Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
346
Mauro Calise
IL PARTITO PERSONALE
I due corpi del leader
Editori Laterza
© 2000, 2010, Gius. Laterza & Figli
www.laterza.it
144
scambiano favori, giovani che leggono i giornali, gio-
vani ancora radicati nel territorio e giovani che cer-
cano da un leader la sintesi dei loro bisogni. Per ria-
prire un discorso sul partito che non sia un gioco del-
l’oca, non c’è una formula magica, o una chiave pa-
lingenetica, come nel mito ricorrente del richiamo al-
la società civile: anch’essa, ovviamente, intessuta di
ragioni, interessi e passioni. In ogni partito democra-
tico dovrebbe esserci spazio legittimo per tutti e
quattro i quadranti, perché ciascuno riflette un seg-
mento, importante e irriducibile, dell’elettorato ita-
liano. Quattro quadranti con implicazioni diverse sul
piano dell’organizzazione, del personale politico,
delle strategie e prassi di governo. Sarebbe anche una
buona occasione per far funzionare il pluralismo: non
come scontro di correnti o retaggio di ideologie, ma
come modi diversi di intendere – e difendere – i di-
versi voti dei cittadini.
Conclusioni
L’ALTRA FACCIA DI WEBER
Il sipario che sta calando sui grandi partiti-dinosauro
e illumina i nuovi leader prêt-à-porter si presta a faci-
li pessimismi. Complice la fine del millennio, il tra-
monto dei partiti sembrerebbe fare precipitare le cer-
tezze su cui era stata fondata la fede illimitata nella
democrazia: il trionfo della legalità, la diffusione – in
ogni ganglio della vita associata – della capacità indi-
viduale di scelta consapevole e razionale; la fiducia,
infine, che un sistema di valori potesse sfidare il tem-
po e permetterci di lanciare il cuore oltre la siepe.
Sembrerebbe, insomma, incrinarsi quel paradigma
weberiano che ci ha fatto così a lungo da bussola sul
sentiero della modernizzazione.
Sul secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle
nessun sistema di pensiero ha impresso traccia più
profonda di quello di Max Weber. Come per tutte le
teorie che colgono, con geniale lucidità, lo spirito del
proprio tempo proiettando nel futuro i frutti più du-
raturi e vitali, l’influenza di Weber permea gli aspet-
ti più importanti della grande trasformazione che se-
gna l’avvento della società contemporanea. Rilegge-
re, oggi, la nostra storia è praticamente impossibile
149
senza inforcare le lenti weberiane sull’analisi del po-
tere – e sui suoi punti di crisi. Sul piano dell’influen-
za più direttamente culturale, bisognerà attendere,
però, il secondo dopoguerra perché le sue interpre-
tazioni si diffondano in tutte le università americane
attraverso alcuni straordinari e autorevoli divulgato-
ri come Talcott Parsons e Reinhard Bendix. Per poi
ritornare in Europa, e nella stessa Germania in cui il
suo nome era finito in secondo piano, diventando nel
volgere di pochi anni il paradigma obbligato di rife-
rimento per capire dove stava andando il mondo mo-
derno. O, almeno, dove sembrava stesse andando se-
condo la vulgata weberiana transitata per gli Stati
Uniti e, inevitabilmente, semplificata e un po’ edul-
corata secondo l’irresistibile leggerezza americana.
Il Weber americano – che l’Europa si affretterà a
rilanciare – era l’alfiere di un nuovo credo e di una
nuova chiave di volta per il mondo contemporaneo. Al
centro di questo mondo, delle sue radici e destino, c’e-
ra la razionalità burocratica: un principio di ordina-
mento e di ordine che univa il potere dell’autorità a
quello della legittimità. Le istituzioni che consentiva-
no l’espansione dell’economia e della democrazia trae-
vano la loro forza dall’essere uniformate – e vincolate
– alle regole della razionalità e della legge. Fuse, per la
prima volta, in uno straordinario motore di sviluppo,
il potere legale-razionale. Era questo il potere destina-
to a sostituirsi agli arbìtri e alla imprevedibilità del pas-
sato, grazie alla forza che gli derivava dalla imperso-
nalità del comando. L’espansione, in politica, dello
stato democratico come, in economia, del sistema ca-
pitalistico nasceva dall’ampia legittimazione di cui il
potere legale-razionale godeva presso la popolazione
150
nel suo insieme. Una legittimazione universalistica,
fondata sull’automaticità e generalità delle procedure
che governavano la sfera dell’economia e della politi-
ca nel mondo contemporaneo; diversamente dai mille
e svariati legami particolaristici che, per il passato, era-
no necessari per far funzionare la macchina del potere.
Nel nome del nuovo principio di legittimità del po-
tere, il credo legale-razionale, verrà in breve tempo ri-
scritta la storia delle trasformazioni più importanti
della nostra vita organizzata; insieme al suo futuro ine-
vitabile, già tracciato come strada maestra e incerto
solo nei tempi dell’avvento. Anche le eccezioni più vi-
stose saranno assimilate al modello, come nel caso dei
sistemi socialisti, rappresentati quali leviatani buro-
cratici intenti a pianificare il mondo spingendo oltre il
limite della ragionevolezza la soglia – e meta – della ra-
zionalità. Per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, il pa-
radigma dello sviluppo, in politica come in economia,
sarà improntato a poche e lineari categorie interpre-
tative, con uno strumentario di intervento che pro-
metteva la trasformazione, chiavi in mano, di ogni
paese arretrato – o, ideologicamente, alternativo – in
un facsimile del modello realizzato nelle nazioni gui-
da. Il mondo – primo, secondo o terzo – era o sareb-
be stato, magari anche suo malgrado, weberiano.
La cultura economica sarà la prima a risvegliarsi da
questa invadente illusione. E a riconoscere, con ama-
rezza e stupore, che i conti dello sviluppo non tornava-
no. Già alla fine degli anni Settanta, Albert Hirschman
scriverà un’autocritica spietata sull’ascesa e declino
dell’economia dello sviluppo1. Il risultato sarà una re-
visione drastica delle certezze amiche coltivate dal ca-
pitalismo all’ombra della razionalità burocratica, e il ri-
151
torno a chiavi di lettura meno rassicuranti e prevedibi-
li. Gli spiriti animali del mercato riprenderanno, al-
l’insegna del neoliberismo, a dominare la scena econo-
mica. Talora in una veste ottimistica, alimentata dai
tassi di crescita del Pil al posto degli obsoleti livelli di
Zivilisation; talora in una veste problematica, memore
delle Grandi Crisi che in passato avevano ripetuta-
mente frantumato il mito del liberalismo. E che si so-
no, inesorabili, ripresentate. In ogni caso, l’economia
post-weberiana riscopre un filone di realtà che il foun-
ding father delle scienze sociali aveva, in polemica con
Marx e Sombart, troppo frettolosamente scartato.
Nel caso, invece, degli scenari politici, prendere le
distanze dagli eccessi della vulgata weberiana come
irresistibile ascesa del potere legale-razionale ha si-
gnificato, in realtà, riscoprire l’altra faccia di Weber.
Si ritorna a una lettura più rigorosa della tipologia
originaria con cui Weber riformula i rapporti di po-
tere: distinguendo il potere impersonale delle nuove
burocrazie, all’insegna e al riparo della legge e della
razionalità, da quello più tradizionale dei singoli che,
in nome del patrimonio o del carisma, lo gestiscono
in prima persona. Se è vero, infatti, che Weber pro-
pende a vedere nel potere burocratico la forma ege-
mone della nuova era, si guarda bene, però, dall’of-
frire un quadro univoco della sua affermazione. Al
contrario, la tipologia di Weber, molto più che a una
chiave di tipo evoluzionista, si presta a dar conto del-
le molte resistenze e continuità che le altre forme di
potere presentano nella realtà quotidiana. Insieme a
una carica di rottura e di innovazione. Di fronte alla
morsa di ferro che la razionalità rischia d’imporre sui
mondi vitali dell’uomo, il ricorso al potere carismati-
152
co diventa una risorsa preziosa per rompere il cerchio
dell’ordine costituito e pre-costituito. O, per conver-
so, la difesa dei legami tradizionali improntati a inte-
ressi particolaristici consente di conservare uno spa-
zio di movimento – e di arbitrio – nei confronti delle
rigide maglie che il governo della legge imporrebbe.
In ogni caso, all’impersonalità del comando della ra-
zionalità burocratica si oppone, insidiosa e rigoglio-
sa, la personalizzazione del potere.
Per quanto la strada sia tracciata con impietosa
chiarezza, fare i conti con l’altra faccia di Weber non
è, però, culturalmente ed eticamente, un’impresa fa-
cile. Non mancano gli studi che aiutino a raddrizzare
la rotta. Basta rileggere il saggio prezioso di Günther
Roth sul potere personale, un affresco straordinaria-
mente efficace dei massimi sistemi politici alla luce,
appunto, del Weber nascosto. Facendo emergere la
centralità dell’elemento personale e del dominio del-
l’uomo sull’uomo nella Cina e Unione Sovietica for-
malmente iper-burocratizzate, non meno che negli
Stati Uniti ufficialmente votati alla disciplina mana-
geriale2. Sono proprio, però, le riflessioni più acute a
rendere più arduo il compito di guardarsi sino in fon-
do allo specchio. Abituati come siamo a classificare la
realtà sul presupposto che debba comunque confor-
marsi al principio del governo delle leggi, ogni volta
che il governo degli uomini prende prepotentemente
il sopravvento restiamo impreparati. Di fronte all’e-
splosione contagiosa di presidenti personali che
affollano le piazze mediatiche del mondo, ci sorpren-
diamo a scoprire che sono capi a responsabilità illi-
mitata, la cui unica vulnerabilità politica risiede nel
proprio corpo. Come nelle sfide in diretta tra grandi
153
comunicatori addestrati a controllare ogni ruga del
viso, o nelle indagini giudiziarie a colpi bassi che ro-
vistano nello studio ovale le tracce di una passione.
A dispetto della sua rilevanza e invadenza, l’ascesa
del potere personale resta, per il discorso pubblico, un
tabù. Se ne parla ormai diffusamente, senza però riu-
scire a distaccare l’analisi – e i punti di vista – dalle ca-
tegorie ancestrali con le quali il fenomeno è stato per-
cepito, e subìto, in epoca pre-moderna: un ritorno,
una regressione al passato. E in quanto tale, prima an-
cora che compreso, il potere personale viene giudica-
to e combattuto. Quanto maggiore si rivela il suo
ascendente popolare e la sua capacità di espansione
patrimoniale e/o istituzionale, tanto più angusto è il
paradigma mentale con cui si cerca di esorcizzarlo. Re-
stiamo caparbiamente impreparati a decifrare la me-
tamorfosi del potere contemporaneo, il processo di
riappropriazione – ed erosione – personale del patri-
monio collettivo eretto dai regimi liberaldemocratici.
Anche perché c’è un convitato di pietra che ali-
menta la spirale del silenzio sulla personalizzazione
del potere: la rimozione del corpo. L’estrema diffi-
coltà a far rientrare nel santuario del discorso pub-
blico il corpo fisico, materiale, vitale dei potenti con-
temporanei. Non che manchi la consapevolezza del-
la colonizzazione quotidiana dello spazio comunica-
tivo da parte dei corpi mediali onnipresenti dei lea-
der. E, nella cerchia degli specialisti, ci sono analisi
puntualissime di come il corpo privato dei politici sia
emerso improvvisamente dal sipario dietro il quale
era gelosamente celato, e sia tornato a rappresentarsi
al popolo. Portando avanti quella mutazione geneti-
ca anticipata lucidamente da Sartori, il passaggio da
154
homo sapiens a homo videns. Ma la tendenza, e la ten-
tazione, è di circoscrivere il fenomeno nel recinto del-
la politica spettacolo. Relegato al circuito mediale, il
corpo del leader può ancora apparire separato dalla
sfera istituzionale, dai suoi secolari baluardi e dalle
sue collaudate routine di autodifesa e autoriprodu-
zione. Con l’illusione che possa resistere una sorta di
dualismo dei poteri: da un lato quello personale, dal-
l’altro quello istituzionale.
La vicenda del partito personale dimostra, invece,
che anche i più longevi e saldi meccanismi di ripro-
duzione del consenso e selezione della classe politica
possono essere, improvvisamente e rapidamente, an-
nessi alla logica riemergente della personalizzazione.
Aprendo il varco alla scalata anche degli altri snodi
pubblici chiave.
In questo, la tipologia weberiana fa fatica a tenere
il passo con gli eventi. La forza di quella partizione ri-
siedeva innanzitutto nei confini, le linee di demarca-
zione che tracciava tra le diverse arene del potere.
Consegnate ad ambiti spazio-temporali distinti e, so-
prattutto, non comunicanti. La novità del potere per-
sonale all’alba del terzo millennio sta, invece, nella
capacità di fondere le risorse patrimoniali e carisma-
tiche con le leve istituzionali. Questo avviene grazie a
un fattore imprevedibile agli esordi della razionalità
burocratica, l’avvento delle comunicazioni di massa
come tramite fondamentale di socializzazione cultu-
rale. Ma anche per la crisi del sistema di valori e ideo-
logie che ha segnato la secolarizzazione delle grandi
democrazie industriali. Nel ritorno del potere perso-
nale, si agitano pulsioni profonde di una polis alla ri-
cerca di nuovi approdi.
155
NOTE
Introduzione
1
Cfr. F. Musella, Governi monocratici. La svolta presidenziale nel-
le regioni italiane, Il Mulino, Bologna 2009.
2
Cfr. T. Poguntke e P.D. Webb (a cura di), The Presidentializa-
tion of Politics. A Comparative Study of Modern Democracies, Oxford
University Press, Oxford 2005; M. Calise, La Terza Repubblica. Par-
titi contro presidenti, Laterza, Roma-Bari 2005.
3
Cfr. I. Diamanti, Presidenti in cerca di ex partiti, in «Il Sole-24
Ore», 28 febbraio 1999.
4
Cfr. G. Pasquino (a cura di), Il Partito Democratico. Elezione del
segretario, organizzazione e potere, Bononia University Press, Bologna
2009.
Capitolo primo
1
Cfr. E. Noelle-Neumann, The Spiral of Silence, University of
Chicago Press, London & Chicago 1988.
Capitolo secondo
1
Cfr. D.M. Shea, The Passing of Realignment and the Advent of the
«Base-less» Party System, in «American Politics Quarterly», XXVII, 1,
1999.
2
Cfr. S. Scarrow, Parties and the Expansion of Direct Democracy,
in «Party Politics», V, 3, 1999.
3
Cfr. P. Mair, Party Organization: From Civil Society to the State,
157
in R. Katz e P. Mair (a cura di), How Parties Organize: Change and
Adaptation in Party Organizations in Western Democracies, Sage,
London 1994, pp. 1-22.
4
Mi sia consentito, su questo punto, il rinvio a M. Calise, Dopo la
partitocrazia. L’Italia tra modelli e realtà, Einaudi, Torino 1994.
5
Come ben documentato in E. Melchionda, Il finanziamento del-
la politica, Editori Riuniti, Roma 1997.
6
P. Mair, Party Organization cit., pp. 3-4.
7
Cfr., su questo tema, la raccolta di saggi in S. Scarrow e T.
Poguntke (a cura di), The Politics of Anty-party Sentiment: Introduc-
tion, in «European Journal of Political Research», XXIX, 3, 1996.
8
In particolare, sui casi italiano e francese, cfr. F. Cazzola, Della
corruzione. Fisiologia e patologia di un sistema politico, Il Mulino, Bo-
logna 1988; Y. Meny, La corruption de la république, Fayard, Paris 1992
e D. Della Porta e A. Vannucci, Un paese anormale. Come la classe po-
litica ha perso l’occasione di Mani Pulite, Laterza, Roma-Bari 1999.
9
P. Mair, Party Organization cit., p. 17.
Capitolo terzo
1
Cfr. P Ignazi, L’estrema Destra in Europa, Il Mulino, Bologna
1994.
2
Cfr. R. De Rosa, Fare politica in Internet, Apogeo, Milano 2000;
M.R. Kerbel, Netroots. Online Progressives and the Transformation of
American Politics, Paradigm Publishers, Boulder 2009; R.K. Gibson,
A. Römmele e S.J. Ward (a cura di), Electronic Democracy. Mobiliza-
tion, Organization and Participation Via New ICTs, Routledge, London
2004.
3
J. Bryce, The American Commonwealth, Macmillan, London
1888.
4
W. Wilson, Congressional Government. A Study in American
Politics, Houghton, Boston 1885.
5
R. Pious, The American Presidency, Basic Books, New York 1979.
6
G. Sartori, Homo videns, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 140.
Capitolo quarto
1
È la tesi che avevo avanzato in M. Calise, Governo di partito. An-
tecedenti e conseguenze in America, Il Mulino, Bologna 1989.
2
S. Fabbrini, Il Principe democratico. La leadership nelle demo-
crazie contemporanee, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 36.
3
Sulla presidenzializzazione del capo dell’esecutivo inglese cfr. R.
158
Rose, British Government: The Job at the Top, in R. Rose e E.N.
Suleiman (a cura di), Presidents and Prime Ministers, American En-
terprise Institute for Public Policy Research, Washington 1980 e, più
di recente, J. Foley, The Rise of the British Presidency, Manchester
University Press, Manchester 1993.
4
T. Poguntke e P.D. Webb (a cura di), The Presidentialization of
Politics. A Comparative Study of Modern Democracies, Oxford Uni-
versity Press, Oxford 2005.
5
In Italia, ha fatto da isolato battistrada il libro di L. Cavalli, Il ca-
po carismatico, Il Mulino, Bologna 1981.
6
Cfr. T.J. Lowi, The Personal President. Power Invested, Promise
Unfulfilled, Cornell University Press, Ithaca 1985.
7
Cfr. J.C. Green e D.M. Shea (a cura di), The State of the Parties:
The Changing Role of Contemporary American Parties, Rowman and
Littlefield, Lanham 19993.
8
E. Melchionda, Alle origini delle primarie. Democrazia e diretti-
smo nell’America dell’età progressista, Ediesse, Roma 2005.
9
Cfr. G. Sartori, Homo videns, Laterza, Roma-Bari 1999 e M. Ca-
lise, La costituzione silenziosa. Geografia dei nuovi poteri, Laterza, Ro-
ma-Bari 1998, pp. 115-120.
Capitolo quinto
1
Riprendo queste variabili e buona parte dei rimandi alla lettera-
tura che seguono dalla tesi di dottorato di P. Ferrari, Il partito me-
diale, Università di Firenze, 2000.
2
D. Martelli, La comunicazione politica del New Labour, in «Qua-
derni di Scienza Politica», VI, 2, 1999, p. 306.
3
P.D. Webb, Party Organizational Change in Britain: The Iron
Law of Centralization?, in R. Katz e P. Mair, How Parties Organize:
Change and Adaptation in Party Organizations in Western Democra-
cies, Sage, London 1994, p. 125.
4
P.D. Webb, Election Campaigning, Organisational Transforma-
tion and the Professionalisation of the British Labour Party, in «Euro-
pean Journal of Political Research», XXI, 1992, p. 270.
5
Secondo l’espressione di E. Shaw, The Labour Party since 1979.
Crisis and Transformation, Routledge, London 1994, p. 57.
6
D. Kavanagh, Election Campaigning: The New Marketing of
Politics, Basil Blackwell, Oxford 1995, p. 7.
7
D. Martelli, La comunicazione politica cit., p. 323; per un’anali-
si approfondita della nuova organizzazione della campagna elettora-
le del Labour Party cfr. P. Norris, The Battle for the Campaign Agen-
159
da, in A. King (a cura di), New Labour Triumphs: Britain at the Polls,
Chatam House, Chatam 1998, pp. 113-142.
8
R. Heffernan e J. Stanyer, The Enhancement of Leadership Power:
The Labour Party and the Impact of Political Communications, in C.
Pattie, D. Denver, J. Fisher e S. Ludlam (a cura di), British Election
& Parties Review, Frank Cass, London 1997, p. 173.
9
M. Calise, Governo di partito. Antecedenti e conseguenze in Ame-
rica, Il Mulino, Bologna 1989, p. 96.
10
M. Keller, Affairs of State. Public Life in Late Nineteenth Cen-
tury America, Harvard University Press, Cambridge 1977, p. 248.
11
E. Shaw, The Labour Party cit., p. 214.
12
L’espressione è tratta da P. Ferrari, Il partito mediale cit.
Capitolo sesto
1
Cfr. M. Cotta e P. Isernia (a cura di), Il gigante dai piedi di ar-
gilla. Le ragioni della crisi della prima repubblica: partiti e politiche da-
gli anni ’80 a Mani pulite, Il Mulino, Bologna 1996 e M. Calise, La co-
stituzione silenziosa. Geografia dei nuovi poteri, Laterza, Roma-Bari
1998, pp. 17-32.
2
Per un’analisi storica aggiornata di questo istituto cfr. A. Chi-
menti, Storia dei Referendum, Laterza, Roma-Bari 1999.
3
Cfr. M. Fedele, Democrazia referendaria, Donzelli, Roma 1994.
4
Ringrazio Franco Cazzola, uno dei primi e più autorevoli stu-
diosi italiani delle correnti di partito, per aver richiamato la mia at-
tenzione su questo aspetto.
Capitolo settimo
1
Riprendo qui, adattandolo a un contesto diverso, il bel titolo del
libro di S. Fabbrini, Il Principe democratico. La leadership nelle de-
mocrazie contemporanee, Laterza, Roma-Bari 1999.
2
Cfr. E. Pasotti, Political Branding in Cities. The Decline of Ma-
chine Politics in Bogotà, Naples, and Chicago, Cambridge University
Press, New York 2010.
3
Cfr. R. di Leo, La falce e la luna. Potere e politica nel cuore del-
l’Europa, mimeo.
4
In un contesto diverso, il termine è stato introdotto da B. Den-
te (a cura di), Le politiche pubbliche in Italia, Il Mulino, Bologna 1990;
cfr. M. Cilento, Governo locale e politiche simboliche. Il caso Bagnoli,
Liguori, Napoli 2000.
5
Sono i nodi al centro della lucida analisi di L. Vandelli, Sindaci
160
e miti. Sisifo, Tantalo e Damocle nell’amministrazione locale, Il Muli-
no, Bologna 1997.
Capitolo ottavo
1
Cfr. O. Calabrese, Come nella boxe. Lo spettacolo della politica
in Tv, Laterza, Roma-Bari 1998.
2
Per un’analisi di Forza Italia, e rimandi alla ampia letteratura sul
tema, cfr. C. Paolucci, Un marchio in franchising: Forza Italia a livel-
lo locale, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», XXIX, 3, 1999.
3
Cfr. T. Marrone, Il Sindaco. Storia di Antonio Bassolino, Rizzo-
li, Milano 1993, pp. 112-130.
4
Per un’analisi aggiornata, e comparata, delle strategie berlusco-
niane di personalizzazione mediatica, cfr. D. Campus, Mediatization
and Personalization of Politics in Italy and France: The Cases of Berlu-
sconi and Sarkozy, in «The International Journal of Press/Politics»,
XV, 2, 2010.
5
Come documentato in numerose analisi empiriche comparate
dei partiti politici, nella scia di A. Panebianco, Modelli di partito, Il
Mulino, Bologna 1988.
Capitolo nono
1
Cfr. A. Pizzorno, I soggetti del pluralismo, Il Mulino, Bologna
1980, pp. 67-98.
Capitolo decimo
1
Cfr. L. Lanzillotta, La riforma della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, in «Quaderno dell’Associazione per gli Studi e le ricerche
parlamentari», 13, 2003, pp. 165-175; A. Criscitiello, Il cuore dei go-
verni. Le politiche di riforma degli esecutivi in prospettiva comparata,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2004.
Capitolo undicesimo
1
Sul laboratorio medioevale della politica moderna, due riferi-
menti classici sono H.W. Berman, Law and Revolution. The Forma-
tion of the Western Legal Tradition, Harvard University Press, Cam-
bridge 1983 e A. Pizzorno, Politics unbound, in C.S. Maier (a cura di),
161
Changing Boundaries of the political. Essays on the evolving balance
between the state and society, public and private in Europe, Cambridge
University Press, Cambridge 1982, pp. 27-62. Per un inquadramento
di sintesi, vedi M. Calise, Corporate authority in a long-term compara-
tive perspective. Differences in institutional change between Europe
and the United States, in Rechtstheorie, Beiheft 20, 2002, pp. 307-324.
2
Cfr. E.H. Kantorowicz, The King’s Two Bodies: A Study in Me-
dieval Political Theory, Princeton University Press, Princeton 1957 e
S. Bertelli, Il Corpo del Re. Sacralità del potere nell’Europa medievale
e moderna, Ponte alle Grazie, Firenze 1995.
3
M. Duverger, La Monarchie républicaine. Ou comment les dé-
mocraties se donnent des rois, Robert Laffont, Paris 1974.
4
Cfr F. Boni, Il corpo mediale del leader. Rituali del potere e sa-
cralità del corpo nell’epoca della comunicazione globale, Meltemi, Ro-
ma 2002; G. Mazzoleni e A. Sfardini, Politica pop. Da «Porta a Porta»
a «L’isola dei famosi», Il Mulino, Bologna 2009; G. Cuperlo, Par con-
dicio? Storia e futuro della politica in televisione, Donzelli, Roma 2006.
5
Cfr E. Novelli, La turbopolitica. Sessant’anni di comunicazione
politica e di scena pubblica in Italia, 1945-2005, Rizzoli, Milano 2006,
p. 155.
6
V. Zucconi, JFK, il calvario di un presidente. I dolori, le malattie,
i farmaci, in «la Repubblica», 18 novembre 2002, cit. in F. Boni, Il su-
perleader. Fenomenologia mediatica di Silvio Berlusconi, Meltemi, Ro-
ma 2008, pp. 68-69.
7
Sul tema della biopolitica, il riferimento d’obbligo è R. Esposi-
to, Bíos. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004.
8
Anche grazie a un mai sanato conflitto di interessi, su cui la più
puntuale requisitoria è in G. Sartori, Il sultanato, Laterza, Roma-Ba-
ri 2009, pp. 149-163.
9
J.-J. Rousseau, Discorso sull’economia politica, in Opere, a cura
di P. Rossi, Sansoni, Firenze 1972, cit. in R. Esposito, Immunitas. Pro-
tezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002, p. 139.
Capitolo dodicesimo
1
Questo capitolo riprende, con alcune modifiche, il testo pub-
blicato in «Italianieuropei», 2, 2009.
2
G. Leibholz, La rappresentazione nella democrazia, Giuffrè, Mi-
lano 1989.
3
N. Bobbio, Introduzione, in G. Mosca, La classe politica, Later-
za, Roma-Bari 1975.
4
Una panoramica della letteratura è in M. Calise, Dopo la parti-
tocrazia. L’Italia tra modelli e realtà, Einaudi, Torino 1994.
162
5
M. Calise e R. Mannheimer, Governanti in Italia. Un trentennio
repubblicano (1946-1976), Il Mulino, Bologna 1982.
6
Cfr. L. Vandelli, Sindaci e miti. Sisifo, Tantalo e Damocle nel-
l’amministrazione locale, Il Mulino, Bologna 1997 e R. Catanzaro, F.
Piselli, F. Ramella e C. Trigilia, Comuni nuovi. Il cambiamento nei go-
verni locali, Il Mulino, Bologna 2002.
7
Cfr. M. Cilento, Governo locale e politiche simboliche. Il caso Ba-
gnoli, Liguori, Napoli 2000 e E. Pasotti, Political Branding in Cities.
The Decline of Machine Politics in Bogotà, Naples, and Chicago, Cam-
bridge University Press, New York 2010.
8
Cfr. R. D’Alimonte e S. Bartolini (a cura di), Maggioritario fi-
nalmente? La transizione elettorale 1994-2001, Il Mulino, Bologna
2002.
9
Per un inquadramento storico del dualismo costituzionale, il ri-
ferimento classico è G. Poggi, La vicenda dello stato moderno, Il Mu-
lino, Bologna 1978.
10
Cfr. M. Calise, La Terza Repubblica. Partiti contro presidenti,
Laterza, Roma-Bari 2005.
Capitolo tredicesimo
1
Questo capitolo riprende, con alcune modifiche, il testo pub-
blicato in «Italianieuropei», 3, 2008.
2
A. Parisi e G. Pasquino, Relazioni partiti-elettori e tipi di voto, in
A. Parisi e G. Pasquino (a cura di), Continuità e mutamento elettora-
le in Italia. Le elezioni del 20 giugno 1976 e il sistema politico italiano,
Il Mulino, Bologna 1977, pp. 215-249.
3
Per un riepilogo, e un aggiornamento, di una vastissima lettera-
tura il riferimento d’obbligo è a I. Diamanti, Mappe dall’Italia politi-
ca. Bianco, rosso, verde, azzurro... e tricolore, Il Mulino, Bologna 2009.
4
Per un panorama più ampio degli studi sui comportamenti di vo-
to, cfr. M. Calise, La Terza Repubblica. Partiti contro presidenti, La-
terza, Roma-Bari 2005, pp. 63-77.
5
S. Bolgherini e F. Musella, Voto di preferenza e “politica perso-
nale”: la personalizzazione alla prova delle elezioni regionali, in «Qua-
derni di scienza politica», XIV, 2, 2007, pp. 275-305.
6
L. Di Gregorio, Election, in M. Calise e T.J. Lowi, Hyperpolitics.
An Interactive Dictionary of Political Science Concepts, University of
Chicago Press, Chicago 2010 e www.hyperpolitics.net. Il testo a stam-
pa è la sintesi di una versione più estesa da cui sono tratte le citazioni
in seguito riportate.
7
Per un inquadramento teorico e metodologico di questa ed al-
tre tipologie sviluppate con logica matriciale, si rimanda al capitolo
163
introduttivo, Bringing Concepts Back In, in M. Calise e T.J. Lowi, Hy-
perpolitics cit., pp. 1-25.
8
L. Di Gregorio, Election cit.
9
Ibid.
10
Ibid.
11
In una direzione simile – anche se con sottolineature e argo-
mentazioni diverse – si muovono le belle ricerche di Paolo Natale sul-
la «fedeltà leggera», La fedeltà leggera alla prova: i flussi elettorali del
2006, in R. Mannheimer e P. Natale (a cura di), L’Italia a metà. Den-
tro il voto del Paese diviso, Cairo Editore, Milano 2006, pp. 55-67; e
Mobilità elettorale e fedeltà leggera: i movimenti di voto, in P. Feltrin,
P. Natale e L. Ricolfi (a cura di), Nel segreto dell’urna, Utet, Torino
2007.
Conclusioni
1
Cfr. A.O. Hirschman, Ascesa e declino dell’economia dello svi-
luppo, Rosenberg & Sellier, Torino 1983.
2
Cfr. G. Roth, Potere personale e clientelismo, Einaudi, Torino
1990.
INDICE
Premessa VII
Parte prima
Il partito che non c’è
1. La spirale del silenzio 13
2. Il tramonto dei dinosauri 19
3. Il fantasma di Rousseau 29
4. La frontiera americana 37
5. La rivincita inglese 46
Parte seconda
Il ritorno del capo
6. I partiti personali 59
7. I prìncipi democratici 69
8. Il cavaliere senza paura 80
9. I capitani di ventura 91
10. Il partito del premier 99
165
Parte terza
I due corpi del leader
11. Il corpo politico 109
12. Le radici perdute 125
13. Ragioni, interessi, passioni 137