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94
a cura di
Marco SETTEMBRINI
PEETERS
LA PURITÀ E IL CUORE DELL’UOMO
CAHIERS DE LA REVUE BIBLIQUE
94
a cura di
Marco SETTEMBRINI
PEETERS
LEUVEN – PARIS – BRISTOL, CT
2019
A Catalogue record for this book is available from the Library of Congress.
© 2019 – Peeters, Bondgenotenlaan 153, B-3000 Leuven.
ISBN 978-90-429-3957-8
eISBN 978-90-429-3958-5
D/2019/0602/60
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Introduzione
Marco SETTEMBRINI
1. ETIMOLOGIA E PARENTELE
1
H. FRISK 1954, 752; P. CHANTRAINE 1970, 479.
2
W. BURKERT 1975, 77.
3
E. SCHWYZER 19593, 260.
8 PIETRO ROSA
4
F. HOESSLY 2001, 5. Lo studio mira a definire con esattezza il concetto di catarsi
in Aristotele muovendo dai due àmbiti a cui il filosofo attinge: i culti religiosi e la
medicina ippocratica. Si articola dunque in tre parti, rispettivamente intitolate Reinigung
beiHomer (15-96), Kultish-rituelleReinigungvonKrankheit(97-244), κάθαρσιςim
CorpusHippocraticum (245-314).
5
R. PARKER 1983, 20-21.
10 PIETRO ROSA
all’altra6, a partire dalla sua forma più semplice, che consiste nel
lavaggio delle mani prima di compiere offerte e sacrifici, per arrivare
poi ai bagni e ad indossare abiti nuovi e puliti (così Penelope, prima
di fare un’offerta ad Atena in Odissea IV 758-761), tutti gesti che
contribuiscono alla preparazione di un atto di culto. Anche persone
che prendono parte ad un’azione rituale o oggetti utilizzati nel suo
contesto possono essere purificati: Achille purifica con lo zolfo e poi
lava in acqua corrente una coppa utilizzata per libare a Zeus (IliadeXVI
225-230). Particolare rilievo assume nel mondo greco la purificazione
da qualche contaminazione (μίασμα), che non si può rimuovere come
fosse una semplice sporcizia, ma richiede un processo particolare e
che diviene effettiva dopo un certo periodo di tempo, in quanto non
interessa solamente l’àmbito fisico, ma anche quello metafisico, rien-
trando nella più generale convinzione, attestata in tutta l’antichità fin
dai poemi omerici, per cui le malattie provengono dalla divinità come
punizione di una colpa7. In tal senso la contaminazione si configura
come un atto sacrilego, ad esempio il matricidio di Clitennestra com-
messo da Oreste, per cui l’uccisore viene perseguitato dalle Erinni,
costretto ad andare in esilio e privato di contatti sociali fino al
momento della sua purificazione. Questo tipo di purificazione è sicu-
ramente attestato in età post-omerica, mentre gli studiosi sono divisi
sulla possibilità di individuarne la presenza anche in Omero, dove in
effetti un rituale di purificazione di sangue con sangue non sembra
presente. In Omero sono invece sicuramente attestate forme di puri-
ficazione da malattie traumatiche e non traumatiche: indagando le
figure di Podalirio e Macaone, i due figli di Asclepio incaricati di
curare gli Achei feriti sotto le mura di Troia, gli studiosi hanno osser-
vato come essi, prima di ripulire una ferita, utilizzino incantesimi e
purificazioni, in modo tale che appare difficile capire se distinguano
chiaramente tra intervento sanitario e purificazione rituale, lasciando
trasparire la possibilità che tali pratiche riflettano influssi sciama-
nici8. Appare interessante l’osservazione di Hoessly9 per cui mentre
l’Iliaderiflette nei due figli di Apollo figure specialistiche in malattie
6
R. PARKER 1983, 20-21; 31.
7
Cf. I. MAZZINI 1998, 160, secondo cui «la convinzione che le malattie provengano
dalla divinità, come punizione di un peccato, risulta documentata in tutta l’antichità
greca e romana, fin dai poemi omerici, sia nella letteratura pagana, sia in quella
cristiana, sia in quella tecnico-medica (in questa in quanto viene combattuta), sia in
quella d’arte, sia nella tradizione mitologica, sia nei documenti epigrafici».
8
Cf. H. LLOYD-JONES 1983, 72.
9
F. HOESSLY 2001, 86.
Καθαρός,καθαίρω,κάθαρσις,καθαρίζωnellaletteraturagreca 11
12
Su Melampo e la vicenda della purificazione delle Pretidi cf. in particolare
G. MARENGHI 1960.
Καθαρός,καθαίρω,κάθαρσις,καθαρίζωnellaletteraturagreca 13
13
E. DODDS 1951, 171. Lo studioso discute la possibilità che il comportamento
degli sciamani sia connaturato «alla composizione psico-fisica umana» e che quindi
simili figure possano essere comparse fra i Greci indipendentemente da influenze stra-
niere, ma formula tre obiezioni contro questa ipotesi: «a) tale comportamento comincia
ad essere attestato fra i Greci allorché il Mar Nero si apre alla colonizzazione greca,
non prima; b) dei primi “sciamani” di cui si abbia notizia, uno è scita (Abari), l’altro
un greco che aveva visitato la Scizia (Aristea); c) vi sono concordanze in partico-
lari concreti fra lo sciamanesimo antico greco-scitico e quello moderno siberiano,
sufficienti a render piuttosto poco probabile l’ipotesi della semplice convergenza».
14
E. DODDS 1951, 185.
14 PIETRO ROSA
contaminata in seguito alla violazione del diritto di asilo nel caso dei
seguaci di Cilone, intorno al 600 a.C. (Aristotele, AthenaionPoliteia
1; Pausania I 14, 4; Plutarco, Vita Solonis 12, 7-12). Significativo
appare tra l’altro che la tradizione gli attribuisca un’opera mistica
dal titolo Καθαρμοί15. Anche Pitagora e i Pitagorici sono variamente
collegati ai concetti di purezza e purificazione, a partire dalla convin-
zione che l’anima dell’uomo sia una divinità decaduta, confinata nel
corpo come in una tomba e condannata ad un ciclo di reincarnazione
uomo-animale/pianta, da cui può liberarsi solo coltivando una purezza
apollinea e purificarsi attraverso lo studio e l’indagine della natura.
In tale sistema di vita la rigida disciplina pitagorica prevedeva – come
noto – diverse forme di purificazione, di cui erano parte il silenzio,
l’esame di coscienza e l’astinenza dalla carne. Interessante a tal pro-
posito è l’affermazione di Aristosseno (fr. 26 Wehrli), secondo cui i
Pitagorici curavano la purezza del corpo attraverso la medicina (διὰ
τῆς ἰατρικῆς), quella dell’anima per mezzo della musica (διὰ τῆς
μουσικῆς). Di una terapia musicale utilizzata dai Pitagorici come
strumento di purificazione ci informano anche altre fonti, a partire da
Giamblico (Vita Pithagorica 65; 110-112; 114; 164), che pone tra
l’altro in relazione questa forma terapeutica con particolari momenti di
passaggio, come quello tra il giorno e la notte o anche tra l’inverno e
la primavera, ennesimo punto di contatto con gli scritti ippocratici, nei
quali ricorre con frequenza la raccomandazione di procedere a flebo-
tomie o somministrazione di purghe, per i pazienti che ne abbiano
necessità, nella stagione primaverile: ὁκόσοισι φλεβοτομίη ἢ φαρ-
μακείη ξυμφέρει, τούτους τοῦ ἧρος φαρμακεύειν ἢ φλεβοτομεῖν
(Aphorismi6, 47, cf. DemorbisII 15, 4).
Molte caratteristiche degli ἰατρομάντεις di età arcaica, come pure
aspetti evidenti degli iniziatori ai culti orfici (ὀρφεοτελεσταί) si
ritrovano anche in Empedocle, aristocratico di Agrigento che visse
nel V secolo e fu filosofo, scienziato, poeta, ma anche mistagogo e
guaritore. Dalla sua opera principale, il poema in esametri Περὶ
φύσεως, di cui ci sono conservati circa 350 versi, come da alcuni altri
frammenti di un secondo poema intitolato Καθαρμοί, emergono
15
Sulla figura di Epimenide già le fonti antiche mostrano di avere ben poche
certezze: se Aristotele (Athenaion Politeia 1) sostiene che la sua venuta ad Atene
fosse legata alla purificazione dopo i fatti di Cilone, Platone (Leggi 642d) afferma
invece che sarebbe venuto per scongiurare un attacco dei Persiani e Diogene Laerzio
(1, 110) sostiene che gli Ateniesi lo mandarono a prendere a Creta in quanto un
oracolo della Pizia aveva prescritto di purificare Atene colpita da una pestilenza.
Cf. in particolare G. PUGLIESE CARRATELLI 1990, 365-377.
Καθαρός,καθαίρω,κάθαρσις,καθαρίζωnellaletteraturagreca 15
16
B. FARRINGTON 1949.
16 PIETRO ROSA
17
Su Orfeo e l’orfismo resta ancora fondamentale E. DODDS 1951, in particolare
186-209. Cf. inoltre, sulle pratiche di vita e riti e misteri orfici, G. PUGLIESE CARRA-
TELLI 1990, 391-419; F. HOESSLY 2001, 198-223. Per lo studio delle fonti su Orfeo e
l’orfismo, cf. G. PUGLIESE CARRATELLI 2001.
Καθαρός,καθαίρω,κάθαρσις,καθαρίζωnellaletteraturagreca 17
18
E. DODDS 1951, 106, che osserva come dall’analogia tra la cura coribantica e
quella dionisiaca si può dedurre che entrambi i culti «si rivolgevano a tipi psicologici
simili e producevano reazioni psicologiche simili».
19
E. DODDS 1951, 101.
20
Cf. ora al riguardo G. UGOLINI 2012.
Καθαρός,καθαίρω,κάθαρσις,καθαρίζωnellaletteraturagreca 19
21
Cf. ad esempio S. HALLIWELL 2003.
22
D. GUASTINI 2010, 167.
23
Cf. S. FELICI 1998, in particolare 81-84, in cui si traccia un quadro sintetico del
passaggio dalla concezione della medicina magica nella civiltà classica a quella
razionalistica tesimoniata nel CorpusHippocraticum.
20 PIETRO ROSA
dagli studiosi24 tra la fine del V e l’inizio del IV secolo, in cui, ragio-
nando sull’epilessia e le sue caratteristiche, l’autore afferma che tale
morbo non gli sembra né più divino né più sacro rispetto ad altre
affezioni e che la sua presunta natura divina è dovuta soltanto alla
singolarità dei sintomi con cui essa si manifesta, come pure all’inca-
pacità di comprenderne le cause da parte di chi lo cura facendo ricorso
a purificazioni e incantamenti (καθαρμοῖσί τε ... καὶ ἐπαοιδῇσιν,
1,2), ossia con modalità tipiche delle purificazioni rituali, incantesimi
o formule magiche che il medico ippocratico rifiuta, in quanto espres-
sioni di superstizione. Ad esse viene invece qui contrapposta una let-
tura scientifica della malattia, basata sulla ricerca della sua origine
naturale (φύσις) e della sua causa occasionale o scatenante (πρόφα-
σις), respingendo quindi qualsiasi ipotesi di straordinarietà in grado
di giustificarne la definizione di “morbo sacro”, anche in virtù dell’e-
sistenza di tante altre malattie che nessuno considera sacre e che sono
ugualmente straordinarie e prodigiose (ad esempio le febbri quoti-
diane, terzane o quartane). Il medico autore del trattato ritiene infatti
che i primi ad avere rilevato i sintomi dell’epilessia siano i responsa-
bili dell’idea che essa abbia un’origine divina. Costoro non vengono
elogiati – come invece avviene di norma nella letteratura del V sec.
per i πρῶτοι εὑρηταί, di solito considerati benefattori dell’umanità –
ma paragonati in senso spregiativo a «maghi, purificatori, accattoni e
ciarlatani» (μάγοι τε καὶ καθάρται καὶ ἀγύρται καὶ ἀλαζόνες, 1,4)25.
In tale sequenza, accanto a termini impiegati con un valore aper-
tamente negativo (i μάγοι si dedicano a pratiche illusionistiche, gli
ἀγύρται sono questuanti girovaghi, gli ἀλαζόνες sono vagabondi fan-
faroni e vanagloriosi), ricorre anche il riferimento ai καθάρται, sacer-
doti o guaritori dediti alle purificazioni, visti qui come rappresentanti
di una concezione antiscientifica e antirazionalistica della pratica
medica, accostati come sono a soggetti che nascondono la loro igno-
ranza e incapacità di trovare cure opportune dietro il pretesto che la
Cf. G. LANATA 1967, 40-44, che discute nel dettaglio etimologia e interpreta-
25
zioni di questi singoli termini: con μάγοι «i Greci in origine indicavano semplice-
mente e propriamente i sacerdoti Persiani» (40), ἀγύρται «erano coloro che racco-
glievano mendicando doni per qualche scopo, soprattutto sacerdoti mendicanti e
vaganti, i più famosi dei quali, i μητραγύρται, erano collegati al culto di Cibele;
ed ἀλαζών era sentito in rapporto etimologico con ἀλᾶσθαι, “vagabondare”» (41).
Se poi si intende la malattia come «l’invasione di forze esterne, divine e demoniche,
se è una polluzione, μίασμα, la guarigione non potrà essere operata che da una puri-
ficazione rituale» (42).
Καθαρός,καθαίρω,κάθαρσις,καθαρίζωnellaletteraturagreca 21
26
Cf. G. MALONEY-W. FROHN 1986.
22 PIETRO ROSA
27
Cf. P. COSMACINI 2015.
Καθαρός,καθαίρω,κάθαρσις,καθαρίζωnellaletteraturagreca 23
28
Cf. F. HOESSLY 2001, 259.
24 PIETRO ROSA
(De sterilibus 217), che può essere ottenuta per mezzo di apposite
supposte, con acqua oppure semplicemente utilizzando farmaci assunti
per via orale. Nel Corpussono infine presenti anche forme ulteriori
e particolari di purificazione come quella che si ottiene attraverso la
respirazione stimolata passeggiando o compiendo esercizi ginnici
(DevictusrationeII 62,4) o ancora quella ottenuta con il sudore di
saune e bagni di vapore, la cosiddetta κάθαρσις διὰ τοῦ χρωτός ricor-
data ad esempio in DevictusrationeIV 89,3.
29
S. FORTUNA 2012, 165-167.
Καθαρός,καθαίρω,κάθαρσις,καθαρίζωnellaletteraturagreca 25
30
I. MAZZINI 1998, 161.
26 PIETRO ROSA
31
R. PARKER 1983, 214.
Osservazioni sull’impiego di καθαρός κτλ.
nei Settanta
Marco SETTEMBRINI
1
Gen 7,2. 3. 8; 8,20; 20,5. 6; 24,8; 44,10; Es 25,11. 17. 23. 28. 29. 31. 36. 38.
39; 27,20; 28,13. 14. 22. 36; 30,3. 4. 35; 31,8; 36,22. 37; 38,2. 9. 25; 39,16;
Lv 4,12; 6,4; 7,19; 10,10; 11,32. 36. 37. 47; 13,6. 13. 17. 34. 37. 39. 40. 41. 58;
14,4. 7. 8. 9. 49. 53; 15,8. 12. 13; 17,15; 20,25; 22,7; 24,2. 4. 6. 5. 7; Nm 5,17. 28;
8,7; 9,13; 18,11. 13; 19,3. 9. 12. 18. 19; Dt 12,15. 22; 14,11. 20; 15,22; 23,11; 1
Regni 20,26; 2 Cr 3,4. 5. 8; 4,16. 20. 21; 9,15; 13,11; 2 Esd 2,69; 6,20; 12,20;
Gdt 10,5; 12,9; Tb 3,14; 8,15; 13,17; 2 Mac 7,40; Sal 23,4; 50,12; Pro 8,10; 12,27;
14,4; 20,9; 25,4; Qo 9,2; Job 4,7. 17; 8,6; 9,30; 11,4. 13. 15; 14,4; 15,15; 16,17;
17,9; 22,25. 30; 25,5; 28,19; 33,3. 9. 26; Sap 7,23; 14,24; 15,7; Ab 1,13; Zac 3,5;
Mal 1,11; Is 1,16. 25; 14,19. 20; 35,8; 47,11; 65,5; Ger 4,11; Ez 22,26; 36,25;
44,23; Sus 1,46; Dn 7,9.
2
Gen 35,2; Es 20,7; 29,36. 37; 30,10; 34,7; Lv 8,15; 12,7. 8; 13,6. 7. 13. 17.
23. 28. 34. 35. 37. 59; 14,2. 4. 7. 8. 11. 14. 17. 18. 19. 20. 23. 25. 28. 29. 31. 48. 57;
15,13. 28; 16,19. 20. 30; 22,4; Nm 6,9; 8,15; 12,15; 14,18; 30,6. 9. 13; 31,23. 24;
Dt 5,11; 19,13; Gs 22,17; 1 Regni 20,26; 4 Regni 5,10. 12. 13. 14; 2 Cr 29,15; 34,3.
5. 8; 2 Esd 6,20; 22,30; 23,9. 22. 30; Gdt 16,18; 1 Mac 4,36. 41. 43; 13,47. 50;
2 Mac 2,18; 10,3. 7; 14,36; 4 Mac 1,11; 17,21; Sal 11,7; 18,13. 14; 50,4. 9; Pro 25,4;
Gb 1,5; Sir 23,10; 34,4; 38,10. 30; Os 8,5; Mal 3,3; Is 53,10; 57,14; 66,17;
Ger 13,27; 32,29; 40,8; Ez 24,13; 36,25. 33; 37,23; 39,12. 14. 16; 43,26; 44,26;
Dn 8,14; 11,35.
3
Es 29,36; 30,10; Lv 14,32; 15,13; Nm 14,18; 1 Cr 23,28; Ne 12,45; 2 Mac
1,18. 36; 2,16. 19; 10,5; 4 Mac 7,6; Sal 88,45; Pro 14,9; Gb 7,21; Sir 51,20; Dn 12,6.
4
Es 24,10; 2 Sam 22,21. 25; Sal 17,21. 25; Sir 43,1.
5
Lv 12,4. 6; Ger 32,29; Ez 15,4.
6
2 Sam 4,6; Is 28,27.
28 MARCO SETTEMBRINI
7
Si vedano Gen 24,8; 44,10; Es 20,7; 34,7; Gb 4,7.17; Sal 18(19),12. 13;
Is 1,16; Dn 7,9 (con nqh), Es 27,20; Lv 24,2. 7; Gb 8,6; 11,4; 15,15; 16,17; 33,9;
Is 1,16; Lam 4,7 (con zkk), Es 24,10; Gb 9,30; 22,30; Sal 23(24),4; Pro 14,4; Is 1,25
(con brr).
8
Si vedano Gb 4,17; Dn 8,14 (con ṣdq), Gen 20,5. 6 (con tmm).
9
In merito alla metafora metallurgica, si veda N. AMZALLAG 2013, in part. 158-
162 con puntuali riferimenti a Es 22,18. 20; 24,11; Is 31,9; 48,10; Ger 6,27-30;
9,6.
10
Cf. H.W. SMYTH 1920, § 1392.
Καθαρόςκτλ.neiSettanta 29
11
Cf. J. BARTON 2017, 185-190.
30 MARCO SETTEMBRINI
15
Νόμιμον αἰώνιον εἰς τὰς γενεὰς ὑμῶν· διαστεῖλαι ἀνὰ μέσον τῶν ἁγίων καὶ
τῶν βεβήλων καὶ ἀνὰ μέσον τῶν ἀκαθάρτων καὶ τῶν καθαρῶν· καὶ συμβιβάσεις
τοὺς υἱοὺς Ἰσραὴλ πάντα τὰ νόμιμα, ἃ ἐλάλησεν κύριος πρὸς αὐτοὺς διὰ χειρὸς
Μωυσῆ. Cf. Lv 11,47.
16
La comune traduzione con «lebbra» del termine ebraico ṣāra‘at deriva dalla
Vulgata (lepra) che ricalca i Settanta. In greco, tuttavia, λέπρα è usato da Ippocrate
e poi da Galeno nella diagnosi di diverse malattie cutanee, per la psoriasi e per
infezioni da funghi della pelle. La lebbra vera e propria, indicata dal termine ἐλεφα-
ντίασις, non fu probabilmente conosciuta nel Vicino Oriente antico sino all’epoca
ellenistica quando fu portata dall’India dagli eserciti di Alessandro Magno. La con-
fusione con lepra, ricondotta al medico arabo Giovanni di Damasco, comincia nel
IX sec. d.C. I testi di Levitico riflettono piuttosto i sintomi di dermatiti desquamative,
riconosciuti per analogia nei processi di distacco degli intonachi e di formazione di
muffe nelle case e nei tessuti. Per ulteriori approfondimenti si veda J. MILGROM 1991,
816-824.
17
La materia contenuta in Lv 11–15 è scandita da brevi sommari conclusivi con
il medesimo incipit (οὗτος ὁ νόμος), rinvenibili in 11,46-47; 12,7b; 13,59; 14,54-57;
15,32-33.
32 MARCO SETTEMBRINI
18
Ulteriori caratteristiche della lingua di Levitico sono esposte in A. VOITILA
2015, 45-50 e I. HIMBAZA 2016. In merito al lessico cultuale restano poi utilissimi
J. CASABONA 1966 e S. DANIEL 1966.
Καθαρόςκτλ.neiSettanta 33
Nelle parole di Mosè la puerpera (Lv 12) è impura per sette giorni
(il doppio nel caso abbia partorito una femmina) e deve restare appar-
tata come per i giorni del ciclo mestruale (κατὰ τὰς ἡμέρας τοῦ
χωρισμοῦ τῆς ἀφέδρου αὐτῆς, v. 2), dopodiché deve evitare di
venire a contatto con cose sante per altri trentatré giorni (il doppio nel
caso abbia partorito una femmina). Contaminata da «sangue impuro»
(vv. 4. 5) e «dalla sorgente del suo sangue» (ἀπὸ τῆς πηγῆς τοῦ
αἵματος αὐτῆς, v. 7), è infine invitata a offrire un sacrificio con il
quale il sacerdote tornerà a renderla pura. Come si vede, l’impurità
comporta anche in questo caso una purificazione che avviene in più
giorni, richiede l’attenta osservanza della persona interessata (la puer-
pera) ma pure l’intervento del sacerdote. La κάθαρσις (vv. 4. 6)
rimanda a un processo di purificazione.
Il ruolo del sacerdote è pure cruciale nella diagnosi di una «piaga
di lebbra» (ἁφὴ λέπρας), ovvero di una «ulcera di comparsa evi-
dente» (οὐλὴ σημασίας τηλαυγής, Lv 13,2). Osservandone la cute,
egli «dichiara impuro» (μιανεῖ) o, viceversa, mondo (καθαριεῖ)
l’uomo segnalatogli (vv. 3-44). Come si ripete a più riprese, egli deve
«vedere» (ἰδεῖν), «segregare» l’impuro (ἀφορίζειν) finché, guarita
la ferita (v. 37), dopo essere rimasto con le vesti senza lacci, a capo
scoperto ma con la bocca velata, potrà finalmente, lavate le vesti,
ritornare in comunità. Il ministro dell’altare deve quindi apprendere
come osservare particolari macchie che comparissero su lana, stoppa
o pelle, deciderne la dismissione fino a che non siano libere da chiazze
sospette e lavate (vv. 47-59).
Ulteriori indicazioni sono aggiunte in merito alle procedure di
purificazione per «lebbra» di un uomo o di una casa (Lv 14). Colui
che purifica è sempre il sacerdote (καθαρίζων) e il malato è colui che
deve essere purificato (καθαριζόμενος). Se la piaga, esaminata dal
sacerdote fuori dell’accampamento, sarà trovata guarita, per il «leb-
broso» che è stato dichiarato puro (τῷ κεκαθαρισμένω), si compirà
la purificazione con due uccelli vivi, puri, legno di cedro, filo scar-
latto e issopo (v. 4).19 L’uomo sarà asperso sette volte con sangue e
19
Gli uccelli selvatici – e non domestici come le colombe che possono rientrare
a casa – devono portare via l’impurità e svolgere una funzione analoga a quella del
capro espiatorio di Lv 16,22. Il rituale, derivato verosimilmente dal passato non
yahwista dell’antico Israele e raffrontabile con pratiche mesopotamiche, presuppone
un valore magico del legno. Il legno di cedro, così come il filo scarlatto, è scelto in
particolare per il suo colore rosso sangue, simbolo della vita: si deve con questo
vincere il biancore pallido della «lebbra». L’issopo, diversamente, è utilizzato per
aspergere. Cf. MILGROM, 834-836.
34 MARCO SETTEMBRINI
20
Olio e sangue posseggono una forza apotropaica, pure riscontrata in analoghe
fonti egiziane (MILGROM, 854-855).
Καθαρόςκτλ.neiSettanta 35
21
L’annuncio del «lavaggio», quale metafora dell’espiazione dei peccati è appro-
fondita, a partire da Is 1,2-20; 4,2-6; Ger 2,20-25; 4,11-20, in L.R. DIFRANSICO
2016, 29-78.
36 MARCO SETTEMBRINI
Per tale ragione, come si ripete nel Levitico, è e deve rimanere santo
perché il suo Dio è santo (ἅγιοι ἔσεσθε ὅτι ἐγὼ ἅγιος κύριος ὁ θεὸς
ὑμῶν, Lv 19,2). Allorché trasgredisce i comandamenti mosaici, e il
primo in particolar modo («Non avrai altri dèi all’infuori di me»,
Es 20,3), si contamina. Nel linguaggio di Ezechiele, il libro più pros-
simo alla teologica di Levitico, le infrazioni delle leggi divine conta-
minano (Ez 14,11; 20,43) e la corruzione di Israele deriva dal travia-
mento procurato dagli idoli stranieri (Ez 20,7; 22,3. 5; 23,7; 37,23).
Al modo in cui una donna che subisce violenza da un uomo è consi-
derata contaminata (Gen 34,5; Ez 18,6), Gerusalemme si è lasciata
macchiare da egiziani, assiri e babilonesi pur essendo la sposa del
Signore (Ez 16,8. 26. 28; 23,17). Accogliendo profferte straniere,
concludendo nuovi patti e assecondando usi culturali e religiosi estra-
nei, si è gradualmente separata dal suo Dio, i suoi sacerdoti hanno
cessato di distinguere tra sacro e profano, tra puro e impuro (Ez 22,26),
lasciando violare il sabato, il tempio e quindi la terra nel suo insieme
(Ez 23,38; 36,17).22
Il rimedio per il popolo in esilio, relegato appunto in una terra
impura, è logicamente prospettato in una generosa aspersione di
acqua pura: «E spruzzerò sopra di voi acqua pura, e sarete purificati
da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, e vi purificherò»
(Ez 36,25). Il contesto dell’annuncio è presto detto: Israele, incaricato
di mostrare la grandezza di Dio ha fallito e pertanto il nome del
Signore, anziché apparire glorioso, «santo», è ridicolizzato tra le
nazioni. Il Signore decide così di provvedere: «mostrerò santo il mio
grande nome che è stato profanato tra le nazioni, che avete profanato
in mezzo a loro» (v. 23). Si impegna così a rimediare al corso degli
eventi e quindi, se Israele è entrato tra le nazioni, dapprima assimi-
landosi ai loro costumi poi disperdendosi tra le loro terre, ora Dio lo
fa rientrare nella terra promessa (vv. 22. 24). Giunto nella terra
«santa» il popolo deve ritrovare lo stato di purità necessario per
abitarvi e per questo gli è data «acqua pura».23 Tale acqua ha la
funzione dello ὕδωρ ἁγνισμοῦ / ῥαντισμοῦ a cui si accenna in altri
passi (Nm 8,7; 19,9), preparato con le ceneri di una giovenca rossa.
22
Simili denunce del popolo, diventato «impuro» a motivo del suo peccato, sono
accennate anche in Is 64,5; Ger 2,7. 23; 7,30; 19,13; Os 5,3. La contaminazione
procurata dagli idoli si rinviene anche in Gen 35,2; Ger 13,27; 40(33),8.
23
In merito all’adozione di lavaggi per ritrovare la purità si veda J.D. LAWRENCE
2006, 23-42.
Καθαρόςκτλ.neiSettanta 37
24
Il brano riprodotto (vv. 25-27) costituisce il centro del passo (Ez 36,22-32).
Il v. 24 è ripreso infatti al v. 28 («introdurrò nella vostra terra… abiterete sulla
terra»), così come l’avvio è ripreso nella conclusione («Casa di Israele […] non per
voi io agisco […] | non con il vostro aiuto agirò […] casa di Israele», vv. 22. 32).
25
In merito alla terminologia dello spirito di Dio, ovvero dello spirito santo
nell’Antico Testamento si veda il mio «La terminologia dello Spirito nell’Antico Testa-
mento», 2018.
38 MARCO SETTEMBRINI
26
DIFRANSICO, 79-142 indaga questo passo mettendo a fuoco i collegamenti con
Sal 50(51) e Zac 13,1-2.
27
Alcuni commentatori suggeriscono che lo stesso «spirito nuovo» del v. 26 sia
lo «spirito santo» citato al v. 27. Cf. J.E. ROBSON 2006, 242-249.
28
Questa interpretazione si ritrova di fatto nella Regola della Comunità di
Qumran: «Dio purificherà con la sua verità tutte le opere dell’uomo, e purgherà così
la struttura dell’uomo sradicando ogni spirito di ingiustizia dall’interno della sua
carne, e purificandolo con lo spirito di santità da ogni azione empia. Si verserà su di
lui, come acque lustrali, lo spirito di verità contro tutti gli uomini di falsità e la
contaminazione» (1QS IV 20-21, con la trad. di C. MARTONE 2014).
Καθαρόςκτλ.neiSettanta 39
29
«33 E coloro che si danno pensiero per il popolo converranno per molti (καὶ
ἐννοούμενοι τοῦ ἔθνους συνήσουσιν εἰς πολλούς); e cadranno di spada e andranno
40 MARCO SETTEMBRINI
in rovina con questa e per la prigionia e per il saccheggio di giorni saranno macchiati.
34
E quando saranno spezzati raccoglieranno una forza esigua e si raduneranno contro
di loro molti come in una spartizione. 35 E alcuni di coloro che intendono saranno
disposti a purificarsi e a essere prescelti e a essere purificati (καὶ ἐκ τῶν συνιέντων
διανοηθήσονται εἰς τὸ καθαρίσαι ἑαυτοὺς καὶ εἰς τὸ ἐκλεγῆναι καὶ εἰς τὸ καθα-
ρισθῆναι) fino al tempo del compimento. (…) 3 Coloro che intendono risplenderanno
come gli astri del cielo (…)» (Dn 11,33-35; 12,3). Nel Testo Masoretico in Dn 11,33
anziché «andranno in rovina», si legge «nella fiamma» (belehābāhforse inteso come
blhbh); cf. J.A. MONTGOMERY 1927, 460.
Il concetto di «puro» in Filone
Lorenzo FLORI
1. INTRODUZIONE
A proposito dei lemmi καθαρός, καθαίρω, κάθαρσις, καθαρίζω,
l’uso che ne fa Filone è abbastanza ampio e difficile da sintetizzare
in un percorso rigido. Il nostro tentativo è quello di presentare alcune
delle espressioni più interessanti proponendo alcune categorie per
raccogliere questi lemmi. Ma non si tratta certo di un sistema a sca-
tole chiuse: molti di questi significati si intrecciano e si confondono
all’interno della riflessione filoniana che non propone una chiara
riflessione manualistica ma si muove sinuosa tra esegesi e filosofia1.
Καθαρίζω presenta solo tre ricorrenze in Filone (due delle quali nelle
citazioni di Gen 35,2 e Lv 13,12) e in tutte il soggetto dell’azione è
Dio che purifica; 81 sono invece le ricorrenze per καθαίρω e 219 per
καθαρός (κάθαρσις compare invece 39 volte)2.
Molti sono gli utilizzi di queste radici: a volte il linguaggio è
semplicemente una ripresa del linguaggio biblico-liturgico (le ossa
di Giuseppe sono pure, Migr 17) o di alcune formule convenzionali
(come «i purificati quanto alle orecchie», formula dal tono misterico3);
altre volte sono definiti puri il Logos, Mosè (οὗτός ἐστι Μωυσῆς,
ὁ καθαρώτατος νοῦς, Congr 132), l’intelletto, la luce, la sapienza
(Leg 1,77), l’occhio dell’anima (Conf 92), ecc. In questo nostro
1
Per il rapporto tra esegesi e filosofia in Filone l’opera di riferimento è la tesi di
Valentin Nikiprowetzky citata in vari commentari: NIKIPROWETZKY 1977.
2
P. BORGEN 2000, 181-182. Da questo testo prendiamo anche le abbreviazioni
utilizzate in questo articolo per citare i vari trattati di Filone.
3
Si vedano le ricorrenze di Cher 48; Gig 54; Mos 2,114; Spec 4,59. Ciò non
toglie che l’approccio misterico sia contestato da Filone. In Spec 1,319-323 ai disce-
poli di Mosè non è permesso chiudersi in discorsi settari. Certe istruzioni devono
essere fornite alla luce del sole, in piena luce (ἡλίῳ καθαρῷ, Spec 1,321) perché,
aggiunge nel paragrafo successivo, la Natura stessa non nasconde nulla delle cose
più belle: «Forse non vedi che la natura non nasconde nulla delle sue stesse cose
più famose e più belle?» (ἢ οὐχ ὁρᾷς, ὅτι καὶ ἡ φύσις τῶν ἑαυτῆς ἀοιδίμων καὶ
παγκάλων ἔργων οὐδὲν ἀπέκρυψεν). Eppure « malgré sa vive opposition aux
mystères Philon n’éprouve aucun scrupule à utiliser leur vocabulaire. Il applique
ἱεροφάντης non seulement à Moïse (cf. Spec 2,201; 4,177; Virt 75.174), mais à
Dieu lui-même (cf. Somn 1,164) » (S. DANIEL 1975, 33, n. 5).
42 LORENZO FLORI
2. COSMOLOGIA
Un primo linguaggio che riscontriamo nella lettura dei passi inte-
ressati è quello cosmologico. Dio ha creato l’universo e questo è
dunque in qualche modo legato a lui. Certo, ci sono diversi gradi di
vicinanza. Il cielo è, di tutti gli elementi, il più puro (la parte più pura
del tutto come dice Plant 20, τὴν καθαρωτάτην τοῦ παντὸς μοῖραν,
οὐρανόν), è il migliore degli elementi creati perché Dio vi abita
(Opif 27); speciali sono gli astri che non sono solo esseri viventi ma
ciascuno è detto spirito purissimo (καὶ γὰρ ἕκαστος τούτων οὐ
μόνον ζῷον, ἀλλὰ καὶ νοῦς ὅλος δι᾽ ὅλων ὁ καθαρώτατος εἶναι
λέγεται, Somn 1,135). L’aria è in realtà come una città abitata da
esseri (Somn 1,133): ci sono le anime, e tra queste, alcune entrano nei
corpi mortali ma altre «non si curano di avere alcun posto in terra,
ma quelle fra di esse che sono più pure si collocano nella regione più
alta, addirittura in prossimità dell’etere»4 (Plant 14). Queste anime
sono gli angeli (noti presso i greci come eroi). La creazione proviene
da una materia che all’inizio, nel momento in cui Dio separa terra e
acqua, è ancora pura («la materia costitutiva degli esseri che nascevano
era senza mescolanza, genuina, pura [καθαράν]», Opif 136) e da que-
sta materia si trae la parte più pura (ἐκ καθαρᾶς ὕλης τὸ καθαρώτα-
τον, Opif 137) per creare l’uomo che è tempio dell’anima razionale
(ψυχῆς λογικῆς). Ciò con cui Dio crea è il Logos, che è elemento
purissimo («Questo Logos è di natura fine, così da poter pensare ed
essere pensato; di natura assai lucente e pura, sì da attrarre lo sguardo
[…] Il Logos di Dio sovrasta tutto l’universo, è il primo nato e il più
universale di tutti gli esseri creati», Leg 3,170. 175). Questo Logos è
alla base della creazione. Come il Logos determina e muove l’uni-
verso, così l’intelletto muove tutte le parti dell’uomo. Filone passa
così da una lettura cosmologica ad una più antropologica5.
4
Per gli autori delle traduzioni si invita a considerare i testi riportati in bibliografia:
ricordiamo che i curatori di tali edizioni si possono essere avvalsi della traduzione di
altri colleghi.
5
E viceversa a partire da considerazioni antropologiche propone spunti per la sua
cosmologia. Per esempio, a partire dall’invisibilità della nostra mente, può parlare
dell’esistenza di un re invisibile che è alla base della creazione (Abr 74). In realtà, il
Ilconcettodi«puro»inFilone 43
3. ANTROPOLOGIA
È quanto troviamo ben definito in Her 87-88. In questo paragrafo
Filone sta commentando il passo in cui Dio dice ad Abramo di con-
tare le stelle e aggiunige «Così sarà la tua discendenza» (Gen 15,5).
Il «così» non riguarda il numero, ma la qualità di questi futuri uomini,
che hanno dunque un ché di celeste perché sono i sapienti:
Egli dice che sarà «così», cioè come l’etere visibile; «così», cioè celeste;
«così», cioè piena di luce trasparente e pura (οὕτως αὐγῆς γέμον
ἀσκίου καὶ καθαρᾶς οὐρανοῦ), giacché nel cielo non c’è notte e nell’e-
tere non c’è tenebra, simile in sommo grado alle stelle, ben ordinata,
seguace di un ordine indefettibile, che si mantiene immobile ed identico
a sé. | Infatti, Egli vuol far vedere che l’anima del sapiente è un’imita-
zione del cielo (ἀντίμιμον οὐρανοῦ), o per dirla con una immagine
iperbolica, che è un cielo sulla terra, perché in lei, come nell’etere, ci
sono realtà pure (οὐρανὸν ἐπίγειον... τὴν τοῦ σοφοῦ ψυχὴν ἔχουσαν
ἐν ἑαυτῇ καθάπερ ἐν αἰθέρι καθαρὰς φύσεις), movimenti ordinati,
danze armoniose, divine rivoluzioni, raggi di virtù in sommo grado
simili a stelle e luminosissimi. E se nessuno riesce a contare il numero
delle stelle sensibili, come potrebbe contare quello delle intelligibili?
(Her 87-88).
Fug 71 è un altro brano interessante che commenta la differenza
tra Gen 1,26 e il versetto successivo: se nel primo si parla, con un
soggetto plurale, di «fare un uomo» in quello seguente invece tro-
viamo come soggetto Dio stesso e si utilizza l’articolo determinativo.
Dell’uomo vero, che si identifica con l’intelletto allo stato più puro (νοῦς
... καθαρώτατος), il solo artefice è il Dio unico, mentre l’essere chiamato
uomo, cui si mescolano le sensazioni, deve la propria creazione a una
molteplicità di artefici (Fug 71).
Anche in Leg 1,53-55 Filone parla della creazione dell’uomo e lo
fa partendo da Gen 2,8 distinguendo l’uomo plasmato da quello cre-
ato. Del primo non si dice che viene posto a guardia del giardino: è
infatti immagine dell’uomo dotato di un intelletto più terrestre che
finirà per essere cacciato dall’Eden. In Leg 1,88 si spiega poi che con
confronto con il cosmo verrà utilizzato anche per parlare della liturgia, nel caso
specifico del Tempio: il culto infatti sarebbe specchio della realtà che ci circonda.
«Prominent among Philo’s multifarious interpretations of cultic rites is the notion
that many aspects of the temple’s ritual and structure are to be understood as repre-
senting elements of the cosmos. Philo, tellingly, emphasizes this point when he intro-
duces his most detailed and sustained discussion of sacrificial matters in the first
book of Special Laws (1:66–67)» (J. KLAWANS 2005, 118).
44 LORENZO FLORI
4. L’ANIMA RAZIONALE
Spesso si parla dell’anima razionale come della parte purificata che
deve farsi carico di gestire l’anima irrazionale, dettata dalle passioni.
L’intelletto purificato soffre poco la dittatura dei sensi (κεκαθαρμέ-
νος νοῦς ἐλάχιστα ἀλγεῖ, Leg 3,200). La purezza si lega dunque alle
capacità razionali: lo stolto (ἄφρων) è molto più esposto! Il Logos
purificato che è nell’uomo controlla l’istinto (ἡνιοχηθήσεται ὁ
θυμὸς ὑπό τε λόγου κεκαθαρμένου, Leg 3,127). L’intelletto migliore
è quello più vicino a Dio, che ne ha una conoscenza diretta: non a
caso si fa il confronto tra Mosè e Bezaleel, l’artista. Quest’ultimo ha
una conoscenza di Dio tramite le arti, così come molti uomini hanno
una conoscenza di Dio solo attraverso la creazione e il Logos con
cui Dio ha creato. Ma anche il Logos stesso è solo ombra di Dio
(Leg 3,96); invece l’intelletto più puro e più perfetto è Mosè che ha una
conoscenza diretta della Causa, cioè non mediata dalle cose create
(ἔστι δέ τις τελεώτερος καὶ μᾶλλον κεκαθαρμένος νοῦς... ὅστις
οὐκ ἀπὸ τῶν γεγονότων τὸ αἴτιον γνωρίζει,... οὗτός ἐστι Μωυ-
σῆς», Leg 3,100-101). Mosè è superiore anche ad Aronne: di questi
si dice che ha la chiarezza sul petto, cioè cerca di mitigare l’istinto
(μετριοπάθεια). Mosè invece ha il coltello, taglia il petto, cioè l’appe-
tito: in effetti fu in grado di non mangiare e bere per quarata giorni
(Leg 3,142). Eppure ciò non significa che Filone proponga un totale
disprezzo del corpo. Se l’istinto e il bisogno fisico van controllati e
mitigati, però si dice che Mosé tolse il petto ma non il ventre: questo
va lavato e purificato (πλυνέτω οὖν αὐτὴν καὶ καθαιρέτω ἀπὸ τῶν
περιττῶν καὶ ἀκαθάρτων παρασκευῶν, Leg 3,147).
In Det 170 si parla delle parti irrazionali dell’animo (che sono i
sette sensi, ripresi nell’immagine delle sette coppie pure di animali
sopravvissuti a quella purificazione che fu il diluvio, Det 168) e le si
definisce tutte pure: «ritenendo giusto che il nobile ragionamento usi
di tutte le parti pure dell’anima irrazionale» (δικαιώσας τὸν ἀστεῖον
λογισμὸν χρῆσθαι μέρεσι τοῖς τοῦ ἀλόγου πᾶσι καθαροῖς). Ciò che
conta è l’ottavo elemento, l’intelletto, che non deve essere eliminato
(come Caino). Queste parti dunque sono pure se si trovano nel saggio,
sono da punire se si trovano nello stolto (Det 169; 173).
46 LORENZO FLORI
8
Oltre ai capi tutti-bianchi, il testo sacro «vuole che ve ne siano degli altri,
variegati, ma non alla maniera della lebbra, il male repellente che assume di continuo
forme e modi diversi, né soggetti ad una vita instabile e agitata per manchevole fer-
mezza di giudizio, bensì bollati da scritte e contraddistinti da sigilli diversi l’uno
dall’altro ma tutti genuini, le cui caratteristiche mescolate e combinate tra loro pro-
ducono un’armonia simile a quella musicale (...). Io guardo con ammirato stupore
non solo all’arte (della variegatura) in sé, ma anche al nome che la designa, special-
mente quando contemplo le sezioni della terra, le sfere celesti, le specie diverse degli
animali e delle piante, insomma quel tessuto tempestato di screziature che è il nostro
mondo. Perché sono costretto di colpo a pensare all’Artefice di tutta questa tessitura,
all’Inventore della scienza del variegare; venero l’inventore, valuto la Sua invenzione,
rimango sbigottito dinanzi alla sua opera, per quanto non possa abbracciarne con lo
sguardo neanche una minima parte» (Somn 1,202-204).
48 LORENZO FLORI
5. L’EDUCAZIONE E L’ASCESI
Alla purezza ci si può educare: infatti esiste l’agricoltura dell’anima
(ἡ ψυχῆς γεωργική, Agr 17), cioè una cura dell’anima che purifica
(Agr 10) eliminando gli alberi delle passioni e dei vizi (παθῶν ἢ
κακιῶν δένδρα) che portano frutti di morte.
Riprendendo la categoria di migrazione, Filone afferma che questa
può essere intesa come un acquisire una mentalità da straniero, biso-
gna infatti diventare «simile a colui che si è fatto straniero per men-
talità» (ἴσον τῷ τὴν γνώμην ἀλλοτριώθητι, Migr 7). La trattazione
di questo argomento continua nei paragrafi successivi (Migr 17-21).
Essendo assurdo che le cose impure stiano con quelle pure (ἄτοπον
ἡγούμενος καθαρὰ μὴ καθαροῖς συνεζεῦχθαι, Migr 17) bisogna
allearsi alle realtà incorruttibili (τὰ ἄφθαρτα), di cui la prima è proprio
l’avversione, l’estraneità ai piaceri (ἡ πρὸς ἡδονὴν ἀλλοτρίωσις,
Migr 19)9.
9
Seguono poi la perspicacia unita a fermezza (ἡ μετὰ καρτερίας ἀγχίνοια, Migr
19), il non essere sottomesso (τὸ μὴ ὑπήκοον, Migr 20), il migrare dalle cose sensi-
bili a quelle intelliggibili. «Ebreo» significa infatti migratore (ἀπὸ τῶν αἰσθητῶν
ἐπὶ τὰ νοητὰ μετανίστασθαι περάτης γὰρ ὁ Ἑβραῖος ἑρμηνεύεται), rifiutare ciò
che non è degno di lode, prendersi gioco dell’incontenibile natura dei desideri e di
Ilconcettodi«puro»inFilone 49
tutte le passioni (τὸ ἐμπαίζειν ἐπιθυμιῶν καὶ πάντων παθῶν ἀμετρίαις, Migr 21),
aver timore di Dio se ancora non si è capaci di amarlo (τὸ φοβεῖσθαι τὸν θεόν, εἰ
καὶ μηδέπω γέγονεν ἀγαπᾶν ἱκανός, ibidem), acquistare anche in Egitto la vita vera
(τὸ ζωῆς ἐν Αἰγύπτῳ μεταποιεῖσθαι τῆς ἀληθοῦς, ibidem).
10
Sacr 119 parla dei leviti: essi sono un sacrificio vivente offerto a Dio, sono
«fuggiti» in Dio, sono immagine del Logos, cioè della parte più intima e più domi-
nante dell’anima a cui è assegnata la contemplazione, l’azione preminente, appunto
come a Levi è data la primogenitura, anziché a Ruben.
50 LORENZO FLORI
6. LA DIMENSIONE ETICA
11
Si veda Leg 2,53-64: la migliore nudità è la spogliazione dal corpo e dalle
passioni (esempi ne sono Abramo, Isacco, Giacobbe); la seconda è la nudità del
bambino, che è in uno stato di innocenza perché non in grado di pensare o di perce-
pire (fu la condizione originaria di Adamo ed Eva); la terza (ma trattata per seconda
da Filone) è lo smarrimento della virtù come accadde a Noè che, ubriaco, si spogliò
nudo.
Ilconcettodi«puro»inFilone 51
12
Per esaustività, si veda anche il paragrafo precedente: «Avversario della
concupiscenza è la padronanza di sé; che è opportuno procurarsi con ogni mezzo,
esercitandola, lavorando duro e affrettandosi, come (se fosse) il bene più grande e
più perfetto sia privatamente che pubblicamente (ἀντίπαλον δὲ ἐπιθυμίας ἐγκράτεια,
ἣν ἀσκητέον καὶ διαπονητέον καὶ σπουδαστέον μηχανῇ πάσῃ περιποιεῖσθαι ὡς
μέγιστον ἀγαθὸν καὶ τελειότατον ἰδίᾳ τε καὶ κοινῇ συμφέρον)» (Spec 1,149).
52 LORENZO FLORI
non per Dio (che l’aveva visitata) ma per colui che cerca la sapienza,
cioè Abramo (Cher 45), e la seconda non partorisce per Dio che non
ha bisogno di nulla ma lo fa per l’asceta Giacobbe che cerca di impa-
rare il bene (Cher 46).
Centrale per Filone è questo tema di Dio come l’ente più generoso,
colui al quale non potremo mai corrispondere pienamente perché il
suo dono supererà sempre la capacità umana di restituire. In questo
senso «L’uomo non ha il potere e nemmeno il dovere di ricambiare
direttamente il Creatore. C’è la δόσις ma non c’è né ci può essere
ἀντίδοσις»13. Ma il non poter restituire a Dio non deve portare al
disimpegno. Al contrario, proprio perché non possiamo rendere a lui
tutto ciò che abbiamo ricevuto possiamo darlo agli altri: la pietà reli-
giosa fonda dunque l’impegno sociale. Bisogna dunque assolutamente
combattere l’egoismo (φιλαυτία) che proviene dalla presunzione di
essere autosufficienti, dimenticandosi di Dio e degli altri14.
7. LA DIMENSIONE LITURGICA
L’interesse per la dimensione più etica non ci deve far dimenticare
la dimensione liturgica di Filone. Egli non elimina una interpreta-
zione anche letterale di alcuni passi15. In questo senso, riconosce un
certo valore a gesti liturgici come possono essere i lavaggi del corpo:
«il corpo, come dicono, si purifica con aspersioni e abluzioni (τό γε
13
D. FARIAS 1993, 53.
14
«Il vano opinare da cui procede la φιλαυτία è l’opinare di un intelletto egoista e
ateo (φίλαυτος καὶ ἄθεος ὁ νοῦς) che ritiene di essere uguale a Dio (ὁιόμενος ἴσος
εἰναι θεῷ). Sul presupposto di tale assurda parificazione, l’uomo pensa di essere stabile
e fermo come Dio, dimentica la propria mutevolezza e instabilità, nell’anima e nel
corpo (…). L’egoista, che riferisce teoricamente e praticamente tutto a sé, è l’uomo
che pretende di avere tutto, senza accorgersi che anche quello che ha lo ha ricevuto.
Lo mostra chiaramente la figura di Caino, un nome che significa “possesso”. Un altro
esempio è Alessandro Magno (…). Un uomo come il Labano biblico, non sa fare altro
che vantarsi e ripetere continuamente “mio, mio, mio” (…). Il non egoista (ὁ μὴ
φίλαυτος) riconoscerà francamente che la causa di tutti i beni è Dio, dei beni
dell’anima, di quelli del corpo e di quelli esteriori. Questo riconoscimento è il nucleo
intimo della perfezione dell’uomo e lo porta a sintonizzarsi alla grande corrente di
generosità che si origina in Dio e vuole pervadere l’interiorità dell’anima non meno che
tutto l’universo creato. La natura ha fatto l’uomo non come le belve solitarie, ma come
gli animali che vivono in gregge e con ordine. L’ha fatto socievole al massimo, di modo
che non viva solo per sé, ma per il padre, la madre, i fratelli, la moglie, i figli e gli altri
congiunti e amici. E viva per quelli del suo demo, delle sua tribù, per la patria e per
quelli della stessa stirpe e per tutti gli uomini» (D. FARIAS 1993, 58-61).
15
Filone è piuttosto per letture plurime, che riconoscano la validità di una plura-
lità di approcci (cf. F. CALABI, Filone, 27-28, 33).
54 LORENZO FLORI
8. PENTIMENTO E UMILTÀ
16
Mut 208; Ebr 71; 78 (sui sofisti antisociali); Agr 144-145.
Ilconcettodi«puro»inFilone 57
9. CONCLUSIONI
Il pensiero filoniano sul tema del puro e dell’impuro si mostra
articolato e ampio (attributi che certamente caratterizzano l’intera
opera di questo autore). Egli non presenta una interpretazione univoca
e non rinchiude una questione ampia come quella della purezza in
pochi elementi astratti. In questo senso, Filone conferma di usare la
filosofia, di conoscerla, ma si pensa più come un esegeta interessato
a sviscerare i significati profondi della parola di Dio che ama e
intende approfondire17. Da pio giudeo non dimentica la tradizione
liturgica e l’importanza dei riti, riconoscendo anche una interpreta-
zione letterale di alcuni passi. Ma certo la sua lettura non si ferma ad
17
« Philon n’est un philosophe : il use de la philosophie. Mais il écrit des sortes
de midrashim. Il applique au Texte sacré de la Bible tous les arguments intellectuels
dont il dispose pour développer le sens de ce Texte. Son premier principe est com-
mun tout aussi bien aus Rabbins qu’aux allégoristes grecs : le sens est toujours
caché » (J. CAZEAUX 1983, 5).
58 LORENZO FLORI
18
Di Filone stupiscono le descrizioni della natura del suo Egitto, così ricco e
rigoglioso, pieno di animali e uccelli di ogni genere. La luminosità di quella terra e
la sua bellezza pervade lo stile di Filone, come probabilmente la magnificenza di una
città come Alessandria. L’esperienza della luce del famoso faro del porto (citato da
Filone in Spec 3,1-6) non a caso è l’episodio scelto da Dorothy Sly come punto di
partenza per introdurre il volume intitolato Philo’sAlexandria. Lo stesso passo viene
ripreso da Daniélou nella sua introduzione a Filone (J. DANIÉLOU 1991, 22).
19
Per una classica presentazione di Filone come «political thinker», si veda
E. GOODENOUGH 1963, 52-74.
20
«Bei Philon fanden wir nur eine idealtypische Gegenüberstellung von gottge-
gebener Anlage (φύσις) und später daraus erfließendem Tun (...), jedoch keinen ausge-
prägten Kontrast zwischen göttlicher Gnade und menschlichem Werk» (D. ZELLER
1990, 197).
21
«Philo’s approach to purity, sacrifice, and the temple is truly remarkable. His
approach is integrated, sympathetic, and symbolic. Moreover, his approach exhibits a
number of continuities with earlier ancient Jewish and even Israelite traditions… Philo
sees ritual (and moral) purification as part of a process of divinization that leads to
the sacrificial encounter with God’s earthly presence», J. KLAWANS 2005, 123.
Purità e puro:
il caso di Giuseppe Flavio
Lucio TROIANI
1
K.H. RENGSTORF (ED.) 1975, 398-399. D.R. SCHWARTZ, 2013, 85.
2
S. CASTELLI, 2002, 301-307. L.H. FELDMAN, 2000, 307-313.
60 LUCIO TROIANI
3
Cfr. M.F. BASLEZ, 2016, 112-158. P. SCHÄFER, 1999, 275-292.
4
L. TROIANI, 1986, 343-353. Cfr. AntichitàGiudaiche 20,265; ControApione 2,255.
5
S. CASTELLI, 2002, 124-126.
Puritàepuro:ilcasodiGiuseppeFlavio 61
6
GuerraGiudaica 7,128.
7
M. STERN 1976, 148-156.
62 LUCIO TROIANI
8
AntichitàGiudaiche 3, 81 e 322.
9
AntichitàGiudaiche 3,268.
10
M. STERN 1980, 128.
Puritàepuro:ilcasodiGiuseppeFlavio 63
11
AntichitàGiudaiche 3,318-319. S. CASTELLI 2002, 317-318.
64 LUCIO TROIANI
12
T. RAJAK 2002, 99-133. M.-F. BASLEZ 2016, 121-139.
Puritàepuro:ilcasodiGiuseppeFlavio 65
13
W. HORBURY 2014.
14
M. STERN 1976, 512-514. M. STERN 1980, 220.
Puro e purificare (καθαρός, καθαρίζω e καθαίρω)
nel Nuovo Testamento
Paolo MASCILONGO
2. ANALISI SEMANTICA
2.1. Vangeli sinottici e Atti
Quasi la metà delle occorrenze complessive (27 su 59) dei lemmi
qui studiati è presente nei vangeli sinottici e negli Atti. In Marco è
68 PAOLO MASCILONGO
2.1.1. VangelosecondoMarco
Nel Vangelo secondo Marco, per ben tre volte, il verbo καθαρίζω
è utilizzato nella pericope del lebbroso guarito, narrata in Mc 1,40-451.
Qui il significato «purificare» è sovrapponibile a «guarire», sia nella
domanda rivolta dal lebbroso a Gesù in 1,40: «Se lo vuoi, puoi gua-
rirmi» (ἐὰν θέλῃς δύνασαί με καθαρίσαι) sia nella risposta di Gesù
in 1,41: «Lo voglio, guarisci» (θέλω, καθαρίσθητι), sia, infine, nelle
parole conclusive del narratore in 1,42: «Subito la lebbra fuggì da lui,
e fuguarito» (εὐθὺς ἀπῆλθεν ἀπ᾽ αὐτοῦ ἡ λέπρα, καὶ ἐκαθαρίσθη).
L’utilizzo del verbo καθαρίζω in questa circostanza mostra una pos-
sibilità di significato ben attestata al tempo: la lebbra provocava
infatti uno stato di impurità che faceva considerare la persona malata
come persona «impura»; di fatto i due significati si identificano2.
Molto interessante e studiato è il secondo brano di Marco (7,19),
all’interno di una lunga sezione dedicata a una disputa tra Gesù e
alcuni farisei e scribi proprio sui temi concernenti la purità (7,1-23).
Per la sua importanza, il brano sarà studiato a parte; per ora si noti
che l’utilizzo di καθαρίζω è del narratore, che commenta le parole di
Gesù con un inciso che ne amplifica il significato: «purificando
così tutti i cibi» (καθαρίζων πάντα τὰ βρώματα). Nella sezione
(dove non compaiono altri termini della radice καθαρ-, ma il linguag-
gio è quello della purità di tipo religioso3) il significato di καθαρίζω
è quello specifico di “purificare” in ambito rituale.
2.1.2. VangelosecondoMatteo
Nel Vangelo secondo Matteo la prima occorrenza di καθαρός è
nell’importante versetto Mt 5,8, la sesta beatitudine del discorso della
montagna: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (μακάριοι
οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ, ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται). L’aggettivo, qui
1
Il brano è di triplice tradizione e anche nei paralleli (Mt 8,2-4 e Lc 5,12-16)
compare il medesimo vocabolario.
2
Cfr. G. IBBA 2014, 65-68. Nel brano di Marco compare anche il sostantivo καθα-
ρισμός (1,44) che significa «purificazione» rituale, per attestare l’avvenuta guarigione.
3
Compaiono i termini: «mani impure» (κοιναῖς χερσίν) e «non lavate» (ἀνίπ-
τοις, 7,2); «lavare/purificare» (νίψωνται, 7,3); «lavare» (βαπτίσωνται e βαπτισ-
μοὺς, 7,4); «essere/rendere impuro» (κοινόω, 7,15.18).
PuroepurificarenelNuovoTestamento 69
4
Cfr. G. MICHELINI 2014, 73.
5
Cfr. per tutta la problematica il recente P. SHELLBERG 2015.
70 PAOLO MASCILONGO
6
Cfr. I. OLIVER 2013, 320-364.
PuroepurificarenelNuovoTestamento 71
7
Cfr. S.G. WILSON 1983, 69; J. SVARTVIK 2000, 128; per l’impurità dei pagani:
P. SACCHI 2002; J.C.H. SMITH 2012; G. IBBA 2014, 86-88.
8
ROSSÉ 1998, 570.
72 PAOLO MASCILONGO
9
Per l’uso di καθαρός con questo significato, cfr. ad esempio Gen 20,5-6. Più in
generale, si vedano i casi in cui Dio chiede conto della parola del suo profeta, che
pagherà con la vita il mancato annuncio verso coloro cui è inviato, cfr. in particolare
Ez 3,18.20 (LXX): «chiederò conto a te del suo sangue» (τὸ αἷμα αὐτοῦ ἐκ χειρός
σου ἐκζητήσω), letteralmente «il suo sangue cercherò dalla tua mano».
PuroepurificarenelNuovoTestamento 73
10
L’espressione “fare il bagno” (verbo λούω) nel Nuovo Testamento compare
altre quattro volte, indicando sempre il lavaggio completo e può avere un’attinenza
alla purità rituale. L’abluzione in realtà non attiene al rituale della cena (BROWN
1979, 673), ma piuttosto al dovere dell’ospitalità (cfr. Lc 7,44), ma il vocabolario
suggerisce tale significato, almeno indirettamente.
11
Cfr. R. BROWN 1979, 675-678; K. BERGER 2014, 498.
12
Cfr. F. HAUCK 1938, 417.
13
R. BROWN 1979, 795.
14
Cfr. K. BERGER 2014, 509-510.
74 PAOLO MASCILONGO
15
Secondo una possibilità già rilevata da J. NEUSNER 1973, recensito in P. SACCHI
1976.
16
Cfr. J. BEUTLER 2009, 48.
PuroepurificarenelNuovoTestamento 75
17
Ricordo che per comodità si considerano “letteratura paolina” tutte le Lettere
che la tradizione attribuisce a Paolo, compresa Ebrei.
18
Interessante l’indagine sul lessico della purificazione in Paolo operata da PENNA
2016. Egli riscontra e motiva teologicamente l’assenza di tale lessico nell’interpreta-
zione della morte di Gesù da parte dell’Apostolo.
76 PAOLO MASCILONGO
2.3.1. LetteraaiRomani,SecondaLetteraaiCorinzi,Letteraagli
Efesini
Rm 14,20 si inserisce in una sezione in cui la purità dei cibi è
discussa da Paolo in relazione al comportamento dei cristiani “deboli”
e “forti” (14,1–15,13). Dopo che in 14,14 compare per tre volte l’ag-
gettivo κοινός, con la chiara affermazione che «nulla è impuro per se
stesso» (οὐδὲν κοινὸν δι᾽ ἑαυτοῦ), 14,20 afferma: «tutto è puro, ma
è male per l’uomo che mangia recando scandalo» (πάντα μὲν καθαρά,
ἀλλὰ κακὸν τῷ ἀνθρώπῳ τῷ διὰ προσκόμματος ἐσθίοντι). L’affer-
mazione paolina è molto vicina a Mc 7,19 sulla purità dei cibi, ma è
legata dall’apostolo al comportamento morale, mostrando un chiaro
superamento – a motivo di situazioni più decisive, come l’unità dei
cristiani – delle regole di purità rituale19. Il tema sarà ripreso più avanti.
In 2 Cor 7,1 il verbo καθαρίζω compare, al termine della prima
parte della Lettera, in una sezione (6,11–7,4) in cui il tema dell’impu-
rità è già presente in una citazione dell’Antico Testamento (6,17:
«Non toccate nulla d’impuro», ἀκαθάρτου μὴ ἅπτεσθε; cfr. Is 52,11).
Paolo poi prosegue: «Purifichiamo noi stessi da ogni macchia di carne
e di spirito, portando a compimento la santità nel timore di Dio»
(καθαρίσωμεν ἑαυτοὺς ἀπὸ παντὸς μολυσμοῦ σαρκὸς καὶ πνεύμα-
τος, ἐπιτελοῦντες ἁγιωσύνην ἐν φόβῳ θεοῦ). L’affermazione è
all’interno di una sezione molto personale dell’apostolo, che ricorda
il suo ministero tra i Corinzi rivendicando per sé un atteggiamento
giusto e corretto. L’utilizzo di καθαρίζω ha qui un tono piuttosto
generico, che ben si addice a un contesto esortativo, senza espliciti
riferimenti alla purità rituale (pur presente nella citazione di Is 52,11),
e va piuttosto inteso in senso genericamente morale, legato alla «san-
tificazione» (ἁγιωσύνην) della persona, ampliando quindi il signifi-
cato della purità, rispetto alla citazione dell’Antico Testamento20.
Anche in Ef 5,26 il termine καθαρίζω compare in contesto esorta-
tivo, all’interno del celebre brano dedicato ai rapporti tra coniugi
(5,21-33). Il discorso morale si allarga, in questo caso, alla cristolo-
gia, mediante la nota analogia per cui il marito deve amare la propria
moglie come Cristo ha amato la Chiesa. Descrivendo l’effetto di tale
amore, Paolo afferma: «Per santificarla purificandola con il lavacro
19
Cfr. M. NEWTON 1985, 98-114; P.J. TOMSON 1999; T. KAZEN 2002; A. PITTA
2013b. Per A. DESTRO-M. PESCE 1996 si tratta invece soprattutto del problema dei
cibi, qui.
20
Cfr. A. DESTRO-M. PESCE 1996, 36-37 e M. NEWTON 1985.
PuroepurificarenelNuovoTestamento 77
21
Cfr. J. SVARTVIK 2000, 129.
78 PAOLO MASCILONGO
25
H. W. ATTRIDGE 1999, 422.
26
Cfr. Ibidem, 478.
27
Cfr. H. VAN DE SANDT 2014, 91-95.
80 PAOLO MASCILONGO
28
Cfr. J.H. ELLIOTT 1993.
29
In 1 Pt 1,22 il lemma presenta una difficoltà testuale. Infatti καθαρός, pur pre-
sente nella maggioranza dei manoscritti, molti dei quali antichi, come il papiro P72,
il Sinaitico e il manoscritto di Efraim, è assente in altri importanti codici, tra cui
Alessandrino e Vaticano (esso è posto tra parentesi quadre nel GNT4 con grado di
probabilità {C}). Non è quindi facile decidere quale sia l’accezione migliore, avendo
motivi sia per immaginare un’aggiunta armonizzante, sia per un’elisione, visto che si
tratta di un’espressione non decisiva né necessaria (ἐκ καρδίας manterrebbe il signi-
ficato: «amatevi di cuore»). Come spesso accade in critica testuale, non è possibile
una decisione definitiva.
PuroepurificarenelNuovoTestamento 81
30
Oltre ai due significati qui indicati, vi sono poi i casi in cui il verbo o l’agget-
tivo sono utilizzati in modi ancora differenti, senza particolari profondità teologiche
dirette, come in Mt 27,59, Gv 15,2.3; At 18,6; 20,26 o in Apocalisse; è evidente
l’ampiezza semantica che essi assumono nel Nuovo Testamento.
82 PAOLO MASCILONGO
31
Cfr. A. DESTRO-M. PESCE 1996, T. KAZEN 2002.
32
Ampia analisi in WAHLEN 2004.
PuroepurificarenelNuovoTestamento 83
4. ANALISI E APPROFONDIMENTI
4.1. Purità, legge e Gesù storico
I versetti del settimo capitolo contenenti l’insegnamento di Gesù
sulla purità rituale (Mc 7,1-23) sono tra i più studiati del Vangelo
secondo Marco. Oggetto di molte analisi storico-critiche (critica della
tradizione e della redazione), il brano mostra presto la sua importanza per
la questione del Gesù storico33. Infine, la sezione sulla purità di Marco
torna spesso negli studi sui rapporti tra Gesù, il giudaismo e la Torah.
Non mi addentro nella discussione sulla composizione diacronica
della sezione; è piuttosto evidente che si possano rintracciare alcuni
differenti strati, più o meno antichi, e che i commenti del narratore
(vv. 3-4 e v. 19b) sono le parti più recenti del brano; su questo aspetto
si è incentrata dapprima gran parte della ricerca del XX secolo34.
Narrativamente, la sezione presenta almeno tre nuclei tematici: discus-
sione sulle mani non lavate (vv. 1-8); comandamento di Dio e tradi-
zione degli uomini (vv. 9-13); ciò che contamina l’uomo (vv. 14-23).
33
Secondo G. Jossa, Mc 7,15 è «un testo importantissimo per la ricerca del Gesù
storico, perché è nei Vangeli canonici l’unica affermazione di principio fatta da Gesù
in materia di purità ed è quindi da esso che dipende in maniera quasi esclusiva il
giudizio sull’atteggiamento assunto da Gesù nei confronti delle regole di purità del
mondo giudaico» (G. JOSSA 2011, 229). Si vedano: H. HÜBNER 1973; K. BERGER
1977; W.R. LOADER 1998; J.D.G. DUNN 2002; T. KAZEN 2002; J.C. CROSSLEY 2003;
J.D.G. DUNN 2006; S. HABER-A. REINHARTZ 2008; J.P. MEIER 2009, 344-477 con
bibliografia; T. HOLMÉN 2011; G. JOSSA 2011; J.C: CROSSLEY 2012; T. KAZEN 2013a;
P. MASCILONGO 2018, 418-437 con bibliografia.
34
Cfr. N.Y. MCELENEY 1972; J. LAMBRECHT 1977; H. RÄISÄNEN 1982; J.D.G. DUNN
1990; H. SARIOLA 1990; E. CUVILLIER 1992; G. SALYER 1993; B. CHILTON 1997;
T. KAZEN 2013B.
84 PAOLO MASCILONGO
Il tema della purità è trattato da diversi punti di vista: Gesù non limita
la propria risposta a farisei e scribi alla sola questione delle mani non
lavate (l’accusa formulata verso i discepoli in 7,5), ma estende il
discorso prima a tutte le tradizioni da loro introdotte “contro” la Torah,
esemplificando con il caso del korban, e infine a ciò che contamina
l’uomo, riferendosi non più solo al cibo, ma all’intera vita morale.
Proprio tale ampiezza rende il brano particolarmente interessante e ne
ha favorito uno studio su più livelli.
Così, a partire da Marco 7, l’interesse degli studiosi si è spostato
verso una comprensione complessiva dell’insegnamento di Gesù
sulla Torah, messo a confronto con il giudaismo del suo tempo35.
Se la classica posizione di molti studiosi della seconda ricerca sul Gesù
storico considerava autentiche le parole di Gesù a causa della forte
discontinuità con il giudaismo (fu questa la posizione di E. Käsemann,
G. Bornkamm, V. Taylor, W. G. Kümmel, ecc.) studi successivi
hanno notato la difficoltà di conciliare una parola di Gesù sulla
purità dei cibi con il silenzio e l’imbarazzo di Atti sull’argomento,
con esplicito riferimento alla reazione di Pietro in Atti 10 (tra gli
altri: H. Räisänen, E. P. Sanders, J. P. Meier, J.D.G. Dunn). Oggi,
gli studiosi sono più propensi ad allargare l’orizzonte delle argo-
mentazioni, inquadrando la discussione all’interno dell’ampia ana-
lisi del rapporto tra Gesù e la Torah e, ancora più ampiamente, tra
Gesù e il giudaismo (o i giudaismi) del suo tempo36. Di solito, si
riconosce continuità tra insegnamento di Gesù e Legge giudaica,
attorno alla quale esisteva già nel giudaismo del I secolo una vasta
gamma di posizioni, oltre quella farisaica più rappresentata nel Nuovo
Testamento.
Un’interessante e più completa tendenza attuale è quella che consi-
dera in modo complessivo l’approccio di Gesù alla purità, considerata
forse come la più vistosa novità portata rispetto al mondo giudaico
35
Si tratta di uno sviluppo recente molto importante negli studi sul Gesù storico;
per un’iniziale bibliografia, si vedano: J. NEUSNER 1976; R.P. BOOTH 1986; B. LIN-
DARS 1988; E.P. SANDERS 1992; P. FREDRIKSEN 1995; M. HENGEL-R. DEINES 1995;
C. FOCANT 1996; W.R. LOADER 1997; P. SACCHI 1999; KOET 2000; OTTENHEIJM 2000;
TOMSON 2000; T. HOLMÉN 2001; D.J. RUDOLPH 2002; P. SACCHI 2002; J.H. CHAR-
LESWORTH 2008; Y. FURSTENBERG 2008; P. BERTALOTTO 2010; W.R. LOADER
2011; R. PESCH 2011; W. STEGEMANN 2013; C. FOCANT 2014; J.C. CROSSLEY 2015a;
J.C. CROSSLEY 2015b, 96-133; A.C. LACOCQUE 2015.
36
Cfr. discussione in J. SVARTVIK 2000; B. CHILTON-J. NEUSNER-C.A. EVANS
2002; J. SVARTVIK 2004; J.D.G. DUNN 2006; J.P. MEIER 2009; G. JOSSA 2011; T. KAZEN
2013a.
PuroepurificarenelNuovoTestamento 85
del tempo37. I Vangeli vanno pertanto letti nella loro interezza anche
rispetto a questo tema, e testimonierebbero una prassi per cui Gesù
non nega né relativizza l’importanza della purità e delle leggi a essa
collegate, ma supera una concezione «difensiva» della purità, tipica
almeno del mondo farisaico – per cui la purità è qualcosa da preser-
vare contro gli innumerevoli assalti dell’impuro – a favore di una
«purità offensiva». Con questa espressione si esprime la convinzione
che Gesù (e chi era con lui, come i discepoli) si riteneva portatore
di una forza tale per cui non aveva bisogno di difendersi dall’impu-
rità, che era invece sconfitta dalla sua azione. Si instaura così un
nuovo ordine nei rapporti tra puro e impuro, per cui è la purità che
si impone sull’impurità e non viceversa, chiaro segno escatologico
dell’irrompere del regno di Dio nel mondo. Per questo motivo Gesù
ha potuto relativizzare le norme di purità rituali, seguito in ciò dal
cristianesimo primitivo, e nello stesso tempo ha espresso un’esi-
genza più elevata e radicale dal punto di vista morale. Per tali stu-
diosi, la posizione che Gesù ha manifestato nei confronti di questa
problematica sarebbe uno dei più importanti per rivelare la sua
visione complessiva del mondo. Anche l’agire di Gesù contro il
potere demoniaco (associato, come visto, nell’uso linguistico,
all’«impurità»), così presente in tutti i Vangeli, ben si addice a questa
interpretazione. Il pregio principale di tale modo di vedere è di con-
siderare la purità all’interno di una più ampia visione cristologica,
secondo quella che è sicuramente una caratteristica specifica del
Nuovo Testamento.
All’interno del filone storico, infine, si devono segnalare alcuni
studi apparsi di recente, che riprendono l’antica questione del rap-
porto tra Marco e la dottrina di Paolo38. Come visto, Rm 14,20 mostra
molte affinità con Marco 7, analizzate sia dal punto di vista teolo-
gico che letterario; anche in questo caso le posizioni sono discordi,
ma di solito si ammette la precedenza dei sinottici su Paolo, pur senza
contatti letterari diretti39.
37
Sintetizzo qui in modo rapidissimo numerosi studi recenti: J.H. NEYREY 1986;
C. FOCANT 1996; B. CHILTON 1998; C. GRAPPE 2004; C.H.T. FLETCHER-LOUIS 2006-07;
T. HOLMÉN 2011; C. GRAPPE 2013; T. KAZEN 2013A; A. RUNESSON 2013; K. BERGER
2014; A. ERMAKOV 2014; G. IBBA 2014; T. ESKOLA 2015.
38
Cfr. R.J. DILLON 1995; J. SVARTVIK 2000; J.-N. ALETTI 2009; J.C. CROSSLEY
2011; A. PITTA 2013 a.b; K.B. LARSEN 2014; L. SCORNAIENCHI 2014.
39
Cfr. J.-N. ALETTI 2009, 364-370.
86 PAOLO MASCILONGO
40
Per la posizione tradizionale si possono citare le parole di F. HAUCK 1938, 427:
«Per la religione neotestamentaria è essenziale non solo aver superato l’antico
concetto di purità rituale, ma di averlo anche realmente respinto come non più
vincolante» (ed. italiana, col. 1282); cfr. anche G. SALYER 1993, H.D. BETZ 1997,
J. KLAWANS 2000. Propendono per un superamento, tra gli altri, P. SACCHI 1999;
M.N.A. BOCKMUEHL 2000; E. OTTENHEIJM 2000; T. KAZEN 2002.
41
Spesso ripresa nella teologia dei padri; cfr. M. SIMONETTI 1996 e U. LUZ 2006,
325.
42
Cfr. Sal 24,3-4; Sal 51,12; Ger 31,34; Ez 36,25. Su questo si possono vedere:
C. STETTLER 2004; L. SÁNCHEZ NAVARRO 2005, 43-45; T. KAZEN 2013a, 176-190,
S. GRASSO 2014, 149-150.
PuroepurificarenelNuovoTestamento 87
con il Signore43. Essere puro, quindi, dipende dal rapporto con Cristo:
riguarda l’essere e non l’agire. Il linguaggio della purità è utilizzato
in chiave cristologica anche nei passi studiati della Prima Lettera di
Giovanni: è Gesù che purifica, mediante il suo sangue44. Nella Let-
tera agli Ebrei il riferimento al culto è ancora più stretto: l’uomo
peccatore, secondo Ebrei, è purificato solo mediante il sacrificio e il
sangue di Cristo; la purificazione riguarda l’intimo della persona, non
la sua superficie, come Eb 10,22 ribadisce, utilizzando nel medesimo
contesto sia καθαρίζω che «cuore» (καρδία). Infine, anche 1 Pt 1,22
si inserisce nello stesso registro: è il sangue di Cristo, il suo darsi in
riscatto per gli uomini a consentire al cristiano di vivere con cuore
puro nell’amore reciproco. Per la Lettera di Tito, infine, la purità è la
condizione ovvia di chi vive la fede e conosce Dio. Qui tende a scom-
parire il riferimento di tipo cultuale, mentre rimane il contesto cristo-
logico: l’unica occorrenza di καθαρίζω è nell’inno di Tt 2,11-14: la
purificazione del «popolo» (λαός, 2,14) cristiano è possibile grazie
alla «salvezza» (σωτήριος, 2,11; σωτήρ, 2,13) portata da Cristo,
esito diretto della sua «consegna» (ἔδωκεν ἑαυτὸν, 2,14) in «riscatto
per i credenti» (ἵνα λυτρώσηται ἡμᾶς, 2,14); colpisce la grande
somiglianza con 1 Gv 1,7. 9 e 1 Pt 1,22. Ancora una volta, la rifles-
sione neotestamentaria vede la purità come conseguenza dell’azione
di Cristo, trovando nell’antico linguaggio di origine cultuale uno
strumento adeguato per esprimere, almeno in parte, la novità della
salvezza cristiana45.
43
Cfr. P. SACCHI 2007, 219 e K. BERGER 2014, 602-603: «Se sono puri i cuori,
allora tutto è puro. Allora non esiste più la divisione di principio tra il Dio santo e
gli esseri umani impuri».
44
Notiamo che anche in 1Gv 3,1-3, dove ricorre il medesimo campo semantico
del “vedere Dio” e della purità (indicata tuttavia con i vocaboli ἁγνίζω e ἁγνός),
si parla del cristiano come figlio di Dio, rileggendo il significato rituale alla luce
dell’evento di Cristo.
45
Cfr. R. PENNA 2016, 143-144. Si rimane più legati al registro morale in Gia-
como (cfr. B. REPSCHINSKI 2008) e nelle altre occorrenze delle Lettere pastorali, dove
καθαρός e καθαρίζω fan parte delle esortazioni al cristiano a vivere secondo cuore
e coscienza puri.
Καθαίρω, καθαρός, κάθαρσις, καθαρίζω
nei Padri apostolici
Sincero MANTELLI
1. DIDACHÈ
Didachè, opera liturgico-disciplinare ritornata alla luce nel 1883
e datata ipoteticamente o tra il 50 e il 70 o agli inizi del II secolo,
utilizza due volte l’aggettivo καθαρός al capitolo 14, paragrafi 1 e
3, dove tratta del giorno del Signore e offre alcune istruzioni circa la
partecipazione all’eucaristia. Si trova sempre connesso a «sacrificio»
(θυσία): «Nella domenica del Signore riuniti spezzate il pane e rendete
grazie, dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrifi-
cio sia puro (ὅπως καθαρὰ ἡ θυσία ὑμῶν ᾖ)» (14,1). Segue la citazione
di Mal 1,11. 14 da cui è tratta la locuzione «sacrificio puro» (θυσίαν
καθαράν). L’uso del linguaggio sacrificale applicato all’eucaristia ha
dato occasione di ampie discussioni fra gli studiosi, soprattutto in
rapporto ai capitoli 9-10, che costituirebbero per alcuni un’anafora
eucaristica, in cui tale lessico è assente.3 L’espressione καθαρὰ θυσία
è un richiamo alle condizioni di purità rituale veterotestamentaria, ma
1
Ci riferiamo principalmente per l’edizione e per la traduzione a E. PRINZIVALLI –
M. SIMONETTI, 2010-2015. In alcuni passaggi abbiamo utilizzato altre edizioni critiche
o siamo intervenuti con adattamenti nella traduzione.
2
PRINZIVALLI – SIMONETTI 2010, XI.
3
PRINZIVALLI – SIMONETTI 2010, 444-445 n. 102. Ritiene infondata la concezione
sacrificale dell’eucaristia in Didachè B. GRIMONPREZ-DAMM 1990, 9-25.
90 SINCERO MANTELLI
4
PRINZIVALLI – SIMONETTI 2010, 485 n. 154.
5
PRINZIVALLI – SIMONETTI 2010, 504 n. 254.
Καθαίρω,καθαρός,κάθαρσις,καθαρίζω neiPadriapostolici 91
3. LE LETTERE DI IGNAZIO
Per analizzare l’epistolario ignaziano ci serviamo della recensione
mediana composta di sette lettere, comunemente ritenute autentiche e
inviate dal vescovo di Antiochia a diversi destinatari durante il viaggio
che lo portò a subire il martirio a Roma intorno al 110-120. Comples-
sivamente καθαρός fa la sua comparsa cinque volte e una sola καθα-
ρίζω.
Nella lettera AiTralliani (7,2) occorre due volte l’aggettivo καθα-
ρός. Il contesto è segnato da una forte messa in guardia dal pericolo
dell’eresia: solo tenendosi uniti a Gesù Cristo, al vescovo e ai precetti
degli apostoli si può essere immuni dalla pretesa di introdurre in
materia cristologica speculazioni personali in contrasto con la retta
tradizione.7 La purità del credente (καθαρός) e della sua coscienza
6
PRINZIVALLI – SIMONETTI 2010, 534 n. 425. Cfr. H. LÖHR 2003, 253-254.
7
AiTralliani 7,1. Cfr. PRINZIVALLI – SIMONETTI 2010, 578 n. 240.
92 SINCERO MANTELLI
8
PRINZIVALLI – SIMONETTI 2010, 578 n. 241 e 549 n. 46.
9
Cfr. PRINZIVALLI – SIMONETTI 2010, 589 n. 311 in cui si ricordano anche i
riferimenti ammirati a questo testo da parte di Ireneo (aduersus haereses V 28,4);
l’immagine viene riadattata in MartyriumPolycarpi15,2.
Καθαίρω,καθαρός,κάθαρσις,καθαρίζω neiPadriapostolici 93
4. LA LETTERA DI BARNABA
Nella Lettera di Barnaba, epistola senza mittente attribuita poi a
Barnaba datata tra il 70 e il 132, opera “antigiudaica” per eccellenza
in cui l’Antico Testamento è salvato tramite l’interpretazione spiri-
tuale della legge, l’aggettivo καθαρός appare complessivamente cin-
que volte. Due volte nell’endiadi «mani pure e cuore puro» (15,1.6:
χερσὶν καθαραῖς καὶ καρδίᾳ καθαρᾷ) di Es 20,8. Alla seconda
occorrenza segue una spiegazione: «Se il giorno che il Signore ha
santificato lo si potesse santificare adesso, se si ha un cuore puro
(καθαρὸς ὢν τῇ καρδίᾳ), ci sbaglieremmo totalmente» (Barn 15,6).
L’autore inserisce tra l’alleanza e il tempio il tema del sabato, che
– secondo la costante logica della lettera – non deve essere inteso alla
maniera giudaica, bensì come realizzazione escatologica. Solo alla
fine si potrà realizzare tale santificazione, quando sarà Dio stesso a
purificare gli uomini rendendoli giusti.
5. IL PASTORE DI ERMA
Nel Pastore di Erma sono di casa i lessemi che si riferiscono alla
purità: due volte il verbo καθαίρω, ventisette καθαρίζω e ventisei
10
Cfr. PRINZIVALLI – SIMONETTI 2010, 557-558 n. 110.
94 SINCERO MANTELLI
5.1. Pulire
Il verbo καθαίρω significa pulire in senso materiale, anche se nel
simbolismo di Erma assume significati spirituali: «tutto è stato
pulito» (πάντα, φησί, κεκάθαρται) (87,4) e «ci sarà un solo corpo
dei purificati» (καὶ ἔσται ἓν σῶμα τῶν κεκαθαρμένων) (95,3). Più
numerose le attestazioni di καθαρίζω. Nel senso materiale (ma anche
spirituale) di «pulire»: «pulisci accuratamente queste pietre» (84,2)
(ἐπιμελῶς καθάρισον τοὺς λίθους) e «puliremo le pietre ... bisogna
infatti che si faccia completa pulizia intorno alla torre» (84,6) (καθα-
ρίσωμεν τοὺς λίθους τούτους ... τὰ γὰρ κύκλῳ τοῦ πύργου πάντα
καθαρισθῆναι δεῖ). Lo scenario apocalittico che segue, annunciando
la venuta del padrone, dà al lessico della purificazione espresso dal
verbo καθαρίζω una valenza allegorica: l’idea materiale di pulire le
pietre e i dintorni della torre esprime la necessità della purificazione
dei peccatori in vista dell’avvento di Dio.12 Sempre di «pietre pulite»
(καθαρίσας) si tratta in 85,4. In 95,2 si parla del giudizio finale e si
afferma che per i cristiani il giudizio sarà più esigente, dal momento
che hanno conosciuto Dio: alla fine «la chiesa di Dio sarà purificata»
(καθαρισθήσεται ἡ ἐκκλησία τοῦ θεοῦ). Il brano prosegue (95,3)
dicendo che alcune pietre, rappresentazione dei malvagi, sono state
11
PRINZIVALLI – SIMONETTI 2015, 179.
12
PRINZIVALLI – SIMONETTI 2015, 583 n. 280. Cfr. C. OSIEK – H. KOESTER 1999,
224.
Καθαίρω,καθαρός,κάθαρσις,καθαρίζω neiPadriapostolici 95
13
Cfr. Mt 11,21; Ap 11,3. PRINZIVALLI – SIMONETTI 2015, 578 n. 234.
14
Per la traditiotextus vedasi PRINZIVALLI – SIMONETTI 2015, 180.
15
Fragmenta (P. Oxy. 3.404), in M. WHITTAKER 1967, 109, 111.
16
113,2.
96 SINCERO MANTELLI
17
Cfr. PRINZIVALLI – SIMONETTI 2015, 562 n. 96.
18
PRINZIVALLI – SIMONETTI 2015, 574 n. 201.
Καθαίρω,καθαρός,κάθαρσις,καθαρίζω neiPadriapostolici 97
19
WHITTAKER 1967, 118.
98 SINCERO MANTELLI
6. CONCLUSIONE
Sebbene attraverso testi eterogenei, la ricerca dei significati dei
lessemi in esame nei Padriapostolici mostra chiaramente uno sviluppo
semantico dall’ambito giudaico a quello che si sta delineando come
cristiano. Questa fase di passaggio è chiaramente rilevabile in alcuni
contesti. Anzitutto nell’utilizzo di un lessico cultuale che si riferisce
alla liturgia del tempio. In Didachè il «sacrificio» (θυσία) deve
essere puro (14,1-2). Tuttavia καθαρός non è legato a norme rituali,
bensì alla domenica e all’eucaristia. Questo nuovo sacrificio connesso
20
Cfr. 1 Pt 1,7: «perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro,
che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e
onore nella manifestazione di Gesù Cristo».
Καθαίρω,καθαρός,κάθαρσις,καθαρίζω neiPadriapostolici 99
21
Ad esempio in Am 4,4-6; 5,21-25; Os 6,6; 8,11-13; Is 1,11-17; Mi 6,6-8;
Ger 7,1-11. 21-23.
Purità e cuore dell’uomo nell’ADiogneto
Fabio RUGGIERO
1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
1
Questo contributo sul tema della purità nell’ADiogneto s’inserisce nel quadro
di una più ampia indagine volta alla pubblicazione, presso la casa editrice Città
Nuova di Roma, di una nuova edizione critica dello scritto corredata da introduzione
e commento, di cui è prossima l’uscita.
102 FABIO RUGGIERO
venti, nel secondo2. Un po’ meno ampia, per forza di cose, la rosa
degli ambienti in cui lo scritto avrebbe visto la luce, dal momento che
le città o le aree che trovano più credito sono Smirne e l’Asia Minore,
Alessandria d’Egitto, infine Roma.
Per riprendere il discorso relativo alla disputa sull’effettiva esten-
sione dell’opera, essa nasce dalla presenza in particolare di una lacuna
nel testo. Nel corso della lettura di questo piccolo gioiello letterario
s’incontrano in verità due interruzioni formali, già presenti nel modello
da cui copia l’autore del manoscritto. La natura dell’interruzione non è
tuttavia uguale nei due casi. Nel primo, secondo il parere comune,
si tratta di una perdita di testo, di cui non è definibile con precisione
l’estensione. Nel secondo caso, alla fine del decimo capitolo, numerosi
studiosi – a cominciare dal primo editore – ipotizzano che lo scritto
presenti l’interruzione ormai in prossimità della propria conclusione e
che, dunque, all’inizio del capitolo successivo si sia già in presenza di
un altro scritto. La disputa – già all’origine della moderna filologia
classica, lungo tutto l’Ottocento e fin verso la prima metà del Nove-
cento – vede molti editori schierarsi per la conclusione dell’opera alla
lacuna che fa seguito alla fine del decimo capitolo. Nel secondo dopo-
guerra, tuttavia, la critica inizia a mostrarsi meno decisa al riguardo,
tanto che diversi studiosi di varia scuola e nazionalità si convincono via
via della bontà della tesi dell’unità. Negli ultimi decenni (a partire dalla
fine degli anni Ottanta del secolo scorso) è in particolare Marco Rizzi,
con rinnovati argomenti, a divenire la voce più autorevole e rappresen-
tativa di tale orientamento3. Ma ad esso, sulla fine del secolo scorso,
una parte della critica reagisce. Con nuovi e più probanti argomenti
rispetto a quelli portati dagli studiosi dei tempi precedenti, la posizione
per così dire tradizionale e antiunitaria viene fermamente difesa. Su
questo fronte spiccano da subito due esperti, Klaus Wengst4 ed Enrico
Norelli5, ai quali col tempo se ne aggiungono altri, sino ai nostri giorni.
Per quanto i dati a nostra disposizione siano troppo esigui e in parte
anche largamente generici per fondare tesi resistenti alla corrosione
2
Si veda, a mero titolo esemplificativo, lo specchietto proposto da H.E. LONA 2001,
64-66.
3
Specialmente col volume: La questione dell’unità dell’«Ad Diognetum»,
Milano 1989.
4
Nella sua edizione dell’opera: SchriftendesUrchristentums, II. Didache(Apo-
stellehre). Barnabasbrief. Zweiter Klemensbrief. Schrift an Diognet. Eingeleitet,
herausgegeben, übertragen und erläutert, München 1984.
5
In particolare, nel commento dello scritto: ADiogneto. Introduzione, traduzione
e note, Milano 1991.
Puritàecuoredell’uomonell’A Diogneto 103
della critica, allo stato attuale degli studi sussistono ad ogni modo
considerazioni storico-letterarie di un certo valore, ma troppo artico-
late per trovare in questa sede adeguata esposizione, per cui è lecito
supporre che lo scritto possa risalire alla Seconda Sofistica (data-
zione approssimativa: 190-210 d.C.), avere per autore un teologo in
contatto con la tradizione romana, ma non per questo necessariamente
egli stesso romano, e per destinatario la classe colta e in certa misura
anche dirigente dell’Impero. A tale riguardo, lo scritto presenta
l’autore in dialogo con Diogneto, personaggio pagano non meglio
identificato, ma certo provvisto di cultura e autorevolezza: è tuttavia
anche possibile, ma meno probabile, che si tratti di “nome parlante”,
dal momento che «Diogneto» significa «generato da Zeus» e, dunque,
di figura fittizia impersonante il mondo gentile.
Relativamente al genere, l’opera è da tempo ormai ritenuta un vero
e proprio discorso protrettico prima ancora che un’apologia, forse anche
un’istruzione, ma certo non una lettera o una epistola, come invece
per vari secoli e a partire dal suo primo editore è stata giudicata. Al
riguardo, ritengo che, pur non mancandole i tratti protrettico e apolo-
getico, la si debba ritenere anche un breve trattato teologico. L’opera
si presenta, infatti, come un’esposizione del mistero cristiano: dopo
avere mostrato l’insufficienza delle esperienze religiose dei greci e
dei giudei nel conoscere Dio (cc. 2–4), propone la novità della rive-
lazione cristiana quale unica modalità di relazione autentica col divino
(cc. 5–10).
Circa poi la questione della sua unità, i miei favori, come già sopra
ho scritto, vanno per l’orientamento che ravvisa una profonda discon-
tinuità tra i primi dieci capitoli e gli ultimi due. In questi ultimi colgo
differenze di struttura complessiva del discorso e della frase, differenze
di lessico e di espressione, differenze di contenuto e di referenti.
6
Vi sono chiaramente sottese alcune reminiscenze bibliche (Col 3,9-10; Rm 6,4-6;
2 Cor 5,17; Gv 3,3-7) come anche numerosi sono i paralleli patristici che si possono
stabilire (Giustino, I Apologia 49,6; Taziano, Discorso ai Greci 30; Teofilo, Ad
Autolico, I,2; Minucio Felice, Ottavio 6,1; Clemente, Protrettico89,1; 101,1); è,
tuttavia, da Ef 4,22-24 che sembrano provenire i principali motivi del passo (uomo
nuovo, inganno, purificazione razionale e disponibilità a farsi creature nuove).
Puritàecuoredell’uomonell’A Diogneto 105
7
In: ADiogneto, cit., 159.
La purezza del cuore per la contemplazione di Dio:
la riflessione di Clemente d’Alessandria
Matteo MONFRINOTTI
1
Quanto mai orientativo, ai fini del presente contributo, l’articolo di J. RAASCH
1968, 7-55 (spec., pp. 13-24); la nostra ricerca tuttavia, si avvale di una indagine
specificamente filologica basata sul reperimento e sullo studio della terminologia
relativa al concetto di purità e purezza; indagine che va oltre il riferimento a Mt 5,8
considerato dal Raasch testo biblico portante e basilare della speculazione clementina
sull’argomento.
110 MATTEO MONFRINOTTI
2
Traduzione di riferimento: G. PINI 2006; nostre alcune varianti.
Lemma Occorrenze Stromateis Paedagogus Protreptcus Quisdives Eclogae Excerptaex Fram.
complessive salvetur propheticae Theodoto
καθαρός 125 781 202 53 64 85 76 17
καθάρσιος 7 38 29 210 ----- ----- ----- -----
11 12
καθαρτικός 4 1 ----- ----- ----- 3 ----- -----
13
καθάριος 3 ----- 3 ----- ----- ----- ----- -----
καθαρῶς 10 714 215 116
κάθαρσις 18 917 618 ----- 119 120 121
1
Cf. Str. 1 (8,4; 12,2; 22,3; 55,4; 58,4; 94,5. 6; 175,2; 177,3); 2 (7,4; 50,2; 80,5; 94,5; 104,2. 3; 114,3; 116,2; 145,1); 3 (19,2; 42,6;
100,4; 103,2; 109,1 [3 volte]); 4 (15,1; 21,1; 31,4; 37,2; 39,1. 4; 74,4; 83,1; 106,3; 108,4; 126,1; 139,4; 141,4; 142,2. 3; 160,2);
5 (7,7; 17,3; 19,2 [2 volte]; 19,4 [2 volte]; 40,1; 46,6; 67,1; 87,4; 101,1; 119,1; 138,1.3 [2 volte]); 6 (28,5; 46,3; 50,2; 76,2; 102,2;
108,1; 113,2; 132,3); 7 (5,2; 13,1; 27,5 [2 volte]; 34,2; 56,5; 57,1; 58,2; 68,4; 73,1; 78,5; 109,1. 2 [2 volte]).
2
Cf. Paed. 1 (3,3; 48,1; 82,3); 2 (7,1; 9,3; 29,3; 63,2; 100,2 [2 volte].3; 118,5); 3 (16,4; 48,1; 51,3; 54,1; 55,2; 74,3; 76,1; 84,1; 89,2).
3
Cf. Ecl. 1,1; 6,2; 14,2; 25,4; 30,1; 31,2; 32,3; 34,1.
4
Cf. Q.d.s.16,2; 18,5; 19,3; 20,6; 31,8; 38,4.
5
Cf. Prot. 49,2 [2 volte]; 92,4; 99,2; 114,1.
6
Cf. Ex.Th. 11,1; 12,3; 27,1; 27,4; 48,1; 81,1; 83.
7
Cf. Fram. 43,4.
8
Cf. Str. 4,88,2 [2 volte]; 5,70,7.
9
Cf. Paed. 1,14,3; 3,47,4.
10
Cf. Prot. 10,2; 110,1.
11
Cf. Str. 5,71,2.
12
Cf. Ecl. 8,2; 25,4; 26,5.
13
Cf. Paed. 3 (46,1 [2 volte]; 55,2).
14
Cf. Str. 3,79,4; 4 (15,3; 40,1; 158,1); 5 (13,2; 83,1); 7,62,7.
Lapurezzadelcuore:lariflessionediClemented’Alessandria
15
Cf. Paed. 2 (1,3; 108,2).
16
Cf. Q.d.s.41,6.
17
Cf. Str. 4 (39,2; 104,1; 143,1; 152,3); 5 (3,4; 19,4); 7 (56,4. 7; 57,2).
111
18
Cf. Paed. 1 (48,1; 50,4; 51,1; 82,3); 2,92,1; 3,48,3.
19
Cf. Q.d.s.42,19.
20
Cf. Ecl. 50,1.
21
Cf. Ex.Th. 27,1.
καθαριότης 4 122 323 ---- ---- ---- ---- ----
24 25
καθαρότης 4 3 ---- ---- 1 ---- ---- ----
112
26
καθαρμός 3 3 ---- ---- ---- ---- ---- ----
27
καθαρισμός 2 2 ---- ---- ---- ---- ---- ----
28 29 30 31
καθαίρω 15 9 3 ---- ---- 2 1 ----
καθαρίζω 15 832 533 ---- ---- 234 ---- ----
καθαρεύω 11 335 736 137
ἀποκαθαίρω 2 ---- ---- ---- ---- ---- 238 ----
39
καθαροποιέω 1 1 ---- ---- ---- ---- ---- ----
Totale occorrenze 224 128 51 7 10 16 11 1
22
Cf. Str. 5,89,4.
23
Cf. Paed.3 (46,1 [2 volte]; 55,2).
24
Cf. Str. 6 (31,5; 55,1); 7,79,4.
25
Cf. Q.d.s. 18,7.
26
MATTEO MONFRINOTTI
3
Str. 1 (8,3. 4; 12,2; 22,3; 55,2. 4; 58,4; 94,5. 6; 175,2; 177,3); Str. 2 (7,4;
50,2; 56,1; 80,5; 94,5; 104,2. 3; 114,3; 116,2; 145,1); Str. 3 (19,2; 32,1; 42,5. 6;
59,4; 62,3; 74,1; 79,4; 100,4; 103,2; 109,1); Str. 4 (15,1. 3; 21,1; 31,4; 37,2; 39,1.
2. 4; 40,1; 74,4; 83,1. 2; 88,2; 104,1; 106,3; 107,3; 108,4; 126,1; 131,4; 139,4;
141,4; 142,2. 3; 143,1; 152,1; 158,1. 4; 159,1; 160,2); Str. 5 (3,4; 7,7; 9,5. 7; 13,2;
17,3; 19,2. 4; 20,1; 40,1; 46,6; 48,4; 55,2; 67,1; 70,7; 71,2; 83,1; 87,4; 89,4;
101,1; 119,1; 138,1. 3); Str. 6 (28,5; 31,5; 46,3; 50,2; 55,1; 60,2; 76,2; 86,2; 97,2;
102,2; 108,1; 113,2; 132,3); Str. 7 (5,2; 13,1; 27,5; 34,2; 56,4. 5. 7; 57,1. 2; 58,2;
62,7; 68,4; 71,2; 73,1; 78,5; 79,4; 109,1. 2).
4
Paed. 1 (3,3; 14,3; 48,1; 50,4; 51,1; 66,4. 5; 82,3; 90,2); Paed. 2 (1,3; 7,1; 9,3;
29,3; 51,1. 2; 63,2; 92,1. 3; 94,1; 100,2. 3; 108,2; 114,1; 118,5); Paed. 3 (1,1; 15,1;
16,4; 46,1; 47,4; 48,1. 2. 3; 51,3; 54,1; 55,2; 74,3; 76,1; 79,1; 83,2; 84,1; 89,2).
5
Ecl. 1,1; 6,2; 7,2; 8,2; 14,2; 15,1; 25,4; 26,5; 30,1; 31,2; 32,3; 34,1; 50,1;
62,1; Q.d.s.16,1.2; 18,5. 7; 19,3; 20,6; 31,8; 38,4; 41,6; 42,19; Prot. 10,2; 49,2;
92,4; 99,2; 110,1; 114,1; Ex. Th. 11,1; 12,3; 14,4; 27,1; 27,4; 48,1; 81,1; 83;
Fram. 43,4.
6
Is 1,11-16 (Str. 5,119,1); 1,16-18 (Paed. 3,89,2); 4,4 (Paed. 3,48,2); 6,7
(Str. 1,55,2); Gb 14,4 (Str. 3,100,4; 4,83,1; 4,106,3); Pro 8,9-11 (Str. 1,58,4); Sal
18,13b (Ecl. 62,1); 23[24],3-6 (Str. 7,58,2); 50 (Str. 1,8,4; 4,107,3); Mt 19,23
(Q.d.s. 19,3); 11,3-6 (Paed. 1,90,2); 23,25 (Paed. 3,48,1); Dn 7,9 (Paed. 3,16,4);
Gv 15,1-2 (Paed. 1,66,4);2 Cor 6,14-16; 7,1 (Str. 3,62,3; 3,74,1); Tt 1,15 (Str. 3,109,1);
Eb 9,14 (Str. 3,59,4);1 Gv 1,7 (Str. 3,32,1).
7
Cf. Platone, Fedone 62b; (Str. 3,19,2); 114b-c (Str. 4,37,2); 65e-66a; 67d; 80
e-81a (Str. 5,67,1); Timeo22c-e (Str. 5,9,5. 7); OdisseaIV,750 (Str. 4,142,2); Par-
menide, D.K. 28B10 (Str. 5,138,1); Pindaro, fr. 108b Sn.4 (Str. 5,101,1); Epicarmo,
fr. 23B 26 D.K. (Str. 7,27,5); Fililio, CAF 20 (Str. 5,46,6); Zenone, SVF I,246
(Paed. 3,74,3); Epigr.or.gr. (Ms.Laur. 32.37) (Str. 4,142,3).
8
Cf. Str. 4,39,1; 5,7,7; 6,108,1; 7 (13,1; 19,2; 56,5; 57,1); Ex.Th. 11,1; Q.d.s. 19,3.
114 MATTEO MONFRINOTTI
9
Str. 7,56,5. Cf. anche Str. 2,114,3; 7,13,1-2; Ex.Th.11,1.
Lapurezzadelcuore:lariflessionediClemented’Alessandria 115
del dolore, del vizio, sulla responsabilità della colpa e sul destino
finale; e così, dall’empatia alla repulsione del male, si verificava
un effetto catartico perché amore, passione, odio, vendetta, assorbiti
dalla scena venivano elaborati e razionalizzati, cosicché le passioni
dello spettatore si sprigionavano dal suo subconscio e, purificandolo,
lo rendevano libero.
Se dalla letteratura classica ci si sposta a quella cristiana e, nello
specifico a quella rappresentata dalle opere dell’Alessandrino, si
registra un significato di «puro» e di «purificazione» che, rispetto a
quello veicolato dalla cultura pagana, intende convergere verso una
sfera semantica indissolubilmente legata al principio di “vera gnosi”
che, come noto, rappresenta il fulcro del pensiero di Clemente, della
sua reazione antignostica, della sua identità di fede. Si pensi all’affer-
mazione che si legge in Str. 2,104,2 dove il vero gnostico è colui
che «coabitando con il Signore, ne resterà confidente e commensale
secondo lo spirito: puro nella carne, puro nel cuore, santificato nel
pensiero (καθαρὸς μὲν τὴν σάρκα, καθαρὸς δὲ τὴν καρδίαν, ἡγια-
σμένος τὸν λόγον)» (cf. Paed.1,14,3); stesso concetto che si rincorre
nelle tante pagine in cui è possibile leggere la riflessione di Clemente,
a volte esito dell’esegesi di un testo sacro, a volte commento di una
citazione o di una reminiscenza classica ma, soprattutto, risultato di
una dialettica interiore attraverso la quale consegnare una pedago-
gia esistenziale e soteriologica al tempo stesso, che merita di essere
evidenziata nelle sue coordinate fondamentali ricostruibili attraverso
gli enunciati più significativi e più caratterizzanti l’insegnamento di
Clemente10.
10
I paragrafi che seguono sono elaborati sulla base dei testi più dimostrativi del
fine pedagogico dell’Alessandrino.
116 MATTEO MONFRINOTTI
fango, cioè nelle correnti del piacere (cf. Prot. 92,4). Questo genere
di uomini si alimenta di inutili e insignificanti delizie, e gode del
fango più che dell’acqua pura, cioè di quell’acqua necessaria per una
vera e profonda purificazione: è l’acqua razionale, ὕδωρ λογικόν,
cioè l’acqua del battesimo che libera da tutti i peccati; il che com-
porta l’abbandono del precedente costume di vita per accogliere la
vita nuova, con animo libero in quanto liberato11.
Di fronte al genere umano infangato, Clemente ritiene importante
esprimere il suo rimprovero affinché gli impuri e i peccaminosi, pos-
sano ravvedersi e intraprendere una metanoia ponderata e sicura
(μετάνοια ἀκριβὴς καὶ βεβαία, Str.4,143,1).
Anche Platone, riconoscendo la grande efficacia della correzione e
vedendo nel rimprovero un eccellente mezzo di purificazione, sostiene,
conformemente al Logos, che chi è macchiato di più grandi impurità è
divenuto incorreggibile e vergognoso per il fatto di non essere stato rim-
proverato, mentre chi era destinato alla vera felicità avrebbe dovuto essere
sommamente puro e bello (Paed. 1,82,3).
L’importanza del rimprovero come provocatorio verso la metanoia,
conseguimento a sua volta della purità, non è convinzione mutuata
solamente da Platone, ma derivata ed ereditata dalla stessa storia sacra.
In Paed. 1,66,5 l’Alessandrino polemizza contro coloro che riten-
gono che il Dio giusto non sia buono: al contrario egli evidenzia come
nel corso della storia Dio sempre opera ed è sempre mosso da un pro-
fondo amore nei confronti dell’uomo, lo stesso amore e la stessa bontà
da cui muovono il suo rimprovero e il suo castigo (cf. Paed. 1,64,3),
infatti «il rimprovero è come un intervento chirurgico sulle passioni
dell’anima, un tumore dell’anima [sono] le passioni che bisogna com-
battere eliminandole con un’amputazione» (Paed. 1,64,4).
È proprio in tale contesto che, come vedremo subito dopo, Clemente
introduce il concetto di Logos purificatore: in linea con la tradizione
filosofica platonica e stoica, egli sottolinea, soprattutto nel Pedagogo,
come il controllo dalle passioni, necessario per conseguire una cre-
scente e radicata purità dell’anima, necessita della moderazione di
comportamento a cominciare dal vivere quotidiano che anche nelle
azioni più consuete – bere e mangiare, curare il corpo, coltivare le
amicizie, praticare la sessualità – deve sempre essere caratterizzato
11
Cf. Prot. 99,2. In merito all’acqua via per ottenere la condizione di purità cf.
anche Str. 1,2,2; 2,7,4; 4,126,1; 4,160,2; Paed. 3,48,3; Prot. 92,4; Ecl. 7,2.
Lapurezzadelcuore:lariflessionediClemented’Alessandria 117
12
Cf. Paed. 2,29,3; 2,51,2; 2,114,1; 3,15,1; 3,53,5. Per quanto riguarda la purezza
nel sesso, che Clemente ritiene essere conseguenza della castità, cf. Paed. 2,94,1;
2,100,2; 3,55,2; 3,83,2; 3,84,1; Str. 4,160,2.
13
Cf. anche Str. 2,18,80,5.
118 MATTEO MONFRINOTTI
14
Cf. Mt 5,8. Purezza di cuore e visione diretta di Dio sono spesso associate
negli Str. 5,7,7; 5,40,1; 6,46,3; 6,102,1-2; 6,108,1; 7,13,1-2; 7,40,1; 7,56,5-57,1.
Cf. anche Tertulliano, Deanima 53,5-6.
120 MATTEO MONFRINOTTI
17
Cf. anche Q.d.s. 16,1,3; 19,3; Prot. 92,4.
18
Nella traduzione italiana si perde la presenza di Logos che ricorre due volte sia
per indicare la “parola/pensiero” dell’uomo sia per indicare il Logos/Verbo di Dio.
122 MATTEO MONFRINOTTI
19
Pini traduce: «Rapida via di purificazione è dunque la gnosi ed atta a provo-
care il ben gradito trapasso al grado superiore».
Lapurezzadelcuore:lariflessionediClemented’Alessandria 123
Quando l’anima del puro di cuore potrà così contemplare Dio «si
troverà con il Signore, lì, collocata in quel luogo (ὅποὐ) immediata-
mente dopo di lui, avendo superato ogni rituale di purificazione
(πάσης κάθαρσεώς τε καὶ λειτουργία)» (Str. 7,57,2)20.
In che cosa consista la πάσης κάθαρσεώς τε καὶ λειτουργία Cle-
mente non lo spiega. Presumibilmente ci troviamo di fronte a una
endiadi il cui significato vuole sottolineare la perfezione della purifi-
cazione: quando ci si presenta al cospetto di Dio per contemplare il
suo volto, il cuore, l’anima, la mente devono essere assolutamente
purificati e puri e l’unica scienza che si possiede è quella di Dio.
A volte, dalla lettura dei testi, sembra emergere che in Clemente il
concetto di puro-purificazione riguardi solo l’elemento spirituale
dell’uomo (sia esso denominato «cuore» oppure «anima») e non
l’elemento materiale, ovvero la vita e l’azione quotidiana. Questa
sarebbe però una deduzione assai riduttiva, anzi non rispondente al
pensiero dell’alessandrino perché la purezza dell’anima o, se si prefe-
risce, del cuore che deve accogliere la gnosi di verità, non può costitu-
ire una realtà separata dalla creatura in senso corporeo e quindi l’azione
intellettiva non può essere estranea e disgiunta dall’azione materiale.
Diremmo allora che, esclusa ogni forma e atto di purificazione che
si configurino e vengano a consistere in una ritualità esteriore (si
pensi ad esempio ai riti e ai sacrifici espiatori della religiosità pagana
per ottenere il favore degli deì o a quelli prescritti dalla legislazione
levitica nei quali l’immolazione della vittima o l’offerta di un bene
rendeva propizio Dio e mondava il peccatore), la καθάρσις meditata
e insegnata da Clemente muove dall’assoluta convinzione che può
essere chiamato «puro» colui che assume in sé la legge di Dio, cioè
l’insegnamento del Logos, cioè la vera conoscenza.
Ne consegue che essere «puro di cuore» è anzitutto conseguenza
di una volontà che vuole orientarsi alla progressiva μεταβολή.
«Purezza di cuore» e «anima pura» non corrispondono a una con-
dizione di natura ma conseguono a quella conversione che in linguag-
gio agostiniano definiremo «della intelligenza».
Se la mente (e potremmo dire anche «il cuore») si converte perché
«confessa l’esistenza di Dio» (τὸν θεόν ὁμολογοῦσα) e se la fede è
«fondamento della conoscenza» (θεμέλιος γνῶσεως, Str. 7,55,5) e
20
πάσης καθάρσεώς τε καὶ λειτουργίας ὑπεκβᾶσαν σὺν τῷ κυρίῳ γίγνεσθαι,
ὅπου ἐστὶν προσεχῶς ὑποτεταγμένη. Da non condividere la traduzione di Pini
(«prova di purificazione e ministero»).
124 MATTEO MONFRINOTTI
suo presupposto, colui che crede non può rinunciare a elevarsi affinché
possa ricevere, per grazia, «la conoscenza che riguarda Dio» (τὴν περὶ
αὐτοῦ […] γνῶσιν), «per quanto è possibile» (ὡς οἱόν τε ἐστιν,
Str. 7,55,3).
Da questa gnosi, e solo da questa, il credente ricava anche una
legge di vita di cui principio e fine è il Cristo stesso (ὁ Χριστός ἀρχὴ
καὶ τέλος, Str. 7,55,5). Di conseguenza la vita di chi ha fede, il suo
essere e il suo comportarsi saranno disciplinati dalla gnosi, la quale non
è imposta ma acquisita per libera scelta e faticosamente perseguita.
Una gnosi i cui contenuti non sono nozioni teologiche che erudiscono,
ma principi che, applicati, saranno indispensabili «per una compo-
stezza di vita e per conseguire con fermezza una giustizia più piena
di quella secondo la legge» (εἰς καταστολὴν βίου καὶ εἰς τὸ έπὶ
πλέον τῆς κατὰ νόμον δικαιοσύνης κατὰ ἐπίτασιν προεληλυθένει,
Str. 7,56,2)21.
Si noti il termine καταστολή: la prima accezione è quella di «com-
postezza» da accogliere anche nel senso di «dignità» e di «decenza»
non lontano, se volessimo recuperare un concetto stoico, dal significato
di «misura» (μετριότης). Il «puro di cuore», destinato a essere il
«vero gnostico», aspirerà dunque a una vita dignitosa e non sovrabbon-
dante di beni mondani, vorrà mantenersi in vita ma senza essere asse-
diato dalle passioni: «non ha più bisogno di volgersi ai beni mondani
colui che ha attinto la luce inaccessibile» (Str. 6,74,2).
La vita del «puro di cuore» è dunque composta, misurata, dignitosa
perché egli «ha strappato l’anima dalle passioni» (ἐξήγαγεν δὲ τὴν
ψυχὴν τῶν πανθῶν, Str. 6,75,3) mentre «non è ancora puro chi è sot-
toposto alla passione» (οὐδέπω καθαροῦ, ἀλλ’ ἐμπαθοῦς, Str. 6,76,2).
Pertanto, se la prima μεταβολή è quella di «volgersi» a Dio e
professarlo e la seconda μεταβολή è quella di aprirsi alla «gnosi»,
questa purifica il cuore e perfeziona il credente il quale non potrà
contraddire la già avvenuta conversione perché non si può essere
«puri di cuore» e «purificati dalla gnosi» e condurre contemporane-
amente una vita che confligga con la gnosi stessa, fermo restando che
l’agire quotidiano e il comportamento di colui che professa Dio verrà
orientato proprio dalla gnosi cui si è scelto di aderire.
La purificazione del fedele sarà progressiva tanto quanto il pro-
cesso conoscitivo e la penetrazione della gnosi, che si fanno strada
21
Pini traduce: «per regolare la propria vita e pervenire con ferma disposizione
a una giustizia superiore a quella della legge».
Lapurezzadelcuore:lariflessionediClemented’Alessandria 125
22
Da non condividere la traduzione di Pini: «una luce che le è propria».
Καθαρός e termini corradicali nel
ContraCelsum di Origene
Antonio CACCIARI
1
Sulla datazione del ContraCelsum(= CC), si vedano P. NAUTIN 1977, 375ss.;
H. CROUZEL 1985, 77; un’approfondita discussione dello statusquaestionis in A. LE
BOULLUEC 1998, 10-14. Quando non altrimenti specificato, il CC qui citato secondo
l’edizione di P. KOETSCHAU 1899; la traduzione italiana citata è di P. RESSA 2000.
2
Sulla personalità di Celso, cf. H.E.LONA 2005, 28-31 e 42-49.
3
Su Ambrosio, cf. voce Ambrosios (6) in Pauly-Wissowa Realencyklopädie I
(1894), 1812.
128 ANTONIO CACCIARI
4
In generale, sulla semantica di καθαρός, si veda G. NEUMANN 1992, 71-75.
5
Va detto subito che il tema della “purità” in Origene – come, in generale, nei
primi scrittori cristiani – è ben poco studiato; un’eccezione è costituita dai lavori
di F. COCCHINI 2006, spec. 149-162; M. BLIDSTEIN, 2013, 373-384; ID. 2017 (su
Origene, cf. le pp. 203-227), che peraltro rileva tale mancanza («there is no scholarly
work which investigates Christian purity and defilement in the second and third cen-
turies across several domains. In works which are dedicated to baptism or to sexual
abstinence, two fields in which purity language is prominent and which are relatively
well-studied, purity is rarely singled out for study. Even in scholarly literature on the
body in early Christianity, a field greatly developed in the past decades, purity and
defilement do not receive sustained discussion, especially in the ante-Nicene period»,
p. 4).
6
I frammenti dell’opera di Celso sono citati secondo l’edizione di R. BADER
1940.
Καθαρός κτλ.nelContra CelsumdiOrigene 129
7
Ibid. (127,16-18; tr. cit., 160): Ὅρα γὰρ ἐν τούτοις, τίνα τρόπον παρίσταται
τὰ ἰουδαϊκὰ ἔθη περὶ καθαρῶν καὶ ἀκαθάρτων ἔτι τηρῶν ὁ Πέτρος.
8
CC II,7 (133,13-16; tr. cit., 165): ῍Η ἀνόσιον μὲν τὸ ἀφιστάνειν σωματικῆς
περιτομῆς καὶ σωματικοῦ σαββάτου καὶ σωματικῶν ἑορτῶν καὶ σωματικῶν νου-
μηνιῶν καὶ καθαρῶν καὶ ἀκαθάρτων, μετατιθέναι δὲ τὸν νοῦν ἐπὶ νόμον θεοῦ
ἄξιον καὶ ἀληθῆ καὶ πνευματικὸν.
9
CC III,10 (210,14-17; tr. cit., 234): ὅτι ἀρχόμενοι μέν, φησίν, ὀλίγοι τε ἦσαν
καὶ ἓν ἐφρόνουν· εἰς πλῆθος δὲ σπαρέντες αὖθις αὖ τέμνονται καὶ σχίζονται καὶ
στάσεις ἰδίας ἔχειν ἕκαστοι θέλουσι.
130 ANTONIO CACCIARI
10
CC VIII,29 (244,12-26; tr. cit., 585): Ἰστέον μέντοι γε ὅτι, Ἰουδαίων οἰο-
μένων νοεῖν τὸν Μωϋσέως νόμον καὶ τηρούντων ἐπὶ τῶν βρωμάτων τὸ μεταλαμ-
βάνειν μὲν τῶν νενομισμένων αὐτοῖς καθαρῶν ἀπέχεσθαι δὲ τῶν ἀκαθάρτων
ἀλλὰ καὶ μὴ χρῆσθαι αἵματι ζῴου εἰς τροφὴν μηδὲ τοῖς θηριαλώτοις καὶ ἄλλοις,
περὶ ὧν πολὺς λόγος καὶ διὰ τοῦτο νῦν οὐκ εὔκαιρον ἐξετασθῆναι, ἡ τοῦ Ἰησοῦ
διδασκαλία, βουλομένη πάντας ἀνθρώπους προσκαλέσασθαι εἰς τὴν καθαρὰν
θεοσέβειαν καὶ μὴ προφάσει τῆς περὶ βρωμάτων βαρυτέρας νομοθεσίας κωλύειν
πολλοὺς τῶν δυναμένων ὠφεληθῆναι εἰς ἤθη ἀπὸ χριστιανισμοῦ, ἀπεφήνατο ὅτι
“Οὐ τὰ εἰσερχόμενα εἰς τὸ στόμα κοινοῖ τὸν ἄνθρωπον, ἀλλὰ τὰ ἐξερχόμενα ἐκ
τοῦ στόματος”· τὰ μὲν γὰρ “εἰσερχόμενα εἰς τὸ στόμα εἰς τὴν κοιλίαν”, φησί,
“χωρεῖ καὶ εἰς ἀφεδρῶνα ἐκβάλλεται”, τὰ δ᾽ ἐξιόντα ἐκ τοῦ στόματος “διαλο-
γισμοί” εἰσι “πονηροὶ” λαλούμενοι καὶ “φόνοι” καὶ “μοιχεῖαι” καὶ “πορνεῖαι
κλοπαί” τε καὶ “ψευδομαρτυρίαι” καὶ “βλασφημίαι”.
11
Sull’argomento, si veda A. BOUCHÉ-LECLERCQ 1879, I, 123ss.
12
CC IV,93 (366,3-10; tr. cit., 366): Ὅθεν εἴπερ ἄλλο τι Μωϋσέως τεθαύμακα,
καὶ τὸ τοιοῦτον θαύματος ἀποφανοῦμαι ἄξιον εἶναι, ὅτι φύσεις κατανοήσας ζῴων
Καθαρός κτλ.nelContra CelsumdiOrigene 131
διαφόρους καὶ εἴτ᾽ἀπὸ τοῦ θείου μαθὼν τὰ περὶ αὐτῶν καὶ τῶν ἑκάστῳ ζῴῳ συγ-
γενῶν δαιμόνων εἴτε καὶ αὐτὸς ἀναβαίνων τῇ σοφίᾳ εὑρών, ἐν τῇ περὶ ζῴων
διατάξει πάντα μὲν ἀκάθαρτα ἔφησεν εἶναι τὰ νομιζόμενα παρ᾽Αἰγυπτίοις καὶ
τοῖς λοιποῖς τῶν ἀνθρώπων εἶναι μαντικά, ὡς ἐπίπαν δὲ εἶναι καθαρὰ τὰ μὴ
τοιαῦτα.
13
CC V,46 (50,11-15; tr. cit., 411): Ταῦτα δὴ καὶ τὰ τούτοις ἀνάλογον ἀπόρρητα
ἐπιστάμενοι Μωϋσῆς καὶ οἱ προφῆται ἀπαγορεύουσιν “ὄνομα θεῶν ἑτέρων”
ὀνομάζειν ἐν στόματι, μελετήσαντι τῷ ἐπὶ πᾶσι μόνῳ εὔχεσθαι θεῷ, καὶ ἀναμνη-
μονεύειν ἐν καρδίᾳ, διδασκομένῃ καθαρεύειν ἀπὸ πάσης ματαιότητος νοημάτων
καὶ λέξεων.
14
Sull’argomento, cf. Clem. Alex. Protr. 12, 120, 1-2, ed. C. MONDÉSERT 19492
(SCh 2), 189-190; inoltre, 33 e n. 1.
132 ANTONIO CACCIARI
15
CC III,59 (253,21-29; tr. cit., 270): Εἶτα μετὰ ταῦτα αἰσθόμενος ἑαυτοῦ ὁ
Κέλσος πικρότερον ἡμῖν λοιδορησαμένου ὡσπερεὶ ἀπολογούμενος τοιαῦτά φησιν·
Ὅτι δὲ οὐδὲν πικρότερον ἐπαιτιῶμαι ἢ ἐφ᾽ ὅσον ἡ ἀλήθεια βιάζεται, τεκμαιρέσθω
καὶ τοῖσδέ τις. Οἱ μὲν γὰρ εἰς τὰς ἄλλας τελετὰς καλοῦντες προκηρύττουσι τάδε·
ὅστις χεῖρας καθαρὸς καὶ φωνὴν συνετός, καὶ αὖθις ἕτεροι· ὅστις ἁγνὸς ἀπὸ παντὸς
μύσους, καὶ ὅτῳ ἡ ψυχὴ οὐδὲν σύνοιδε κακόν, καὶ ὅτῳ εὖ καὶ δικαίως βεβίωται. Καὶ
ταῦτα προκηρύττουσιν οἱ καθάρσια ἁμαρτημάτων ὑπισχνούμενοι.
16
Sull’iniziazione cristiana e il battesimo, cf. G. AF HÄLLSTRÖM 2011, II, 989-1010.
17
CCIII,60 (254,16-255,8; tr. cit., 270-271): Καὶ διδάσκοντες “ὅτι εἰς κακότε-
χνον ψυχὴν οὐκ εἰσελεύσεται σοφία οὐδὲ κατοικήσει ἐν σώματι κατάχρεῳ
ἁμαρτίας” φαμέν· ὅστις χεῖρας καθαρὸς καὶ διὰ τοῦτ᾽ ἐπαίρων “χεῖρας ὁσίους”
τῷ θεῷ καὶ παρὰ τὸ διηρμένα καὶ οὐράνια ἐπιτελεῖν δύναται λέγειν· “Ἔπαρσις
τῶν χειρῶν μου θυσία ἑσπερινή”, ἡκέτω πρὸς ἡμᾶς· καὶ ὅστις φωνὴν συνετὸς τῷ
μελετᾶν τὸν νόμον κυρίου “ἡμέρας καὶ νυκτὸς” καὶ τῷ “διὰ τὴν ἕξιν τὰ αἰσθη-
τήρια γεγυμ νασμένα” ἐσχηκέναι “πρὸς διάκρισιν καλοῦ τε καὶ κακοῦ” μὴ
ὀκνείτω προσιέναι στερεαῖς λογικαῖς τροφαῖς καὶ ἁρμοζούσαις ἀθληταῖς εὐσε-
βείας καὶ πάσης ἀρετῆς. Ἐπεὶ δὲ καὶ “ἡ χάρις” τοῦ θεοῦ ἐστι “μετὰ πάντων τῶν
ἐν ἀφθαρσίᾳ ἀγαπώντων” τὸν διδάσκαλον τῶν τῆς ἀθανασίας μαθημάτων, ὅστις
Καθαρός κτλ.nelContra CelsumdiOrigene 133
c) CCVII,3. Celso aveva stigmatizzato (cf. fr. VII,3 B.) il fatto che
i cristiani non dessero valore alcuno alle predizioni oracolari della reli-
gione greco-romana, ritenendo essi invece «meravigliose e inimita-
bili» «le cose dette o non dette alla loro maniera dagli abitanti della
Giudea e come sono abituati ancora adesso a fare quelli che vivono in
Fenicia e in Palestina». La contestazione origeniana si basa soprattutto
sulle modalità in cui tradizionalmente si diceva avvenisse la posses-
sione della Pizia nel culto delfico, considerato il più autorevole: «la
profetessa di Apollo riceve uno spirito attraverso le cavità femminili»;
Vedi ora – incalza Origene – se da questo non appare il carattere impuro
e profano di quello spirito (τὸ τοῦ πνεύματος ἐκείνου ἀκάθαρτον καὶ
βέβηλον), che non sopraggiunge nell’animo della profetessa attraverso
pori sottili e invisibili, molto più puri degli organi femminili (πολλῷ
γυναικείων κόλπων καθαρωτέρων ἐπεισιόν), ma attraverso quegli organi
che non sarebbe lecito per l’uomo prudente guardare e, figurarsi, toccare18.
ἁγνὸς οὐ μόνον ἀπὸ παντὸς μύσους ἀλλὰ καὶ τῶν ἐλαττόνων εἶναι νομιζομένων
ἁμαρτημάτων, θαρρῶν μυείσθω τὰ μόνοις ἁγίοις καὶ καθαροῖς εὐλόγως παραδι-
δόμενα μυστήρια τῆς κατὰ Ἰησοῦν θεοσεβείας. Ὁ μὲν οὖν Κέλσου μύστης
φησίν· ὅτῳ οὐδὲν ἡ ψυχὴ σύνοιδε κακόν, ἡκέτω· ὁ δὲ κατὰ τὸν Ἰησοῦν μυστα-
γωγῶν τῷ θεῷ τοῖς κεκαθαρμένοις τὴν ψυχὴν ἐρεῖ· ὅτῳ πολλῷ χρόνῳ ἡ ψυχὴ
οὐδὲν σύνοιδε κακόν, καὶ μάλιστα ἀφ᾽ οὗ προσελήλυθε τῇ τοῦ λόγου θεραπείᾳ,
οὗτος καὶ τῶν κατ᾽ ἰδίαν λελαλημένων ὑπὸ τοῦ Ἰησοῦ τοῖς γνησίοις μαθηταῖς
ἀκουέτω. Οὐκοῦν καὶ ἐν οἷς ἀντιπαρατίθησι τὰ τῶν μυούντων ἐν Ἕλλησι τοῖς
διδάσκουσι τὰ τοῦ Ἰησοῦ οὐκ οἶδε διαφορὰν καλουμένων ἐπὶ μὲν θεραπείαν
φαύλων ἐπὶ δὲ τὰ μυστικώτερα τῶν ἤδη καθαρωτάτων.
18
CCVII,3 (155,12-23; tr. cit., 506-507): Ἱστόρηται τοίνυν περὶ τῆς Πυθίας,
ὅπερ δοκεῖ τῶν ἄλλων μαντείων λαμπρότερον τυγχάνειν, ὅτι περικαθεζομένη τὸ
τῆς Κασταλίας στόμιον ἡ τοῦ Ἀπόλλωνος προφῆτις δέχεται πνεῦμα διὰ τῶν
γυναικείων κόλπων· οὗ πληρωθεῖσα ἀποφθέγγεται τὰ νομιζόμενα εἶναι σεμνὰ
καὶ θεῖα μαντεύματα. Ὅρα δὴ διὰ τούτων εἰ μὴ τὸ τοῦ πνεύματος ἐκείνου ἀκάθαρ-
τον καὶ βέβηλον ἐμφαίνεται, μὴ διὰ μανῶν καὶ ἀφανῶν πόρων καὶ πολλῷ γυναι-
κείων κόλπων καθαρωτέρων ἐπεισιὸν τῇ ψυχῇ τῆς θεσπιζούσης ἀλλὰ διὰ τούτων,
ἃ οὐδὲ θέμις ἦν τῷ σώφρονι καὶ ἀνθρώπῳ βλέπειν, οὔπω λέγω ὅτι καὶ ἅπτεσθαι·
καὶ τοῦτο ποιεῖν οὐχ ἅπαξ που οὐδὲ δίς – ἴσως γὰρ ἔδοξεν ἀνεκτότερον τὸ
τοιοῦτο τυγχάνειν –, ἀλλὰ τοσαυτάκις, ὁσάκις προφητεύειν ἐκείνη ἀπὸ τοῦ Ἀπόλ-
λωνος πεπίστευται.
19
CC VII,42 (192,25-26; tr. cit., 539): “Τὸν μὲν οὖν ποιητὴν καὶ πατέρα τοῦδε
τοῦ παντὸς εὑρεῖν τε ἔργον καὶ εὑρόντα εἰς πάντας ἀδύνατον λέγειν” (cf. Platone,
Timeo 28c: si tratta di uno dei passi platonici più frequentemente citati e commentati
nella letteratura cristiana dei primi secoli).
134 ANTONIO CACCIARI
20
CC VII,46 (198,2-12; tr. cit., 544-545): Οἱ δὲ πρὸς ἑτέροις μαθόντες ἀπὸ τοῦ
θείου λόγου καὶ ποιοῦντες καὶ τὸ “λοιδορούμενοι” εὐλογεῖν, “διωκόμενοι” ἀνέ-
χεσθαι, “δυσφημούμε νοι” παρακαλεῖν, οὗτοι ἂν εἶεν οἱ τὰς τῆς ψυχῆς βάσεις
ὀρθώσαντες καὶ ὅλην τὴν ψυχὴν καθαίροντες καὶ εὐτρεπί ζοντες· οὐχ ἵνα λέξεσι
μόναις οὐσίαν ἀπὸ γενέσεως χωρίζωσι καὶ νοητὸν ἀπὸ ὁρατοῦ, καὶ τὴν μὲν
ἀλήθειαν τῇ οὐσίᾳ συνάπτωσι τὴν δὲ μετὰ γενέσεως πλάνην παντὶ τρόπῳ φεύ-
γωσι, σκοποῦντες, ὡς ἔμαθον, οὐ τὰ γενέσεως, ἅπερ ἐστὶ “βλεπόμενα” καὶ διὰ
τοῦτο “πρόσκαιρα”, ἀλλὰ τὰ κρείττονα, εἴτ᾽ οὐσίαν αὐτά τις βούλεται καλεῖν εἴτε
διὰ τὸ νοητὰ τυγχάνειν “ἀόρατα” εἴτε διὰ τὸ ἔξω αἰσθήσεως εἶναι αὐτῶν τὴν
φύσιν “μὴ βλεπόμενα”.
21
CC VII,48 (199,12-17; tr. cit., 546): Οἱ δ᾽ὑπ᾽αὐτῶν ἐπὶ ἰδιωτείᾳ ἐξουθενού-
μενοι καὶ μωροὶ καὶ ἀνδράποδα εἶναι λεγόμενοι, κἂν μόνον πιστεύωσιν ἑαυτοὺς
τῷ θεῷ, παραδεξάμενοι τὴν τοῦ Ἰησοῦ διδασκαλίαν τοσοῦτον ἀποδέουσιν ἀσελ-
γείας καὶ ἀκαθαρσίας καὶ πάσης τῆς ἐν συνουσίαις ἀσχημοσύνης, ὡς καὶ τρόπον
τελείων ἱερέων, πᾶσαν συνουσίαν ἀποστραφέντων, πολλοὺς αὐτῶν παντελῶς
καθαρεύειν […].
22
CCVII,49 (200,10-18; tr. cit., 546-547): Ἀλλὰ καὶ παρ᾽ οἷς εἴτε διὰ πολλὴν
ἰδιωτείαν εἴτε δι᾽ ἁπλότητα εἴτε καὶ δι᾽ἀπορίαν τῶν προτρεψάντων ἐπὶ τὴν λογι-
κὴν εὐσέβειαν ταῦτα μὲν οὐ τετράνωται θεὸς δὲ ὁ ἐπὶ πᾶσι πιστεύεται καὶ ὁ
τούτου “μονογενὴς υἱὸς” λόγος καὶ θεός, εὑρεθείη ἄν ‹τι› σεμνότητος καὶ καθαρότη-
τος καὶ ἤθους ἀφέλεια καὶ ἁπλότης πολλάκις κρείττων, ἣν οἱ “φάσκοντες εἶναι
σοφοὶ” μὴ ἀνειληφότες ἐγκαλινδοῦνται μετὰ παίδων ἐν οἷς οὐ θέμις, “ἄρρενες
ἐν ἄρρεσι τὴν ἀσχημοσύνην κατεργαζόμενοι”.
Καθαρός κτλ.nelContra CelsumdiOrigene 135
25
CC IV,69 (338,26-339,2; tr. cit., 345): Ἀλλ᾽ οὐδ᾽ ὡς ἄνθρωπος τεκτηνάμενός
τι ἐνδεῶς καὶ ἀτεχνότερον δημιουργήσας ὁ θεὸς προσάγει διόρθωσιν τῷ κόσμῳ,
καθαίρων αὐτὸν κατακλυσμῷ ἢ ἐκπυρώσει, ἀλλὰ τὴν χύσιν τῆς κακίας κωλύων
ἐπὶ πλεῖον νέμεσθαι, ἐγὼ δ᾽ οἶμαι ὅτι καὶ πάντῃ τεταγμένως αὐτὴν ἀφανίζων
συμφερόντως τῷ παντί. A questo problema, più volte affrontato da Origene, è dedi-
cata, come è noto, un’intera sezione del Deprincipiis(III,1), riportata nell’originale
greco dalla Philocalia (cf. É. JUNOD [ed.], 1976).
26
Si tratta con ogni probabilità di un repertorio topico: cf. M. BORRET (ed.) 1969,
81; cf. inoltre H. CHADWICK, 1947, 35; ID. (ed.) 19652, 284 n. 3.
27
CC V,27 (27,25-28,9; tr. cit., 395): ἀπαγγειλάτω δὲ ἡμῖν καὶ πῶς ὀρθῶς
πράττεται τὰ παρ᾽ ἑκάστοις δρώμενα, ὅπῃ τοῖς ἐπόπταις ἐστὶ φίλον, καὶ εἰ ὀρθῶς
ἔχουσι φέρ᾽ εἰπεῖν οἱ Σκυθῶν περὶ ἀναιρέσεως πατέρων νόμοι ἢ οἱ Περσῶν, μὴ
κωλύοντες γαμεῖσθαι τοῖς οἰκείοις παισὶ τὰς μητέρας μηδὲ ὑπὸ τῶν πατέρων τὰς
ἑαυτῶν θυγατέρας. […] Λεγέτω δ᾽ ἡμῖν ὁ Κέλσος, πῶς οὐχ ὅσιον παραλύειν
νόμους πατρίους περὶ τοῦ γαμεῖν μητέρας καὶ θυγατέρας, ἢ περὶ τοῦ μακάριον
εἶναι ἀγχόνῃ τὸν βίον ἐξελθεῖν, ἢ πάντως καθαίρεσθαι τοὺς ἑαυτοὺς παραδιδόν-
τας τῷ πυρὶ καὶ τῇ διὰ πυρὸς ἀπαλλαγῇ τῇ ἀπὸ τοῦ βίου.
Καθαρός κτλ.nelContra CelsumdiOrigene 137
tra loro per il desiderio di una purezza superiore e per onorare in maniera
più pura la divinità non si accostano ai piaceri d’amore concessi dalla
legge28.
Alla base di queste, e di altre affermazioni difensive dello stesso
genere vi è la generica accusa di «impurità» rivolta ai cristiani29, a
cui Origene direttamente risponde come segue.
3. CCVII,12:
non c’è niente di malvagio, di vergognoso, di impuro (ἀκάθαρτον) né di
scellerato in quelle parole30, ma che esse diventano tali per coloro che non
hanno compreso come si deve accogliere la Scrittura divina31.
Ma, sulla «purezza» dei cristiani, questa volta in relazione alla loro
condotta sessuale, Origene ritorna in modo assai più esplicito, contro-
battendo un passo particolarmente radicale – e malevolo – di Celso32:
4. CC VIII,55:
Dio ci ha permesso di prender moglie, in quanto non tutti comprendono
il bene essenziale, cioè l’assoluta purezza (τὸ πάντῃ καθαρόν), e a quelli
che hanno preso moglie ha permesso di allevare con ogni mezzo i loro
nati e ha proibito di uccidere i figli concessi dalla provvidenza33.
I cristiani, insomma, devono essere considerati assolutamente «puri»,
anche senza ricorrere a umilianti privazioni della loro sessualità.
5. CCVII,48:
quelli che sono disprezzati da costoro (scil.: «coloro che affermano
di essere saggi»: cf. supra, VII,47) per la loro ignoranza e sono detti
sciocchi e schiavi, anche se si affidano soltanto a Dio, dopo aver accolto
l’insegnamento di Gesù, a tal punto sono privi di insolenza, di impurità
(ἀκαθαρσίας) e di ogni indecenza nelle unioni sessuali che, proprio alla
28
CCI,26 (78,24-28; tr. cit., 114): ἐξ οὗ δὲ παρειλήφασι τὸν λόγον, τίνα τρόπον
γεγόνασιν ἐπιεικέστεροι καὶ σεμνότεροι καὶ εὐσταθέστεροι, ὥς τινας αὐτῶν διὰ
τὸν ἔρωτα τῆς ὑπερβαλλούσης καθαρότητος καὶ διὰ τὸ καθαρώτερον θρησκεύειν
τὸ θεῖον μηδὲ τῶν συγκεχωρημένων ὑπὸ τοῦ νόμου ἅπτεσθαι ἀφροδισίων […].
29
Cf. Cels. fr. VII,12 B.
30
Il riferimento è, in particolare, alle parole dei profeti biblici.
31
CCVII,12 (164,6-9; tr. cit., 195): Ἐχρῆν δ᾽ αὐτὸν ἀπὸ τῶν προφητῶν τὸ
φαινόμενον ἐν αὐτοῖς πονηρὸν ἢ τὸ δοκοῦν αὐτῷ αἰσχρὸν ἢ τὸ νομιζόμενον αὐτῷ
ἀκάθαρτον ἢ ὃ ὑπελάμβανεν εἶναι μιαρὸν παραθέσθαι, εἴπερ τοιαῦτα ἔβλεπεν ἐν
τοῖς προφήταις εἰρημένα.
32
Cf. fr. VIII,55 B.
33
CCVIII,55 (272,11-14; tr. cit., 608): Ἀλλὰ καὶ ἄγεσθαι γυναῖκα ἐπέτρεψεν
ἡμῖν ὁ θεός, ὡς οὐ πάντων χωρούντων τὸ διαφέρον τουτέστι τὸ πάντῃ καθαρόν,
καὶ ἀγομένοις γυναῖκας τὰ γεννώμενα πάντως τρέφειν καὶ μὴ ἀναιρεῖν τὰ ὑπὸ
τῆς προνοίας διδόμενα τέκνα.
138 ANTONIO CACCIARI
maniera dei sacerdoti perfetti che hanno abbandonato ogni unione ses-
suale, molti di loro sono completamente puri (παντελῶς καθαρεύειν),
non solo da ogni congiungimento. E c’è, se non erro, fra gli Ateniesi uno
ierofante, che, non credendosi capace di essere signore dei propri desideri
virili e di dominarli come vuole, ha distrutto con la cicuta le sue parti
virili ed è considerato puro (καθαρός) per il culto tradizionale degli Ate-
niesi34. Fra i cristiani invece è possibile vedere uomini che non hanno
avuto bisogno della cicuta, per servire Dio in modo puro (καθαρῶς), ma
si accontentano della dottrina, invece della cicuta, per servire Dio con
preghiere, dopo avere scacciato ogni desiderio dal loro pensiero35.
39
Su Celso e Marcione, cf. A. VON HARNACK 19242, 325*-327*.
40
CCV,15 (16,5-8; tr. cit., 385): οὐ συνιδὼν ὅτι, ὥσπερ Ἑλλήνων τισὶν ἔδοξε
– τάχα παρὰ τοῦ ἀρχαιοτάτου ἔθνους Ἑβραίων λαβοῦσι –, τὸ πῦρ καθάρσιον
ἐπάγεται τῷ κόσμῳ, εἰκὸς δ᾽ ὅτι καὶ ἑκάστῳ τῶν δεομένων τῆς διὰ τοῦ πυρὸς
δίκης ἅμα καὶ ἰατρείας […].
41
Cf. Gen 1,26.
42
CCV,16 (17,27-18,5; tr. cit., 386): Ὁ λόγος οὖν μόνους μὲν ἀγεύστους τοῦ
πυρὸς καὶ τῶν κολάσεών φησι διαμενεῖν τοὺς τὰ δόγματα καὶ τὰ ἤθη καὶ τὸ
ἡγεμονικὸν ἄκρως κεκαθαρμένους· τοὺς δὲ μὴ τοιούτους, κατὰ τὴν ἀξίαν χρῄ-
ζοντας τῆς διὰ πυρὸς κολάσεων οἰκονομίας, ἐν τούτοις ἐπί τινι τέλει φησὶν ἔσε-
σθαι, ὃ τῷ θεῷ ἁρμόζει ἐπάγειν τοῖς “κατ᾽ εἰκόνα” αὐτοῦ πεποιημένοις καὶ παρὰ
τὸ βούλημα τῆς “κατ᾽ εἰκόνα” φύσεως βεβιωκόσι. Καὶ ταῦτα δὲ πρὸς τό· Τὸ μὲν
ἄλλο πᾶν ἐξοπτήσεσθαι γένος, αὐτοὺς δὲ μόνους διαμενεῖν.
43
Cf. CC V,14 (15,1-6; tr. cit., 384), fr. V,14 B.: Λέγει οὖν ταῦτα· Ἠλίθιον δ᾽
αὐτῶν καὶ τὸ νομίζειν, ἐπειδὰν ὁ θεὸς ὥσπερ μάγειρος ἐπενέγκῃ τὸ πῦρ, τὸ μὲν
ἄλλο πᾶν ἐξοπτήσεσθαι γένος, αὐτοὺς δὲ μόνους διαμενεῖν, οὐ μόνον τοὺς ζῶντας
ἀλλὰ καὶ τοὺς πάλαι ποτὲ ἀποθανόντας αὐταῖς σαρξὶν ἐκείναις ἀπὸ τῆς γῆς ἀνα-
δύντας, ἀτεχνῶς σκωλήκων ἡ ἐλπίς.
140 ANTONIO CACCIARI
5. LA PUREZZA DI CRISTO
44
Il tema s’intreccia, ovviamente, con quello della ‘apocatastasi’, cioè della ‘restau-
razione’ finale, uno dei principali capi d’accusa dottrinali che vennero sostenuti a
carico di Origene; al riguardo, cf. H. CROUZEL 1987, 282-290.
45
Cf. per es. PrinI,1,2 e, soprattutto, H38Ps1,7; HIerXX,8; sull’argomento, si
vedano E. PRINZIVALLI 2000, 177-181; EAD., 208-209, con ulteriori rimandi biblio-
grafici.
46
CCII,40 (164,11-13; tr. cit., 195): Καὶ ἀφιλόσοφον δέ τι παθὼν ὁ Κέλσος
τὴν ἐν ἀνθρώποις ὑπεροχὴν οὐκ ἐν λόγῳ σωτηρίῳ καὶ ἤθει καθαρῷ φαντάζεται
εἶναι, ἀλλὰ ἐν τῷ παρὰ τὴν ὑπόθεσιν οὗ ἀνείληφε προσώπου ποιῆσαι […].
47
CC II,41 (164,23-25; tr. cit., 195): Ἔτι δ᾽ ἐγκαλεῖ τῷ Ἰησοῦ ὁ Κέλσος διὰ
τοῦ ἰουδαϊκοῦ προσώπου, ὡς μὴ δείξαντι ἑαυτὸν πάντων δὴ κακῶν καθαρεύοντα.
Cf. Celso, fr. II,41 B. (ibid.).
48
Ibid. (164,25-31; tr. cit., 195): Ποίων δὴ κακῶν, λεγέτω ὁ Κέλσου λόγιος,
οὐκ ἔδειξεν ἑαυτὸν καθαρεύοντα ὁ Ἰησοῦς; Εἰ μὲν γὰρ τῶν κυρίως κακῶν λέγει
αὐτὸν μὴ κεκαθαρευκέναι, παραστησάτω ἐναργῶς κακίας ἔργον ἐν αὐτῷ· εἰ δὲ
κακὰ νομίζει πενίαν καὶ σταυρὸν καὶ τὴν ἀπὸ τῶν ἀτόπων ἀνθρώπων ἐπιβουλήν,
δῆλον ὅτι καὶ Σωκράτει φησὶ κακὰ συμβεβηκέναι, μὴ δυνηθέντι ἑαυτὸν ἀποδεῖ-
ξαι καθαρὸν ἀπὸ τῶν κακῶν.
Καθαρός κτλ.nelContra CelsumdiOrigene 141
6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Nel corso di questa breve ricerca – che, nella grande quantità di
passi ove i lemmi compaiono, si è limitata a mettere in evidenza solo
quelli che sono apparsi di maggior rilievo – si è cercato di mettere in
luce come, all’interno della vasta e varia congerie delle opere orige-
niane giunte fino a noi, καθαρός e corradicali riflettano una notevole
varietà di usi e di relative sfumature semantiche, legate ai diversi
contesti in cui i lemmi sono inseriti. Ciò non stupisce di certo, trat-
tandosi di una terminologia di grande rilievo, in riferimento tanto alla
cultura religiosa del giudaismo, quanto a quella ellenistico-romana.
Questi, infatti, sono i due poli principali intorno ai quali ruota la
discussione – avvenuta aposteriori, come si è detto – riguardante le
opinioni a suo tempo formulate da Celso a proposito dei cristiani;
49
CC VIII,17 (234,15-17; tr. cit., 576): Μετὰ ταῦτα δὲ ὁ Κέλσος φησὶν ἡμᾶς
βωμοὺς καὶ ἀγάλματα καὶ νεὼς ἱδρύεσθαι φεύγειν, ἐπεὶ τὸ πιστὸν ἡμῖν ἀφανοῦς
καὶ ἀπορρήτου κοινωνίας οἴεται εἶναι σύνθημα. Cf. Cels. fr. VIII,17 B.
50
CCVIII,19 passim (236,14-28; tr. cit., 578): Εἰ δὲ καὶ ναοὺς ναοῖς δεῖ παρα-
βαλεῖν, ἵνα παραστή σωμεν τοῖς ἀποδεχομένοις τὰ Κέλσου ὅτι νεὼς μὲν ἱδρύεσθαι
τοὺς πρέποντας τοῖς εἰρημένοις ἀγάλμασι καὶ βωμοῖς οὐ φεύγομεν, ἐκτρεπόμεθα
δὲ τῷ πάσης ζωῆς χορηγῷ ἀψύχους καὶ νεκροὺς οἰκοδομεῖν νεώς· ἀκουέτω ὁ
βουλόμενος, τίνα τρόπον διδασκόμεθα ὅτι τὰ σώματα ἡμῶν “ναὸς τοῦ θεοῦ”
ἐστι, καὶ “εἴ τις” διὰ τῆς ἀκολασίας ἢ τῆς ἁμαρτίας “φθείρει” “τὸν ναὸν τοῦ
θεοῦ”, οὗτος ὡς ἀληθῶς ἀσεβὴς εἰς τὸν ἀληθῆ ναὸν φθαρήσεται. Πάντων δὲ τῶν
οὕτως ὀνομαζομένων ναῶν κρείττων ἦν καὶ διαφέρων νεὼς τὸ ἱερὸν καὶ καθαρὸν
σῶμα τοῦ σωτῆρος ἡμῶν Ἰησοῦ, ὅστις ἐπιστάμενος ἐπιβουλεύεσθαι μὲν δύνασθαι
ὑπὸ τῶν ἀσεβῶν τὸν ναὸν τοῦ ἐν αὐτῷ θεοῦ, οὐ μὴν ὥστε ἰσχυροτέραν εἶναι τὴν
τῶν ἐπιβουλευόντων προαίρεσιν τῆς τὸν νεὼν οἰκοδομούσης θειότητος, φησὶ
πρὸς ἐκείνους· “Λύσατε τὸν ναὸν τοῦτον, κἀγὼ ἐν τρισὶν ἡμέραις ἐγερῶ αὐτόν”.
Τοῦτο δὲ “ἔλεγε περὶ τοῦ ναοῦ τοῦ σώματος αὐτοῦ”.
142 ANTONIO CACCIARI
51
Sul trattamento del giudaismo in Celso, cf. N. DE LANGE 1976, 63ss.; G. SGHERRI
1982, 13ss.; approfondita discussione in A. LE BOULLUEC (supra, n. 1), 15-19.
Καθαρός, καθαίρω in Cirillo Alessandrino
Pietro ROSA
2. PREFIGURAZIONI BATTESIMALI
Commentando nel Deadorationeetcultuinspirituetveritate(IX) le
prescrizioni di Esodo 30 a proposito dell’altare dei profumi (PG 68,623d),
e in particolare del rito di espiazione che Aronne deve compiere su di
esso una volta all’anno (30,10), bagnando con il sangue del giovenco
sacrificato i corni dell’altare (Lv 4,7), Cirillo svela al discepolo Palladio
il significato simbolico di questi riti legali. Secondo i moduli tipici
della lettura allegorica alessandrina, qui evidenziati dalla presenza di
termini caratteristici del lessico esegetico, comunemente impiegato da
Cirillo1, la purificazione attraverso il sangue della vittima prefigura
1
Cf. soprattutto A. KERRIGAN 1952, 35; 111; M. SIMONETTI 1987; 1991.
144 PIETRO ROSA
2
Per il testo cf. G. MERCATI 1948, per una discussione cf. P. ROSA 2018. L’aspetto
più interessante, nel prologo del commento ai salmi, è il fatto che Cirillo rileva la
discrepanza fra la prescrizione relativa al sacrificio di salvezza e il divieto di porgere
al Signore offerte lievitate, ma la spiega fornendone un’interpretazione allegorica (da
lui definita «mistica»), in base alla quale la Legge preannuncia che gli Israeliti, una
volta giunti alla fede, sono destinati ad offrire sacrifici di lode al Signore insieme ai
gentili.
Καθαρός,καθαίρω inCirilloAlessandrino 145
Come in quel passo, anche qui Cirillo richiama in parallelo Sal 115,14
e precisa che il sacrificio di lode è definito da Davide «calice di
salvezza» (ποτήριον σωτηρίου), per poi aggiungere che anche i cri-
stiani rivolgono spesso la loro lode a Dio riuniti in spirito, in un unico
corpo e un’unica anima, nelle assemblee in cui si mescolano senza
distinzione quanti sono già purificati dal santo battesimo e i catecu-
meni, ancora in attesa di purificazione e perciò esclusi dai misteri più
sacri e dal sacrificio di Cristo. In tal senso i «pani lievitati» di Lv 7,13
offerti «in sacrificio di salvezza, come lode» sono figura (τύπος)
della vita non ancora purificata dal santo battesimo (ζωῆς ... τῆς οὔπω
κεκαθαρμένης διὰ τοῦ ἁγίου βαπτίσματος), né ancora del tutto libe-
rata dall’impurità mondana (οὔτε μὴν εἰσάπαν ἀπηλλαγμένης
κοσμικῆς ἀκαθαρσίας). Il pane azzimo, invece, rappresenta una vita
già purificata in Cristo attraverso la fede, la vita di quanti sono già
iniziati e perfetti, di cui Paolo dice «celebriamo dunque la festa non
tra lievito vecchio, né in lievito di malizia e perversità, ma con azzimi
di purezza e di verità» (1 Cor 5,8).
Ulteriore prefigurazione della purificazione battesimale che si
ottiene attraverso l’acqua è presente secondo Cirillo in alcune norme
relative alla riammissione dei lebbrosi all’interno della comunità,
una volta che essi siano guariti. Sempre nel De adoratione (XV =
PG 68,984ab) egli avverte infatti che laddove la Legge considera che
il lebbroso guarito non sarà considerato puro (καθαρὸν ἔσεσθαι)
prima di avere lavato le proprie vesti, si deve cogliere come sia deline-
ato in figura corporea (ὡς ἐν τύποις ἡμῖν τοῖς ἐν αἰσθήσει σωματικῇ)
il mistero della purificazione battesimale.
In questi passi si vede già ben delineata la ferma convinzione del
Patriarca alessandrino in merito alla natura parziale e preparatoria
della Legge mosaica, un motivo che torna con regolare insistenza
all’interno di tutti i suoi commenti esegetici3. Se ne trova in effetti
puntuale conferma quando nel CommentoaIsaia (PG 70,40b) egli
affronta l’esegesi di Is 1,16 («Lavatevi, purificatevi») per la quale
l’ennesimo richiamo alla prefigurazione (διατυπόω) battesimale
contenuta nelle ombre (ὡς ἐν σκιαῖς) della Legge lo spinge a evocare
le prescrizioni mosaiche sulla purificazione dei leviti di Lv 8,7-8:
confrontate con Eb 9,13-14 («Infatti se il sangue dei capri e dei tori
e la cenere di vacca aspersa sui contaminati li santificano, purificandoli
3
Cf. su questo aspetto M. SIMONETTI 1985, 216-226; P. ROSA 1994, 59-62;
J.-N. GUINOT 1998a, 49-51; R.L. WILKEN 2003.
146 PIETRO ROSA
3. CRISTOLOGIA MESSIANICA
La riflessione su purità e impurità spinge Cirillo a riproporre più
volte la sua lettura cristologica degli insegnamenti mosaici4. Ciò
emerge bene da una serie di testi vetero e neotestamentari accostati
tra loro secondo una modalità di marca prettamente alessandrina, fre-
quente nell’esegesi del patriarca: in DeadorationeIII(PG 68,297c)
egli muove infatti dalla spiegazione di Is 28,16 («Ecco io pongo in
Sion una pietra, una pietra scelta, angolare, preziosa, ben fondata:
chi crede non si confonderà»), per identificare questa «pietra» con
Cristo, tesoro unico della Chiesa, nostra ricchezza spirituale e perciò
chiamato anche «pietra preziosa» (Mt 13,45). Attraverso di sé, infatti,
egli ci ha uniti al Padre, dissolvendo l’inimicizia nel suo corpo, come
si legge in Ef 2,16. Cristo manifesta in sostanza la volontà di essere
una cosa sola col Padre, ma al tempo stesso vuole che chi lo segue
sia anch’egli unito ad entrambi loro. Per questo – prosegue Cirillo – il
figlio è chiamato κασσιτέρινος λίθος in Zac 4,10 («Si rallegreranno
vedendo la pietra di stagno in mano a Zorobabele)» e analogamente
in Zac 5,7-8 si parla di un «talento di piombo» (τάλαντον μολί-
βδου). Secondo Cirillo questi riferimenti allo stagno e al piombo si
debbono intendere come richiami alla natura e all’azione di Cristo, in
quanto è noto che metalli come l’argento, quando sono impuri, si
purificano perfettamente se vengono fusi insieme al piombo, capace,
per sua stessa natura, di attrarre a sé le impurità del metallo insieme
al quale è stato fuso; è quello che Cristo ha fatto nei nostri confronti:
si è unito infatti fisicamente e spiritualmente (σωματικῶς τε ἄμα καὶ
πνευματικῶς) a noi che siamo impuri e ha sciolto ogni sporcizia
rimasta in noi, cioè ha tolto i nostri peccati per renderci puri e splen-
didi attraverso di lui (ἵν’ἡμεῖς ... δι’αὐτοῦ καθαροί τε ὦμεν καὶ
λελαμπρυσμένοι). Non manca naturalmente, anche in questa lettura
4
Per la cristologia di Cirillo, cf. in particolare M.-O. BOULNOIS 1994; B. MEUNIER
1997; S.A. MCKINION 2000; T.G. WEINANDY 2003.
Καθαρός,καθαίρω inCirilloAlessandrino 147
legata alla simbologia dei metalli e della loro fusione5, una nota pole-
mica antigiudaica, tipica dell’Alessandrino6, quando sostiene che
Ger 6,29-30 si lamenta perché i Giudei non hanno accolto la purifi-
cazione: «Il mantice sbuffa perché sia liquefatto il piombo; invano
fonde il fonditore, le scorie non si staccano. Argento di scarto sono
chiamati, perché il Signore li ha rifiutati»: ne conclude Cirillo che
la Scrittura non ignora il fatto che senza piombo non si può avere
purificazione, e il piombo è Cristo perché ha purificato noi che, come
un metallo impuro, siamo impuri, letteralmente «pieni di scorie»
(ἐπειδήπερ ἀδοκίμους ὄντας ἡμᾶς ἐξεκάθηρεν ὁ Χριστός).
Di particolare interesse per la ricchezza e la molteplicità delle cor-
rispondenze allegoriche appare anche l’interpretazione che Cirillo
propone delle norme relative alla guarigione dei lebbrosi e dunque
alla loro riammissione nella comunità, commentando Lv 14,1-9 nei
suoi Glaphyra (PG 69,557a). Si tratta di un altro passo su cui l’Ales-
sandrino ritorna a più riprese nella sua esegesi veterotestamentaria,
con risvolti significativi anche sul piano teologico, in particolare
quando illustra la prescrizione che riguarda i due uccelli vivi, uno
destinato al sacrificio, l’altro liberato dopo essere stato intinto nel
sangue del primo, a simboleggiare la doppia natura di Cristo7, o la
spiegazione degli elementi richiesti per il rito di purificazione: il
legno di cedro, che prefigura il corpo sacro di Cristo non soggetto
a corruzione, l’issopo, anticipazione della forza purificatrice dello
Spirito Santo, in quanto erba per sua natura calda e adatta a eliminare
le impurità flegmatiche e fredde contenute nelle viscere dei malati,
l’acqua viva, “tipo” di quella battesimale, e infine lo scarlatto, prefi-
gurazione del modo (τρόπος) dell’incarnazione, in cui il Verbo è Dio,
ma assume corpo mortale, costituito da carne e da sangue. Qui sem-
bra tuttavia più attento ai risvolti morali della lettura allegorica:
quando il malato di lebbra era sulla via della guarigione, egli veniva
infatti condotto al sacerdote, che lo visitava fuori dall’accampamento,
per compiere il rito dei due passeri, si radeva i peli del corpo e quindi
rientrava nell’accampamento e infine nella propria casa, dopo esserne
rimasto escluso ancora per sette giorni.
5
Come i frequenti riferimenti a pittura e scultura, anche questi richiami alle
attività di artefici derivano probabilmente a Cirillo dalla filosofia platonica, cf. ad
esempio Resp.601a.
6
Cf. infra§ 5; A. KERRIGAN 1952, 385.
7
Il passo è analizzato e discusso da A. KERRIGAN 1952, 375-376; J.-N. GUINOT
1988b; P. ROSA 1994, 81-83; 169-171.
148 PIETRO ROSA
8
Per questo aspetto cf. soprattutto gli esempi raccolti e discussi da A. KERRIGAN
1952, 383-385.
Καθαρός,καθαίρω inCirilloAlessandrino 149
4. LETTURE MORALI
Nell’esame dei passi che implicano più direttamente la cristologia
di Cirillo si è già osservata la sua tendenza a trasferire la lettera della
Legge ad un livello di interpretazione morale, secondo una modalità
da lui largamente praticata in àmbito esegetico9. Tale caratteristica,
connessa ai concetti di purificazione e purezza, riemerge con evi-
denza ancora nei Glaphyra e segnatamente nell’interpretazione di Es
4,6-7 (PG 69,472c): la mano di Mosè diventa lebbrosa e poi guarisce,
a seconda che Dio gli comandi di porla una prima e una seconda volta
nel suo seno. Ciò offre il destro al patriarca per sottolineare come gli
Israeliti, soggetti ad un gravissimo malanno, la schiavitù d’Egitto,
possano essere guariti solo da un medico di eccezionali capacità, Dio,
che riesce a vincere i mali peggiori. La simbologia, per Cirillo, è chiara:
la lebbra rappresenta il decadimento dei costumi cui gli Israeliti sono
andati incontro in occasione della schiavitù d’Egitto. Si tratta infatti
di una malattia che è segno di impurità e di morte (ἀκαθαρσίας γὰρ
καὶ νεκρότητος σημεῖον), mentre l’intervento divino è volto a
mostrare che essi si sarebbero potuti facilmente liberare dalla sporci-
zia di una morte spirituale. Più nel dettaglio: è costume (ἔθος) della
Scrittura ispirata designare il Figlio con termini come «mano»,
«braccio», «destra» (χεῖρ, βραχίων, δεξιά), poiché Dio opera ogni
cosa per mezzo suo. Appare dunque evidente che il Figlio, assumendo
9
Cf. in particolare A. KERRIGAN 1952, 152-164; M. SIMONETTI 1977, 319-320.
150 PIETRO ROSA
5. POLEMICA ANTIPAGANA
Cirillo è buon conoscitore della cultura pagana10 e per questo non
esita a polemizzare energicamente contro riti, simboli e modelli che
10
Cf. A. KERRIGAN 1952, 7-11; 61-86; 308-309.
Καθαρός,καθαίρω inCirilloAlessandrino 151
11
Su questo aspetto cf. in particolare A. KERRIGAN 1952, 376-383 con numerosi
esempi; da ultimo cf. D. ZAGANAS 2014, 41: «le recours à l’étymologie des noms
bibliques devient un argument afortiori dans le processus exégétique cyrillien: prou-
ver l’existence d’un typos et le transformer en vérité “au moyen de la traduction des
noms” (ἀπὸ τῆς τῶν ὀνομάτων ἑρμηνείας) ou reconnaître le mystère du Christ
préfiguré dans leur sens étymologique».
152 PIETRO ROSA
6. DISPUTE TEOLOGICHE
È noto che gli interessi esegetici di Cirillo mutano dopo il 428,
quando la predicazione di Nestorio lo costringe a concentrarsi su
polemiche strettamente dottrinarie12. Se ne colgono evidenti riflessi
12
Cf. J. LIÉBAERT 1970.
Καθαρός,καθαίρω inCirilloAlessandrino 153
13
E. LIVREA 1987, 109.
154 PIETRO ROSA
7. PURIFICAZIONE E DIGIUNO
14
Questa convinzione torna con grande frequenza nei commentari di Cirillo agli
scritti dei Profeti: a suo parere essi hanno a cuore la sorte di Israele, che vedono
destinato a rovinarsi con atteggiamenti empi e col rifiuto di Cristo, per cui, special-
mente nella conclusione delle loro profezie, inseriscono riferimenti messianici e pre-
ghiere per il loro popolo. Su tale aspetto cf. P. ROSA 2015, 338-339.
15
Cf. P. ROSA 2018, 243-245.
16
Cf. per questo aspetto C. FERRARI TONIOLO 2000, 32.
156 PIETRO ROSA
17
W.H. BURNS 1993, 20-22.
La κάθαρσις in Massimo il Confessore:
terminologia e significato teologico
Raffaele COPPI
3
Μωὰβ δὲ ἔντερον πατρὸς ἑρμηνεύεται, νοεῖται δὲ τὸ ἡμέτερον σῶμα, δι’ οὗ
κατὰ τὴν πρακτικὴν φιλοσοφίαν, λουτροῦ δίκην —ὅπερ δηλοῖ σαφῶς ὁ λέβης—,
ἡ κάθαρσις πέφυκε γίνεσθαι τῶν ἁμαρτημάτων· κάθαρσις γάρ ἐστιν ὁ λέβης τῆς
ἐλπίδος, τουτέστιν ἡ διὰ βίου κατὰ τὴν κάθαρσιν πρὸς κληρονομίαν τῶν κατ’
ἐλπίδας ἀποκειμένων ἡμῖν ἀγαθῶν ἑτοιμότης (Exp.Ps.LIX [CCSG 23 16.226-233]).
4
Una possibile pista di studio sul tema della purificazione nell’opera massimiana
potrebbe riguardare un confronto dettagliato con le fonti a cui il Confessore attinge.
Dovendo tuttavia concentrare l’attenzione su un aspetto, si è scelto di tralasciare un
confronto puntuale con questi autori, limitandoci a delineare il pensiero massimiano
nei suoi contenuti principali.
5
Tra gli studiosi si è dibattuto, in particolare, sull’importanza dell’apporto dioni-
siano al pensiero di Massimo, anche rispetto ad altre fonti significative come ad
esempio Evagrio Pontico. Su questo tema cf. W. VÖLKER 1961; Y. DE ANDIA 2015.
Il richiamo a questi autori, tuttavia, non esaurisce le fonti di Massimo. Nei suoi
scritti, infatti, si possono trovare innumerevoli riferimenti di carattere filosofico,
antropologico, spirituale – oltre che dogmatico – che provengono da autori differenti,
come ad esempio Nemesio di Emesa, Diadoco di Fotica o Cirillo di Alessandria.
La vastità della sua preparazione letteraria pone domande circa i luoghi della sua for-
mazione, che inevitabilmente toccano il dibattito sulle due Vitae (greca e siriaca), che
tuttora divide gli studiosi del Confessore. Per una conoscenza di base sulla questione
prosopografica di Massimo, si veda P. ALLEN 2015.
LaκάθαρσιςinMassimoilConfessore 159
6
È Evagrio stesso, nel prologo al Praktikos, a dividere il suo progetto in due
parti, la prima di cento capitoli «pratici», la seconda di cinquanta più seicento capitoli
«gnostici» (cf. Evagr.Pont., Cap.pract. Prol.9 [SCh170, 492-494]).
7
Sono famosi i passi letterari in cui Massimo parla di πρᾶξις ἔνσοφος e γνῶσις
ἔμπρακτος (cf. Amb.Th.Prol. [CCSG 48 3.9]).
8
Per una comprensione generale della tappa teologica in Massimo cf. J.-C. LARCHET
2010, 69-73.
9
Cf. Char.1.2-3 (A. CERESA–GASTALDO 1963, 50).
10
Cf. Amb.Io.41 (PG 91 1308B).
11
Cf. Char.4.100 (A. CERESA–GASTALDO 1963, 88).
12
Φησὶ γὰρ ἔστη τὸ αἷμα τῆς περιτομῆς τοῦ παιδίου, τουτέστιν ἔληξεν ἡ
ἐμπαθὴς ζωὴ καὶ φαντασία καὶ κίνησις, καθαρθέντος διὰ τῆς σοφίας κατὰ τὴν
πίστιν τοῦ μολυνθέντος λογισμοῦ· μεθ’ ἣν κάθαρσιν παύεται, καθάπερ τις ἄγγε-
λος, ὁ διὰ τῆς συνειδήσεως πλήττων τὸν ἁμαρτάνοντα νοῦν καὶ ἐνδιαβάλλων
αὐτοῦ πᾶν νόημα παρὰ τὸ προσῆκον κινούμενον λόγος (Thal.17.50-56 [CCSG 7
113.50-56]).
160 RAFFAELE COPPI
13
Cf. P. SHERWOOD 1955. Questo studio, una pietra miliare degli studi massi-
miani, mostra tra le altre cose la differenza tra la triade origeniana στάσις - κίνησις
- γένεσις e quella massimiana γένεσις - κίνησιν - στάσις. Nel primo caso, il movi-
mento è visto come il risultato di una scelta di allontamento dalla contemplazione di
Dio, condizione originaria degli esseri razionali; nel secondo, esso è invece ciò che
permette positivamente il raggiungimento di una condizione finale di divinizzazione,
pensata in origine da Dio ma inattuabile con le sole potenzialità umane.
14
Cf. Thal.Intr. (CCSG 7 31.227-239).
15
Ἀκάθαρτός ἐστι ψυχὴ ἐμπαθής, λογισμῶν ἐπιθυμίας καὶ μίσους πεπληρωμένη
(Char.1.14 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 54]).
16
Τὰ φαινόμενα πάντα δεῖται σταυροῦ· τῆς τῶν ἐπ᾽αὐτοῖς κατ’αἴσθησιν ἐνερ-
γουμένων ἐπεχούσης τὴν σχέσιν, ἕξεως· τὰ δὲ νοούμενα πάντα, χρῄζει ταφῆς·
τῆς τῶν ἐπ᾽αὐτοῖς κατὰ νοῦν ἐνεργουμένων ὁλικῆς ἀκινησίας (Th.Oe.1.67 [PG 90
1108B]).
17
Così anche Amb.Io.52-55 (PG 91 1372B-1377C).
18
Come si vedrà più avanti – e come afferma Th. Oe. 1.67 – ciò non riguarda
solo la dimensione sensibile, ma anche quella intellettuale. Così, ad esempio, Char.2.62,
dove Massimo parla di morte del νοῦς come uscita da ciò che è creaturale nell’estasi
della preghiera.
LaκάθαρσιςinMassimoilConfessore 161
19
Κάθαιρε τὸν νοῦν σου ἀπὸ ὀργῆς καὶ μνησικακίας καὶ τῶν αἰσχρῶν λογι-
σμῶν καὶ τότε δυνήσῃ γνῶναι τὴν τοῦ Χριστοῦ ἐνοίκησιν (Char.4.76 [A. CERESA–
GASTALDO 1963, 228]).
20
Ἡ μὲν ἐλεημοσύνη τὸ θυμικὸν μέρος τῆς ψυχῆς θεραπεύει· ἡ δὲ νηστεία
τὴν ἐπιθυμίαν μαραίνει· ἡ δὲ προσευχὴ τὸν νοῦν καθαίρει καὶ πρὸς τὴν τῶν
ὄντων θεωρίαν παρασκευάζει. Πρὸς γὰρ τὰς δυνάμεις τῆς ψυχῆς καὶ τὰς ἐντολὰς
ὁ Κύριος ἡμῖν ἐχαρίσατο (Char. 1.79 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 80]).
21
Ὁ τοιοῦτος εἰκότως ὄψεται τὸ σωτήριον τοῦ θεοῦ, καθαρὸς τῇ καρδίᾳ γενό-
μενος· καθ’ ἣν διὰ τῶν ἀρετῶν καὶ τῶν εὐσεβῶν θεωρημάτων ὁρᾷ τὸν θεὸν ἐπὶ
τέλει τῶν ἄθλων, κατὰ τὸ μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ, ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν
ὄψονται, τῶν ὑπὲρ ἀρετῆς πόνων τῆς ἀπαθείας τὴν χάριν ἀντιλαβών, ἧς οὐδὲν
πλέον τὸν θεὸν ἐμφανίζει τοῖς ἔχουσι (Thal.47.204-210 [CCSG 7 325.204-208]).
162 RAFFAELE COPPI
22
Τινὲς μὲν περὶ τοῦ ἀερίου πνεύματος λέγειν τὸν κύριον νομίζουσιν, ἐμοὶ
δὲ μᾶλλον φαίνεται ὅτι περὶ τοῦ ἁγίου πνεύματος λέγει. Τοῦτο γὰρ ἐξουσια-
στικῶς ὅπου θέλει πνεῖ, θέλει δὲ ἐν τοῖς δεκτικοῖς καὶ καθαροῖς τὴν διάνοιαν
(Qu.D.188.4-7 [CCSG 10 128.4-7]).
23
Ψυχή ἐστι καθαρά, ἡ παθῶν ἐλευθερωθεῖσα καὶ ὑπὸ τῆς θείας ἀγάπης ἀδι-
αλείπτως εὐφραινομένη (Char.1.34 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 60]).
24
Σῶσον ἡμᾶς, Κύριε, ἐκ τῶν δυσχερῶν τοῦ κόσμου τούτου, κατὰ τὴν χρηστό-
τητά σου, ἵνα ἐν καθαρᾷ συνειδήσει τὸ πέλαγος τοῦ βίου διαπεράσαντες, ἄμεμπτοι
καὶ ἀκέραιοι τῷ φοβερῷ βήματί σου παραστάντες, ἀξιωθῶμεν τῆς αἰωνίου ζωῆς
(Asc.39.10-14 [CCSG 40 99.847-851]). In questa preghiera vi è il richiamo all’espres-
sione di 2 Tm1,3: «Ringrazio Dio, che servo come i miei antenati con coscienza pura»
(Χάριν ἔχω τῷ θεῷ, ᾧ λατρεύω ἀπὸ προγόνων ἐν καθαρᾷ συνειδήσει).
25
Ὅταν βλέπῃς τὸν νοῦν σου εὐσεβῶς καὶ δικαίως ἀναστρεφόμενον ἐν τοῖς
τοῦ κόσμου νοήμασι, γίνωσκε καὶ τὸ σῶμά σου καθαρὸν καὶ ἀναμάρτητον δια-
μένειν (Char.3.52.1-3 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 168]).
26
Διὰ δὲ τῆς μετὰ ταῦτα τῶν θυρῶν κλείσεως τὴν κατὰ διάθεσιν ἀπὸ τούτου
τοῦ φθαρτοῦ κόσμου πρὸς τὸν νοητὸν κόσμον μετάβασιν τῆς ψυχῆς καὶ μετάθεσιν,
δι’ ἧς τὰς αἰσθήσεις θυρῶν δίκην μύσασα, τῶν καθ’ ἁμαρτίαν εἰδώλων καθαρὰς
ἀπεργάζεται (Myst.24.28-33 [CCSG 69 57.911-915]).
LaκάθαρσιςinMassimoilConfessore 163
della vita pratica; in tal modo, definisce in essa una condizione non
più schiava delle passioni e che si apre alla tensione amorosa verso
Dio. Per Massimo, questo stato comporta più livelli e accompagna
l’intero percorso del credente, ben oltre la sfera pratica. Un passo di
Thal.55 descrive molto bene la complessità della ἀπάθεια e il suo
duplice carattere negativo-positivo, applicando ad essa il linguaggio
dellα κάθαρσις.
O ancora, le quattro migliaia indicano quelle che sono chiamate le quattro
impassibilità generali. La prima impassibilità è la totale astensione dalle
azioni malvagie (si osserva in coloro che sono all’inizio del cammino); la
seconda è il rigetto totale, attraverso la riflessione, di ogni assenso ai pen-
sieri malvagi (la si trova presso coloro che partecipano della virtù e della
ragione); la terza è l’immobilità totale nella concupiscenza davanti alle
passioni (per coloro che contemplano intellettualmente, attraverso le forme,
i logoidelle realtà visibili); la quarta impassibilità è la purificazione totale
anche della semplice rappresentazione delle passioni (si realizza in coloro
che, attraverso la conoscenza e la contemplazione, hanno fatto dell’ele-
mento direttivo della loro anima uno specchio puro e senza macchia)27.
L’immagine dello «specchio puro e senza macchia», che Massimo
utilizza anche altrove nei suoi scritti28, è una buona sintesi per espri-
mere la condizione di libertà dal peccato e di disponibilità verso Dio
maturata nel credente.
27
Ἢ πάλιν, τὰς λεγομένας τέσσαρας γενικὰς ἀπαθείας αἱ τέσσαρες μυριάδες
σημαίνουσιν. Πρώτη γάρ ἐστιν αἱ τέσσαρες μυριάδες σημαίνουσιν. Πρώτη γάρ
ἐστιν ἀπάθεια ἡ παντελὴς ἀποχὴ τῶν κατ’ ἐνέργειαν κακῶν, ἐν τοῖς εἰσαγομέ-
νοις θεωρουμένη, δευτέρα δὲ ἡ παντελὴς κατὰ διάνοιαν περὶ τὴν τῶν κακῶν
συγκατάθεσιν ἀποβολὴ λογισμῶν, ἐν τοῖς μετὰ λόγου τὴν ἀρετὴν μετιοῦσι γινο-
μένη, τρίτη ἡ κατ’ ἐπιθυμίαν περὶ τὰ πάθη παντελὴς ἀκινησία ἐν τοῖς διὰ τῶν
σχημάτων τοὺς λόγους νοητῶς θεωμένοις τῶν ὁρωμένων, τετάρτη ἀπάθεια ἡ καὶ
αὐτῆς τῆς ψιλῆς τῶν παθῶν φαντασίας παντελὴς κάθαρσις, ἐν τοῖς διὰ γνώσεως
καὶ θεωρίας καθαρὸν καὶ διειδὲς ἔσοπτρον τοῦ θεοῦ ποιησαμένοις τὸ ἡγεμονι-
κὸν συνισταμένη (Thal.55.200-211 [CCSG 7 493.200-211]).
28
Cf. ad esempio Thal.65 (CCSG 22 253.32-33). Anche in questo caso, Massimo
afferma che la condizione ottenuta dal credente è il frutto di una ‘mente purificata
dalle passioni’.
164 RAFFAELE COPPI
29
Ὥσπερ τὸ φῶς τοῦ ἡλίου τὸν ὑγιῆ ὀφθαλμὸν πρὸς ἑαυτὸν ἐφέλκεται, οὕτω
καὶ ἡ γνῶσις τοῦ Θεοῦ τὸν καθαρὸν νοῦν φυσικῶς διὰ τῆς ἀγάπης πρὸς ἑαυτὸν
ἐπισπᾶται (Char.1.32 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 60]).
30
Ὥσπερ τὸν αἰσθητὸν ὀφθαλμὸν ἡ καλλονὴ τῶν ὁρατῶν, οὕτω καὶ τὸν
καθαρὸν νοῦν ἡ γνῶσις τῶν ἀοράτων πρὸς ἑαυτὴν ἐπισπᾶται· ἀόρατα δὲ λέγω τὰ
ἀσώματα (Char.1.90 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 84]).
31
Ὥσπερ ὁ ἥλιος ἀνατέλλων καὶ τὸν κόσμον φωτίζων δείκνυσί τε ἑαυτὸν καὶ
τὰ ὑπ’ αὐτοῦ φωτιζόμενα πράγματα· οὕτω καὶ ὁ τῆς δικαιοσύνης ἥλιος τῷ καθαρῷ
νῷ ἀνατέλλων καὶ ἑαυτὸν δείκνυσι καὶ πάντων τῶν ὑπ’ αὐτοῦ γεγονότων καὶ
γενησομένων τοὺς λόγους (Char.1.95 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 86]).
LaκάθαρσιςinMassimoilConfessore 165
Icammelli,innumerodiquattrocentocinquanta. I cammelli, che escono
insieme ai figli di Israele, una volta sciolti in piena libertà dall’amara
prigionia, sono le diverse contemplazioni naturali delle realtà visibili: in
modo simile al cammello hanno da una parte – come piedi – le manife-
stazioni impure delle realtà visibili, per la percezione sensibile; dall’altra,
per l’intelletto – come la testa – hanno i logoi puri presenti in tali realtà,
elevatissimi nello spirito32.
La purezza nella contemplazione nasce, pertanto, dalla capacità di
passare dal piano sensibile a quello intellettuale, ossia dai typoi ai
logoi, per usare termini cari al nostro autore. Questo movimento di
ascesa, che culmina nell’accesso alla tappa teologica e all’incontro
con il Logos (unicamente per grazia), trova corrispondenza in un pro-
cesso discentente, che ritorna dai logoi ai typoi, in una conoscenza
trasfigurata della realtà33. Tale dinamica di ascesa e discesa trova il
proprio fondamento nella centralità assegnata all’incarnazione di Cristo.
Questo mistero di salvezza segna profondamente il pensiero del
Confessore, conferendogli accenti originali rispetto ad altri autori,
come ad esempio Dionigi l’Areopagita, da lui considerato un impor-
tantissimo maestro34.
32
Κάμηλοι τετρακόσιαι τριακονταπέντε. Κάμηλοι, συνεξιοῦσαι τοῖς υἱοῖς
Ἰσραήλ, σὺν ἐλευθερίᾳ πολλῇ τῆς πικρᾶς ἀπολυομένοις αἰχμαλωσίας, εἰσὶν αἱ
φυσικαὶ τῶν ὁρωμένων διάφοροι θεωρίαι, κατὰ τὴν κάμηλον ἔχουσαι πρὸς μὲν
αἴσθησιν, ὥσπερ πόδας, ἀκαθάρτους τὰς ἐπιφανείας τῶν ὁρατῶν, πρὸς δὲ νοῦν,
ὥσπερ κεφαλήν, καθαροὺς τοὺς ἐν αὐτοῖς ὑψηλοτέρους ἐν πνεύματι λόγους
(Thal. 55 [CCSG 7 501.347-353]). In questa Quaestio, Massimo commenta 1 Esd
5,41-42 (TM Esd2,64-67), soffermandosi lungamente sulla simbologia numerica.
33
A partire da questa dinamica, P. Mueller-Jourdan elabora una vera e propria
teoria della conoscenza in Massimo il Confessore (cf. P. MUELLER-JOURDAN 2006,
276-287).
34
Su questo tema è classico lo studio di Y. de Andia: Y. DE ANDIA 1997, 293-328.
166 RAFFAELE COPPI
grado più elevato; il secondo aspetto si pone invece sul piano della
πεῖρα, ossia dell’«esperienza», ed esprime la conoscenza immediata
di Dio, che non ha più bisogno di mediazioni di alcun tipo35.
Una declinazione di questo stato di perfezione, nella sua duplice
valenza, è certamente la καθαρὰ προσευχή. Massimo parla in più
occasioni della «preghiera pura», specialmente in testi dal tenore
ascetico come le Centuriesullacarità, ove il tema è ripreso spesso
e fa addirittura da Leitmotiv per una delle quattro raccolte di
capitoli36. Nella SecondaCenturia, infatti, il punto di partenza è la
preghiera «senza distrazioni», che viene poi definita «pura» nei
capitoli successivi – con la distinzione tra credenti impegnati nella
vita pratica e contemplativi – e alla fine è detta preghiera «come si
conviene».
Colui che ama sinceramente il Signore, prega anche senza alcuna distra-
zione; e chi prega senza alcuna distrazione, ama anche sinceramente il
Signore. Non prega però senza distrarsi colui che ha la mente fissata su
una qualche realtà terrestre; perciò non ama Dio chi ha la mente legata a
qualcosa di terrestre37.
È opera dei comandamenti rendere pure le idee delle cose; della lettura
e della contemplazione, rendere la mente senza materia e senza forma; da
ciò viene il pregare senza distrazioni38.
Due sono gli stati eccelsi della preghiera pura: l’uno è proprio degli
uomini attivi, l’altro dei contemplativi. E l’uno nasce nell’anima dal
timore di Dio e dalla buona speranza; l’altro dall’ardente amore divino e
dalla purificazione più elevata. Segni distintivi del primo stato sono il
raccogliere la mente da tutte le idee del mondo e, come se le fosse presente
35
Massimo spiega questa distinzione soprattutto in Thal. 60 (CCSG 22 77.63-
90). Per una conoscenza sintetica di questo tema si veda P. MIQUEL 1989, 120-127.
36
Nella Seconda Centuria si parla della preghiera ben 16 volte (cf. Char. 2.1,
4-7, 14, 19, 35, 47, 52, 54, 57, 61-62, 70, 90 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 90-92,
96-98, 110, 116-120, 122-124]). Anche se non sempre il Confessore usa in modo
esplicito l’aggettivo «pura», si coglie generalmente una profonda consonanza tra i
vari capitoli. È significativo che il primo capitolo della raccolta abbia per tema la
preghiera senza interruzioni e che tale tema si ripresenti alla fine. È difficile pensare
che si tratti di una scelta casuale; più probabilmente, ciò indica una scelta precisa
del Confessore per definire il contenuto principale (o perlomeno uno dei contenuti
principali) della raccolta.
37
Ὁ γνησίως τὸν Θεὸν ἀγαπῶν, οὗτος καὶ ἀπερισπάστως πάντως προσεύχεται·
καὶ ὁ ἀπερισπάστως πάντως προσευχόμενος, οὗτος καὶ γνησίως τὸν Θεὸν ἀγαπᾷ.
Οὐκ εὔχεται δὲ ἀπερισπάστως ὅ τινι τῶν ἐπιγείων ἔχων τὸν νοῦν προσηλωμέ-
νον· οὐκ ἄρα ἀγαπᾷ τὸν Θεὸν ὅ τινι τῶν ἐπιγείων ἔχον τὸν νοῦν προσδεδεμένον
(Char.2.1 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 90]).
38
Ἔργον τῶν ἐντολῶν, ψιλὰ ποιεῖν τὰ τῶν πραγμάτων νοήματα· ἀναγνώσεως
δὲ καὶ θεωρίας, ἄϋλον καὶ ἀνείδεον τὸν νοῦν ἀπεργάζεσθαι· ἐκ δὲ τούτου συμβαίνει
τὸ ἀπερισπάστως προσεύχεσθαι (Char.2.4 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 90]).
LaκάθαρσιςinMassimoilConfessore 167
Dio stesso – come realmente è –, compiere le orazioni senza distrazioni
o turbamenti. Segno distintivo del secondo stato è che la mente venga
rapita, nello stesso slancio della preghiera, dalla divina e infinita luce e
non si accorga più in nessun modo né di se stessa né di qualunque altro
essere, se non del Solo che, per mezzo della carità, opera in lei un tale
splendore. Allora, occupandosi delle ragioni intorno a Dio, riceve pure e
limpide le immagini da Lui riflesse39.
Il grado eccelso della preghiera dicono sia questo: che la mente si
trovi fuori della carne e del mondo, del tutto immateriale e senza forma
durante la preghiera. Chi dunque mantiene questo stato integro, costui
prega davvero incessantemente40.
Una volta che la mente si sia spogliata dalle passioni e abbia ricevuto
l’illuminazione nella contemplazione degli esseri, allora può giungere a
Dio e pregare come si deve41.
Come spesso accade nei suoi scritti, specialmente di carattere spi-
rituale, il linguaggio usato dal Confessore è fortemente debitore della
tradizione monastica a lui precedente; così è anche per il tema della
καθαρὰ προσευχή, che richiama molto da vicino la mistica di Eva-
grio, tanto da trarre in inganno alcuni autori del secolo scorso, che lo
hanno considerato alla stregua di un compilatore – per quanto dotto –
del pensiero del monaco egiziano42.
39
Τῆς καθαρᾶς προσευχῆς δύο εἰσὶν ἀκρόταται καταστάσεις· ἡ μὲν τοῖς πρα-
κτικοῖς, ἡ δὲ τοῖς θεωρητικοῖς ἐπισυμβαίνουσα. Καὶ ἡ μὲν ἐκ φόβου Θεοῦ καὶ
ἐλπίδος ἀγαθῆς τῇ ψυχῇ ἐγγίνεται· ἡ δέ, ἀπὸ θείου ἔρωτος καὶ ἀκροτάτης
καθάρσεως. Γνωρίσματα δὲ τοῦ μὲν πρώτου μέτρου, τὸ ἐντὸς συναγαγεῖν τὸν
νοῦν ἐκ πάντων τῶν τοῦ κόσμου νοημάτων καὶ ὡς αὐτῷ συναγαγεῖν τὸν νοῦν ἐκ
πάντων τῶν τοῦ κόσμου νοημάτων καὶ ὡς αὐτῷ αὐτοῦ παρισταμένου τοῦ Θεοῦ,
ὥσπερ καὶ παρέστη, ποιεῖσθαι τὰς προσευχὰς ἀπερισπάστως καὶ ἀνενοχλήτως·
τοῦ δὲ δευτέρου, τὸ ἐν αὐτῇ τῇ ὁρμῇ τῆς προσευχῆς ἁρπαγῆναι τὸν νοῦν ὑπὸ τοῦ
θείου καὶ ἀπείρου φωτὸς καὶ μήτε ἑαυτοῦ μήτε τινὸς ἄλλου τῶν ὄντων τὸ σύνο-
λον ἐπαισθάνεσθαι, εἰ μὴ μόνου τοῦ διὰ τῆς ἀγάπης ἐν αὐτῷ τὴν τοιαύτην ἔλλαμ-
ψιν ἐνεργοῦντος. Τότε δὲ καὶ περὶ τοὺς περὶ Θεοῦ λόγους κινούμενος, καθαρὰς
καὶ τρανὰς τὰς περὶ αὐτοῦ λαμβάνει ἐμφάσεις (Char.2.6 [A. CERESA–GASTALDO
1963, 92]).
40
Τὴν τῆς προσευχῆς ἀκροτάτην κατάστασιν ταύτην εἶναι λέγουσι· τὸ ἔξω
σαρκὸς καὶ κόσμου γενέσθαι τὸν νοῦν καὶ ἄϋλον πάντη καὶ ἀνείδεον ἐν τῷ
προσεύχεσθαι. Ὁ οὖν ταύτην ἀλώβητον διατηρῶν τὴν κατάστασιν, οὗτος ὄντως
ἀδιαλείπτως προσεύχεται (Char.2.61 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 122]).
41
Ὅταν ὁ νοῦς παθῶν γυμνωθῇ καὶ τῇ τῶν ὄντων καταλάμπηται θεωρίᾳ, τότε
δύναται καὶ ἐν Θεῷ γενέσθαι καὶ ὡς δεῖ προσεύχεσθαι (Char.2.100 [A. CERESA–
GASTALDO 1963, 142]).
42
Cf. M. VILLER 1930, 156-184; 239-268; 331-336. L’impostazione di Viller,
poco attenta a cogliere l’originalità del Confessore, è stata presto criticata da buona
parte degli studiosi massimiani. Thunberg, in particolare, motiva in modo puntuale
le sue divergenze di opinione, toccando vari aspetti tra cui quello della preghiera pura
(cf. L. THUNBERG 1995, 332-368).
168 RAFFAELE COPPI
43
Cf. L. THUNBERG 1995, 362-368.
44
Scrive Thunberg: «For Maximus pure prayer is no longer just a purified
prayer, but a prayer in pure concentration upon God which reaches out in love to
God, certainly as He manifests Himself to the naked mind, but probably also as He
is in Himself, i.e. in the very mistery of His being. It is true that the term “ecstasy”
is more proper here, but Maximus draws no very sharp distinction between ecstasy
and pure prayer. Evagrius has a far more intellettual approach at this point. For him
pure prayer is purified prayer, and as such it is the prayer of a mind which is made
pure. But a pure mind is in Evagrius’ opinion a mind restored to full divine commu-
nion, able to contemplate God in itself. For Maximus, on the contrary, the mind as
created must reach outside itself to find God as He is, and pure prayer is thus for him
a formless contemplation of God in the qualities which He shows by grace. And it
aims beyond these to the communion with God as He is in Himself. At this point
Maximus is assisted by Ps.-Dionysian apophatic theology, and not by Evagrian thin-
king, though he agrees with Evagrius that the mind may be fully illuminated by God
in prayer alone, and though he seems to be less interested in divine darkness than
Ps.-Dionysius» (L. THUNBERG 1995, 367).
LaκάθαρσιςinMassimoilConfessore 169
45
Per una conoscenza di questa tripartizione ontologica e del suo orientamento
finalistico, cf. J.-C. LARCHET 2010, 31; P.G. RENCZES 2003, 182-185.
46
Αἱ μὲν ἐντολαὶ τοῦ Κυρίου διδάσκουσιν ἡμᾶς τοῖς μέσοις εὐλόγως χρήσασθαι
πράγμασιν· ἡ δὲ εὔλογος τῶν μεσῶν χρῆσις τὴν τῆς ψυχῆς καθαίρει κατάστασιν·
ἡ δὲ καθαρὰ κατάστασις τίκτει τὴν διάκρισιν· ἡ δὲ διάκρισις τίκτει τὴν ἀπάθειαν,
ἐξ ἧς τίκτεται ἡ τελεία ἀγάπη (Char.4, 91 [A. CERESA–GASTALDO 1963, 234]).
47
Ἀναγκαία γὰρ ἀμφοτέροις πρὸς τὴν σφῶν αὐτῶν λυσιτέλειαν καθέστηκεν
ἡ καθαρὰ πρὸς τοὺς λελυπηκότας διάθεσις, πάντων μὲν ἕνεκεν, οὐχ’ ἥκιστα δὲ
διὰ τὴν τῶν λειπομένων ῥητῶν δύναμιν, τοῦτον ἔχουσαν τὸν τρόπον· καὶ μὴ
170 RAFFAELE COPPI
εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν, ἀλλὰ ῥῦσαι ἡμᾶς ἀπὸ τοῦ πονηροῦ (Exp.or.dom.
700-706[CCSG 23 66-67, 700-706]).
48
Καὶ τυχὸν διὰ τοῦτο πρότερον ἡμᾶς βούλεται τὰς πρὸς ἀλλήλους ποιεῖσθαι
καταλλαγὰς ὁ θεός, οὐχ’ ἵνα παρ’ ἡμῶν μάθῃ καταλλάττεσθαι τοῖς ἁμαρτάνουσι
καὶ τῶν πολλῶν συγχωρεῖν καὶ φοβερῶν ἐγκλημάτων τὴν ἔκτισιν, ἀλλ’ ἵνα ἡμᾶς
καθάρῃ παθῶν καὶ δείξῃ συμβαίνουσαν τῇ σχέσει τῆς χάριτος τὴν τῶν συγχω-
ρουμένων διάθεσιν (Exp.or.dom. 668-674[CCSG 23 65.668-674]).
49
Su questo tema si veda il fondamentale studio di P.G. RENCZES 2003. L’autore
tedesco propone un percorso filosofico e patristico, per giungere a dimostrare come
la tensione γνώμη - ἕξις, nel pensiero del Confessore, sia la chiave di comprensione
dell’intero processo di divinizzazione.
50
Cf. Th. Pol. 16 (PG 91 193A); Pyrr (PG 91 309A). Per quel che riguarda
le opinioni degli studiosi in merito a questo tema, cf. P.G. RENCZES 2003, 339;
M.C. STEENBERG 2006, 237-242.
51
Εἰ δὲ τούτων, ὕδατος λέγω καὶ πνεύματος, τὴν ἐνέργειαν δέχεσθαι γνωστι-
κῶς τὴν γνώμην παρεσκευάζομεν, ἄρα ἂν διὰ τῆς πρακτικῆς τὸ μυστικὸν ὕδωρ
LaκάθαρσιςinMassimoilConfessore 171
5. CONCLUSIONE
A conclusione del percorso, si possono raccogliere cinque punti
sull’uso del vocabolario relativo alla purificazione nei testi massi-
miani.
ἐποιεῖτο τὴν τῆς συνειδήσεως κάθαρσιν, καὶ τὸ ζωοποιὸν πνεῦμα τὴν ἄτρεπτον ἐν
ἡμῖν τοῦ καλοῦ διὰ τῆς ἐν πείρᾳ γνώσεως ἐνήργει τελείωσιν. Λείπει τοιγαροῦν
ἑκάστῳ ἡμῶν τῶν ἁμαρτεῖν ἔτι δυναμένων τὸ καθαρῶς ἑαυτοὺς ὅλους κατὰ τὴν
γνώμην ἐμπαρέχειν βουληθῆναι τῷ πνεύματι (Thal.6.43-51 [CCSG 7 71.43-51]).
52
Ὁ δὲ γραπτὸς νόμος φόβῳ τῶν ἐπιτιμιῶν ἐπέχων τὰς ἀτάκτους τῶν ἀφρο-
νεστέρων ὁρμὰς ἐθίζει, διδάσκων πρὸς μόνην αὐτοὺς ὁρᾶν τὴν τοῦ ἴσου διανο-
μήν, καθ’ ἣν τῆς δικαιοσύνης τὸ κράτος, χρόνῳ βεβαιωθέν, εἰς φύσιν μεθίσταται,
ποιοῦν τὸν μὲν φόβον διάθεσιν, ἠρέμα κατὰ μικρὸν τῇ περὶ τὸ καλὸν γνώμῃ
κρατυνομένην, ἕξιν δὲ τὴν συνήθειαν, τῇ λήθῃ τῶν προτέρων καθαιρομένην καὶ
τὸ φιλάλληλον ἑαυτῇ συναποτίκτουσαν, καθ’ ὃ τοῦ νόμου γίνεσθαι τὸ πλήρωμα
πέφυκεν, πάντων ἀλλήλοις κατὰ τὴν ἀγάπην συναρμοσθέντων (Thal.64.755-764
[CCSG 22 235.755-764]).
172 RAFFAELE COPPI
53
Nel percorso fatto, si è scelto di presentare un solo esempio di dipendenza
letteraria (il tema della καθαρὰ προσευχή in rapporto ad Evagrio), per suggerire che,
al di là dei richiami più o meno espliciti ad altri autori, il dato interessante dell’opera
massimiana è l’originalità con cui vengono riletti dati appartenenti alla tradizione.
LaκάθαρσιςinMassimoilConfessore 173
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Studi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178