Facoltà di Filosofia
Homo religiosus
Complementarietà dell'approccio esistenziale (Giussani)
e storico-antropologico (Ries)
I) INTRODUZIONE
1
Guida pratica allo studio delle religioni, Passerino Editore 2016, 49.
3
ambiguità che possono presentare, tali forme d'espressione sono così universali che
l'uomo può essere definito un essere religioso2.
2
Catechismo della Chiesa cattolica, Piemme, Roma 1993, 28.
4
Una volta viaggiando verso Rimini mi capitò di trovarmi con un gruppo di studenti
liceali e mi intrattenni con loro in una discussione. Mi sorprese subito la loro enorme,
cosmica e spaventosa ignoranza. Trovai altri quattro o cinque studenti liceali andando
una seconda volta verso Ancona e, avendo portato appositamente il discorso sugli
argomenti del primo incontro, dovetti concludere con una identica notazione (…). Dissi
allora in cuor mio: bisogna che al Paradiso della Teologia venga premesso il Purgatorio
del lavoro in questa vita. Sentii ciò veramente come un dovere. Come si poteva
rimanere fermi a contemplare l’essere e l’essenza, cose stupendamente belle quando la
gente fosse tranquilla, se i miei fratelli cristiani continuavano a restare nell’ignoranza
e nell’indifferenza?4
Il PerCorso (composto dalla trilogia Il senso religioso, All'origine della pretesa
cristiana e Perché la Chiesa) nacque proprio in quegli anni come testo di supporto
per le lezioni nel liceo Berchet di Milano ed, in seguito, venne rielaborato per
l’insegnamento di Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica. Il titolo del
3
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, BUR, Milano 2003,
Prefazione di J. F. Stafford, VI.
4
A. SAVORANA, Vita di don Giussani, Rizzoli, Milano 2013, 146.
5
primo volume, Il senso religioso, si riallaccia al titolo della lettera pastorale per la
Quaresima nel 1957 dell’allora card. Montini. Il futuro Papa spiegava che il senso
religioso
Questa lettera divenne uno spunto di riflessione basilare per Giussani che,
nello stesso anno, pubblicò la prima versione del suo omonimo libro. In una società
che, in preda al boom economico del dopo-guerra, si avviava ad una rapida
secolarizzazione, i pastori e gli educatori si univano nello sforzo di riallacciare il
discorso religioso al cuore dell’uomo. Giussani propose ai ragazzi che lo seguivano
(ed al lettore d’oggi) un approccio riflessivo, a partire dalla propria esperienza
umana, indirizzato a scoprire nella propria interiorità le grandi domande sul senso
della vita. Giussani identifica il senso religioso con le grandi domande che hanno
sempre abitato nel cuore dell’uomo, a cui il fatto cristiano si propone come risposta.
Citando il teologo protestante Niebuhr, lo stesso Giussani spiega: “non esiste niente
di più incomprensibile della risposta a una domanda che non si pone”6. Se l’uomo
non è cosciente della propria domanda, ogni risposta che si offrirà darà la nausea:
il Cristianesimo si può trasformare facilmente in un moralismo o in un vago
sentimento destinato a scomparire. Come ha detto il card. Bergoglio, presentando
proprio il libro di Giussani,
5
«Sul senso religioso», Chiesa di Milano, in
https://www.chiesadimilano.it/cms/documenti-del-vescovo/g-b-montini/gbm-lettere-
pastorali/sul-senso-religioso-13536.html [26-4-2019].
6
Cfr. R. Niebuhr, Il destino e la storia. Antologia degli scritti, BUR, Milano 1999, p. 66
6
senso di tali domande che sono nascoste, sotterrate, forse sofferenti, ma che
esistono7.
Tali domande sono comuni a tutti gli uomini, di tutte le epoche e di tutte le
latitudini, e sono state espresse in maniera più limpida dai poeti e dagli artisti,
uomini che hanno ricevuto il particolare dono di rendere in maniera chiara e bella
ciò che è più autenticamente umano. Giussani nel corso del suo lavoro di insegnante
e di educatore si appoggerà sempre alla esperienza dei grandi della letteratura, ai
filosofi, ai musicisti, agli artisti, visti come modelli di umanità vibrante.
Oso dire che oggi la questione che dobbiamo maggiormente affrontare non è tanto il
problema di Dio, l’esistenza di Dio, la conoscenza di Dio, ma il problema dell’uomo,
la conoscenza dell’uomo e il trovare nell’uomo stesso l’impronta che Dio vi ha lasciato
per incontrarsi con lui8.
7
«Quando Bergoglio presentò «Il senso religioso» di Giussani.», 2013, Tempi, in
https://www.tempi.it/quando-bergoglio-presento-il-senso-religioso-di-giussani-lunica-
risposta-e-lincontro/ [26-4-2019].
8
Ibid.
9
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, 59.
7
Un semplice sguardo alla storia antica, d'altronde, mostra con chiarezza come in
diverse parti della terra, segnate da culture differenti, sorgano nello stesso tempo le
domande di fondo che caratterizzano il percorso dell'esistenza umana: chi sono? da
dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa
vita? Questi interrogativi sono presenti negli scritti sacri di Israele, ma compaiono
anche nei Veda non meno che negli Avesta; li troviamo negli scritti di Confucio e Lao-
Tze come pure nella predicazione dei Tirthankara e di Buddha; sono ancora essi ad
affiorare nei poemi di Omero e nelle tragedie di Euripide e Sofocle come pure nei
trattati filosofici di Platone e Aristotele. Sono domande che hanno la loro comune
scaturigine nella richiesta di senso che da sempre urge nel cuore dell'uomo11.
10
G. LEOPARDI, Cara beltà..., BUR, Milano 2011, 68–69.
11
GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, Piemme 1998, 1.
12
PLATONE, Apologia di Socrate, Bompiani, Milano 2000, 18A.
8
Il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, della terra intera;
considerare l'ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei
mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell'animo proprio;
immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l'universo infinito, e sentire che l'animo e
il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare
le cose d'insufficienza e di nullità, e patire mancamento e vòto, e però noia, pare a me
il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana13.
l'uomo «erra come tuono di giogo in giogo» con i suoi jets, e «novera le stelle ad una
ad una», coi suoi satelliti. Ma si può dire che nel frattempo l'uomo sia diventato un
briciolo solo più felice? No, certamente. Si tratta di qualcosa che è per natura sua «al
di là» d'ogni movenza umana15.
13
G. LEOPARDI, Poesie e prose, Mondadori, Milano 1992, 321.
14
B. PASCAL, Pensieri, Rusconi Libri, Milano 2014, 104.
15
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, 65.
9
Le cose sono finite. Tutto ciò che è finito, è difettoso. E il difetto costituisce una
delusione per il cuore, che anela all'assoluto. La delusione si allarga, diviene il
sentimento di un gran vuoto… Non c'è nulla, per cui valga la pena di esistere. Non c'è
nulla, che sia degno che noi ce ne occupiamo. (…) La malinconia è espressione del
fatto che noi siamo creature limitate, ma viviamo a porta a porta con… ebbene sì,
abbandoniamo alla fine il termine troppo prudenziale e astratto, di cui ci siamo serviti
sinora: il termine di “assoluto”; scriviamo, al suo posto, quello che solo si addice:
viviamo a porta a porta con Dio. Siamo chiamati da Dio, eletti ad accoglierlo nella
nostra esistenza. La malinconia è il prezzo della nascita dell'eterno nell'uomo” 19 .
L’ipotesi di un Assoluto, di un quid infinito che sazi l’attesa del senso religioso
dell’uomo corrisponde alla struttura originaria dell’uomo. Il senso religioso è una
domanda di totalità costitutiva della nostra ragione: la ragione infatti cerca il senso
ultimo per il solo fatto di esserci. Chiunque vive afferma, implicitamente o
esplicitamente, un quid ultimo per cui valga la pena vivere: è il meccanismo
16
Cfr SAN TOMMASO, In Dionysii de divinis nominibus, 4, 9; Summa Theologiae, I, q. 20,
art. 1.
17
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, 71.
18
A. D’AVENIA, «Il Sabato Santo. Solitudine e attesa», 2011, in
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/editoriale-davenia-solitudine-
attesa_201104230625142530000 [26-4-2019].
19
R. GUARDINI, Ritratto della malinconia, Morcelliana, Brescia 1993, 47.
10
inevitabile della ragione umana. Se vivo è perché ho qualcosa per cui vale la pena
vivere: la ragazza, i soldi, la politica, il fare del bene, l’essere amato...
Come l'occhio spalancandosi scopre forme e colori, così la ragione per ciò stesso che
si mette in moto afferma un «ultimo», una realtà ultima di cui tutto consiste; un destino
ultimo, senso di tutto. Perciò a quelle domande costitutive noi diamo risposta:
coscientemente ed esplicitamente; o praticamente e incoscientemente20.
Solo l'ipotesi dell'esistenza di Dio, del mistero, come una realtà che eccede la
nostra capacità di comprensione e che tuttavia colma il cuore con la sua assenza, è
la risposta alle domande del cuore e al senso religioso. Il filosofo francese F.
Hadjadj ha mostrato come in realtà l’ateismo sia un’opzione molto difficile per
l’uomo, al limite dell’impossibile, dato che la ragione è costituita per affermare un
senso ultimo.
Essere atei richiede di non divinizzare nulla, e soprattutto di non divinizzare l'ateismo.
Perché se faccio dell'ateismo una sorta di nuova religione, sono in contraddizione. Non
devo divinizzare il mio ateismo, non devo nemmeno divinizzare il mio giudizio, non
devo divinizzare me stesso, né il denaro, né il piacere, né la letteratura... se sono ateo
per davvero, devo accettare di non disporre dell'ultima parola, di non avere l'ultima
parola. (…) Se io affermo drasticamente: “Ecco, la questione è chiusa, è risolta”, allora
c'è qualcosa di falso nel mio ateismo. Dire: “Io non ho l'ultima parola”, non significa
soltanto: “non abbiamo che parole penultime”. Perché se dici: “non esistono che parole
penultime, non c'è parola ultima”, in quel momento la tua parola penultima diventa la
parola ultima. Perciò bisogna dire: “Io non ho l'ultima parola, ma ci dev'essere una
parola ultima, riconosco che c'è una parola ultima”. L'ateismo, quando è sincero, vuol
distruggere tutti gli idoli, ma una volta distrutti tutti gli idoli, deve distruggere l'idolo
dell'ateismo, e in quel momento deve accettare, deve confessare una certa disponibilità,
una certa apertura al mistero. In fondo, si potrebbe dire che l'ateismo, quando è in
buona fede, non può giungere al suo compimento senza accogliere la trascendenza del
mistero. Qualcosa non prodotto da noi, ma che viene a noi21.
3. Stupore e mistero
Uno dei capitoli più importanti de Il senso religioso, che Giussani definiva
“il capitolo sul mio segreto educativo”, è il capitolo decimo. Giussani presenta,
tramite l’analisi della reazione dell’uomo di fronte alla realtà, come nascano in noi
le domande ultime. È un percorso allo stesso tempo esistenziale e storico, in quanto
20
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, 76.
21
La domanda di Dio oggi, Libreria Edictrice Vaticana, Città del Vaticano 2012, 171.
11
si può riscontrare nelle tappe del risveglio della coscienza religiosa dell’uomo
primitivo. Giussani propone una specie di esperimento mentale:
Supponete di nascere, di uscire dal ventre di vostra madre all'età che avete in questo
momento, nel senso di sviluppo e di coscienza così come vi è possibile averli
adesso. Quale sarebbe il primo, l'assolutamente primo sentimento, cioè il primo
fattore della reazione di fronte al reale? Se io spalancassi per la prima volta gli
occhi in questo istante uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla
meraviglia e dallo stupore delle cose come di una «presenza»22.
22
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, 140.
12
un'iniziativa, un Qualcuno, che ha dato me a me stesso. In ogni caso sono stato dato,
e dato come quest'individuo determinato. Non semplicemente come uomo, ma
come questo uomo: appartenente a questo popolo, a questo tempo, di questo tipo e
con queste attitudini. Fino a quelle ultime determinazioni, che semplicemente
esistono una volta soltanto e cioè in me; a quella peculiarità ultima che fa sì che in
tutto quanto faccio io riconosca me stesso, e la quale s'esprime nel mio nome23.
L’uomo, inoltre, si rende conto che nel profondo del suo cuore abita una
voce che indica ciò che è bene e ciò che è male e che muove all’azione, ovvero una
voce che ha connotazione morale. Giussani sembra parafrasare ciò che scriveva il
beato J.H. Newman, uno dei suoi autori preferiti:
la coscienza non è confinata in sé stessa ma, in modo vago, è protesa verso qualcosa
che la sorpassa e discerne confusamente una sanzione alle sue decisioni che emana
da una fonte più alta (…). Per questo usiamo parlare della coscienza come d’una
voce (…). Una voce, aggiungerò io, o l’eco d’una voce, imperiosa e tassativa come
non lo è alcun altro imperio della nostra esperienza24.
gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della
meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più̀
semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre
maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole
e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi
prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo
che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è
costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché́ , se gli uomini
hanno filosofato per liberarsi dell’ignoranza, è evidente che ricercarono il
conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità̀ pratica26.
23
R. GUARDINI, Accettare se stessi, Morcelliana, Brescia 1992, 28.
24
J. H. N. NEWMAN, Grammatica dell’assenso, Jaca Book, Milano 2005, 118.
25
cf. SOFOCLE, Antigone, Einaudi, Torino 2007 vv. 453-457.
26
ARISTOTELE, Metafisica, Bompiani, Milano 2000, A 2, 982 b 11-21.
13
Interrogai sul mio Dio la mole dell'universo, e mi rispose: “Non sono io, ma è lui che
mi fece”. Interrogai la terra, e mi rispose: “Non sono io”; la medesima confessione
fecero tutte le cose che si trovano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi e i rettili con
anime vive; e mi risposero: “Non siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi”. Interrogai
i soffi dell'aria, e tutto il mondo aereo con i suoi abitanti mi rispose: “Erra Anassimene,
io non sono Dio”. Interrogai il cielo, il sole, la luna, le stelle: “Neppure noi siamo il
Dio che cerchi”, rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio
corpo: “Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui”; ed essi
esclamarono a gran voce: “È lui che ci fece”28.
L’uomo stesso è anch’egli un segno, a causa del carattere esigenziale della sua
natura. L’uomo, infatti, si presenta come un complesso di esigenze, che definiscono
ciò che Giussani chiama “esperienza elementare”, e che la tradizione biblica
denomina “cuore”. Il cuore dell’uomo è esigenza di verità, di giustizia, di felicità e
di amore, ma tali esigenze rimandano ad altro, sono segno di qualcosa di oltre.
Giussani fa l’esempio di un bimbo piccolo a cui capitasse di fare naufragio su di
27
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, 157.
28
AGOSTINO, Le confessioni, Mondadori 2016, X, 6, 9.
14
un’isola deserta. All’età della pubertà sentirebbe risvegliarsi nel suo corpo delle
pulsioni, l’esigenza di un qualcosa che non conosce e che, tuttavia, deve esistere:
“C’è qualcosa nell’universo che corrisponde a questa esigenza e non so cosa è”.
Tramite l’esigenza di una donna, il ragazzino avvertirebbe sé stesso come segno di
qualcosa d’altro, qualcosa di sconosciuto e che però è conosciuto come oggetto
terminale dell’esigenza. L’io si presenta come rimando a Dio, ad un Tu che mi
compie e che tuttavia non conosco e che sembra sempre essere “oltre”. La morte
sembra erigersi come una barriera, il “no definito” alla possibilità di raggiungere
risposta, la negazione assoluta a raggiungere la risposta. Tuttavia il fatto di non
poterla raggiungere non comporta che tale risposta non esista.
L’uomo ha bisogno di una risposta totale che comprenda e salvi tutto l’orizzonte del
suo “io” e della sua esistenza. Dentro di sé egli possiede un anelito di infinito, una
tristezza infinita, una nostalgia – il nostos algos di Odisco – che si appaga solo con
una risposta ugualmente infinita. Il cuore dell’uomo risulta essere segno di un Mistero,
cioè di qualcosa o di qualcuno che sia una risposta infinita. Al di fuori del Mistero le
esigenze di felicità, di amore, di giustizia non incontrano mai una risposta che soddisfi
fino al fondo il cuore dell’uomo. La vita sarebbe un desiderio assurdo, se questa
risposta non esistesse29.
L’atteggiamento più ragionevole per l’uomo sarà dunque affermare che oltre
l’orizzonte della nostra vita c’è una risposta esauriente di cui la realtà e l’io stesso
sono segno ineludibile. Il vertice della ragione è dunque l’affermazione del mistero:
c’è una risposta, ma non so cosa è. Saint Exupery scrisse giustamente che “il mistero
non è un muro, ma un orizzonte. Il mistero non è una mortificazione
dell’intelligenza, ma uno spazio immenso, che Dio offre alla nostra sete di verità”.
Come recita la Divina Commedia: “Ciascun confusamente un bene apprende / nel
qual si quieti l'animo, e disira; / per che di giunger lui ciascun contende”30. Essere
fedeli alla ragione è ammettere l’esistenza di un incomprensibile, di un infinito, di
un immenso che nel momento stesso in cui lo presentiamo ci sfugge: tale Mistero
viene chiamato Dio.
È innegabile: c’è un ignoto (…). Tutti lo sentono. Tutti l’hanno sempre sentito. In tutti
i tempi gli uomini l’hanno così sentito che l’hanno anche immaginato. In tutti i tempi
gli uomini hanno cercato, attraverso le loro elucubrazioni o le loro fantasie, di
immaginare, di fissare il volto di questo ignoto. Tacito, nella Germania, descriveva
29
«Quando Bergoglio presentò «Il senso religioso» di Giussani».
30
D. ALIGHIERI, La Divina Commedia. Purgatorio, Mondadori, Milano 2016, XVII, vv.
127–129.
15
così il sentimento religioso che qualificava gli antichi teutoni: «Secretum illud quod
sola reverentia vident, hoc deum appellant» (quella cosa misteriosa che essi intuivano
in timore e tremore, questo chiamavano Dio, questo chiamano Dio). Tutti gli uomini
di tutti i tempi, qualunque sia l’immagine che se ne sono fatta, hoc deum appellant,
chiamano Dio questo ignoto31.
Tale processo di risveglio delle domande ultime non avviene però nella
maniera così limpida che è stata appena descritta. L’uomo, infatti, non agisce in
maniera deterministica ed automatica e, seppur la ragione sia come un occhio che
“vede” le cose, con la sua libertà egli può sempre negare di vedere o interpretare in
maniera erronea ciò che ha visto. Ogni segno, infatti, richiede una interpretazione.
Così la realtà, come segno del Mistero, richiede una corretta interpretazione che
non è un problema di più o meno scienza ed erudizione, ma di opzione profonda
nei confronti del reale. Riprova di ciò è che uomini di eguale scienza (scienziati,
filosofi, letterati…) giungono, in materia di religione, a conclusioni diametralmente
opposte: se il loro ateismo o la loro credenza fosse determinata solo dal loro sapere,
tale discordanza rimarrebbe senza spiegazione. Questa differenza si spiega tramite
l’uso della libertà, che consiste nella maniera di porsi di fronte al reale. Infatti uno
può approcciarsi alle cose in maniera aperta, spalancata, oppure può guardare il
mondo sulla difensiva, pieno di pregiudizi.
31
L. GIUSSANI, Il tempo e il tempio. Dio e l’uomo, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano
1995, 41.
16
conoscenza sarà aiutata. Il problema è che tale sentimento può essere “non a fuoco”,
ovvero può essere quello sbagliato. Giussani fa l’esempio dei docenti della Sorbona
che negarono le scoperte di Pasteur:
Gli ultimi a riconoscere la validità scientifica degli esperimenti di Pasteur sono stati i
docenti della Sorbona che facevano parte della Accademia delle Scienze a Parigi. Per
questi professori ammettere quello che sosteneva Pasteur significava il giorno dopo
salire in cattedra e riconoscere di dover cambiare molto. Ne andava di mezzo orgoglio,
fama, denaro. Il problema della funzione dei microbi, che è un problema obiettivo,
scientifico, era per loro un problema vitale. Che cosa avrebbero dovuto fare quei
professori per essere abilitati a percepire il valore di quelle esperienze inconfutabili
anche per profani? Sarebbe occorsa in loro una lealtà, una dignità morale, una passione
per l'obiettivo vero, che non potevano inventarsi da un giorno all'altro, non fosse stato
il termine di una lunga educazione, appunto, morale32.
32
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, 39.
33
Cf. L. GIUSSANI, Il rischio educativo, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 2016.
34
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, 43.
17
Davanti c’era la guida, poi venivo io, poi due uomini. Avevamo superato la metà
del cammino; a un determinato momento vidi la guida fare un piccolo salto. Io che
stavo a tre o quattro metri di distanza, brandendo la corda con mano nervosa, mi
sento dire dalla guida: “Forza! Salta!”. Mi trovo al limitare di una cengia e a un
metro circa cominciava un’altra cengia, e sotto vi era un profondo burrone. Io mi
sono voltato di scatto, mi sono abbracciato a uno spuntone di roccia e tre uomini
non mi hanno smosso. E ricordo le voci che mi ripetevano: “Non aver paura, ci
siamo noi!” e io dicevo a me stesso: “Sei stupido, ti portano loro”; e lo dicevo a me
stesso, ma non riuscivo a staccarmi dal mio improvvisato sostegno. (…) Non fu
l’assenza di ragioni a bloccarmi; ma le ragioni erano come scritte nell’aria, non mi
toccavano. È analogo a quando le persone dicono: “Lei ha ragione, ma io non sono
persuaso”. È uno iato, un abisso, un vuoto tra l’intuizione del vero, dell’essere, data
dalla ragione, e la volontà: una dissociazione tra la ragione, percezione dell’essere,
e la volontà che è affettività, cioè energia di adesione35.
Superare questo abisso tra la volontà e la ragione sarebbe possibile solo con
una volontà così ferrea da risultare quasi introvabile. “Il vero dramma del rapporto
fra l'uomo e Dio, attraverso il segno del cosmo, attraverso il segno dell'esperienza,
non sta nella fragilità delle ragioni”, perché tutto il mondo è un segno, “ma sta nella
volontà che deve aderire a questa immensa evidenza”36. La natura ha, però, fornito
l’uomo di un metodo per affrontare il rischio: il metodo comunitario. Così il bimbo
riesce ad attraversare la stanza buia, vincendo la sua paura, quando la mamma gli
prende la mano. Per questa ragione trovarsi in una comunità dove l’atteggiamento
verso la realtà è positivo, aperto, pieno di stupore, aiuta l’uomo a superare
l’esperienza del rischio.
L’unico metodo adeguato per arrivare ad una vera conoscenza è vivere e convivere,
una compagnia vivace che, attraverso esperienze multiple e molteplici segni,
permette di arrivare a quello che Giussani chiama «la certezza morale» o, ancor più
bello, «la certezza esistenziale». (…) La fede è, precisamente, una applicazione
particolare del metodo della certezza morale o esistenziale, un caso particolare di
fiducia nell’altro, nei segni, negli indizi, nelle convergenze, nella testimonianza di
altri. Nonostante ciò, la fede non è contraria alla ragione. Come tutti gli atti
35
Ibid., 180.
36
Ibid., 183.
18
tipicamente umani, la fede è ragionevole, cosa che non implica che possa ridursi a
un mero raziocinio37.
L’alternativa è cadere in atteggiamenti irragionevoli, non adeguati alla
ragione dell’uomo, che consistono nello svuotamento delle domande o nella
riduzione delle stesse. Tali atteggiamenti nascono da una erronea postura nei
confronti della vita e portano all’irragionevolezza, ovvero a non prendere in
considerazione tutti i fattori della realtà. Giussani elenca sei posture possibili: la
negazione teoretica delle domande (che sono definite “senza senso”), la sostituzione
volontaristica, la negazione pratica (“non pensarci!”), il sentimentalismo estetico,
la negazione disperata, e l'eliminazione dell'“io” nell’alienazione ideologica.
37
«Quando Bergoglio presentò «Il senso religioso» di Giussani».
38
B. PASCAL, Pensieri, 35.
39
Ibid., 37.
19
5. Idolo e Rivelazione
Il mondo è un segno. La realtà richiama a un'Altra. La ragione, per essere fedele alla
natura sua e di tale richiamo, è costretta ad ammettere l'esistenza di qualcosa d'altro
che sottende tutto, e che lo spiega. Ma se, per natura, l'uomo intuisce l'Oltre, per una
condizione esistenziale, non ci sta, cade. (…) La realtà è segno e desta il senso
religioso. Ma è un suggerimento male interpretato; esistenzialmente l'uomo è spinto a
interpretarlo male: male, cioè prematuramente, impazientemente. L'intuizione del
rapporto col mistero si corrompe in presunzione40.
Per tale ragione l’uomo avverte che è necessario che qualcuno venga a liberarlo
da questa prigionia per insegnargli la corretta strada verso il Mistero. È ciò che
esprime Platone nel suo Fedone:
Pare a me, o Socrate, e forse anche a te, che la verità sicura in queste cose nella vita
presente non si possa raggiungere in alcun modo, o per lo meno con grandissime
difficoltà. (…) Perché in queste cose, una delle due: o venire a capo di conoscere come
stanno; o, se a questo non si riesce, appigliarsi al migliore e al più sicuro tra gli
argomenti umani e con questo, come sopra una barca, tentare la traversata del pelago.
A meno che non si possa con maggiore agio e minore pericolo fare il passaggio con
qualche più solido trasporto, con l'aiuto cioè della rivelata parola di un dio41.
40
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, 195–196.
41
PLATONE, Fedone, Rusconi Libri, Santarcangelo di Romagna 2008, XXXV.
20
che Dio, in qualche modo, entri nella storia dell'uomo come un fattore interno alla
storia, non come una ultima sponda al di là delle apparenze che l'uomo deve trapassare,
ma una presenza dentro la storia, che parla come parla un amico, un padre, una madre,
questa è la rivelazione cui aspirava il Fedone di Platone. Questa è l'ipotesi eccezionale,
questa è la rivelazione in senso stretto: lo svelarsi del mistero attraverso un fattore
della storia42.
Ma è possibile che Dio entri nella storia e parli all’uomo come ad un amico? È
conveniente? Giussani, seguendo San Tommaso, risponde di sì: è possibile, perché
Dio è onnipotente e negarlo sarebbe idolatria, ed è conveniente. Il libro de Il senso
religioso termina con due condizioni per una possibile Rivelazione, quasi fornendo
un punto di aggancio per riprendere il discorso nel libro successivo All’origine della
pretesa cristiana. La Rivelazione, se c’è stata o se ci sarà, dovrà essere
comprensibile all’uomo e non dovrà ridurre il Mistero, ma approfondirlo. La
posizione veramente umana è quella sintetizzata da Kafka nella citazione con cui
Giussani chiude il suo libro: “Anche se la salvezza non viene, voglio però esserne
degno a ogni momento”43.
42
L. GIUSSANI, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, 202.
43
La frase è di Franz Kafka, ed è riportata in G. JANOUCH, Colloqui con Kafka, Aldo
Martello Editore, Milano 1964, 79.
21
44
J. RIES, «Centomila anni di fede nell’aldilà», 2015, in
https://www.avvenire.it/agora/pagine/centomila-anni-do-fede-aldila [26-4-2019].
22
Nel corso della sua ricerca Ries identifica la manifestazione della religiosità
nella capacità di produrre simboli che fanno da mediatori con una realtà
Trascendente e che si esprimono principalmente attraverso i manufatti, le sepolture
e le pitture. Oltre al Simbolo Ries evidenzia altre due costanti stabili della
esperienza religiosa, il Mito ed il Rito.
L'Homo erectus si è trovato di fronte alla prima ierofania, rivelata alla sua
coscienza attraverso il simbolismo della volta celeste. Non abbiamo qui forse la
chiave di un fatto quasi universale nella storia del pensiero dei popoli, la fede in un
Essere divino celeste, creatore dell'Universo e garante della fecondità della Terra?46
45
J. RIES, Alla ricerca di Dio. La via dell’antropologia religiosa., Jaca Book, Milano
2009, XXII.
46
Ibid., 61.
24
di sepoltura dei defunti, i cui crani sono spesso spaccati alla base, forse per il fatto
che la testa era considerata il luogo dove risiedeva l’anima. Il corpo del defunto è
spesso protetto da lastre e disposto secondo un preciso orientamento: a volte è
rivolto a Oriente, forse a significare che l’anima del defunto si dirige verso il sorgere
del Sole di una nuova vita, altre volte è posizionato in forma embrionale, simbolo
della nascita alla nuova vita. Il bisogno degli ornamenti funebri diventa man mano
sempre più forte: offerte di tipo alimentare, forse per aiutare il defunto nel viaggio
verso l’altro mondo, trofei di animali, vari tipi di utensili e suppellettili varie, come
conchiglie, denti, gioielli e statuette. In particolare, ci sono molti casi di
ritrovamenti di conchiglie incastonate negli occhi dei defunti, forse per conferire al
morto la capacità di vedere nell’altra vita. In molte tombe si ritrova, inoltre, l’uso
del colore ocra rosso, la cui lavorazione richiede un processo particolarmente
complesso: questo colore è forse usato per il suo rimando al colore del sangue,
simbolo della vita. Tutti questi elementi mostrano una credenza molto radicata, in
varie zone geografiche, da parte dell’Homo sapiens in una vita che va al di là della
morte.
47
Ibid., 245.
25
48
Ibid., 64.
49
CL. BARRIERE, Le thème du serpent à Rouffignac, in E. ANATI (a cura di),
Prehistoric Art and Religion. Valcamonica Symposium '79, Centro Camuno et Jaca Book,
Milano 1983, pp. 323-330.
50
J. RIES, Alla ricerca di Dio. La via dell’antropologia religiosa, 65.
26
A partire da tutti questi dati J. Ries arriva alla dimostrazione della sua tesi:
homo naturaliter religiosus. L’universalità del fenomeno religioso appoggia su dati
paleontologici inequivocabili: ove c’è l’uomo, là c’è religiosità. Per cui chiedersi
quando è nata la religione, equivale a chiedersi quando è nato l’uomo: le loro origini
si confondo e si fondono insieme nei millenni che ci hanno preceduto. Infatti, alcuni
dei segni di discrimine tra l’uomo e le forme di vita precedenti sono proprio la
sepoltura e l’arte simbolica, entrambe usate a scopi religiosi.
27
Una conclusione che lo storico delle religioni trae dalla copiosa documentazione
trovata, catalogata, analizzata e presentata dagli specialisti della paleoantropologia,
è la seguente: a partire dall'emergere della sua coscienza e nel fatto stesso del suo
emergere, l'uomo si presenta come uomo religioso. Perciò, nella storia dell'umanità,
l'uomo religioso è l'uomo normale51.
3. Simbolo
Il simbolo, dal greco σύμβολον, deriva dalle radici σύν e βάλλω e significa,
letteralmente, “mettere insieme”. Il simbolo consiste in una realtà concreta, un
oggetto o una parola, che rimanda ad un’altra realtà più astratta, che non si può
percepire direttamente o per via concettuale. L’oggetto concreto diventa così il
significante che rimanda al significato che evoca, per rapporto naturale o
51
Ibid., 61.
52
Ibid., 250.
28
Mircea Eliade ha evidenziato che l’uomo prende coscienza del Sacro nel
momento in cui esso si manifesta, ovvero nel momento della ierofania.
53
Ibid., XIII.
29
quello che dice; non esprime nulla di più di quanto implichi il suo significato
etimologico, e cioè che qualcosa di sacro si mostra a noi54.
quando l’uomo (…) prende due sassi e col secondo modifica la forma del primo,
nasce l’idea. C’è un progetto che riguarda il futuro. Il primo oggetto fabbricato
dall’uomo è già un simbolo sacro. D’altronde, quando vedo i popoli nativi ed
osservo che i loro gesti sono tutti rituali, non posso pensare che non sia successo lo
stesso con l’uomo primitivo57.
54
M. ELIADE, Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, Torino 2013, 21.
55
Ibid., 39.
56
J. RIES, L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità, Editoriale Jaca Book, Milano
2007, 557.
57
Y. COPPENS, «Il primo uomo? È nato «religiosus»», 2011, in
https://www.avvenire.it/agora/pagine/uomo-religiosus [26-4-2019].
30
delle caverne “sono fatte di personaggi - animali, uomini, donne – che assumevano
il loro senso autentico solo nel momento in cui erano animati da un discorso
dell'iniziatore. Siamo alle radici del pensiero mitico, che è un eminente pensiero
simbolico”58.
La prima di queste scoperte è quella della volta celeste e delle regioni siderali con
il sole, la luna, gli astri. All'uomo arcaico il cielo rivela direttamente la sua
trascendenza, la sua forza, la sua sacralità, senza alcun ricorso, ritiene Eliade, né
all'affabulazione mitica né a una relazione logico-causale. «La contemplazione
della volta celeste, da sola, suscita nella coscienza primitiva un'esperienza
religiosa».59
58
J. RIES, Alla ricerca di Dio. La via dell’antropologia religiosa, 88.
59
Ibid., 80.
31
Nelle varie culture religiose troviamo spesso una montagna sacra come l’Olimpo
greco, i monti indiani Meru e Kailasa, le ziggurat che, nei territori piatti della
Mesopotamia, sostituiscono le montagne, il Sinai, il monte Sion, il Tabor e il
Golgota. L’albero è simbolo del cosmo vivente, racchiudendo in sé tutte le regioni
dell’universo: le radici sono gli inferi, il tronco è la vita terrestre e i rami sono il
mondo celeste. L’acqua è un altro simbolo originario di grande polivalenza
semantica: essa è fonte di vita ma anche di morte, essa purifica e fa rinascere. Legati
alla simbologia dell’acqua sono i fiumi sacri, come il Gange, il Nilo o il Giordano,
o i miti come quello del diluvio universale e della distruzione di una civiltà
inghiottita dall’oceano (si pensi ad Atlantide) e i riti di purificazione come le
abluzioni mussulmane e il battesimo cristiano.
60
Ibid., 102.
61
R. GUARDINI, Accettare se stessi, 72.
32
4. Mito
Il mito, dal greco μύθος, è una narrazione sacra che spiega, in forma
narrativa, le origini del mondo e dell’uomo e come il Sacro si è manifestato lungo
la storia. Secondo P. Ricoeur esso è “un racconto tradizionale che porta ad
avvenimenti giunti all’' origine dei tempi e destinati a fondare l'azione rituale degli
uomini di oggi e, in modo generale, a istituire tutte le forme di azione e di pensiero
attraverso cui l'uomo comprende se stesso nel suo mondo” 63 . Il mito usa un
linguaggio simbolico perché vuole comunicare ad altri la stessa esperienza di
incontro con il Sacro, ed esso può essere compreso solo tramite il simbolo. Il
linguaggio simbolico del mito diventa così una nuova possibilità per una ulteriore
ierofania. “Esso ha la funzione di destare e di mantenere la coscienza di un mondo
diverso dal mondo nel quale si svolge la vita di tutti i giorni”64.
Il mito spiega la personalità e la vita del Sacro e la sua relazione con l’uomo:
l’uomo così capisce il proprio posto nell’universo e può rispondere alle sue
domande sul senso della vita e della morte. La potenza del mito sta proprio nel suo
carattere narrativo e drammatico, che rifugge l’aridità statica del concetto. Una
narrazione, infatti, è simbolica e si presta a molteplici piani di lettura, anche in
epoche diverse, dando luogo a possibili ulteriori ierofanie. “Il mito spiega
simbolicamente e dunque fa vedere, rivela come eventi primordiali abbiano fondato
le strutture del reale. Rivela questa ontologia in modo drammatico, cioè non
concettuale”65.
62
J. RIES, Alla ricerca di Dio. La via dell’antropologia religiosa, 104–105.
63
Ibid., 116.
64
Ibid., 109.
65
Ibid., 122.
33
Esiste una vasta gamma di tipologie di miti. I più importanti sono i miti
cosmogonici, che costituiscono l’ossatura della storia santa dei popoli, rivelando il
dramma della creazione del cosmo e dell’uomo e i principi che reggono il processo
cosmico. I miti eziologici che narrano e giustificano situazioni che esistono di fatto,
come l’esistenza di istituzioni, di città o di norme civiche. I miti escatologici
raccontano di catastrofi come cataclismi, diluvi, terremoti che sono avvenuti nel
passato e che potranno ripetersi nell’avvenire. Infine i miti di rinnovamento
spiegano la necessità dei ritorni periodici delle stagioni, del nuovo anno che ricreino
da capo la vita.
66
Ibid., 109.
67
Ibid., 124.
68
Ibid., 112.
34
5. Rito
69
Ibid., 114.
70
Ibid., 166.
35
Per quanto riguarda la differenza tra i riti religiosi e i riti magici, osserviamo che
la magia è caratterizzata da un desiderio di dominio tramite forze particolari,
cosmiche, mentre la religione si volge verso la trascendenza. I riti religiosi operano
nel contesto delle ierofanie, mentre i riti magici ricorrono a potenze che non sono
in relazione con il sacro72.
Il fattore comune è il rapporto fra il modo in cui la persona ha vissuto, il senso della
sua vita, e quello che succede dopo la morte: c’è una continuità, si prosegue sulla
71
Ibid., 167.
72
Ibid., 166.
36
stessa strada. Questo è così per gli etruschi come per i celti, per i germani come per
i romani e i greci, in Cina, India, Tibet, eccetera. Poi c’è il fattore comune
rappresentato dal rito: per entrare nell’immortalità bisogna compiere dei riti, quasi
sempre dei sacrifici. Sacrifici centrati sul fuoco, originari dell’India, sono molto
diffusi. Il rituale è ovunque decisivo nella preparazione all’immortalità73.
73
R. CASADEI, «Meeting Rimini 2012. Intervista a Julien Ries.», in
https://www.tempi.it/meeting-rimini-2012-intervista-a-julien-ries/ [26-4-2019].
37
Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità
a quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita
umana, ed anzi talvolta vi riconosce la Divinità suprema o il Padre. Questa
sensibilità e questa conoscenza compenetrano la vita in un intimo senso religioso74.
74
Nostra aetate, Edizioni Paoline, Roma 1965, 2.
38
Il punto di incontro tra i due approcci è la comune natura umana. Sia che
l’homo religiosus venga considerato nel suo aspetto oggettivo e storico (Ries), sia
che lo si prenda in considerazione in maniera più esistenziale (Giussani), partendo
dal proprio io, in entrambi i casi sempre di uomo si tratta. Sia Ries che Giussani
evidenziano che lo stupore di fronte alla realtà cosmica (ordinata), è il punto di
partenza per il risveglio della coscienza religiosa nell’uomo. Feuerbach viene
dunque doppiamente smentito: la religione, infatti, è primariamente legata alla vita,
alla bellezza delle cose e allo stupore che la realtà suscita nel cuore umano, agendo
come analogia verso il Mistero. La religione non nasce per esorcizzare la morte ma
come conseguenza dell’affezione per la bellezza della realtà. L’uomo ha avuto
coscienza della vita prima di avere coscienza della morte, compresa come rottura
della vita. Il cosmo e il mondo hanno un’influenza decisiva nell’emergere della
coscienza religiosa sia su un piano esistenziale sia dal punto di vista storico.
Nella catechesi con i bambini più piccoli bisogna evitare ogni infantilismo
e banalità, oggi invece dilaganti. Essi, infatti, hanno un cuore da uomini dove
premono già le grandi domande della vita su cui si sono arrovellati i filosofi di tutte
le epoche. Sarebbe però poco fruttuoso affrontare l’argomento dell’apertura verso
Dio in un’ottica soggettiva ed esistenziale, in quanto questo linguaggio è ancora
lontano dal loro modo di interrogarsi sull’esistenza. I bambini, invece, sono
affascinati da un approccio più oggettivo, che mostri loro come sono le cose e che
li porti alla scoperta della verità del mondo. La domanda sulle origini dell’universo
e dell’umanità è sempre una tappa di apprendimento affascinante: il Big Bang, i
dinosauri, gli uomini primitivi sono argomenti che catturano il desiderio di
conoscere anche dei più piccoli. Presentare il senso religioso dell’uomo, a partire
proprio da un approccio oggettivo che si concentri sulle prime tappe della storia
dell’umanità, risulta molto affascinante e mette le basi solide per poter parlare della
Rivelazione di Dio.
BIBLIOGRAFIA
GIUSSANI, L., Il rischio educativo, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 2016.
–––, Il senso religioso. Volume primo del PerCorso, BUR, Milano 2003.
–––, Il tempo e il tempio. Dio e l’uomo, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano
1995.
RIES, J., Alla ricerca di Dio. La via dell’antropologia religiosa., Jaca Book,
Milano 2009.
41
–––, L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità, Editoriale Jaca Book, Milano
2007.
La domanda di Dio oggi, Libreria Edictrice Vaticana, Città del Vaticano 2012.
INDICE
I. INTRODUZIONE ................................................................................................2
II. LUIGI GIUSSANI...............................................................................................4
1. Ragioni di un percorso: riallacciarsi all’uomo .........................................4
2. Natura del senso religioso ........................................................................6
3. Stupore e mistero ....................................................................................10
4. Libertà, educazione, comunità ...............................................................15
5. Idolo e Rivelazione .................................................................................19
III. JULIEN RIES...................................................................................................21
1. Ragioni di una ricerca: homo religiosus .................................................21
2. La percezione del sacro nel corso della storia ........................................22
3. Simbolo ..................................................................................................27
4. Mito ........................................................................................................32
5. Rito .........................................................................................................34
IV. CONCLUSIONE: INTEGRAZIONE DEI DUE METODI ............................37
BIBLIOGRAFIA ...................................................................................................40