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Prefazione
Il testo che state per leggere del 1971. Fu scritto da Ugo Pettenghi e pubblicato, dalla Domenica del Corriere, in una collana di opere di storia contemporanea. Dopo oltre quarantanni il fascicolo originale inevitabilmente ingiallito, ma vi assicuro che lunico e modesto segno che il tempo ha lasciato sullopera. Il racconto di Ugo quanto mai attuale, forse in modo preoccupante, se si considera che la sua narrazione riferisce di eventi occorsi in una data ancora pi distante, il 1929. Cito poche frasi, riferite ai titoli azionari negli anni che precedettero quellanno. Lafflusso di migliaia di nuovi acquirenti prese a gonfiare le quotazioni delle azioni in misura tale che ben presto il loro prezzo non ebbe pi alcun rapporto con il capitale reale delle industrie che esse rappresentavano. Sono considerazioni che potrebbero trovare spazio nella pi attuale cronaca finanziaria. E ancora: Fu il momento magico delle holding e degli investment trust. [...] Quasi tutte erano largamente propense alla truccatura dei bilanci e agli aumenti fittizi di capitale attraverso lemissione di nuove azioni. Non sembrano pratiche ancora attuali e, nel nostro Paese, in parte depenalizzate? Unaltra pioggia di azioni venne dagli investment trust, ingegnose organizzazioni che emettevano titoli propri investendo poi il denaro ricavato in titoli di altre compagnie. Il fatto che vendessero molte pi azioni di quelle che acquistavano, non pareva destare alcuna diffidenza. La gente comune non capiva bene il funzionamento di queste alchimie finanziarie, ma aveva una fiducia assoluta negli amministratori dei trust. Nel 2012 al posto di investment trust possiamo leggere di hedge fund o di altri strumenti di investimento opachi se non tossici. Sembra che lunico ad essersi arricchito negli ultimi ottantanni sia stato il vocabolario. Concludo con un nome: Samuel Insull. normale che non vi dica nulla perch fu cancellato dalle cronache nella consapevole rimozione collettiva degli anni successivi alla crisi.
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La sua storia, allo stesso tempo straordinaria e grottesca, descritta in questo libro e ve ne anticipo solo un dettaglio. Insull, pochi anni prima del 1929, crea una societ la cui attivit consiste nellemettere azioni che offrono dividendi eccezionalmente buoni. Per pagare questi dividendi Insull si procura denaro con nuove emissioni di azioni che offrono dividendi ancora pi alti. Per poterli pagare, Insull stampa nuove azioni e le mette a disposizione dei mille e mille risparmiatori che si contendono a colpi di dollari quei miracolosi pezzi di carta. Disputate come sono, le azioni Insull godono di un continuo aumento di quotazioni e aprono la strada allemissione di nuovi titoli. Basta poca fantasia per immaginarlo passeggiare con Bernard Madoff durante lora daria in un carcere statunitense. Questi dettagli sono solo alcune tessere del mosaico che compongono quel periodo, raccontato nelle prossime pagine, al cui centro c il 1929. Un anno lontano ottantatr anni e a noi ancora cos vicino. Mario Pettenghi

La Grande Crisi Degli Anni Trenta


di Ugo Pettenghi Sembrava una riuscita imitazione del paradiso terrestre concentrata in uno spiazzo di mezzo chilometro quadrato fra i grattacieli di New York. Aveva nome Wall Street e negli anni strampalati del charleston vi crescevano abbondanti e alla portata di tutti i miracolosi alberi della ricchezza i cui frutti, per universale convinzione, procuravano la pi invidiabile delle felicit. Il terremoto che distrusse quel paradiso terrestre creato dagli uomini cominci un nebbioso gioved mattina: era il 24 ottobre 1929 e le prime scosse squarciarono il giardino incantato con paurose voragini. Quel giorno fu detto il gioved nero. Poi, nei giorni che seguirono, vennero altre scosse e si spalancarono altre voragini. Ci furono cos un venerd nero, un sabato nero, un luned nero, un marted e un mercoled neri. Fu una lunga settimana uniformemente nerissima, eppure la fine del paradiso terrestre made in USA non fu ancora il peggio. Le onde del terremoto stavano cominciando un inarrestabile giro del mondo e presto sarebbe stata la grande crisi, un flagello che avrebbe afflitto per anni lumanit intera seminandovi miseria, disperazione e rancori. Dopo il terremoto, una disastrosa paralisi per leconomia di tutti i Paesi e, alla fine, la scoperta tacita, ma generale, del pi folle degli antidoti: una corsa collettiva e frenetica al riarmo. Lavoro per milioni di disoccupati, ossigeno per le industrie malate e cannoni per alimentare la tentazione di una seconda guerra mondiale.

Come cominci in presenza di Churchill la settimana nera


Quel gioved mattina New York si era svegliata nel grigiore della prima nebbia dautunno. Un velo appena, ma bastava a dare unaria svogliata al traffico nelle strade. Il solito formicolio di pedoni sui marciapiedi, il solito strombettare di auto (sette Ford modello T su dieci), ma tutto a un ritmo pi quieto, appunto da giornata di nebbia. Pochi minuti prima delle dieci, a Broadway, fra le tante auto scoppiettanti, si fece largo, maestosamente silenziosa, una Rolls Royce scintillante di cromature. Allaltezza della chiesa della Trinit curv piano a sinistra e infil una strada stretta che si snodava lungo i resti di un muro costruito nel XVII secolo per proteggere Manhattan dalle cariche, dei bisonti. Lauto fu costretta a fermarsi dopo meno di duecento metri: una massa compatta di folla vociante si addensava sino in fondo alla strada, raggrumandosi ancor pi fittamente davanti alla facciata severa dello Stock Exchange, il palazzo della Borsa di New York. Lautista della Rolls Royce fece strillare il clacson due, tre volte, poi si gir desolato verso il passeggero che gli sedeva dietro, un uomo massiccio, vestito di nero, con una grande cravatta di seta azzurra e un enorme sigaro stretto fra le labbra. Un avvenimento storico come linizio della grande crisi stava per avere un testimone, che nella sua lunga vita, avrebbe avuto molte altre occasioni dinciampare nella storia. Luomo con il sigaro si chiamava Winston Churchill, aveva 55 anni e sino a pochi mesi prima era stato cancelliere dello Scacchiere del regno di Gran Bretagna, responsabile della po7

litica economica tuttaltro che brillante del governo conservatore di Stanley Baldwin. Churchill, da una decina di giorni, stava facendo con la moglie un viaggio di vacanza negli Stati Uniti: quella mattina aveva deciso di visitare la Borsa di New York, il paradiso terrestre dove per alcuni milioni di americani stava compiendosi il miracolo della ricchezza. Luomo col sigaro, di quel miracolo aveva una conoscenza diretta e molto amara: la corsa allacquisto di azioni alla Borsa di New York era stata una delle cause della fuga di oro dallInghilterra agli Stati Uniti e lemorragia monetaria si era rivelata fatale al gi debole governo di cui aveva fatto parte. Fra poco, lo avesse animato un desiderio di acida rivalsa, avrebbe avuto abbondantemente di che soddisfarlo: loro fuggito dalla Gran Bretagna stava per polverizzarsi fra le rovine di quello che aveva finito di essere un paradiso terrestre. Sceso dallauto, Winston Churchill, per raggiungere lingresso della Borsa, dovette sgomitare tra la folla. Almeno cinquemila persone. Circa il doppio di quanti, da alcuni mesi, si raccoglievano ogni giorno attorno allo Stock Exchange a bearsi dei balzi in alto delle quotazioni dei titoli azionari. Quel giorno il rumoreggiare della folla non aveva niente di festoso: un tam-tam misterioso aveva propagato la voce che i prezzi delle azioni, schizzati in cielo con la velocit dei razzi dei fuochi artificiali, erano arrivati al culmine della parabola e ora, appunto come fuochi dartificio, stavano scoppiando con sinistri crepitii. Winston Churchill, sventolando un lasciapassare firmato da Andrew Mellon, il segretario al Tesoro americano, riusc finalmente a entrare nella hall della Borsa. Fra le pareti rilucen8

ti di marmo e di fregi dorati era esploso il panico. Davanti a ciascuno dei diciotto sportelli di vendita, agenti di cambio e clienti saccalcavano urlando. Il grande tabellone elettrico con i prezzi delle azioni in cifre luminose lampeggiava impazzito: la frana delle quotazioni pareva incontenibile. Le azioni della Westinghouse erano scese di 25 punti rispetto al giorno prima, le Blue Ridge di 14, le General Electric di 20. I telefoni sulle scrivanie degli agenti di cambio squillavano frenetici. Da ogni apparecchio che veniva alzato, la voce angosciata di un cliente: Venda! Venda tutte le mie azioni! Un banchiere che aveva riconosciuto Churchill tra la folla si fece largo a spintoni e lo raggiunse. Era congestionato in volto. il disastro gemette allargando le braccia. Lex cancelliere dello Scacchiere non era un genio della finanza: in ogni fatto economico inconsueto era portato a vedere il risultato di un complotto socialista o una manovra dei tenebrosi dominatori di Wall Street, i finanzieri. Poich, con ogni evidenza, i socialisti questa volta non centravano, Churchill dovette pensare a un oscuro maneggio degli stregoni delleconomia americana: Forse c qualcuno disse che gioca al ribasso. Spargono la paura per poi rastrellare le azioni a poco prezzo. Questa storia non durer a lungo. I fatti immediatamente successivi parvero dargli ragione. Due ore dopo, quando Winston Churchill aveva appena lasciato il palazzo della Borsa, il tabellone con le cifre luminose si ferm e si ferm anche la convulsa compravendita delle azioni. Un altro misterioso tam-tam aveva portato la notizia che al 23 di Wall Street, negli uffici della banca Morgan erano riuniti cinque fra i pi potenti finanzieri dAmerica: Thomas W. Lamont, dirigente della Morgan, Charles Mitchell, presi9

dente della National City Bank, Albert Wiggin e William C. Potter, della Chase National Bank, e Sewrd Presser, della Bankers Trust Company. La folla in Borsa tratteneva speranzosa il respiro. I cinque grandi sacerdoti delleconomia della nazione si erano certamente radunati per celebrare un magico rito che avrebbe infallibilmente salvato il mercato dalla rovina. Unora pi tardi (era luna) Richard Whitney, alto funzionario della banca Morgan vicepresidente della Borsa e, per loccasione, messaggero speciale dei cinque finanzieri, usc dalledificio numero 23 di Wall Street e varc la soglia dello Stock Exchange. La folla raccolta nella hall gli fece largo in silenzio: arrivava langelo delle salvezza. Whitney si ferm davanti a uno degli sportelli di vendita e domand ad alta voce quale fosse la quotazione di uno dei titoli pi disastrati, lU.S. Steel. Era in vendita a 193 dollari. Whitney gir lentamente lo sguardo sui volti tesi che gli erano tuttattorno, poi annunci con solennit: Compro 25 mila azioni U.S. Steel a 205 dollari! Tutto ci che i cinque grandi sacerdoti potevano fare era questo? Troppo poco, e soprattutto troppo tardi. Intanto, una nuova ondata di folla stava rumoreggiando davanti alla Borsa. Dai quartieri del Bronx, di Newark, di Brooklyn, strombettando istericamente sulle loro Ford T acquistate a rate, migliaia di piccoli impiegati e di bottegai che si erano illusi di poter diventare miliardari investendo in azioni tutti i risparmi e indebitandosi per comprarne altre ancora, si erano precipitati a Wall Street. Ora assediavano la Borsa con la speranza di riuscire a vendere in tempo quei pezzi di carta che cos rapidamente perdevano valore e che presto forse avrebbero toccato lo zero.
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Il bluff psicologico dei cinque finanzieri era fallito. Adesso gli ordini di vendita cominciavano ad arrivare da ogni parte del Paese. Due ore dopo, quando la campana dargento della Borsa annunci la chiusura degli sportelli, erano state vendute 12.894.650 azioni. Alluscita del palazzo della banca Morgan, Thomas W. Lamont fu circondato dai giornalisti. Era pallidissimo, ma sorrideva in modo rincuorante: C stata un po di vendita di necessit in Borsa, ma si trattato soltanto di un assestamento tecnico e le cose sono suscettibili di miglioramento rapido. Con questa ottimistica, sebbene poco decifrabile diagnosi, ruppe lassedio, raggiungendo in fretta la Cadillac con autista gallonato che lo attendeva l vicino. Erano le 15.30 e davanti alla Borsa la folla era aumentata ancora. Dieci, undicimila persone che si passavano lun laltra le prime notizie sulle conseguenze del crollo delle azioni: Nella Quinta Strada un banchiere si buttato dalla finestra, e poi: Dalle acque dellHudson hanno ripescato i cadaveri di tre risparmiatori rovinati..., e ancora: Un agente di cambio si tagliato la gola. Ben presto il numero dei suicidi di cui correva voce tra la folla sal a undici. Ma non era vero, o meglio, non era vero ancora: i piccoli banchieri ridotti sul lastrico, i risparmiatori che avevano perduto tutto e gli agenti di cambio rimasti senza un dollaro erano ancora troppo sbigottiti per riuscire a trovare una via duscita, fosse pure il suicidio. Lo sbalordimento non era ancora diventato disperazione, ma la gente davanti alla Borsa era pronta a giurare sulla realt di quei suicidi e quando sul tetto dello Stock Exchange comparve la figura di un uomo, si lev un urlo generale di raccapriccio. Il presunto candidato al suicidio, spaventato, fece un balzo e
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per poco non piomb nel vuoto davvero. Era un muratore incaricato di sostituire una lastra di vetro di un lucernario e di ci che stava accadendo cinquanta metri sotto di lui non sapeva assolutamente nulla. Fin ugualmente nellelenco dei suicidi di cui ormai si parlava in tutta la citt: dodici morti, tredici, venti... A mezzanotte un cliente si present al Waldorf-Astoria, lalbergo pi elegante di New York, e chiese una camera raccomandando che fosse a uno degli ultimi piani. Non voleva essere disturbato dal rumore del traffico della strada, ma non lo disse e il portiere sent il bisogno dinformarsi: per dormire o per saltare dalla finestra?. Finiva la prima giornata della settimana nera di Wall Street.

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Vendere a ogni costo: la borsa crolla e si scatena unondata di suicidi


Venerd 25 e sabato 26 ottobre furono giornate di follia. Dalla Casa Bianca era stata diffusa una dichiarazione che aveva acceso le ultime speranze: Leconomia del Paese aveva detto il presidente Hoover posa su basi solidissime. Soltanto listerismo responsabile del panico: il mercato ritrover presto la calma. Rapidamente, sotto la bandiera dellottimismo presidenziale, si schierarono i nomi pi sonanti della finanza: Nella situazione economica attuale non c nulla che giustifichi il nervosismo, proclam alla radio Eugene Stevens, presidente della Continental Bank. Leliminazione di alcuni piccoli speculatori risulter vantaggiosa per la Borsa, sentenzi Howard Hopson, capo dellAssociated Gas and Electric. Una grande compagnia finanziaria acquist unintera pagina del Wall Street Journal per pubblicare queste poche parole: A-T-T-E-N-T-I. Bisogna ragionare con calma. Date retta alle parole di fiducia dei pi grandi banchieri dAmerica. Ma lincantesimo era rotto. Il tabellone luminoso della Borsa non riusciva pi a reggere il ritmo dei ribassi delle azioni: le quotazioni che vi si leggevano erano in ritardo di due o tre ore sui nuovi prezzi. Da tutto il Paese arrivavano ondate di titoli in vendita Domenica 27 ottobre, in moltissime chiese furono pronunciati sermoni che parlavano di meritata punizione divina per quegli americani che la bramosia di ricchezza aveva reso ciechi davanti ai valori spirituali. Chiss, forse la collera celeste si era davvero placata e domani le azioni avrebbero rico13

minciato a salire. Quella sera a Broadway, il teatro dove si replicava lo Show Boat di Kern e Rammerstein registr il primato mensile degli incassi; la sala da ballo di Harlem dove Duke Ellington proponeva il suo stile jungla si riemp da scoppiare; davanti ai cinema che avevano in programma Hallelujah di King Vidor si formarono lunghe code. A Brooklyn, nel principale circolo italo-americano, un conferenziere fascista venuto da Roma spieg alluditorio che la prosperit americana sarebbe stata presto uguagliata e magari superata da quella dellItalia fascista che, proprio in quelle ore, si stava preparando a festeggiare il settimo anniversario della rivoluzione voluta da Benito Mussolini. Il luned, 28 ottobre, le residue speranze svanirono. Alle 11, in Borsa, le azioni della U.S. Steel erano scese di altri 17 dollari, le General Electric di 47 e mezzo, le Westinghouse di 34. Tutti gli agenti erano tempestati di telefonate perentorie: Venda! Venda a qualsiasi cifra. A mezzogiorno erano state vendute, a prezzi via via decrescenti, tre milioni di azioni. I cinque grandi sacerdoti di Wall Street tornarono a riunirsi nella banca Morgan e vi rimasero sino alle 18.30. Fu qualcosa di assai simile a un rito funebre e quando fin Thomas W. Lamont and a leggere ai giornalisti il de profundis dellepoca doro del capitalismo americano: Mantenere un ragionevole livello dei corsi in Borsa non nelle nostre possibilit. Noi non abbiamo che un dovere, quello di far s che il mercato sia ordinato. Se il disastro inevitabile, si eviti almeno il caos. I giganti di Wall Street non avevano saputo escogitare altro: agli americani rovinati dal ciclone borsistico non offrivano altra via che la rotta in buon ordine.
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E invece, il marted mattina, la rotta fu disordinata. Nel salone dello Stock Exchange le offerte di vendita parevano invocazioni di mendicanti. Azioni delle macchine per cucire White. Prezzo di listino del 23 ottobre, 48 dollari, prezzo del 28 ottobre, 11 dollari e mezzo. Vendo duemila azioni: fate unofferta, gridava un agente sporgendosi dal suo sportello. Finalmente un fattorino della Borsa disse forte: Mezzo dollaro luna. Voleva essere una battuta di spirito, ma non ci furono altre offerte e il fattorino si trov proprietario per poche banconote di una grossa fetta di una delle pi solide imprese industriali degli Stati Uniti. Cos come durante il boom quasi tutte le azioni erano salite incredibilmente molto al di sopra del loro reale valore, ora, nella corsa nevrotica alle vendite, anche i titoli azionari di industrie sanissime colavano a picco assurdamente. A mezzogiorno, John Holloway, un anziano ex commerciante del Bronx che da mesi passava le sue giornate allo Stock Exchange, vide sul tabellone luminoso che le azioni della Blue Ridge da 24 dollari erano scese a 3. Aveva investito in quel titolo tutti i suoi risparmi. Prima di afflosciarsi senza vita rest per qualche secondo con gli occhi fissi sullinesorabile danza delle cifre luminose. Mezzora pi tardi, Anne Pearson, una commessa che lavorava in una gioielleria di Broadway, simpiccava a una trave del soffitto del retrobottega. Sparpagliati sotto i suoi piedi cerano i certificati dacquisto di azioni per 60 mila dollari: le aveva comperate appena una settimana prima versando per al suo agente soltanto un acconto di 6 mila dollari. Ora quelle azioni valevano meno di 500 dollari.
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Il rosario dei suicidi cominciava a sgranarsi davvero. Thomas Miller, presidente della Rochers Gas and Electric, scelse il gas; il banchiere John J. Riordan prefer spararsi un colpo di pistola in bocca; un commerciante che i giornali indicarono soltanto con le iniziali R. H. riemp di benzina una vasca di cemento nel giardino di casa, vi appicc il fuoco e vi si butt dentro: nel tentativo di strapparlo alle fiamme la moglie ebbe carbonizzate le mani. Nel pomeriggio, dopo che la Borsa aveva chiuso registrando un ribasso medio di 40 dollari per azione, vi furono altri morti, tutti per accompagnati da certificati che attribuivano a collassi cardiaci le cause dei repentini trapassi. Suicidi mascherati con laiuto di compiacenti medici di famiglia? Probabile. Limprovvisa moria pareva prediligere i piccoli banchieri, gli agenti di borsa, gli speculatori della borghesia medio alta. Nei primi giorni della settimana nera la catastrofe aveva travolto i piccoli giocatori, i bottegai, i tassisti e gli impiegati a 100 dollari la settimana che si erano illusi di aver trovato in Borsa la loro miniera doro: adesso, toccava agli uomini daffari pi robusti, ai banchieri di medio calibro, ai miliardari di recente fortuna. Invulnerabili, come sempre, soltanto i grossi nomi. Attorno agli imperi dei Du Pont (chimica, petrolio e gomma), dei Ford (automobili) e dei Rockefeller (petrolio) le onde della tempesta si frangevano impotenti: erano imperi costruiti su solide ricchezze, non su montagne di titoli azionari. La crisi non pareva riguardarli. La Casa Bianca cerc di coinvolgerli, di mobilitarli perch con il loro prestigio ridessero un po di fiducia al Paese ormai
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in preda al panico. Allappello del presidente Hoover che aveva telefonato a tutti rispose soltanto uno spettro di 90 anni, John D. Rockefeller, Limperatore della Standard Oil. Nel primo pomeriggio di mercoled 30 ottobre, il pi famoso dei miliardari dAmerica lasci la propria casa di campagna di Pocantico Hills, a una trentina di chilometri a nord di New York, e raggiunse in auto Wall Street, dove era stata convocata una conferenza stampa. Ai giornalisti, Rockefeller fece limpressione di una mummia regale uscita dal sarcofago. Il viso esangue sotto una ragnatela di rughe, i capelli incredibilmente candidi, gli occhi senza luce, il vegliardo parl lentamente, con voce da oracolo: Niente disse giustifica il crollo dei valori in Borsa che ha avuto luogo nei giorni scorsi. Ci troviamo di fronte a un panico che non ha nulla di motivato. Poich crediamo che la situazione del Paese sia salda e vigorosa e poich abbiamo fiducia in una sollecita ripresa, mio figlio e io abbiamo deciso di acquistare forti quantit di sicure azioni.... Quella sera stessa, su un palcoscenico di Broadway, lattore Eddie Cantor comment: Si capisce, soltanto a lui e a suo figlio rimasto qualche dollaro in tasca. Levocazione del fantasma novantenne non funzion: il Paese era ormai sprofondato nello sgomento. Prima della mezzanotte un breve comunicato della radio di New York annunci che la Borsa, il giorno successivo, gioved, si sarebbe aperta soltanto per poche ore nel pomeriggio e che il venerd e il sabato sarebbe rimasta chiusa. Lannuncio fu salutato da manifestazioni di giubilo nelle strade: tutti avevano i nervi a pezzi e la chiusura dello Stock Exchange almeno si sperava avrebbe riportato un po di calma.
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Il giorno seguente, durante le tre ore di apertura della Borsa, il mercato ebbe qualche momento di ripresa, ma nessuno si illuse: il tempo dei sogni, era finito e lAmerica si accingeva a pagare cara lorgia delle illusioni dei mesi addietro. Che cosera accaduto? Dovera finita la spensierata, felice America 1928 che il candidato alla Casa Bianca Herbert Hoover prometteva di rendere ancora pi felice? Un buon anno, il 1928. Siamo ormai vicini alla vittoria sulla povert, andava dicendo il candidato repubblicano nei suoi discorsi elettorali, ed era esattamente ci che pensava anche ogni buon cittadino USA. La prosperit, o meglio la ricchezza, dietro langolo di ogni strada, diceva anche Herbert Hoover e il suo sembrava un ottimismo fin troppo cauto. Non occorreva, infatti, girare langolo della strada: le immagini della ricchezza erano molto pi a portata di mano. Uno spettacolo inebriante: venticinque milioni di automobili, fabbriche di radio e di frigoriferi incapaci di soddisfare la marea delle richieste, quartieri residenziali che crescevano smisuratamente attorno alle citt, grattacieli sempre pi fitti e pi alti. I giornali traboccavano di statistiche esaltanti e di notizie splendide: il cibo americano era migliore e pi abbondante che in ogni altra parte del mondo; lacquisto di azioni della Compagnia per il dissalamento dellacqua di mare prometteva di essere pi vantaggioso del possesso di un pozzo petrolifero nel Texas; disoccupazione e scioperi erano calati a livelli trascurabili: negli ultimi tre anni gli iscritti ai sindacati erano diminuiti di un milione; gli investimenti di denaro allestero erano passati dai 2 miliardi e mezzo del 1922 a oltre 15 miliardi; continuando il ritmo favorevole del18

leconomia, entro i prossimi dodici mesi si sarebbero avuti in America diecimila nuovi milionari. Industriali e banchieri godevano di prestigio smisurato. Grazie alla loro intraprendenza la ricchezza fioriva in ogni parte del Paese e di questa ricchezza la Borsa di New York era il simbolo pi fedele: lo Stock Exchange pi che un mercato finanziario, era ormai un campo dei miracoli fertilissimo di dollari. Come funzionasse il meccanismo la gente non sapeva bene: sapeva per che bastava acquistare qualche azione, qualche pezzo di carta del valore di un dollaro, per vedere quel dollaro moltiplicarsi come per prodigio. Le notizie di Borsa trasmesse ogni pomeriggio dalla radio di New York sembravano bollettini trionfali della guerra alla povert: Oggi le Radio Corporation of America sono salite di 20 dollari, le U.S. Steel di 18. Con il passare delle settimane di quel meraviglioso 1928 la schiera dei candidati alla ricchezza singigantiva: nei salotti, il posto dei poeti e degli artisti era stato conquistato dagli esperti di Borsa e le conversazioni vertevano su temi ricchi di fascino: lemissione di nuove azioni Westinghouse, lultimo rialzo dei titoli Wright Aereo, le promettenti prospettive delle Montgomery Ward. Il pi noto economista del momento, il professor Charles Dice scriveva sui giornali: Guidati da questi potenti cavalieri dellindustria, ai quali si sono uniti molti operatori professionisti che hanno avuto lintuizione del progresso, il mercato azionario ha cominciato la marcia in avanti come le falangi di Ciro, parasanga su parasanga, giorno per giorno.
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Furono consultate le enciclopedie e si apprese che la parasanga, ununit di misura degli antichi persiani, corrispondeva a una quindicina di metri. La prospettiva di un mercato capace di fare ogni giorno un balzo in avanti di quindici metri fu giudicata oltremodo incoraggiante e nel giro di poche sedute la Borsa di New York fu invasa da oltre quattromila nuovi speculatori. Il professor Dice non era un isolato cantore della prosperit. A met estate il presidente della General Motors, John Raskob, scriveva per le lettrici del Ladies Home Journal: Ciascuno pu, diventare ricco perch la fortuna alla portata di ciascuno. Appena 15 dollari investiti ogni mese in Borsa, grazie allaccumulazione dei dividendi; possono produrre dopo ventanni un capitale di 80 mila dollari. In breve tutta lAmerica, da Boston a New York, si convert alleccitante gioco della speculazione borsistica. In tempi di proibizione delle bevande alcoliche e di divieto delle scommesse alle corse, la Borsa divenne la sola legale dispensatrice dellebbrezza e della fortuna. Saltare sulla giostra della ricchezza era semplice: bastava entrare nellufficio di un agente di cambio. Ce nerano ormai 75 mila negli Stati Uniti. Uno dei pi frequentati era a Manhattan, allangolo fra Madison Avenue e la 63esima StreetEst: un ingresso scintillante di cristalli, un lungo bancone disseminato di telefoni, due crepitanti telescriventi collegate con la Borsa, quindici impiegati con la visiera di celluloide verde. Qui i commessi di negozi a 50 dollari la settimana potevano provare emozioni da astuto finanziere. Ogni aspirante miliardario venuto ad acquistare azioni doveva versare allagente di cambio soltanto un anticipo pari al 10 per cento
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del loro ammontare. Lagente di cambio, grazie ai prestiti di una banca, copriva il restante 90 per cento e conservava i titoli in cassaforte. A questo punto il compratore delle azioni doveva soltanto aspettare che i titoli salissero: quando la loro quotazione era aumentata di dieci o venti volte poteva venderle, rimborsare allagente di cambio la somma prestata a copertura e intascare la differenza fra il prezzo iniziale delle azioni e quello dellultima quotazione. Cos, senza neppure mettere piede in Borsa, ogni americano poteva coglierne i frutti dorati. Lafflusso di migliaia di nuovi acquirenti prese a gonfiare le quotazioni delle azioni in misura tale che ben presto il loro prezzo non ebbe pi alcun rapporto con il capitale reale delle industrie che esse rappresentavano. Nel pieno dellestate, la fame di azioni esplosa dissennatamente fra casalinghe, barbieri e tassisti, intimamente persuasi di essere predestinati al successo economico, assunse, proporzioni epidemiche. I nuovi clienti degli agenti di cambio, per ottenere un pacchetto di azioni della Compagnia per la fabbricazione del sapone con olio di banano, erano disposti a sacrificare fiduciosi i risparmi di unintera esistenza. Fu il momento magico delle holding e degli investment trust. Le holding erano gigantesche societ finanziarie: alcune di esse controllavano le compagnie dellelettricit, del gas e dellacqua di interi Stati, altre possedevano catene di cinema e di teatri, altre ancora avevano reti di negozi, di grandi magazzini, di alberghi. Quasi tutte erano largamente propense alla truccatura dei bilanci e agli aumenti fittizi di capitale attraverso lemissione di nuove azioni.
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Una societ finanziaria, spiegava molto seriamente lumorista Will Roger consiste in questo: voi potete passare a un complice la merce rubata mentre un poliziotto vi sta perquisendo. Le grandi societ finanziarie, aggirando le leggi (molto tolleranti) che avrebbero dovuto disciplinare la loro attivit, cominciarono dunque a far piovere sul mercato uno sfarfallio colossale di nuove azioni che furono subito disputatissime. Unaltra pioggia di azioni venne dagli investment trust, ingegnose organizzazioni che emettevano titoli propri investendo poi il denaro ricavato in titoli di altre compagnie. Il fatto che gli investment trust vendessero molte pi azioni di quelle che acquistavano, non pareva destare alcuna diffidenza. La gente comune non capiva bene il funzionamento di queste alchimie finanziarie, ma aveva una fiducia assoluta negli amministratori dei trust. Del resto, sui giornali comparivano regolarmente inserzioni rassicuranti che proclamavano: Il nostro trust ha come consulenti i pi famosi economisti del Paese: per voi, per dar valore ai vostri dollari, abbiamo mobilitato in notevole misura la trionfante intelligenza affaristica degli Stati Uniti. Anche le azioni emesse dai trust andarono a ruba, ma non bastava ancora. Sempre nei cuore di quella folle estate, John Raskob, che dalla General Motors era passato alla direzione del comitato nazionale del partito democratico, forse per contrastare la marcia sulla Casa Bianca di Herbert Hoover (mancavano pochi mesi alle elezioni) propose un piano per dare la ricchezza anche agli americani pi poveri. Il mio piano assicur Raskob ha lapprovazione di finanzieri, di economisti, di banchieri e di molti uomini non di primo piano, ma ricchi di idee. In breve, si trattava di questo. Innanzitutto,
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occorreva organizzare una speciale societ per lacquisto di azioni: un tassista con 200 dollari di risparmi, per esempio, avrebbe potuto affidare i suoi soldi alla societ incaricandola di acquistare titoli per 500 dollari. La differenza di 300 dollari sarebbe stata coperta da una seconda societ, presso la quale tutti i titoli di tutti i clienti sarebbero stati depositati in garanzia. Il tassista, pagando il suo debito a rate di 25 dollari al mese, avrebbe potuto ritirare dopo un anno 500 dollari dazioni che, nel frattempo, sarebbero immancabilmente cresciute di valore: mille dollari, duemila, chiss Lannuncio del piano Raskob fu accolto, con unemozione pari a quella che avrebbe suscitato la notizia della scoperta dellelisir della giovinezza eterna, ma non ferm Hoover sulla strada della Casa Bianca, e con lelezione del nuovo presidente lintero Paese si abbandon a quella che negli anni successivi fu concordemente definita una vera e propria orgia speculativa. Si speculava forsennatamente a Wall Street; giocavano in Borsa a Chicago i gangster di Al Capone appena reduci dalla strage di San Valentino (sette uomini di una banda rivale spazzati via in un garage a colpi di pistola mitragliatrice); a Los Angeles, lattore pi fortunato dellanno, Douglas Fairbanks senior, investiva in azioni lintero compenso che gli era stato dato per il film La maschera di ferro. In dicembre, le vedove di Rodolfo Valentino, le centinaia di migliaia di donne americane che coltivavano appassionatamente la memoria dellattore ucciso dalla peritonite due anni prima, e che per la gran parte erano diventate accanite giocatrici in Borsa, trovarono sui giornali due notizie ugualmente appassionanti: la prima diceva che Rodolfo Valentino, in realt, era stato av23

velenato da un innamorato di Pola Negri con un cocktail spruzzato di polvere di diamante e di arsenico; la seconda attribuiva alla stessa Pola Negri, lultima compagna del divo tanto rimpianto, lacquisto recente di oltre un milione di dollari di azioni. La prima notizia, quella sullassassinio del divo era falsa, la seconda era vera e Pola Negri ne avrebbe fatto le spese trovandosi, lanno dopo, quasi completamente rovinata. Si poteva giocare in Borsa anche a bordo dei transatlantici di lusso in navigazione fra gli Stati Uniti e lEuropa, lIle de France e il Leviathan. Il compositore Irving Berlin fu fortunato: durante un viaggio sullIle de France decise di vendere 10 mila azioni della Paramount Famous Lasthy e ne ricav 72 dollari luna. Nel crollo di Wall Street, quelle stesse azioni sarebbero diventate inutili pezzi di carta. Assai meno fortunati gli speculatori dellultima ora, i ritardatari che nei primi mesi del 1929 erano disposti a impegnarsi lorologio per avere qualche azione della Societ per limportazione di somari dalla Spagna. Il disastro si disegnava nellaria: il mercato azionario era ormai un pallone troppo gonfiato. I primi allarmi non furono ascoltati. Le poche timide Cassandre, il direttore del Commercial and Financial Chronicle e lesperto di Borsa del New York Times, che osavano profetizzare unimminente flessione del mercato, furono tacciati di disfattismo e i loro prudenti avvertimenti furono equiparati a un deliberato tentativo di sabotare lo sviluppo economico del Paese. Fu giudicata addirittura blasfema la predizione delleconomista Roger Babson secondo il quale: Prima o poi ci sar un crollo e sar tremendo: gli operai resteranno senza lavoro, le fabbriche dovranno chiudere e il circolo vizioso travolger tutto. Le parole di Babson erano certamente un
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concentrato di falsit e di perfidia ai danni della legittima aspirazione alla ricchezza di tanti buoni americani: il boom, potevano vederlo tutti, appariva pi florido che mai. Ancora durante lestate 1929 lillusione collettiva era autorevolmente incoraggiata. Dalluniversit di Yale, leconomista Irving Fishser sentenziava: I titoli azionari non sono ancora allaltezza del loro valore reale. Saliranno ulteriormente anche perch sul mercato non si sono ancora registrati i benefici del proibizionismo che ha reso loperaio americano pi sobrio e pi produttivo.... Verso la met di settembre, alla Borsa di New York si ebbero i primi scricchiolii. In quei giorni il dirigibile tedesco Zeppelin stava compiendo il giro del mondo; da Parigi arrivavano i primi vestiti femminili che mortificavano le curve dei fianchi e le rotondit del seno; il romanzo di Remarque AllOvest niente di nuovo diventava un bestseller, e Babe Ruth stava rivelandosi il pi grande giocatore di baseball di tutti i tempi. Ma gli appassionati di aeronautica, le signore attente alla moda, i compratori di libri e i tifosi di baseball avevano altro da pensare. In una movimentata giornata di Borsa le azioni U.S. Steel erano scese da 255 dollari a 246, la Westinghouse aveva perduto 7 punti e la Tel and Tel 6. Che cosa stava accadendo? I pi si rincuorarono con la rosea diagnosi emessa dalla Harvard Economic Society (un istituto universitario che era giudicato il pi sensibile barometro della situazione finanziaria): Una severa depressione dicevano a Harvard non rientra nel novero delle probabilit. Qualcuno, invece, cominci a pensare che fosse ormai venuto il momento di vendere, di saltare gi dal treno in corsa prima del disastro. Come le folli speranze che lo avevano preceduto,
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anche il panico doveva rivelarsi contagioso: un contagio pi lento, perch le illusioni sono dure a morire, ma intanto i germi della paura si propagavano. Nelle prime due settimane di ottobre cominci a gravare sullo Stock Exchange un malessere indecifrabile: pochi acquisti tentennanti e sempre pi frequenti offerte di vendita a prezzi via via decrescenti. Il 15 ottobre, il solito professor Fisher dichiar ai giornalisti: Mi aspetto di vedere presto il mercato a un livello assai pi elevato di oggi. E ripet questa sua assoluta convinzione anche il 21 ottobre, ma il suo ottimismo non riusc a esorcizzare il fantasma della crisi che stava avvicinandosi. Appena due giorni dopo, in tutto il Paese, migliaia e migliaia di americani arrivavano alla medesima conclusione: era veramente arrivato il momento di vendere le azioni. Lo avrebbero fatto, tutti insieme, la mattina dopo, gioved 24 ottobre 1929.

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Milioni di disoccupati mentre Roosevelt arriva alla Casa Bianca


Il grande crollo dilag negli Stati Uniti come una pestilenza: non accatastava molti cadaveri, ma seminava ugualmente miserie e disperazione. Eppure, durante la rovinosa settimana nera e nei giorni immediatamente successivi, si fece ogni sforzo per tenere gli occhi chiusi davanti al disastro. Come per la peste manzoniana. In principio dunque non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche parlarne.., poi, non vera peste; vale a dire peste s, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un nome... Fu cos anche per il grande crollo: un crollo cera stato s, ma non proprio, e in un certo senso... Fra i giornali si accese la gara delleufemismo: in Borsa si era verificato un ridimensionamento del mercato, un declino momentaneo. Quando la rovina divenne troppo vistosa per poter essere ancora negata, cominci la corsa ai ripari. Fu condotta soprattutto a parole ed ebbe aspetti grotteschi. James T. Walker, rieletto sindaco di New York il 6 novembre con 865 mila voti contro i 368 mila dellaltro candidato, Fiorello La Guardia, mentre sui giornali comparivano i primi lunghi elenchi di imprese dichiarate fallite, convoc i distributori e i produttori di film per esortarli a fornire ai cinematografi spettacoli in grado di risollevare il coraggio e la speranza nel cuore della popolazione. Occorreva ben pi della mobilitazione di Hollywood, e infatti lappello di Walker non ebbe altro risultato che contribuire a un decennio di film destinati a tener lontana la gente dal pensare.
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Non risollevarono il coraggio e la speranza neppure gli appelli alla calma che arrivavano dalla Casa Bianca. Sotto lo shock del crollo azionario lAmerica scopriva con sgomento che la sua industria aveva avuto uno sviluppo caotico, che lagricoltura era in crisi, che il miracolo della prosperit aveva sfiorato soltanto una parte della popolazione e che durante il boom la ricchezza dei ricchi era cresciuta pi rapidamente di quanto fosse diminuita la povert dei poveri. Il meccanismo della recessione funzionava ormai con linesorabilit di una reazione a catena: caduta delle vendite in tutti i settori commerciali, crisi delle aziende, riduzione dei salari, licenziamenti. Con laumento della disoccupazione, nuova contrazione delle vendite, altre aziende in crisi, altri fallimenti, e ancora disoccupati. Otto settimane dopo il gioved nero, quattro milioni di americani avevano perduto il lavoro, 640 banche private erano fallite e alcune migliaia di piccole imprese avevano chiuso i cancelli. A New York, dove il flagello si era abbattuto pi violento, centinaia di ex milionari scopertisi in miseria vendevano mele agli angoli delle strade o si univano alla folla dei diseredati in coda davanti alle sedi dellEsercito della Salvezza per ricevere una scodella di zuppa. Cerano lunghe code davanti alle panetterie di fortuna allestite dagli enti di beneficenza: con la rovina, gli americani erano passati dalla fame di azioni alla fame di pane. Davanti alle fabbriche chiuse i disoccupati offrivano se stessi allasta: per pochi dollari erano pronti ad accettare condizioni assai prossime alla schiavit. Uomo di fatica robusto e volonteroso. disposto a lavorare 14 ore al giorno per un dollaro, gridava un improvvisato banditore. Quasi sempre
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lo schiavo bianco restava senza compratore. Nei mesi successivi, attorno a tutte le maggiori citt americane, cominciarono a sorgere sterminati sobborghi costruiti con rottami di auto, lamiere rugginose, casse di sapone e bidoni di benzina. In odio al presidente Hoover, considerato ormai uno dei responsabili della miseria, questi baraccamenti erano chiamati hoovervilles, citt di Hoover. Unindagine federale accert, durante il febbraio 1930, che 28 mila imprese commerciali erano in crisi e non avrebbero retto per molto. Fallirono tutte, infatti, nellarco di dodici mesi con passivi per oltre un miliardo e mezzo di dollari. Alla propaganda comunista non mancavano solidi argomenti per mobilitare le masse. Rispondendo allappello di William Foster, primo segretario del partito comunista americano, il 5 marzo 1930 (i disoccupati erano ormai 7 milioni) quarantamila novaiorchesi invasero i prati dellUnion Square. Era una folla di miserabili con scarpe sfondate e fogli di giornali sotto le camicie per difendersi dal freddo. Foster, inerpicatosi sul piedistallo del monumento a George Washington, arring. quellesercito di disperati per unora, poi url: Allassalto del palazzo del sindaco!. Si form un disordinato corteo che prese ad avanzare tumultuando lungo la Quinta Strada. Vi fu una prima carica della polizia a cavallo, seguita da unaltra e da unaltra ancora. Non fu necessario far ricorso alle armi da fuoco: denutriti, avviliti e sfiduciati comerano, i dimostranti furono dispersi facilmente a bastonate. Una ventina di feriti, quattordici arresti. Sconvolto dalla notizia dei disordini il presidente Hoover decise di rivolgere quella sera stessa un appello radio alla nazione. Ai milioni di disoccupati che ancora speravano in un aiuto del governo, che invocavano un pur misero sussidio,
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Hoover offr il conforto di un assurdo ottimismo: Entro sessanta giorni, io ve lo prometto solennemente, gli Stati Uniti torneranno alla normalit. Lingegner Herbert Hoover, il presidente miracolo comera stato chiamato in tempi migliori, rifiutava ancora di prendere atto della realt. Hoover aveva un libro prediletto che leggeva ogni giorno, Come essere padroni di s grazie allautosuggestione del dottor Cowe, e forse questo poteva spiegare la ferma fiducia che ostentava, ma i milioni di americani che lo ascoltavano non avevano la risorsa dellautosuggestione e la promessa presidenziale non li rasseren. Il giorno successivo alla perorazione le azioni U.S. Steel, che durante il boom erano salite a 261 dollari e che erano riuscite a superare il ciclone della crisi ancorandosi a quota 150, precipitarono a 21 dollari e un quarto. A un tristissimo 1930 segu un tragico 1931: fallirono altre 29 mila imprese con un passivo complessivo di 730 milioni di dollari e i disoccupati superarono gli otto milioni. Sul finire dellanno, il presidente Hoover era politicamente agonizzante: il suo stesso partito gli voltava le spalle e una schiera non piccola di repubblicani progressisti era ormai trasmigrata nelle file del partito democratico il cui numero uno, il governatore dello Stato di New York, Franklin Delano Roosevelt, andava predicando la necessit di attingere alle riserve federali per assistere i disoccupati e per creare nuovi posti di lavoro con una politica di vasti lavori pubblici. Sarebbe bastato un incidente per dare a Hoover il colpo di grazia. E lincidente accadde pochi mesi dopo, il 17 luglio 1932, a ottocento metri dalla Casa Bianca, nella Pennsylvania Avenue. In questa strada, ormai da una ventina di giorni, un
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enorme edificio gi in parte demolito era divenuto il centro di raccolta di alcune migliaia di disoccupati che avevano combattuto in Europa durante la prima guerra mondiale e che erano venuti a Washington per esigere il pagamento della polizza di assicurazione che era stata loro concessa al momento del congedo. Si erano accampati nel gigantesco stabile con mogli e figli, decisi a non sloggiare senza prima aver ottenuto i pochi dollari che spettavano loro. Al presidente Hoover era parsa unintollerabile sfida e la sera del 16 luglio dalla Casa Bianca era partito un ordine preciso. Durante la notte, quattro squadroni di cavalleria e una colonna di fanteria dellesercito degli Stati Uniti si schierarono nella Pennsylvania Avenue e cinsero silenziosamente dassedio ledificio occupato dagli ex combattenti. Allalba laccerchiamento era compiuto. Comandava loperazione un ufficiale di 42 anni, un maggiore al quale gli esperti pronosticavano un brillante avvenire. Si chiamava Dwight Eisenhower. Alle 10.30, mentre dalle finestre delledificio assediato volavano insulti e pietre, il maggiore Eisenhower lanci con un megafono il suo ultimatum: Sgomberate il palazzo o saremo costretti a usare la forza. Gli rispose un colpo di pistola sparato in aria da una delle finestre. Eisenhower, che intanto si era portato in mezzo alla strada, si gir indietro a guardare in direzione di un portone sotto il quale, da una decina di minuti, era in osservazione addirittura il capo di stato maggiore dellesercito, il generale Douglas Mac Arthur. Un cenno della mano dellincollerito Mac Arthur e il maggiore Eisenhower diede lordine. Una gragnuola di bombe lacrimogene raggiunse crepitando le finestre delledificio occupato. La ribellione degli ex combattenti poteva dirsi conclusa. Costretti ad
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abbandonare ledificio e a uscire lacrimando e tossendo nella strada, furono dispersi da una blanda carica di uno dei quattro squadroni di cavalleria. Se lesercito degli Stati Uniti deve fare la guerra a cittadini inermi, allora lAmerica non pi lAmerica scrissero lindomani i giornali e per il presidente Hoover fu la fine. Obbedendo agli ordini di un presidente repubblicano, Dwight Eisenhower, futuro presidente repubblicano, aveva inconsapevolmente contribuito a spianare la strada a ventanni di amministrazione del Paese da parte del partito democratico. La campagna elettorale, per Franklin Delano Roosevelt fu un giro trionfale, per Herbert Hoover un calvario penoso. Il 4 novembre 1932, luomo del New Deal, del nuovo programma destinato a chiudere lepoca del capitalismo senza freni e della speculazione senza regole entrava alla Casa Bianca. Intorno a lui era un Paese coperto dipoteche e con 14 milioni di disoccupati: leredit tragica di unormai lontana settimana nera di Wall Street.

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Da Wall Street allEuropa: Hitler approfitta del panico


Le onde del terremoto che stavano devastando lintera economia americana arrivarono ben presto allEuropa e soltanto allora il vecchio continente si rese conto di quanto ormai dipendesse dallAmerica. Sino a pochi giorni prima del grande crollo, gli Stati Uniti, o meglio i capitalisti privati degli Stati Uniti, prestavano denaro alla Germania, la Germania in gran parte lo versava alla Francia e allInghilterra per le riparazioni di guerra e, a loro volta, Francia e Inghilterra rispedivano quello stesso denaro negli Stati Uniti per pagare i debiti contratti con lalleato americano durante il conflitto. Quando, in pieno disastro, i finanzieri americani cominciarono a chiedere la restituzione dei prestiti a breve scadenza concessi alla Germania, il panico si diffuse rapidissimo in tutte le banche tedesche e in tutte le industrie tenute in piedi da quella parte del denaro americano che veniva sottratto al pagamento delle riparazioni di guerra. La crisi sarebbe esplosa anche in Francia e soprattutto in Gran Bretagna, ma per la Germania fu anche peggio. Nel giro di pochi mesi, si riversarono nelle strade delle sue citt sei milioni di disoccupati: un deposito di dinamite che si accumulava vistosamente sotto il piedistallo fragilissimo del governo democratico della repubblica di Weimar. Il 13 luglio 1931 fall una delle principali banche del Paese, la Darmstdter und Nationalbank. In preda al panico il governo commise un catastrofico errore psicologico: ordin la chiusura temporanea di tutte le banche e questo provvedi33

mento precipit il Paese nello sgomento. Bloccati i meccanismi delleconomia, fu il caos. Le lunghe code per il pane, i cortei di disoccupati, le fabbriche chiuse, la disperazione del popolo piombato nella miseria parevano allietare un solo tedesco, il capo di un partito di estremisti di destra che additava alla Germania un confuso programma di rivincita. Adolf Hitler, il capo di quel partito, scriveva in quei giorni: Mai in tutta la mia vita mi sono sentito cos ben disposto e interiormente contento come ora. La dura realt ha aperto gli occhi dei tedeschi. Spiegare ai tedeschi le vere cause della crisi economica sarebbe diventato il suo cavallo di battaglia. La spiegazione del disastro data da Hitler nei raduni di partito e nei comizi era semplice e suggestiva: simperniava sulla leggenda antisemita secondo cui Wall Street era tenebrosamente dominata da finanzieri ebrei. Cos come una congiura ebraica aveva trascinato alla sconfitta la Germania imperiale, oggi unaltra congiura di finanzieri ebrei aveva condannato la Germania alla fame. Il ritiro dei capitali americani era appunto la prova schiacciante dellinfame manovra. A questo tipo d diagnosi si adattava una cura precisa, e il grande taumaturgo, cui milioni di tedeschi cominciavano a guardare speranzosi, aveva gi scritto la ricetta: il riarmo della Germania. Il riarmo come valvola di sfogo per la disoccupazione (sei milioni di uomini senza lavoro), ma soprattutto come primo passo verso la rivincita contro leterna congiura ebraica antitedesca. A una larghissima fetta di cittadini la diagnosi di Hitler parve giusta e buona la cura che egli proponeva. Nel luglio 1932 lelezione al Reichstag assegn ai nazisti 230 seggi, con34

fermando cos la loro asserzione di essere ormai il pi forte partito della Germania. Con la grande crisi il dopoguerra era finito. Cominciava lanteguerra.

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Che cosa si nasconde dietro il mito della lira forte


In Italia il 26 ottobre 1929, festosa vigilia del settimo anniversario della marcia su Roma. I treni viaggiano veloci e in orario, ma dal Paese dei grattacieli, di Greta Garbo e di Charlot, le notizie arrivano in ritardo e di seconda mano. A Wall Street gioved 24 ottobre c stato il finimondo in Borsa, per gli italiani che non appartengono allolimpo della finanza, dellindustria o della politica, hanno dovuto aspettare altre 48 ore prima di leggere sui giornali poche righe su un certo allarme diffusosi fra gli speculatori della Borsa di New York. La notizia viene di rimbalzo: lAgenzia Stefani lha ripresa dal giornale londinese Morning Post e i quotidiani le dedicano una distratta attenzione. Ben altri sono gli avvenimenti che meritano rilievo: per esempio che domani, 27 ottobre, in tutto il Paese saranno inaugurate 9.697 opere pubbliche per un importo di 3 miliardi e 740 milioni di lire (oltre 300 miliardi in lire del 1971 [circa 25 milioni di euro del 2012, N.d.c.] ). La prima pagina del Popolo dItalia, il quotidiano fondato da Mussolini, basta appena a elencarle tutte. Unaltra fetta di spazio occupata dal testo del telegramma di felicitazioni del duce per il fidanzamento del principe di Piemonte con la principessa Maria Jos del Belgio. E poi c la notizia dei preparativi per linaugurazione in Campidoglio dellAccademia dItalia, versione nostrana e fascista della prestigiosa Acadmie Franaise: il 28 ottobre, anniversario della rivoluzione, trenta accademici in uniforme ricamata, feluca e spadino entreranno nella galleria degli immortali (tremila lire di stipendio mensile). Lelenco comprende Pietro Mascagni, Um36

berto Giordano, larchitetto Marcello Piacentini. Non c il nome di Benedetto Croce, il filosofo inviso al regime, in compenso c quello di un giovane fisico, Enrico Fermi, ancora poco conosciuto, ma che potrebbe raccogliere un giorno leredit di Guglielmo Marconi che della Reale Accademia dItalia sar acclamato presidente. Nei giorni successivi, le notizie sulla crisi in Borsa a New York sono sacrificate ai trionfalistici bilanci dellanno settimo dellera fascista (i bilanci si fanno ormai da un 28 ottobre allaltro) e i giornali sono occupati per intero dalle rievocazioni dei successi della politica di Benito Mussolini: il concordato con il Vaticano firmato in febbraio; le elezioni plebiscitarie a scheda unica del 24 marzo (8 milioni 506.576 s alla domanda Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio Nazionale del Fascismo? e appena 136.198 i no); la vittoriosa battaglia del grano condotta durante lestate; la strenua difesa della lira saldamente arroccata sulla prestigiosa quota 90, ossia al rapporto di 90 lire per ogni sterlina (nel 1926, per acquistare una sterlina, di lire ce ne volevano 153,68), Eppure, proprio la celebrata quota 90 della lira e le trascurate notizie da Wall Street, sono in quei giorni fonti di preoccupazione vivissima per i pochi italiani che conoscono la realt nascosta dietro gli incensi trionfali. La lira forte la bandiera del regime, ma i vantaggi della brusca rivalutazione hanno avuto una pesante contropartita: il rialzo eccessivo della moneta italiana ha fatto diminuire le esportazioni, perch le nostre merci sono diventate troppo care, e molte fabbriche hanno dovuto ridurre la produzione. Per sostenere la lira, inoltre, si fatto ricorso sempre pi sistematicamente
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alla diminuzione dei salari: fra il 1927 e il 1928 le paghe degli operai sono scese dal 10 al 20 per cento secondo le categorie. I treni in orario sono un sipario roseo che nasconde lamara realt del progressivo abbassamento del tenore d vita della maggioranza del popolo italiano e la brusca paralisi del processo di sviluppo cui leconomia italiana si era faticosamente avviata negli anni precedenti. I finanzieri, i grandi industriali, gli uomini politici meno ciechi sanno bene che cosa significa la crisi di Wall Street: la fine della speranza che il capitale americano possa dare vitalit allesangue economia del Paese. I banchieri privati americani, che a partire dal 1925 avevano cominciato a prestare milioni di dollari a societ, a enti e a comuni italiani ora hanno bisogno di quel denaro e ne pretendono la restituzione: le scadenze non saranno prorogate. Illudersi che possa trattarsi di un breve viaggio di andata e ritorno, da folli: i dollari che partono non ricompariranno pi. Il governo fascista, ufficialmente, nega che la crisi americana possa avere conseguenze dannose sulla nostra economia: ammettere questa possibilit significherebbe riconoscere la posizione subalterna del capitalismo italiano rispetto allalta finanza degli Stati Uniti. Il 6 novembre, sul Popolo dItalia, Arnaldo Mussolini, fratello del duce, scrive: LEuropa pu approfittare di questa sosta e meditare una sistemazione pi aderente ai propri interessi e non sotto la pressione del capitale nordamericano. Linvito alla meditazione accompagnato da unulteriore riduzione dei salari: si spera che questa ciambella di salvataggio possa permettere agli imprenditori italiani di sfuggire alle prime ondate della recessione economica in arrivo da ol38

tre Atlantico. Il resto, il miracolo, lo avrebbero fatto, scrive leconomista Giorgio Mortara le parche abitudini e la resistenza alle privazioni che sono caratteristiche salutari del nostro popolo. Gli inni e le fanfare del settimo anniversario della marcia su Roma nel luglio del 1930 sembrano ormai lontanissimi: rispetto allo stesso mese del 1929 ci sono 140 mila disoccupati in pi e fra la popolazione serpeggia il malumore. Ai giornali fatto divieto di dare notizia degli scioperi che scoppiano qua e l ed sequestrata nelle edicole una rivista di economia stampata a Ginevra dove si legge che le paghe degli operai italiani sono oggi le pi basse dEuropa. Mussolini ricorre a un incredibile bluff. Il 13 agosto invia ai prefetti lordine di rilasciare il maggior numero possibile di passaporti. Per decine di migliaia di disoccupati una luce che si accende: si accalcano a schiere negli uffici delle questure inzeppandoli di domande di espatrio. I passaporti sono concessi con facilit, ma al momento delle consegne, cortesi funzionari con il distintivo fascista allocchiello fanno pi o meno questo discorsetto: Ma dove volete andare? In Francia, in Germania, in Austria assai peggio di qui: i disoccupati si contano a milioni. Rinunciano tutti a partire e la loro delusione far dire a Mussolini: Ora sono perfettamente guariti e sanno che in questo momento non esistono Paesi facili in nessuna parte del mondo. Un mese pi tardi, al consiglio delle corporazioni, il duce tocca i tasti dellottimismo lirico: Stiamo lasciandoci alle spalle la notte e camminiamo verso laurora. Ma alla fine dellanno, quando si tirano le somme, ci si accorge che ancora buio fitto.

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Rispetto al 1929 la disoccupazione industriale aumentata del 70 per cento e quella agricola del 50 per cento. Bisogna ridurre ancora i costi di produzione e dare cos un po dossigeno alle industrie: si torna alla solita amara medicina della riduzione dei salari. Lo Stato decide di dare lesempio e Mussolini annuncia in Senato la decurtazione degli stipendi dei dipendenti statali (720 milioni di lire di risparmio) e di quelli dei dipendenti degli enti parastatali (un risparmio di altri 700 milioni di lire). Fortunatamente dice il popolo italiano non ancora abituato a mangiare molte volte al giorno e avendo un livello di vita modesto sente di meno la sofferenza. I dirigenti della confederazione dellagricoltura e quelli della confederazione dellindustria sono della sua medesima opinione: il costo della mano dopera salariata quello su cui pi facilmente possibile ottenere risparmi e non il caso di farsi troppi scrupoli visto che il popolo italiano fortunatamente ha sviluppate attitudini alle ristrettezze. La confederazione dellagricoltura decide di operare una riduzione media dei salari agricoli del 17,5 per cento, con una punta massima del 25 per cento. Calcolando su un media annua di 210 giornate lavorative e una riduzione media di 2 lire per lavoratore, si ottiene spiega un comunicato una riduzione globale annua di un miliardo e 218 milioni di lire. Dal canto loro, gli industriali annunciano una riduzione dell8-10 per cento dei salari di due milioni e mezzo di lavoratori, il che rappresenta un risparmio di un buon miliardo di lire. L1 gennaio 1931, in una speciale trasmissione radiofonica, Mussolini legge faticosamente in inglese un messaggio al popolo americano. Vuol essere la sfida dellItalia fascista,
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risanata dal salasso dei salari, alla plutocrazia americana incapace di rimediare alla prostrazione degli Stati Uniti: So che in America si seguito con interesse il recente movimento economico italiano. Esso, cominciato con la riduzione degli stipendi per equilibrare il bilancio dello Stato, ormai vittorioso perch i prezzi al dettaglio sono diminuiti. Lo Stato corporativo ha funzionato in pieno perch tutte le categorie, industriali, operai, agricoltori, contadini e commercianti hanno compreso la necessit e lutilit del movimento. un bollettino di vittoria destinato esclusivamente allesportazione: i centomila abbonati allEIAR (la RAI dellepoca) non ascolteranno mai la traduzione in italiano del messaggio di Mussolini. Lomissione ragionevolmente prudente: vero che i salari sono diminuiti, ma non affatto vero che i prezzi siano calati in proporzione. Lo Stato corporativo poi ha funzionato nel senso che ha trasferito quasi esclusivamente sui lavoratori il peso della crisi e ancora per due anni, sino al 1933, non riuscir a frenare n laumento della disoccupazione n la paralisi progressiva delleconomia. Poi la ripresa si avr, ma sar una ripresa gonfia di nubi fosche. Comincer in sordina, con un graduale moltiplicarsi delle ordinazioni statali alle aziende metallurgiche-meccaniche ed esploder poi con unondata di riassunzioni che ridurr a dimensioni modeste la disoccupazione nel settore industriale. La crisi vinta scriveranno allora i giornali, e nel clima di euforia generale gli italiani non si accorgeranno che la bacchetta magica sfoderata dal regime sar quella delle commesse belliche, il pi pericoloso degli stimolanti economici. Cos, dai giornali, la parola crisi scomparir del tutto e gli italiani finiranno quasi per scordarsela; saranno troppo presi
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da altri avvenimenti: il problema del posto al sole, la conquista dellimpero, le sanzioni, il patto con la Germania.

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La storia di Insull il simbolo pi vero della grande crisi


Samuel Insull, un nome oggi dimenticato, cos come sono naufragati nella memoria moltissimi nomi legati alla storia dei giorni neri di Wall Street. Eppure, per alcuni anni e non soltanto negli Stati Uniti, Samuel Insull luomo che ha rovinato due milioni di americani stato il simbolo pi vistoso degli avvenimenti legati alla pi disastrosa crisi economica dei nostri tempi: ricostruire la sua straordinaria vicenda privata pu farci meglio capire alcuni aspetti incredibili di una vicenda collettiva che ha avuto milioni di protagonisti. Samuel Insull riusc a telefonare da Chicago a New York alle 19 di marted 29 ottobre 1929. Aspettava la comunicazione da due ore e dovette attendere ancora una decina di minuti prima di avere allapparecchio Charles Mitchell, il presidente della National City Bank. Mitchell disse soltanto tre parole: Tutto crollato, Sam. Insull, in silenzio, appese il telefono e cominci a raccogliere macchinosamente i cento fogli di carta sparsi sulla grande scrivania debano alla quale sedeva. Calvizie lucida, baffi bianch e solenni, gesti gravi da aristocratico britannico, il settantenne Samuel Insull era arrivato alla fine di uno straordinario viaggio attraverso la ricchezza durato cinquantadue anni. Era cominciato, quel viaggio, il mattino del 6 marzo 1877 quando un inglese di 19 anni, figlio di un pastore anglicano di Whitechapel, era sbarcato a Manhattan con in tasca sette dollari, una tabacchiera dargento e una lettera di raccomandazione per linventore Thomas Edison firmata da un piccolo banchiere di Londra. La sera stessa Edison assumeva Samuel
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Insull come segretario e un mese pi tardi lintraprendente giovanotto inglese era diventato la mente commerciale, il consigliere di fiducia dellideatore del fonografo e della lampadina elettrica a filamento di carbone. A venticinque anni, Sam Insull guadagna 36 mila dollari al mese; lo sfruttamento commerciale delle invenzioni di Edison passa quasi per intero attraverso le sue mani. Nel 1892 Insull scopre Chicago. La sera in cui vi arriva, dalla finestra dellalbergo, lo ipnotizza lo spettacolo della grande nera citt fiocamente illuminata dalle giallastre fiammelle dei becchi a gas. Sam resta alla finestra tutta la notte e in quelle lunghe ore prende forma nella sua mente il primo dei molti progetti che fra qualche anno faranno di lui uno dei pi ammirati stregoni della finanza americana. La mattina dopo, nellufficio di un banchiere di larghe vedute e incline allottimismo, nasce la Chicago Edison, societ per la produzione e la distribuzione dellenergia elettrica. Il presidente della nuova impresa, che , ovviamente, Samuel Insull, sembra avere un solo scopo nella vita: illuminare le notti buie della grande Chicago. Nel giro di una settimana Sam Insull installa gratuitamente duecento lampadine elettriche nel quartiere delle fiere. La zona diventa meta ogni sera del pellegrinaggio di frotte di cittadini prodighi di lunghi ooooh! di meraviglia. Un anno dopo, il sindaco di Chicago inaugura limpianto che fa della citt la prima, in ordine di tempo, delle villes lumires mondiali. Il viaggio attraverso la ricchezza, dopo questo successo, acquista velocit: Insull fonda altre societ per lilluminazione elettrica delle citt, le avvia, le ingrandisce, le moltiplica. Naturalmente, perch, questa frenetica espansione non si arresti, ha bisogno di denaro, sempre pi denaro.
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Insull non manca dimmaginazione: escogita un espediente che sar imitato negli anni successivi da decine d altri disinvolti maneggiatori di dollari. Nasce cos la Middle West Utilities, una societ la cui attivit prevalente consiste nellemettere azioni che offrono dividendi eccezionalmente buoni. Per pagare questi dividendi Insull si procura denaro con nuove emissioni di azioni che offrono dividendi ancora pi alti. Per poterli pagare, Insull stampa nuove azioni e le mette a disposizione dei mille e mille risparmiatori che si contendono a colpi di dollari quei miracolosi pezzi di carta. Disputate come sono, le azioni Insull godono di un continuo aumento di quotazioni e aprono la strada allemissione di nuovi titoli. Nellubriacatura generale della speculazione, i pezzi di carta scambiati per pepite doro, s accumulano in una gigantesca piramide in cima alla quale Insull, ubriaco pi di tutti, ha ormai perduto ogni contatto con la realt. Il viaggio nella ricchezza diventato un viaggio nel delirio. Il 7 maggio 1929, nella sua nuova faraonica villa di Chicago, Insull offre un ricevimento per festeggiare un traguardo da capogiro: un milione e ottocentomila americani sparsi in tutti gli Stati Uniti hanno comperato azioni Insull. Un milione e ottocentomila americani hanno in tasca una fetta di una gigantesca torta fatta di fumo. Appena cinque mesi pi tardi, le tre parole telefonate da New York: Tutto crollato, Sam. Crollata, nel disastro di Wall Street, la piramide d carta messa in piedi da Insull, e le altre incredibili piramidi dillusioni che uomini come Insull hanno montato un po ovunque nel Paese. Riportato bruscamente alla lucidit dalle tre parole di Charles Mitchell, Sam Insull, lex imperatore di Chicago ora ha soprattutto bisogno di tempo. Per riflettere, per trovare una
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via duscita, per arginare la valanga dei risparmiatori rovinati che sta per abbattersi su di lui. Il 30 ottobre Insull riunisce i suoi collaboratori pi fidati: Bisogna stimolare il mercato. Dobbiamo sostenere le nostre azioni acquistandole noi stessi, in modo da evitare il panico. Ho ritirato cinque milioni di dollari dal mio conto personale alla National City Bank. Forse basteranno. Invece i cinque milioni non basteranno. Sei mesi dopo, la Cadillac di Insull attraversa Chicago. Il vecchio finanziere smagrito, i suoi bianchi baffi sono gialli di nicotina, il suo volto di cera. Ha dovuto vendere la villa monumentale e ha traslocato con la moglie, una donnetta quieta che si adattata da anni al ruolo di ombra muta del marito, in un piccolo appartamento al quinto piano d un edificio alla periferia della citt. Larredamento della nuova abitazione francescano: due materassi, sul pavimento, tre sedie impagliate, un tavolo di legno. In un angolo, appoggiato su uno scatolone di cartone, c per un telefono placcato doro, malinconico souvenir dei tempi migliori. Gliene sono rimasti altri due, la Cadillac e il vecchio autista che lo sta portando attraverso Chicago in un girovagare senza meta. Sono le 10.30 del mattino e lauto di Insull viaggia adagio lungo la Waker Avenue. Dimprovviso, una secca detonazione, poi unaltra e unaltra ancora. Tre fori netti nel cristallo di un finestrino, lautista che si accascia sul volante e la Cadillac che balza sul marciapiede fracassandosi con fragore contro langolo di una casa. Insull illeso, ma sconvolto dalla paura. La sirena di una moto della polizia che si avvicina copre le grida dei passanti spaventati dagli spari. Senza curarsi dellautista ferito alla spalla destra da un proiettile, il vecchio finanziere abbandona lauto e si rifugia, sotto un portone vi46

cino. Vi resta rintanato per oltre unora, mentre dalla strada gli arrivano altre grida, la sirena lamentosa di unautoambulanza e gli ordini secchi dei poliziotti che allontanano la folla dei curiosi. Finalmente Insull trova il coraggio di uscire sulla strada, di fermare un tass e di balbettare al conducente il nome di una via... Prima di sera, gli strilloni del Chicago Tribune sciamano nelle vie della citt urlando: Attentato a Insull. Arrestato lo sparatore. Il finanziere misteriosamente scomparso! Lattentatore, catturato dalla polizia subito dopo la sparatoria, un giovane di 29 anni: aveva investito in azioni Insull lintero patrimonio dei genitori. Qualcuno lo ha udito urlare mentre sparava con la pistola: Insull, hai rovinato due milioni di americani. Due milioni di potenziali attentatori sono troppi e Insull decide di giocare la carta che fin qui ha tenuto in serbo: un conto in banca intestato alla moglie. Megalomane nella ricchezza, Insull lo anche nella paura. Con il denaro della moglie acquista una Cadillac 16 cilindri blindata con lastre dacciaio del peso di tre tonnellate e ingaggia 36 guardie del corpo reclutandole fra i gangster di Al Capone. Il re della malavita di Chicago da qualche mese fuori citt impegnato a sfuggire alla rete che la polizia federale si finalmente decisa a stendergli attorno: i suoi uomini, divisi in tre squadre di dodici ciascuna, passano volentieri al servizio di Insull. Sono pagati un dollaro lora. La Cadillac blindata, i 36 gorilla, ma soprattutto la grande confusione in cui la citt piombata a causa del dilagare della crisi, sono per Sam Insull una protezione efficace. Per due mesi, disperatamente attaccato al telefono placcato doro lex finanziere tenta di riallacciare contatti con banchieri e agenti
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di cambio, ma ormai un ingombrante fantasma e nessuno vuole ascoltare la sua voce. Intanto, in tutta lAmerica sta montando minacciosa la marea del furore: qualcuno devessere pur stato a trascinare il Paese nel baratro. I qualcuno sono stati molti, lo sono stati un po tutti, ma il qualcuno pi colpevole degli altri comincia confusamente a essere individuato nel tremebondo ex finanziere che vive nascosto in un appartamentino di due stanze vigilato giorno e notte da tre squadre di guardie del corpo. Insull ha fatto perdere ai suoi clienti 750 milioni di dollari. Il magnate di Chicago ha agito nel tessuto delleconomia americana come un cancro maligno: la denuncia rimbalza per mesi da un giornale allaltro e finisce per cadere sulla scrivania del governatore dello Stato dellIllinois. Quando, l11 aprile 1932, si apre finalmente linchiesta ufficiale sullattivit finanziaria dellex segretario di Thomas Edison, Samuel Insull sparito. Due giorni prima, riempita la Cadillac di valigie, fuggito con la moglie senza pagare lultimo salario settimanale ai 36 gorilla. La fuga di Insull una delle pagine pi grottesche della storia della depressione americana. Milioni di persone impegnate a lottare con la miseria seguono con emozione febbrile lavventurosa peregrinazione di un uomo solo, non pi colpevole di altri che sono riusciti a rimanere nellombra. I giornali pubblicano vistosi titoli su ogni tappa dellodissea dellex finanziere: Insull in Canada. Il magnate bancarottiere si imbarcato a Quebec con la moglie diretto in Inghilterra, Insull non sbarcato in Inghilterra. Forse il fuggiasco
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sceso durante lo scalo della nave a Cherbourg e ha raggiunto Parigi. Un mattino del novembre 1932, appunto in una strada di Parigi, un giornalista americano riconosce in mezzo alla folla lamericano pi famoso del momento. Insull cammina appoggiandosi a un bastone dal pomello doro e sembra avere riacquistato laria grave e solenne dei, vecchi tempi. Il giornalista lo pedina sino a un albergo di rue de la Seine, poi telefona allambasciata degli Stati Uniti. Contro Sam Insull ormai da un mese stato spiccato un mandato di comparizione e lambasciatore americano a Parigi pu chiedere la collaborazione della polizia francese. I gendarmi arrivano in rue de la Seine troppo tardi: Insull e la moglie sono partiti in gran fretta. La coppia fuggiasca ricompare venti giorni dopo ad Atene. Fra la Grecia e gli stati Uniti non esistono ancora accordi per lestradizione dei ricercati dalla polizia e per un anno Insull vive al sicuro. Poi, quando le autorit greche, cedendo alle pressioni americane, preparano un provvedimento per espellerlo, Insull riprende la fuga, imbarcandosi sul Maiotis, un ansimante battello a vapore diretto in Egitto. Durante la navigazione, il vecchio Sam vive incollato alla radio di bordo spedendo messaggi a Gibuti, ad Ankara, ad Addis Abeba: lex imperatore di Chicago invoca il diritto dasilo, ma ogni suo messaggio respinto. Insull tenta ancora. Convince il capitano del Maiotis ad allungare la rotta e, mentre il battello comincia a girare in tondo attorno alle isole Cicladi, spedisce altri messaggi via radio. Lultimo per lemiro dello Yemen: in cambio del diritto dasilo Sam Insull disposto ad abbracciare la fede islamica. Da Saana, capitale dello Yemen, non arriva
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alcuna risposta. Esaurite tutte le speranze, Insull si arrende: Sbarcatemi a Istanbul ordina al comandante della nave. Allarrivo in porto, la banchina gremita di giornalisti americani accorsi per assistere alla cattura. Quando Insull scende dalla passerella del Maiotis due poliziotti turchi in uniforme e uno in abito borghese, con le manette pronte a scattare, gli vanno incontro. Il vecchio finanziere, il volto impassibile, porge rassegnato i polsi. Diciassette giorni di traversata in una cabina del piroscafo Exilonia trasformata in cella, lo sbarco a New York, il viaggio sul rapido per Chicago in un vagone riservato gremito di poliziotti, lingresso nel carcere di Cook Country: lultima fase del ritorno di Insull seguita dalla radio e dai giornali dAmerica con enfasi spropositata. Con Samuel Insull sembra che il Male stesso sia trascinato in catene verso lespiazione e finisce che la gente, con uno di quei capovolgimenti di fronte che non sono rari nelle psicosi collettive, comincia a vedere nel vegliardo finito in carcere il capro espiatorio che i veri responsabili della crisi economica hanno deciso di sacrificare allira popolare. Quando, cinque mesi pi tardi, il 2 ottobre 1934, Samuel Insull si presenta davanti ai giudici del tribunale federale di Chicago, lopinione pubblica si ormai completamente convertita alla sua causa: il vecchio finanziere stato vittima di una crudele caccia alluomo. Poich rovinato, poich ridotto al miserevole livello delle sue vittime, la societ, appagata, pu mostrarsi generosa con lui, e Insull abile nellaccattivarsi lindulgenza dei milioni di americani che leggono sui giornali o ascoltano alla radio i resoconti delle udienze del processo. Posando gentil50

mente per i fotografi e piangendo spesso, Insull traccia della propria vita un quadro patetico: da povero immigrato a magnate della finanza, non ha fatto altro che seguire fedelmente le regole del pi autentico capitalismo americano. stato intraprendente, instancabile e ottimista: lo ha animato soltanto il desiderio di contribuire al benessere degli americani. Gli errori d valutazione che gli possono essere attribuiti sono ampiamente compensati dalla buona fede con cui ha agito sempre. La sua difesa abile: i capitalisti possono essere fortunati o sfortunati, ma la sfortuna un inevitabile rischio del mestiere e non in base a essa che devono essere giudicati. Ci che conta, ci che li rende benemeriti dello sviluppo del Paese proprio il coraggio di affrontare i rischi che sono legati a qualsiasi attivit economica. Condannare in tribunale un capitalista soltanto perch sfortunato, significa scoraggiare lo spirito dintraprendenza che fa nascere nuove industrie, nuove imprese commerciali. Dopo due mesi di processo e due ore di discussione in camera di consiglio, la giuria dichiara Samuel Insull non colpevole. La sera stessa egli lascia la prigione di Cook Country accolto dagli applausi di una piccola folla festosa. LAmerica stanca di sentir parlare di crisi, vuole seppellirne i ricordi e dimenticarne i fantasmi. Il nome di Insull scompare dai giornali e dalla corta memoria dellAmerica che sta riprendendo la sua corsa al benessere. Quattro anni di silenzio, poi, un giorno di ottobre del 1938, poche righe frettolose nelle ultime pagine dei quotidiani per annunciare sbrigativamente che Samuel Insull ex finanziere di Chicago morto per collasso cardiaco in una strada di Parigi. Quasi ottan51

tenne precisano i giornali viveva come un tranquillo pensionato nella villa parigina di un banchiere di Wall Street..
Ugo Pettenghi

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