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L’ULTIMA GUERRA CIVILE

L’uccisione di Cesare alle Idi di marzo del 44 a.C (frutto dell’incertezza del Senato e delle ambizioni personali) accelerò
il processo di accentramento del potere e l’a ermazione della forma istituzionale del Principato.

Alla morte di Cesare, gli esponenti del partito cesariano favorirono l’ascesa di Marco Antonio, suo “naturale”
successore.

Ad Antonio si contrappose Gaio Ottavio, che Cesare aveva adottato e nominato erede.

Nel 44 a.C infatti, tornato dalla Grecia, reclamò col nome di Ottaviano, i suoi diritti di successore, sapendo di poter
contare sull’appoggio del ceto senatorio che ne apprezzò l’iniziale moderatismo.

Nel 43 a.C Antonio aspirava al governo della Gallia Cisalpina, tentando di sottrarla a Decimo Bruto, il quale si rifugiò a
Modena. Antonio decise di assediare la città, ma il Senato gli inviò contro un esercito supportato dalle truppe di
Ottaviano.

Antonio fu scon tto e si rifugiò nella Gallia Narbonense, governata da Marco Emilio Lepido.

Nonostante ciò Antonio e Ottaviano si coalizzarono e insieme a Lepido stipularono il secondo triumvirato, una
spartizione del potere dove i tre si presentarono come triumviri per la ricostituzione della Repubblica.

Dopo aver eliminato tutti i rivali politici attraverso le liste di proscrizione, Antonio e Ottaviano si unirono per
scon ggere i cesaricidi, e nella battaglia di Filippi del 42 a.C, dove trovarono la morte Bruto e Cassio.

Inoltre Antonio e Ottaviano ridimensionarono il ruolo di Lepido e si spartirono il potere: Ottaviano mantenne il controllo
della Spagna e dell’Italia, mentre ad Antonio spettarono le province orientali. Nonostante ciò gli anni successivi furono
segnati dall’inasprirsi del con itto fra i due. A partire dal momento in cui il fratello e la moglie di Antonio, accolsero le
proteste dei piccoli proprietari italici ai quali vennero con scate le terre, per fare guerra ad Ottaviano, ma la rivolta fu
fermata a Perugia e poi segui una tregua a Brindisi, Lepido venne estromesso dal triumvirato e Antonio si stabilì in
Egitto, legandosi alla regina Cleopatra.

Ottaviano rimasto a Roma acquisì sempre più prestigio, screditando la gura di Antonio presentando come un
sovrano che aspirava ad imporre un potere assoluto e che voleva trasferire la capitale da Roma ad Alessandria.

Ottaviano, dopo che il Antonio divorzió dalla sorella del suo rivale, si impossessò del suo testamento e lo lesse davanti
a tutto il Senato. Allora tutti seppero che Antonio aveva riconosciuto come legittimi i tre gli avuti da Cleopatra e che
con le donazioni di Alessandria, le avesse donato i domini di Roma.

A questo punto per Ottaviano divenne semplice convincere i senatori a dichiararlo hostis publicus e ad muovergli
guerra.

Lo scontro decisivo avvenne ad Anzio, nel 31 a.C e decretò la vittoria di Ottaviano, al seguito della quale Antonio e
Cleopatra si suicidarono.

IL PRINCIPATO
Ottaviano celebró nel 29 a.C il trionfo per la vittoria di Azio e come l’inizio di una nuova era di pace, a cui tutti
aspiravano dopo decenni di guerre sanguinose.

Con una grande abilità politica, egli evito di presentarsi nelle vesti di un monarca, e lascio formalmente inalterate le
istituzioni repubblicane.

Nel 29 a.C Ottaviano ottene il titolo permanente di imperator, ossia di comandante supremo dell’esercito. Divenne poi
princeps senatus, titolo che gli conferiva di convocare e di presiedere le assemblee del Senato. Nel 27 a.C rinunciò a
tutti i poteri straordinari, ricevendo in cambio il titolo di console e di Augustus, che sanciva la sua autorità
circondandola di un alone sacrale.

Nel 23 a.C ottenne l’imperium proconsulare maius et in nitum, ossia il comando a tempo indeterminato su tutte le
province, che si unì alla tribunicia potestas, che comportava il diritto di poter il veto ad ogni legge.

Nel 12 a.C venne investito della carica di pontifex maximus e nel 2 a.C il titolo di pater patriae. Il suo potere assunse
quindi connotati quasi sacrali e la sua persona venne fatta oggetto di culto religiosi.

Ottaviano quindi portò a compimento il passaggio dalla Repubblica al Principato, presentando il suo progetto come
una restaurazione dell’antica res publica. Questa svolta fu resa possibile da un lato dalla di usa aspirazione alla pace
di cui Augusto si presentò come garante, e dall’altro dalla capacità del princeps di raccogliere attorno a se il
consenso, attraverso una politica di riforme.

L’in uenza del Senato venne ridimensionata attraverso una riduzione del numero dei suoi membri. Il favore della plebe
urbana fu garantito da una generosa politica di donazioni alimentari e grandiosi spettacoli - “panem et circensem” -
oltre che alla ristrutturazione urbanistica della capitale. Augusto favorì i ceti medi agricoli e il ceto degli equites, e
vennero reclutati un gran numero i membri della nuova classe di funzionari e burocratici; particolarmente importanti
divennero le cariche di praefectus Urbis, che coordinava le attività delle magistrature cittadine, e il prefetto del
pretorio, che si occupavano della difesa personale del princeps.

Il territorio dell’impero venne sottoposto a una globale riorganizzazione. Le province paci cate o “senatorie”
continuarono ad essere amministrate dai proconsoli, mentre le province non ancora paci cate e l’Egitto vennero
messe sotto il controllo diretto di Augusto e dei suoi delegati.

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Le imposte erano riscosse dai funzionari statali, e i tributi delle province senatorie nivano nell’aerarium (la cassa della
repubblica) mente quelli delle province imperiali alimentavano il scus (la cassa privata dell’imperatore). Nel
complesso, Augusto sempre attrarre a se il favore dei ceti dirigenti delle province.

In politica estera, l’azione di Ottaviano fu volta a consolidare i con ni. Nell’area orientale venne risolto in maniera
diplomatica il con itto con i Parti.

L’ampio consenso sociale e il carisma personale del princeps favorirono ancje una straordinaria oritura culturale e
letteraria. Nel contesto rasserenato della pax Augusta gli anni del principato augusteo - dal 27 a.C al 14 d.C - furono a
tutti gli e etti l’età aurea della letteratura latina, anche grazie all’accordo tra intellettuali e potere politico.

LA PROPAGANDA AUGUSTEA
La mentalità e la cultura romana dei ceti romani fu in uenzata dalla propaganda ideologica di Augusto, tesa a ricercare
un ampio consenso che garantisse il successo del suo programma politico.

In questa fase infatti il passaggio dalla Repubblica al Principato, non si fondava su un mutamento costituzionale, ma
esclusivamente sull’auctoritas di Augusto, che seppe conquistarsi il favore di ogni ceto sociale facendo leva
soprattutto sul di uso desiderio di pace (dopo un cinquantennio di guerre sanguinose).

La chiusura delle porte del tempio di Giano, la cessazione delle rivalità interne e la pax Augustea, divennero i cardini
della propaganda ideologica augustea.

Ottaviano iniziò la propria rivoluzione politica all’insegna della restaurazione dei valori della tradizione e del mos
maiorum, inteso come il fondamento di quell’identità nazionale che le guerre avevano incrinato.

Il ritorno alla terra e alle origini contadine di Roma si unì alla riproposizione di valori come la pietas e la concordia, ma
anche ad un ripristino della centralità della famiglia.

L’azione di Augusti si espresse attraverso una serie di leggi emanate tra il 18 e il 17 a.C che punivano l’adulterio e
tentavano di porre un argine al lusso, imponendo uno stile di vita più severi. Questi provvedimenti però furono quasi
totalmente ine caci, però contribuirono ad accreditare il recupero ideale degli antiqui mores.

Al progetto di restaurazione e di moralizzazione Augusto collega il tentativo di ripristinare le tradizioni credenze


religiose e i rituali collettivi. Il princeps ridiede importanza alle divinità del pantheon tradizionale, anche investendo
ingenti somme nella costruzione di nuovi templi.

L’alone di sacralità che circondava Augusto (nella sua veste di Augustus e ponte sex maximus) pose le basi per il
culto personale dell’imperatore, che si espresse nella devozione verso il Genius Augusti (in questo modo, il culto della
sua persona di espresse in modi più legati alla tradizione romana).

Finalizzato all’organizzazione del consenso fu anche l’interessamento che Augusto manifesti nei confronti della cultura
e delle arti. Per sua iniziativa vennero istituite due biblioteche pubbliche, e favori l’istituzione dei collegia iuvenium, che
educavano e preparavano i giovani alla carriera militare.

Diede l’avvio anche ad importanti opere architettoniche, culminate nella costruzione del Foro di Augusto e di
monumenti dal notevole valore simbolico, come l’Ara Pacis e il Pantheon, ma anche di statue celebrative, costruite
secondo le forme sobrie e armoniose di un’arte di gusti classico, principi già teorizzati nel De architettura di Vitruvio.

La ricerca del consenso di Augusto coinvolse anche la letteratura, dove l’azione di Mecenate, che fungendo da
intermediario tra il princeps e l’ambiente intellettuale, indusse poeti come Virgilio, Orazio e Properzio a farsi promotori
dei valori augustei nelle loro opere.

IL CLASSICISMO E IL SISTEMA DEI GENERI


La straordinaria oritura artistica che caratterizza il breve periodo dell’età augustea fu determinata, oltre che dal
mecenatismo, dalla piena maturità raggiunta dalla letteratura latina.

I poeti di quest’epoca si pongono in un rapporto di più aperta emulazione con i modelli classici greci, che vengono
profondamente reinterpretati, rinnovati e adattati alla cultura romana.

Inoltre i nuovi letterati non si limitano più all’imitazione della letteratura di età ellenistica, ma risalgono alle radici della
tradizione greca arcaica, vengono infatti ripresi Esiodo, Omero e Sa o.

Nel risalire agli autori della tradizione greca arcaica, gli untori augustei non dimenticano il rapporto con la propria
epoca, cercando di far vita ad una letteratura che in forme di equilibrio formale rispecchi a pieno l’identità nazionale
romana e i suoi valori.

Nasce così il classicismo augusteo, inteso come sintesi e come ricerca di una forma espressiva armoniosa. L’ideale
classicista esclude infatti ogni eccesso espressivo, aspirando alla semplicità ed una naturalezza, nonostante ci sia
dietro un continuo lavoro di ri nitura formale (labor limae).

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Questi principi trovano una piena applicazione nella produzione poetica della prima generazione di poeti augustei
(Virgilio ed Orazio).

Virgilio fonda in ambito latino il genere pastorale, prima con le Bucoliche e poi cimentandosi nelle Georgiche, un
poema didascalico che esorta il ritorno alla terra e alle radici contadine di Roma, in linea con i valori della propaganda
augustea.

Con l’Eneide inoltre crea il poema epico più illustre della latinità.

Orazio si cimenta soprattutto nella poesia lirica.

A di erenza di quest’ultimi, nella produzione degli autori di seconda generazione si accentua il disinteresse nei
confronti della dimensione civile della letteratura, a vantaggio della riscoperta dei valori individuali. Si spiega così il
successo della poesia elegiaca ispirata al tema dell’amore, di cui sono autori Tibullo, Properzio e Ovidio, che molto
spesso si presenza come relazione extraconiugale o illegittima.

In età augustea la produzione letteraria in prosa risulta quantitativamente minore rispetto a quella poetica, e si esprime
soprattutto nella grandiosa opera storiogra ca di Tito Livio, autore con i 142 libri Ab Urbe condita di un grandioso
a resco della storia di Roma. Nonostante Livio si mostra scettico nei confronti della restaurazione augustea,
l’esaltazione dei valori tradizionali di Roma si pone in linea con la propaganda augustea.

L’eloquenza conobbe una netta involuzione, legata al venir meno del dibattito politico, alla quale corrisponde
l’a ermarsi della pratica delle declamationes, ovvero delle orazioni ttizie, testimoniate anche in opere de retore Lucio
Anneo Seneca.

Nell’ambito della produzione tecnica, un ruolo molto importante viene assunto dal trattato, dedicato ad Augusto De,
architettura di Vitruvio, che ha come argomento la teoria e la pratica della costruzione di edi ci pubblici e privati.

LE BUCOLICHE
Le Bucoliche sono la prima opera di Virgilio, composta e pubblicata tra il 42 e il 39 a.C. Si tratta di una silloge di dieci
componimenti in esametri, detti eclogae (cioè “poesie scelte”), caratterizzati da un’ambientazione agricola e
pastorale.

Come indica il titolo stesso della raccolta, essa appartiene al genere della poesia bucolica (dal greco boukólos, che
signi ca “pastore”), inaugurato in età ellenistica dal poeta greco di origini siracusane Teocrito (III sec. a.C.), autore di
una raccolta di carmi, gli Idilli, tra i quali guravano numerosi componimenti ambientati nella campagna d’Arcadia e
incentrati sul dialogo tra i pastori.

STRUTTURA
La struttura dell’opera è estremamente calibrata: le ecloghe dispari hanno un’impostazione dialogica mentre le
ecloghe pari presentano un’impostazione narrativa.

Inoltre esiste una simmetria che governa la disposizione delle ecloghe e se si esclude l’ecloga X, tutte le altre
sembrano disporsi intorno alla V (posta in posizione centrale) secondo un preciso schema di richiami a distanza:

- la I e la IX alludono all’esproprio delle terre mantovane di Virgilio;

- la II e la IV sono monologhi amorosi;

- la III e la V sono gare poetiche tra pastori;

- la IV e la Vi trattano argomenti meno attingenti al genere bucolico.

(vedere bene la suddivisione della prof.)

VIRGILIO E TEOCRITO - EMULATIO E RINNOVATIO


Virgilio stesso dichiara apertamente negli esordi delle egloghe IV e VI di rifarsi, per la composizione delle Bucoliche,
alla "musa di Siracusa", cioè, a Teocrito.

Teocrito nel descriverci i suoi “piccoli quadretti”, ci descrive paesaggi realistici, abitati da ninfe e pastori, dipinti di
colori vivaci, ra nati e precisi, ma non attraverso una partecipazione attiva.

Virgilio eredita da Teocrito l’ambientazione siracusana, con i suoi tramonti e le sue nebbie, l’idealizzazione dei
pastori, i temi del canto poetico e dell’amore. Ma nelle Bucoliche non è solo presente un emulazione del modello
greco, ma introduce anche elementi di innovazione, come l’ambientazione mantovana (pianura Padana) e il
paesaggio arcadico.
Virgilio cerca quindi un rifugio in questa realtà utopica e nella quiete di campagna trovano espressione gli ideali del
disimpegno politico e dell’atarassia, sostenuta dalla loso a epicurea, che aveva in uenzato il poeta negli anni
giovanili.

Le novità virgiliane più importanti riguardano quindi l’atteggiamento dell’autore nei confronti del mondo pastorale, ma
anche il paesaggio e il rilievo dato ad elementi storici ed autobiogra ci.

Infatti a di erenza di Teocrito, inserisce nelle sue ecloghe numerosi riferimenti agli eventi a lui contemporanei, ltrati
attraverso allusioni indirette e allegoriche.

Fin dalla prima ecloga risulta evidente che il mondo utopico bucolico non è del tutto immune dall’eco degli eventi
storico-politici contemporanei.

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Le devastazioni create dalla guerra civile fra Antonio e Ottaviano e le loro conseguenze psicologiche e materiali
penetrano infatti nelle Bucoliche attraverso riferimenti allegorici, evidenti soprattutto nelle allusioni alla vicenda
dell’esproprio delle terre mantovane che toccò lo stesso Virgilio.

Negli opposti destini dei due pastori della prima ecloga, il poeta ri ette quindi in forma indiretta sia la propria
riconoscenza verso i potenti personaggi che gli permisero in ne di mantenere (o riottenere) il podere paterno sia, con
profonda partecipazione emotiva, la sorte infelice dei tanto che, come Melibeo, furono invece privati dei loro beni.

Un probabile riferimento alla storia può essere colto anche nell’ecloga V che, signi cativamente posta al centro della
raccolta, celebra la morte e l’apoteosi di Dafni, mitico eroe pastorale dietro cui si cela forse Giulio Cesare.

OLTRE IL MONDO PASTORALE


In alcuni componimenti Virgilio si distacca dall’ispirazione teocritea della raccolta per a rontare tematiche di
maggiore impegno, alle quali si accompagna uno stile più elevato.

In particolare nell’ecloga IV, in linea con l’ispirazione pastorale della raccolta, il desiderio di pace che animava tutti
coloro che avevano vissuto l’agonia della Repubblica si concretizza nell’attesa del ritorno della mitica “età dell’oro”,
ovvero in un primo stato di natura in cui la terra, nalmente paci cata, o rirà spontaneamente i suoi frutti. La
rigenerazione del mondo e dell’umanità coinciderà con la nascita di un puer misterioso, che oltre all’interpretazione
medievale che volle vedervi una profezia della venuta di Cristo, il poeta molto probabilmente associò alla gura
Augusto paci catore.

All’infuori del mondo bucolico si colloca anche l’ecloga VI, in cui il canto cosmologico del satiro Sileno descrive,
rifacendosi alla dottrina epicure, l’aggregarsi degli atomi che danno vita alle molteplici cose che costituiscono la
realtà.

LE GEORGICHE
Le Georgiche sono la seconda opera di Virgilio e sono un ampio poema didascalico in esametri, articolato in quattro
libri, il cui titolo deriva dall'aggettivo di derivazione greca “gheorgos” che signi ca contadino.

L'opera richiese un lungo periodo di composizione nella tranquillità della dimora napoletana, dal 39 al 29 a.C.

Le Georgiche sono dedicate a Mecenate che ne fu l'ispiratore e il suggeritore e nascono dalla precisa volontà del
poeta di assecondare il programma augusteo di rilancio della piccola e media proprietà terriera, che aveva
come obiettivo il ritorno alle campagne, sebbene il motivo propagandistico non sia mai in primo piano, ma sempre
sullo sfondo.

Le Georgiche contengono quindi un chiaro messaggio politico e ideologico, fondato sui valori tradizionali della
concordia, della pace, della sobrietà, della laboriosità, della devozione religiosa, della castità e del patriarcato, i valori
propri del mos maiorum.

Il poeta è consapevole dell'aspra fatica che la vita del contadino richiede e l'attribuisce alla volontà di Giove che non
vuole infecondi e pigri i suoi regni. In quest'opera la campagna è colta nella sua concretezza, nelle fatiche umili e
quotidiane: è un mondo reale e non di fantasia come quello delle Bucoliche, dove i pastori oziosi vivevano in un
ambiente idilliaco.

RAPPORTO CON I MODELLI - EMULATO RINNOVATIO


Le Bucoliche si collocano all'interno della lunga tradizione didascalica, e Virgilio non si accontentò di consultare il De
agri cultura di Catone o l'appena pubblicato De re rustica di Marrone, ma risalì no alle opere del poeta greco
Esiodo, fondatore del genere, e dei poeti ellenistici, tra le cui opere ricordiamo Georgiche del poeta greco Nicandro,
no ad arrivare a consultare il De rerum natura di Lucrezio.

In particolare modo, Virgilio riprende i prodotti dei poeti alessandrini dotandoli di un più profondo messaggio
ideologico ed etico.

Fondamentale risulta il rapporto con il poema di Lucrezio, considerato da Virgilio come un modello etico ed
esistenziale, sia per quanto riguarda l’aspirazione ad uno stile elevato e sublime, ma anche nella vera e propria
materia dell’opera, come dimostrato dall’elogio appassionato nel nale del II libro.

LE API
L’opera nel suo complesso delinea un cammino di progressivo rasserenamento, che asseconda il passaggio dalla
grande paura per le guerre civili all’a ermarsi di Ottaviano come princeps paci catore.

Mentre nel primo libro la natura, per dare i suoi frutti, deve essere lavorata duramente dal pius agricola, via via
l’intervento dell’uomo si riduce no a diventare quasi assente nel libro nale.

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Virgilio nell’ultimo libro parla di api, animali legati alla religione or ca ed emblema dell’immortalità dell’anima, che
sembrano, nella loro società organizzata e laboriosa, celebrare in modo allegorico il programma augusteo, non a
caso proprio quest’ultime vengono de nite come “parvi Quirites” (ossia “piccoli Romani”).

Il microcosmo organizzato delle api, il cui fulcro è rappresentato dall’ape regina, rappresenta quindi una metafora
della civitas romana, incentrata sulla gura del princeps e dove ogni membro deve subordinare ogni volontà
individuale per l’interesse collettivo.

LA CONCLUSIONE
Il quarto libro si conclude con un ampio racconto mitologico, che secondo una una notizia tramandata da Servio,
antico commentatore di Virgilio, avrebbe rimpiazzato il nale originario, costituito da un elogio del poeta elegiaco
Cornelio Gallo.

Il mito eziologico inizia con il pastore Aristeo, colpito da un’altissima e misteriosa mortalità di api, ne cerca le cause
rivolgendosi al dio marino Proteo.

Il dio gli dice che il disastro è frutto di una punizione divina, in quanto egli ha involontariamente provocato la morte di
Euridice, sposa del cantore Orfeo.

A questo punto con la tecnica ad “incastro”, Virgilio inserisce un secondo mito, rievocando di come Orfeo, dopo la
morte dell’amata Euridice, sia disceso agli Inferi, riportandola in vita con il suo canto. Perduta per una seconda volta
Orfeo si abbandona alla disperazione e viene ucciso dalle Baccanti.

Dopo la conclusione di questo secondo mito, Aristeo segue il consiglio della madre, la ninfa Cirene, che gli prescrive
di compiere dei sacri ci espiatori, e sacri ca agli Dei quattro tori e quattro giovenche, dalle cui carcasse nascono
nuovi sciami di api.

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