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IL PROCESSO EICHMANN

«PER NON DIMENTICARE»


Adolf Eichmann

OTTO ADOLF EICHMANN era nato il 19 marzo 1906 a Solingen,


in Renania, primo di sei fratelli, in una famiglia luterana. A dieci
anni resta orfano di madre, e il padre, che ha un modesto
impiego nelle aziende elettriche, decide di trasferirsi in Austria,
a Linz, occupandosi dello stesso lavoro. Dopo gli studi
elementari, con dispiacere del padre, Eichmann non riesce a
diplomarsi nelle scuole superiori, né nutre interessi per la
cultura, i libri, il lavoro: è un apatico. Il padre, molto più
dinamico, rileva una piccola miniera e lo assume come operaio,
poi a 21 anni riesce ad impiegarlo prima in un'azienda elettrica
privata, poi in una compagnia petrolifera (la Vacuum Oil) come
rappresentante.
Eichmann trova lì il suo destino. Conosce un certo
Kaltenbrunner, un giovane avvocato (futuro comandante delle
polizie tedesche) che lo convince ad iscriversi al partito, poi ad
entrare nelle SS che Goebbels sta organizzando.
Eichmann, che non si è mai interessato di politica, come del
resto suo padre, non sa nemmeno cosa sia il Mein Kampf, tanto
meno il Nazismo, ma lo sa bene la Compagnia Petrolifera dove
lavora, che lo licenzia con suo grande dispiacere.
Ruolo nelle deportazioni

La grande occasione per Eichmann di distinguersi agli occhi dei capi delle SS e dei pezzi grossi del partito
nazista arrivò nel 1938, quando, in seguito all'Anschluss, si ritenne necessario espellere gli Ebrei austriaci dal
territorio appena annesso al Reich. In merito all'evacuazione di Vienna, Eichmann rivendicò con orgoglio la
propria impresa, dicendo di avere fatto «trottare i signorini», cacciandone oltre 50.000 dall'Austria.
Fu in questo modo che Eichmann, promosso intanto a ufficiale delle SS, divenne l'esperto degli spostamenti
di massa degli Ebrei e questo talento per l'organizzazione logistica lo portò a ricoprire un ruolo estremamente
importante nell'evoluzione degli eventi che portarono al genocidio.

Il successo logistico di Eichmann fu talmente apprezzato che fu costituito un nuovo Ufficio centrale del Reich
per l'emigrazione ebraica anche a Berlino perché provvedesse all'emigrazione forzata degli Ebrei secondo il
modello viennese.
Eichmann, diventato il braccio destro dello specialista degli affari ebraici Heydrich, nel 1939, fu mandato a
Praga per provvedere all’emigrazione forzata degli Ebrei dalla Cecoslovacchia, appena conquistata da
Hitler. Qui le cose non furono così facili come a Vienna, perché Eichmann non poté contare sull’acquiescenza
delle sue vittime, consce che ormai erano pochissimi i paesi disposti ad accogliere Ebrei in fuga
dall'Europa, quindi si rese necessario ammassare la popolazione giudea nei ghetti, dove fu decimata da
fame, malattie e freddo. Eichmann fu, dunque, fino alla fine della guerra, uno dei principali esecutori
materiali della Shoah, dirigendo personalmente le deportazioni degli Ebrei ungheresi sino alla fine del 1944.
«Electro Eichmann»
Forse per rivalsa, o perché gli offrono una vita eccitante, entra
alla polizia segreta clandestina di Himmler, dove gli viene
assegnato un lavoro tutt’altro che eccitante, perché viene
impiegato per schedare ebrei, ma che farà con uno zelo tutto
particolare ottenendo il soprannome di «Electro
Eichmann» per via dell'ex lavoro.
Eichmann farà un viaggio anche in Palestina, per conoscere
meglio l’ideologia degli Ebrei. Si appassiona al lavoro e alla
materia. Impara come vivono gli Ebrei, dove vivono, cosa
possiedono e il meccanismo burocratico che potrebbe
ostacolare - se uno volesse - la loro vita.
Il suo momento di gloria, dentro il partito, arriva nel marzo del
1938, quando all'indomani dell’Anschluss austriaco è inviato
proprio a Vienna per organizzarvi l'"emigrazione forzata". In
diciotto mesi, con il suo metodo infallibile, 160.000 ebrei sono
costretti a lasciare l'Austria. Dopo le "emigrazioni
forzate" risolte così bene, in Germania viene dato un colpo di
acceleratore all'antisemitismo e si occupa di deportazioni. in
Italia, dopo l'8 settembre, Eichmann fa un "carico" di circa
10.000 Ebrei nelle comunità in pochissimo tempo.
«Electro Eichmann»
Eichmann, che prima cercava la vita eroica e avventurosa, entra
talmente bene nella parte del "burocrate fantasma", dentro il suo
ufficio e dentro questa diabolica "catena di montaggio", che di lui
non si sa nulla, opererà sempre nell'ombra. Gli danno anche dei
gradi, tenente colonnello nel 1941, ma non partecipa a nessuna
manifestazione, non fa vita mondana, non si espone mai.
Al crollo del Terzo Reich, Eichmann cerca di ritornare in
Germania, ma viene catturato dagli Americani. Agli interrogatori
dà un nome falso passando inosservato, e viene così rilasciato.
Da quel momento di Eichmann non si sa più nulla. Se ne parlerà
al processo di Norimberga, ma nessuno ha una fotografia scattata
negli ultimi dieci anni.
Wiesenthal, il famoso cacciatore di ufficiali tedeschi, indaga
presso la famiglia, la moglie e il padre che è ancora vivo, ma
nessuno l'ha più visto. Wiesenthal scopre anche che alcune
tracce portano in Italia dove gli è stato rilasciato, da un
compiacente convento.
Il ritrovamento Nel giugno del 1948 Eichmann venne munito di documenti di identità falsi
rilasciati dalla Croce Rossa a nome di Ricardo Klement.

L’11 novembre del 1950 si imbarcò su un piroscafo italiano nel porto di Genova e
raggiunse l’Argentina. Qui entrò a lavorare negli stabilimenti della Mercedes
vicino a Buenos Aires riuscendo anche a portare con sé la propria famiglia.

Il figlio di Eichmann frequentava una ragazza tedesca a cui si presentò con il suo
vero cognome e a cui parlò della storia della sua famiglia. La ragazza informò il
padre, un ebreo sfuggito all’Olocausto, che non esitò nell’ informare il Mossad,
servizi segreti israeliani. Dopo un lungo periodo di preparazione, i servizi segreti
israeliani, organizzarono l’operazione di arresto. L’11 maggio del 1960, mentre
Eichmann rientrava dal lavoro, venne rapito e nove giorni dopo venne trasferito in
Israele a bordo di un volo speciale, travestito e imbottito di anestetico. Il
pomeriggio del 23 maggio 1960, fu annunciata la cattura di Adolf Eichmann. In
Israele venne sottoposto a processo per i crimini che aveva commesso.

Rafi Eitan, l’uomo che catturò Adolf Eichmann


Il processo

Arrivato in Israele Eichmann passò i mesi prima del processo venendo interrogato quasi tutti i giorni.
Il processo iniziò l’11 aprile del 1961 presso la corte distrettuale di Gerusalemme.
Eichmann doveva rispondere di quindici imputazioni, avendo commesso, «in concorso con altri», crimini contro il popolo ebraico, crimini contro
l’umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista. La legge in base alla quale fu giudicato era del 1950 e prevedeva che una persona che avesse
«commesso uno di questi crimini» fosse «passibile della pena di morte».
Eichmann si dichiarò, per tutte e quindici le imputazioni, «non colpevole nel senso dell’atto di accusa».
Il processo di primo grado durò quattro mesi.
Per la prima volta testimoniarono dei sopravvissuti, 112 in totale, e vi furono degli svenimenti in aula. I giudici erano tre. Per Eichmann, che era difeso
da un avvocato di Colonia pagato dal governo israeliano perché la Germania si rifiutò di farlo, venne predisposta una gabbia di vetro a prova di
proiettile nell’aula. L’intero processo venne registrato in esclusiva da una troupe americana.
Per tutta la durata del processo l’avvocato di Eichmann continuò a ripetere che l’imputato non poteva essere processato a Gerusalemme e
Eichmann stesso si difese affermando che stava semplicemente eseguendo degli ordini: «Questi ebrei erano destinati ai campi di sterminio? Sì o
no?», gli venne esplicitamente chiesto. E lui: «Non lo nego. Non l’ho mai negato. Ricevevo degli ordini e dovevo eseguirli in virtù del mio giuramento.
Non potevo sottrarmi e non ho mai provato a farlo. Ma non ho mai agito secondo la mia volontà». E ancora: «Questo vuol dire che lei era totalmente
passivo?». Eichmann: «Passivo, non direi proprio. Facevo ciò che ho appena detto, obbedendo ed eseguendo gli ordini che ricevevo (…) Io non ero
un imbecille, ma ricevevo ordini».
Il processo
Il processo

Dopo quattro mesi dalla fine del processo di primo grado, il 15 dicembre 1961 Eichmann venne riconosciuto colpevole di tutte le quindici
imputazioni che gli erano state contestate. Il suo avvocato fece subito richiesta d’appello e il secondo processo a suo carico iniziò tre mesi
dopo.
Il 29 maggio del 1962 i giudici confermarono il giudizio di primo grado.
Eichmann fu condannato a morte e giustiziato nel carcere di Ramla, in Israele il 31 Maggio 1962. Come stabilito dal verdetto il cadavere fu
cremato e le sue ceneri vennero caricate su una motovedetta della marina israeliana e disperse nel Mar Mediterraneo al di fuori delle
acque territoriali israeliane.
L’interesse del pubblico e la copertura mediatica del processo fu enorme. Inoltre, aveva una grande funzione simbolica, dato che era la
prima volta che Israele metteva sotto processo un criminale nazista. La notizia dell’arresto di Eichmann rese orgoglioso Israele, ma allo
stesso tempo lo costrinse a confrontarsi con i ricordi e le esperienze dolorose dei sopravvissuti, che costituivano un quarto della
popolazione.
Il processo rappresentò per lo Stato ebraico l’opportunità di riesaminare la propria comprensione dell’Olocausto. La punizione di
Eichmann non era il punto nevralgico del processo, bensì esso ebbe la funzione di ricordare agli altri Paesi che l’Olocausto li obbligava a
sostenere l’unico Stato ebraico esistente sulla terra.
Ancora più importante era il fatto che il processo aveva offerto la possibilità di impartire la lezione fondamentale dell’Olocausto alle
giovani generazioni di israeliani, per i quali tale periodo storico era stato come rimosso.
I più famosi e significativi resoconti del processo a Eichmann furono
quelli della scrittrice e pensatrice tedesca Hannah Arendt per il DATA DI PUBBLICAZIONE: 1963
New Yorker, poi raccolti e riorganizzati nel libro La Banalità del
Male – Eichmann a Gerusalemme, pubblicato nel 1963.
Hannah Arendt «La banalità del male»
Hannah Arendt, ebrea, cittadina americana e inviata
a Gerusalemme, raccontò che Eichmann era una
persona, tutto sommato, ordinaria, al contrario
dello stato di Israele che lo descriveva come
«assassino di un popolo».
Arendt non disse che Eichmann era semplicemente
un burocrate, per lei Eichmann rappresentava
«l’assenza di pensiero» cioè l’assenza di una
dimensione interiore etica della coscienza. Questa
assenza di pensiero era anche un’assenza di
responsabilità.
Arendt, in un altro scritto, per spiegare meglio la sua
posizione, fece riferimento alla massima socratica
«meglio subire il male che farlo»: era meglio avere a
che fare con un innocente piuttosto che con un
criminale.
Eichmann era banale, perché dentro di lui non c’era
un male demoniaco, cioè un principio alternativo al
bene, ma un male come assenza e vuoto.
Per non
dimenticare…mai.

Lavoro realizzato da:


Raffaele Aragona, Avallone Lorenzo, Andrea Abate,
Silvia Sollazzo, Giulia Ashley Sole, Alessio De Maio.
Alunni della classe II Sez. I
I.C. «T.Tasso» Salerno a.s. 2020-21
Docente: prof.ssa Annapaola Capuano

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