le meraviglie della sua grotta, è una soluzione a stare tra le onde del mare. È un invito
esplicitamente di carattere sessuale. Non vi è nulla del Polifemo che conosciamo noi, se non pensassimo
che fosse un ciclope, potremmo pensare che si tratti di un pastore. Ad un certo punto egli dirà che la poesia
è quello che lo salva, dice che senz’altro troverà un’altra Galatea, tutta la disperazione è passata. Dice di
avere attorno tante altre ragazze, “tutte gridolini”, quindi chi se ne importa. Perciò, con la poesia e le
ragazze gridolini può anche lasciar perdere. Teocrito immagina di parlare della malattia d’amore in una
lettera indirizzata al suo medico Nicia, e per parlare delle sue pene d’amore parla delle pene di Polifemo.
Vediamo come parlando dall’incipit non vi è da parte di Teocrito alcuna sofferenza, anzi vi sono delle
ingenuità.
15/01

Tecorito è perciò un autore assolutamente ellenistico, a partire dall’originalità di codificare un nuovo


genere letterario. Anche lui come tutti gli autori ellenistici strizza gli occhi alla traduzione e in particolare
alla lingua omerica. È autore anche di non solo componimenti di ambientazione pastorale ma anche di
quelli che dalla critica vengono definiti “Mimi urbani”, è infatti in grado di rappresentare efficacemente la
realtà cittadini. Il primo è sicuramente “Le siracusane”, ambientazione cittadina che descrive due donne
che si recano ad Alessandria per assistere alla festa del dio Adone nel palazzo reale di Tolomeo, e si parla di
vita quotidiana. Le due donne sono rappresentate nel momento in cui si preparano per assistere alla festa.
Ciò è molto interessante e moderno, le due donne sono amiche e vengono rappresentate come si
comporterebbero due amiche che si preparano prima di uscire, come andare in discoteca. Sono due donne
sposate chiamate Gorgò e Prassinoa. Una delle due amiche, Gorgò, raggiunge la casa dell’altra e iniziano a
lamentarsi dei propri mariti, elencandone i difetti e le cose fastidiose. Nella casa vi è anche il figlio della
donna, Zopilione. Vediamo come questa introduzione ci immette nella poesia quotidiana delle piccole cose.
La prima inizia a lamentarsi del traffico (come se fosse ai tempi d’oggi, tutte cose molto realistiche e
quotidiane, situazione che si possono verificare anche ai tempi d’oggi), poi si lamenta dei mariti, uno è
invidioso e ha scelto la casa il più lontano dall’amica in modo che si incontrassero meno spesso, l’altro ha
comprato una quantità spropositata di sale perché sicuramente era scontato (è una realtà maschile e
femminile, il senso pratico delle donne opposto al modo di fare tipicamente maschile caratterizzato dalla
totale assenza di senso pratico), l’altro ha comprato pelli di cane, che avrebbe dovuto tenere occupata la
donna. Una delle due dice di non parlare del marito perché è presente il bambino. Oltre alla naturalezza del
dialogo è da sottolineare anche la libertà con cui queste donne parlano, che non è assolutamente tipica
della cultura classica. La libertà di espressione e comportamento è anche emancipazione. Si parla così
liberamente del fatto che il marito di Prassinoa voleva tenerla lontana dall’amica. Davanti alla schiava
Eunoa e il bambino innocente sentono tutto ciò che pensano le donne, le quali non si pongono
assolutamente problemi a parlarne così liberamente. Si ha l’immagine di una città frequentatissima, in
fermento, “a stento sono qui salva, ovunque calzari, uomini in uniforme”, Alessandria è in fermento per
l’evento eccezionale quale è la festa al palazzo reale. Le donne sono costrette a rimanere lontane e a subire
l’inefficienza e le scelte sbagliate dei mariti. L’idillo prosegue nella strada, all’esterno. Prima di uscire c’è
Prassinoa che si rivolge al figlio e gli dice che non lo porta, e di stare attento al cane, di riportarlo dentro. È
una situazione molto attuale, come se ai tempi d’oggi ce lo dicesse la nostra madre. Poi avviene l’incontro
con un uomo, che vede le due donne disperate che rischiano di essere travolte dalla folla (“si spingono
come porci”), e vogliono andare a prendere il posto per potere vedere tutto l’evento. L’uomo le aiuta ad
entrare al palazzo, la rappresentazione diventa sempre più vivace, qualcuno strappa lo scialle a Prassinoa.
Arrivano al palazzo, Prassinoa ringrazia l’uomo, gli augura il meglio, e osservano con stupore la ricchezza,
l’abbondanza del palazzo reale rappresentato da questa descrizione degli arazi che decorano il palazzo. Si
introduce poi un altro uomo, che le dice di smetterla di parlare così vivacemente e così tanto. Sembra così
un litigio di quando si fa la fila. Il componimento si divide in tre scene. La prima nella casa, la seconda nella
strada, la terza nel palazzo. È uno dei componimenti più vivaci. Il narratore si mette in ombra, e parte dal
punto di vista delle protagoniste. Gorgò è più tranquilla di Prassinoa, la invita a calmarsi nelle varie
situazioni, come quando litiga nel palazzo. Si dice che abbia preso spunto da un’opera chiamata Sofrone (?).
Il linguaggio diventa alto nella seconda parte, vi è pure il canto di una cantante, nel palazzo, mentre
all’inizio è un linguaggio più colloquiale. È una modernità evidente, è un esempio evidente dello
sperimentalismo e della capacità di sapere gestire diversi generi letterari, da quello bucolico al mimo. La
capacità di sapere gestire i diversi registri linguistici, la capacità di essere padrone della lingua in tutti i suoi
aspetti. Ci vuole anche una grande capacità per sapere inserire registri più modesti e più vicini alla lingua
elevata ma anche registri più codificati ed elevati. La realtà urbana va di pari passo con la realtà bucolica.

L’interesse per altri aspetti in Teocrito è chiaro anche in un altro idillio chiamato “Le incantatrici” dove si
parla di un rito magico. Nell’ellenismo si credeva molto nella magia e nei suoi effetti, così come si credeva
all’influsso degli astri, quelli che potremmo definire oroscopi. Questo idillio è il secondo, in greco
farmacheuti, farmacon ha un doppio significato, rimedio oppure pozione velenosa o magica. Nel cuore della
notte, Simeta, assistita dalla schiava Testidi, è impegnata nell’esecuzione di un incantesimo. Tradita da
Dafni, sparito dopo un primo momento di passione travolgente, Simeta compie il sortilegio, da una parte lo
vorrebbe vedere morto, dall’altra lo vorrebbe assolutamente riavere. C’è anche questo atteggiamento un
po’ contraddittorio. è tutto un monologo della protagonista, che scrive il re che sta compiendo, e poi
volgendosi alla luna, che viene quasi personificata, la sceglie come complice dei suoi momenti più intensi
della sua storia d’amore, dal primo incontro fino all’infelicità attuale. La notte con la sua serenità è però una
cornice che rende ancora più inquietante queste pratica. Il componimento è ricco di formule. La donna si
trova proprio in confidenza con la luna, le racconta dunque tutti gli antefatti. Tutto ciò è modernissimo,
Simeta è presa da una passione travolgente e ordina alla serva di convocare Dafni a casa sua, la manda a
chiamarlo. Sottolineiamo la modernità della protagonista, decide lei i momenti e gesti da compiere, fa il
primo passo, anche quando vuole l’incontro fisico con lui, a letto gli prende la mano e lo guida in ciò che lei
si aspetta. La scena della seduzione è decritta minuziosamente. L’emozione di stare con Dafni la paralizza,
entrambi raggiunsero il piacere, sussurravano per non fare lunghi discorsi. C’è anche una modernità nella
modernità, intanto il fatto che la donna pari esplicitamente di cose che fanno parte della sfera della
sessualità, e ne parla come ne parlasse un uomo, e cambia anche la concezione della sfera sessuale, la
donna non è più una figura passiva, ma dice che raggiunsero entrambi il proprio piacere. Parlare di piacere
da parte di una donna non è usuale, né prima né adesso. Ancora oggi una donna ritiene che certi aspetti
dell’amore fisico debbano essere taciuti, ancora adesso si tende a credere che certe allusioni e riferimenti
agli atti sessuali non si addicano ad una donna, lei invece ne parla tranquillamente. C’è un atteggiamento di
parità, dove l’atto sessuale non ha importanza soltanto per l’uomo, ma anche per la donna. Come se si
fosse scoperto un altro modo per guardare il corpo dell’uomo e della donna, che non è capace solamente di
dare piacere ma anche di provarlo.

22/01

Medea

Siamo in un prologo in cui i protagonisti immettono il lettore in medias res. Vediamo come vi sia la presenza
sia della vecchia nutrice, sia di Medea che in qualche modo spiegano che cosa è successo partendo dagli
antefatti. La nutrice è un ruolo fondamentale, sono figure umilissime che i tragici precedenti non hanno mai
particolarmente considerato, alle quali non hanno dato particolare attenzione. Euripide invece dà alla
nutrice le affermazioni di maggiore impatto e importanza, quelle in cui è nascosta l’etica e la saggezza
greca. Nelle parole della nutrice vi è una sorta di consapevolezza della persona. Medea detesta i figli, ma
perché? Vi sono delle spie di ciò che avverrà un seguito, vi è una preparazione di quella scena tragica che
non verrà mai vista dagli spettatoti ma si udirà dagli spalti il grido dei bambini che vengono uccisi. È forse la
scena più forte, di maggior impatto, quella che non si vede, perché è preparata accuratamente attraverso
scene preparatorie. Vi è il riferimento alla follia (“violenta è la sua indole e non so sopporta di essere
maltrattata”). Ritorna poi nei versi successivi il riferimento anche all’ambito giuridico, che ci prepara a ciò
che è la violazione di un orkos, di un giuramento, di quei vincoli matrimoniali che non si sarebbero dovuti
violare e che nell’immaginario di Medea costituiscono la motivazione principale per uccidere i figli, come
vendetta per Giasone. Si farà anche riferimento al letto, che ritorna con una certa frequenza. Siamo intorno
ai versi 36. La follia è una costante di questa tragedia, Medea è l’exemplum più evidente della follia
d’amore, che è nociva e distrugge. Odia i figli e non prova gioia nel vederli. La nutrice e il pedagogo sono le
persone più vicine a Giasone e Medea. Il pedagogo riferisce le sventure future che colpiranno future,
ovvero verrà cacciata dalle terre di Corinto con i figli e andranno via, c’è l’intenzione di bandire Medea e i
figli. Questi sono tutti gli elementi su cui si baserà la voglia di vendetta di Medea, la quale chiede giustizia.
Questo desiderio è provocato dalla anitia che Medea subisce. Medea capirà presto cosa significa
abbandonare la terra dei padri. Questa condizione di esule è la prima. Lei non sopporta di essere
maltrattata, c’è un chiaro rimando al fatto che Medea è una donna orientale, non greca, ciò che per le
greche era la normalità non lo è per Medea. Questa reazione di Medea è persino una sorta di ribellione,
quindi Medea si ribella, reagisce, e in secondo luogo la sua ribellione è cercare giustizia. Il concetto di
giustizia non è tipico delle donne greche, né di quelle di Corinto, non è di nessuna delle donne greche. Tutto
il discorso che poi fa in seguito è chiarissimo, quando lei parlerà alle donne di Corinto, rappresentando in
modo molto chiaro la condizione delle donne, in realtà si sta rivolgendo a donne che normalmente
subiscono tutto questo. Giasone ha un carattere egoista, che non si rende conto del danno, dell’offesa che
sta facendo a Medea. Vi è un’osservazione brutale, la nutrice si lamenta del comportamento del padrone e
il pedagogo dice “lo scopri adesso?”. C’è un pessimismo di fondo, Euripide descrive la pochezza dell’esser
umano, la capacità di amare sé stesso più di ogni altra persona. si parla del letto, in cui vi è il diritto violato
di Medea, che si sente colpita sia come moglie sia come donna. Il letto è fondamentale, è la sessualità, la
sensualità. I diritti sessuali sono a pari livello dei diritti dei cittadini. Sarà la stessa Medea dirci, mentre
parlerà con le donne di Corinto, a dire che la donna non è fragile, la donna tradita diventa l’essere più
terribile al mondo, come una belva ferita, capace di tutto.

Confronto con la Medea di Apollonio Rodio. In Euripide c’è un riferimento allo stato d’animo di Medea, ma
tutto ciò è preannunciato prima ancora che dalle parole di Medea, ovvero nelle parole del pedagogo e della
nutrice. Si capisce dalle loro parole che è una donna instabile, in quando ferita nel suo amor proprio di
donna e nei suoi diritti. Più avanti la nutrice dirà ai figli “andate a casa, non avvicinatevi a vostra madre”. La
nutrice è molto chiara, rende l’idea di una donna disperata, capace di far del male anche agli amici, ai
familiari (filos non significa solo amici in questo caso, ma anche ai familiari). La nutrice raccomanda di
tenere lontani i figli, la conosce molto bene, e allontana da Medea questi poveri bambini che saranno in
mezzo e soprattutto le persone su cui si abbatterà l’ira di Medea. “non avvicinarli alla madre”, pensiamo
come poteva recepire il pubblico queste parole. La donna è certamente in una condizione di assoluta
inferiorità rispetto all’uomo, ma nessuna donna ateniese avrebbe mai potuto pensare di poter far del male
ai figli. invece abbiamo una nutrice che dice attenzione, perché potrebbe far del male anche agli amici e
familiari. Dice ai bambini di andare a casa il più velocemente possibile. Questo è l’unico avvertimento che
gli dà la nutrice. Sono parole che ci colpiscono anche ai nostri giorni. Questa è la prova della mancanza di
equilibrio da parte di Medea, che prova una passione negativa, guardava i bambini con occhi foschi di toro.
Non è uno sguardo amorevole. Sappiamo già da questi comportamenti cosa accadrà alla fine della tragedia.
Medea maledice i figli perché sono coloro che li lega a Giasone, lei li uccide per chiudere definitivamente i
ponti con Giasone. Questo dolore, che lei non può sorpassare, va eliminato al pari dell’offesa. La nutrice
dice: “ahimè, cosa c’entrano i bambini con le colpe del padre”, la nutrice ha paura che Medea compia dei
mali nei confronti dei figli, non pensa che sia giusto. Gli eccessi di Medea non porteranno ad alcun
vantaggio, e viene condannato pure dalla nutrice, la quale non può più seguirla su questa strada, le è
impossibile, è troppo, è eccesso. Medea commette un delitto terribile ma non subisce nessuna punizione,
gli dei la lasciano e le permettono di innalzarsi sul carro del sole, come se non fosse niente, la Medea che
troviamo alla fine si innalza su tutti. Ha ucciso Creonte, il quale nel tentativo di aiutare Glaece viene
bruciato, uccide i bambini. I doni nuziali si trasformano in doni mortali, ha distrutto la propria casa e la
propria famiglia, ha distrutto Giasone, che viene privato non solo della prole ma anche della possibilità di
unirsi in matrimonio con un’altra donna per generare altri figli. Gli dei non puniscono Medea ma bensì
Giasone. Medea ha una discendenza divina, è parente col dio sole e con la dea Selene, e agisce come una
dea, si arroga prepotentemente con forza il diritto di essere potente quanto una divinità. Medeia può
significare sorriso oppure da medeiomai che significa impazzire.

29/01/2021

La Medea si presta molto all’individuazione di alcuni valori e tematiche attualissime anche ai giorni d’oggi.
Uno degli aspetti fondamentali è sicuramente la figura di Medea, ma è importantissimo anche l’aspetto
della Medea straniera, che non è un aspetto fondamentale solo nella nostra civiltà, ma anche in quella
greca. Nel discorso di Medea alle donne di Corinto, all’inizio fa riferimento al suo essere straniera: “un
forestiero poi deve adattarsi a tutto negli usi della città”. I greci avevano presente moltissimo il senso di
appartenenza e provenienza alla loro civiltà. Perciò Medea, essendo straniera e anche maga, non doveva
essere vista con molta fiducia, vi è infatti un episodio dove vi è un confronto tra Medea e Creonte, dove
Creonte dice che ha paura di lei, e che non vuole che ella combini qualcosa contro la figlia, dal momento
che si è sposata con Giasone, l’ex marito di lei. Creonte vuole perciò mettersi al riparo, e guarderà con occhi
di odio Medea. Il discorso di Medea è un discorso in cui la sua diversità è il fianco scoperto di Medea, ella
parla di ignoranti, ci dice che il sapere più degli altri determina invidia. Vi è poi una sorta di supplica, ella
teme di rimanere sola, è straniera e lo sarà totalmente, lei non potrà tornare in patria dal padre, dopo aver
ucciso il fratello, lei ha tradito la sua terra. Medea non ha via d’uscita, non può tornare indietro. Supplica
Creonte e gli chiede di permetterle di abitare in quel luogo, l’unico possibile per lei e per i figli, non
potrebbe andare da nessun’altra parte. La condizione dello straniero è terribile, Medea nel contempo non è
più un orientale, perché ha abbandonato la patria, ma non è neanche greca. Creonte ha paura di lei, perché
è una maga. La fama di Medea la precede, più che fama possiamo parlare di nomea. Ella attraverso la sua
magia ha permesso a Giasone di conquistare il bello d’oro. Ora emerge solo l’essere straniera e l’essere
maga. Questa era la mentalità in Grecia e nell’Atene, le differenze venivano tollerate poco, lei era diversa
sia perché straniera sia perché maga. L’ospitalità è un elemento che caratterizza la Grecia, la supplica ha a
che fare con l’ospitalità, ma qui stiamo parlando di una cosa differente, non parliamo di un ospite
transitorio, che arriva, lascia i doni e poi va via, ma è un’inclusione molto più profonda, che prevede che
Medea diventi a tutti gli effetti cittadina di Corinto, e lo è fino a quel momento. Quando la donna fa il
discorso alle donne, parla con donne che si fanno comprare dal marito, versando una dote, sono votate ad
avere un unico sposo per tutta la vita, non conoscono l’indole del proprio marito finché non lo conoscono, e
non possono divorziare. Le donne di Corinto, pur essendo sottomesse, riescono a condividere la denuncia di
Medea, sanno che ciò che dice è vero, ma sanno che quando una donna viene toccata nei suoi diritti di letto
diventa l’essere più cattivo. Creonte ha perciò paura del diverso, della maga, della straniera. Quando dice
ho paura, intendeva che tutti i cittadini maschi pensavano la stessa cosa. Euripide rivela l’universo
femminile e una realtà che gli uomini purtroppo non conoscono. Gli stessi mariti non conoscevano le
proprie mogli. Medea diventa un incubo da cui bisogna proteggersi. I maschi si chiedevano se le loro donne
potessero agire come ha fatto Medea, sono così sicuro di conoscere mia moglie, di conoscere la sua
personalità tanto da fidarmi ciecamente di lei? Nessuno poteva dirlo. Questa diventa una denuncia sociale
in cui si affrontano le contraddizioni più evidenti della società democratica ateniese. I greci sentivano un
senso di differenza nei confronti delle altre civiltà. Il termine barbaro ha un significato negativo. Medea dice
a Creonte di non avere paura, lei ha paura di perdere la possibilità di rimanere a Corinto. Creonte dice che
ha paura che dentro di lei possa progettare qualcosa, non si fida di le, ora anche meno. Medea trama
dentro di sé e nel suo animo una vendetta. Lei dirà che farà 3 uccisioni, i due figli e anche il marito, non lo
uccide realmente, ma lo farà diventare un cadavere, gli toglierà i figli, lo demolirà psicologicamente. Non
tutti i sovrani saranno disposti ad accogliere questa maga assassina. È temuta come maga, dunque si
comporta da maga. Lei è forte e potente, ha qualità come la magia che la rendono molto più simile alle
divinità. Ella decide dunque di comportarsi come divinità, colpendo quelli che ritiene ostili. Vediamo come
Medea percepisca questo come un atto di profonda ingiustizia, e a questa violazione del codice di
convivenza, lei risponde con la sua magia. Non è più una donna, ma è un eroe che combatte, che si vendica.
La sua vendetta sarà terribile, come solo una vendetta di donna può essere.

19/02 sta rispiegando Teocrito

Teocrito è considerato l'inventore della poesia bucolica, anche se un interesse per la poesia bucolica c'era
anche prima. Inventor nel senso che Teocrito ha il merito è la responsabilità di aver codificato il codice
bucolico astraendolo da un contesto più generale e rendendolo un genere letterario assestante ed
autonomo. L'attenzione alla natura c'é sempre stato nella letteratura greca, ricordiamo la descrizione della
peste in Tucidide, o ancora prima della grotta di Calipso nell'Odissea, che viene descritta con dovizia di
particolari e la descrizione minuziosa di tutte le piante che sono dentro e intorno alla grotta. La peste di
Tebe nell'Edipo Re anche, il monto della natura è sempre stato presente, cambia però il fatto che
finalmente Teocrito lo rende un genere letterario autonomo e si creerà un genere bucolico, una poesia
bucolica. Viene da bukolos, pastore, che la dice lunga sui contenuti e i temi di questa poesia, i protagonisti
sono i pastori. Le ambientazioni solo quelle del mondo agro pastorale, anche le ore, le situazioni e le
stagioni costituiscono un topos letterario. Gli incontri per esempio avvengono a mezzogiorno e d'estate, nei
momenti di pausa dalle fatiche del lavoro, oppure un momento in cui ci si consola delle pene d'amore. Le
uniche afflizioni e pene che questi pastori provano sono quelle d'amore, ma che non destano molta
preoccupazione, perché basta un canto per attenuarle o per dimenticarle. Noi abbiamo queste situazioni in
cui abbiamo questi pastori che non sono altro che poeti travestiti da pastori. Teocrito guarda a questi
personaggi con gli occhi di un cittadino, ce lo dice nel settimo idillio, le Etalisie, in cui Teocrito si sente in
diritto di spiegare perché quello che compare, la persona che si sta incontrando, è un capraio, dice che era
un capraio perché indossava una pelle e aveva un recipiente tipo collana tipico dei pastori. Lo descrive
come un pastore è un capraio a partire dall'abbigliamento. Quando si sente l'esigenza di spiegare attraverso
l'abbigliamento cosa fa e chi è questa persona é perché sente la necessità di descrivere qualcosa di diverso,
diverso da se. Teocrito non può fare altro che guardare i pastori in questo modo, egli infatti é di Siracusa,
una città, il mondo pastorale gli é estraneo, gli si avvicina solo per il rapporto con la natura, le descrizioni
della natura sono infatti tra le più belle e precise, dettagliate. Teocrito si prende una certa libertà nel
descrivere i pastori stessi. I pastori, essendo poeti, cantano, eseguono i loro canti molto tranquillamente
nelle più svariate ore del giorno, prevalentemente nella stagione estiva, e li svolgono per recuperare forze e
alleviare una fatica che però noi non vediamo, non ci è dato da vedere. In Virgilio invece l'autore inserisce il
tema della politica in un ambito che in cui era assente. Nella prima bucolica dice che ovunque c'é
disperazione, perché la guerra arriva a coinvolgere anche la vita dei campi. In Teocrito non troviamo nulla di
tutto ciò, come se non gli riguardasse. Sembra essere uno spettatore. Il distacco é evidentissimo nella
descrizione di Polifemo, che non é quello cannibale è terrificante che conosciamo noi, ma fa una
dichiarazione d'amore alla ninfa galatea. C'é la poetica del vero, tutti gli autori ellenistici si definiscono
autori del vero, a partire da Callimaco, pure nelle Etalisie si dice:"ti dono il bastone perché sei il poeta della
verità". Si riprende anche la poetica del vero di Callimaco, rivolta ad un gruppo di poeti dotti e colti, è una
poetica del vero del quotidiano ma allo stesso tempo raffinatissima, c'è il labor lime, c'è lo sperimentalismo.
Teocrito scrive anche mimi urbani, non solo poemi pastorali. 

Le incantatrici, idillio numero 2. 

Abbiamo una serva è una padrona, la padrona è Simeta, la serva è Tesilde. La padrona vuole realizzare un
filtro d'amore perché aveva una relazione con Dafni, un giovane bellissimo con cui addirittura si é proposta
lei per prima, Dafni però sparisce dalla circolazione e non la cerca più, perché sta dedicando le sue
attenzioni ad un'altra donna. Questo è sufficiente per far imo pensare alla donna di creare un filtro d'amore
che avrebbe riportato da lei il suo innamorato. Viene raccontato passo per passo, compreso il ritornello, il
rito magico a metà strada tra la magia bianca e la magia nera. Perché magia nera? Perché Simeta augura
che Dafni possa avere le ossa stritolate così come una ruota macina tutto ciò che le viene messo a tiro.
Viene riproposto continuamente il ritornello, "riporta l'uomo a casa mia", una formula magica che viene
ripetuta più volte. La magia è un interesse dell'Ellenismo, vi è un interesse enorme nei confronti delle
magia, perciò Teocrito coglie questo interesse nei confronti della magia. Intanto la divinità che sobria
intende a questo incantesimo é la Luna, Selene. Simeta svolge questo dialogo con la stessa Luna, e le
racconta come si è incontrata esattamente con Dafni, e qui vediamo la modernità assoluta del
componimento. Lettura dal verso 87 pagina 311 fino a 143. Simeta è così intraprendente che fa il primo
passo, manda a chiamare Dafni, lui corre,  confessa che lui stesso avrebbe preceduto l'invito, ma la cosa più
importante è la descrizione dell'atto di amore, dove un'altra volta è Simeta che prende in mano la
situazione, non è così inusuale che una donna parli di sesso, di Eros, descrive tutto nei minimi dettagli, sta
parlando del massimo del l'eccitazione, di tutto ciò che avviene. "Arrivammo entrambi a ciò che
bramavano", entrambi hanno raggiunto il piacere, sentir parlare una donna di piacer non è così semplice o
comune, in genere nella cultura greca ciò non era usuale. C'è talmente libertà che la donna può parlare di
orgasmo, di piacere, di eccitazione. "Fino ad ieri non ebbe nulla da rimproverarmi" possiamo comprendere
dunque l'intesa sessuale che vi è tra i due. Nelle siracusane gorgo è prassinoa sparlano dei mariti, si
lamentano dei loro operati, c'è una libertà della donna nuova, mai vista fino ad ora, le due donne vanno da
sole alla festa, e per quanto si lamentino dei mariti e dicano che siano gelosissimi, in realtà però c'è una
certa libertà che nel periodo classico non avremmo mai potuto immaginare. Addirittura una delle due lascia
il figlio all'ancella, con tutte le indicazione del momento. Da notare è l'eleganza con cui viene raccontato
l'atto sessuale, non c'è ombra di volgarità, ma solo chiarezza e realismo. La lettura non risulta fastidiosa
perché è rivolta ad intenditori che vogliono proprio quello. Non è una poesia divulgativa, ma ha lo scopo di
essere selettiva, di essere elitaria, di non rivolgersi ai più ma a un gruppo ristretto di persone. È una poesia
rivolta all'innovamento, l'Ellenismo ha operato quella stessa rivoluzione che ha operato nel corso del 900, il
secolo dei cambiamenti, dell'innovazione. 

Ricerca sul fragmentum grenfelianium, traduci e segna nel testo greco le parole chiave, che possono
rappresentare o la condizione femminile o le differenza con la tradizione classica e poi fai un confronto tra
le figure femminili in Teocrito e quelle in questo frammento. Qualcuno vede in questa figura femminile del
frammento una prostituta, ma non si sa. È un esempio di canto di fronte ad una porta chiusa, un genere
letterario diffuso nell'ellenismo. È un canto dell'innamorato che supplica l'innamorata, e la supplica di
aprire la porta, ma la porta non doveva aprirla il più delle volte, perché doveva farsi desiderare. Era un
topos letterario attraverso il quale si metteva alla prova la resistenza dell'amante e l'attrazione
dell'innamorata. Nel caso del fragmentum c'è una sorta di scaramuccia tra due innamorati dove si dice,
insomma aprimi la porta perché etc... Lo vedremo, no spoiler. Uno o è miles amoris o servum amoris. 

26/02

Al diavolo gli invidiosi, pagina 233. Vedi la foto che ha mandato la cambosu.

I Telchini.

En aeisma dienekes, è il carmen continuum,

Brevitas???

Chiedi a Franci gli appunti.

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