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7. La DGR n. 439 del 27/10/2015 e le linee guida della Regione Calabria in ambito
di redazione del Bilancio sociale pag. 29
Bibliografia pag. 38
Allegati pag. 39
1. La rendicontazione sociale: strumenti e loro rilevanza nell'ambito
delle pubbliche amministrazioni. La teoria degli stakeholder
Per comprendere il concetto di rendicontazione sociale e la sua evoluzione, occorre
partire dai tempi in cui, per la prima volta, fu formalmente espresso un concetto di
applicazione dell’etica all’economia. Già nel 1000 d.C. in Persia, veniva promulgato,
ad opera del principe Kay Kàuis Ibn Iskandar il “Libro dei consigli” che testualmente
recitava «Fa dell’onestà il tuo costume, guardandoti dall’avarizia, pur nel rispetto di
una sana economia. [...] Non cercare di ingannare donne o bambini nei tuoi commerci
e non richiedere prezzi esorbitanti ai forestieri. [...] Non comportarti in maniera
disonesta con i tuoi soci e, qualunque sia il ramo della tua professione, non commettere
nulla di scorretto e di illecito. [...] L’artigiano che applica i miei dettami sarà il più
nobile della sua arte; ogni mestiere, infatti, secondo le sue differenti caratteristiche,
ha un codice di comportamento onorevole».
. 1 La CSR è stata definita dalla Commissione Europea, nel Libro Verde “Promuovere un quadro europeo
della responsabilità sociale delle imprese
”come “l’integrazione su base volontaria delle preoccupazioni
sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti
interessate”
2 Milton Friedman, propugnatore di tale teoria, scrisse al proposito: “Vi è una sola responsabilità sociale
dell’impresa: aumentare i suoi profitti... Il vero dovere sociale dell’impresa è ottenere i più elevati profitti –
ovviamente in un mercato aperto, corretto e competitivo – producendo così ricchezza e lavoro per tutti nel
modo più efficiente possibile”
azionisti avrebbero potuto ritirare il proprio appoggio. Il solo incontro perfetto tra
domanda e offerta avrebbe dovuto assicurare il funzionamento del mercato.
La teoria degli shareholder dimostrò, così, tutti i suoi limiti alla fine degli anni Ottanta
e negli anni Novanta, allorché il mercato si rivelò inadeguato ad affrontare i problemi
sorti nella relazione tra le aziende e la società.
L’attenzione verso i portatori di
interessi, istituzionali e non, e verso l’ambiente divenne allora una leva strategica
importante, fondamentale per rispondere a una nuova e critica acquisizione di
consapevolezza da parte dei consumatori e della società in generale. In quell’ottica si
venne a delineare la cosiddetta “etica della responsabilità”, passando dall’attenzione
agli shareholder a quella agli stakeholder3 . A questo mutamento di prospettiva si
aggiunsero, infine, le critiche alla globalizzazione, che spinsero le grandi aziende a
introdurre dei correttivi sociali al loro operato, avviando nuovi e impegnativi
programmi di responsabilità sociale d’impresa.
Per la prima volta le imprese vennero
chiamate in causa non come fattore negativo, ma come soggetto attivo senza il quale
non è possibile alcuna politica di sostenibilità di lungo periodo. Si aggiunga, infine,
che la spinta alle imprese a investire in asset immateriali, quali la reputazione e l’etica
negli affari, deriva anche da un mutato atteggiamento del consumatore finale, sempre
più attento al modus operandi delle aziende produttrici.
Tra impresa e società esiste un legame di reciprocità: l’impresa è inserita nel contesto
economico e sociale in cui opera e da esso è condizionata, ma allo stesso tempo ogni
organizzazione influenza la società di riferimento, agendo da “institution
building”.
La diffusione e la condivisione di questo legame fanno nascere, in capo
alle imprese, delle responsabilità sociali, poiché ogni azione legata alla vita aziendale
ha delle ripercussioni sulla vita dei soggetti che con essa interagiscono e, in generale,
sulla società. In quest’ottica, quindi, si può parlare del ruolo sociale dell’impresa,
intendendo, con ciò, la funzione di creazione di valore non solo prettamente economico
poiché i bisogni dell’uomo, che essa si prefigge di soddisfare, travalicano tale aspetto.
Ciò detto, risulta chiaro che il concetto di responsabilità sociale d’impresa coinvolge i
clienti e i lavoratori, riguarda i valori e lo stile manageriale, concerne la strategia, le
prassi e le modalità di governance e, infine, influenza i risultati.
3 L’iter ideologico nei confronti degli interlocutori sociali è molto significativo: dal concetto di interlocutori
“condizionati” dall’azienda tipica degli anni ’60 (si vedano, per esempio, E. Rhenman, L. Ahidstedt, I.
Johnukainen) fino a un lento, ma costante aumento di potere di contrattazione e di diritti di influenza tipi- co
degli attuali rapporti con l’impresa (J.K.Thompson, 1991; C.W. Hill, T.M. Jones, 1992; S.N. Brenner, 1993;
A.C. Wicks, 1994).
- vincolo alle finalità d’impresa, nel senso che è necessario un contemperamento dei
molteplici interessi dei diversi stakeholder;
- modus operandi, nel momento in cui la responsabilità diventa parte integrante della
cultura aziendale;
A fronte di ciò, sono nate nuove esigenze di comunicazione non più limitate alla
rendicontazione dei fenomeni meramente economici della vita aziendale, alimentando,
inoltre, relazioni stabili con tutti gli interlocutori di riferimento (Stakeholders
Relationship). In altri termini, la rendicontazione sociale nasce dall’esigenza di
superamento di quella classica, passando da una logica One Bottom Line a quella Triple
Bottom Line.
Chiarito il percorso evolutivo delle imprese, è importante notare come anche per le
amministrazioni pubbliche, e in particolare per gli enti locali, si ponga oggi il problema
di trovare il modo più efficace per ricercare il necessario consenso e la legittimazione
sociale intorno alla propria attività.
Posta l’esistenza di valide motivazioni che stanno spingendo gli enti locali allo
sviluppo di esperienze di rendicontazione sociale, è comunque opportuno riflettere su
alcuni aspetti critici inerenti l’applicabilità della teoria degli stakeholder in questo
contesto.
Quello di “stakeholder” è un concetto “nuovo” per gli enti locali e le PA, ma risponde
all’esigenza “antica” di perseguire l’interesse generale della comunità, attraverso il
contemperamento degli interessi “particolari” dei gruppi di soggetti che la
costituiscono4.
Esso può consentire di andare oltre la visione semplificatrice che considera i cittadini
quale unico punto di riferimento generale dell’azione pubblica anche in virtù del
mandato di governo che essi attribuiscono. Tale approccio:
. non considera che tra gli stessi cittadini possono coesistere interessi
notevolmente divergenti in funzione delle condizioni sociali, economiche,
anagrafiche, o della residenza in quartieri o zone diverse del medesimo territorio;
4 Si veda, in merito, Borgonovi, il quale considera la teoria degli stakeholder applicata alle amministrazioni
pubbliche come un “ritorno alle origini”, la “riscoperta della propria natura” e l’”eliminazione delle
incrostazioni di un inadeguato esercizio delle funzioni politiche e di amministrazione pubblica”.
Borgonovi.,
cit., p. 201.
. non considera gli stakeholder interni, tra i soggetti di cui “tenere conto” nelle
decisioni di governo dell’ente e della comunità amministrata.
La teoria degli stakeholder può rivelarsi utile ed efficace per gli enti locali nel momento
in cui permette di passare da una concezione di responsabilità pubblica orientata ai soli
“cittadini” ad una più estesa, orientata alla “comunità locale”.
In questo senso la
“comunità locale” può essere intesa come l’espressione dinamica dei soggetti che
interagiscono in un determinato ambiente storico, naturale, sociale ed economico e la
responsabilità sociale dell’azienda composta pubblica locale consiste nel rappresentare
la propria comunità, curarne gli interessi e promuoverne lo sviluppo.
Ciò significa
prestare un’attenzione costante verso uno sviluppo equilibrato, interpretando il “bene
comune”, l’interesse generale, sapendo gestire le differenze assegnando una scala di
priorità dei bisogni da soddisfare coerente con le aspettative che da essa provengono.
Da qui la necessità di mappare e segmentare le categorie di stakeholder in cui si articola
la comunità locale, chiarendo la natura delle relazioni che l’ente intrattiene con esse.
Ad ogni modo, la composizione degli stakeholder di un ente pubblico territoriale si
rivela, generalmente, assai più ampia e articolata rispetto a quella di un’impresa, e
risulta più difficile formulare ed attuare scelte politiche in grado di “massimizzare il
valore” per tutti gli stakeholder, senza generare “conflitti di interessi”.
2. Il bilancio sociale quale strumento di rendicontazione sociale. La
teoria degli stakeholder applicata agli enti pubblici
La Presidenza del Consiglio dei Ministri/Dipartimento per la Funzione Pubblica, con
la Direttiva del 17 febbraio 2006, pubblicata in G.U. 16 marzo 2006, n. 63, sulla
“rendicontazione sociale nelle amministrazioni pubbliche” ha esteso formalmente e
rafforzato il concetto di rendicontazione sociale anche agli enti pubblici
evidenziandone l’importanza all’interno della premessa del documento secondo il
quale “nel quadro degli indirizzi di modernizzazione delle amministrazioni pubbliche,
particolare rilevanza assume ormai da anni l’adozione di iniziative e strumenti di
trasparenza, relazione, comunicazione ed informazione volti a costruire un rapporto
aperto e proficuo con cittadini ed utenti. Molte disposizioni, dalla legge 7.8.1990, n.
241, alla legge 7.6.2000, n. 150, si ispirano a questo concetto ed hanno introdotto
istituti giuridici, principi operativi e strutture organizzative a questo scopo. Tra le
iniziative che le amministrazioni, proprio in questa logica, hanno iniziato ad adottare
e che si stanno sempre più diffondendo, quella dell’utilizzo di tecniche di
rendicontazione sociale ha particolare rilevanza e specifiche potenzialità.
Sinora la realizzazione del bilancio sociale nelle amministrazioni pubbliche è stato più
l’esito di sperimentazioni realizzate singolarmente dai singoli enti che il risultato di
una politica nazionale. D’altronde si tratta di uno strumento volontario che ciascuna
amministrazione può adottare nell’ambito della propria autonomia statutaria e
organizzativa. Tuttavia, data la sua sempre più ampia diffusione, occorre fornire
riferimenti e principi generali cui le amministrazioni che intendono adottarlo possano
ispirarsi”.
Nell’ambito del suo ruolo di indirizzo, poi, l’Osservatorio per la finanza e la contabilità
degli enti locali del Ministero dell’Interno ha approvato le Linee guida per la
rendicontazione sociale negli enti locali. Il documento nasce da un accurato lavoro di
studio, discussione e stesura, che ha avuto inizio in seno all’Osservatorio nei primi
mesi del 2006, attraverso la costituzione di un sotto-gruppo composto da studiosi e
professionisti che si interessano da anni di rendicontazione sociale negli enti locali, i
quali hanno formulato una proposta che è stata successivamente integrata dalla sezione
Ordinamento contabile e finanziario ed infine approvata dall’Osservatorio, nella sua
stesura definitiva, in seduta plenaria.
La concezione del bilancio sociale proposta dalle Linee guida è quella di “documento”
di accountability esterna, che rende conto delle scelte, delle attività, dei risultati e
dell’impiego di risorse, ed “esito del processo” di rendicontazione, volto a favorire
meccanismi di controllo sociale ed alimentare il processo di programmazione
annuale.5 La struttura del bilancio sociale proposta dalle Linee guida si articola in 5
5
Il quadro di riferimento che è stato posto alla base dell’elaborazione delle Linee guida è rappresento dalle
disposizioni del Tuel (D. Lgs. 267/00), dai Postulati e dei principi contabili applicati degli enti locali e della
Direttiva del Ministro del Dipartimento della Funzione pubblica sulla Rendicontazione sociale nelle
amministrazioni pubbliche (direttiva 17/02/06, G.U. n. 63 del 16/03/06). Esse hanno inoltre tenuto conto della
Comunicazione della Commissione europea sulla “Responsabilità sociale delle imprese: un contributo delle
imprese allo sviluppo sostenibile (del 02/07/2002, COM (2002) 347 def., Punto 7.7 – Amministrazioni
pubbliche), dello standard della Rendicontazione sociale nel settore pubblico formulato dal Gruppo di studio
per il Bilancio Sociale (GBS), dello standard di rendicontazione proposto dalla Global Reporting Initiative
(GRI) per il settore pubblico (Sector supplement for public agencies) e dello standard AA1000 e gli altri
documenti elaborati da The Institute of Social and Ethical Accountability (ISEA).
sezioni: a) presentazione del documento e nota metodologica; b) identità dell’ente
locale; c) servizi erogati; d) risorse economico-finanziarie e dotazione patrimoniale; e)
asseverazione del bilancio sociale. Nell’ambito delle medesime è interessante notare la
richiesta di fornire una rendicontazione sociale riferita all’intero gruppo pubblico che
collabora con l’ente nel soddisfacimento dei bisogni. Inoltre, viene più volte
sottolineato il collegamento che deve esistere tra la rendicontazione e i documenti del
sistema di bilancio dell’ente, al fine di limitare l’autoreferenzialità dei bilanci sociali
prodotti; nonché la previsione di inserire nella rendicontazione degli indicatori di tipo
contabile ed extra-contabile che esprimano le dimensioni di +ò
In base a quanto esposto ed ai dettami tanto della Direttiva del Dipartimento della
funzione Pubblica quanto delle linee guida dell’Osservatorio per la finanza e la
contabilità degli enti locali del Ministero dell’Interno, il Bilancio Sociale rappresenta
una delle modalità con cui l’Amministrazione si apre all’esterno. È la concreta
attuazione della rendicontazione in modo leggibile e trasparente delle priorità, degli
interventi programmati e dei risultati conseguiti.
Tramite la redazione del bilancio sociale è possibile perseguire obiettivi sia interni di
analisi sia esterni di comunicazione e partecipazione. Più specificatamente, esso
dovrebbe:
Questo processo porta a considerare gli stakeholder secondo tre differenti aspetti:
o destinatari;
o base di rendicontazione, nel senso che a ogni categoria di portatore di
interesse corrisponderanno una o più aree tematiche su cui esprimere una
valutazione;
o attore da coinvolgere nel processo, elaborando opportuni strumenti di
partecipazione e coinvolgimento nella fase di studio e di elaborazione dello
strumento.
Il bilancio sociale, pertanto, non va inteso come un semplice documento, bensì come
il risultato di un processo che, come accade per i sistemi di programmazione e controllo
e i sistemi di gestione del personale, ha il compito di guidare l’organizzazione
supportando i propri membri nella realizzazione degli obiettivi e delle finalità
istituzionali. In particolare, la rendicontazione sociale può essere configurata come un
sistema operativo finalizzato a supportare un’organizzazione (e in particolare chi la
governa) nelle relazioni con i propri stakeholder6.
La definizione del processo di rendicontazione sociale negli enti locali dovrebbe perciò
focalizzarsi su alcuni aspetti essenziali:
6
. Ciò, per gli enti locali, significa che:
▪ il bilancio sociale è utile ed efficace nel momento in cui viene effettivamente utilizzato per
supportare le relazioni tra l’ente e i propri stakeholder;
▪ un buon documento da solo non basta per raggiungere la finalità di cui al punto precedente. Occorre
porre enfasi sul processo di coinvolgimento e sulla condivisione dello strumento e delle regole
del dialogo da parte di tutti gli attori coinvolti.
. valutazione dei risultati correlata agli obiettivi definiti nelle politiche e condivisa
con gli stakeholder;
. verifica della correttezza dei processi di attuazione, nel rispetto dei principi di
equità e trasparenza;
7 Tali esigenze sono richiamate anche dai Principi contabili dell’Osservatorio sulla Finanza e la contabilità
degli enti locali. Il Principio contabile n. 1, Programmazione e previsione nel sistema di bilancio, al Punto 24
afferma che “nella costruzione, formulazione e approvazione dei
programmi [della Relazione Previsionale
e Programmatica] si svolge l’attività di definizione delle scelte “politiche” che è propria del massimo organo
elettivo preposto all’indirizzo e al controllo. Si devono esprimere con chiarezza le decisioni politiche che
caratterizzano l’ente e l’impatto economico, finanziario e sociale che avranno”. È perciò evidente che:
- è necessaria fin da principio una chiara e corretta definizione delle politiche, esplicitando gli impatti
economici, finanziari e sociali attesi;
- in ogni caso la responsabilità finale circa l’assunzione delle scelte “politiche” rimane in capo all’ente
locale, e in particolare al Consiglio “in quanto massimo organo elettivo preposto all’indirizzo e al controllo”.
Pertanto la partecipazione degli stakeholder non comporta una sostituzione nei ruoli e nelle responsabilità del
Consiglio.
Per rispondere pienamente alle finalità di accountability, il bilancio sociale dovrebbe
affiancare, alla rendicontazione dei risultati in rapporto agli obiettivi, quella dei
comportamenti in rapporto ai valori di riferimento. La correttezza dei processi di
attuazione delle politiche chiama in causa principi quali l’equità e la trasparenza, i quali
incidono significativamente su questioni quali l’accessibilità ai servizi, la legittimità
dei procedimenti, la tutela dei diritti di tutte le parti interessate, la chiarezza delle
modalità di partecipazione e di inclusione di tutti gli attori potenzialmente interessati,
la trasparenza delle regole interne di funzionamento, ecc.
L’individuazione degli stakeholder per gli enti locali si rivela tuttavia complessa,
sostanzialmente per due ordini di motivi:
Il livello decisionale
Il carattere notevolmente diversificato delle politiche e dei servizi che gli enti locali si
trovano a governare e gestire, suggerisce di scendere dal livello di mission per
considerare categorie di stakeholder più specifiche legate all’attuazione delle singole
politiche.
Una volta definito il livello decisionale al quale coinvolgere gli stakeholder, occorre
individuare nel concreto le categorie di soggetti effettivamente interessate in ciascun
ambito oggetto di rendicontazione.
A tal fine è possibile utilizzare una matrice che incroci da un lato il livello di interesse
al coinvolgimento e dall’altro lato l’effettiva capacità di influenza che gli stakeholder
possono esercitare sull’ente.
- la dimensione, ossia il numero dei soggetti che fan parte della categoria
individuata;
8Un esempio significativo di coinvolgimento degli stakeholder a tale livello è previsto anche a livello
normativo all’art. 9 della L. 241/90.
mettere a disposizione per l’attuazione degli obiettivi definiti nell’ambito delle
politiche o dei servizi oggetto di indagine;
- appare innanzitutto evidente che non è possibile trascurare quelle categorie che, oltre
ad avere un elevato interesse alla politica o all’area strategica di riferimento, hanno
un’elevata capacità di influire sulle decisioni adottate dall’ente, grazie alla possibilità
di disporre di alcune delle leve di influenza (c.d. stakeholder “essenziali”). Tali
categorie di stakeholder, peraltro, risultano spesso facilmente individuabili proprio
perché è già riconosciuto il loro ruolo di interlocutori di riferimento;
- è, tuttavia, opportuno coinvolgere anche quelle categorie di stakeholder che, pur non
avendo un interesse immediato sulla politica in questione, possono esercitare un ruolo
significativo ai fini della realizzazione delle finalità strategiche (c.d. stakeholder
“appetibili”), grazie alla disponibilità di leve di influenza rilevanti, sia nei confronti
dell’ente, sia nei confronti di altre categorie di stakeholder. Nei confronti di tali
categorie è opportuno sviluppare relazioni positive al fine di stimolare il loro interesse
al coinvolgimento;
- è, infine, doveroso ascoltare la voce di quelle categorie che, pur avendo un elevato
interesse al coinvolgimento, non hanno i mezzi per “farsi sentire” (c.d. stakeholder
“deboli”). Si tratta di categorie di soggetti che spesso non hanno gli strumenti per poter
esprimere in modo organico ed aggregato i propri interessi, oppure di gruppi minoritari.
Tuttavia in questa tipologia rientrano spesso le “fasce deboli” che risultano destinatarie
delle politiche dell’ente. Risulterebbe, perciò, controproducente, non andare a ricercare
il coinvolgimento di questi stakeholder.