Nel marzo 1917 (febbraio per il calendario russo), il regime zarista fu abbattuto dalla rivolta degli operai e
dei soldati di Pietrogrado, la successione fu assunta da un governo provvisorio presieduto dal principe
georgij l’vov (aristocratico liberale). Gli obiettivi erano continuare la guerra a fianco dell’intesa e
promuovere l’occidentalizzazione del paese sul piano delle strutture politiche e dello sviluppo economico;
questa prospettiva era condivisa da: i gruppi liberal-democratici che facevano capo al partito dei cadetti
(costituzionali democratici), dai menscevichi ispirati ai modelli della social-democrazia europea e dai social
rivoluzionari ispirati dalla società rurale russa e avevano aspirazioni delle masse contadine in prospettiva di
una riforma agraria. I rappresentanti dei tre partiti entrarono nel governo provvisorio, gli unici a rifiutare
bolscevichi.
Il ruolo dei soviet “soviet” —> corrispettivo russo di “consiglio”, indica gli organismi rivoluzionari
espressi direttamente dai lavoratori. Le forze politiche anti-zariste non furono sufficienti per fondare su
solide basi il potere del governo provvisorio. Al potere legale del governo si era subito affiancato e
sovrapposto il potere di fatto dei soviet: che agiva come una specie di parlamento proletario emanando
ordini in contrasto con le disposizioni governative. Si diffuse un movimento di massa che respingeva l’idea
di un’autorità centrale ed era favorevole a un diffuso potere dal basso per porre fine alla guerra
Lenin—> leader dei bolscevichi aprile 1917 Lenin torno in Russia dalla svizzera dopo un viaggio
attraverso l’Europa in guerra, reso possibile dalla copertura delle autorità tedesche che speravano di
indebolire, con il suo arrivo, la posizione di guanti in Russia si battevano per la prosecuzione del conflitto.
Lenin scrisse le “tesi di aprile” ossia un documento di 10 punti in cui veniva detto "tutto il potere ai soviet"
(si intende una pace immediata, non collaborare con il governo e restituire le terre ai contadini + subito
rivoluzione. Il governo reagisce reprimendo le agitazioni bolsceviche con la “grande offensiva di luglio”
(offensiva ai tedeschi guidata da kerenskij che sostituisce Lvov), offensiva fallimentare dato che i soldati
russi non vogliono più combattere. Il governo non ha più poteri), con l'intenzione di realizzare le esigenze
delle masse ed accelerare la fine del capitalismo a cui secondo lui avrebbe portato la guerra mondiale,
suscitando una rivoluzione operaia e comunista internazionale. Queste “tesi d’aprile” erano
1. Abbandonare la guerra firmando un armistizio.
2. Statizzazione delle terre.
3. Processo di distribuzione.
4. Linee programmatiche della nuova politica rivoluzione comunista particolare; egli, con grandi
capacità culturali sin da giovane e studioso di Marx, riprenderà le sue idee per attuare la sua
rivoluzione comunista creando un’alleanza tra proletariati e contadini.
Luglio 1917 primo episodio di ribellione al governo avvenne a Pietrogrado, dove i soldati e operai armati
scesero in piazza per impedire la partenza per il fronte di alcuni reparti —>l’insurrezione fallì per
l’intervento di truppe fedeli al governo, Lenin fu arrestato e costretto a fuggire.
Settembre 1917 il generale kornilov promosse un colpo di stato che fu sventrato dal governo del
socialrivoluzionario kerenskij. Rafforzati furono i bolscevichi, protagonisti della mobilitazione popolare
contro il colpo di stato, poiché conquistarono la maggioranza nei soviet di Pietrogrado e di Mosca.
La Rivoluzione d’ottobre La decisione di rovesciare con forza con la forza il governo fu presa dai
bolscevichi in ottobre—> mente militare dell’insurrezione fu Trotskij (appartenente alla sinistra
menscevica) eletto come presidente del soviet di Pietrogrado. Il 7 novembre 1917 (25 ottobre secondo il
calendario russo) i soldati rivoluzionari e le guardie rosse (milizie operaie) si impadronirono del palazzo
d’inverno, residenza dello zar e sede del governo provvisorio cadde così il governo provvisorio.
Successivamente si riunì a Pietrogrado il congresso panrusso dei soviet, ossia l’assemblea dei delegati dei
soviet di tutte le province dell’ex impero russo. Il congresso approvò due decreti proposti da Lenin: il primo
faceva appello a una pace giusta e democratica senza annessioni e senza indennità. Il secondo richiedeva
l’abolizione della grande proprietà terriera senza indennizzo —> così facendo il potere si garantì l’appoggio
delle masse contadine. Il nuovo governo rivoluzionario fu denominato consiglio dei commissari del popolo
e composto da bolscevichi il cui presidente fu Lenin. I menscevichi, i cadetti e la maggioranza dei
socialrivoluzionari protestarono contro l’atto di forza convocando l’Assemblea costituente (le elezioni
avvennero alla fine di novembre, i risultati costituirono una delusione per i bolscevichi). I menscevichi ed i
cadetti scomparvero quasi dalla scena; trionfarono, invece, i socialrivoluzionari grazie al massiccio sostegno
del loro elettorato rurale. A gennaio 1918 l’Assemblea costituente fu immediatamente sciolta per un
intervento dei militari bolscevichi, questo atto di forza, coerente con le idee di Lenin, non credeva alle
regole della democrazia borghese e riconosceva al solo proletario il diritto di guidare il processo
rivoluzionario. Con lo scioglimento dell’Assemblea costituente il potere bolscevico ruppe con le altre
componenti del movimento socialista e con la tradizione democratica occidentale ponendo le premesse per
l’instaurazione di una dittatura di partito.
Dittatura e guerra civile Per i bolscevichi fu molto difficile il compito di gestire questo potere, di
amministrare un paese immenso, di governare una società complessa e arretrata e di affrontare i problemi
ereditati dal vecchio regime (come quello della guerra).
Essi non potevano contare sull’appoggio delle altre forze politiche estromesse dal potere con la violenza e
sulla collaborazione degli strati sociali più elevati: molti intellettuali abbandonarono il paese—>fenomeno
di emigrazione politica. Il leader bolscevichi sperava di poter procedere rapidamente alla costruzione di un
nuovo stato proletario secondo un modello di autogoverno delineato da Lenin nella sua opera <<stato e
rivoluzione>>. Lenin riprendeva la definizione di Marx sullo stato come strumento del dominio di una classe
sulle altre e prevedeva che, scomparso questo dominio, lo stato si sarebbe avviato verso una rapida
estinzione. Non erano necessari dunque eserciti, parlamenti e burocrazia, ma le masse stesse si sarebbero
autogovernate secondi principi di democrazia diretta sperimentati nei soviet.
Il problema della pace e il trattato di brest-litovsk Per la guerra l’ipotesi su cui puntavano i bolscevichi
era una pace “senza annessioni e senza indennità”; questa ipotesi non si realizzò e i capi rivoluzionari si
trovarono a trattare in condizioni di grave inferiorità. La pace separata con la Germania fu conclusa il 3
marzo 1918 con la firma del trattato di brest-litovsk. Tale scelta fu priva di alternative e violenta fu la
posizione dei socialrivoluzionari, compresa la corrente di sinistra che ritirò i suoi rappresentanti dal
consiglio dei commissari del popolo i bolscevichi rimasero completamente isolati perdendo i suoi unici
alleati.
L’intervento dell’intesa e l’inizio della guerra civile Le conseguenze del trattato furono gravi a livello dei
rapporti internazionali; le potenze dell’intesa impegnate, contro gli imperi centrali, erano preoccupati da un
possibile “contagio” rivoluzionario e considerarono dunque la pace di brest-litovsk un tradimento
cominciando ad appoggiare le forze antibolsceviche sotto la guida di ex ufficiali zaristi. Fra la primavera e
l’estate del 1918 si ebbero sbarchi di truppe anglo francesi nel nord della Russia e sulle coste del mar Nero
mentre i reparti statunitensi e giapponesi penetravano nella siberia orientale.
Le armate bianche L’arrivo dei contingenti stranieri rafforzò l’opposizione al governo bolscevico in
particolare quella dei monarchico-conservatori, i cosiddetti “bianchi” e alimentò la guerra civile nel paese.
Ci furono diversi focolai di ribellione; dall’est l’ammiraglio zarista kolciak assunse il controllo di territori
della siberia penetrando nella zona fra gli urali e il volga e fu in seguito giustiziato, mentre nel nord della
Russia e nella regione del don vi erano le armate bianche del generale denikin e un movimento di guerriglia
guidato dai social-rivoluzionari. Il regime rivoluzionario accentuava i suoi tratti autoritari con la creazione di
una polizia politica (la Ceka); fu istituito un tribunale rivoluzionario centrale col compito di processare
chiunque disubbidisse al governo operaio e contadino e fu reintrodotta la pena di morte (abolita in seguito
alla Rivoluzione d’ottobre). Tutti i partiti d’opposizione vennero messi fuorilegge. Si diffusero arresti
arbitrari ed esecuzioni sommarie di <<nemici di classe>>
L’armata rossa Nel febbraio 1918 l’esercito fu riconosciuto con il nome di armata rossa degli operai e dei
contadini. Artefice dell’operazione fu Trotskij facendo di una milizia popolare una potente macchina di
guerra. Nacquero figure di una nuova istituzione: “i commissari politici” che assicuravano la lealtà al
governo rivoluzionario; le forze contro rivoluzionarie erano però divise e mal coordinate a causa della
rivalità politica e della distanza geografica e quindi non riuscirono ad ottenere dopo l’appoggio dei
contadini. La fine della guerra avvenne nell’estate del 1919 quando i “bianchi” persero l’appoggio diretto
dei governi occidentali che erano preoccupati per le proteste che l’intervento suscitava nei loro paesi. Nella
primavera del 1920 le armate bianche furono sconfitte definitivamente
L’attacco della polonia alla Russia Il regime bolscevico subì nell’aprile del 1920 un attacco dalla
repubblica di polonia insoddisfatta dei confini definiti a Versailles. I bolscevichi giunsero con l’armata rossa
fino alle porte di Varsavia; a fine agosto la controffensiva polacca costrinse i russi a ritirarsi. A marzo del
1921 terminò la guerra con un armistizio —>la polonia ottenne ampie zone della Bielorussia e dell’ucraina.
La guerra aveva accresciuto in Russia il senso di coesione nazionale riavvicinando molti oppositori a regime
sovietico—> << patria socialista>>
La terza internazionale La vittoria dei bolscevichi russi nella guerra civile rese possibile l’attuazione di un
progetto di Lenin, ossia sostituire alla vecchia internazionale socialista una nuova internazionale comunista.
Quest’ultima aveva il compito di coordinare gli sforzi dei partiti rivoluzionari di tutto il mondo e
rappresentasse una rottura definitiva con la socialdemocrazia europea. Nel 1918 i bolscevichi
abbandonarono la denominazione di partito socialdemocratico preferendo quella di partito comunista
(bolscevico) di Russia. La riunione costituita dall’internazionale comunista, Comintern o terza
internazionale, avvenne a mosca nel marzo 1919.
Nel congresso, luglio 1920 a mosca, furono fissati la struttura e i compiti dell’internazionale comunista. Il
problema del congresso fu rappresentato dalle condizioni cui singoli partiti avrebbero dovuto sottostare
per essere ammessi a far parte dell’internazionale —>Lenin fisso, dunque, i 21 punti da rispettare: i partiti
aderenti al Comintern avrebbero dovuto ispirarsi al modello bolscevico; cambiare il proprio nome in quello
di partito comunista; difendere la Russia sovietica; rompere con le correnti riformiste espellendone i
principali esponenti. Tra il 1920 e il 1921 fu raggiunto l’obiettivo principale del ii congresso: creare in tutto il
mondo una rete di partiti ricalcati sul modello bolscevico fedeli alle direttive del partito-guida; fare della
Russia sovietica il centro del comunismo mondiale e impegnare nella difesa della patria del socialismo i
momenti rivoluzionari di tutti i paesi. Tuttavia, fu mancato l’obiettivo di convogliare nei nuovi partiti la
maggioranza della classe operaia dei paesi più sviluppati, ma in Europa occidentale i partiti comunisti
rimasero minoritari rispetto ai socialisti.
Dal <<comunismo di guerra>> alla nep Nel momento in cui i comunisti presero il potere l’economia
russa si trovava in uno stato di gravissimo dissesto; le cause furono: la rivoluzione e le devastazioni della
guerra civile. La socializzazione della terra si risolse nella creazione di piccole aziende che producevano per
l’autoconsumo e non contribuivano all’approvvigionamento della città. Le industrie erano gestite da
differenti organizzazioni: alcune si trovavano nelle mani dei vecchi imprenditori, altre erano gestite
direttamente dai lavoratori e altre poste sotto il controllo statale. Le banche furono nazionalizzate e furono
cancellati i debiti con l’estero. Il governo non era più in grado di riscuotere tasse e fu costretto a stampare
carta moneta priva di qualsiasi valore, si tornò così al sistema del baratto. Nell’estate 1918 il governo
bolscevico cercò di attuare una politica più energica e autoritaria: il “comunismo di guerra” con obiettivo
quello di risolvere il problema dell’approvvigionamenti per le città. Proprio per questo furono istituiti centri
rurali dei comitati del col compito di provvedere all’ammasso e alla distribuzione delle derrate, nacquero
comuni agricoli volontari le fattorie collettive (kolchoz), vennero istituite le fattorie sovietiche (sovchoz)
gestite dallo stato e furono nazionalizzati tutti i settori più importanti.
Grazie al comunismo di guerra il regime bolscevico riuscì ad armare e nutrire il suo esercito. Sul piano
economico però fu un totale fallimento; infatti, le grandi città si erano spopolate per la disoccupazione e
per la fame e il commercio privato (vietato) fiorì nell’illegalità. Il culmine della crisi fu raggiunto nell’estate
del 1921 quando l’effetto congiunto della guerra civile e della siccità si risolse in una carestia che colpì le
campagne della Russia e dell’ucraina provocando la morte di 3 milioni di persone. Si sviluppò il dissenso fra
gli operai stanchi delle privazioni materiali e delusi dalla gestione autoritaria dell’economia.
Nel marzo 1921: i marinai della base di Kronstadt si ribellarono al governo presso Pietrogrado invocando
maggiori libertà politiche e sindacali e il governo rispose con una dura repressione militare. Si tenne a
mosca il X congresso del partito comunista e in ambito economico fu avviata una parziale liberazione nella
produzione degli scambi. Gli obiettivi della nuova politica economica (nep) furono: stimolare la produzione
agricola, favorire l’afflusso dei generi alimentari verso le città, ai contadini si consentiva di vendere sul
mercato le eventuali eccedenze, in seguito ad aver consegnato agli organi statali una quota fissa di raccolti
(imposta in natura) e la liberazione si estese al commercio e alla piccola industria. La nep ebbe
conseguenze benefiche su un’economia del tutto stremata nelle campagne i nuovi spazi concessi
all’iniziativa privata stimolarono la ripresa produttiva; tuttavia, vennero favoriti i contadini ricchi —> i kulaki
che giunsero a controllare il mercato agricolo. La liberazione del commercio provocò la comparsa di una
nuova classe di trafficanti—>i nepmen
La nascita dell’URSS La prima Ccostituzione della Russia rivoluzionaria fu varata nel luglio del 1918 in
piena guerra civile e rispecchiava l’originaria impostazione operaista e “consiliare” bolscevica. Si apriva con
una «dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato» nella quale si proclamava che il potere
doveva appartenere unicamente e interamente alle masse lavoratrici e ai loro autentici organismi
rappresentativi: i soviet; prevedeva che il nuovo stato avesse carattere federale, rispettasse l’autonomia
delle minoranze e si aprisse all’unione con altre future. Prospettiva—>unica repubblica socialista mondiale.
In realtà si attuò fra il 1920 e il 1922 l’unione alla repubblica russa che comprendeva l’intera siberia e le
province dell’ex impero zarista (ucraina, Bielorussia etc.) dove governavano i bolscevichi.
Nel dicembre 1922 i congressi dei soviet delle singole repubbliche decisero di dar vita all’unione delle
repubbliche socialiste sovietiche—>URSS. Nel 1924 fu approvata la nuova costituzione dell’URSS, una
struttura istituzionale il cui potere supremo era affidato al congresso dei soviet dell’unione, ma il potere
reale era nelle mani del partito comunista che fornivano le direttive ideologiche e politiche, controllavano la
polizia politica e proponevano i candidati alle elezioni dei soviet. Il partito aveva un apparato centrale e
periferico che si sovrapponeva a quello dello stato, era organizzato secondo criteri di rigido centralismo, lo
stato finiva così con l’essere governato dal gruppo dirigente il partito bolscevico. I comunisti russi miravano
a cambiare la società, a cancellare valori e comportamenti tradizionali, a creare una nuova cultura adatta
alla società e alla realtà socialista, a educare la gioventù premessa indispensabile per lo sviluppo
economico, a lottare contro la chiesa ortodossa (espressione di una nuova visione del mondo incompatibile
con i fondamenti materialisti della dottrina marxista). Lotta per la scristianizzazione del paese furono
confiscati i beni ecclesiastici, chiuse le chiese, arrestati i capi religiosi; l’influenza della chiesa non fu
eliminata ma drasticamente ridimensionata. Dal 1925 si adattò a vivere negli spazi limitati che il regime
comunista le concedette. La battaglia si estese ai problemi della famiglia e dei rapporti fra i sessi: il governo
rivoluzionario stabilì il riconoscimento solo del matrimonio civile, semplificò le procedure per il divorzio, nel
1920 fu legalizzato l’aborto, venne proclamata l’assoluta parità fra i sessi, venne equiparata la condizione
dei figli legittimi e dei figli legittimi e il regime comunista favorì una liberalizzazione dei costumi. L’istruzione
fu resa obbligatoria fino all’età di 15 anni—>la lotta contro l’analfabetismo collegò la scuola al mondo della
produzione privilegiando l’istruzione tecnica su quella umanistica, per formare ideologicamente le nuove
generazioni incoraggiando l’iscrizione nell’organizzazione giovanile del partito —> il Komsomol, ossia
unione comunista della gioventù=insegnamento della dottrina marxista.
Da Lenin a Stalin Nell’aprile del 1922 l’ex commissario alle nazionalità Stalin, fu nominato generale del
partito comunista comunista dell’URSS. Lenin nel 1924 fu colpito da una grave malattia; egli aveva
controllato saldamente il partito e aveva impedito che i contrasti nel gruppo dirigenti generassero in veri e
propri scontri. Contemporanea alla sua malattia ci fu l’ascesa di Stalin alla segreteria e i dissensi interni si
fecero più aspri dando inizio alla lotta per la successione. Il primo scontro del gruppo dirigente ebbe come
oggetto il problema della centralizzazione e della burocratizzazione del partito. Protagonista fu Trotskij che
collegava l’involuzione autoritaria del partito all’isolamento internazionale dello stato sovietico e riteneva
che l’unione sovietica dovesse accelerare i suoi ritmi di industrializzazione e favorire l’estendersi del
processo rivoluzionario nell’occidente capitalistico. Contro questa tesi fu coniata l’espressione “rivoluzione
permanente”. Stalin sosteneva che la vittoria del socialismo in un solo paese era “possibile e probabile” e
che l’unione sovietica aveva in sé le forze sufficienti a fronteggiare l’ostilità del mondo capitalista. La teoria
del “socialismo in un solo paese” rappresentava una rottura con quanto fu affermato in precedenza dai
bolscevichi ma si è dato alla situazione reale e offri un grande stimolo per un richiamo patriottico. Le
potenze europee fra il 1924 il 1925 riconobbero lo stato sovietico e instaurarono con esso rapporti
diplomatici rafforzando Stalin e Trotskij fu emarginato. In seguito alla sconfitta di Trotskij ci fu una
drammatica spaccatura. Nell’autunno del 1925 altri leader del partito riprendendo le idee sostenute da
Trotskij pronunciandosi per un’interruzione dell’esperimento della nep considerato da essi una rinascita del
capitalismo nelle campagne e un rilancio dell’industrializzazione a spese dei contadini. La tesi opposta fu
sostenuta da Bucharin che ebbe l’appoggio di Stalin. Messi in minoranza nel congresso del partito, si
accostarono a Trotskij e organizzarono un fronte unico di opposizione, ma nel 1927 furono esclusi dal
partito e i loro seguaci furono perseguitati e incarcerati. Trotskij fu deportato in una località dell’asia
centrale ed espulso dall’URSS. Si affermò così il potere personale di Stalin.
RIVOLUZIONE E REAZIONE IN GERMANIA E REPUBBLICA DI WEIMAR
Tra i paesi che prendono parte alla Prima guerra mondiale la Germania è quello in cui la crisi del
dopoguerra ha gli sviluppi più drammatici e le conseguenze più gravi per la storia dell’Europa. Nell’ottobre
1918 interi reparti della marina e dell’esercito si ammutinano, chiedendo la pace e l’abdicazione
dell’imperatore. Gli stessi alti ufficiali fanno pressione su Guglielmo II che il 9 novembre decide di lasciare la
propria nazione e di riparare nei Paesi Bassi.
Al momento della firma dell’armistizio il paese teutonico si trova in una situazione tipicamente
rivoluzionaria: l’esercito si disgrega e migliaia di soldati si riversano armati nel paese. In attesa di eleggere
un’Assemblea Costituente viene istituito un governo provvisorio presieduto dal socialdemocratico Friedrich
Ebert e composto prevalentemente da socialisti; i soli che dispongono, in quel momento, del consenso
popolare necessario a fronteggiare la drammatica situazione.
Nonostante ciò, profonde divergenze dividono la sinistra tedesca: la maggioranza costituita dal Partito
socialdemocratico è favorevole ad una soluzione parlamentare della crisi e ostile a uno sviluppo in senso
rivoluzionario; diversa è la posizione degli spartachisti, ovvero gli aderenti alla Lega di Spartaco, dal nome
dello schiavo che si era ribellato a Roma, che guidati da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht hanno come
obiettivo la rivoluzione socialista.
A tentare di contrastare il predominio delle sinistre vi sono le forze militari, eredi del militarismo e del
conservatorismo prussiano. Esse ritengono prioritario riportare l’ordine all’interno del paese. Lo strumento
finalizzato a questo scopo sono i Freikorps (Corpi Franchi), gruppi di volontari guidati da ex ufficiali e
sottufficiali di orientamento nazionalista, desiderosi di continuare la loro guerra lottando contro i rossi. Nel
frattempo nelle varie città, dove si formano consigli di operai, soldati e marinai, si susseguono
manifestazioni e scontri di piazza.
E’ proprio in questo contesto che a Berlino si consuma la tragedia del movimento socialista; agli inizi del
gennaio 1919 migliaia di berlinesi scendono in piazza e i dirigenti spartachisti decidono di approfittare di
questa mobilitazione. Diffondono allora un comunicato con il quale incitano i lavoratori a rovesciare il
governo. I berlinesi però non rispondono all’appello, mentre il governo provvisorio reagisce duramente
facendo ricorso all’intervento dei militari. In sei giorni di lotta fratricida la tentata rivoluzione comunista
viene stroncata: i consigli operai e le organizzazioni comuniste vengono liquidate e centinaia di militanti
sono fucilati. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht sono arrestati e barbaramente trucidati dai Corpi franchi.
Qualche giorno dopo, il 19 gennaio, si tengono le elezioni per l’Assemblea Costituente: i socialdemocratici
ottengono una maggioranza relativa e formano un governo di coalizione con i cattolici. Nel mese di agosto
viene approvata la Costituzione della Repubblica di Weimar, che prende il nome dalla città in cui si tengono
i lavori della costituente. La costituzione è fondamentalmente democratica e prevede: il mantenimento
della struttura federale dello Stato, il suffragio universale maschile e femminile, un governo responsabile
davanti al Reichstag e il presidente della Repubblica eletto ogni sette anni direttamente dal popolo.
Quest’ultimo è titolare del potere esecutivo, è a capo dell’esercito, nomina il cancelliere e possiede il
potere di sciogliere il parlamento in caso di emergenza nazionale.
La firma del trattato di Versailles, nel giugno 1919, e l’accettazione delle pesanti condizioni di pace
contribuisce ad esasperare gli animi. La pratica della violenza si diffonde in tutto il paese e oltre a vari
tentativi rivoluzionari di schieramenti della sinistra, la sopravvivenza della repubblica è minacciata dai
militari smobilitati e dagli stessi capi dell’esercito, assai inclini a dimenticare i loro impegni di lealtà nei
confronti delle nuove istituzioni. Sono proprio i generali a diffondere la leggenda della “pugnalata alla
schiena”, secondo cui l’esercito tedesco anche nell’ottobre 1918 sarebbe riuscito a vincere la guerra se non
fosse stato tradito da una parte del paese. Ovviamente si tratta di una leggenda senza alcun fondamento,
ma essa ha l’effetto di screditare la Repubblica nata dalla sconfitta e la sua stessa classe dirigente.
E’ in questo quadro di instabilità che nell’autunno del 1921 una commissione interalleata rende noto
l’ammontare delle riparazioni di guerra che la Germania deve pagare ai vincitori; la cifra è di 132 miliardi di
marchi, da dover versare in 42 rate annuali. Per rendere l’idea, si può dire che i tedeschi avrebbero dovuto
privarsi per quasi mezzo secolo di circa un quarto del loro prodotto nazionale. L’annuncio relativo alle
riparazione provoca nel paese indignazione e proteste. Gruppi dell’estrema destra nazionalista scatenano
una offensiva terroristica contro la classe dirigente repubblicana, uccidendone alcuni esponenti di spicco;
fra questi gruppi si mette in luce il piccolo Partito Nazionalsocialista tedesco dei lavoratori guidato dal
reduce di guerra di origine austriaca Adolf Hitler.
Nonostante le enormi difficoltà, i governi di coalizione che si succedono fra il 1921 e il 1923, si impegnano a
pagare le prime rate delle riparazioni, ma per non esasperare ulteriormente gli animi, evitano di aumentare
le tasse e così sono costretti ad incrementare la stampa di carta-moneta. Tale scelta provoca in pochi mesi
un processo inflazionistico inarrestabile; il marco perde tutto il suo valore, basti pensare che nel 1923 un
dollaro si cambia con 500 marchi.
Nel gennaio di quell’anno Francia e Belgio, prendendo come pretesto la mancata corrispondenza di alcune
riparazioni, occupano la Ruhr, la zona più ricca ed industrializzata dell’intera Germania. Impossibilitato ad
agire militarmente il governo tedesco incoraggia la resistenza passiva della popolazione di quella zona;
rispondendo all’appello imprenditori ed operai della Ruhr abbandonano le fabbriche rifiutando qualsiasi
collaborazione con gli occupanti. Contemporaneamente membri dei corpi franchi organizzano attentati e
sabotaggi contro i francesi e i belgi, che reagiscono con fucilazioni e arresti. Per le dissestate finanze
tedesche l’occupazione della Ruhr rappresenta un duro colpo; il marco, abbandonato al suo destino, perde
tutto il suo valore, insieme al suo potere d’acquisto.
Tuttavia, nel momento più buio, la classe dirigente trova la forza di reagire. Nel mese di agosto si forma un
governo di grande coalizione comprendente tutti i gruppi parlamentari e presieduto da Gustav Stresemann.
Quest’ultimo, leader del Partito tedesco popolare e portavoce degli interessi della grande industria, è
convinto che la rinascita della Germania sia possibile solo attraverso accordi con le nazioni vincitrici. Per
questo motivo, con l’obiettivo di rassicurare le potenze sull’affidabilità del proprio paese, Stresemann
abbandona le rivendicazioni revisioniste, cioè di revisione al trattato di Versailles, e nel mese di settembre
ordina la fine della resistenza passiva, riallacciando contemporaneamente i rapporti con la Francia.
Le conseguenze di questa nuova politica non tardano a manifestarsi: a Monaco, nella notte fra l’8 e il 9
novembre, alcune migliaia di aderenti al partito nazionalsocialista e alcuni reparti paramilitari cercano di
organizzare un’insurrezione contro il governo centrale. Il complotto, capeggiato da Adolf Hitler e
dal Generale Ludendorff, non ottiene però l’appoggio dei militari e viene facilmente represso. Hitler è
condannato a cinque anni di carcere e la sua carriera politica sembra precocemente conclusa.
Una volta ristabilita l’autorità dello Stato il governo tenta di porre rimedio al caos economico attraverso
l’emissione di una nuova moneta, il Rentenmark (marco di rendita), che consente un graduale ritorno alla
normalità monetaria. All’inizio del 1924 la Germania trova un accordo con i vincitori sulla questione delle
riparazioni, sulla base di un piano elaborato da un finanziere e uomo politico statunitense, Charles Dawes. Il
piano diluisce nel tempo le rate delle riparazioni e assicura ampi finanziamenti da parte americana
all’industria tedesca, per consentire alla Germania di riavviare il proprio processo produttivo. Nel marzo
1925, le elezioni presidenziali convocate per eleggere il successore del socialdemocratico Ebert, vengono
vinte dal vecchio feldmaresciallo Hindenburg, eroe di guerra, già capo dell’esercito e simbolo vivente
dell’età imperiale. Dopo le tante difficoltà di quegli anni, il peggio per la Repubblica di Weimar sembra
oramai alle spalle, ma in realtà le insidie sono dietro l’angolo.
CRISI ECONOMICA DEGLI ANNI ’30
Gli USA, terminato il conflitto, oltre ad essere l’unica nazione che non attraversò crisi economiche, è la
nazione che aiutò economicamente i paesi più in difficoltà (Piano Dawes-Germania) divenendo il maggior
esportatore di capitali (ne conseguì l’innalzamento del dollaro a nuova moneta forte dell’economia
mondiale). Il primo dopoguerra fu quindi per gli USA un periodo di grande prosperità. Con la diffusione
delle macchine industriali, ci fu un incremento della produzione industriale a discapito della diminuzione
del numero degli occupati nell’industria.
I Repubblicani attuarono una politica conservatrice senza preoccuparsi delle problematiche sociali. Furono
introdotte leggi limitative dell’immigrazione e iniziarono a diffondersi discriminazioni razziali nei confronti
degli afroamericani (setta del Ku Klux Klan). Altra “riforma”, introdotta nel 1920 e legata ai pregiudizi
razziali, fu il proibizionismo (divieto di fabbricare e vendere bevande alcoliche). Nonostante le
problematiche sociali, la crescita economica venne appoggiata. (I risparmiatori acquisivano azioni per
rivenderle a un prezzo maggiorato). Nel settore industriale si venne a formare una capacità produttiva
sproporzionata rispetto all’assorbimento del mercato interno; gli USA rimediarono aumentando le
esportazioni nel resto del mondo (così l’economia europea poté riprendersi e quella statunitense
aumentare il proprio sviluppo). Questo processo si fermò improvvisamente il 24 ottobre 1929 (il "giovedì
nero"), quando la Borsa di Wall Street di New York crollò: il timore della svalutazione del valore delle azioni
portò a venderne in quantità sempre maggiori, e proprio questo fece sì che svalutassero ancora di più.
Questo determinò la rovina dei piccoli risparmiatori, delle banche con cui si erano indebitati e delle aziende
che ne venivano finanziate; di conseguenza la produzione industriale diminuì drasticamente, e i disoccupati
salirono a 14 milioni. Il presidente repubblicano Hoover provò ad intervenire con una politica
protezionistica, che cioè scoraggiava le importazioni e gli investimenti esteri nella speranza che i beni
necessari fossero prodotti solo negli Stati Uniti, e che il denaro non ne uscisse; in questo modo, però, non
solo la crisi non fu risolta, ma si diffuse in tutto il mondo. In reazione gli statunitensi votarono, nelle elezioni
presidenziali del 1932, il democratico Roosevelt, che, influenzato dall'originale economista Keynes, riteneva
che lo Stato dovesse avere un ruolo di primo piano nell'economia per rimediare ai suoi limiti. Il crollo della
borsa di New York, nel 1929, scatenò un effetto dominio che portò al crollo dell’economia mondiale (tutto
il sistema economico mondiale dipendeva dagli USA). La corsa alle vendite, dettata dal crollo della borsa,
portò alla caduta del valore dei titoli. Fra il 1929 e il 1932, anni culmine della crisi, la produzione mondiale
di manufatti diminuì del 30% e i disoccupati raggiunsero il numero di 14 milioni (negli USA). In Europa
(Austria e in Germania) si verificò una crisi monetaria. Questo ebbe ripercussioni anche sulle finanze inglesi
poiché molti capitali inglesi furono investiti nei due paesi. Nel settembre 1931 dovette essere sospesa la
convertibilità della sterlina e la valuta inglese venne svalutata (governo MacDonald). La Germania, in
particolare, non venne finanziata dai prestiti statunitensi (secondo quanto concordato dal Piano Dawes) ed
entrò in una grave crisi (stretta correlazione tra le due economie).
Nel novembre 1932 Franklin Delano Roosevelt divenne il nuovo presidente degli USA sostituendo Hoover.
La sua politica, criticata dai conservatori e denominata “New Deal”, aumentò le tasse dei più ricchi;
sostenne la produzione agricola ed industriale; varò un programma di opere pubbliche che occupò milioni
di persone nella costruzione di strade, ponti, dighe; riconobbe ai lavoratori il diritto di sciopero, di
organizzarsi nei sindacati e di non avere salari troppo bassi; istituì indennità di disoccupazione e pensioni di
vecchiaia obbligatorie; garantì i piccoli risparmiatori. Anche se queste misure garantirono la popolarità di
Roosevelt, non furono molto efficaci, e la disoccupazione diminuì sul serio solo durante la Seconda guerra
mondiale, grazie allo sviluppo dell'industria bellica.
AGRICULTURAL ADJUSTMENT ACT (AAA): limitare la sovrapproduzione nel settore agricolo e garantire
premi in denaro a coloro che avessero ridotto le coltivazioni e gli allevamenti.
NATIONAL INDUSTRIAL RECOVERY ACT (NIRA): imporre alle imprese operanti nei vari settori dei “codici di
comportamento” (riguardo i prezzi) per evitare concorrenze accanite e per salvaguardare i salari.
TENNESSEE VALLEY AUTHORITY (TVA): ente che ha il compito di sfruttare le risorse idroelettriche del
bacino del Tennessee a vantaggio degli agricoltori. Nel 1935 furono varate una riforma fiscale, una legge
sulla sicurezza sociale e una nuova disciplina dei rapporti di lavoro (favorisce le attività sindacali).