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Maurizio Della Casa

Musica e lingua: incroci, corrispondenze, interazioni

da: Educazione musicale e formazione (a cura di G. La Face


Bianconi e F. Frabboni), Franco Angeli, Milano, 2008, pp. 402-
411

Musica e lingua, come è noto, intrattengono rapporti significativi che sono


stati studiati da più angolazioni disciplinari: semiotica, antropologica, storica,
psicologica eccetera. Fra le tante relazioni che possiamo riconoscere ve ne sono
tuttavia quattro, a mio parere, che assumono una particolare importanza, da un
punto di vista educativo, per gli spazi che aprono alla riflessione, all’operatività
e al raccordo interdisciplinare: le affinità linguistiche, le corrispondenze
strutturali, la complementarietà espressiva (che si realizza nel canto o nei
messaggi multimediali), l’interazione storica.
Svolgerò di seguito qualche riflessione su ognuno di questi àmbiti, cercando
di indicare alcune delle opportunità che essi offrono per raccordare, nella
scuola non professionale, lo studio della lingua a quello della musica e per
attivare una più stretta collaborazione operativa fra le due discipline in
relazione a progetti comuni.

Affinità linguistiche
Musica e lingua sono costituite di suoni e si manifestano come sequenze
articolate nel tempo. Il fatto che sia la musica sia la parola utilizzino come
sostanza espressiva1 il suono ha come implicazione immediata che nei due
linguaggi vi siano aspetti di natura “simile”. Mi riferisco in particolare a ritmo,
altezza, dinamica, timbro, che sono essenziali nella musica, ma si ritrovano
anche nel discorso orale, ove sono raggruppati sotto l’etichetta comprensiva di
“prosodia”.
I prosodemi, certamente, sono usati in modo diverso da quanto avviene per i
loro corrispettivi musicali. Sappiamo che la curva intonativa, l’intensità, il

1 Per ‘sostanza’ s’intende il materiale (fonico, visivo, ecc.) di cui una lingua si avvale per
costituire le proprie forme. Per esempio, nella lingua verbale, la sostanza è costituita dalla
materia fonica che viene poi strutturata dando luogo ai diversi fonemi. Il concetto di sostanza è
stato introdotto da Ferdinand de Saussure e ripreso poi da Louis Hjemslev, sia pure in termini
non del tutto coincidenti.

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ritmo di emissione di un enunciato si sovrappongono a una base segmentale
costituita di parole e frasi; che ritmo e altezze non sono categorizzati con
precisione (al contrario di quanto avviene nella musica), ma sono
tendenzialmente instabili; che nessuno di questi aspetti viene codificato nella
scrittura; eccetera. Differenze che vanno certo tenute in evidenza, ma non
cancellano l’importanza di un insieme di omologie, per quanto parziali, su cui
si può lavorare in modo proficuo.
In linea generale, dunque, possiamo osservare, manipolare, confrontare le
diverse dimensioni della sonorità, nella musica come nella lingua.
C’è lingua e lingua, tuttavia. C’è la lingua della vita pratica, in cui la
materialità del testo e le sue strutture formali sono prive di valore intrinseco, e
servono essenzialmente come veicoli “neutri” per la trasmissione di
informazioni; e c’è la lingua dei messaggi di natura espressiva, in particolare
dei messaggi letterari e, ancor più specificamente, poetici, in cui assumono un
ruolo fondamentale le dimensioni fisiche dell’enunciato e l’elaborazione delle
forme. È in queste pratiche estetiche, evidentemente, che la sonorità della
lingua può manifestare tutto il suo potenziale, ed è questo, pertanto, il luogo
linguistico più prossimo alla musica, su cui andrà concentrata l’attenzione.
Vi sono due aspetti, a questo proposito, da considerare.
1. Nella poesia i suoni riattivano la loro forza sensoriale originaria,
neutralizzata nel linguaggio ordinario. I fonemi non hanno più soltanto
funzione distintiva (per cui ad esempio i diversi suoni della i e della u ci
permettono di distinguere pigna da pugna) ma si ripropongono nella loro
valenza acustica, vogliono essere ascoltati e liberano nello stesso tempo valori
di natura simbolica ed espressiva. La /i/, così, può apparirci alta, chiara, sottile,
innocente, la /u/ grave, scura, forte, misteriosa, remota. In altre parole, il lettore
percepisce i fonemi come eventi sonori, dotati sia di suggestione auditiva sia di
specifiche virtualità di senso2. Qualcosa dunque che assomiglia a quanto
avviene nella musica, in cui, come sappiamo, l’altezza, il timbro e le altre
caratteristiche del suono costituiscono veicoli essenziali per la produzione di
effetti di senso.
2. Nei testi poetici il significato viene determinato non tanto o non solo
dall’aggregazione logica dei concetti, quanto da una rete di equivalenze che si
intrecciano ai diversi livelli: fonico, sintattico, ritmico, lessicale eccetera3. Al di
là di un primo strato di significati proposti dalle strutture lessico-sintattiche,
troviamo un secondo strato di sensi che sono suggeriti dal gioco delle
somiglianze e dei contrasti che si stabiliscono sui diversi assi della costruzione

2 Questi fenomeni sono stati studiati da vari autori. Mi limito a segnalare, fra le ricerche più
approfondite, Fónagy (1983) e Dogana (1983).
3 Ciò è stato messo in luce chiaramente dagli studi sulla poesia, ancora fondamentali, di
Roman Jakobson e Jurij Lotman. Vanno almeno ricordati, in proposito: Jakobson (1966) (in
particolare il saggio Linguistica e poetica, ove viene introdotto il concetto di ‘equivalenza’);
Jakobson (1985); Lotman (1972).

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poetica. Pensiamo, per fare un solo esempio, alla ripetizione di suoni in
espressioni successive e distinte, che ce le fa percepire come varianti di uno
stesso motivo profondo (p. es. «distesa estate»). Fra i costituenti del testo,
dunque, si istituiscono relazioni formali che danno luogo a un disegno di
riprese, rispecchiamenti, rinvii, opposizioni che, in quanto tali, assumono un
valore significativo per il lettore.
Anche nella musica l’ascoltatore è chiamato a cogliere e a ricostruire un
tessuto di relazioni, ossia i rapporti di simmetria, variazione e contrasto che si
propongono ai vari livelli (melodico, ritmico, dinamico, ecc.) e nella loro
intersezione. Il funzionamento significativo della poesia, dunque, ci appare
almeno in parte somigliante a quello della musica, così come l’approccio
fruitivo, nei due casi, non risulta poi tanto distante.
Tutto questo, sul piano didattico, apre spazi di collaborazione e di
convergenza fra lo studio della musica e le discipline linguistico-letterarie, di
cui si dovrebbe trarre profitto nell’ottica di una scuola che voglia superare le
recinzioni culturali. Vediamo, in proposito, qualche indicazione di lavoro 4.
• Le attività di analisi e di esplorazione del suono e delle sue caratteristiche
(l’altezza, la durata, il timbro, la grana, la massa, ecc.) sono uno dei capitoli
centrali nell’educazione musicale di base. Ma vi sarebbe tutto da guadagnare
se, in parallelo, si svolgessero attività analoghe sulla sostanza fonetica della
lingua e sui tratti prosodici che la caratterizzano (il timbro, l’altezza, la
dinamica, gli accenti, ecc.). Si scoprirebbe in questo modo, grazie alla
mediazione della musica, una dimensione della lingua che è generalmente
trascurata. Allo stesso tempo, attraverso il raffronto fra i due linguaggi e
l’individuazione – al di là dei tratti comuni – delle loro differenze, si
coglierebbe più a fondo la loro specificità.
• Andando oltre l’osservazione grammaticale, per così dire, di singoli
fenomeni, può essere proficuo esaminare e interpretare, nel suo insieme, la
dimensione sonora (sound, sonor, texture) dei brani musicali, rilevandone i
tratti essenziali e caratteristici: timbri prevalenti, l’andamento dinamico, la
massa sonora, e così via. Si può rappresentare tutto questo in forma schematica,
e riflettere sugli effetti di senso che ne derivano. Per certi pezzi musicali, un
approccio del genere può essere una fase importante della comprensione. Ma
altrettanto si può fare per i testi poetici, considerandoli come messaggi che
hanno una fisionomia sonora da scoprire e interpretare: fisionomia che è
determinata dalla prevalenza di certi suoni vocalici e consonantici, dal gioco
delle ripetizioni e dei parallelismi, dalle caratteristiche prosodiche che il testo
acquista attraverso le letture che suggerisce.
• Si apre qui un’ulteriore pista di lavoro, quella della lettura espressiva della
poesia. La poesia è un testo che richiede di essere letto, come una partitura
musicale richiede di essere eseguita. Leggendo la poesia, noi portiamo ad
4 Per una descrizione approfondita di queste esperienze e delle strumentazioni di cui
avvalersi, si possono vedere Della Casa (1992) e Id. (1985; rist. 2002).

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attuazione le sue potenzialità sonore, e allo stesso tempo ne realizziamo
un’interpretazione, sul piano semantico ed affettivo. La scelta del tono, della
velocità di emissione, del timbro vocale, come la dislocazione delle pause e
degli accenti enfatici, creano una scala di focalizzazioni fra i diversi elementi,
evidenziano relazioni e, allo stesso tempo, attribuiscono al testo uno specifico
colore emotivo, proponendocelo in una luce ora intimistica e ora drammatica,
ora energica e ora rilassata. La “lettura espressiva” di una poesia, certo, non
s’improvvisa ma è il punto di arrivo di un processo nel corso del quale ci si
confronta col testo, si risponde alle sue sollecitazioni e se ne elabora, per così
dire, una ricreazione personale. È un’esperienza, perciò, che tocca aspetti e
pone problemi non tanto dissimili da quelli di un’esecuzione musicale. La
configurazione sonora di una poesia, certo, è cosa assai diversa da quella di un
brano musicale: in entrambi i casi, tuttavia, abbiamo a che fare con suoni, con
parametri sonori, con valori simbolici assunti dai suoni. Vi sono dunque alcune
corrispondenze profonde che stimolano al raffronto, e che invitano ad
incrociare le attività e le conoscenze delle due discipline.
• Un rilievo particolare può avere, in un simile orizzonte, lo studio e la
pratica del ritmo, che è alla base dell’esperienza musicale come di quella
poetica. Sull’importanza di attività ricognitive e produttive centrate sul ritmo
concorda tutta la didattica musicale vecchia e nuova. Non avviene lo stesso,
invece, per la poesia: basti pensare che la recitazione “naturale” che ne viene
fatta nella scuola è quella prosastica che riproduce le cadenze del comune
parlato, col risultato di oscurare del tutto l’organizzazione temporale del testo
poetico. Credo invece che quest’ultima vada riportata in primo piano,
attraverso una riflessione sulle strutture metriche e ritmiche del testo poetico,
ma anche e soprattutto attraverso esperienze di recitazione ritmemica (un modo
“altro” di leggere la poesia): e qui la collaborazione dei docenti di Musica e di
Italiano diviene essenziale. Alla base della recitazione, difatti, deve esserci
l’esame delle strutture metriche del testo e la loro trascrizione nella forma di
una sequenza ritmico-musicale, che può assumere l’aspetto di una vera e
propria partitura.
Inutile dire che quest’ultima può essere, a sua volta, il punto di partenza di
ulteriori processi elaborativi, in cui lo scheletro ritmico viene trasformato in
linea melodica, e la poesia completa la sua metamorfosi in canto.

Le corrispondenze strutturali
Secondo le teorie cognitive della metafora, oggi di gran moda5, noi ci
rappresentiamo le realtà complesse, astratte o comunque difficili da

5 Il principale rappresentante di questa corrente di studi è George Lakoff. Fra i suoi scritti,
mi limito a ricordare: Lakoff and Johnson (1982); Lakoff (1993), pp. 202-251; Lakoff and

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concettualizzare attraverso realtà più concrete e meglio conosciute. Quando
parliamo di musica, così, tendiamo a farlo attraverso metafore consolidate
come: la musica è una costruzione architettonica, la musica è un organismo, la
musica è un discorso. Quest’ultima metafora è particolarmente importante,
perché è alla base dell’analisi fraseologica tradizionale. Quando parliamo di
musica, di fatto, noi utilizziamo una serie di concetti che si riferiscono ad
aspetti del discorso verbale (frase, periodo, tema, soggetto, ecc.), proiettandoli
su aspetti della musica che percepiamo come corrispondenti, sia pure entro una
certa misura. Guardiamo dunque alla musica attraverso gli occhiali del
discorso, e attingiamo alle categorie descrittive di quest’ultimo per
raffigurarcene in modo comprensibile le strutture.
La metafora del discorso, dunque, è una delle strategie cognitive
fondamentali attraverso cui possiamo cercare di comprendere un’opera
musicale e di rappresentarcela, almeno per certi aspetti6. L’opera musicale è
vista come un discorso che può essere suddiviso in parti; queste svolgono una
certa funzione retorica nell’organizzazione d’insieme (di introduzione,
elaborazione, ripresa, coda); ogni parte, a sua volta, è il risultato della
combinazione di segmenti più piccoli, assimilabili sintatticamente alle frasi e
funzionalmente alle idee; alcune idee, i temi, hanno un ruolo centrale e
dominante; nei discorsi musicali, come in quelli verbali, ritroviamo delle forme
organizzative ricorrenti; eccetera.
Fra il modo in cui guardiamo alla musica e quello in cui guardiamo al
discorso, insomma, vi è un’ampia convergenza di prospettive, almeno nella
nostra cultura. Su questo si può lavorare con profitto nella scuola,
promuovendo una maggiore consapevolizzazione delle strutture dei due tipi di
discorso, di ciò che le accomuna e di ciò che le differenzia. Penso in particolare
ad esperienze in cui:
– si osservano i modi in cui sono costruiti i discorsi verbali e quelli musicali,
rilevandone le somiglianze e le specificità (che la metafora del discorso non
deve oscurare);
– si riflette sui concetti descrittivi comuni (p. es. frase, periodo, tema, motivo,
coordinazione, subordinazione, ecc.), così da cogliere le valenze particolari che
assumono in ciascun àmbito7.

Johnson (1998). Per quanto riguarda la possibilità di applicare alla musica le teorie cognitive
della metafora si possono vedere Zbikowski (2002) e Spitzer (2004).
6 Una metafora ci permette in ogni caso di rappresentarci concettualmente il dominio di
destinazione in modo parziale e da una determinata angolazione. Illumina certi aspetti e ne
oscura altri. Per questo si possono usare più metafore per concettualizzare, da vari punti di vista,
lo stesso oggetto od esperienza.
7 Il ricorso a concetti e strumenti comuni, pur nella differenza degli oggetti, è alla base,
com’è noto, dell’interdisciplinarità in senso proprio, e su questa strada si aprono importanti
opportunità di confronto e di raccordo metodologico. Gli studiosi distinguono diversi livelli di
interdisciplinarità: da quella, più debole, che consiste nell'affrontare un problema dalla
prospettiva di varie discipline, che rimangono però reciprocamente distinte anche se convergenti

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Se la musica è concepita come un discorso, credo che sia importante
focalizzare, anche, ciò che può esservi in comune fra i rispettivi processi di
comprensione. Ora, un buon ascolto della musica (o almeno di un certo tipo di
musica) condivide, io credo, alcune delle caratteristiche di un buon ascolto (o
una buona lettura) di un discorso verbale. Vi sono, alla base delle due
competenze, analoghi modi di porsi nei confronti del compito e stili cognitivi
simili, che andrebbero incoraggiati e rafforzati. L’atteggiamento attivo e
problematico, anzitutto: l’ascoltatore-lettore sa che non può limitarsi a una
ricezione passiva, ma deve elaborare nella propria mente ciò che va sentendo o
leggendo, così da farsene una rappresentazione interiore. C’è poi l’attenzione
per i segnali strutturali, ossia gli elementi che marcano l’organizzazione in parti
e le loro relazioni. E, ancora, la capacità di identificare i livelli gerarchici,
distinguendo le idee principali (come sono i temi) dalle idee secondarie; di
rappresentarsi la macrostruttura, ossia lo schema globale del discorso; di
controllare e valutare il proprio processo comprensivo (metacognizione); e così
via.
Vi sono poi le diverse fasi in cui l’ascoltatore-lettore articola, nel contesto
didattico ma non solo, il percorso di ascolto o di lettura. In entrambi i casi, si
possono distinguere in linea di principio tre tappe fondamentali: una fase
preparatoria (pre-ascolto o pre-lettura), una fase centrale (di ascolto o lettura in
senso proprio), una fase successiva di ripensamento, sistemazione, revisione
(post-ascolto o post-lettura). Nello svolgimento di queste fasi si possono
adottare, almeno in certi punti del percorso, strategie simili. Per esempio, nella
fase preparatoria, si anticipano le idee chiave o si forniscono indicazioni
orientative sulle caratteristiche fondamentali di ciò che ci si appresta a
ascoltare/leggere (i ben noti ‘organizzatori anticipati’ di David Ausubel).
Oppure, nella fase centrale, s’interrompe l’ascolto o la lettura in punti
prestabiliti, per fare il punto su quanto si è compreso sino a quel momento. O
ancora, al termine, si ripensa e riorganizza ciò che si è compreso attraverso la
costruzione di una mappa o uno schema.
Beninteso, questi sono solo cenni: ma sufficienti, spero, a dare un’idea della
rete di raccordi che si possono istituire fra le didattiche della comprensione nei
due àmbiti.

Complementarità espressiva
Il canto è un terreno d’incontro privilegiato fra musica e lingua, e si propone
perciò come il terreno ideale per un raccordo fra le discipline musicali e quelle
linguistico-letterarie. I due sistemi operano qui in modo strettamente
complementare, intrecciando relazioni su diversi piani.

su uno stesso oggetto da esplicare, a quella, più forte, che consiste nella reciproca mutuazione di
concetti e di strutture. Si possono vedere, in proposito, Scurati e Damiano (1974) e Penati (1992).

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Risulta quindi particolarmente utile la promozione di esperienze di analisi e
d’interpretazione di brani vocali in cui si presti attenzione a entrambe le
componenti e al loro reciproco rapporto. È questo un campo d’indagine, certo,
alquanto complesso ed anche controverso. Nella prospettiva educativa e non
professionale che ci interessa, comunque, si tratta di affrontare una domanda
centrale, strettamente connessa alla comprensione: come la musica interpreta e
modella le forme e i significati del testo verbale, così da riplasmarlo in una
particolare veste espressiva8. In quest’ottica, possiamo mettere a confronto la
componente musicale con diversi aspetti del testo:
– quelli più specificamente sonori: ad esempio, la qualità fonica che risulta
dalla dominanza di certi fonemi (acuti e leggeri; percussivi e pesanti; ecc.), i
profili intonativi, gli accenti, che la musica potrebbe rinforzare ed espandere,
ma anche contrastare;
– quelli sintattici: la fraseologia musicale può coincidere con quella linguistica,
o introdurre ritardi, anticipazioni, spezzature che danno luogo a un gioco di
tensioni fra fraseggio musicale e sintassi verbale;
– quelli semantici: si possono trovare qui corrispondenze fra l’espressione
musicale e i significati che sono via via veicolati dalle parole; oppure la musica
elabora più genericamente l’atmosfera globale suggerita dal testo (la Stimmung
dei romantici), il tono affettivo che l’attraversa.
L’analisi dei raccordi fra i due linguaggi, come ho detto, non è facile.
Occorre perciò promuovere una progressione di esperienze didattiche calibrate
sull’età degli alunni e sulle abilità precedentemente acquisite. Gli interventi
dovranno essere graduati, più precisamente, in rapporto sia ai livelli e alla
profondità dell’indagine sia alla complessità delle opere affrontate. Per quanto
riguarda il primo aspetto, si potranno considerare, agli stadi iniziali, soltanto
alcune caratteristiche di natura generale (ad esempio, temi e significati
d’insieme del testo, aspetti globali della musica), scendendo poi, via via, a
ricognizioni più particolareggiate. Quanto al secondo aspetto, si potrà partire
con brani strutturalmente semplici e brevi, come sono in molti casi i canti
popolari e la canzone, portando poi l’attenzione su arie d’opera, canzoni di un
certo impegno costruttivo ed estetico, musica vocale da camera, musica sacra,
eccetera.
In tutti i casi, comunque, appare necessario far riferimento a un quadro
coerente di ipotesi metodologiche, per non cadere – e invece succede spesso –
in un impressionismo generico e inconcludente.
Oltre alle esperienze di tipo critico e comprensivo di cui ho detto, non è da
escludersi che se ne possano attivare anche altre di natura più specificamente
“creativa”. Sul versante linguistico, ad esempio, possono essere elaborati testi
che si adattano a una musica preesistente, dal punto di vista sia del ritmo sia del
significato. Oppure, sul versante musicale, possono essere messi in musica
8 Strumenti dettagliati per affrontare queste esperienze sono proposti nel già citato Della
Casa (1992).

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brevi testi poetici, curando, anche qui, la pertinenza delle scelte formali ed
espressive.
Una stretta complementarità fra musica e parola si ha anche nel caso dei
messaggi multimediali, come spot televisivi o film, in cui entrano in gioco
ulteriori linguaggi. Il significato, qui, è il prodotto dell’interazione fra i vari
media. È perciò essenziale osservare qual è il contributo di ciascun medium,
quali corrispondenze strutturali si creano fra essi (p. es. si riscontra sia nella
musica sia nelle immagini un’intensificazione o un decremento di energia),
quali specifiche funzioni svolge la musica rispetto alla parola e alle immagini
(p. es. rafforza il tono emotivo, fa da legante fra un segmento e l’altro, fornisce
una chiave interpretativa). È interessante sottolineare che per gli autori di
questi prodotti è scontato che la musica significhi qualcosa: mettere una certa
musica o toglierla vuol dire cambiare anche profondamente il senso di uno spot
o di un segmento filmico 9. L’esame e la discussione di multimedia, dunque,
potrebbe essere un contesto particolarmente favorevole per ragionare di
significato musicale.

L’interazione storica
Fra vicende della storia letteraria e vicende della storia della musica, è ben
noto, vi è uno stretto collegamento. I due sistemi sono particolarmente vicini, e
fra essi si intesse una fitta rete di richiami, convergenze, collaborazioni,
intersezioni.
Le conseguenze di tutto ciò, sul piano educativo, sono evidenti. Non appare
possibile, per esempio, accostarsi in modo adeguato al romanticismo letterario
senza tenere conto di quella dimensione musicale che filosofi, teorici e scrittori,
unanimi, considerano come arte per eccellenza, in cui più compiutamente
possono esprimersi gli ideali estetici e le tensioni metafisiche del tempo. Ma,
parallelamente, appare improbabile che si possa avere una corretta
comprensione delle opere musicali di questo periodo senza tenere conto della
produzione letteraria coeva, così come delle tematiche a cui i musicisti, in
modo implicito o esplicito, fanno frequente riferimento.
Non si può fare storia della letteratura, insomma, senza tenere ben aperta
una finestra sulla musica, e viceversa. In linea di principio, pertanto, sarebbe
augurabile che si potessero realizzare nella scuola unità di ricerca dal taglio
interdisciplinare, in cui mettere a fuoco le relazioni fra i due sistemi. Queste
unità, o moduli che dir si voglia, potrebbero riguardare tematiche di vario
genere. Ad esempio:
– nodi riconosciuti dello sviluppo storico e civile, come l’Umanesimo, la
Riforma, l’Illuminismo: si pensi, per fare un esempio più specifico, a

9 È quanto osserva p. es. Cook (2001).

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un’indagine che abbia per argomento la musica e la letteratura politica
all’epoca della Rivoluzione francese;
– temi della mentalità e dell’immaginario che caratterizzano epoche e ambienti,
e che si riflettono nella produzione musicale e poetica: per esempio, il mito
della natura nel ’700; l’orrido e il sepolcrale nella letteratura gotica e nella
musica tardo-romantica;
– analogie di stile, di strutture discorsive, di generi: si pensi, per esempio, al
gusto razionale della simmetria e del netto bilanciamento dei contrasti che
caratterizza la musica del ’700 come molta scrittura letteraria del tempo (e che
ci riporta, in modo trasparente, a un’ideologia soggiacente); oppure si
considerino le analogie strutturali profonde che avvicinano, nell’800, i generi
della Sonata e della Sinfonia al romanzo e al dramma;
– opere esemplari in cui si realizza l’incontro fra testo e musica: per esempio
un melodramma di Verdi, un Lied, una canzone.
Non c’è bisogno di dire che esperienze di questo tipo, in linea generale,
richiedono capacità e pre-conoscenze che possiamo aspettarci soltanto dagli
studenti della scuola media superiore. È a questo livello, dunque, che si può
pensare di proporle. Vi è da augurarsi che nei diversi indirizzi liceali che
risulteranno del riassetto curricolare del secondo ciclo sia possibile reperire gli
spazi e le risorse necessari per la loro progettazione e attuazione.

BIBLIOGRAFIA
Cook N. (2001), Analysing Musical Multimedia, Oxford University Press, Oxford.
Della Casa (1985; rist. 2002), Educazione musicale e curricolo, Zanichelli, Bologna.
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