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Crisi 1929
IL CROLLO DELLA BORSA DI WALL STREET
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Il valore reale delle aziende non corrispondeva più al valore dei “pezzi di carta” che gira-
vano in Borsa, fra l’altro comprati allo scoperto. Di reale c’era solo una cosa, un colossale ca-
stello di carta.La grande azienda capitalizzata 1000 in realtà possedeva materialmente 100,
magari produceva, ma aveva già da tempo i magazzini pieni di merce invenduta; ma almeno
questa pur esisteva, aveva muri, macchinari, merci; mentre alcune indagando si scopriva che
avevano un basso in periferia, con dentro una macchina da scrivere, un po’ di carte sul tavolo
e sull’insegna c’era scritto XY Company – Export Import con mezzo mondo. Tanti specchietti
per allodole.
“…il mondo imprenditoriale americano aveva accolto negli anni venti un gran numero di pro-
cacciatori di affari, truffatori, impostori e venditori di fumo; e a tali deficienze degli uomini si ag-
giungeva la fragilità delle holding; bastava che gli utili di un’azienda diminuissero che subito
crollava l’intero edificio (quello che poi accadde). Altro sintomo, una non buona ripartizione del
reddito, concentrato in un piccolo numero di persone: un terzo dell’intero reddito andava sol-
tanto a un 5% della popolazione, e tale concentrazione faceva sì che l’economia dipendesse
dalle loro decisioni” (Galbraith, Il grande crollo) (e come vedremo proprio questo accadde il 29
ottobre).
Questa anomala situazione era iniziata nel secondo semestre del 1924. L’indice era a 134, a
fine anno era salito a 181. A fine 1927 salì a 245. Nel 1928 con questi risultati iniziò la vera e
propria orgia speculativa “una fuga di massa nella fantasia” la chiamò Galbraith. Ci fu un altro
incredibile balzo e a fine agosto del 1929 l’indice toccò i 449 punti. Cioè il raddoppio in poco
più di un anno, mentre i consumi diminuivano per gli stipendi troppo bassi, cosicché alcune in-
dustrie avevano un surplus di produzione, i magazzini pieni di invenduto.Questo in generale,
eppure alcune grandi aziende nello stesso periodo di un anno, fecero dei clamorosi exploit. Il
titolo Radio (che non aveva mai pagato un dividendo) passò da 85 a 420 dollari, il 500%. I ma-
gazzini Ward da 117 a 440. Il New York Times aumentò di 86 punti.
“Nel 1923 le azioni negoziate furono 237 milioni; nel 1924, 280 milioni; nel 1925, 452 milioni;
nel 1926, 449 milioni; nel 1927, 577 milioni; nel 1928, 920 milioni, e quasi altrettante nei sei
mesi del fatidico 1929, cioè 827 milioni.I prestiti agli agenti di cambio (bisognosi di somme per
le liquidazioni quotidiane) da 3219 milioni del 1926, nei sei mesi del 1929 erano saliti a 8500
milioni (Corriere della Sera, del 31 ottobre 1929).
Da tempo i ranghi dei milionari si infittivano di giorno in giorno, e lo stile di vita dei nuovi ricchi
diventava sempre più stravagante. Per alcuni i soldi erano come quelli del monopoli, per altri
giocare in Borsa era come giocare a dadi. Un giovane avvocato racconta ” non avevo nem-
meno un soldo, mi feci prestare qualche somma dagli amici, ed ero pronto a far l’affare utiliz-
zando il margin, ossia quel sistema che permetteva di pagare soltanto il 10% del valore delle
azioni acquistate. Dopo pochi mesi giravo con in tasca un milione di dollari in contanti, sempre
pronto a fare altri affari, o a comprarmi una macchina solo perchè alla sera finito il lavoro
avevo perso il vaporetto per andare a casa”.Lui era avvocato, ma la stessa cosa fece il lift del-
l’ascensore della Borsa. Lo racconta un agente di cambio -Stokes- “. “Non volle stare a guar-
dare; iniziò a comprarmi qualche azione di Radio al mattino a 100 dollari e verso mezzogiorno
le vendeva a 130. Così un giorno dopo l’altro, aumentando sempre di più il pacchetto, in pochi
mesi era diventato milionario”.Poi c’era in “parco buoi” dei piccoli investitori (pensionati, casa-
linghe, studenti, apprendisti finanzieri, gente di ogni ceto sociale) che passavano la giornata in
Borsa a seguire l’andamento dei titoli, come faceva il lift. A metà ottobre almeno un milione e
mezzo di americani possedeva un suo consistente giardinetto e altri 20 milioni di americani
qualche pacchetto di azioni in mano lo aveva già, e si era fatto da solo il suo “giardinetto”.
Il 22 Ottobre, martedì, a inizio seduta, quella “frangia scrollata di dosso” del giorno prima,
aveva già allarmato alcuni speculatori che iniziarono a vendere. Intervenne allora il Mitchel ci-
tato già sopra (della Federal Reserve), che con un gruppo di banchieri decise di intervenire
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per frenare il ribasso acquistando alcuni corposi pacchetti per sostenere i corsi. L’allarme a
fine seduta sembrava cessato.Ma la mattina dopo, il 23 ottobre mercoledì, i primi a vendere
furono alcuni operatori; quelli che operavano con i margin. Per non correre ulteriori rischi, cer-
cavano di affrettarsi a incassare, correvano a vendere a rotta di collo per colmare l’enorme dif-
ferenza che si andava creando di ora in ora fra il valore delle azioni comprate allo scoperto nei
giorni precedenti (ancora da saldare) e la quotazione sempre più bassa del titolo che la tele-
scrivente senza pietà registrava.A fine seduta qualcuno già ci aveva rimesso le penne, e nem-
meno un miracolo sarebbe riuscito a tappare tutti i buchi di quel grande colabrodo che loro
stessi co
n tanta disinvoltura avevano creato. Ma fuori, pochi ancora sapevano del dramma che stava
per compiersi. Ma la notizia iniziò a diffondersi, molti non dormirono la notte, la passarono a
fare concitate telefonate (New York nel 1929 contava già 1.702.889 telefoni (6 volte l’intera Ita-
lia). E chi possedeva azioni aveva anche il telefono! In quella notte diventò rovente.
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Ma dopo la mattinata nera del 24, i grandi banchieri cominciarono ad avere paura, i crediti ri-
schiavano di essere inesigibili. Decisero così di intervenire. Negli uffici della Morgan Com-
pany, al numero 25 di Wall Street, alle 12 in punto, si riunirono i luminari del mondo bancario.
La stampa era tutta in attesa fuori; poi il comunicato diffuso da Lamon, assicurava che i ban-
chieri avevano deciso di intervenire per riequilibrare il mercato “il cui ribasso -disse- è solo do-
vuto a condizioni tecniche”…. “è solo un vuoto d’aria che ha incontrato il mercato”.Ma nes-
suno comunica con quanto capitale i banchieri sarebbero intervenuti per salvare i corsi. Ci
sono solo voci contrastanti, chi parla di 20-30 milioni di dollari, chi di 240 milioni.Tuttavia la fi-
ducia ricompare quando teatralmente (come messaggero del salvataggio) il remisier della
banca Morgan, Whitney (che tutti in borsa conoscono) entra spavaldo nel salone delle contrat-
tazioni, e inizia a piazzare ordini di acquisto nelle varie coirbelles. Contrariamente al regola-
mento degli operatori, platealmente fa ad ogni acquisto una sceneggiata, indicando senza ri-
serbo i titoli e la quantità, in modo che tutti sentono e vedono.Comunque la messinscena
funzionò. Uscito Whitney, continuarono i suoi tori, i rialzisti, che calmarono le acque per qual-
che ora, ma alla chiusura del pomeriggio e anche il giorno dopo (venerdì 25) i salvataggi fu-
rono pochi e qualche milione di azioni trovarono altri “vuoti d’aria”. Il sabato 26 mattina (allora
si apriva il sabato, ma fino a mezzogiorno) la situazione era altrettanto inquieta anche se il
N.Y.Times, ribaltando il punto di vista dei giorni precedenti, scriveva quanto abbiamo citato al-
l’inizio (“le ns. potenti banche sono pronte, ed impediranno il panico”). A mezzogiorno la chiu-
sura fu sotto l’insegna di una grande incertezza. Molti si chiesero se era stato obiettivo e sin-
cero il N.Y. Times.
28 OTTOBRE Lunedì –
Alla riapertura della Borsa proprio il N.Y. Times perde 49 punti. Sembrò una beffa, aveva par-
lato bene dei salvatori e intanto questi lo lasciavano affogare in un mare di svendite, e non era
il solo, infatti su tutto il salone era ripiombata la tempesta. C’erano Agenti che mettevano in
vendita stock di 10-50.000 azioni al colpo. “Volarono” via 9.250.000 azioni.Si riunirono nuova-
mente i “salvatori”, ma l’esito dell’incontro fu disastroso. Per la Borsa, ma non per i grandi
Banchieri.I “SALVATORI” BUTTANO LA SPUGNA. I RISPARMIATORI? SI ARRANGINOIl
comunicato diffuso affermava che “non era loro compito sostenere i livelli dei prezzi” che “po-
tevano contribuire a rendere ordinato lo svolgimento del mercato”, e “assicurare che l’offerta
trovi una controparte a un qualsiasi livello di prezzo”. Liquidarono così la loro posizione.Cioè
rinunciava il consorzio a svolgere il compito che pochi giorni prima si era impegnato ad assol-
vere: di sostenere la quota azionaria. E si offriva -quando lo riteneva opportuno- di acquistare
per quattro soldi i pacchi di titoli che più nessuno comprava ma che tutti vendevano, sempre
più a meno.Avevano così deciso i banchieri di non far salire le azioni, ma semmai -aspettando
come corvi- di giocare al ribasso. Loro erano i primi a sapere che tutta la borsa era un pallone
gonfiato, anche perchè l’aria per gonfiarla l’avevano fornita proprio loro.
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chel citato già sopra (della Federal Reserve, ed anche presidente della National City Bank) il
“grande ottimista” quello che diceva “che nulla poteva fermare il mercato positivo” ci rimise
fino all’ultimo centesimo; andò in rovina.
Il consorzio di “salvataggio” scatenò così la “tempesta” del naufragio collettivo. Il giorno più
devastante nella storia del mercato azionario di New York . Segnò l’inizio della “grande de-
pressione”. Gli Stati Uniti piombarono di colpo in una crisi senza precedenti. Alcuni giornalisti,
economisti, storici, cavillarono per anni (e
cavillano ancora oggi) per dire che l’origine non fu solo borsistica, ma che la recessione era
già in atto, mentre altri indicano gli speculatori avventurieri la vera causa.Nella prima ipotesi:
allora perchè altri autorevoli economisti e perfino il Presidente, scrivevano pochi giorni prima
le frasi con cui abbiamo aperto questa pagina? E la stampa le diffondeva. Non si erano accorti
di nulla?
Nella seconda ipotesi: non c’erano solo gli avventurieri negli speculatori, ma grandi organizza-
zioni distributive, catene di grandi magazzini, strutture regionali di servizi pubblici, come ac-
qua, gas, elettricità, trasporti, grandi e serissime banche, che pur già prosperando nel benes-
sere, non contente, vollero entrare anche nella bassa speculazione. Anche qui nessuno si era
accorto di nulla?
A parte i risparmiatori (queste cifre sono controverse, vanno da 5 milioni a 20 milioni di malca-
pitati); iniziò la reazione a catena dei fallimenti di Società finanziaria, Istituti di credito, Invest-
ment trust, aziende commerciali e industriali, piccoli e grandi commercianti, una strage che
continuò per diversi anni. Milioni di persone non coinvolte pensarono che erano “cose da ric-
chi”, non potevano certo supporre che le loro vite sarebbero state influenzate. Si sbagliavano,
e di molto. Nel giro di qualche mese coinvolse tutti i settori, con riduzioni di posti di lavoro, di
prezzi, chiusure improvvisa di banche, di fabbriche, di negozi, di servizi essenziali. E con la
Borsa che continuò a fare altri tonfi, il 6 novembre con 37 punti, e l’11-12-13 novembre con al-
tri 50 punti.
Nell’autunno del 1930 ci fu una vera e propria epidemia di fallimenti. A novembre fallirono 256
banche con depositi per 180 milioni di dollari; il mese dopo altre 352 prestigiosi istituti di cre-
dito con 370 milioni di depositi, poi fallì la più grande, la Bank of United State di N.Y, con più di
200 milioni di dollari di risparmi “volati via”.Poi una nuova ondata di fallimenti nella successiva
primavera, quando si incrociarono con la crisi americana le crisi di altri paesi europei per l’ef-
fetto del crollo, ma anche per egoismi atavici locali (vedi Francia e Inghilterra. Quest’ultima ini-
zialmente si fregò le mani dalla contentezza, poi spregiudicatamente causò un altro disastro;
(ma nel ’38….vedi più avanti) i dolori cominciarono anche in Gran Bretagna, anche se stava ri-
fornendo di armi Hitler).
Ci sarà poi l’avvento alla Casa Bianca di Roosevelt, con il suo New Deal (pacchetto di leggi
sociali ed economiche) che riuscì (ma sono controversi i giudizi) ad arrestare la grande de-
pressione a partire dal 1934. L”assistenzialismo” fece anche miracoli, ma non sapremo mai
quanto incise veramente nella ripresa dell’economia americana e quanto poteva ancora du-
rare, perchè intervennero altre situazioni favorevoli. Come l’intervento degli Usa alla seconda
guerra mondiale. Nel 1939, pur vivendo la popolazione statunitense un effettivo benessere,
già superiore ad ogni altro paese, l’economia americana non si sarebbe veramente ripresa se
non durante e dopo la seconda guerra mondiale. (vedi l’economia di guerra 1939-1945)
Lo storico B. Bernstein ad esempio è radicale nelle sue conclusioni: ” Il New Deal non fu nè la
“terza rivoluzione americana”, come suggerisce Carl Degler, nè una rivoluzione a metà, come
conclude William Leuchtenburg. Non solo fu limitata l’estensione della rappresentanza politica
a nuovi gruppi, ma il New Deal trascurò pure numerosi americani, contadini, fittavoli, emi-
granti, braccianti, abitanti dei tuguri, operai non specializzati, neri senza impiego. Essi furono
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lasciati al di fuori del nuovo ordine.”Le idee di Keynes nel New Deal c’entrarono poco, queste
fecero ufficialmente il loro ingresso solo in occasione della recessione del 1937. Tra lui e il
presidente nei quattro anni precedenti non c’erano stati molti rapporti di simpatia. Il primo di-
ceva che nelle idee di Keynes vi aveva trovato solo “un guazzabuglio di cifre”, mentre il se-
condo da parte sua era rimasto deluso nell’incontrare “un presidente così incompetente nel
campo dell’economia”.
Lo stesso ex presidente Hoover (forse opinabile anche lui) scrisse nelle sue Memorie che con-
siderava il New Deal come la negazione di tutta la tradizione americana. Queste le sua amare
considerazioni: “Se gli adepti del New Deal avessero continuato la nostra politica invece di sa-
botarla definitivamente e di sforzarsi di trasformare l’America in un sistema collettivista, ci sa-
remmo completamente ripresi diciotto mesi dopo il 1932…Siamo rimasti in questa sesta fase
della depressione fino allo scoppio della guerra nel 1941”. (Memorie)
Gli Usa toccarono il fondo della crisi dal dicembre 1931 a ottobre 1932. La produzione rag-
giunse il livello più basso (46 punti se facciamo base 100 il 1928), 10 punti in meno rispetto al
1929. Il mercato azionario era ridotto a 1/6 rispetto al ’29. Quanto alla disoccupazione i dati uf-
ficiali stimano che all’acme della crisi rimasero a spasso 12 milioni di lavoratori.A parte gli ac-
cennati motivi di questa crisi interna, la situazione si era ancor più aggravata con la crisi in Eu-
ropa. Germania e Austria stavano crollando trascinandosi dietro altri paesi e le stesse banche
americane; la Germania aveva sospeso i pagamenti delle riparazioni di guerra e le sue ban-
che cessarono la loro attività facendo crollare tutto l’edificio dei famosi piani Dawes e Young
(aiuti e investimenti in Germania fatti essenzialmente con il ben preciso scopo di farsi pagare i
debiti). Altrettanto accadde in Italia che nel ’25 aveva ricevuto ingenti somme di banche ameri-
cane, come la Morgan con 100 milioni di dollari in prestito, stornati alle industrie italiane del-
l’auto, gomma, siderurgiche..
La Gran Bretagna (partner privilegiato degli Usa) investita a sua volta da una crisi, per pro-
blemi suoi interni abbandona il gold standard (o tallone aureo) trascinandosi dietro tutti i paesi
del suo impero e i paesi vassalli di fatto. (Lionel Robbin, nel fare una rigorosa analisi di questo
scellerato abbandono lo considera “un colpo fatale, una catastrofe di enormi proporzioni”. E
giunge perfino a dubitare che si sfiorò perfino la sopravvivenza delle democrazie europee
dopo questo episodio. Gli inglesi riuscirono a far abbandonare il gold a 22 Paesi che chiusero
così tutte le importazioni americane. Un altro ko per gli Usa.
Di colpo Stati Uniti e Francia (con essi anche Italia, Svizzera (questa alla fine boicottò perfino
con una campagna i prodotti Usa), Belgio, Paesi Bassi) non vendevano più nulla, non erano
più competitivi. Sempre Hoover nelle sue memorie scrive “gli acquisti europei di prodotti agri-
coli praticamente cessarono; dappertutto, intorno a noi, le banche crollavano…Gli stranieri co-
minciarono a ritirare l’oro depositato presso di noi”. Altro ko.
Quando Roosevelt fu eletto, assume le sue funzioni in condizioni che sfiorano il disastro. E
non sarà facile modificarle, anche perchè i democratici non hanno di certo l’appoggio del
mondo degli affari, i conservatori gli contestano gli elevati costi dei provvedimenti assistenziali
da lui varati; poi come regalo nel ’35 gli bocceranno il N.I.R. Act , una specie di ristrutturazione
dell’industria nazionale, che molti ritenevano autoritaria; quella che fin dal 1934 Hitler aveva
già inaugurato- vedi la biografia – parte 7ma).
Roosevelt vara comunque, non senza difficoltà, il New Deal; controllo rigoroso dei cambi; pia-
nificazione autoritaria della produzione; blocco dei salari; autarchia, protezionismo e isolazio-
nismo; sussidiarietà e previdenza sociale; sistematica politica deflazionistica. Insomma “Una
soluzione alla tedesca – (scrive Claude Fohlen – La Storia, L’Età Contemporanea, di
N.Tranfaglia e M.Firpo, ed. Garzanti, 4 vol.p.226) – imitata in vari stati dell’Europa centrale,
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nale delle democrazie”, così che, per la prima volta dal 1929, fu possibile riassorbire quasi
completamente l’occupazione e rilanciare tutta l’economia. Ovviamente questo slancio produt-
tivistico, e gli esiti della guerra a favore, via via crearono anche la consapevolezza all’America
di essere la nuova leadership mondiale. Il messaggio del 6 gennaio 1941 di Roosevelt agli
americani, poi l’incontro con Churchill il 14 agosto con un Hitler improvvisamente in difficoltà in
Russia, il disegno egemonico Usa tra le potenze mondiali (che già nel messaggio era già con-
tenuto) poteva essere realizzato. Furono tutti coscienti gli americani che i rapporti di forza tra
le vecchie potenze erano mutati (la stessa Inghilterra era in grave difficoltà) quindi questo di-
segno non era un’utopia, ma a portata di mano. Una “crociata per la democrazia in Europa da
farsi”, e come nel 1917 (con tre anni di ritardo!), con tre anni di ritardo intervennero nella Se-
conda Guerra mondiale.
Bastava mettersi a capofila nello sforzo bellico contro la Germania, e assumersi nuovi impegni
e nuove responsabilità. Prima con gli aiuti all’Europa antinazista (legge Affitti e Prestiti il Land-
Lease Act, dell’ 11 marzo – questa volta appoggiato anche dalla sinistra). Poi con l’attacco a
Pearl Harbour del 7 dicembre ’41, l’appoggio a Roosevelt all’intervento (senza più tanti im-
pacci elettorali o pre-elettorali) gli venne unanime da tutti gli americani.Sull’esito finale della
guerra più nessuno ebbe più dubbi (nemmeno Hitler che fece di tutto per non coinvolgere gli
Usa, memore della Grande Guerra). E sull’egemonia militare ed economica anche qui più
nessuno ebbe dubbi. Anche Churchill, che dovette mandare giù il rospo. Anzi due, prima
quello russo, poi quello americano.Non dimentichiamo che nel marzo del 1939, pochi mesi
prima dello scoppio della guerra, i rappresentanti dell’industria britannica (che avevano contri-
buito anche al riarmo tedesco) si trovavano a Dusseldorf per diventare soci con la Germania
di Hitler, per promuovere una vera e propria guerra commerciale contro gli Stati Uniti. Un boi-
cottaggio totale. (quello cinico del gold standard non era bastato, anzi l’ Inghilterra stava peg-
gio dei cugini oltreatlantico).
I motivi erano molto semplici: in Inghilterra fra il 1929 e il 1937, l’aumento della produzione era
aumentato del 24%, ma l’esportazione era caduta a meno 16%. Un grosso squilibrio, una
strozzatura mai verificatasi. Un anno prima, nel 1938, dopo tante discussioni erano riusciti a
stipulare uno straccio di accordo commerciale con gli Usa, che nel frattempo si era però già
impossessata dei mercati di 20 paesi (politica rooseveltiana del “buon vicinato” Panameri-
cano; poi riconoscimento del governo sovietico, ecc.). Mercati non da poco, da far tremare
non solo la Germania ma anche l’Inghilterra e il resto del mondo.E proprio perchè quello ame-
ricano era uno straccio di accordo con tanta diffidenza da parte americana, quindi molto ste-
rile, gli inglesi una soluzione ai loro grossi problemi non l’avevano trovata. Ed ecco l’incontro
con i tedeschi a Dusseldorff. Forse per la troppa arroganza, conclusero anche qui poco, anzi
diedero a Hitler la esatta percezione che gli inglesi erano in gravissime difficoltà economiche
(ed era vero!), quindi l’idea di Hitler fu quella di fare la “sua” guerra; da solo in Europa, sul
continente, e se Churchill gli dava fastidio e gli causava intralci, anche contro l’Inghilterra.
La guerra Hitler la scatenò , ma Churchill qualche patto dovette fare; l’anomala “non inva-
sione” dell’Inghilterra già ko, è considerato ancora oggi un grande mistero; dove si è steso un
pietoso velo sopra.Perfino l’avventata (?) invasione di Hitler della Russia (con un nemico(?)
alle spalle) resta un miste
ro. Sappiamo quanto Churchill odiasse il bolscevismo, per lui Stalin era “il diavolo”. Ma poi
quando il diavolo mise in crisi le invincibili armate dei nibelungi, Churchill non si fece scrupolo
di “allearsi con il diavolo” e nello stesso tempo (ma altro non poteva fare) mandava giù anche
l’altro rospo, accettare l'”aiuto americano”. Crucciato perchè sapeva come sarebbe andata a
finire.Di certo non si aspettava Churchill, che a sei giorni prima della fine della guerra c’era ad
attenderlo il “suo” 25 luglio, e l’invito a tornarsene a casa a fare tanti quadretti.
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Finita la guerra, nel ’45, gli Stati Uniti nemmeno sfiorati dal conflitto, in casa non avevano nulla
da inventare, nulla da ricostruire, dovevano solo riconvertire e rimettere in funzione a pieno re-
gime, le 250 acciaierie e le 200.000 industrie che avevano contribuito alla riscossa, per tor-
nare a invadere tutti i collassati mercati mondiali.
“La guerra è la salute dello stato”scriveva lo scrittore americano Randolphe Bourne nel pieno
della guerra del 1915-18.Indubbiamente gli americani si convinsero già con la prima che era
cosìe non ebbero poi più dubbi di entrare nella seconda.Era solo James Monroe che si era
sbagliato nel 1823.
5 commenti Commenta
robertbocchio
Scritto il 12 Marzo 2013 at 20:24
Questa crisi , molto probabilmente , è peggiore di quella del 1929 ; da un giorno all’altro si
scatenerà l’inferno !
F
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