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VARESE
Dipartimento di Scienze Umane e dell’Innovazione per il Territorio - DiSUIT
Corso di Laurea Triennale in Scienze della Comunicazione
Matricola 732721
INTRODUZIONE ___________________________________________________ 1
1. CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY ________________________________ 3
1.1 INTRODUZIONE ALLA CSR ___________________________________________ 3
1.2 ORIGINE E SVILUPPO DELLA CSR ______________________________________ 5
1.3 LA CSR NEL PANORAMA MONDIALE ___________________________________ 9
1.4 LA CSR E L’UNIONE EUROPEA _______________________________________ 15
1.5 LA CSR IN ITALIA __________________________________________________ 19
2. GESTIONE DELLA CSR NELLA STRATEGIA AZIENDALE __________________ 23
2.1 FASI DI IMPLEMENTAZIONE DELLA CSR ________________________________ 23
2.2 TRIPLE BOTTOM LINE ______________________________________________ 26
2.3 CSR VERSO GLI STAKEHOLDER INTERNI ________________________________ 28
2.3.1 CASE STUDY: LA FONDAZIONE FERRERO E IL PROGETTO IMPRENDITORIALE 30
2.4 CSR VERSO GLI STAKEHOLDER ESTERNI ________________________________ 32
2.4.1 CASE STUDY: AI FOR HUMANITARIAN ACTION ________________________ 35
2.5 CSR VERSO L’AMBIENTE ____________________________________________ 38
2.5.1 CASE STUDY: LE POLITICHE AMBIENTALI DI LEGO ______________________ 41
3. IL FENOMENO DEL GREENWASHING _______________________________ 44
3.1 DEFINIZIONE E ORIGINI ____________________________________________ 44
3.2 CARATTERISTICHE DEL FENOMENO ___________________________________ 46
3.3 DRIVER DEL GREENWASHING _______________________________________ 48
3.4 RISCHI DELLA COMUNICAZIONE _____________________________________ 53
3.5 CASE STUDY: GREENWASHING TRA IMPRESE ___________________________ 57
CONCLUSIONI ___________________________________________________ 60
BIBLIOGRAFIA ___________________________________________________ 63
SITOGRAFIA _____________________________________________________ 65
INTRODUZIONE
Nel mondo globalizzato di oggi, le sfide globali e locali, dal cambiamento climatico
alla crisi alimentare ed idrica, dalla crescente disoccupazione alle disuguaglianze
sociali, necessitano di soluzioni che devono essere pensate e condivise tra pubblico
e privato. Pertanto sta diventando sempre più evidente come le aziende, sia piccole
che grandi, debbano rispondere a tali sfide, iniziando ad andare oltre le proprie
responsabilità di base e adottando comportamenti strategici. Da questo punto di
vista non è più sufficiente avere solo imprese redditizie, ma aziende più
responsabili.
La CSR non è il semplice rispetto delle leggi, questo piuttosto deve essere
considerato elemento essenziale dell’agire di un’impresa e, preso singolarmente,
non è sufficiente per definire un’azienda come socialmente responsabile. Ciò che
invece la contraddistingue è l’autonoma e volontaria sottoposizione delle
organizzazioni ad un modello di comportamento anche più rigido delle imposizioni
di fonte normativa, la quale può avvenire attraverso l’adozione di codici etici e di
vari standard di comportamento. Il punto di forza di una valida strategia di
responsabilità sociale è il ritorno che questa genera nei confronti dell’impresa. Il
1
beneficio che si consegue è di tipo reputazionale, che comporta una maggiore
fidelizzazione del cliente finale e dei partner commerciali; comporta anche un più
generale sentimento di affidabilità dell’impresa da parte degli altri stakeholder, che
potranno essere spinti ad assumere altri nuovi comportamenti altrettanto
socialmente responsabili. Per contro una scorretta politica di responsabilità sociale
può portare ad una perdita di capitale reputazionale. Ciò può avvenire per 2 ragioni:
o perché le azioni appaiono sporadiche e scoordinate o perché queste configurano
attività di cosiddetto “greenwashing”. Con tale termine si intende definire
un’attività di mera simulazione di una realtà che di socialmente ha ben poco.
2
1. CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY
Non deve però ritenersi che perseguire obiettivi socialmente responsabili sia solo
da considerarsi un “onere” infatti tali strumenti, se applicati con genuinità, entrano
a pieno diritto nella catena del valore concedendo l’opportunità di sfruttare nuove
leve competitive. Robert Alan McDonald, CEO di Procter & Gamble, osserva che
“i consumatori hanno aspettative sempre maggiori nei confronti delle marche e
vogliono sapere ciò che esse fanno per il mondo. Deve però trattarsi di iniziative
autentiche, dettate da un genuino interesse”1. A conferma di ciò lo studio 2016 del
Reputation Institute2, che vede più di 41mila su oltre 350 aziende operanti in Italia
in più di 20 settori merceologici, ha rilevato che più forte è il percepito positivo
nelle aree di CSR, più aumenta la propensione all’acquisto da parte dei suoi
consumatori.
1
P. Kotler, K. L. Keller, Marketing Management, Pearson, 2012, p. 629.
2
L. La Posta, Imprese Centrali nelle Politiche Green, Sole24Ore, 31.05.2016.
3
Secondo Stefano Zamagni, economista italiano ed ex presidente dell’Agenzia per il
terzo settore, esistono poi 3 valide ragioni per promuovere l’impresa sociale3:
3
S. Zamagni, Tre motivi per favorire il più possibile l’impresa sociale nel nostro Paese,
Sole24Ore, 31.05.2016.
4
1.2 ORIGINE E SVILUPPO DELLA CSR
Fra le prime definizioni di Responsabilità Sociale d’Impresa, risalenti agli anni ’50,
si può ricordare quella fornita da Howard Bowen, il quale affermò che “le
responsabilità sociali dell’azienda si riferiscono agli obblighi per i manager di
perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni o di seguire quelle linee
d’azione che sono desiderabili in vista degli obiettivi e dei valori della società nel
suo complesso”4. L’analisi fatta da Bowen, nel suo libro Social Responsibility for
the Businessman, portò Archie Carroll a indicarlo come il padre della CSR, se non
altro perché fu il primo a dare una definizione al fenomeno della responsabilità
sociale, che potesse avere anche delle applicazioni di tipo pratico. La sua opera
diede inizio a un periodo di studio del fenomeno della responsabilità sociale
d’impresa caratterizzato, in questa prima fase, da un’opera di ricerca di una
definizione piuttosto che da un’attività di applicazione dei suoi principi.
Altro rilevante contributo si ebbe nel 1960 a opera di Keith Davis, il quale riteneva
che le considerazioni emerse in quegli anni sulla CSR dovessero essere applicate
ad un contesto manageriale, e non più restare confinate a un inquadramento
puramente teorico. Sostenne la necessità di commisurare la responsabilità sociale
al potere di chi svolge l’attività di azienda; fu inoltre uno dei primi ad accennare
alla possibilità che, nel lungo periodo, un comportamento socialmente responsabile
possa portare beneficio ai conti aziendali.
Solo un anno dopo Clarence C. Walton diede una successiva e più elaborata
definizione della Responsabilità Sociale: “Il nuovo concetto di responsabilità
sociale riconosce l’intimità della relazione che esiste tra azienda e società e che tale
relazione è necessario che venga tenuta a mente dal top management e dai relativi
gruppi che perseguono i rispettivi obiettivi”5. Walton elaborando tale definizione
riesce a cogliere l’essenza del problema della mediazione tra diversi gruppi di
interesse che spingono per il conseguimento dei propri obiettivi. Il passo avanti è
4
A. B. Carroll, Corporate Social Responsibility: Evolution of Definitional Construct, Sage
Publications, 1999, p. 270.
5
Ivi, p. 272
5
certamente quello di spostare il problema dalla sfera d’influenza del singolo uomo
d’affari e collocare il centro decisionale della responsabilità sociale nelle più alte
sfere aziendali, riconoscendo quindi il peso che la CSR può avere sui ricavi o con
riguardo all’impatto che l’azienda ha sull’ambiente esterno.
Un successivo passo avanti è stato compiuto nel 1971 grazie a Harold Johnson che
nella sua opera Business in Contemporary Society: Framework and Issues si
preoccupò di analizzare gli impatti e le problematiche che la CSR aveva nel
contesto sociale e aziendale. La Responsabilità Sociale d’Impresa, secondo
l’autore, doveva constare nella ricerca degli obiettivi socialmente ed
economicamente rilevanti ma attraverso l’elaborazione di norme sociali che si
potessero applicare in maniera uniforme al mondo degli affari. Tale approccio
doveva risultare nell’elaborazione di norme e comportamenti aziendali in grado di
definire ruoli e compiti; quelle norme avevano il compito di fornire uno schema
operativo riguardo le modalità di conduzione degli affari. Si può notare come
l’evoluzione della CSR si sia spostata anche sul piano normativo dovendosi
riconoscere la necessità di produrre un corpus di regole e regolamenti, non solo in
via di autoregolazione ma anche di fonte legislativa, in modo tale da poter bilanciare
il legittimo interesse dall’azienda nel ricercare il massimo profitto ma l’altrettanto
legittimo bisogno della società che tale ricerca non la danneggi.
Johnson fornisce però una seconda definizione della CSR dandole un’enfasi più di
lungo termine, asserendo che le imprese che adottano politiche di CSR svolgono
dei programmi sociali per aggiungere profitti alle loro organizzazioni. Tale visione
presuppone che le politiche di responsabilità sociale non possano essere applicate
in modo sporadico o disorganizzato poiché non servirebbero raggiungere l’obiettivo
di incremento dei profitti aziendali ma sarebbero delle mere azioni volte a
compiacere la società, peraltro con il rischio di gettare l’azienda, o quantomeno tali
azioni disorganizzate, in cattiva luce.
Johnson presenta anche una terza definizione dalla quale si evince che è ormai
pacifico affermare che la CSR concorre alla massimizzazione dell’utilità d’impresa
ove tale utilità non coincide esattamente con il massimo profitto ottenibile, ma si
6
riferisce ad un ventaglio di obiettivi. Infatti secondo Johnson “un imprenditore o
manager socialmente responsabile è colui che ha un programma di utilità […] tale
che è interessato non solo al proprio benessere, ma anche a quello degli altri membri
dell’impresa e quello dei suoi concittadini”6. Si formalizza sempre di più la
necessità di spostare al livello del top management le politiche di CSR, in virtù del
potenziale strategico che le politiche sostenibili possono fornire.
Il contributo più rilevante di Johnson tuttavia lo possiamo trovare nella sua quarta
e ultima definizione della Corporate Social Responsibility, da lui chiamata “visione
lessicografica della responsabilità sociale”. La teoria lessicografica suggerisce che
le imprese profit-oriented potrebbero adottare comportamenti socialmente
responsabili perché “una volta ottenuto l’obiettivo di profitto, queste si comportano
come se la responsabilità sociale fosse un obiettivo importante, anche se non lo è”7.
Lo stesso autore, nel far presente che tale definizione può sembrare contraddittoria
con le tre precedenti, precisa che in realtà è solo un “modo complementare di vedere
la stessa realtà”8. Questa definizione permette una duplice lettura riguardo le
politiche di CSR: se da una parte si riconosce che le azioni socialmente responsabili
possono portare le aziende ad ottenere agli occhi dei consumatori un quid in più in
termini di brand image e brand fidelity; dall’altra è necessario riconoscere che le
imprese meno attente alle tematiche sociali e ambientali possono sempre
implementare delle politiche di CSR dopo aver raggiunto gli obiettivi di profitto,
quasi a legittimare quanto fatto precedentemente. Ovviamente quest’ultimo
approccio è più rischioso poiché è possibile che chi osserva noti una certa ipocrisia
nell’applicazione delle politiche di CSR.
6
A. B. Carroll, Corporate Social Responsibility: Evolution of Definitional Construct, Sage
Publications, 1999, p. 273.
7
Ivi, p. 274.
8
Ibidem
7
economiche, legali, etiche e discrezionali che la società ha nei confronti delle
organizzazioni in un determinato momento”9. Grazie a questa semplice ma
esaustiva definizione, risalente al 1981, è possibile suddividere la Responsabilità
Sociale d’Impresa in 4 categorie:
Grazie a quanto detto fino ad ora possiamo evincere che il tema della Corporate
Social Responsibility, già presente nei dibattiti sulle corporations statunitensi agli
inizi dell’anni ’50, sia un tema in crescente sviluppo. Il modo di operare delle
imprese esercita una forte influenza sulla conformazione del contesto socio-
economico; non sono infatti solo i mercati a subirne l’influenza, ma i valori etici, le
condizioni lavorative ed il livello di attenzione nei confronti delle problematiche
9
A. B. Carroll, Corporate Social Responsibility: Evolution of Definitional Construct, Sage
Publications, 1999, p. 273.
8
sociali quali integrazione, discriminazione e povertà. In un contesto come quello
attuale, in continuo cambiamento, l’area di responsabilità delle imprese, e di
conseguenza di ciò di cui devono rendere conto, si è decisamente ampliata. Da qui
è possibile comprendere come il fenomeno della CSR non sia una moda passeggera,
ma rappresenti una vera e propria dimensione strutturale della strategia aziendale,
finalizzata alla sopravvivenza e allo sviluppo dell’impresa.
L’interesse dell’attenzione pubblica mondiale agli inizi del millennio nei confronti
delle tematiche che ricadono sotto l’ombrello della Responsabilità Sociale si è
manifestato in diverse iniziative intraprese dalle istituzioni internazionali, come
l’OCSE e l’ONU. Proprio quest’ultima al Word Economic Forum del 1999 propone
ai business leader di tutto il mondo di sottoscrivere un Patto Globale, noto come
UN Global Compact, al fine di promuovere e canalizzare gli sforzi congiunti verso
gli aspetti più critici riguardanti la società e l’ambiente. Siglato da oltre 18.000
aziende in circa 160 paesi nel mondo, il Global Compact comincia ad essere
9
operativo nel luglio del 2000 e rappresentava l’assunzione di un impegno su base
volontaria di aderire a dei principi atti a promuovere i valori della sostenibilità nel
lungo termine, da mettere in pratica attraverso politiche aziendali, comportamenti
sociali e civili responsabili, sfruttando la cooperazione internazionale. I 10 principi
fondamentali contenuti nel Patto riguardano10:
10
https://www.globalcompactnetwork.org/it/
10
(Figura 1.2) per suggerire che la sua implementazione richiede un processo iterativo
e continuativo, composto di 6 fasi11.
11
https://www.globalcompactnetwork.org/it/
11
azioni. Il quinto passo è Measure, ovvero la misurazione e monitoraggio degli
indicatori di performance determinati in relazione agli obiettivi, per valutarne il
grado di raggiungimento. L’ultimo step infine è quello della comunicazione,
necessaria all’impresa per migliorare il proprio engagement con gli stakeholder, che
comprende i progressi effettuati e strategie a lungo termine per efficientare il suo
operato.
12
https://www.un.org/millenniumgoals/
12
Proprio questo fu uno dei loro punti più critici: imporre vincoli e limitazioni
richiedeva tempo e negoziazioni che, in soli quindici anni, erano impossibili da
raggiungere; seppur in certi casi gli effetti positivi degli impegni profusi in tale
direzione erano evidenti.
Il limite più grande nell’idea di fondo dei MDG però fu il mancato coinvolgimento
iniziale del settore privato, il quale sarebbe stato capace, grazie a tecnologie
avanzate e risorse maggiori, di garantire soluzioni migliori e più ampie. Proprio per
superare questo ostacolo all’inizio del 2015 è emersa una nuova Agenda, con
scadenza nel 2030, e avente come obiettivo principale quello di trovare un punto di
contatto tra i bisogni umani e la crescente trasformazione economica, prestando nel
contempo l’attenzione alla protezione dell’ambiente, alla ricerca della pace e alla
realizzazione dei diritti umani, il tutto con l’aiuto e il ruolo proattivo delle imprese.
I 193 Paesi hanno quindi concordato l’introduzione dei 17 Sustainable
Development Goals (Figura 4), ripartendo da ciò che di buono era emerso nel
periodo 2000-2015 e usando i MDG come target di riferimento per poter
raggiungere risultati migliori.
13
La nuova Agenda si differenzia principalmente per il suo maggiore rigore. Se gli
MDG furono elaborati per raggiungere un punto intermedio nel percorso che
avrebbe portato ad azzerare povertà e a porre fine alla fame del mondo, i SDG hanno
come compito principale quello di completare il cammino precedentemente
iniziato. L’approccio degli MDG ha portato le imprese e i governi ad applicare la
strategia “fare prima la parte più semplice”; al contrario invece, il difficile obiettivo
posto dagli SDG ha spinto i soggetti istituzionali a dedicare maggiori risorse sin da
subito. Questi obiettivi inoltre vedono al centro della loro struttura una crescita
economica sostenibile ed esclusiva, sottolineando ed incoraggiando i singoli Stati a
far emergere abilità e idee sfidanti. Infine la più grande differenza tra le due Agende
sta nell’utilizzo delle informazioni: se nei primi nulla è detto circa l’utilizzo di
database condivisi, gli SDG ruotano attorno all’efficiente utilizzo di sistemi di
monitoraggio e accountability.
14
Altro importante intervento a livello internazionale da riportare è quello dell’OCSE,
che nel 2011 ha pubblicato le Linee Guida destinate alle Imprese Multinazionali,
con le quali i governi raccomandano alle multinazionali l’adozione di
comportamenti responsabili, finalizzati a migliorare il rapporto e la fiducia fra
imprese e società e allo stesso tempo incrementare e valorizzare l’impegno verso
uno sviluppo sostenibile. Le Linee Guida spingono le imprese a contribuire al
progresso economico, sociale e ambientale, instaurando un rapporto cooperativo
con la comunità locale anche creando opportunità di occupazione e formazione,
rispettando i diritti umani, promuovendo un dialogo con i vari stakeholder,
prevenendo o minimizzando gli impatti negativi della propria attività e osservando
le pratiche di buon governo societario. Per un’efficace attuazione delle stesse, nella
seconda parte del documento, vengono indicati gli strumenti operativi che si intende
implementare. Viene prevista l’istituzione di Punti di Contatto Nazionali, incaricati
di promuovere, guidare e informare le imprese in relazione alle Linee Guida, che in
Italia è organizzato all’interno del Ministero dello Sviluppo Economico13.
13
OCSE, Linee Guida OCSE destinate alle Imprese Multinazionali, 2011.
15
accettazione internazionale e la descrive come “l’integrazione volontaria delle
preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni
commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”14. Essere socialmente
responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi, ma anche andare
oltre, investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti. Lo scopo
del documento quindi era quello di incentivare le imprese a scommettere nel loro
futuro e a sperare che un impegno volontario e concreto potesse contribuire ad
incrementare la redditività; un impegno non indifferente, dal momento che si
doveva iniziare ad andare oltre la logica del profitto, sforzandosi di adottare un
sistema di governo aperto, capace di conciliare gli interessi nell’ambito di un
approccio globale della qualità e dello sviluppo sostenibile.
Dal contenuto del Libro Verde è poi possibile distinguere gli ambiti della CSR,
individuando una dimensione interna all’azienda ed una esterna ad essa. Nel primo
caso, le prassi socialmente responsabili hanno riflessi in primo luogo sui dipendenti
e aprono una via che consente di gestire il cambiamento e di conciliare sviluppo e
competitività. Tra gli ambiti interni su cui si appone il focus possiamo trovare:
• Gestione delle Risorse Umane: si tratta di una delle maggiori sfide lanciate
dal documento. L’UE propone una serie di consigli e correttivi atti a
valorizzare la formazione e la qualificazione dei dipendenti ed incentiva alle
prassi non discriminatorie di reclutamento, che dovrebbero facilitare la
riduzione della disoccupazione, facendo aumentare i tassi di occupazione e
limitando l’esclusione sociale.
• Salute e Sicurezza sul Lavoro: essendo un tema già presente nella
legislazione ordinaria, si richiede alle imprese di effettuare uno sforzo nella
promozione di una cultura della prevenzione, nonché di misure volontarie
volte a rendere più sicuro il luogo di lavoro.
• Adattamento alle Trasformazioni: dato il contesto altamente mutevole e
la tendenza delle grandi imprese a concentrarsi o ristrutturarsi, adottare un
14
Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde: Promuovere un quadro europeo per la
responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, 2001, COM(2001) 366 definitivo, p. 7.
16
approccio responsabile in questo ambito significa prendere in
considerazione gli interessi e le preoccupazioni di tutte le parti interessate a
tali cambiamenti.
• Gestione degli Effetti sull’Ambiente e delle Risorse Naturali: ridurre il
consumo di risorse ed emissioni inquinanti può diminuire le ripercussioni
sull’ambiente e recare, allo stesso tempo, vantaggi all’impresa, riducendo la
fattura energetica e le spese di eliminazioni dei rifiuti.
17
• Preoccupazione Ambientali a Livello Planetario: si rende necessario
assumere la propria responsabilità non solo a livello europeo, ma anche
globale, seguendo le indicazioni dell’OCSE e dell’ONU.
Tra le varie iniziative europee infine è stata assunta una particolare rilevanza dalla
principale rete di imprese europee, denominata CSR Europe, la quale “agisce come
una piattaforma per quelle aziende che cercano di migliorare la crescita sostenibile
e supportandole nella costruzione di una competitività sostenibile, contribuendo
positivamente alla crescita della società”16. Creata nel 1995, ha lanciato nel 2010
Enterprise 2020, un’ambiziosa iniziativa con l’obiettivo con l’obiettivo di dare
forma al contributo delle imprese a Europa 2020, la strategia europea più completa
15
Commissione Europea, Strategia rinnovata 2011-2014 per la Responsabilità Sociale d’Impresa,
Bruxelles, 2011, COM(2011) 681 definitivo, p. 7.
16
https://www.csreurope.org/
18
per il raggiungimento di una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” a livello
comunitario. Questa iniziativa è rapidamente diventata il movimento di riferimento
per le imprese impegnate nella CSR e il suo lancio è stato particolarmente per il
raggiungimento particolarmente rilevante per il raggiungimento di alcuni obiettivi
politici europei. Al fine di favorire la diffusione della CSR e migliorare le
performance aziendali questa piattaforma ha lanciato numerose campagne, tra le
quali possiamo annoverare:
17
Costituzione italiana, art. 41.
19
vedere, l’Assemblea costituente del 1947 aveva già messo in conto ciò che proprio
in quegli anni veniva affermato da Bowen in America, ovvero che le imprese
dovessero svolgere la propria attività nel rispetto del contesto ecologico e sociale,
dando anche il proprio contributo al suo miglioramento.
A seguito dell’impulso fornito dal Libro Verde, discusso nel paragrafo precedente,
il governo italiano, in particolare il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali,
ha avviato nel 2002 il Progetto CSR-SC, dove SC sta per Social Commitment, con
l’obiettivo di promuovere l’adozione di una cultura fondata sulla responsabilità e la
consapevolezza riguardo alle tematiche sociali ed ambientali nelle aziende italiane.
Partendo dalla definizione di CSR formulata dalla Commissione Europea, il
Progetto si propone di coinvolgere soprattutto le piccole e medie imprese, elemento
caratteristico del tessuto aziendale italiano, nello sviluppo di sistemi di sistemi
organizzativi e gestionali in grado di includere i nuovi orientamenti. Esso si
presenta ben strutturato e pone le sue basi su tre soggetti promotori, ravvisabili nel
Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, le imprese e un CSR Forum, strumento ad
hoc istituito al fine di presidiare tutte le attività operative connesse con
l’implementazione del Progetto e composto dai rappresentanti delle varie parti
sociali, dal governo e dalle ONG.
20
valutazione, identificando in questa fase il livello CSR del Progetto. L’impresa a
questo punto può decidere se fermarsi al livello CSR oppure andare oltre
partecipando attivamente alle iniziative sociali, finanziando l’apposito Fondo SC.
Quest’ultimo, costituito nell’ambito del Bilancio dello Stato, è deputato ad
accogliere le risorse fornite dalle imprese, supportando i progetti determinati nelle
linee di azione nazionale. Quest’ultima fase si identifica con il livello SC del
progetto. Con la promozione di questo articolato progetto, l’Italia ha mostrato sin
da subito forte interesse e intenzione di sostenere le sue aziende al nuovo modo di
fare impresa che si stava delineando.
18
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dello Sviluppo Economico, Piano
d’Azione Nazionale sulla Responsabilità Sociale d’Impresa 2012-2014.
21
• Promuovere la CSR attraverso gli strumenti riconosciuti a livello
internazionale e la cooperazione e la solidarietà internazionale, integrando i
principi del Global Compact o dell’OCSE.
19
https://www.sustainability-makers.it/
22
2. GESTIONE DELLA CSR NELLA STRATEGIA AZIENDALE
20
M. Molteni, Gli stadi di sviluppo della CSR nella strategia aziendale, ImpresaProgetto, rivista
online del DITEA
23
• 1° Stadio – CSR Informale: In questa fase iniziale il problema il problema
dell’applicazione delle politiche di CSR non si pone in modo formalizzato
ed è tipico delle realtà aziendali medio-piccole nelle quali eventuali strategie
di responsabilità sono presenti solo perché volute dal management. Si tratta
generalmente di manifestazioni ad orientamento sociale e ambientale a cui
non viene nemmeno dato il nome di CSR. Spesso però diventa necessario
passare ad una fase successiva, adottando politiche di responsabilità sociale
più strutturate, sulla spinta di soggetti esterni o dei dipendenti stessi che
chiedono un comportamento più responsabile.
• 2° Stadio – CSR Corrente: Le imprese, a causa delle varie spinte esterne
e interne, in questa fase iniziano a formalizzare alcune operazioni tipiche di
CSR. Alcuni esempi sono la stesura di un codice etico (documento ufficiale
contenente i valori su cui si fonda l’impresa e le sue politiche aziendali),
l’elaborazione di un bilancio sociale (documento con cui l’impresa
comunica la propria strategia e le sue linee di sviluppo) e la realizzazione di
campagne di cause-related marketing (strategia grazie alla quale l’azienda
persegue i propri obiettivi commerciali e, al tempo stesso, fornisce un
contributo ad una causa sociale). In questo stadio l’impegno assunto corre
il rischio di non essere intrapreso in maniera strutturale e di essere visto
come una mera necessità, a causa dei concorrenti che fanno altrettanto o del
mercato che semplicemente lo richiede. Se non viene assunta un’ottica di
lungo termine, si corre il rischio di perdere il vantaggio competitivo che è
in grado di far conseguire una valida strategia di CSR.
• 3° Stadio – CSR Sistemica: Una volta giunti a questa fase, non vi è più
spazio per azioni isolate o sporadiche di CSR e si rende necessario un
approccio strategico alla materia. L’attuazione di una politica di CSR
implica che questa diventi parte dell’impresa stessa e che condizioni i suoi
obiettivi futuri; le strategie di responsabilità sociale devono essere
migliorate e rese operative, le azioni già realizzate devono essere ripetute in
24
altre aree di business e devono essere oggetti di comunicazione strategica
verso tutti gli stakeholder.
• 4° Stadio – CSR Innovativa: In questo stadio le azioni di CSR che hanno
come quadro di riferimento il solo rispetto degli standard o una stringente
attenzione alle norme vigenti non sono più sufficienti, si devono quindi
implementare politiche ben più innovative. Si può ora riscontrare una
“creatività socio-competitiva”, dato che la CSR qui si caratterizza per la
ricerca di nuove soluzioni capaci di premiare sia l’azienda che le aspettative
degli stakeholder. Tali soluzioni saranno poi fattori di sviluppo del
vantaggio competitivo, purché si abbia cura di non trascurare le azioni a
tutela dei diritti degli altri stakeholder non direttamente coinvolti nelle
azioni di CSR. Attributo necessario ma non sufficiente è la tutela dei diritti
degli stakeholder interni ed esterni; essa identifica il limite morale entro il
quale l’impresa deve necessariamente mettere in campo le politiche di CSR
di breve termine. La creatività socio-competitiva invece si comporta come
soluzione di medio-lungo termine poiché tende ad inglobare nella strategia
aziendale progetti di “sintesi socio-competitiva”, un’innovazione aziendale
che simultaneamente identifica una soluzione efficace rispetto alle esigenze
degli stakeholder e genera la capacità di consolidare il vantaggio
competitivo dell’impresa.
• 5° Stadio – CSR Dominante: Quando la soluzione adottata configura una
sintesi socio-competitiva potrà dirsi ultimato il percorso di integrazione
della CSR nella strategia aziendale, ma il quinto stadio indica un ulteriore
livello di impegno che nasce dalla volontà dell’azienda di autoimporsi sul
mercato come organizzazione sostenibile e socialmente responsabile.
Spesso accade che aziende di questo tipo finiscano per trainarne altre che si
trovano in uno stadio di CSR meno strutturata, divenendo esempi di best
practice. Spesso in questa fase le attività di CSR vanno ben al di fuori del
contesto aziendale estendendosi ad una platea di interlocutori molto ampia;
bisogna quindi valutare quando un’azione tesa a soddisfare un gruppo tanto
allargato sia sostenibile sul piano dei costi. Può anche verificarsi che i
25
concorrenti conseguano un vantaggio di costo per il solo fatto di non
assumere tali comportamenti responsabili. In tal caso diventa di preminente
interesse per l’azienda tentare di imporre a tutto il settore nuove regole di
comportamento, perseguendo la via dell’autoregolazione, in modo che il
proprio impegno sociale non si trasformi in una perdita di competitività.
21
A. Siano, La comunicazione per la sostenibilità: implicazioni manageriali, Sinergie, Rivista di
Studi e Ricerche, 2012
26
solo per l’azienda, ma per il mercato in generale (fornitori, clienti, investitori,
banche, etc.); la sostenibilità sociale riguarda la condizione dei lavoratori ma anche
la tutela della salute dei consumatori, sia in tema di emissioni che in tema di
salubrità e sicurezza dei prodotti; la sostenibilità ambientale si riferisce alla
valutazione degli impatti sia dei processi che dei prodotti.
22
A. W. Savitz, K. Weber, The Triple Bottom Line – How Today’s best-run companies are
achieving economic, social and environmental success, and how you can too, Jossey Bass, San
Francisco, 2006
27
2.3 CSR VERSO GLI STAKEHOLDER INTERNI
Possiamo considerare fra tutti gli stakeholder interni le risorse umane come la
categoria di maggior interesse, se non altro per il peso che queste hanno sulla
competitività e capacità innovativa dell’impresa. Vi sono diversi ambiti della
responsabilità sociale d’impresa applicabili alle risorse umane: dai trattamenti
salariali alle condizioni di lavoro, dalla gestione dei licenziamenti ai trattamenti
pensionistici, temi che mutano sensibilmente in ogni impresa e con riferimento a
diversi settori. Si può notare, specialmente in tema di risorse umane, come nessuna
deroga sia ammissibile alle norme vigenti in tema di prestazioni lavorative, seppur
queste varino da paese a paese, ma è altrettanto evidente come possano essere
differenti gli orientamenti di HRM, o Human Resource Management.
23
M. Guerci, La gestione delle risorse umane per la sostenibilità dell’impresa, Franco Angelo
Edizioni, Milano, 2011
28
Affinché il sistema di lavoro sostenibile presenti queste caratteristiche è necessario
che vi siano 2 condizioni di fondo. La prima è che si metta il lavoratore nella
condizione di vivere un’esperienza; se si prevede autonomia decisionale con
l’utilizzo di competenze specifiche del lavoratore, e si fa in modo che il lavoratore
soddisfi le sue esigenze professionali, questo percepirà il proprio lavoro
positivamente. La seconda condizione riguarda le relazioni lavorative, per
soddisfarla è necessario fare in modo che i rapporti interpersonali siano improntati
sulla fiducia, accettazione e sulla reciprocità.
Kira e Balkin, inoltre, presentano 3 linee guida che devono necessariamente essere
adottate in caso di progettazione di un modello di sostenibilità:
29
2.3.1 CASE STUDY: LA FONDAZIONE FERRERO E IL PROGETTO
IMPRENDITORIALE
Tra le varie iniziative portate avanti da Ferrero nel corso degli anni, possiamo notare
come l’attenzione verso i propri dipendenti si caratterizzi per la creazione di un
ambiente di lavoro positivo in grado di sviluppare le competenze del singolo
lavoratore e nello sviluppo di una politica sociale d’integrazione e non
discriminazione. In particolare sono molto importanti per la sua strategia di
responsabilità sociale la Fondazione Ferrero e il Progetto Imprenditoriale Michele
Ferrero.
30
frequentare anche accompagnati da amici e parenti; particolarmente sentito è il
“rapporto fra nonni e nipoti” con molte attività, anche all’esterno della Fondazione,
sono loro dedicate. Interno alla Fondazione vi è poi il “Nido Ferrero” che, arrivando
a poter ospitare fino a 80 bambini, si propone di offrire sostegno in tema educativo
ai genitori e attiva vari progetti per le loro famiglie.
31
in base alle performance raggiunte ogni anno. I proventi di tale fondo vengono poi
impiegati integralmente per la realizzazione di alcune iniziative, programmate con
la collaborazione delle istituzioni locali. Alcuni fra i progetti umanitari più
significativi hanno riguardato la prestazione di cure mediche a favore di bambini o
la realizzazione e ristrutturazione di scuole e strutture sanitarie.
Sull’etica del marketing quindi pesano vari fattori: alcuni individuali come l’etica
del singolo e lo stile di leadership, altri organizzativi come la cultura aziendale o la
visione e la missione, e altri ancora competitivi come la visibilità dell’impresa sul
mercato. Questi fattori, intrecciandosi, orientano le politiche di marketing ad un
comportamento etico nei confronti degli stakeholder. Tale orientamento poi trova
24
S. Sciarelli, Etica e responsabilità sociale nell’impresa, Giuffrè Editore, 2007
32
la sua maggiore espressione nelle politiche di prodotto e di promozione
commerciale.
33
società; un comportamento d’acquisto socialmente responsabile inoltre fa evitare ai
consumatori di acquistare prodotti di aziende che arrecano danno alla società. Un
interessante studio25 in tal senso è stato svolto nel 2011 da Mohr, Webb e Harris, il
cui scopo era comprendere se esistesse una correlazione tra CSR e comportamento
d’acquisto. Il primo risultato emerso è stato che i consumatori non adottano un
SRCB sin da subito, ma è il risultato di un processo graduale: si tratta quindi di un
comportamento contrapposto al paradigma classico di acquisto basato solo su
prezzo, qualità o convenienza, in quanto si lega maggiormente ad un’attività di
ricerca di informazioni più lenta e complessa, finalizzata a conoscere il grado di
responsabilità sociale di una specifica impresa. Questo comportamento di acquisto
inoltre è soggetto ad essere mutevole nel tempo e segue un andamento a stadi:
I risultati della ricerca mostrano che generalmente i soggetti che non assumono un
comportamento d’acquisto socialmente responsabile basano i loro criteri di scelta
sul prezzo o sulla qualità e ritengono che la CSR non influisca in misura rilevante
riguardo la loro soddisfazione. Tuttavia emerge anche che alcuni soggetti non
assumono un comportamento d’acquisto sostenibile solo per lo scarso livello di
informazioni in loro possesso o per la difficoltà di reperimento delle stesse. Molti
25
L. A. Mohr, D. J. Webb, K. E. Harris, Do Consumers Expect Companies to be Socially
Responsible? The Impact of Corporate Social Responsibility on Buying Behavior, Journal of
Consumer Affairs, 2001, Vol. 35, n.1
34
partecipanti alla ricerca hanno affermato che apprezzerebbero avere delle
informazioni sistematiche e periodiche riguardo le azioni socialmente responsabile
delle imprese. Invero esiste un segmento di consumatori, i mainteiners, che si
allontana dal modello tradizionale e non basa le sue decisioni sul self-interest: da
ciò si evince che esiste un segmento di mercato che considera il grado di
responsabilità sociale delle imprese nelle proprie decisioni di acquisto e
investimento; le aziende manifatturiere e i retailer hanno quindi l’opportunità di
azionare questo segmento di mercato, e nel fare ciò hanno anche la possibilità di
contribuire allo sviluppo sostenibile della società.
In questo contesto è evidente, soprattutto alla luce dei risultati della ricerca, che la
comunicazione di marketing ha il nuovo e ulteriore compito di fornire ai soggetti
disposti a mutare i loro comportamenti di acquisto, tutte le informazioni necessarie
affinché questi pervengano ad un giudizio di sostenibilità nei confronti dell’azienda.
Per le aziende è quindi un fattore critico sviluppare la fiducia nei consumatori e
intraprendere programmi di CSR strategica può essere di grande appeal per quelli
che compiono acquisti socialmente responsabili o che intendono compierli in
futuro.
35
utilizza la tecnologia stessa per aiutare sia le persone che l’ambiente. Una filosofia
i cui sforzi sono solo cresciuti con l’aumento delle entrate dell’azienda negli ultimi
anni.
26
G. Sehgal et al., Corporate Social Responsibility: A Case Study of Microsoft Corporation, Asia
Pacific Journal of Management and Education, 2021, Vol. 3, no. 1
36
• Esigenze dei Bambini; Microsoft ritiene che le intelligenze artificiali
possano dotare le ONG e le organizzazioni di strumenti migliori per
proteggere i bambini, una delle categorie più vulnerabili. Ad esempio,
utilizzando l’analisi predittiva e Bot Framework, è possibile prendere di
mira sia l’offerta che la domanda alla base del traffico di essere umani, una
delle più grandi industrie criminali del mondo, portando col tempo
all’interruzione di questa pratica.
• Rifugiati e Sfollati; le intelligenze artificiali e il machine learning hanno il
potenziale per migliorare la vita di circa 68 milioni di sfollati nel mondo, di
cui circa 28 milioni sono rifugiati. Tale tecnologia può aiutare ad
ottimizzare la fornitura di aiuti, servizi e forniture ai rifugiati e può
supportare gli sforzi delle ONG a comprendere e comunicare i bisogni di
queste persone. Microsoft collabora anche con alcune organizzazioni, tra
cui il Norwegian Refugee Council, NetHope e University College Dublin,
per sviluppare un chat bot che utilizzi tecnologie IA, come il riconoscimento
vocale, la comprensione della lingua e la traduzione automatica per aiutare
i giovani sfollati a connettersi con risorse educative gratuite e di qualità.
L’utilizzo di un chat bot come questo potrebbe anche fornire un modello per
gli operatori umanitari sul campo, aiutandoli a comunicare con gli sfollati
che parlano lingue diverse e che necessitano di servizi fondamentali
specifici.
• Diritti Umani; Microsoft collabora con le ONG e le organizzazioni
umanitarie per trovare nuove soluzioni che aiutino a monitorare, rilevare e
prevenire le violazioni ai diritti umani. Grazie al deep learning, infatti, ha
creato la capacità di prevedere, analizzare e rispondere meglio a situazioni
cruciali in questo campo. Utilizzando poi la traduzione vocale basata
sull’intelligenza artificiale, le persone possono connettersi con avvocati pro
bono, specializzati nella protezione di diritti umani.
37
2.5 CSR VERSO L’AMBIENTE
27
F. Perrini, C. Vurro, L’implementazione della CSR nei rapporti di filiera delle piccole e medie
imprese: un’analisi quantitativa del contesto italiano, Centro CReSV, Università Commerciale
Luigi Bocconi, 2009
28
P. Mazurkiewicz, Corporate Enviromental Responsibility: is a common CSR framework
possible?, DevCoom-SDO, World Bank, 2004
38
di responsabilità sociale trovano il loro incipit nella volontà delle organizzazioni di
autoregolarsi.
39
• Coinvolgimento dei dipendenti; per essere efficace una policy di
sostenibilità ambientale deve coinvolgere tutti i dipendenti
dell’organizzazione, e non soltanto quelli più strettamente coinvolti in ruoli
“inquinanti”. Le aziende devono predisporre varie attività, principalmente
di formazione, in modo che i dipendenti comprendano l’impatto delle loro
attività lavorative. Devono inoltre valorizzare una cultura organizzativa
improntata alla salvaguardia e alla sostenibilità dell’ambiente. Alcune
imprese sviluppano anche delle campagne di formazione volte a trasmettere
una cultura ambientalista al di fuori del contesto lavorativo, con il fine di
trasmettere ai dipendenti una vera e propria etica di ecologia. Oltre ad
attività di formazione, si possono poi predisporre sistemi di incentivazione
del personale che premino i dipendenti che si mostrano impegnati nella
sostenibilità ambientale.
• Produzione Green; per aumentare il proprio grado di sostenibilità
ambientale le aziende possono fornirsi di materie prime e prodotti più
ecologici e sostenibili. Aggregarsi in gruppi di acquisto “green” può fare in
modo che anche i fornitori si orientino verso la produzione e la fornitura di
materie più ecocompatibili. Oltre all’utilizzo di queste ultime, si deve avere
riguardo alla logistica in entrata e in uscita, con particolare riguardo alle
emissioni inquinanti prodotte dai mezzi trasporto usati nelle fasi di
approvvigionamento e distribuzione.
• Prodotti Green; di certo anche i prodotti possono essere progettati in modo
che siano più sostenibili dal punto di vista ambientale. Si deve avere
riguardo sia alle caratteristiche del prodotto che al packaging.
Particolarmente rilevante, in questo caso, è l’attenzione alla salubrità e alla
riciclabilità dei prodotti e delle confezioni.
Tutte queste possono contribuire al miglioramento del dialogo con gli stakeholder
e a creare alleanze strategiche improntate al rispetto dell’ambiente. La sostenibilità
green inoltre contribuisce a migliorare la reputazione complessiva dall’azienda, con
la diretta conseguenza che i consumatori siano più ben disposti verso le attività
40
dell’organizzazione. In conclusione, fare della CSR in tema di ambiente il proprio
punto di forza può diventare un fattore critico di vantaggio competitivo, che se non
altro può aiutare l’impresa ad essere “socialmente accettata”, soprattutto per quelle
aziende che immettono sul mercato prodotti vissuti come rischiosi o non ecologici
dai consumatori.
Uno dei passi più importanti è stato fatto nel 2010 quando LEGO ha adottato un
nuovo metodo, chiamato Design4Planet (D4P), per sostenere le proprie attività. Si
fonda sul Cradle to Cradle (C2C), un approccio innovativo e sostenibile volto alla
realizzazione di prodotti il cui scopo è creare un sistema sostenibile che sia
rispettoso della vita e delle generazioni future, e il Life Cycle Assessment (LCA),
un processo di valutazione sugli effetti che un prodotto ha sull’ambiente per il suo
intero ciclo di vita con il fine di aumentare l’efficienza dell’uso di risorse. Grazie a
questo l’azienda ha quindi iniziato a porre maggiore attenzione sulla progettazione
del prodotto, stabilendo nuovi standard e aprendo un dialogo trasparente con gli
stakeholder, poiché il processo di produzione e l’input utilizzato hanno un’effettiva
29
https://www.lego.com/it-it
41
influenza sull’ambiente. Il programma D4P è stato strutturato su 5 progetti, i quali
consentono continui aggiustamenti per tutta la durata del progetto stesso:
42
mantenere nel tempo, essi continuino a circolare minimizzando gli sprechi.
Al momento il progetto è attivo unicamente negli USA e in Canada, ma
l’azienda conta di espanderlo nei prossimi anni.
43
3. IL FENOMENO DEL GREENWASHING
Dagli anni ’80 infatti, parallelamente all’adozione di pratiche più responsabili dal
punto di vista ambientale, sociale ed economico, si è assistito ad una rapida
diffusione dei medesimi comportamenti con finalità puramente opportunistiche e
fraudolente. Questo fenomeno ha generato e tutt’ora genera molti effetti negativi
nei rapporti tra le imprese e nelle relazioni con i consumatori: questi ultimi, in virtù
di numerosi scandali legati al greenwashing e a comportamenti scorretti, hanno
iniziato a sviluppare un certo grado di scetticismo nei confronti della gestione
dell’attività di responsabilità d’impresa. Esso costituisce quindi un forte ostacolo al
raggiungimento dello sviluppo sostenibile.
Si possono far risalire le origini di questa strategia agli anni ’70, quando la tecnica
veniva utilizzata prevalentemente per nascondere o rimediare a veri e propri disastri
44
ambientali causati da organizzazioni che operavano senza riguardo per l’ambiente.
Nel 1972 Jerry Mander, ambientalista e opinionista, parlava di ecopornography
riferendosi appunto alle strategie di greenwashing messe in atto dalle compagnie
petrolifere, chimiche e automobilistiche: esse ingannavano il pubblico cercando di
migliorare la propria immagine ambientale attraverso campagne pubblicitarie poco
trasparenti e superficiali, perché non basate su metodologie e pratiche ecologiche
affidabili e certificabili. I danni provocati dalla proliferazione di aziende che
adottano una strategia greenwashed sono difficili da misurare e, come già detto,
rischiano di creare un mercato “non credibile”, compromettendo la fiducia
dell’intero settore. Nel 2009 circa l’80% delle persone ritiene che il messaggio
ambientalista, divulgato sia da imprese private che dal governo, sia falso.
45
3.2 CARATTERISTICHE DEL FENOMENO
Gli studi di letteratura finora condotti hanno classificato 2 diversi livelli di questa
strategia: a livello di impresa e a livello di prodotto. Al giorno d’oggi la significativa
pressione degli stakeholder verso maggiori livelli di responsabilità e trasparenza ha
portato all’adozione di pratiche di greenwashing a livello aziendale. Si tratta di una
comunicazione simbolica dell’impegno dell’impresa verso questioni sociali, che
tuttavia non si traduce in azioni effettive, per mantenere così un’impressione
positiva ma fuorviante delle reali prestazioni ambientali. Mentre, a livello di
prodotto, la comunicazione di carattere ambientale si riferisce a singoli prodotti o
servizi31. L’intento di questo ambientalismo “di facciata” è quello di sfruttare
l’interesse del consumatore per le tematiche green inserendo dei claims, spesso
vaghi e non supportati da evidenze scientifiche; nei casi più gravi, possono essere
del tutto falsi e mendaci, altre volte invece possono fornire informazioni
volutamente incompletamente, che possono essere in parte vere, ma comunque
vaghe e idonee ad ingannare il destinatario.
46
nell’attuare queste promesse di cambiamento, e l’attention deflection (deviazione
dell’attenzione), la quale consiste nell’adozione di pratiche ed indicatori di
sostenibilità che mostrano il proprio impatto positivo sull’ambiente per evitare di
svelare come il complesso delle proprie performance si presenti poco significativo
in termini di sostenibilità, se non addirittura poco etico.
32
TerraChoice, The Sins of Greenwashing – Home and Family Edition, 2010
47
• False Etichette; l’etichetta di un prodotto è realizzata in modo tale da dare
la falsa impressione che esista un certificato ecologico da terze parti
autorevoli.
• Irrilevanza; si enfatizzano caratteristiche ritenute green dall’azienda ma in
realtà ininfluenti per una scelta consapevole da parte dei consumatori. Ne è
un esempio la certificazione “CFC Free”, sostanze ormai vietate da anni per
legge e quindi non riconducibili a scelte di responsabilità ambientale del
consumatore.
• Scegliere il Male Minore; si tratta di affermazioni vere all’interno della
categoria di un determinato prodotto, ma che distolgono l’attenzione del
consumatore sulla grande insostenibilità della categoria nel suo complesso.
Sebbene le informazioni riportate sul prodotto non siano false, non
risolvono l’impatto ambientale provocato dalla categoria merceologica; il
tabacco biologico potrebbe essere un buon esempio per questo “peccato”,
così come i veicoli a basso consumo di carburante).
• Mentire; ovvero utilizzare immagini o parole per affermazioni pubblicitarie
che sono semplicemente false.
Abbiamo visto come la percezione pubblica relativa agli sforzi delle imprese che
operano in modo sostenibile e responsabile è fonte di vantaggio competitivo. Le
imprese non sono comunque obbligate per legge ad intraprendere programmi di
responsabilità sociale, ed è proprio questo carattere volontario che incentiva alcune
di loro a non impegnarsi seriamente in questi progetti. Alcune realtà preferiscono
semplicemente dare l’impressione di essere responsabili, poiché risulta più facile,
più economico e all’inizio sembra portare gli stessi benefici di un vero impegno. Le
motivazioni che guidano e influenzano le imprese a comunicare positivamente le
loro scarse prestazioni ambientali, sono molte e diverse tra loro. Uno studio
condotto da Delmas e Burbano nel 2011 esamina, per l’appunto, i principali driver
del greenwashing, identificando 3 livelli che influenzano tale fenomeno,
48
identificandoli come esterno, organizzativo e individuale. Le autrici inoltre
distinguono i driver esterni tra quelle pressioni che dipendono sia da attori non di
mercato (regolatori e ONG) sia da attori di mercato (consumatori, investitori e
concorrenti).
33
M. A. Delmas, V. C. Burbano, The Drivers of Greenwashing, California Management Review,
2011
49
vaghi. Questo porta ad una forte incertezza del contesto normativo, dando
maggiore possibilità alle imprese di adottare pratiche ingannevoli.
• Driver Esterno, Attore non di Mercato – Media, ONG e Pressioni di
Attivisti; negli ultimi anni i media, le ONG e gli attivisti sono diventati
sempre più attenti e in grado di svelare le varie forme di greenwashing.
L’enorme impatto mediatico che ciò ha provocato ha suscitato gravi
conseguenze sull’impresa coinvolta, sia a livello reputazionale, sia a livello
economico e legale. In questo contesto giocano un ruolo importante i social
media, perché sono coerenti e rapidi nel comprendere l’indebita attribuzione
di caratteristiche o attività ecologiche. Questi strumenti di comunicazione
sono diventati anche un potente strumento di prevenzione, perché
scoraggiano le imprese a diffondere campagne ingannevoli e d’altra parte le
incentivano ad intraprendere una responsabilità sociale più autentica.
• Driver Esterno, Attore Interno al Mercato – Il Ruolo dei Consumatori,
dei Concorrenti e degli Investitori; una comunicazione positiva sulle
proprie prestazioni ambientali è vista come un fattore di successo da
consumatori, concorrenti ed investitori. Queste pressioni possono
influenzare positivamente anche pratiche di green marketing davvero
sostenibili e con nobili intenzioni. Tuttavia, maggiore sarà la pressione
esercitata da questi attori, maggiore sarà la propensione delle imprese ad
adottare pratiche sostenibili senza compiere sforzi, ma al solo scopo di
raggiungere un successo di breve termine per soddisfare così le aspettative
e le pressioni del pubblico.
• Driver Organizzativo – Caratteristiche dell’Impresa; la dimensione
dell’impresa, il settore in cui opera, le sue risorse e competenze influenzano
la strategia che essa può mettere in atto e la sua propensione o meno verso
pratiche di greenwashing. Sono maggiormente incentivate ad intraprendere
pratiche di comunicazione ingannevole sia le imprese che hanno maggiori
dimensioni e con più stakeholder, sia quelle che operano in un settore nel
quale vi è una maggiore attenzione verso le questioni ambientali. Anche le
imprese che si rivolgono al mercato di consumo sono più soggette al
50
greenwashing, viste le maggiori pressioni esercitate da consumatori, social
media e ONG. Tuttavia se un’imprese è potente, di grandi dimensioni e
dispone di elevate capacità economiche riuscirà comunque a resistere agli
shock generati dai media, ONG e attivisti, rispetto ad un’impresa di piccole
dimensioni.
• Driver Organizzativo – Clima Etico e Struttura degli Incentivi; un clima
etico, ovvero l’insieme di comportamenti, percezioni e sentimenti condivisi
tra i membri di una società, svolge un ruolo importante nel processo
decisionale. All’interno dell’impresa questo si traduce nella soddisfazione
del personale, degli interessi degli stakeholder e nel desiderio di garantire
un benessere generale conforme ai codici etici interni e agli standard esterni.
Al contrario quando prevale l’aspetto egoistico, ovvero i dirigenti mirano a
perseguire i propri interessi, spesso si determinano comportamenti non etici.
D’altra parte risulta che gli incentivi che premiano prestazioni tempestive e
puntuali contribuiscono all’adozione di comportamenti più etici. Di
conseguenza in un ambiente con i giusti incentivi e in un clima etico è meno
probabile che si verifichino comportamenti ingannevoli, come il
greenwashing.
• Driver Organizzativo – Inerzia Organizzativa; si tratta di un elemento
che ostacola i cambiamenti della strategia d’impresa e caratterizza
soprattutto le imprese di grandi dimensioni. L’inerzia determina un ritardo
delle modifiche dei processi e delle strutture organizzative, in risposta alla
decisione del vertice dell’impresa di seguire pratiche più verdi.
• Driver Organizzativo – Efficacia della Comunicazione Interna; la
comunicazione e la circolazione di informazioni all’interno di un’impresa è
fondamentale per determinare una migliore capacità innovativa, una
maggiore coerenza tra i vari processi e il successo di una comunicazione
verde. Per esempio, se il reparto dello sviluppo di un prodotto non
informasse efficacemente il reparto marketing e comunicazione sulle
caratteristiche dello stesso, quest’ultimo reparto potrebbe sottovalutare il
livello di ecologizzazione del prodotto, con conseguente possibilità di
51
greenwashing. Al contrario, in un ambiente etico che presente i giusti
incentivi è più probabile che la comunicazione interna sia più efficace.
• Driver Individuale – Quadro Decisionale Ristretto; questo driver si
riferisce alla tendenza dei dirigenti di un’impresa a prendere decisioni in
modo isolato, pensando ad un orizzonte di breve periodo, senza apportare i
giusti adeguamenti sul lungo periodo. Nello specifico il fenomeno del
greenwashing si verifica quando l’impresa comunica la sostenibilità di un
prodotto, senza considerare in maniera adeguata la sua implementazione
futura.
• Driver Individuale – Sconto Intertemporale Iperbolico; alcuni studi
dimostrano che la funzione di sconto è iperbolica, ovvero è caratterizzata da
un tasso di sconto relativamente alto (impaziente) su orizzonti brevi e da un
tasso di sconto relativamente basso (paziente) su orizzonti lunghi. Questa
funzione è stata dimostrata anche nelle decisioni di consumo e di risparmio,
nelle quali ad esempio i consumatori iperbolici mostrano un divario tra i
loro obiettivi di lungo termine e il loro comportamento di breve termine.
Questa situazione si verifica anche nell’ambito del green marketing, nella
quale i dirigenti e manager dell’impresa comunicano la loro responsabilità
ambientale e le attività perché sono impazienti e vogliono ottenere benefici
immediati nel breve periodo, senza tuttavia sostenere i costi associati a tali
impegni, nel lungo periodo.
• Driver Individuale – Pregiudizi Ottimistici; si tratta della tendenza a
sopravvalutare gli eventi positivi e sottostimare gli eventi negativi passati.
Questi pregiudizi possono assumere 3 diverse forme: autovalutazione
irrealisticamente positiva, ottimismo irrealistico e piani futuri e illusione di
controllo. È stato dimostrato che l’aspettativa di successo media è del 80%,
mentre la reale probabilità di successo si attesta al 59%. Inoltre i dirigenti e
manager tendono a sopravvalutare la probabilità dei risultati positivi del
greenwashing, come l’acquisizione di quote di mercato verde e maggiori
investimenti in capitali dagli investitori SRI, ma d’altra parte tendono a
sottovalutare la probabilità che si verifichino eventi negativi, come
52
l’attenzione dei consumatori, media e ONG e l’impatto mediatico che ciò
può suscitare in caso di segnalazioni che riguardino le loro imprese.
53
bisogni, aspettative, aspirazioni, percezioni degli stakeholder, utili per
decidere quale strategia di comunicazione attuare.
• Attività di Comunicazione Strategica; in questa fase vengono definiti
elementi quali la corporate vision, la corporate culture e la corporate
strategy, i quali vengono poi tradotti in un set di risorse di corporate identity
(keywords e elementi simbolici, canali di comunicazione, guidelines…).
• Attività Operativa di Comunicazione; consiste infine in scelte di impiego
di risorse di comunicazione per la costruzione dei messaggi da veicolare e
per la selezione del mix di canali nei piani comunicativi annuali. Tali
decisioni comportano scelte di utilizzo di risorse di corporate identity
nell’ambito dell’organizzazione e delle restanti risorse di comunicazione
occorrenti, acquistabili attraverso transazioni di mercato (es. acquisti di
spazi pubblicitari sui media). Inoltre al management che si occupa dello
sviluppo spetta il compito di instaurare e mantenere relazioni simmetriche
con gli stakeholder e stimolare la loro partecipazione, in particolare nei
social media, per indurre la produzione di contenuti multimediali generati
in rete.
54
effetti negativi per l’impresa e i suoi prodotti, anche in virtù della distanza tra
identità percepita e identità desiderata. Le accuse di greenwashing relative a tale
attività possono originarsi anche nel momento in cui il commitment dell’impresa
nei confronti delle tematiche di sostenibilità sia visto come un insieme di impegni
assunti nel breve periodo: in questo caso la posizione dell’impresa può essere
ritenuta prevalentemente opportunistica, tesa a capitalizzare i potenziali vantaggi di
un’immagine green (sfruttare opportunità di mercato, evitare determinate
critiche...).
55
essere giudicati in maniera errata dalla funzione marketing-comunicazione,
provocando una sopravvalutazione degli aspetti di sostenibilità.
56
strettamente legati ai messaggi di comunicazione company-controlled (report di
sostenibilità, messaggi pubblicitari, dichiarazioni dei top management…) vale a
dire alla comunicazione pianificata dell’impresa. L’utilizzo di fonti terze
indipendenti di comunicazione (e di certificazione) invece può rivelarsi utile per
accrescere sia l’accuratezza sia la credibilità della comunicazione per la
sostenibilità. Lo stesso effetto favorevole si può avere anche stimolando il
passaparola positivo dei consumatori sui social media.
34
Codice Civile, art. 2598 c.c. 3 comma
57
informazione non verificabile sul contenuto di materiale riciclato del prodotto, la
quale
inibisce, con effetto immediato, in via diretta e indiretta, la diffusione dei messaggi
pubblicitari ingannevoli […], sia nella versione in italiano che in inglese, in qualsiasi
forma ed in qualsiasi contesto e sito, a mezzo internet su qualunque sito e social
media, reti televisive, quotidiani e stampa, riviste, messaggi promozionali televisivi,
volantini e in ogni caso veicolati con qualsiasi canale di comunicazione, online e
offline, ordinandosi l’immediata rimozione da ogni possibile contesto dei predetti
messaggi pubblicitari35.
La decisione è particolarmente degna di nota perché si tratta della prima volta che
un tribunale civile ordinario in Italia ordina esplicitamente ad un’impresa di cessare
di fare green claim su richiesta di un loro competitor, discutendo in particolare dei
vantaggi competitivi ottenibili dal greenwashing data l’accresciuta sensibilità
odierna sulle questioni ambientali e commentando come le virtù ecologiche
rivendicate da un’azienda possano influenzare le scelte di acquisto del consumatore
medio. In precedenza in Italia le decisioni in materia di greenwashing sono sempre
state emesse dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) e
dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), le quali però portavano solo
all’irrogazione di sanzioni e sempre su incitazione di associazioni di consumatori.
Infatti il primo caso di greenwashing in territorio italiano è stato contro ENI S.p.a.
e condotto dall’AGCM, che ha imposto la massima sanzione possibile di 5 milioni
di euro per aver utilizzato messaggi pubblicitari per aver utilizzato messaggi
pubblicitari ingannevoli nella sua campagna di promozione del carburante Eni
Diesel+. La decisione dell’AGCM è stata poi impugnata dall’azienda davanti al
TAR del Lazio, il quale ha confermato la natura ingannevole di quelle dichiarazioni
ambientali, e di conseguenza la sanzione stessa, nel novembre 2021. La sentenza di
35
Ordinanza N. R.G. 2021/721, Tribunale Ordinario di Gorizia, 2021, p. 8.
58
Gorizia potrebbe quindi segnalare l’estensione dei casi di greenwashing oltre
l’ambito delle indagini a tutela dei consumatori, diventando un campo di battaglia
tra imprese concorrenti. Ciò potrebbe rivelarsi particolarmente allettante per le
imprese che possono dimostrare di aver perso quote di mercato a causa del
greenwashing dei concorrenti, dato che la direttiva prevede che in tali casi possano
anche essere concessi i danni.
Poiché la decisione della Corte italiana si basa sulla Direttiva sulle Pratiche
Commerciali 2005/29/CE, il caso potrebbe avere potenziali implicazioni
transazionali per le società in altre giurisdizioni europee che applicano tale direttiva:
infatti la motivazione alla base della decisione segue gli orientamenti interpretativi
forniti dalla Commissione Europea nelle sue linee guida pubblicate nel 2016, le
quali applicano specificatamente i principi degli articoli 6, 7 e 12 sui claim
ambientali. Tuttavia è anche possibile che, in assenza di disposizioni sanzionatorie
di pratiche commerciali scorrette e di un parallelismo dei casi, la sentenza di Gorizia
potrebbe avere implicazioni meno dirette per i paesi esterni all’Unione Europea.
59
CONCLUSIONI
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di mettere in luce le ragioni che portano
le imprese a mettere in piedi un sistema, più o meno complesso, di responsabilità
sociale e le modalità attraverso le quali è possibile farlo. L’approccio alla CSR è
mutato notevolmente dagli anni ’60 ad oggi: molte organizzazioni si rendono conto
che per poter legittimare il loro operato nel mercato non è più sufficiente assicurare
un ritorno solo in termini di performance. Si richiede loro di assumere un
comportamento non speculativo e rispettoso delle ragioni della società. Tutte le
imprese, nell’interfacciarsi con i loro interlocutori, assumono dei comportamenti
che portano gli stakeholder a formulare un giudizio di valore. Per un’impresa
sarebbe pericoloso ritenere che le proprie azioni non abbiano un impatto sulla
propria reputazione.
Un’altra criticità risiede nella difficoltà della misurazione dei risultati. Il ritorno
tipicamente generato dalle politiche di CSR è di tipo reputazionale e quindi
intangibile; inoltre una buona reputazione aziendale è qualcosa che richiede uno
60
sforzo economico i cui risultati si producono sul lungo termine. Da questa relazione
fra difficoltà di misurazione degli intangibles e manifestazione lontana nel tempo
dei risultati, occorre che si indaghi ulteriormente poiché è ovviamente necessario
progettare le strategie di CSR in modo che siano compatibili con la complessiva
struttura dei costi. Eppure gli asset intangibili, in molti casi, costituiscono il
principale elemento che crea valore. La responsabilità sociale d’impresa non è
unicamente un costo, ma un complesso di attività e iniziative che, se
opportunatamente progettate, il valore lo generano. La Corporate Social
Responsability è anche utile a trasmettere un certo senso di sicurezza con
riferimento a prodotti o processi vissuti come pericolosi per la società o l’ambiente.
61
della loro reputazione su altri driver. Le imprese che invece adottano un
comportamento sostenibile e responsabile avranno cura di adeguare la CSR al loro
business. Le politiche di Corporate Social Responsibility di successo quindi
saranno quelle coerenti con la strategia, con le aspettative degli stakeholder e quelle
che produrranno un tangibile beneficio per la collettività e l’impresa.
62
BIBLIOGRAFIA
63
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delle piccole e medie impresa: un’analisi quantitativa del contesto italiano,
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sull’impatto ambientale, condannata un’azienda, La Repubblica 2021
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