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94112 – Ermeneutica del Lezionario: Introduzione generale e premessa al metodo storico-critico, 1

Prof. Renato De Zan (diocesano).

23/02/2001 - Ermeneutica del Lezionario, 1a. Lezione, Prof. Renato De Zan.

Parlando del Lezionario, è bene sempre distinguere tra la forma ed il contenuto: la forma
deriva dalla liturgia sinagogale, mentre il contenuto dipende dalla struttura celebrativa cristiana.
Si tratta della prima tesi di questo corso. Già nel corso di Bibbia e Liturgia, si è visto lo stretto
legame che intercorre tra la Liturgia della Parola ed il programma rituale. In altre parole, la
Liturgia della Parola eredita la forza dell’avvenimento fondante, mentre il programma rituale è
quella “forza” che il Signore ci mette a disposizione per poter prendere tutta la salvezza presente
nella medesima Liturgia della Parola.
Ora, questa verità non la eredita la Chiesa dalla Sinagoga, ma dal mistero pasquale. Questo
spiega che se la forma viene dalla Sinagoga e dalla sua tradizione, la forza ed il contenuto del
lezionario, non intenso in senso materiale, viene unicamente dal mistero vissuto da Gesù.
Fatta questa premessa, si può intuire che i testi del Lezionario non si possono leggere come
se fossero testi della Scrittura, nudi e crudi. Invece, sono testi che hanno una funzione, cioè
quella di riproporre al presente un avvenimento, di cui essi stessi sono narrazione; già questo
fatto implica un’ermeneutica diversa dei testi. Altro è fare esegesi con il testo biblico, dentro al
testo biblico, altro è fare esegesi di un testo biblico, dentro ad un Lezionario.
Nel Corso di Bibbia e Liturgia, abbiamo potuto appurare la manomissione di testi: cosa vuol
dire? Sono testi cambiati in quattro elementi:
1) l’incipit1 - la Liturgia molto spesso aggiunge alla pericope il “tempore” oppure taglia
alcuni elementi per poter inserire in illo tempore;
2) l’explicit2 - la parte finale della pericope biblica del lezionario è tagliata, molto spesso, per
esigenze tematiche e non secondo la logica letteraria dell’esegesi scientifica. Questo fa si
che la logica del Lezionario, non corrisponde a quella scientifica;
3) il taglio di alcuni versetti impoverisce il testo biblico preso in esame – può avvenire
che di un brano si leggano i primi quattro versetti e gli ultimi quattro versetti. Anche
questo tipo di fenomeno è presente nel Lezionario odierno. Ci può essere, dunque, la
sottrazione di alcuni versetti;
4) la pericope è inserita in un nuovo contesto – ad esempio la pericope della
trasfigurazione non si trova più all’interno del contesto della profezia della Passione. In
questo modo si trova il racconto della Passione nei Sinottici. Il testo viene tolto dal suo
contesto originario e viene immesso nel contesto del Lezionario.

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Un esempio concreto lo possiamo prendere dall’espressione: “In quel tempo”. E’ una formula quasi fissa e
normalmente viene aggiunta alla pericope, oppure una parte della pericope viene tolta e viene messa la medesima
formula. Già questa prima caratteristica altera il testo biblico. Un es. concreto è Mc 9,1ss.: "Dopo sei giorni",
viene sostituito da "in quel tempo". Per un biblista l'espressione "Dopo sei giorni", è molto importante perché
crea un parallelo tra il testo dell'Esodo (dove si descrive la salita di Mosè sul monte Sinai) ed il brano di Marco
che usa la stessa espressione dell’Esodo. C’è, in sostanza, un parallelo tra Mosè e Gesù che si rivela ai discepoli.
Come nel Sinai c’è stata una teofania, nel monte alto (v. l’episodio della trasfigurazione narrato da Marco) c’è
stata la teofania di Gesù. Ma se si cancellano i “sei giorni” e si mette l’espressione “in quel tempo”, questo
parallelismo non ha più motivo di esserci perché manca nel testo il motivo per riunire i due episodi. In effetti, il
liturgista fa un’operazione molto intelligente, perché, nella Seconda Domenica di Quaresima, non vuol
sottolineare la dimensione divina di Gesù, ma vuole mostrare il fatto della Risurrezione di Cristo, quale modello
della nostra futura risurrezione. Attraverso il testo del Vangelo celebriamo il mistero di Cristo: è sufficiente anche
un solo versetto per celebrare tale versetto. Il liturgista è mosso da motivi teologici.
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Il 60% delle pericopi, per un biblista sono tagliate male, perché sotto il profilo esegetico, il nuovo brano appare
o troppo lungo o troppo corto, rispetto al genere letterario del testo originale. Per un liturgista, invece, questo tipo
di taglio è stato fatto con intenzione, dal momento che è diversa la logica di un liturgista rispetto a quella di un
biblista. In altre parole, se si segue la logica del racconto non si ha il risultato che si ottiene se si taglia il testo in
un determinato punto, come ha pensato il liturgista che toglie dei temi biblici. Tutto questo è possibile perché
attraverso il testo o anche un solo versetto del Vangelo si celebra il mistero di Cristo.
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A questo punto inizia il problema, nel senso che, l’esegesi che si fa alla pericope della
trasfigurazione, collocata all’interno della Sacra Scrittura, è diversa da quella del brano inserita
nel Lezionario. Questo spiega il limite dei biblisti che, il più delle volte fanno il commento del
testo biblico, ma non del Lezionario, perché non tengono conto del nuovo contesto in cui il
Liturgista ha inserito quel determinato brano biblico, ma rimangono fermi nell’istanza esegetica.

In base a questi primi elementi, si può già essere in grado di capire l’impostazione di questo
corso:
- come liturgisti bisogna essere in grado di “controllare” i biblisti, giacché non si può
essere in grado di fare una esegesi ad un testo biblico, perché mancano gli strumenti
fondamentali (es. la conoscenza perfetta del greco biblico, l’aramaico antico, l’ebraico, le
lingue cuneiformi, le lingue semitiche. Il greco biblico il più delle volte risponde alle leggi
della grammatica semitica);
- a questo punto diventa importante conoscere il metodo storico-scientifico, attraverso il
quale verificare se l’esegesi fatta da un biblista merita attenzione oppure no. Questo
metodo segue dei criteri, attraverso i quali il liturgista individua le parti da prendere in
considerazione, nonché riesce a capire come il biblista ha operato questo commento;
- si vedrà poi il metodo narratologico che permette uno sviluppo successivo del lavoro;
- si vedrà, infine, il metodo strutturalistico-semiotico, che è il metodo che richiama ai
diversi schemi retorici;
- di conseguenza, l’esame sarà scritto: si tratta di fare un piccolo elaborato di circa 5 o più
pagine (7 fogli al massimo) per il quale si dovrà scegliere, nell’ambito della Quaresima
(Anno “A”, “B”, “C”), una delle quindici domeniche.
- In questa prima lezione specifichiamo le prime due tappe da seguire:
1) La prima scheda è quella di proporre una bibliografia di dieci anni (es., dal 1905 al
1914, dal 1914 al 1923 compreso, così via) per il Vangelo della Domenica scelta. Tra
gli strumenti per fare questa bibliografia, si può citare l’Elenchus Bibliographicus,
oppure la Rivista New Testament abstrats. L’Elenchus Bibliographicus, oggi viene
chiamato Elenchus of Biblica, nel quale scegliere i 10 anni, ma quali? Qualunque
decade va bene, pur sconsigliando gli ultimi dieci anni, poiché il Biblico è indietro con
le pubblicazioni. Su questi dieci anni, per il brano scelto, si compone la bibliografia.
2) La seconda scheda, comporta la scelta di cinque commentari, di qualunque lingua e
di qualunque brano: di esso occorre esaminare quale metodo è stato adoperato (es,
quello storico-biblico o narratologico o strutturale, ecc.) per fare una critica il cui
scopo è quello di dimostrare se il biblista ha seguito correttamente tutti i passaggi del
metodo adottato, o ha fatto trucco (ha lasciato perdere la parte scientifica per passare
subito alla teologia biblica).
3) La terza scheda comporta il riassunto quello che il biblista dice a livello di idee
teologiche in funzione del brano evangelico, insieme ad una sintesi delle idee
teologiche che scaturiscono in più rispetto a quelle che il biblista ha messo in luce.
Con questo passaggio, si arriva a comprendere che il Liturgista sotto il profilo
teologico è molto più capace del biblista stesso. In questo senso è importante vedere
quale metodo liturgico di lettura di una pericope viene adottato. E’ una metodologia
che il biblista non conosce, perché nasce dalla premessa fatta all’inizio, cioè che la
Liturgia della Parola, all’interno della celebrazione cristiana assume una funzione
particolare. Riscoprendo questa funzione si scopre che nel testo preso in esame ci
sono molte più cose da evidenziare di quanto abbia fatto il biblista.
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Ritornando, all’introduzione generale del corso, nella Chiesa è stata ereditata la forma
sinagogale, ma quale era? A tale riguardo è consigliabile fare riferimento ad un libro di Pierre
Grelot, Vol. 9 (Introduzione al Nuovo Testamento, Ed. Borla: esso è dedicato alla Liturgia della
Chiesa nascente) dove viene spiegata molto bene tutta la Liturgia sinagogale. Lì ci sono degli
ottimi accenni agli interventi omiletici di Gesù che gli Apostoli definiscono i discorsi di Gesù (v.
il concetto di “Loghia” o “Detti” di Gesù). Il Culto sinagogale, sotto il profilo fenomenologico e
dello svolgimento, appare semplice: esso inizia con la berakà (o benedizione), seguita da un inno,
da un salmo, da un cantico e dalla lettura di un brano del Pentateuco, che viene chiamato
“Paraschà”. C’è poi l’ “astarà” che è il brano di un profeta o di un libro storico. C’è anche l’
“achimà”, cioè l’omelia che viene fatta da un laico e non dal sacerdote. Questo fatto spiega che
la Liturgia sinagogale è gestita dai laici, perché nessuno presiede. Ognuno svolge la sua
funzione: c’è un super- “sacrestano” che, all’inizio della Liturgia sinagogale assegna ad ognuno i
diversi compiti per la medesima celebrazione. Finita l’omelia, segue un inno e la benedizione
finale.
La “paraschià” e l’ “aftarà” non erano scelte a caso, ma vi erano degli elenchi che, ancora
oggi, si trovano stampati nelle attuali Bibbie ebraiche. Secondo il rito palestinese, il Pentateuco
veniva diviso in tante pericopi quante erano necessarie per coprire tre anni circa. Secondo il rito
babilonese, le pericopi erano più lunghe e si riusciva a leggere tutto il Pentateuco nell’arco di un
anno.
Da quello che si è detto viene spontanea una domanda: quali di questi due riti erano presenti
in Palestina, all’epoca di Gesù? Non si sa di preciso, tanto è vero che le diverse opinioni non
concordano tra di loro.
Ora, facendo un esame del Nuovo Testamento ed analizzando i diversi interventi di Gesù, ci si
accorge che tante volte c’è la citazione della Paraschià” che Gesù fa e la citazione dell’ “aftarà”,
come ad es., Gv 6, che contiene una bellissima omelia, fatta da Gesù nella Sinagoga di Cafarnao,
a cui è seguita una discussione nel pomeriggio. Così pure, in tanti altri interventi, Gesù stesso
opera quasi sempre nella Sinagoga, dove lui fa la predica o l’omelia (egli prendeva dai testi
quello che gli serviva per la sua omelia).
Sia la “paraschià” sia l’ “aftarà” avevano una struttura spiegata molto bene, secondo una
duplice linea: la “paraschià”, cioè il brano del Pentateuco, che seguiva la lectio continua nell’arco
di un anno (nel rito babilonese) o di tre anni (rito palestinese). Non veniva saltato alcun brano ed
essa si svolgeva fino ad arrivare all’ultimo brano del Libro del Deuteronomio, per poi iniziare da
capo. L’ “aftarà” era un brano preso o dai Profeti o dai Libri storici. Per gli Ebrei non vi era
alcuna differenza. Questi testi erano scelti in funzione della “paraschià”, nel senso che dovevano
esplicitare alcuni temi del brano del Pentateuco. Successivamente venivano messi insieme il testo
del Pentateuco e quello del Profeta scelto, per arrivare ad una sorta di “esplosione” di questi
temi, cioè alla loro evidenziazione. Ciò comporta tra l’altro l’accostamento di una pericope del
Profeta a quella del Pentateuco, in modo tale che quest’ultima assume una fisionomia
particolare. Tale accostamento è unicamente tematico. L’ “aftarà”, tra l’altro, non segue nessun
ordine perché pesca in più parti e non segue alcuna organicità. Ciò spiega che essa si trova in
funzione della “paraschià” che, invece, mostra una sua struttura ben ordinata. Questa struttura
passa poi nel Nuovo Testamento, anche se le prime testimonianze, della I Apologia di San
Giustino Martire, non sono molto chiare.
Le prime documentazioni serie le troviamo negli scritti di Agostino, il quale è del parere che
bisogna smettere di leggere la Lettera di San Giovanni ai Parti 3 (si tratta della 1Gv), perché sta
per iniziare il grande tempo di Quaresima, dove le letture cambiano. Il che significa che, al tempo
di Agostino, la Quaresima aveva già delle letture particolari. Ci sono, inoltre, altre notizie
3
Ci troviamo alla fine del IV secolo.
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attraverso gli omeliari. Un esempio concreto sono le omelie di Cesario di Arles, attraverso le
quali si può ricomporre il Lezionario di Arles, al tempo di Cesario stesso. Altre notizie, ancora,
provengono da preti specializzati, uno dei quali si chiamava Museo di Marsiglia, Essi erano in
grado di costituire i Lezionari. I primi reperti archeologici di lezionari, in Occidente, risalgono
più o meno la Lezionario di Murbach, il Palinsesto di ____________; invece in Oriente si trova il
cosiddetto Lezionario di Gerusalemme: si tratta di una copia tardiva, scritta in siriaco, attraverso
la quale si può risalire almeno al IV secolo se non addirittura al III secolo d.C.

In aggiunta a quello che è già stato detto, si può dire che, in ambito storico, si creano dei miti,
dove non si conosce bene la situazione per mancanza di dati. Il mito stesso esigeva che nella
celebrazione della Chiesa si leggesse la Bibbia in forma continua, ma questo non è mai avvenuto
(v. Vogel, Introduzione alle fonti della Liturgia Occidentale, dove spiega il perché non ci sia mai
stata una lectio continua o libera). I Documenti che possediamo di che tipo sono? Sono
sicuramente difficili da leggere: ci sono delle Bibbie (dette segnate), dove si trovano dei codici.
Esse non sono state la forma più antica del Lezionario, ma sono da considerarsi come una tra le
forme del Lezionario, che aveva – come coevo o coeva – un’altra foma, cioè le liste o comes, le
quali – non essendoci ancora i capitoli o i versetti – erano delle lunghe liste di frasi bibliche, dove
si indicava con quali frasi si iniziava e si finiva il brano. Molto spesso di queste comes, si ha
soltanto l’incipit, ma non explicit, per cui si finiva quando si voleva.
Finalmente seguono gli Evangelistari o Epistolari che sono i testi che riportano per intero la
pericope. Mentre gli Evangeliari e gli Epistolari sono testi separati dalla Sacra Scrittura, i comes
potevano essere separati dal testo biblico, oppure messi in fondo al testo biblico o anche in
fondo al Sacramentario.
Prima del Messale plenario, vi erano alcuni esemplari di Sacramentari che hanno l’epistolario
e l’Evangelistario inseriti dentro, alla fine. In questo modo si ha in un unico volume, diviso in
due parti.
I Messali plenari, invece, hanno per ogni formulario un Lezionario corrispondente.

Qual'è il testo ufficiale del testo del Lezionario della Liturgia Romana? Si tratta del testo
latino della Neo Vulgata (v. Ed. Eph. Lit. ultimo numero, dove si trova una bellissima edizione
critica della Editio Tertia dei Praenotanda, con le varianti rispetto all’Editio Typica Altera dei
Praenotanda del 1975). Il Latino, ivi contenuto, non è da considerarsi latino allo stato puro. Ciò
richiama alla questione legata all’esegesi biblica che se per i biblisti è da considerarsi la madre di
tutte le esegesi, non lo è altrettanto per il liturgista. A tale riguardo è interessante notare che
quando si analizza un testo, ad es., quello del Siracide, non si può prendere solo il testo di
Ebraico 1, in quanto mancante, per cui è necessaria una sua ricostruzione. Se si prende il greco
1 c’è il rischio di andare fuori strada perché la Vulgata non traduce dal greco 1, ma dal greco 2.
In questo modo non si può andare contro la consuetudine della Chiesa. Tra l’altro la Vulgata
amplifica il greco 2, mentre sia ebraico 1, sia ebraico 2 non sono testi completi. Allora, come si
può risolvere questo quesito? Guardando alla Neo- Vulgata, ci si accorge che è più lunga della
Vulgata, la quale, a sua volta, appare più lunga rispetto al testo originale. Cosa significa tutto
questo? Vuol dire che se il greco 1, inizialmente appariva più vicino al testo originale, non è
stato utilizzato per la sua incompletezza, per cui si è passati ad un compromesso: al greco 1,
indicato con caratteri più grandi, si affianca greco 2, con caratteri più piccoli. Nelle note si
useranno l’ebraico ed il latino, quando questo doppio testo diverge dal testo ibrido. Una
situazione ancora più difficile la si registra con il Libro di Ester, nel quale si ha una traduzione
glossata perché a livello interlineare si trova in più il commento di chi ha messo mano al testo
medesimo.
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Prof. Renato De Zan (diocesano).

Sotto il profilo ermeneutico, è importante vedere il n. 13 dei Praenotanda dei nuovi Libri
Liturgici, a cura di don Antonio Donghi. Esso così recita:
«La lettura del Vangelo costituisce il culmine della stessa Liturgia della
Parola. All’ascolto del Vangelo, l’Assemblea viene preparata dalle altre letture,
proclamate nel loro ordine tradizionale, prima cioè quelle dell’Antico Testamento
e poi quelle del Nuovo Testamento»4.

Questo spiega che nella Tradizione Occidentale, la Liturgia Romana ha sempre avuto solo due
Letture. Nel Messale del Concilio di Trento, la Prima lettura veniva normalmente tratta da San
Paolo. Quindi, dal Concilio di Trento in poi, la comunità cristiana nella Liturgia sentiva
pochissimo l’Antico Testamento. Rompendo la tradizione millenaria, la Chiesa di Roma ha
accettato, non più le due letture, ma le tre letture del ciclo domenicale festivo, mentre nel ciclo
feriale sono rimaste le due letture. Nel medesimo ciclo festivo, sono state ripescate le forme della
lettura sinagogale, cioè la forma continua o semi continua, anziché la forma tematica. Non
sempre queste forme sono state adoperate insieme.
Il Vangelo rimane, comunque, al culmine della Liturgia della Parola, il cui ascolto viene
preparato dalle altre due letture che sono funzionali al Vangelo stesso. Dunque la prima Lettura
va studiata per capire meglio il Vangelo e non può essere considerata a se stante. La seconda
lettura segue lo stesso discorso. Le due letture possiedono qualcosa che ha a che fare con il
Vangelo. Questo è un dato molto importante da tenere presente. Di conseguenza, quando si
studia il Lezionario, bisogna liberarsi dalla prassi celebrativa (o pragmatica), perché il Vangelo è
il primo elemento da considerare. Sia la prima, sia la seconda lettura sono orientate al Vangelo,
oltre al Salmo che è orientato alla prima lettura. Si crea così la seguente sequenza:
1) 1a Lettura  Vangelo;
2) Salmo Responsoriale  1a Lettura;
3) 2a Lettura  Vangelo.

Alla fine di questa sequenza sarà più facile la comprensione del Vangelo stesso. Ecco perché
nel lavoro che dovrà essere svolto, bisogna scegliere la Domenica ed il Vangelo corrispondente.
IL METODO STORICO-CRITICO
Questo metodo consta di ben 10 punti o tappe:
1) critica testuale;
2) analisi filologica;
3) analisi dell'autenticità;
4) critica storica;
5) critica letteraria;
6) genere letterario;
7) storia della tradizione;
8) storia della redazione;
9) esegesi;
10) Teologia.

Questo è il metodo usato dal biblista per compiere un lavoro scientifico, a livello storico
scientifico. Occorre tenere presente, a tale riguardo, che il metodo storico-critico parte da una
domanda: che cosa ha inteso dire l’autore? Ora, poiché gli autori sono molti, è necessario
sviluppare la storia della Tradizione, cioè è bene vedere come il testo nasce, come si amplifica e
4
cfr. I Praenotanda dei nuovi Libri Liturgici, Antonio Donghi ed., Milano, Ancora, 31995, 233.
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quali sono le ragioni del suo sviluppo, fino alla sua maturità, cioè la fase redazionale. Ciò implica
l’importanza dell’analisi filologica, perché altro è l’ebraico del X sec. a.C., altro è l’ebraico del II
sec. a.C.
Per quanto riguarda critica testuale biblica, essa non è uguale a quella biblica, perché la
seconda cerca di ricomporre, attraverso lo studio delle varianti, il testo biblico, così come è
uscito dalle mani dell’ultimo redattore.
Circa l'analisi filologica è una tappa molto delicata e segue tre stadi:
1) filologia della parola;
2) filologia della grammatica;
3) filologia della sintassi.

Per comprendere al meglio l’analisi filologica, prendiamo un esempio dalla Bibbia: nel Libro
della Genesi, si parla della creazione della donna, indicata dal termine ebraico(zelach). La donna
è stata tratta da una costola dell’uomo, ma “zelach” di per sé significa “battente” per cui non si
potrebbe tradurre donna con la parola “costola”. Tale termine è presente anche per descrivere il
coperchio dell’Arca dell’Alleanza. In realtà, a livello strutturalistico del vocabolo, “zelach”
presuppone un’apertura, per cui i battenti sono complementari ad un’apertura, così come quattro
lati sono complementari tra la base ed il coperchio dell’Arca. Questo fa comprendere che
la donna è complementare all’uomo, giacché Dio, nel momento in cui ha voluto creare anche la
donna, tolse all’uomo un qualcosa che gli era complementare. Ci troviamo dinanzi ad un’analisi
filologica vera e propria che ci fa comprendere che l’uomo senza la donna è niente. L’uomo e la
donna, singolarmente sono due “zeri”, mentre se vengono messi assieme divengono valore.
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Prof. Renato De Zan (diocesano).

02/03/2001 - Ermeneutica del Lezionario, 2a. Lezione, Prof. Renato De Zan.

ALCUNI METODI ANTICHI ED IL METODO MEDIOEVALE.


Breve Bibliografia: ALESSI ARIOSTO M., Parola di Dio, pane di Vita. Ordinamento della
lettura della Messa, Ed. Paoline 1986. DAYS L., Celebrare la Parola, Ed. Paoline 1992.
Liturgia e Parola di Dio, C.L.V. 1991 (è una raccolta di atti di un convegno della Settimana
Liturgica nazionale italiana). La Parola di Dio nella celebrazione, ed. R. Falsini, Ed. OR 1985.
BURGARD CH., La Bibbia nella Liturgia, ed. Paoline 1959.
Questi testi sono di scarso valore perché o commentano le Letture o i Praenotanda, ma
nessuno di questi testi, neanche di molti altri – che sono dello stesso genere – si preoccupa di
porsi il problema di fare l’ermeneutica del Lezionario.

Come il liturgista affronta il testo? Si è constatato, dunque, nel corso di Bibbia e Liturgia, che
il Lezionario non è il testo biblico del biblista, perché viene modificato. Se si vuole fare
un’ermeneutica del Lezionario, il liturgista deve conoscere alcuni metodi sia più antichi, sia più
recenti, perché lui, non essendo specialista della Sacra Scrittura, ha bisogno di rifarsi ai biblisti,
per prendere solo il necessario per il suo lavoro. Se la pericope del Lezionario è fatta di nove
punti, mentre la pericope è costituita da 15 punti, rimane superfluo prenderli tutti, ma è bene
considerare il numero corrispondente alla pericope del Lezionario. In altre parole si accinge a
commentare un testo che nel lezionario non c’è.
Prima di riprendere in mano il metodo storico-critico, è bene dire qualcosa sui metodi antichi:
1) midrash5 (ricerca dal verbo darash) – Quando ci si avvicina ad un testo si legge il testo
interrogandolo. Non si tratta di una semplice lettura. Questo fa capire che il midrash, in
base alla domanda che si poneva al testo stesso, prendeva uno tra questi tre nomi:
a) allakico – è il midrash del cammino: nel mondo semitico camminare con Jahvé
significava impegnarsi moralmente. Era la lettura del testo biblico che poneva la
domanda: cosa insegni circa i valori ed i comportamenti morali? Questa lettura non
aveva altri scopi o argomenti. Ad esempio, nel ciclo di Abramo (Gen 17) abbiamo la
circoncisione fatta con coltelli di pietra: si tratta di una circoncisione dolorosa. La
conseguenza morale era quella di fare la circoncisione con coltelli di pietra.
b) aggadico – da aggadà (naghid), vuol dire narrare. Allora si ha il midrash della
narrazione; era una lettura fatta con questa domanda: tu testo come sostieni la mia
fede, come alimenti la speranza, come mi consoli? Si poteva, dunque leggere lo stesso
testo di prima, ma viene a cambiare l’obiettivo.
c) Pesher – è più complesso ed impegnativo, perché vuol dire la ricerca dell'interpretazione. Non si
parte dalla Scrittura, ma dagli avvenimenti che si verificano. La Scrittura è concepita come una
grande profezia. Ci si domanda: Questo avvenimento vissuto quale brano della Scrittura incarna? Si
tratta, dunque, di giocare su due fronti: l'ambito storico e quello scritturistico, per vedere quale brano
biblico si è incarnato nell’avvenimento vissuto. Un esempio concreto è la nascita di Gesù e la visita
dei Pastori, i quali vivono l’esperienza dell’angelo che gli rivela l’importanza di quella nascita. A
tale riguardo c’è una annotazione di Luca il quale aggiunge che Maria custodiva queste cose nel suo
cuore meditandole, come riferisce il testo di Lc 2,19, qui sotto riportato:
19 ¹ d Mari¦m p£nta sunet»rei 19 Maria, da parte sua, serbava tutte
t¦ ·»mata taàta sumb£llousa queste cose meditandole nel suo cuore.
5
A tale riguardo, se si vuole studiare il midrash, c’è un bel libro edito dalle Dehoniane di Bologna di Ghunter S.,
Il midrash.
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Prof. Renato De Zan (diocesano).

™n tÍ kard…v aÙtÁj.
Nel testo greco c’è un participio presente (sumb£llousa): sumb£llw non vuol
dire meditare, ma “lanciare insieme”. Ciò sta ad indicare che Maria guardava sia la
Scrittura, sia l’avvenimento, praticando il midrash pesher, per capire l’avvenimento.
Se si va a Matteo 2,14 si legge: «Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua
madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si
adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho
chiamato il mio figlio».Se si va al libro di Osea 11,1 6 si vede subito che non è una
profezia. Infatti, Osea è un profeta del Regno del Nord dell’VIII secolo a.C. Egli sta
narrando quello che accadde almeno cinque secoli prima, cioè nel XIII secolo a.C.
Eppure Matteo adopera quella narrazione storica di Osea come se fosse realmente una
profezia, riferendosi al fatto che quando Gesù è andato giù in Egitto si è incarnata la
Scrittura: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Questo fa capire che per il Midrash
pesher tutta la Scrittura è profezia, anche quando fa un racconto storico o anche
quando fa un’affermazione sapienziale o espone un codice giuridico, perché è
importante l'avvenimento, purché nella Sacra Scrittura si trova un brano che si adatta
al fatto reso presente, come nell’esempio sopra esplicitato. Questo è stato il primo
metodo adoperato dalla Chiesa.
Questo metodo si è incarnato in altri tre grandi metodi:
1) tipologia;
2) allegoria;
3) theoria (o teoria);
Circa il primo, è lo studio delle orme lasciate da Cristo e dalla Chiesa, nell'AT per
comprendere Cristo e la Chiesa. Un esempio concreto è Giuseppe che venduto agli Egiziani,
diviene vice-re e salva i suoi fratelli che lo avevano venduto in precedenza. In Giuseppe,
Patriarca, c'è un'orma di Cristo. Giuseppe salva coloro che lo hanno venduto.
Circa il secondo, esso è l'applicazione di uno schema esterni al testo di una equivalenza: un
esempio concreto è la parabola del Buon Samaritano, secondo l’allegoria composta da
Sant’Agostino. Il Buon Samaritano è Gesù; l'asino è l'umanità assunta da Cristo; i mercanti sono
i peccatori; l'oste è il sacerdote; l’osteria è la Chiesa; il denaro dato dal Buon Samaritano all’oste
sono i sacramenti; i briganti sono i peccati. Questo schema esterno è costituito in precedenza e
viene applicato poi alla Sacra Scrittura. Esso calza molto bene con il testo ed indica una giusta
interpretazione.
Circa, la theoria, essa è la lettura attenta del testo, fondandosi unicamente sull'analisi
filologica, grammaticale e sintattica. Essa è la madre del Metodo Storico-Critico e fu a lungo
applicata nella scuola di Cesarea.
Di queste tre metodi lasciati dalla tradizione patristica, la più importante è la tipologia. Infatti,
l’allegoria, ormai, nemmeno oggi viene applicata, anche se in Oriente è ancora viva la sua
tradizione, a motivo del fatto che è ancora sentita tutta la tradizione patristica, compresa la
tipologia. In effetti, nell’interpretazione dei testi, gli Orientali adoperano molto i testi liturgici ed
eucologici che li accompagnano. Questo fa comprendere che, alle volte, assume una più grande
importanza il tropario, rispetto al testo biblico, perché si tratta di una riflessione tramandata dalla
celebrazione ad memorabilis della riflessione dei Padri fatta sul testo medesimo.
Entrando nel Medioevo quali sono i metodi usati? Prendiamo spunto da questa espressione
latina: «Littera gesta docet; quid credas allegoria; moralis quid agas; quo tendas anagogia».
Per spiegare questo insieme di proposizioni in latino possiamo richiamarci alla bella scena di
6
Il testo è il seguente: «Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Alcuni metodi antichi ed il metodo Medioevale. 9
Prof. Renato De Zan (diocesano).

Maria che va da Elisabetta. La lettura letterale del testo insegna ciò che è accaduto. Allora
Giosuè davanti a Gerico fa la processione per una settimana suonando le trombe, e le mura
cadono. Questo è il fatto, secondo i medioevali, ma per noi non è così; dal latino la seconda
proposizione è così tradotta: cosa devi credere la lettura di fede? (Docet è sottinteso).
Ritornando all’episodio di Maria ad Elisabetta, tra di loro c’è questo importante colloquio:
Elisabetta, vedendo Maria chiede: «A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me, ma
chi è “il mio Signore”? E’ Cristo. Poi, Elisabetta dirà: «Beata Colei che ha creduto
all’adempimento delle promesse del Signore». Ma chi è questo secondo Kirios? E’ sicuramente
Jahvé. Allora sorge un’altra domanda: dentro a questo testo chi è Gesù? Risposta: E' Dio, perché
Elisabetta chiama “Kirios” il bimbo nel grembo di Maria e chiama “Kirios” colui che ha
adempiuto alle promesse. C'è qui una confessione di fede circa la divinità di Gesù ed è una
riflessione della Chiesa nascente. Tra l’altro, il testo di Luca mette in evidenza il fatto che
Giovanni nel grembo di Elisabetta esulta alla presenza di Maria, allo stesso modo di Davide che
si mette a danzare davanti all’Arca dell’Alleanza quando viene portata dentro le mura.

Ritornando alle proposizioni latine, moralis quid agas si traduce così: Che cosa devi fare? la
lettura morale te lo insegna. Allora, quali valori ci sono in questo testo? Nel testo di Luca essi
non vengono indicati dal momento che al momento della nascita del Battista, Maria non rimane
con Elisabetta per aiutarla. Maria sarebbe stata con Elisabetta soltanto tre mesi e si sarebbe
recata da Elisabetta al sesto mese di gravidanza, quando l’Angelo annunziò a Maria il
concepimento del Salvatore nel suo grembo. Poiché la gravidanza richiede nove mesi, il fatto
corrisponde perché Maria sarebbe andata via proprio il nono mese, appena prima della nascita di
S. Giovanni il Battista. Questo spiega che Maria è andata da Elisabetta per verificare il segno che
lei aveva ricevuto con l’annuncio dell’Angelo. Certamente c’è il valore della persona presente nel
grembo di Maria: si tratta della persona di Cristo.
Guardando all’ultima espressione latina, quo tendas anagogia, si ha la frase italiana
corrispondente: verso dove sei diretto? E' l’Escatologia anagogica che lo insegna: «Beata tu che
hai creduto all'adempimento delle promesse». Tale affermazione di Elisabetta indica che nel testo
di Luca c’è la Teologia escatologica.
Da ciò abbiamo un brevissimo esempio di lettura medioevale di un testo: le più grandi opere
medioevali sono state fondate proprio su questo criterio sopra esposto 7.

7
A tale riguardo c’è un bel libro di H. DE LUBACH, L’esegesi Medioevale, ed. Paoline. Sempre dello stesso autore
c’è un altro testo, sull’esegesi di Origine: Scritture: Parole e Spirito, ed. Paoline. Ultimamente è uscito il libro dal
titolo: I principi di Esegesi di Ticonio (si richiama al suo testo fondamentale: il Liber Regularum). Essi derivano
direttamente dalle leggi rabbiniche sull’esegesi. Ciò indica un passaggio dal mondo rabbinico al mondo cristiano.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico. 10
Prof. Renato De Zan (diocesano).

IL METODO STORICO CRITICO.


Riprendendo dal discorso finale dell’ultima lezione, quando sono stati accennati dieci punti o
tappe, il secondo passaggio è l'analisi filologica che l'esegeta fa di un testo (v. l’esempio dello
zelach). Dal punto di vista grammaticale possiamo richiamarci all’episodio di Gv 20,11-18, dove
si parla dell’apparizione di Gesù a Maria di Màgdala. Esso così recita al v. 17: «Gesù le disse:
“Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro:
Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Il testo greco è il seguente:
«lšgei aÙtÍ Ð 'Ihsoàj m» mou ¤ptou, oÜpw g¦r ¢nabšbhka prÕj tÕn
patšra…». In greco c’è un imperativo presente negativo: m» mou ¤ptou che non vuol dire
non mi toccare (¤ptomai vuol dire abbracciare e baciare. Esso indica un forte gesto di
accoglienza per esempio, di una madre che non vede da molto tempo il figlio). Se si segue la
logica grammatica: se Gesù avesse voluto proibire l'azione disdicevole in sé avrebbe adoperato
l’imperativo negativo aoristo, ma invece adopera l'imperativo presente negativo.
In effetti, nel mondo ebraico antico esiste una paratassi, cioè due frasi che nella grammatica
greca o nella grammatica latina diventa una principale ed una secondaria. In realtà, nella sintassi
semitica le due frasi restano principali, perché in mezzo viene posta la congiunzione “e”, ma non
sono due azioni, bensì una sola. Allora questo spiega che, quando Dio benedisse l’uomo e la
donna, dicendo, moltiplicatevi e soggiogate la terra, esprime una sola azione e non due azioni.
Allora le due frasi unite tra loro da una congiunzione indicano una sola azione. In realtà, nel
momento in cui Dio dice, “moltiplicatevi…” esso non è un comando, ma una benedizione che
indica un regalo che Dio ha fatto all’uomo, ponendogli a fianco la donna, cioè la sua
complementarietà. Questo spiega che nella mentalità orientale la benedizione in Oriente non
assume mai il carattere di imperativo: un altro esempio concreto è la benedizione di Isacco al
figlio Giacobbe, il quale imbrogliando riceve la benedizione del Padre. Se per noi la benedizione
è un augurio, in Oriente è un regalo vero e proprio. Di un regalo si può fare un imperativo
morale? Lo stesso ragionamento lo possiamo applicare al testo di Gv 20,17.
Se si prende l'espressione: "Hoc est enim corpus meum...", si nota che non è esatta, perché il
termine greco tÕ sîm£ mou8 indica tutta la persona di Cristo: il catechismo dice che
nell’Eucaristia Ciò indica che ci troviamo dinanzi ad un embolismo sacramentale che indica la
presenza di tutta la persona di Cristo. Allora, se si traduce ad litteram si ha la frase
corrispondente: “Questo è il mio corpo”. Ma se ci si vuole chiedere che cosa intende dire
l’autore quando usa l’espressione greca tÕ sîm£ mou si comprende che il rispettivo testo
latino non è esatto. Dunque nasce la domanda: perché il testo latino è così esposto? I Padri della
Chiesa, giustamente, avevano fatto del racconto dell’istituzione eucaristica una narrazione, cioè
un embolismo sacramentale. Ciò viene indicato dal termine “enim” che ci suggerisce se ci
troviamo o no davanti ad un testo narrativo. In effetti, tutta la narrazione rende presente il
Signore dalla Parola di Dio sino alla dossologia, nella stessa celebrazione eucaristica.
Dopo l'analisi filologica, avviene il passaggio dell’autenticità che risponde alle domande: Chi
ha scritto? Dove ha scritto? Quando ha scritto? Se si guarda la Lettera ai Romani sulla
giustificazione, si nota come l’autore ci tenga a dire che l’uomo senza la fede non può essere
giustificato. Se si guarda San Giacomo, sempre sul tema della fede, si ha un’affermazione,
apparentemente contraria: la fede senza le opere è morta. Chi ha ragione dei due? In realtà,
applicando il criterio dell’analisi dell’autenticità, emerge un primo dato: ci troviamo dinanzi a
8
Nel greco ellenistico l’espressione tÕ sîm£ mou equivaleva al concetto di persona, che allora non esisteva
ancora. Ciò spiega che nell’Antichità esisteva soltanto il concetto di cittadino libero, adulto, maschio, femmina,
greco, romano, schiavo, libero, ecc. Se si legge Rm 12,1-2 si trova anche lì l’espressione t¦ sèmata Ømîn, che
indica la persona come sacrificio vivente a Dio. Questo spiega che la parola soma viene spiegata in una forma che
oggi corrisponde alla nostra idea di persona.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico. 11
Prof. Renato De Zan (diocesano).

due autori diversi. La cosa più interessante, però, non è la diversità degli autori o il luogo dove
questi testi sono stati composti o il tempo di composizione, ma sono i destinatari. Nella Lettera
ai Romani i destinatari era la comunità di Roma, nella quale quattro quinti era rappresentato da
Ebrei convertiti al cristianesimo, mentre un quinto era formato da pagani convertiti al
cristianesimo. Per tale motivo, nella Lettera ai Romani si nota un procedimento che si attua
secondo la logica dell’Antico Testamento: per gli Ebrei la fede era concepita come un
innamoramento di Dio. Questo fatto spiega il pensiero di Paolo il quale dice che le opere senza
la fede sono vane, perché è come dare un bacio ad una persona che non si ama. La logica di
Giacomo, invece, è diversa perché i suoi destinatari sono pre-gnostici, nel senso che vi erano
persone che, pur dando il proprio assenso alla fede proclamata nel Dio trino ed uno, seguivano
un comportamento morale difforme dalla fede stessa. Allora, in questo caso, si spiega il perché
l’autore sottolinei l’importanza delle opere per esprimere il valore della fede. Dunque, la fede
non è solo assenso, ma è anche vita cristiana concreta. Questo fatto comporta due formulazioni
diverse della fede.
Segue, poi la critica storica, come quarto punto o fase del metodo storico-critico: è
interessante perché cerca nel testo la veridicità dei fatti narrati. Un esempio concreto è la
questione del Divorzio in Mc 10,1-12. L’affermazione di Gesù è la seguente: «Chi ripudia la
propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il
marito e ne sposa un altro, commette adulterio». Tale affermazione contrasta con la tradizione
ebraica, perché in ambito palestinese la donna non poteva ripudiare (non ne aveva la capacità
giuridica), ma allora perché questa Gesù fa questa affermazione, che non è storica? Questo fatto
si spiega dal momento che Marco scrive per i Romani: nella tradizione romana, non era no
cittadini solo gli uomini, ma anche le donne, per cui queste ultime potevano ripudiare
tranquillamente il proprio marito. Questo fa capire che il missionario non si preoccupa tanto di
sapere cosa ha detto Gesù, ma qual è il suo pensiero. Allora, per essere fedele alle parole di Gesù
arriva a ripeterle materialmente, ma giunge anche a costituire una nuova frase. Se da una parte è
vero che la frase «se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio», non è
mai stata detta da Gesù, dall’altra, in una cultura diversa da quella in cui Gesù ha predicato ed
insegnato, è vero anche l’ammettere la necessità di questa frase per non tradire il pensiero
storico di Gesù. Anche l’esempio riportato prima, in merito alle mura di Gerico crollate, mentre
Giosuè fa la processione per una settimana, suonando la tromba, non corrisponde al dato storico
perché Gerico avrebbe subito la distruzione delle sue mura almeno due secoli prima che Giosuè
arrivasse davanti alla città. Questo fa comprendere la presenza di un criterio sintetico applicato a
tutto l’esodo sino al capitolo 12 di Giosuè. Un esempio concreto è questo: Giosuè in pochi anni
conquista la Palestina, ma in realtà ciò è falso perché se si inizia a leggere i Giudici, si nota che la
Palestina non è stata conquistata. Essa lo sarà soltanto con Davide, almeno 250 anni dopo di
Giosuè. Si tratta della storia sintetica di tipo orientale. La stessa cosa è avvenuta con il libro
dell’Esodo, dove sono state raccolte in modo sintetico le diverse tradizioni ponendole sotto il
nome di Mosè ( ci sono almeno cinque tradizioni). In ultima analisi, per quanto riguarda Gerico,
Giosuè sarebbe protagonista dell’esodo probabilmente più importante, ma Gerico fu distrutta
dall’elemento ebraico, non dall’esodo di Giosuè. Questo fa comprendere che quando Giosuè
arriva nella città trova la processione quotidiana. Allora, l’autore parla della conquista di Gerico
servendosi della descrizione del rito liturgico che ricorda la distruzione.
Circa la critica letteraria, essa si richiama alle fonti e alla loro problematica (v. le quattro
fonti del Pentateuco: Deuteronomista, Sacerdotale, eloista e Javista. E’ importante la loro
conoscenza, anche se – allo stato attuale – è rimasta in piedi soltanto la Deuteronomista, mentre
le altre sono saltate completamente. Quindi, oggi, si tende a non identificare alcun brano del
Pentateuco con queste fonti, ma si cerca di individuare nel brano gli indizi di storicità. Un
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico. 12
Prof. Renato De Zan (diocesano).

esempio concreto è l’espressione: “Fu sera e fu mattino”. L’indizio di storicità sta nel fatto che
questo brano è post-esilico, perché gli Ebrei, prima dell’esilio dicevano: Fu mattino e fu sera”.
Essi avevano la concezione come noi, mentre durante l’esperienza della cattività babilonese, essi
impararono uno schema diverso, secondo la tradizione di Babilonia, dimenticandosi quello
primitivo. Infatti, essi concepirono il giorno da pomeriggio a pomeriggio, giustificando, così,
l’inizio del giorno stesso dalla sera. Un altro elemento riguarda la struttura: è molto importante
per la critica letteraria, al fine di comprendere il significato di un determinato brano. Molto
spesso accade di dare importanza ad un brano periferico perché lo si è ritenuto interessante per
la Teologia, mentre – invece – il brano è secondario. Se si fa, ad esempio, l'analisi di Is 7,1-17 si
nota che la profezia dell'Emmanuele è secondaria, rispetto alla profezia della perdita del suo
popolo, che è centrale a tutto il discorso di Isaia. Infatti, la profezia dell’Emmanuele è una
profezia di consolazione che Dio fa al suo popolo, in ragione della terribile prova che Israele
dovrà affrontare, nel senso che la profezia centrale prevede la decimazione del popolo ebraico in
poco tempo. Quindi, nell’ottica ebraica diventa importante la perdita del popolo, mentre l’invio
dell’Emmanuele è una specie di cura ricostituente che Dio dà al suo popolo. Per noi, invece,
rimane importante la profezia dell’Emmanuele, perché ci parla della venuta del Salvatore nel
grembo di una Vergine.
In ultima analisi, è importante anche il contesto del testo biblico. Senza di esso non si può
procedere all’analisi del testo e alla sua comprensione. Un esempio concreto riguarda la
categoria del miracolo come fatto soprannaturale, ma che dal punto di vista umano può essere
letto in un altro modo: se si afferma che i miracoli di Gesù dal punto di vista umano possono
essere letti in un altro modo, ma si toglie tale affermazione dal contesto, si potrebbe pensare che
i miracoli di Gesù non sono un fatto soprannaturale. Questo fa capire l’importanza del contesto
entro il quale analizziamo una precisa affermazione. Ora, per dirla in breve, se Gesù compie il
miracolo della moltiplicazione dei pani, lo dobbiamo vedere sul piano soprannaturale perché è
Dio stesso che compie tale atto, ma dal punto di vista umano è possibile fare questa lettura: la
solidarietà del bambino che nella sua povertà mette a disposizione di Dio l’unico pane che aveva,
fa si che nelle mani di Gesù diventi provvidenza per tutti. Questa chiave di lettura non tocca
affatto la realtà del miracolo, purché non venga estrapolata dal contesto in cui si trova.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico (Seconda Parte). 13
Prof. Renato De Zan (diocesano).

08/03/2001 - Ermeneutica del Lezionario, 3a. Lezione, Prof. Renato De Zan.

IL METODO STORICO-CRITICO (SECONDA PARTE).


LA CRITICA LETTERARIA

E’ già stato visto il problema del contesto, insieme al contesto della struttura. Quest’ultimo è
un quesito molto importante perché da esso fuori esce dal metodo storico-critico il metodo
strutturalistico retorico. Come si fa una struttura? Si prenda ad esempio, Gen 1,1-31:

1 'En ¢rcÍ ™po…hsen Ð qeÕj tÕn [1] In principio Dio creò il cielo e la terra.
oÙranÕn kaˆ t¾n gÁn.
2 ¹ d gÁ Ãn ¢Òratoj kaˆ [2] Ora la terra era informe e deserta e le
¢kataskeÚastoj, kaˆ skÒtoj ™p£nw tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio
tÁj ¢bÚssou, kaˆ pneàma qeoà aleggiava sulle acque.
™pefšreto ™p£nw toà Ûdatoj.
3 kaˆ epen Ð qeÒj Genhq»tw fîj. [3] Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.
kaˆ ™gšneto fîj.
4 kaˆ eden Ð qeÕj tÕ fîj Óti kalÒn. [4] Dio vide che la luce era cosa buona e
kaˆ diecèrisen Ð qeÕj ¢n¦ mšson toà separò la luce dalle tenebre
fwtÕj kaˆ ¢n¦ mšson toà skÒtouj.
5 kaˆ ™k£lesen Ð qeÕj tÕ fîj ¹mšran [5] e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.
kaˆ tÕ skÒtoj ™k£lesen nÚkta. kaˆ E fu sera e fu mattina: primo giorno.
™gšneto ˜spšra kaˆ ™gšneto prw…,
¹mšra m…a.
6 Kaˆ epen Ð qeÒj Genhq»tw [6] Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo
steršwma ™n mšsJ toà Ûdatoj kaˆ alle acque per separare le acque dalle acque».
œstw diacwr…zon ¢n¦ mšson Ûdatoj
kaˆ Ûdatoj. kaˆ ™gšneto oÛtwj.
7 kaˆ ™po…hsen Ð qeÕj tÕ [7] Dio fece il firmamento e separò le acque,
steršwma, kaˆ diecèrisen Ð qeÕj ¢n¦ che sono sotto il firmamento, dalle acque,
mšson toà Ûdatoj, Ö Ãn Øpok£tw toà che son sopra il firmamento. E così avvenne.
stereèmatoj, kaˆ ¢n¦ mšson toà
Ûdatoj toà ™p£nw toà stereèmatoj.
8 kaˆ ™k£lesen Ð qeÕj tÕ steršwma [8] Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera
oÙranÒn. kaˆ eden Ð qeÕj Óti e fu mattina: secondo giorno.
kalÒn. kaˆ ™gšneto ˜spšra kaˆ
™gšneto prw…, ¹mšra deutšra.
9 Kaˆ epen Ð qeÒj Sunacq»tw tÕ [9] Dio disse: «Le acque che sono sotto il
Ûdwr tÕ Øpok£tw toà oÙranoà e„j cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia
sunagwg¾n m…an, kaˆ Ñfq»tw ¹ l'asciutto». E così avvenne.
xhr£. kaˆ ™gšneto oÛtwj. kaˆ
sun»cqh tÕ Ûdwr tÕ Øpok£tw toà
oÙranoà e„j t¦j sunagwg¦j aÙtîn, kaˆ
êfqh ¹ xhr£.
10 kaˆ ™k£lesen Ð qeÕj t¾n xhr¦n [10] Dio chiamò l'asciutto terra e la massa
gÁn kaˆ t¦ sust»mata tîn Ød£twn delle acque mare. E Dio vide che era cosa
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico (Seconda Parte). 14
Prof. Renato De Zan (diocesano).

™k£lesen qal£ssaj. kaˆ eden Ð buona.


qeÕj Óti kalÒn.
11 kaˆ epen Ð qeÒj Blasths£tw ¹ gÁ [11] E Dio disse: «La terra produca
bot£nhn cÒrtou, spe‹ron spšrma kat¦ germogli, erbe che producono seme e alberi
gšnoj kaˆ kaq' ÐmoiÒthta, kaˆ xÚlon da frutto, che facciano sulla terra frutto con il
k£rpimon poioàn karpÒn, oá tÕ seme, ciascuno secondo la sua specie». E
spšrma aÙtoà ™n aÙtù kat¦ gšnoj così avvenne:
™pˆ tÁj gÁj. kaˆ ™gšneto oÛtwj.
12 kaˆ ™x»negken ¹ gÁ bot£nhn [12] la terra produsse germogli, erbe che
cÒrtou, spe‹ron spšrma kat¦ gšnoj producono seme, ciascuna secondo la propria
kaˆ kaq' ÐmoiÒthta, kaˆ xÚlon specie e alberi che fanno ciascuno frutto con
k£rpimon poioàn karpÒn, oá tÕ il seme, secondo la propria specie. Dio vide
spšrma aÙtoà ™n aÙtù kat¦ gšnoj che era cosa buona.
™pˆ tÁj gÁj. kaˆ eden Ð qeÕj Óti
kalÒn.
13 kaˆ ™gšneto ˜spšra kaˆ ™gšneto [13] E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
prw…, ¹mšra tr…th.
14 Kaˆ epen Ð qeÒj Genhq»twsan [14] Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento
fw-stÁrej ™n tù stereèmati toà del cielo, per distinguere il giorno dalla notte;
oÙranoà e„j faàsin tÁj gÁj toà servano da segni per le stagioni, per i giorni e
diacwr…zein ¢n¦ mšson tÁj ¹mšraj per gli anni
kaˆ ¢n¦ mšson tÁj nuktÕj kaˆ
œstwsan e„j shme‹a kaˆ e„j kairoÝj
kaˆ e„j ¹mšraj kaˆ e„j ™niautoÝj
15 kaˆ œstwsan e„j faàsin ™n tù [15] e servano da luci nel firmamento del
stereèmati toà oÙranoà éste fa… cielo per illuminare la terra». E così avvenne:
nein ™pˆ tÁj gÁj. kaˆ ™gšneto oÛtwj.
16 kaˆ ™po…hsen Ð qeÕj toÝj dÚo [16] Dio fece le due luci grandi, la luce
fwstÁraj toÝj meg£louj, tÕn fwstÁra maggiore per regolare il giorno e la luce
tÕn mšgan e„j ¢rc¦j tÁj ¹mšraj kaˆ minore per regolare la notte, e le stelle.
tÕn fwstÁra tÕn ™l£ssw e„j ¢rc¦j tÁj
nuktÒj, kaˆ toÝj ¢stšraj.
17 kaˆ œqeto aÙtoÝj Ð qeÕj ™n tù [17] Dio le pose nel firmamento del cielo per
stereèmati toà oÙranoà éste fa… illuminare la terra
nein ™pˆ tÁj gÁj
18 kaˆ ¥rcein tÁj ¹mšraj kaˆ tÁj [18] e per regolare giorno e notte e per
nuktÕj kaˆ diacwr…zein ¢n¦ mšson separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che
toà fwtÕj kaˆ ¢n¦ mšson toà skÒtouj. era cosa buona.
kaˆ eden Ð qeÕj Óti kalÒn.
19 kaˆ ™gšneto ˜spšra kaˆ ™gšneto [19] E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
prw…, ¹mšra tet£rth.
20 Kaˆ epen Ð qeÒj'Exagagštw t¦ [20] Dio disse: «Le acque brulichino di esseri
Ûdata ˜rpet¦ yucîn zwsîn kaˆ petein¦ viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti
petÒmena ™pˆ tÁj gÁj kat¦ tÕ al firmamento del cielo».
steršwma toà oÙranoà. kaˆ ™gšneto
oÛtwj.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico (Seconda Parte). 15
Prof. Renato De Zan (diocesano).

21 kaˆ ™po…hsen Ð qeÕj t¦ k»th t¦ [21] Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli
meg£la kaˆ p©san yuc¾n zówn esseri viventi che guizzano e brulicano nelle
˜rpetîn, § ™x»gagen t¦ Ûdata kat¦ acque, secondo la loro specie, e tutti gli
gšnh aÙtîn, kaˆ p©n peteinÕn uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide
pterwtÕn kat¦ gšnoj. kaˆ eden Ð che era cosa buona.
qeÕj Óti kal£.
22 kaˆ hÙlÒghsen aÙt¦ Ð qeÕj lšgwn [22] Dio li benedisse: «Siate fecondi e
AÙx£nesqe kaˆ plhqÚnesqe kaˆ moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli
plhrèsate t¦ Ûdata ™n ta‹j qal£ssaij, uccelli si moltiplichino sulla terra».
kaˆ t¦ petein¦ plhqunšsqwsan ™pˆ tÁj
gÁj.
23 kaˆ ™gšneto ˜spšra kaˆ ™gšneto [23] E fu sera e fu mattina: quinto giorno.
prw…, ¹mšra pšmpth.
24 Kaˆ epen Ð qeÒj'Exagagštw ¹ gÁ [24] Dio disse: «La terra produca esseri
yuc¾n zîsan kat¦ gšnoj, tetr£poda viventi secondo la loro specie: bestiame,
kaˆ ˜rpet¦ kaˆ qhr…a tÁj gÁj kat¦ rettili e bestie selvatiche secondo la loro
gšnoj. kaˆ ™gšneto oÛtwj. specie». E così avvenne:

25 kaˆ ™po…hsen Ð qeÕj t¦ qhr…a [25] Dio fece le bestie selvatiche secondo la
tÁj gÁj kat¦ gšnoj kaˆ t¦ kt»nh kat¦ loro specie e il bestiame secondo la propria
gšnoj kaˆ p£nta t¦ ˜rpet¦ tÁj gÁj kat¦ specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro
gšnoj aÙtîn. kaˆ eden Ð qeÕj Óti specie. E Dio vide che era cosa buona.
kal£.
26 kaˆ epen Ð qeÒj Poi»swmen [26] E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra
¥nqrwpon kat' e„kÒna ¹metšran kaˆ immagine, a nostra somiglianza, e domini sui
kaq' Ðmo…wsin, kaˆ ¢rcštwsan tîn pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul
„cqÚwn tÁj qal£sshj kaˆ tîn peteinîn bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su
toà oÙranoà kaˆ tîn kthnîn kaˆ p£shj tutti i rettili che strisciano sulla terra».
tÁj gÁj kaˆ p£ntwn tîn ˜rpetîn tîn
˜rpÒntwn ™pˆ tÁj gÁj.
27 kaˆ ™po…hsen Ð qeÕj tÕn [27] Dio creò l'uomo a sua immagine; a
¥nqrwpon, kat' e„kÒna qeoà ™po… immagine di Dio lo creò; maschio e femmina
hsen aÙtÒn, ¥rsen kaˆ qÁlu ™po… li creò.
hsen aÙtoÚj.

28 kaˆ hÙlÒghsen aÙtoÝj Ð qeÕj [28] Dio li benedisse e disse loro: «Siate
lšgwn AÙx£nesqe kaˆ plhqÚnesqe fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra;
kaˆ plhrèsate t¾n gÁn kaˆ soggiogatela e dominate sui pesci del mare e
katakurieÚsate aÙtÁj kaˆ ¥rcete tîn sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente,
„cqÚwn tÁj qal£sshj kaˆ tîn peteinîn che striscia sulla terra».
toà oÙranoà kaˆ p£ntwn tîn kthnîn
kaˆ p£shj tÁj gÁj kaˆ p£ntwn tîn
˜rpetîn tîn ˜rpÒntwn ™pˆ tÁj gÁj.
29 kaˆ epen Ð qeÒj'IdoÝ dšdwka [29] Poi Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba
Øm‹n p©n cÒrton spÒrimon spe‹ron che produce seme e che è su tutta la terra e
spšrma, Ó ™stin ™p£nw p£shj tÁj ogni albero in cui è il frutto, che produce
gÁj, kaˆ p©n xÚlon, Ö œcei ™n seme: saranno il vostro cibo.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico (Seconda Parte). 16
Prof. Renato De Zan (diocesano).

˜autù karpÕn spšrmatoj spor…mou,


Øm‹n œstai e„j brîsin,

30 kaˆ p©si to‹j qhr…oij tÁj gÁj kaˆ [30] A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli
p©si to‹j peteino‹j toà oÙranoà kaˆ uccelli del cielo e a tutti gli esseri che
pantˆ ˜rpetù tù ›rponti ™pˆ tÁj gÁj, Ö strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita,
œcei ™n ˜autù yuc¾n zwÁj, p£nta io do in cibo ogni erba verde». E così
cÒrton clwrÕn e„j brîsin. kaˆ avvenne.
™gšneto oÛtwj.
31 kaˆ eden Ð qeÕj t¦ p£nta, Ósa [31] Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era
™po…hsen, kaˆ „doÝ kal¦ l…an. kaˆ cosa molto buona. E fu sera e fu mattina:
™gšneto ˜spšra kaˆ ™gšneto prw…, sesto giorno.
¹mšra ›kth.

Questo primo capitolo della Genesi, come sin può notare, è scandito da formule: “Dio disse:
sia la luce”, oppure “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”; “Dio separò
la luce dalle tenebre”, oppure “Dio chiamò la luce giorno e le tenebre notte”; “Dio vide che ciò
era buono… e fu sera e fu mattino”.
Se si analizzano queste formule il dato che si ricava diventa molto interessante perché il testo
risponde a una struttura, secondo questo schema:

1. a d’ 4
2. b b’ 5
3. c c’ 6
d a’

Da questo schema illustrativo, da una parte si comprende che si ha il racconto della creazione
diviso in sei giorni, ma le formule che compongono la narrazione delle opere, corrispondono tra
di loro: ogni giorno segue con una formula sua propria ed, in modo particolare, il primo giorno
ha un’insieme di formule che corrisponde alla formula dell’ultima opera del sesto giorno (a’),
mentre il secondo giorno (2.b) ha un insieme di formule che corrisponde a quello del quinto
giorno (b’5). Il terzo giorno è scandito con due insiemi di formule (c e d) che dipendono da due
opere creative. Nel quarto giorno c’è solo un insieme di formule (d’) che corrisponde al secondo
insieme del terzo giorno (d). Dunque, esiste un legame. Nel Quinto giorno (b’5) c’è un insieme
di formule uguale a quello del secondo giorno (2.b). Nel sesto giorno (c’6) c’è un insieme di
formule che corrisponde al primo insieme del terzo giorno (3.c).
Osservando sempre il testo sopra riportato, nel primo giorno Dio crea la luce, mentre nel
quarto giorno Dio crea le “lampadine maggiori” e le “lampadine minori”. Quindi non esiste
solo la struttura a livello di forma, ma esiste anche una struttura a livello di contenuto. Questo fa
comprendere che per fare l’analisi della struttura del testo, bisogna, in primo luogo guardare la
forma del testo in esame, costituito dalla formule e da parole ripetute. Questo suggerisce che tale
sistema è stato pensato e non è venuto fuori per caso. In secondo luogo, osservando il contenuto
si scoprono delle cose ancora più interessanti. Oltre al primo esempio sopra citato si ha che nel
secondo giorno si ha il firmamento che separa le acque superiori da quelle inferiori, mentre nel
quinto giorno si trovano gli abitatori delle acque superiori (gli uccelli) e si trovano gli abitatori
delle acque inferiori (i pesci); nel terzo giorno si trova la separazione delle acque dalla terra
asciutta, seguita dall’opera della nascita del regno vegetale, mentre nel sesto si trova la prima
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico (Seconda Parte). 17
Prof. Renato De Zan (diocesano).

opera, che è la creazione degli animali terrestri, e la seconda ed ultima opera, che è la creazione
dell’uomo al quale viene data ogni erba verde come cibo.
Allora, in questo racconto c’è una doppia struttura: a livello formale e a livello contenutistico.
A cosa serve questa doppia struttura? In Oriente esiste la poesia che segue uno stile diverso da
quello dell’Occidente. Noi, per esempio, abbiamo come fondamento della poesia l’accento e la
rima. Il fondamento della poesia moderna, invece, è privato della rima, pur conservando
l’accento.
Nel mondo ebraico, come in tutto il mondo semitico, la poesia era fondata sugli accenti ed, in
modo particolare, sul parallelismo. Ora i parallelismi sono fondamentalmente di tre tipi:
a) sinonimico;
b) sintetico;
c) antitetico.

In questo caso, a livello di contenuto, si ha un parallelismo sintetico nel senso che il terzo
giorno completa l’opera del primo, mentre il quinto giorno completa l’opera del secondo ed il
sesto completa l’opera del terzo giorno. Nel primo, nel secondo e nel terzo giorno vengono
presentati dall’autore sacro gli scenari della creazione, mentre in quelli successivi sono stati
collocati gli attori o protagonisti. Questo fatto dimostra che ci troviamo dinanzi alla poesia e non
alla prosa. Allora, a livello interpretativo, si può chiedere ad un testo poetico di narrare un fatto
scientifico (spiegare, ad esempio, come è avvenuta la creazione)? No di certo, perché la finalità
del testo non è quella di illustrare le leggi fisiche, chimiche e cosmiche che interessano l’Universo
intero, ma – essendo di natura poetica, intende rilevare il significato della realtà. Il testo non
spiega come è nato l’Universo, ma dà il significato intrinseco dell’Universo. Tra l’altro lo
scrittore ebreo non è santo perché se si osserva un testo nel suo contesto, nasce la domanda: è
possibile avere la luce senza le lampadine. No! Senza di esse ci sarebbero solo le tenebre: non ci
sarebbe luce senza la fonte. Allora, l’autore invita il lettore a leggere il testo non secondo la
propria esperienza personale. Un esempio concreto lo possiamo cogliere dal Libro di Giuditta
1,1, dove dice: «Nell'anno decimosecondo del regno di Nabucodònosor, che regnava sugli
Assiri nella grande città di Ninive, Arpacsàd regnava sui Medi in Ecbàtana».
Cosa si può notare da questo testo? Certamente ci sono dei dati che non corrispondono alla
realtà: come può Nabucodònosor regnare nella grande città di Ninive, quando alla sua epoca
questa città era un mucchio di rovine? In secondo luogo, Nabucodònosor non ha mai regnato
sugli Assiri, ma sui Babilonesi. In sostanza, l’autore dice di non pensare alla storia leggendo
questo racconto, ma di cogliere questi elementi perché vuole dire qualcosa di particolare.
In merito alle fonti, esse sono molto importanti per un biblista quando si accinge a fare
un’analisi secondo il metodo storico-critico. Comparando le fonti con il testo che si ha davanti,
si riesce a comprendere cosa l’agiografo ha scelto, tra le fonti, stesse, cosa ha scartato e cosa ha
modificato. In questo modo, l’esegeta si rende conto di che cosa l’agiografo volesse dire
scrivendo quel determinato testo. In questo campo, alle volte il lavoro si presenta facile, mentre
altre volte è difficile da compiersi. Ciò fa ritornare all’esempio della lezione precedente: cosa
vuol dire “Sia santificato il tuo nome”? A tale riguardo c’è un testo molto bello di Ezechiele,
dove l’autore dice che il profeta si allontana dal tempio per santificare il suo nome.
Contemporaneamente dice che il suo nome lui lo santificherà mandando gli Ebrei in esilio a
Babilonia. Se si tiene presente questo dato importantissimo di Ezechiele, si può vedere che Jahvé
lascia il tempio, ma è Colui che accompagna gli Ebrei durante l’esilio. E’ Colui che mantiene in
vita un popolo sradicato dalla sua terra. Un’espressione più bella ancora si trova nel Libro del
Siracide al capitolo 36, dove dice: «Come ai loro occhi ti sei mostrato santo in mezzo a noi,
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così ai nostri occhi mostrati grande fra di loro… Mostrati datore di vita in mezzo a noi, come ti
sei mostrato vincitore ai loro occhi…».
Quel significato che era stato trovato a livello filologico, viene ora confermato dall’analisi
delle fonti.
Segue, poi, l’esame della stilistica del testo: in questo caso si ha anche l’analisi retorica del
testo. Ecco un breve schema:

METODO DELLA STILISTICA SEMIOTICA.


STILISTICA

METODO STILISTICO RETORICO.

Cosa è la stilistica? E’ l’analisi di tutti i fenomeni linguistici adoperati dall’autore che


veicolano un significato. Ecco un piccolo esempio:

Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?

Sono le parole di Gesù sulla croce: che significato hanno? Sono parole di disperazione,
oppure no? C’è qui un richiamo al Salmo 21 che Gesù sta citando alla maniera rabbinica. Infatti,
il Salmo 21 così recita:
«“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza”»: sono le parole del mio lamento.
Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo.
Eppure tu abiti la santa dimora, tu, lode di Israele.
In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati;
a te gridarono e furono salvati, sperando in te non rimasero delusi.
Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico».
Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
Al mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
Da me non stare lontano, poiché l'angoscia è vicina e nessuno mi aiuta.
Mi circondano tori numerosi, mi assediano tori di Basan.
Spalancano contro di me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce.
Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere.
E` arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.
Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto.
Scampami dalla spada, dalle unghie del cane la mia vita.
Salvami dalla bocca del leone e dalle corna dei bufali.
Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico (Seconda Parte). 19
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Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,
lo tema tutta la stirpe di Israele;
perché egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.
Sei tu la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano:
«Viva il loro cuore per sempre».
Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli.
Poiché il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni.
A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere.
E io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno: «Ecco l'opera del Signore!”».

Gesù cita l’incipit del Salmo: quando un rabbino cita solo l’inizio di un testo, intende citare
tutto il testo. In altre parole, questo testo narra l’esecuzione capitale di un innocente, colpito da
una sentenza ingiusta. Nel momento in cui sta per avvenire l’esecuzione, egli viene salvato da
Dio. Il salmista, infatti, dice: “Io vi vivrò per lui”. Il Salmo conclude con la frase: «Si parlerà
del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà
diranno: «Ecco l'opera del Signore!». Cosa vuol dire? Si tratta di un Salmo dove tutto sembra
che sia finito e che per il condannato non ci sia più nulla da fare. Invece, Dio lo salva dalla
morte. Questo fa comprendere che, quando si legge un passo della Scrittura, come quello dove
Gesù pronuncia sulla croce quelle parole, e si conosce lo stile rabbinico, se da una parte tali
parole esprimono un grande dolore, dall’altra annunciano una grande speranza. Gesù, in
sostanza, fa l’annuncio della sua risurrezione ai suoi discepoli.

Questi strumenti sono importanti anche per il liturgista che deve essere in grado di controllare
il testo esegetico. Certamente, quando si parla di stilistica si parla di tutte quelle forme letterarie
che appartengono ad una lingua stilistica. In questo caso si entra in questioni più specialistiche,
le quali richiedono molto tempo. A tale riguardo c’è un libro che porta il titolo: La stilistica
ebraica, di Alonso Sheckel, ed edito dalla Queriniana (l’edizione spagnola è stata edita a Madrid
negli anni ’60).

Un successivo passo, riguarda il genere letterario, la storia della tradizione e la storia della
redazione. Per spiegare queste ultime tre parti del metodo critico-storico, si può citare come
esempio Gv 13 e Gv 14, che contengono il discorso di Gesù nell’Ultima Cena. L’ultima frase del
capitolo 14, quando Gesù finisce di parlare, il Maestro dice: «Alzatevi, andiamo via di qua». In
realtà se si leggono i capitoli 16, 17 e 18 si nota, invece, che Gesù continua a parlare. Se si
legge il primo versetto del capitolo 18 si ha la seguente frase: «Detto questo, Gesù uscì con i
suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c'era un giardino nel quale entrò con i
suoi discepoli». Come si spiega questo fatto? Questo fatto lascia intuire che nella storia del testo
ad un certo punto il versetto del capitolo 18 era attaccato all’ultimo versetto del capitolo 14, il
che vuol dire che il materiale costituito dai capitoli 15, 16 e 17 è stato inserito in un successivo
momento. Si tratta, infatti, di un’inclusione vera e propria, avvenuta nella stesura finale del testo.
Ciò dimostra che c’è stato uno stadio pre-redazionale o tradizionale, in cui prima si leggeva
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico (Seconda Parte). 20
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quello che oggi si chiama capitolo 14 per poi passare al capitolo 18 attuale. Tra l’altro, c’è da
dire che il capitolo 17, costituisce un corpo estraneo, rispetto ai capitoli 15 e 16, per cui è
probabile che sia stato inserito successivamente. Tutto questo, dunque, spiega la storia della
tradizione, il cui prodotto finale è la redazione del testo come noi oggi lo conosciamo.
Sempre in merito al testo, qualche studioso pensa che queste aggiunte siano in riferimento ai
diversi incontri di agape fraterna di Gesù con i suoi discepoli, dopo la Risurrezione, perché
all’occhio del lettore balza un altro elemento altrettanto significativo: «Queste erano le cose che
io vi dicevo quando Io ero ancora con voi». Una dicitura del genere non può stare in bocca al
Gesù storico, perché il Gesù storico non può fare delle affermazioni di questo genere.
Questo fa comprendere che in Giovanni, ci sono dei testi che ci fanno gustare questi incontri
con il buon Gesù. Egli, infatti, faceva sempre questi incontri a tavola, mai in altre circostanze.
Gesù quando risorge, va da loro quando sono a tavola: non va nel luogo sacro, ma nel luogo più
sacro della famiglia, il posto dove si mangia (v. Gv 21,1-25). Questo fatto spiega la mensa come
Eucaristia, cioè il luogo di comunione con Gesù. Ciò fa riprendere il senso del mistero della
Liturgia.

N.B. Per il lavoro da svolgersi è bene scegliere le Domeniche dell’Anno Liturgico, sia nei
tempi forti, sia nel Tempo Ordinario.

Ora, ritornando a questi tre ultimi passaggi o fasi, essi sono il frutto di studio e di ricerca del
secolo scorso.
Certamente il genere letterario è importantissimo per la comprensione del testo. A tale
riguardo si può fare un esempio: la parabola del Figlio Prodigo; si tratta di un racconto
provocatorio. Il genere letterario è una parabola che mira sempre a polemizzare con l'uditorio
che accusa sempre il predicatore il quale fa un racconto, dove è contenuta la situazione che egli
stesso sta vivendo con l'uditorio. Quest’ultimo dà il giudizio alla parabola che gli viene proposta.
Un esempio concreto è quello che Natan riferisce a Davide, circa il male commesso. Allora, si
comprende che la parabola non è un allegoria: se la considerassimo tale, sbaglieremmo genere
letterario, con la conseguenza di non comprendere il testo.
Senza la conoscenza del genere letterario non si può comprendere, né spiegare l'insieme delle
strutture liturgiche che richiamano alla "Todah" (v. Neemia 9; Esdra 9), come preghiera di
richiesta di perdono, tipica del periodo post-esilico.
Come si può spiegare la parabola del Figliol Prodigo? Viene naturale dire che il Padre della
parabola è Dio, mentre il figlio minore è il peccatore; sul figlio maggiore, invece, c’è qualche
incertezza. Siccome sta sempre con il Padre, non si allontana; poiché il Padre è Dio, allora
questo fratello maggiore sta sempre con Dio. In realtà, la parabola parla di peccatori 9: si
potrebbe, invece, pensare che è meglio essere peccatori perché, come riferisce l’evangelista, il
fratello minore, prende la metà dell’eredità (metà vita del padre: meta-bios) per andarla a
sperperare. Poi, dopo il pentimento torna indietro e viene accolto dal padre, il quale lo
ricostituisce erede mettendogli l’anello al dito. La conseguenza sarà che il figlio minore avrà pari
diritto del fratello maggiore, prendendosi il 25% del 50% rimasto di eredità. Alla fine, rispetto al
fratello maggiore, ha potuto accedere al 75% di eredità, mentre al maggiore è rimasto soltanto il
25%. Cosa vuol dire? Certamente questa parabola non risponde pienamente alla nostra logica
umana.
9
Si tenga presente che al v. 3 del c. 15 di Luca Gesù dice loro “questa parabola”. Cosa vuol dire? Vuol dire che i
due racconti sono inseriti dentro dopo che questa pagina di Vangelo era già stata scritta, per cui all’origine si
dovrebbe trovare subito la parabola del Figlio prodigo. Ci troviamo dinanzi al testo più antico nel quale Luca o
chi per lui ha pensato bene di inserire prima al tre due parabole, quella della pecora perduta e quella della dracma
ritrovata, alterando la fisionomia della pagina originale. Questa nuova fisionomia si chiama stadio redazionale,
mentre la fisionomia del testo all’origine si dice pre-redazionale o stadio tradizionale.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico (Seconda Parte). 21
Prof. Renato De Zan (diocesano).

Una logica simile la troviamo nell’episodio di Davide, quando mandando a morire Uria
l’Hittita, per unirsi a Betsabea ed avere con lei un figlio, riceve da Natan questo messaggio sotto
forma di parabola:
«Il Signore mandò il profeta Natan a Davide e Natan andò da lui e gli disse:
“Vi erano due uomini nella stessa città, uno ricco e l'altro povero. Il ricco aveva
bestiame minuto e grosso in gran numero; ma il povero non aveva nulla, se non
una sola pecorella piccina che egli aveva comprata e allevata; essa gli era
cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua
coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia. Un ospite di
passaggio arrivò dall'uomo ricco e questi, risparmiando di prendere dal suo
bestiame minuto e grosso, per preparare una vivanda al viaggiatore che era
capitato da lui portò via la pecora di quell'uomo povero e ne preparò una
vivanda per l'ospite venuto da lui”. Allora l'ira di Davide si scatenò contro
quell'uomo e disse a Natan: “Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita
la morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa
e non aver avuto pietà”. Allora Natan disse a Davide: “Tu sei quell'uomo!…”»
(2Sam 7,1-7).

Davide, facendo uccidere Uria, pensava di mettere a tacere tutte le voci, tanto che il figlio
concepito poteva essere passato per il figlio di Uria. Questo non sarebbe stato possibile se Uria
fosse rimasto ancora vivo. Ora se si prova ad osservare questo meccanismo della parabola, cosa
esce fuori? Il ragionamento è comune alla parabola del Figlio Prodigo.
Spontaneamente viene da pensare che la pecorella tolta al pastore povero (Uria) è Betsabea,
mentre le pecorelle del pastore ricco sono le mogli di Davide che era una specie di don
Giovanni: uomo affascinante e bello faceva colpo sulle donne. In realtà siamo fuori pista perché
il testo richiede una certa capacità di analisi. Nel fatto chi muore? Uria, mentre Betsabea vive.
Quindi, non si può fare un’equivalenza nei personaggi, ma si può fare equivalenza solo nella
situazione nel senso che tutti questi personaggi creano una situazione di ingiustizia, vissuta nella
realtà. I personaggi possono essere diversi nel numero e nella qualità. In effetti, questo genere di
parallelismo si chiama “textus comparationis”: si tratta del terzo elemento di comparazione. Per
questo motivo Natan può dire a Davide: “Quell’uomo sei tu”.
Se si applica questo criterio alla parabola del Figliol Prodigo, guardando alla situazione, si
nota che Gesù è stato accusato di stare con gli ipocriti ed i pagani. Gesù stesso risponderà che
non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma gli ammalati per poi parlare in parabola.
Già in 2Sam 7,1-7, Natan parla in parabola, mentre Davide dà la risposta in funzione della
parabola stessa. Quindi, questo dimostra che la parabola non è un racconto tranquillo, ma è un
discorso provocatorio. Al racconto provocatorio c’è la risposta dell’ascoltatore, il quale giudica
la situazione della parabola. Facendo questo, giudica se stesso, perché quella situazione è la
stessa che l’ascoltatore sta vivendo.
Ora, guardando alla logica parabolica del Figliol Prodigo, Gesù risponde ai Farisei e agli
Scribi, facendo notare una cosa: c’è un modo paterno e c’è un modo fraterno. Il primo non
guarda al passato, ma cerca di fare di questo ragazzo un uomo libero per il futuro, mentre il
secondo tenta di far pagare all’altro l’errore compiuto impedendogli di realizzare il proprio
futuro. Dunque, da che parte bisogna stare? Certamente dalla parte del Padre. Ecco la logica
della parabola!
Dunque, se si vogliono delle equiparazioni, il Padre della Parabola è Gesù Cristo: a tale
riguardo bisogna tener presente che in Oriente esiste la parabola, ma non l’allegoria. In effetti, i
generi letterari sono molti. Ora, questo fa capire che, per esempio, il racconto della conversione
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico (Seconda Parte). 22
Prof. Renato De Zan (diocesano).

di Paolo non esiste, ma c’è sicuramente il racconto della vocazione o della chiamata di Saulo che
si chiamerà Paolo, l’apostolo delle genti (v. At 9). Quando il nome viene chiamato due volte è
caratteristica di un racconto di vocazione e non di conversione. Allo stesso modo, se si legge Is
6, ci si rende conto che di una chiamata reale del profeta: in Isaia, c’è l’esperienza di un uomo
che incontra Dio. In questo brano, più che una chiamata è un’iniziazione vera e propria di Isaia
ad una missione che Dio gli affida.
Se si prende l’episodio dell’Annuncio dell’Angelo a Maria Santissima, si può notare subito
che il genere letterario non è quello dell’annunciazione, ma della vocazione di Maria, oltre al
fatto che in questo racconto si trova anche un altro genere letterario: si tratta del “futuro del
bambino” che nascerà dal grembo dell’Altissimo (Egli sarà chiamato figlio dell’Altissimo). Si
tratta dell’ultima grande vocazione profetica dell’Antico Testamento. Se si leggesse bene Mt 28
e si facesse l’esame del genere letterario, si scoprirebbe subito, il genere apocalittico, perché Mt
28 è apocalittico. Perché Matteo ha scelto questo genere? Perché la narrazione apocalittica ha
questa caratteristica: viene narrato un piccolo episodio, un segmento di storia nel tempo e nello
spazio, per dire semplicemente che esso sarà il modello che succederà a tutti. In effetti, come è
risorto Cristo, così tutti risorgeranno. Anche lo stesso Gesù, quando parla della fine di
Gerusalemme adopera il genere letterario apocalittico, per indicare che quel frammento di storia,
che è avvenuto intorno al 70 d.C., è semplicemente il modello di ciò che avverrà alla fine del
mondo.
Dunque, conoscere bene il genere letterario, dà la garanzia di comprendere bene il testo preso
in esame. Tra l’altro, c’è da chiedersi come questo genere letterario viene usato. Una prima
risposta la si ha nei primi tre versetti di Lc 15:
«Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e
gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora
egli disse loro questa parabola:…».

L’ultimo versetto parla di una sola parabola. In realtà ce ne sono tre, perché? Questo fatto fa
capire che c’è stato un momento in cui il racconto evangelico aveva un solo racconto figurato.
Se si guarda al v. 2 si nota che Gesù riceve e mangia. Questo schema letterario di accoglienza e
di condivisione della mensa, la si trova solo nella parabola del Figliol Prodigo, mentre nella
parabola del Buon Pastore, si trova la ricerca e la condivisione della mensa. Lo stesso avviene
nella parabola della dracma perduta. Questi ultimi due esempi non rispecchiano lo schema del
versetto 2 di Lc 15: ciò indica che in un determinato momento il testo lucano era più breve.
Questi tre versetti di Lc 15, per la storia della Tradizione sono fondamentali, perché rispondono
allo schema del v. 2, mentre le altre due parabole sono diverse.

L’ultimo punto del metodo storico-critico è l’esegesi: dopo aver fatto le otto tappe, si è in
grado di dire cosa dice il testo, perché si comprende il significato delle singole parole ed il
racconto nella sua globalità. Attraverso tutti questi passaggi si ha la conoscenza di tutto il testo,
mediante la raccolta di ogni singolo esame fatto in precedenza. Certamente il messaggio di quel
determinato brano evangelico o della Sacra Scrittura è la tessera dello scenario teologico biblico
di tutta la Sacra Scrittura. Ogni brano scritturistico si inserisce nella realtà che lo contiene. Se si
dice, ad esempio, Alleanza, si dice un mondo dentro il quale c’è la hesed, l’amicizia, la fedeltà, la
hemed, la trasparenza, il peccato ed il perdono (quest’ultimo si inquadra dentro al rib, che a sua
volta si inquadra nell’Alleanza).

In ultima analisi, per quanto riguarda la teologia che è l’ultimo anello del metodo storico-
critico, si cercano questi sfondi ed orizzonti ermeneutici che spiegano la singola pericope presa
94112 – Ermeneutica del Lezionario: Il Metodo Storico-Critico (Seconda Parte). 23
Prof. Renato De Zan (diocesano).

in esame. La teologia biblica è alla ricerca di questo sfondo, dove inserire il brano analizzato. In
altre parole è la ricerca del contesto ideologico e contenutistico del medesimo brano. Si tratta
del contesto intellettuale e di pensiero di quel brano.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: I tre metodi: 24
Analisi della struttura in superficie, della Struttura profonda e M. narratologico. Prof. Renato De Zan
(dioc.).
16/03/2001 - Ermeneutica del Lezionario, 4a. Lezione, Prof. Renato De Zan.

INTRODUZIONE A TRE NUOVI METODI:


RISPONDONO ALLA DOMANDA PERCHÉ IL TESTO HA SENSO?

Il metodo storico critico risponde all'intentio autoris, mentre questi tre metodi che vedremo,
rispondono all'intentio textus. Ad essi non interessa la storia, né gli interessa come i testi si sono
formati, (perché hanno la fisionomia attuale). Ad essi non interessa neppure il testo originale.
Questi metodi nascono da due grandi filoni di cultura:
1) lo strutturalismo antropologico di Levis Strauss;
2) lo studio del teatro di Janette. Oltre a questo studioso non vanno dimenticati Probb, che è
lo studioso che all'inizio del secolo scorso ha studiato la formula matematica che sta
dietro le fiabe, come ad esempio Biancaneve o i Sette Nani e Pinocchio, e A. Greimas, il
quale ha formulato la struttura profonda del testo con il cosiddetto metodo artanziale.

Questi metodi sono:


1) strutturalistico - semiotico;
2) analitico;
3) retorico (da non confondere con lo studio della retorica classica).

Il primo è formale: non ha avuto lunga durata perché non ha dato esiti positivi in riferimento
al contenuto. Mentre il Metodo Storico-critico va alla profondità del testo, questi metodi
rimangono alla superficie del testo medesimo. Essi analizzano la forma, ma niente di più: essi
trascurano quindi il messaggio che il testo stesso intende trasmettere. Negli anni ’70, il metodo
strutturalistico-semiotico andava per la maggiore, ma successivamente è stato messo da parte. E'
un metodo che, come gli altri due, è strutturale. Esso compie solo tre passaggi:
a) il primo passaggio è l'analisi della struttura di superficie;
b) il secondo è l'analisi semantica;
c) il terzo è l'analisi della struttura profonda.

Questo metodo è stato sostituito dal metodo narratologico. Circa il primo punto, la struttura
di superficie è la raccolta e la codificazione dei vocaboli o delle espressioni che costituiscono il
testo. Questa raccolta dà la possibilità di constatare che tutti i testi sono presentati da qualunque
autori, secondo precisi schemi, nel numero di tre o quattro. Il metodo strutturalistico segue il
sistema binario, come la nostra mente percepisce: agisce per sinonimia o per antitesi. Non
ragiona per concetti triplici. Il testo risponde a qualcosa di binario, per cui diventa semplice
leggere il testo medesimo e sottolineare la forma (es. dove appare la parola nemico): è l'esame
formale. Esiste anche l'esame contenutistico. Ciò porta a fare poi delle scelte di vocaboli e delle
loro radici o secondo la forma o secondo il contenuto, dal momento che non si può contaminare
la struttura. Si può scegliere anche di studiare la struttura a livello contenutistico, nel senso che
se, ad esempio, si studia il vocabolo “nemico”, lo si vede sotto la forma di “colui che mi
combatte” o “colui che mi tradisce”. In questo modo si mettono insieme o si assemblano le
parole o il contenuto.
Quando si analizza il testo, a livello formale o contenutistico, alla fine si ottiene la struttura
del testo: essa può essere concentrica (A B C B A). Si può trovare anche un altro tipo di
struttura detta parallelistica secondo questo schemino:
A A
94112 – Ermeneutica del Lezionario: I tre metodi: 25
Analisi della struttura in superficie, della Struttura profonda e M. narratologico. Prof. Renato De Zan
(dioc.).
B B
C C

Segue anche una struttura strofica (ABC, BCD, EFG).

Un esempio concreto lo si può avere se si prende in considerazione Sir 36,1-17:


«[1] Abbi pietà di noi, Signore Dio di tutto, e guarda,
infondi il tuo timore su tutte le nazioni.
[2] Alza la tua mano sulle nazioni straniere,
perché vedano la tua potenza.
[3] Come ai loro occhi ti sei mostrato santo in mezzo a noi,
così ai nostri occhi mostrati grande fra di loro.
[4] Ti riconoscano, come noi abbiamo riconosciuto
che non c'è un Dio fuori di te, Signore.
[5] Rinnova i segni e compi altri prodigi,
glorifica la tua mano e il tuo braccio destro.
[6] Risveglia lo sdegno e riversa l'ira,
distruggi l'avversario e abbatti il nemico.
[7] Affretta il tempo e ricordati del giuramento;
si narrino le tue meraviglie.
[8] Sia consumato dall'ira del fuoco chi cerca scampo;
gli avversari del tuo popolo vadano in perdizione.
[9] Schiaccia le teste dei capi nemici che dicono:
«Non c'è nessuno fuori di noi».
[10] Raduna tutte le tribù di Giacobbe,
rendi loro il possesso come era al principio.
[11] Abbi pietà, Signore, del popolo chiamato con il tuo nome,
di Israele che hai trattato come un primogenito.
[12] Abbi pietà della tua città santa, di Gerusalemme tua stabile dimora.
[13] Riempi Sion della tua maestà
il tuo popolo della tua gloria.
[14] Rendi testimonianza alle creature che sono tue fin dal principio,
adempi le profezie fatte nel tuo nome.
[15] Ricompensa coloro che sperano in te,
i tuoi profeti siano degni di fede.
[16] Ascolta, Signore, la preghiera dei tuoi servi,
secondo la benedizione di Aronne sul tuo popolo.
[17] Sappiano quanti abitano sulla terra
che tu sei il Signore, il Dio dei secoli».

E’ un testo ha quattro strofe; se si va al versetto 4, secondo stico, si ha l’espressione: «Ti


riconoscano, come noi abbiamo riconosciuto che non c'è un Dio fuori di te, Signore». Se si va
al v. 9, secondo stico, si trova l’espressione: «“Non c'è nessuno fuori di noi”». Se si osserva la
parola “Signore” (in ebraico è Jahvé), essa la si trova al v. 1, al v. 4b e al v. 16a e, soprattutto al
v. 17b. Inoltre, al v. 1 la parola “Signore” è accompagnata da “Dio del”: in Ebraico si parla di
Elohim, ma se si deve dire Dio del si ha la costruzione “Elohe”. Essa si trova all’inizio e alla fine
del brano del Siracide selezionato. Quindi, Jahvé apre e chiude il discorso.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: I tre metodi: 26
Analisi della struttura in superficie, della Struttura profonda e M. narratologico. Prof. Renato De Zan
(dioc.).
Ma che valore ha la parola “Signore”: nel nostro caso, la parola “Jahvé” ha la capacità di
aprire e chiudere un discorso, per cui viene il sospetto che al v. 4b ci sia una chiusura dentro
all’espressione: non c’è un Dio fuori di Te Jahvé. Un’identica costruzione la si trova la v. 9: non
c’è nessuno fuori di noi.
Ora se si continua ad osservare il testo, si nota subito che al v. 5 inizia una forma di
costruzione delle frasi che è diversa dalla costruzione delle frasi dei primi quattro versetti,
perché ogni stico è diviso in due stico. Vuol dire, allora, che esiste un’unità costituita dai vv. 1-4,
aperta e chiusa dalla parola “Jahvé”. Esiste, poi, un’altra unità che inizia con il v. 5 e va sino al v.
9. Subito dopo, si trovano i nomi del popolo di Israele:
«Raduna tutte le tribù di Giacobbe, rendi loro il possesso come era al
principio. Abbi pietà, Signore, del popolo chiamato con il tuo nome, di Israele
che hai trattato come un primogenito. Abbi pietà della tua città santa, di
Gerusalemme tua stabile dimora. Riempi Sion della tua maestà».

Dunque, i versetti dal 10 al 13, costituiscono un’altra unità, perché solo lì esce un insieme di
nomi per indicare il popolo.
Da quanto emerge dall’osservazione del testo, si hanno quattro strofe regolari per ogni unità,
tranne la seconda unità: se si torna al v. 4 e lo si legge a livello di contenuto, si può intuire che –
leggendo la frase «non c'è un Dio fuori di te, Signore», il popolo ebraico non intende
distruggere i suoi nemici, ma vuole solo che sappiano che c’è un solo Dio. Se si legge il v. 8, si
nota un’aperta contraddizione: se si fa una ricerca esegetica nel testo ebraico originario, s nota
subito che il v. 8 non esiste. Si tratta, allora, di un’aggiunta posteriore nel testo greco. Infatti,
togliendo il v. 8, si ottiene la struttura precisa di una preghiera organizzata in unità di quattro
strofe, con otto stichi per ogni unità.
Un altro esempio lo si può trarre da Gv 6,31:
«I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede
loro da mangiare un pane dal cielo».

Il seguito di Gv 6,31 è il seguente:


«[32] Rispose loro Gesù: “In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il
pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; [33] il pane
di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”».

Da ciò si ha i NOSTRI PADRI + DISCENDERE.


Se si va al v. 49ss. si legge:
«I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il
pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia».

Anche in questo caso si ha lo schema i NOSTRI PADRI + DISCENDERE. Però, “nostri” è


sostituito da “vostri”, ma ciò non comporta alcun cambiamento. Ora se si va, al v. 58 si legge:
«Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri
vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”».

Anche in questo caso si ripete lo schema: PADRI + DISCENDERE. La conseguenza sarà che,
vedendo tutto il testo di Gv 6, si hanno tre linee rosse in corrispondenza ai versetti 31-33, 49-50
e 58. Da ciò risulta che il testo è tagliato dal resto del capitolo dalla prima riga rossa all’ultima
94112 – Ermeneutica del Lezionario: I tre metodi: 27
Analisi della struttura in superficie, della Struttura profonda e M. narratologico. Prof. Renato De Zan
(dioc.).
riga rossa: ci si trova dinanzi ad un’inclusione. In più, il testo selezionato (vv. 31-58) è diviso in
due dalla riga 49-50. Ora, se si guarda il testo medesimo al suo interno, il primo blocco
letterario, al v. 35 si trova la seguente espressione:
«Gesù rispose: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame
e chi crede in me non avrà più sete».

Se si va al v. 48 si legge nuovamente:
«Io sono il pane della vita».

Da ciò risulta che il primo blocco letterario è chiuso dentro dalla stessa identica frase. Se si
guarda poi al v. 41 si ha l’espressione: “Io sono il pane disceso dal cielo”. Essa occupa la parte
centrale del testo. Da ciò emerge che si ha una struttura concentrica del tipo A B C B A.

Continuando ad analizzare il testo, al v. 51 si trova:


«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”».

Se si va al v. 58, si legge:
«Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri
vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”».

Si nota che la costruzione è autentica, tranne all’inizio: “Chi mangia di questo pane vivrà in
eterno”. Ciò ha valore di inclusione nel testo, oltre al fatto che guardando il centro del testo si
nota al v. 54:
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo
risusciterò nell'ultimo giorno».

La stessa affermazione la si trova nel v. 56:


«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui».

Da questi elementi, si ha una struttura concentrica nel seguente modo:

1a. Linea______________ vv. 31-33 , con lo schema PADRI + DISCENDERE.


______________________________ a : v. 35 – IO SONO IL PANE DELLA VITA.
______________________ b : v. 41 – Io Sono il Pane disceso dal Cielo.
______________________________ a : v. 48 – IO SONO IL PANE DELLA VITA.
2a. Linea______________ vv. 49-50 , con lo schema PADRI + DISCENDERE.
_____________________________ a : v. 51 - IO SONO IL PANE VIVO, DISCESO DAL
CIELO.
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Analisi della struttura in superficie, della Struttura profonda e M. narratologico. Prof. Renato De Zan
(dioc.).
______________________ b : v. 54 - Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue.
______________________ b : v. 56 - Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue.
_____________________________ a : v. 58 - QUESTO È IL PANE DISCESO DAL CIELO.
3a. Linea______________ v. 58 , con lo schema PADRI + DISCENDERE.

Da tale struttura appaiono due unità distinte con una medesima struttura concentrica. Questo
dimostra che il brano di Gv 6, appena analizzato, è uno tra i più difficili dal punto di vista
strutturale.
Ora, una volta individuata la fisionomia di un testo, ci si accorge quali sono i vocaboli o le
espressioni che appaiono più importanti dal testo, per vedere se ci sono parole parallele,
sinonimiche o antitetiche. A questo punto, si fa un elenco secondo due colonne per opposizione:
ad esempio, buono /cattivo; santo /peccatore; uomo /donna ecc. All’inizio il lavoro non dà un
risultato concreto perché esso prevede diversi binari, di diversa natura: ad esempio, quello
morale (buono /cattivo, santo /peccatore) o quello sapienziale (intelligente /stupido; studioso/
ignorante). L’obiettivo da perseguire è quello di comporre un solo binario, cercando di capire
quale rapporto possa esserci nella parte positiva tra i diversi binari e la parte negativa tra i
medesimi binari. Si tratta di un lavoro che nasce da un presupposto psicanalitico, naturalmente
derivante dall’antropologia strutturale. In altre parole, noi pensiamo in maniera inconscia, oltre a
pensare in maniera conscia. La struttura semantica, dunque, mette in evidenza l’incoscio del
testo: l'uomo che scrive ha un suo modo di pensare, per cui attraverso gli assi semantici viene
mostrato come l’autore giudica una cosa buona o cattiva, santa o profana, valida o non valida,
vera o falsa, e così via. Il testo ti mostra il giudizio che esso fa su ciò che racconta.

Terzo punto: l’analisi della struttura profonda. Si applica lo schema di Kremà a tutto il
materiale che è stato raccolto in precedenza, per rispondere ai quesiti:
- chi è il mittente;
- chi è l’oggetto;
- chi è il destinatario
- chi è l’eroe;
- chi è l’audiuvante;
- chi è l’opponente;
- qual è la parola qualificante;
- qual è la prova principale;
- qual è la prova glorificante.
Per rendere chiara la dinamica di questo metodo, ecco uno schema illustrativo:

M O D
Mittente Oggetto Destinatario.
Prova qualificante
Opp. E Ad.
Opponente Eroe Adiuvante

Si tratta della struttura profonda presente in ogni genere di testo, da quello liturgico, a quello
canonico, a quello semplicemente narrativo. Ora, dallo schema sopra disegnato si ha il Mittente
che non sempre fa l’attore: può essere anche un insieme di realtà. In questo caso il Mittente si
94112 – Ermeneutica del Lezionario: I tre metodi: 29
Analisi della struttura in superficie, della Struttura profonda e M. narratologico. Prof. Renato De Zan
(dioc.).
dice Aptante, cioè colui che fa agire il racconto. L’oggetto non sempre è tale, ma può essere un
insieme di cose, di concetti. Anche l’oggetto, non sempre è concreto ed anch’esso può essere
considerato aptante. Anche gli altri quattro elementi evidenziati possono essere Aptanti, perché
possono far agire il racconto e lo fanno andare avanti. In alcuni schemi, tra l’altro, al posto di
“E” si può trovare la sigla “S”, cioè il soggetto, ma sono – in realtà – la stessa cosa.
Poi nel racconto c’è sempre qualcuno che crea disturbo: è l’opponente che è colui che crea
impedimento all’eroe. Questo fa capire che in ogni racconto c’è sempre una serie di elementi che
legano il mittente all’oggetto, l’oggetto al destinatario. Ci sono degli elementi che legano l’eroe
all’oggetto e mai l’eroe al destinatario. Ci sono degli elementi che legano l’opponente all’eroe,
ma mai l’opponente all’adiuvante. Questo avviene perché l’opponente deve opporsi all’eroe. Un
esempio concreto, a tale riguardo, lo si ha nelle Collette, quando si trova l’espressione:
“l’oscurità dello Spirito” o “l’oscurità del peccato” che, come opponenti sono di impedimento
alla salvezza data, come oggetto alla Comunità che è il destinatario. Invece, l’intercessione di
Maria Santissima, dei Santi e di Gesù stesso, indica la funzione degli adiuvanti. Nelle Collette,
l’eroe è quasi sempre Gesù: qualche volta lo è lo Spirito Santo. Il destinatario è la comunità
cristiana.
Le linee tratteggiate indicano la prova: in un racconto, quindi, il mittente verifica sempre che
l’eroe sia affidabile. Si tratta della prova qualificante. Poi esiste la prova principale, nel senso che
l’eroe deve affrontare la prova per conquistare l’oggetto e portarlo al destinatario. In questo
senso l’eroe è legato all’oggetto. Poi, in ogni racconto si trova anche la prova glorificante che è
quando l’eroe, finalmente, riesce a consegnare l’oggetto al destinatario.
In ogni testo c'è sempre questo schema. Per tale ragione si dice analisi della struttura
profonda che, una volta praticata, non dà il significato nuovo del testo. Aiuta a capire il testo
secondo i suoi protagonisti. Tutto questo rientra in un’analisi formale che, però, non risponde
alla domanda cosa il testo intendeva dire, o quale senso esprime.

IL METODO NARRATOLOGICO.
E' un metodo che si può facilmente inventare. I suoi punti fondamentali sono:
1) distinzione fra storia e diegesi (dal greco vuol dire narrazione);
2) esaminare la distinzione tra narratori e narratario (è il destinatario del testo);
3) analisi del concetto di tempo;
4) analisi dei personaggi;
5) analisi delle scene e del plot (giro di boa: è la scena che risolve il contesto).

Sulla Passione di Gesù, ci sono quattro modi di racconti diversi: Marco, Matteo, Luca e
Giovanni. Una cosa è la storia ed un’altra è come tale storia viene raccontata. Se ad esempio,
nella narrazione di Luca, viene spesso riferito che “vi erano le donne che bevevano”, “c’era la
folla che guardava”; questi elementi appesantiscono la storia, per cui ci si chiede: perché
l’autore ha voluto appesantire la storia con questi elementi. In realtà, essi sono elementi specifici
del narratore. Ora, rimane importante la distinzione tra la storia e la diegesi, perché attraverso di
essa si può vedere la particolarità di un narratore, rispetto ad un altro narratore.
In merito al secondo punto, vi è la distinzione tra il narratore ed il narratario intradiegetico o
extradiegetico. Un esempio concreto lo offre Lc 15,4:
«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel
deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?».

Questa parabola è chi è destinata? In questo caso bisogna fare una distinzione: il destinatario,
cioè il narratario intradiegetico sono gli Scribi ed i Farisei, mentre il narratore intradiegetico ed il
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Analisi della struttura in superficie, della Struttura profonda e M. narratologico. Prof. Renato De Zan
(dioc.).
narratore extradiegetico è l’evangelista Luca; il destinatario sono la sua Comunità ed i cristiani di
tutti i tempi. Dunque, bisogna sempre porre attenzione a chi è diretto il discorso.
Ritornando a Gv 6, è importante l’affermazione che Gesù fa al v. 54:
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo
risusciterò nell'ultimo giorno».

Nel cap. 6 di Gv, il narratore intradiegetico è Gesù, mentre il narratario è colui che si rivolge
alle folle di gente della Sinagoga di Cafarnao; di fatto, però, è Giovanni che scrive ai suoi
destinatari, cioè ai suoi discepoli, i cristiani di allora e quelli di oggi. Ma, come Giovanni pensa
che i suoi destinatari pensino l'uomo? In realtà Giovanni pensa l'uomo come unità: egli si rivolge
ad un pubblico che non ha presente il concetto dualistico dell’uomo; la stessa espressione “chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue indica che Giovanni sta scrivendo per della gente che
concepisce l’uomo come unità, dove la materia è la parte più concreta dello Spirito, dove lo
Spirito è la parte più leggera della carne. Nell’antropologia giovannea, dunque, non c’è l’idea
dualistica di Platone o di San Tommaso. Ora, bisogna chiedersi: se Giovanni, che è il narratore
extradiegetico, scrive così attribuendo le parole a Gesù, che tipo di narratario o lettore Giovanni
pensa di avere davanti? Siamo dinanzi ad un uditorio che non rispecchia il pensiero di Paolo sul
concetto triplico dell’uomo (pneuma, pisché, sarx), ma ad un interlocutore che ha presente il
concetto biblico dell’uomo, inteso come unità. L’uomo è uno solo: questo concetto in Luca non
c’è, giacché Luca è molto più vicino al dualismo platonico dell’uomo (corpo e spirito).
Circa il terzo punto, è stato accennato il concetto di tempo: in tal caso bisogna tener
presente tre idee semplici:
1) la narrazione avviene nel tempo;
2) quanta narrazione è dedicata ad un determinato tempo? Se si legge Dt, ai 40 anni nel
deserto sono dedicati pochi versetti, mentre tutto il resto è dedicato soltanto a un giorno,
quando Mosè fa tutto quel discorso sulla Legge scritta sulle tavole di pietra, sul monte
Sinai. Ciò crea una certa sproporzione, ma – nello stesso tempo – dimostra che Dt è un
testo teologico-giuridico. Secondo l’autore del Deuteronomio sono più importanti le
leggi, che l’esperienza del popolo nei 40 anni di cammino nel deserto, prima di giungere
alla terra promessa. Se si da uno sguardo al Vangelo, ci si chiede quanto tempo viene
dedicato alla vita privata di Gesù? Se si guarda a Giovanni, egli si occupa di appena due
anni e mezzo di vita, dal cap. 1 al cap. 11, mentre dal cap. 12 al cap. 21 dedica solo tre
giorni. Si nota, dunque, una certa sproporzione. Se Giovanni avesse dovuto dare
importanza a tutta la vita di Gesù, avrebbe dovuto scrivere molti più capitoli. Ora,
facendo le diverse proporzioni, ci si rende conto cosa realmente l’autore del Vangelo di
Giovanni intendeva dire ai suoi interlocutori;
3) segue la prolessi del tempo: da essa scaturisce la figura del lettore onnisciente. La prolessi
consiste nell’anticipare, per esempio, all’inizio di un film, già la sua conclusione attraverso
il protagonista che appare già avanti nell’età rispetto agli eventi che lui stesso vive nel
film. Questa prolessi del tempo fa si che si sanno già le cose, quando i protagonisti del
film non sanno come le cose andranno in futuro. Nei Vangeli, questa prolessi viene usata;
lo stesso avviene anche nella composizione di un romanzo. In sostanza, la prolessi del
tempo non può essere usata in un romanzo perché fa perdere quella tensione narrativa che
spinge il lettore a leggere con attenzione tutto il romanzo stesso. I Vangeli non vogliono
dare questa tensione narrativa, ma vogliono dare al lettore l’esito della vita di Gesù e della
sua opera perché per gli evangelisti è molto più importante il messaggio e non la trama
stessa della vita di Gesù.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: I tre metodi: 31
Analisi della struttura in superficie, della Struttura profonda e M. narratologico. Prof. Renato De Zan
(dioc.).
In merito al quarto punto, relativo ai personaggi, quando si esamina un testo narratologico,
è bene distinguere tre tipi di personaggi:
a) tutto tondo;
b) piatto;
c) di sfondo.

Per esempio nell’episodio di Cana di Galilea, Gesù è il personaggio tutto tondo, Maria e il
maggiordomo sono il personaggio piatto, mentre i Discepoli i servi ed i commensali sono i
personaggi di sfondo. Queste tre distinzioni ci portano alla comprensione della gerarchia dei
personaggi dentro un racconto evangelico, determinando per ognuno di essi una certa
importanza teologica. Ciò richiama anche alla struttura profonda del testo, precedentemente
vista.
In merito al quinto punto, relativo alle analisi delle scene e del plot (o giro di boa), ogni
narrazione procede per scena: ad esempio, Gv 6, 14-22.59 offre alcuni elementi importanti
segnati da queste parole: «Venuta intanto la sera», «Il giorno dopo», «Queste cose disse Gesù,
insegnando nella sinagoga a Cafarnao». Sono tutti elementi che spaccano il racconto in scene
che segnano un percorso. Di tutte queste scene solo una scena è il plot o il giro di boa di tutto il
racconto evangelico. Nel Vangelo di Giovanni, al cap. 6, il giro di boa è l’espressione di Gesù, al
v. 67: «Forse anche voi volete andarvene?». Tutta la tensione del cap. 6 di Gv trova lì la sua
soluzione perché, nel momento in cui Gesù sarebbe costretto a cambiare idea, in realtà allontana
da sé addirittura gli Apostoli. In altre parole, gli Apostoli stessi non hanno alternative: o
accettano l’insegnamento di Gesù, oppure lo rifiutano. Questo fa capire anche che nella
narrazione non è importante la verità di fede, ma in essa vengono esaminate quegli elementi che
fanno muovere la narrazione o la rappacificano.
94112 – Ermeneutica del Lezionario: 32
Il metodo liturgico e la presentazione delle 10 schede di lavoro. Prof. Renato De Zan (dioc.).

23/03/2001 - Ermeneutica del Lezionario, 5a. Lezione, Prof. Renato De Zan.

IL METODO LITURGICO
Questo metodo va applicato dopo che sono state esaminate le singole pericopi con i vari
metodi adoperati dai diversi esegeti. Come si imposta il metodo liturgico? Esso consta di alcuni
punti:
1) si fa l'esegesi scientifica del brano del Vangelo, in base ai Commentari a disposizione,
tenendo presente che esso può essere ritoccato dalla liturgia. Quindi, non si può leggere il
commento dell'esegeta senza fare le critiche, perché l’esegeta ha il testo originale della
Bibbia, mentre il liturgista ha un testo rimaneggiato. Il testo della Bibbia è ritoccato,
dunque, quell'aspetto biblico-liturgico manca totalmente.
2) Dopo aver conosciuto il Vangelo mediante questo commento, in modo critico, si devono
conoscere i diversi temi biblici, raccogliendoli, ma quali sono? Sarà l’esegesi a porli in
evidenza. Infatti, se si ha un testo che non sia del tempo di Pasqua, perché da Pasqua a
Pentecoste, la Prima Lettura è tratta dagli Atti degli Apostoli e non dall’Antico
Testamento, dopo aver elencato le tematiche più importanti, si passa all'esegesi dell'Antico
Testamento della prima lettura e si fa lo stesso lavoro.
3) Il problema sarà quello di far dialogare i temi dell'AT con quelli del Vangelo. Ci si
accorgerà che molti temi non combaciano tra loro: questi vanno scartati. Invece, altri temi
possono avere due caratteristiche:
a) si ripetono tra la Prima ed il brano del Vangelo;
b) si completano tra loro, tenendo presente che è sempre il Vangelo che
comanda (v. paragrafo 13 dei Praenotanda Ordo Missae)10.

Primo Passo. Detto questo ci si dive domandare: che cosa è un tema biblico? Dal punto di
vista biblico, è un filo rosso che attraversa o tutto l'AT o tutto l'AT ed il NT. E' un filo rosso che
sviluppa progressivamente la sua identità. In questo modo, è una serie di fotografie dello stesso
soggetto ma con angolature diverse: ad es., il tema dell'acqua che verrà fuori con i quattro fiumi
dell’Eden, con il Diluvio Universale, con Mosè nel Nilo, con il Mar Rosso, l’acqua del deserto
(Massa e Meriba) il Giordano, la siccità di Elia, il Giordano del Battesimo, sangue ed acqua dal
costato di Gesù, l’acqua descritta da At 8, quando l’eunuco della Regina di Candace trovando
l’acqua chiede a Filippo cosa ancora gli impedisce di battezzarlo. Questo filo lega lo stesso
soggetto in tutta la Bibbia.
Dal punto di vista liturgico, il tema biblico non è così definito: esso nasce dal dialogo fra i
diversi temi. L'acqua si relaziona con che cosa? Ad esempio l’acqua ha a che fare con le piante
del giardino di Eden. A sua volta le piante hanno a che fare con i frutti. I frutti o il frutto ha a che
fare con il peccato. Il peccato ha a che fare con la redenzione. Si tratta di un albero che si
ramifica: occorre scegliere il ramo dell'albero per indicare e definire una certa direzione al tema
biblico intrapreso. Dunque, si tratta di un filmato, di una trama, di un racconto. C'è un legame tra
10
I Praenotanda dell’Ordo Missae, al n. 13 affermano: «Tuttavia, poiché l’uso della 1ingua parlata nella Sacra
Liturgia è soltanto uno strumento, anche se molto importante, per esprimere più chiaramente la catechesi del
mistero contenuto nella celebrazione, il Concilio Vaticano II ha insistito perché si mettessero in pratica certe
prescrizioni del Concilio di Trento che non erano state dappertutto osservate, come il do vere di fare l’omelia
nelle domeniche e nei giorni festivi (SC 17); e la possibilità di intercalare ai riti determinate esortazioni (SC
35,3). Soprattutto però il Concilio Vaticano II, nel consigliare «quella partecipazione perfetta alla Messa per la
quale i fedeli dopo la comunione del sacerdote ricevono il Corpo del Signore dal medesimo sacrificio» (SC 55) ,
ha portato al compimento di un altro voto dei Padri Tridentini, che, cioè, per partecipare più piena mente
all’Eucaristia “nelle singole Messe i presenti si comunicassero non solo con l’intimo fervore dell’anima, ma
anche con la recezione sacramentale dell’Eucaristia”» (Sess. XXII, Doctrina de SS. Missae, cap. 6: DS 1747).
94112 – Ermeneutica del Lezionario: 33
Il metodo liturgico e la presentazione delle 10 schede di lavoro. Prof. Renato De Zan (dioc.).

il primo soggetto e l'ultimo soggetto a cui si è giunti. Finita l'immagine, passiamo ad una
definizione: ad es., la Seconda Domenica di Quaresima, Anno "C". In essa si trova l’episodio
della trasfigurazione, mentre stranamente come Prima Lettura si trova l’Alleanza con Abramo. A
questo punto sorge la questione: che tipo di Alleanza Dio stipula con Abramo? Si tratta di
un’alleanza unilaterale che può essere di tipo ingiuntivo o di tipo donativo. Se si trattasse di
un’Alleanza naturale di tipo ingiuntivo, Dio imporrebbe ad Abramo di fare un qualcosa.
Diversamente si parla di Alleanza donativa in quanto Dio fa qualcosa per il suo popolo senza
chiedere nulla in cambio. E’ il caso della Prima lettura della II Domenica di Quaresima dell’Anno
“C”. Ma cosa centra l’Alleanza donativa con la trasfigurazione? Perché Gesù si trasfigura?
Bisogna andare al testo di Lc 9, 28ss.:
«Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e
Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò
d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini
parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano
della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i
suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua
gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui,
Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una
per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quel che diceva. Mentre
parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero
paura. dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l'eletto;
ascoltatelo”. Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei
giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto».

Il dato biblico relativo agli otto giorni dopo è importante per il biblista perché rimanda ai
discorsi fatti in precedenza nel Vangelo di Luca, i quali costituiscono il contesto previo alla
comprensione della trasfigurazione di Gesù. Nell’ambito liturgico ciò non avviene, perché taglia
proprio l’espressione, “otto giorni dopo”, sostituendola con “In quel tempo”. In questo modo
non si ha più il contesto originario della trasfigurazione. Dunque, per il liturgista non sono
importanti i discorsi, di cui Luca fa accenno. Se dal punto di vista biblico la trasfigurazione è il
rinnegare se stessi per seguire le orme del Maestro, dal punto di vista liturgico l’interesse si
sposta altrove: la trasfigurazione nella Liturgia è per Pietro, Giacomo e Giovanni. Non c’è
nessun intento moralistico. In secondo luogo la trasfigurazione segue una trama semplice: Gesù
anticipa il suo esodo, mostra la sofferenza che dovrà patire, manifesta la sua gloria, mentre il
Padre dice di ascoltarlo. Ma cosa vuol dire ascoltare? L'ascoltare è tutta l'accoglienza di tutta la
persona: ciò lo si applica al tema della trasfigurazione. Un esempio in concreto lo offre il libro di
Neemia 6,6 dove dice:
«Siano i tuoi orecchi attenti, i tuoi occhi aperti per ascoltare la preghiera del
tuo servo; io prego ora davanti a te giorno e notte per gli Israeliti, tuoi servi,
confessando i peccati, che noi Israeliti abbiamo commesso contro di te; anch'io e
la casa di mio padre abbiamo peccato».

Dunque, non si ascolta soltanto con le orecchie, ma anche con gli occhi, perché c’è il
linguaggio verbale che si ascolta con le orecchie, ma c’è anche un linguaggio non verbale che si
ascolta con gli occhi. Allora, di Gesù non si accolgono soltanto le parole, ma anche i gesti.
Un altro passo lo si può fare leggendo Dt 6,4ss.:
«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il
Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi
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Il metodo liturgico e la presentazione delle 10 schede di lavoro. Prof. Renato De Zan (dioc.).

precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne
parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti
coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno
come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle
tue porte».

Del verbo ascoltare c'è il concetto fondamentale teologico e quello morale della teologia
ebraica. Invece, nel brano evangelico, si trova non più shamal, ma il termine greco di ascoltare,
aÙtoà ¢koÚete, che si riferisce alla persona di Gesù. In sostanza, Gesù è la fede e la morale
di ogni cristiano. Dunque, l’episodio della trasfigurazione indica che Dio fa un’Alleanza donativa
con l’uomo che è chiamato solo ad ascoltare: sarà Dio che trasfigurerà l’uomo medesimo. Se da
una parte si celebra il grande mistero della Passione, della Morte e della Risurrezione del
Signore, dall’altra, secondo questo punto di vista, si celebra l’Alleanza unilaterale di Dio, dal
carattere donativo. Dio dà all’uomo la possibilità di essere come il Figlio Unigenito. All’interno
di questa logica biblico-liturgica, il tema biblico non è un tema liturgico, ma è una tematica che
dialoga e si pone in relazione con altre tematiche. Ciò dimostra che il liturgista non segue il filo
rosso, ma segue la struttura dell’albero.
Il concetto del tema biblico, per il liturgista è un tema autocostruente. Mettendo insieme le
diverse parti del mosaico, non si possono mettere insieme troppi temi, ma si deve prendere solo
ciò che dialoga con il tema principale. Mettendo insieme Vangelo e Prima Lettura non si possono
costruire tanti temi diversi da quello dell’Alleanza donativa, perché quest’ultima è condizionata
dall’Alleanza tra Dio ed Abramo. Solo ciò che dialoga con questo tema deve essere preso in
considerazione, mentre il resto passa in secondo piano.

Secondo passo: nel Lezionario Domenicale festivo, esiste anche la Seconda Lettura. Qual è
il compito della Seconda Lettura (v. i praenotanda dell’Ordo Missae)? A tale riguardo, c'è un
concetto fondamentale: la Seconda Lettura fornisce dati per la testimonianza che un cristiano è
chiamato a fare nella sua vita quotidiana del mistero celebrato. Allora, nell'Eucaristia si celebra
sempre il mistero pasquale, ma ogni volta esso viene celebrato attraverso un “frammento” che è
il testo del Vangelo. Dunque, lo si celebra da un certo punto di vista, dove la Seconda Lettura fa
da ponte fra il mistero celebrato e la Vita. A tale riguardo, ritornando alla II Domenica di
Quaresima dell’Anno “C”, è interessante leggere il testo di Fil 3,17a 4,1 della Seconda Lettura:
«Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo
l'esempio che avete in noi. Perché molti, ve l'ho già detto più volte e ora con le
lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la
perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre,
si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra.
La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore
Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo
corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose.
Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona,
rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi!».

In questo passo del Nuovo Testamento, c’è un riferimento esplicito alla circoncisione:
l’espressione ventre indica l’organo sessuale maschile. Indica, inoltre, che la patria celeste è
quella nei cieli. Questo testo rafforza la tematica trovata tra il Vangelo e la Prima Lettura e
risponde alla domanda: perché Cristo si è trasfigurato? La risposta, in realtà sta nel fatto che la
trasfigurazione di Cristo sarà un mostrare quello che noi saremo, giacché verremo trasfigurati
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Il metodo liturgico e la presentazione delle 10 schede di lavoro. Prof. Renato De Zan (dioc.).

per essere conformati al suo corpo glorioso. Ciò richiama al tema dell’Alleanza donativa che
pone come condizione l’ascoltare che, per quanto riguarda la Seconda Lettura corrisponde a
quello che dice Paolo: «Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano
secondo l'esempio che avete in noi».
Ora, quale tematica propone questo Lezionario? Gesù dimostra quello che noi saremo,
purché ci sforziamo, per quanto è possibile, di imitarlo. Ciò esprime l’essenza della II Domenica
di Quaresima.
Tutto questo dimostra che la ricchezza del Lezionario è enorme, perché coloro che l'hanno
costruito, hanno pensato ai futuri cristiani, proponendo questo percorso: ritornando al contesto
del Lezionario, nei tempi forti la Seconda Lettura ha una funzione moraleggiante, cioè essa
fornisce l’impegno morale in cui tradurre il mistero celebrato. La morale nasce proprio da questo
contesto. Sempre per il domenicale festivo, mentre le domeniche del Tempo Ordinario sono delle
unità a se stanti, nel senso che ogni domenica si celebra il mistero pasquale, nei tempi forti la
celebrazione del mistero di Cristo è fatta in più tappe, come ad esempio la prima, la seconda, la
terza, la quarta domenica e la quinta domenica di Quaresima. Allora, non si può trattare la
singola domenica del Tempo per Annum, come la singola domenica del Tempo Forte, perché la
prima è una unità didattica a se stante, mentre la seconda si richiama a queste diverse tappe
scandite da ogni domenica del Tempo Forte. In questo modo si ha il cosiddetto reticolo verticale.
Ma cosa è il reticolo verticale?
Prendiamo le cinque domeniche di Quaresima, tenendo conto che ci sono tre cicli, A – B – C
i quali vengono disposti secondo un reticolo verticale ed orizzontale:

Una piccola nota di rilievo: Il


Domeniche Ciclo “A” Ciclo “B” Ciclo “C”
lezionario del Temporale, si distingue
in Domeniche festive e feriali. Secondo
I 1 1 1
la Tradizione Romana, ci dovrebbero
2 2 2
3 3 3 essere soltanto due letture e non tre.
II 1 1 1 Lo stesso ciclo triennale viene
2 2 2 dall’antica prassi sinagogale, compreso
3 3 3 il medesimo criterio di let-tura che ha
III 1 1 1 visto una prassi proveniente da diverse
2 2 2 famiglie litur-giche, mantenendo il
3 3 3 principio del Vangelo come prima
IV 1 1 1 lettura. Questo spiega che nella
2 2 2 Liturgia l’AT è sempre letto in chiave
3 3 3
cristologica, mentre la 2a Lettura
V 1 1 1
2 2 2 conserva la sua natura morale.
3 3 3

Dallo schema sopra è possibile notare che nelle cinque domeniche di Quaresima si notano le
seguenti corrispondenze:
- in base al reticolo verticale tra la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta
domenica è evidente una certa corrispondenza tra la prima, la seconda e la terza lettura;
- in base al reticolo orizzontale si nota una corrispondenza tra i cicli sempre per quanto
riguarda le tre letture.
Quindi, tra le cinque Domeniche di Quaresima c’è una corrispondenza tematica tra le letture:
ci troviamo tra i tempi forti dell’Anno Liturgico. Ciò vuol dire che mentre nelle Domeniche del
tempo Ordinario viene celebrato un aspetto del mistero pasquale, nelle Domeniche del tempo
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Il metodo liturgico e la presentazione delle 10 schede di lavoro. Prof. Renato De Zan (dioc.).

forte, come quelle di Avvento, si celebra un medesimo mistero di Cristo in cinque tappe diverse.
Questo fatto giustifica pienamente la corrispondenza verticale tra le letture. Tali letture, tra
l’altro, vanno disposte nel seguente ordine: la prima è quella del Vangelo, indicata dal n. “3”
dello schema, mentre la seconda e la terza riguardano una lettura dell’AT, che prefigura
l’argomento sviluppato dal Vangelo, ed una lettura di tipo morale, che completa il discorso e
spiega il Vangelo dal punto di vista etico-morale; esse sono indicate rispettivamente dai nn. “1” e
“2” dello schema. Il Vangelo è la prima lettura per il semplice fatto che attorno ad esso ruotano
le altre due letture, seguita nell’ordine dalla Prima Lettura e dalla Seconda Lettura. Ciò indica
anche che ci sono tre percorsi teologici: i Vangeli delle cinque domeniche hanno un percorso
teologico, mentre tutte le prime Letture, e tutte le seconde Letture suggeriscono altri percorsi
teologici. Ciò riguarda l’esame dei fili o della rete verticale. In sostanza, una domenica
rappresenta un capitolo di un unico mistero, per cui se si vuole comprendere a fondo quello che
la III Domenica di Quaresima intende suggerire all’interlocutore, è bene sapere ilo contenuto
delle altre due domeniche precedenti, le quali offrono il contesto preciso della parte che si sta
esaminando.
Per quanto riguarda il reticolo orizzontale, per il semplice fatto che ci sia una corrispondenza
tra le letture, nei tre Cicli “A”, “B” e “C”, rende ancora più complesso ed ampio il sistema di
lettura, la cui conseguenza immediata è quella di ampliare il contesto stesso del Lezionario dei
tempi forti. L’esame, infatti, avviene, tra tutte le prime letture, le seconde letture e il Vangelo dei
tre cicli. Se si guarda, poi, tutta la celebrazione nel suo contesto completo, si ha davanti un
mosaico, dove ogni tassello acquisisce la sua importanza ed il suo significato.
A tutto questo si può notare che prima ancora delle Letture segue la Colletta che appare
diversa per ogni domenica, perché si richiama al contesto evangelico di ogni domenica
medesima. Questo fa comprendere, allora che il contesto del Lezionario non è soltanto costituito
dai testi che precedono il Vangelo, ma anche dal testo eucologico della Colletta, della quale, una
volta fatta la sua analisi critica ed ermeneutica, è interessante vedere come essa dialoga con la
ricchezza stessa del Lezionario, costituita dalle letture. Questo spiega il modo come sono nate le
successive preghiere liturgiche dei Lezionari nazionali. Ciò segue un giusto principio: la Colletta
non solo raccoglie le intenzioni dei fedeli, ma le inserisce dentro alle tematiche biblico-
celebrative. Una dimostrazione pratica di quello che è stato detto è la lettura della Colletta della
II Domenica di Quaresima, relativa alla trasfigurazione del Signore:
«O Padre che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede
con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere
la visione della tua gloria».

In sostanza, la Colletta, come si può ben vedere, anticipa l’essenza del messaggio evangelico.
Tra l’altro, non è importante il dialogo tra Gesù, Mosè ed Elia, ma è importante l’invito
all’ascolto con le orecchie e con gli occhi.
Andando avanti, il ruolo del Salmo Responsoriale è di tradurre in preghiera le tematiche della
Prima Lettura: ciò vuol dire che in qualche modo la Prima Lettura si prolunga con il Salmo
Responsoriale. Dunque, alcuni elementi della Prima Lettura vengono chiariti dal Salmo. Inoltre,
del Salmo Responsoriale medesimo non si intende solo la parte biblica, ma anche il ritornello,
sebbene spesso non sia biblico: esso la completa o nel senso che aggiunge, oppure delle
tematiche che non sono presenti nella Prima Lettura, oppure chiarifica alcuni elementi che si
trovano nella Prima Lettura.
Un altro elemento da tener presente è il versetto alleluiatico, che è un versetto ambiguo,
perché alle volte non dice niente: esso è fatto, per essere cantato, in modo che venga ascoltato il
Vangelo e la gente lo accolga. In realtà non suggerisce nulla perché, a volte fa una confessione di
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Il metodo liturgico e la presentazione delle 10 schede di lavoro. Prof. Renato De Zan (dioc.).

fede della Parola di Dio. Altre volte, invece, dà la chiave di lettura del Vangelo stesso. Può
dunque essere un vero e proprio testo ermeneutico del Vangelo che viene proclamato dopo.

Concludendo, in questa lezione, in riferimento a quello che è stato detto nelle prime lezioni,
circa il lavoro da svolgersi per l’esame di Ermeneutica del Lezionario, è bene chiarire il
contenuto delle sette schede di lavoro secondo quanto segue:

1) Prima Scheda: essa riguarda la ricerca bibliografica fatta attraverso l’Elenchus


Bibliographicus (Elenchus of Biblica).
2) Seconda Scheda: essa riguarda la scelta di cinque Commentari, appartenenti a cinque autori diversi.
Si può scegliere anche un articolo trovato ed indicato nella scheda precedente. Una volta scelti questi
Commentari, si costruisce una tabella secondo questo schemino:
PASSAGGI PRIMO SECONDO TERZO QUARTO QUINTO
RELATIVI ALLA
AUTORE AUTORE AUTORE AUTORE AUTORE
METODOLOGIA
SCELTA DAI
CINQUE AUTORI

CRITICA TEST. Si No No Si Si

ERMENEUTICA No Si No No Si
Con questo schema si è in grado di indicare la metodologia scelta da ciascun autore,
nonché se sono stati seguiti tutte le fasi che la costituiscono. Dunque, a livello verticale
(la prima colonna a sinistra), si descrivono i diversi passaggi relativa alla metodologia
scelta dai cinque autori, mentre (vedi l’esempio sopra riportato) nelle altre cinque
colonne, dove sono riportati gli autori si indica con il “si” o con il “no”, i relativi passaggi
compiuti da ciascun autore. Alla fine, si fa un breve commento su ciascun autore
rendendo noto chi ha adottato un metodo più scientifico e chi, invece, ha dimostrato una
maggiore attenzione verso le tematiche bibliche o teologiche. C’è da precisare che i dieci
passaggi che bisogna mettere nella prima colonna, sono quelli specificati, all’inizio di
questo corso11.
3) Terza Scheda: In essa si devono presentare le caratteristiche del brano del Vangelo. In
altre parole, nella prima parte della scheda si deve vedere la differenza tra il testo biblico
ed il testo biblico liturgico, cioè quali sono stati gli elementi che sono stati tagliati e quali
elementi hanno modificato il testo evangelico, evidenziando anche cosa essi hanno tolto o
modificato. Nella seconda parte della scheda, bisogna elencare i temi più importanti del
Vangelo, emersi dalla lettura dello stesso. Se per ipotesi vengono individuati, rispetto
all’autore, più temi, essi vanno indicati. In sostanza, da una parte, si deve indicare il tema
o i temi rilevati dall’esegeta, dall’altra si devono indicare i temi trovati nella fase di analisi
e studio del Vangelo preso in esame. Questi ultimi devono essere poi giustificati.
4) Quarta scheda. Si tratta di dividerla in tre parti: a) si indicano le varianti della Prima
Lettura del testo biblico-liturgico; b) si indicano le tematiche riscontrate nel commento o
nei commenti consultati, sulla Prima Lettura; c) si indicano i temi che nella fase di studio
sono stati trovati in più rispetto a quelli già indicati dal commentario. Anch’essi, una volta
specificati, vanno giustificati.
11
Si tratta delle dieci tappe del Metodo Storico-Critico. Esse sono: 1) critica testuale; 2) analisi filologica;3)
analisi dell'autenticità; 4) critica storica;5) critica letteraria; 6) genere letterario;7) storia della tradizione; 8)
storia della redazione; 9) esegesi; 10) Teologia.
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Il metodo liturgico e la presentazione delle 10 schede di lavoro. Prof. Renato De Zan (dioc.).

5) Quinta scheda: è la più impegnativa perché in essa si svolge la congiunzione dei temi. In
sostanza si tratta di precisare il dialogo tra le diverse tematiche biblico-liturgiche tra le due
Letture.
6) Sesta Scheda: si ripete la stessa operazione che è stata compiuta per il Vangelo e la
Prima Lettura, cioè l’indicazione (a) della variante tra il testo biblico e quello biblico
liturgici, l’indicazione (b) dei temi evidenziati dagli esegeti e quelli riscontrati dallo
studente. Dovrà, poi essere fatta una sintesi del quadro complessivo della Sesta Scheda.
7) Settima Scheda. Essa segue questo schema che segna la seconda sintesi:
1. Bibliografia;
2. Cinque Commentari scelti;
3. Il Vangelo;
4. La Prima Lettura;
5. La sintesi della Prima Lettura (è una sintesi teologica);
6. Seconda Lettura;
7. Sintesi della Seconda Lettura ( è una sintesi biblico-liturgica perché c’è anche un
aspetto morale della Liturgia che non può prescindere dall’impegno morale).
8) Ottava Scheda: In essa viene riportata l’Analisi del reticolo verticale secondo le cinque
domeniche di Quaresima dell’Anno “C”.
9) Nona Scheda: si esegue l’analisi del reticolo orizzontale secondo il ciclo “A”, il ciclo
“B” ed il ciclo “C”.
10) Decima scheda: si riscontra l’identità del Lezionario, in base alla Domenica scelta e al
periodo dell’Anno Liturgico (Avvento, Quaresima, Pasqua).
30/03/2001 - Ermeneutica del Lezionario, 6a. Lezione, Prof. Renato De Zan.

CONCLUSIONE GENERALE DEL CORSO

Una prima conclusione riguarda il Lezionario negli altri ambiti del Messale.
Fondamentalmente è stata toccata la metodologia del Lezionario dei tempi forti: Avvento,
Natale, Quaresima, Tempo di Pasqua. Restano, però, da esplorare altri Lezionari riguardanti il
tempo ordinario (domenicale-festivo). In questo caso, quello che fa eccezione a quello che è
stato detto in questo corso, è la Seconda Lettura, perché non entra in dialogo, né con la Prima
Lettura, né con il Vangelo, né con il resto della celebrazione. La Seconda Lettura è indipendente:
inizia, ad esempio, con la Lettera ai Corinzi e di domenica in domenica, procede
progressivamente con i brani della medesima lettera. Qual è il motivo? Esso parte dal fatto che
durante il Concilio ed immediatamente dopo, sussisteva ancora l’uso secondo il quale la Chiesa
dei primi secoli praticava questa lettura. Il Vogel dimostra in maniera molto chiara che si tratta di
un mito, come pure è un mito anche il mistero dell’arcano e l’invenzione di sana pianta di interi
testi eucologici. Questi miti, infatti, non sono più documentabili, tanto che attualmente stanno
venendo alla luce documenti che provano il contrario.
La lectio semi-continua riguarda appunto la Seconda Lettura, il cui criterio è quello di iniziare
il testo e di concluderlo in più tappe, nell’arco di più domeniche. Dunque, è chiaro che con
questo testo non si possono trattare ne tematiche precise, né agganci, come si è visto, per
esempio, nei tempi forti.
Rimane, però un problema: nelle Domeniche del Tempo Ordinario, non c’è assolutamente lo
svolgimento di un percorso pastorale, in quanto ogni domenica celebra la totalità del mistero di
Cristo, da un certo punto di vista, che viene dato dal Vangelo, letto alla luce della Prima Lettura.
Invece, nei tempi forti, la celebrazione del mistero di Cristo è dato dall’insieme delle Domeniche
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Il metodo liturgico e la presentazione delle 10 schede di lavoro. Prof. Renato De Zan (dioc.).

che costituiscono il medesimo tempo forte: ogni singola domenica è un capitolo di questa grande
celebrazione. Nel tempo ordinario, ogni domenica rimane a se stante.
Il problema che nasce è questo: se si celebra tutto il mistero di Cristo nell’arco di una
domenica, come è possibile celebrarlo poi nella vita? Mentre per i tempi forti, dà una risposta
concreta la Seconda Lettura, invece, nel tempo ordinario, ciò non avviene. Allora, questo testo
di testimonianza viene ricavato da due testi:
a) il Vangelo;
b) la Colletta.
Per quanto riguarda, invece, il tempo feriale, cioè il Lezionario feriale del Temporale, tutti i
giorni feriali sviluppano nel Vangelo tematiche presenti nel Vangelo della Domenica. Un altro
elemento riguarda la Prima Lettura che non va mai d’accordo con il testo evangelico ed ha due
grandi modelli di lettura, in base all’anno pari o in base all’anno dispari. Non c’è, dunque, una
personalità biblico-teologica delle messe feriali del Tempo Ordinario. Queste Messe vivono in
funzione della Messa domenicale. La controprova di questo criterio ermeneutico è data dal fatto
che la Colletta delle Messe feriali del Tempo Ordinario è sempre uguale alla Colletta domenicale.
In secondo luogo, i Vangeli o sono una ripetizione materiale del Vangelo domenicale, oppure
sono i paralleli sinottici o i paralleli tematici del medesimo Vangelo domenicale. Ad esempio, se
alla Domenica del Tempo Ordinario si ha un testo di Luca, si avrà lo stesso brano che si trova in
Matteo ed in Marco, oppure altri contesti letterari o altri brani di Luca che sviluppano lo stesso
tema. Le ferie rimangono legate alla domenica.

Tutti gli altri ambiti del Messale, sviluppano la lettura tematica dei testi, sia che si tratti del
Proprio dei Santi, sia del Comune dei Santi, sia della Missa rituale, sia della Missa ad diversa, sia
della Missa defunctorum. Un piccolo problema, invece, potrebbe presentarsi per il Lezionario
della Beata Vergine Maria, perché è un Lezionario fondato sulla lettura tematica, cioè sul
rapporto tra la Prima Lettura ed il Vangelo. In questo modo scatta il principio secondo cui la
testimonianza viene ricavata dal Vangelo e dalla Colletta. Il difetto principale di questo
Lezionario è quello di avere l’ad libitum celebrantis, nel senso che si può prendere la Prima
Lettura o il Vangelo e metterlo insieme ad un altro brano. In sostanza, Maria Vergine è la
creatura più sublime di tutta la storia dell’Umanità, ma di testi biblici che parlano di Lei, se ne
trovano pochissimi. Quindi, i Vangeli sono sempre brevi che riguardano o gli episodi
dell’infanzia di Gesù, il miracolo delle nozze di Cana di Galilea o l’episodio di chi ascolta la
Parola di Dio e la mette in pratica o la Vergine ai piedi della Croce.
Per quanto riguarda il Lezionario mariano, c’è stato anche un lungo dibattito se inserire o
meno un brano di Giovanni che riporta la discussione tra Gesù ed i Giudei. Questi ultimi non
sapendo più cosa rispondere a Gesù gli dicono che essi non sono i figli della prostituzione. Ciò
richiama all’intero brano di Gv 8, dal v. 31 al v. 45:
«Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: “Se rimanete
fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la
verità vi farà liberi”. Gli risposero: “Noi siamo discendenza di Abramo e non
siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?”. Gesù
rispose: “In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del
peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta
sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete
discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola
non trova posto in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi
dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!”. Gli risposero: “Il
nostro padre è Abramo”. Rispose Gesù: “Se siete figli di Abramo, fate le opere
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di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da
Dio; questo, Abramo non l'ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro”. Gli
risposero: “Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre,
Dio!”. Disse loro Gesù: “Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da
Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato.
Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle
mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del
padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella
verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è
menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico
la verità”».

Da tale contesto si può comprendere il perché il biblista più pio può arrivare a dire che Gesù
non era un perfetto Jahvista, perché la parola “prostituzione” equivale a seguire altri dei. In
realtà, l’accusa dei Giudei è molto chiara perché allude alla nascita di Gesù, dal momento che
Maria lo aveva concepito ancora prima delle nozze con Giuseppe. Questo brano, a motivo di
ciò, è stato poi escluso.
Andando avanti, si può dire che, escluso il Lezionario feriale, tutti gli altri Lezionari sono
tematici, compreso quello della Beata Vergine Maria, per il quale lo studio di suoi testi è stato
fatto in modo che uscisse fuori la teologia biblico-mariana i cui elementi principali riguardano la
sua realtà di Madre della persona di Gesù, il quale è uomo e Dio. Maria è la piena di grazia,
concepita senza Peccato Originale. Purtroppo sui temi biblico-mariani non manca il rischio di
una certa arbitrarietà, tanto che il Lezionario Mariano non ha delle regole ermeneutiche.

Un’ultima appendice, prima di passare alle diverse esemplificazioni di questo corso, riguarda
il valore di altri due testi biblici che sono presenti non Lezionario, ma nel formulario:
a) l’antifona ad introito;
b) l’antifona di comunione.
Esse non hanno alcun valore ermeneutico per il Lezionario, dal momento che l’antifona
d’introito può avere un valore ermeneutico per tutta la celebrazione, ma non influisce sul tessuto
tematico che il Lezionario attiva tra le letture. Dunque, l’ermeneutica è indipendente da ciò che
dice l’antifona d’introito, la quale può avere – al massimo – l’influsso del contesto, come la
Colletta, il prefatio, la super oblata, ecc. Per quanto riguarda l’antifona di comunione, tale
antifona sceglie sempre un frammento del Vangelo che è in consonanza con il titulum che il
Vangelo riporta nell’Ordo Lectionum Missae. In riferimento ai praenotanda, l’Ordo lectionum
Missae è un testo dove sono riportate tutte le citazioni della Prima Lettura, del Salmo
Responsoriale, della Seconda Lettura e del Vangelo, di tutte le messe possibili ed immaginabili.
Esso è già stampato con il formulario, il che vuol dire che se si vuole cercare la 4 a Domenica di
Quaresima, Anno C, si trovano citate le Letture di quella domenica. Ogni capitulum o citazione
è preceduta da un titulum: la tematica tra la Prima Lettura ed il Vangelo si sviluppa secondo
determinati criteri. Quando rimane difficile il rapporto tra la Prima Lettura ed il Vangelo, i
Praenotanda dell’Ordo Lectionum Missae, al n° 123 dice:
«Il titolo preposto ai singoli testi è stato scelto con cura (per lo più dalle stesse
parole del testo), sia per indicare il tema principale della lettura, sia anche,
quando necessario, per porre in rilievo, già dai titoli stessi, il nesso fra le varie
letture di una data Messa».
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Il metodo liturgico e la presentazione delle 10 schede di lavoro. Prof. Renato De Zan (dioc.).

In questo modo sarà più facile che lega la Prima lettura ed il Vangelo. A questo rimedio si
ricorre quando non si riesce a trovare un filo conduttore tra la Prima Lettura ed il Vangelo,
attraverso altre metodologie che sono tipiche all’interno del rapporto tra Antico e Nuovo
Testamento. L’antifona di comunione, molto spesso sviluppa la tematica del titulum, oppure
alcune volte costituisce il titulum medesimo. Anch’essa, dunque, non comporta alcuna novità
nel campo ermeneutico. Con quest’ultima appendice, si conclude l’aspetto tecnico
dell’ermeneutica del Lezionario, ma è bene non trascurare i fenomeni che da esso derivano.
In effetti se si confrontano i commenti del biblista con quelli del Liturgista, su di un medesimo
testo, essi appaiono totalmente differenti. Ciò spiega che la stessa tematica biblico-liturgica non
è rigida, non è una sequenza di fotogrammi, ma è come un albero, dal quale – la scelta di alcuni
rami – portano ad una grande varietà di tematiche, dal momento che esse dipendono dagli
accostamenti che vengono fatti. Ciò dipende dalla chiave di lettura che si dà ad un testo, dalla
conoscenza esegetica e da tanti altri fattori. Ciò comporta l’interpretazione infinita, dal momento
che il Lezionario è fatto di accostamenti di testi, tanto che non presenta limiti nell’essere
commentato. Questo fenomeno non avviene con il testo biblico, che appare più limitato nel
numero di possibilità di commento.
Una conclusione seria è questa: non esiste alcun commento del Lezionario che possa essere
ritenuto esaustivo.
Una seconda considerazione parte dalla struttura celebrativa di una determinata Messa viene
data dall’ermeneutica del suo Lezionario: dunque, si parte dall’elemento biblico liturgico per
costruire la celebrazione. Ciò vuol dire che i quattro commenti che si possono fare durante la
celebrazione dell’Eucaristia, si fanno su ciò che è l’identità di quella Messa (v. l’omelia, la
pragmatica celebrativa). La scelta non può essere fatta a casa, ma deve basarsi sulle tematiche
biblico-liturgiche del Lezionario: tutto si trova in rapporto da esse. Ciò riguarda l’instrunctio
generalis Missali Romani, la quale afferma il principio secondo cui colui che presiede o fa il
commentatore può intervenire, per guidare l’Assemblea liturgica, solo quattro volte. Tali
interventi devono essere preparati, devono essere brevi e si fanno:
1) all’inizio della S. Messa;
2) prima delle tre Letture;
3) prima del prefazio;
4) prima di congedare l’Assemblea.

Questi interventi devono esplicitare l’aspetto pasquale che viene celebrato in quella
determinata celebrazione eucaristica. Ciò dipende dall’ermeneutica del Lezionario che dà il
contesto di tutta la celebrazione, cioè della Colletta e dell’embolismo del prefazio. La stessa
Omelia nasce dal testo sacro, cioè dai testi biblici o dai testi eucologici, che non sono separabili.

Riprendendo il contesto del lavoro da farsi per l’esame dell’Ermeneutica del Lezionario, la
decima scheda deve saper dire, facendo l’esame del reticolo verticale (scheda 8) e del reticolo
orizzontale (scheda 9), la caratteristica della Domenica presa in esame. Ad esempio, la Quarta
domenica di Quaresima dell’Anno “C” non è la stessa dell’Anno “A” o dell’Anno “B”. Esse si
differenziano in che cosa? Se si guarda alle cinque domeniche dell’Anno “C”, sempre di
Quaresima, si nota, ad esempio, che la prima domenica ha le tentazioni di Gesù, secondo Luca,
dove si presenta un dato importante, cioè come si può gestire la vita. In realtà la vita può essere
gestita in tre modi: come pura materialità (di che queste pietre diventino pane), come
perseguimento del potere e del denaro (ti darò tutti questi regni se prostrato mi adorerai) e come
perseguimento di una fede che sia superstizione (buttati giù, gli angeli ti sosterranno e
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guarderanno che il tuo piede non inciampi). Quest’ultimo esempio è il più delicato perché la fede
è vista come un rapporto magico con Dio: dove non arriva l’uomo, la lo supplisce Dio.
La seconda domenica di Quaresima ha come obiettivo Gesù trasfigurato ed il Padre che dice:
Questo è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo. In sostanza, perché anche noi possiamo essere
trasfigurati, dobbiamo ascoltare il Figlio. Allora ascoltare non vuol dire soltanto udire, ma anche
sentire e vedere (si riprende l’antico shemah). La stessa Alleanza con Abramo della prima
Lettura sottolinea la gratuità non solo l’Alleanza, ma anche la stessa nostra trasfigurazione.
La terza domenica di Quaresima ha come tema evangelico l’invito alla conversione: infatti,
c’è l’episodio del crollo della torre di Siloè e l’episodio evangelico del fico sterile, dove il
contadino dice al padrone di attendere almeno un anno per vedere se da frutto, dopo averlo
curato e nuovamente concimato.
La Quarta domenica di Quaresima ha come tema quello del ritorno a Dio, suggellato dalla
parabola del Figlio prodigo. Tale ritorno ha una caratteristica ben precisa: quella della festa e
non delle lacrime. E’ interessante la reazione del Padre verso il figlio che ritornando gli dice: Ho
peccato contro il cielo e contro di te. Non sono più degno di essere chiamato tuo Figlio. Il Padre
non solo non lo giudica, ma lo abbraccia, gli fa mettere il vestito più bello e gli fa mettere
l’anello al dito ed i calzari ai piedi. Qual è la prima cosa del Vangelo di Luca 15,1-32, che si può
notare? Riportiamo il testo per intero e suddividiamolo in base a quattro unità dove si trovano
altre due parabole, oltre a quella del Figlio prodigo:
«Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e
gli scribi mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”. Allora
egli disse loro questa parabola:
“Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel
deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la
mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo:
Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi
dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove
giusti che non hanno bisogno di conversione.
O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e
spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata,
chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la
dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per
un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre,
dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le
sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì
per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando
ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a
trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di
quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto
saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora
rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in
abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser
chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò
verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli
corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho
peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo
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figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e
rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso,
ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed
è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il
figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la
musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il
servo gli rispose: “E’ tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello
grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare.
Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da
tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un
capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha
divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello
grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio
è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto
ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Dal testo si può ricavare uno schema molto semplice, indicante le quattro unità:

1A UNITÀ: “Costui riceve i peccatori e mangia Da come appare nello schema a fianco, il testo
con loro”. Allora egli disse loro originale di Luca aveva una sola parabola:
infatti la 1a Unità riporta l’espressione,
questa parabola: “questa parabola”. Allora le altre due unità (la
3a e la 4a non ci sono).
La stessa Liturgia cosa ha fatto? Ha tagliato il
2A UNITÀ: “Chi di voi se ha cento pecore e ne testo riportandolo al suo stadio pre-
perde una, non lascia le novanta- redazionale. Dunque, l’espressione “questa
nove nel deserto e va dietro a quella parabola” indica una sola parabola, ma quale
perduta, finché non la ritrova? delle tre? La parabola della 2 a Unità non può
essere perché sviluppa il tema della ricerca,
3A UNITÀ: O quale donna, se ha dieci dramme del ritrovamento e della festa. Essa non
risponde alla domanda dei farisei e degli
e ne perde una, non accende la scribi: perché tu accogli i peccatori? Neppure
lucerna e spazza la casa e cerca la seconda parabola. Ma solo la terza
attentamente finché non la ritrova? parabola, quella del figliol prodigo, risponde
precisamente al tema dell’acco-gliere e del
perdono. Questo vuol dire che la Liturgia
4A UNITÀ: Disse ancora: “Un uomo aveva tagliando le due unità recupera il testo nella
due figli. Il più giovane disse al sua fisionomia più antica, vale a dire nella sua
padre: Padre, dammi la parte del prima edizione. Seguendo, poi, la dinamica del
patrimo-nio che mi spetta…”. genere letterario, si nota che Gesù difende il
suo operato che indica la polemicità di questa
parabola, dove il Padre è Gesù Cristo. In
sostanza, il tema di fondo è il perdono e la
festa.

Da quanto è stato visto mediante questo piccolo schema, se si guarda alla Prima Lettura, c’è
il contesto presentato dal Libro di Giosuè 5,9a.10-12:
«Allora il Signore disse a Giosuè: “Oggi ho allontanato da voi l'infamia
d'Egitto”. Quel luogo si chiamò Gàlgala fino ad oggi. Si accamparono dunque in
Gàlgala gli Israeliti e celebrarono la pasqua al quattordici del mese, alla sera,
nella steppa di Gerico. Il giorno dopo la pasqua mangiarono i prodotti della
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regione, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. La manna cessò il


giorno dopo, come essi ebbero mangiato i prodotti della terra e non ci fu più
manna per gli Israeliti; in quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan».

Se si nota il contenuto di questo brano veterotestamentario, gli Israeliti, dopo l’esperienza


dura e faticosa dell’Esodo, finalmente mangiano i frutti della terra di Canaan, allo stesso modo
del figlio prodigo, che ritornando dal peccato, grazie alla conversione, mangia i frutti della terra
che sono il perdono del Padre. Si notano una medesima logica ed una stessa struttura tra i due
brani della Scrittura, anche se i personaggi sono diversi. Se si guarda, poi, alla Seconda Lettura,
si ha il brano della 2Cor 5,17-21:
«Fratelli, se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono
passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha
riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della
riconciliazione. E` stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non
imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della
riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio
esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi
riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da
peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia
di Dio».

Di questa lettura è molto bella l’espressione del primo versetto: Fratelli, se uno è in Cristo, è
una creatura nuova. Essa è già sufficiente per capire che il perdono è un concetto
veterotestamentario. Nel Nuovo Testamento non c’è nulla di nuovo: l’unica vera novità è quella
di Cristo risorto. Si ritorna, dunque, ad un concetto che è tipico di Israele: crea in me o Dio un
cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. In ebraico il perdono è espresso dal verbo barah che
richiama alla Genesi, la quale lo usa per indicare la creazione di Dio. Ora, si può comprendere
che perdonare vuol dire essere creati ex nihilo: ogni volta che si ottiene il perdono da Dio, si
diventa creatura nuova, giacché il peccato non c’è più ed appartiene al passato.
Tutto questo pone in evidenza un filo conduttore tra il Vangelo e la Prima Lettura sul tema
del perdono.

Guardando alle altre domeniche, la Quinta domenica di Quaresima ha come tema quello
dell’adultera, tratta da Gv 8: è il testo più difficile del Nuovo Testamento per quanto riguarda la
Critica testuale. Qual è la ragione della sua non interpretabilità? Per sei secoli non c’è stato mai
questo testo nei Vangeli. I manoscritti che riguardano il Vangelo di Giovanni, come ad esempio il
P65 (fine II ed inizio del III secolo non riportano l’episodio dell’adultera. La stessa cosa si nota
nel Codice Sinaitico e nel Codice B o Codice Vaticano (IV secolo). Bisogna attendere il VI
secolo per averlo nel Vangelo di Giovanni. Tra l’altro c’è da dire che tale episodio era molto
conosciuto tra i Padri, tanto è vero che è stato spesso citato negli scritti patristici. Questo testo
era, dunque, tramandato oralmente. Il primo Codice che lo riporterà per iscritto sarà il Cod. “D”
(Codice di Beza del VI secolo). Questo si spiega perché la Misericordia manifestata da Dio
all’uomo è talmente grande che fa paura alla Chiesa. Il testo non è subito passato nella Bibbia
anche per un’altra ragione: ci sono, infatti, manoscritti che pongono tale episodio nel Vangelo di
Luca e non in quello di Giovanni, perché la teologia è strettamente lucana, insieme alla dicitura
che è tipica dei sinottici; però, la struttura è di tipo simbolico, tanto da avvicinare questo testo al
Vangelo di Luca. Dunque, alcuni manoscritti pongono l’episodio nel capitolo ottavo di
Giovanni, mentre altri lo pongono dopo il capitolo 22 di Luca. Questo fatto rende quasi
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impossibile l’interpretazione di questo testo, anche se normalmente è situato nel Vangelo di


Giovanni.
D’altra parte, però, è bene tenere presente alcuni particolari:
1) l’adultera è presa in fragrante adulterio;
2) tale suppone la presenza dell’uomo, ma che in effetti non c’è;
3) la pena di morte non è prescritta dalla Torah;
4) la pena di morte consisteva nella morte per soffocamento (v. la garrotta);
5) nel testo di Gv c’è la lapidazione che, invece, è prevista per chi vuole uscire
dall’Alleanza, per bestemmia, per aver toccato le cose sacre, o per apostasia.

Allora, viene facile la domanda: chi è quella donna? Quella donna è la Chiesa che tradisce lo
Sposo, a motivo della sua relazione con il fedifrago, cioè il peccato che non è rappresenta-bile.
Quindi, il peccato che la Chiesa commette è l’adulterio di tipo veterotestamentario, cioè il rifiuto
dell’Alleanza, che di per sé merita la lapidazione. Questi passaggi dimostrano che ci troviamo
dinanzi ad un racconto simbolico che parte dal dato storico per uno sviluppo chiaramente
simbolico. In questo senso, allora, il testo sarebbe da collocarsi nel Vangelo di Giovanni.
Andando al messaggio concreto dell’episodio dell’adultera, il nocciolo della questione è il tema
del perdono (v. Gesù che perdona l’adultera). Ciò appare in contrasto con la prassi penitenziale
della Chiesa dei primi secoli, perché quest’ultima risultava molto severa. Questo fatto spiega il
perché tale episodio è comparso a partire dal VI secolo. Questo dimostra che la Chiesa ha
sempre avuto paura del perdono.
Tutto questo fa capire anche che ci troviamo dinanzi ad un fatto pedagogico, nel senso che
per fare il bene ci vuole un certo allenamento, sino ad arrivare a fare quello che Gesù ha fatto
nella sua vita: il perdono e la misericordia.

________Note Personali di Studio________________________________________________

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