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tre modi di interazione delle scienze con la teologia:
1. concordismo: nasce come «posizione esegetica che consiste nel cercare un accordo diretto,
senza mediazione, tra un passo della Scrittura e una conoscenza scientifica» (p. 74); ogni po-
sizione che vuole collegare immediatamente (= senza intermediazioni) un risultato scientifico
e un dato teologico
2. discordismo: scienza e teologia parlano di due ordini completamente distinti di realtà, fanno
due discorsi separati dal punto di vista epistemologico e dal punto di vista etico non hanno
alcun legame per ciò che riguarda le scelte. Quindi non c’è conflitto, anzi viene evitato ogni
confronto tra i due ambiti
3. articolazione: scelta di non cercare un predominio della scienza sulla teologia o viceversa, ma
di cercare un terreno comune per le due. È la scelta di trovare un’istanza mediatrice tra scienza
e teologia, oltre gli scogli del concordismo e discordismo, per mettere in collegamento i due
ordini di realtà e di discorso
livello etico
discordismo = separare radicalmente un’etica naturale gestita dalle scienze della vita
dall’etica teologica (all’interno di un più generale processo di riduzione della
fede nella vita privata); «non vuole negare il valore della teologia morale, ma la
pone al livello di un’opzione personale, potremmo dire di un affare di gusto»
(p. 103)
la teologia non può più rivendicare una sua competenza nella partecipazione al
dibattito etico pubblico, mentre la scienza pretenderebbe di non avere controlli
etici
articolazione la scienza ha al suo interno anche una tensione etica: le scienze spingono a fare
delle scelte ma non sono in grado di chiarire completamente il valore delle varie
scelte; viceversa, l’etica filosofica necessita di un chiarimento scientifico
la mediazione filosofica rende possibile il dialogo con la teologia morale che
«può intervenire, non per moralizzare dall’esterno e in modo artificiale una pra-
tica scientifica, ma per prendere parte a un dibattito che è già cominciato e ha
già il suo senso sulla scena dell’attualità, per dargli nuova luce» (p. 123)
37
2.1.3 I dieci modelli di guerra, tregua e collaborazione di Ted Peters
Ted Peters (1941-), teologo luterano statunitense, dal 1978 docente di teologia sistematica al Pa-
cific Lutheran Theological Seminary di Berkeley (California); cfr. «Science and Religion. Ten Mod-
els of War, Truce, and Partnership», in Theology and Science 16(2018)1, 11-53
tesi = bisogna superare la guerra tra la conoscenza scientifica e la fede religiosa, pur essendoci
stati nel passato alcuni modelli che l’hanno propugnata; reintrodurre la questione di Dio nell’orbita
della discussione scientifica sul mondo naturale
10 modelli in due gruppi:
a) modelli di conflitto e di guerra: lo scientismo – l’imperialismo scientifico – l’imperialismo
teologico – la controversia sull’evoluzione
b) modelli che propongono una pace: i due libri – i due linguaggi – l’alleanza etica – il dialogo
che conduce alla mutua interazione creativa – il naturalismo – la teologia della natura
la morale è presente soprattutto:
• all’interno del secondo modello – imperialismo scientifico – che vuole occupare i terreni
una volta propri della religione; tra questi quello della moralità: la religione è immorale e
solo la scienza è in grado di offrire una moralità utile a governare la società, portando pace
e salute ecologica (cfr. p. 16)
• il settimo modello = alleanza etica: parte dalla necessità che il teologo oggi ha di affrontare
una serie di domande di significato che riguardano l’uomo e sono provocate dalla nostra
società industriale e tecnologica, dalla crisi ambientale e dal pensare al futuro a lungo rag-
gio del nostro pianeta (cfr. p. 26)
la strada dell’integrazione: dialogo che porta ad una mutua interazione creativa (= ottavo mo-
dello)
33
GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Simposio su «La scienza nel contesto della cultura umana II» (04/10/1981), in
SÁNCHEZ SORONDO M. (ED.), I Papi e la scienza nell'epoca contemporanea, 317.
38
• in una Lettera a p. Coyne sj, direttore della Specola Vaticana, propone di tendere ad un aiuto
reciproco tra scienza e fede:
c’è stato un movimento, sebbene ancora fragile e provvisorio, verso uno scambio nuovo e più vario.
Abbiamo iniziato a parlarci l’un l’altro a livelli più profondi che in precedenza, e con una maggiore
apertura nei confronti dei reciproci punti di vista. Abbiamo intrapreso una ricerca comune per una
comprensione più approfondita delle nostre rispettive discipline, con i loro ambiti di competenza e
i loro limiti, e soprattutto per trovare un terreno comune. Abbiamo quindi svelato questioni impor-
tanti che interessano ad entrambi e che sono di vitale importanza per la comunità umana allargata
della quale siamo entrambi al servizio
il dialogo tra scienza e fede non significa però un ingenuo concordismo, ma un «interscambio
dinamico»:
nell’incoraggiare un’apertura tra la Chiesa e le comunità scientifiche non stiamo preconizzando
un’unità disciplinare tra la teologia e la scienza come quella che esiste all’interno di un dato campo
scientifico o all’interno della teologia vera e propria. Man mano che continuano il dialogo e la
ricerca comune, vi saranno una crescita verso la comprensione reciproca ed una scoperta graduale
di interessi comuni che getteranno le basi per la ricerca e il dibattito ulteriori. La forma esatta che
prenderanno si vedrà solo in futuro, ma la cosa importante, come già abbiamo sottolineato, è che
il dialogo continui e aumenti in profondità e portata. Nel mentre, dobbiamo superare ogni tendenza
regressiva verso un riduzionismo unilaterale, verso la paura e verso l’isolamento autoimposto. […]
La Chiesa non propone che la scienza diventi religione o la religione scienza. Al contrario, l’unità
presuppone sempre la diversità e l’integrità dei suoi elementi. Ognuno di questi membri deve mi-
rare a diventare non meno di se stesso ma più di se stesso in uno scambio dinamico, perché un’unità
nella quale uno degli elementi viene ridotto a favore dell’altro è distruttivo, falso nelle sue pro-
messe di armonia e dannoso per l’integrità dei suoi componenti. Ci si chiede di diventare uno. Non
si chiede all’uno di diventare come l’altro.
Per essere più specifici, sia la religione che la scienza devono preservare la propria autonomia e
peculiarità. La religione non è fondata sulla scienza, né la scienza è un’estensione della religione.
Ognuna dovrebbe possedere principi, procedure, diversità di interpretazione e conclusioni proprie.
La Cristianità possiede la fonte della sua giustificazione al suo interno e non chiede alla scienza di
diventare il suo principale apologeta. La scienza deve testimoniare il proprio valore. Mentre
ognuna può e deve sostenere l’altra quale dimensione distinta di una cultura umana comune, nes-
suna delle due deve pretendere di costituire una premessa necessaria per l’altra
scienza e religione devono insieme tendere ad una profonda unità del sapere:
Cos’è quindi che la Chiesa incoraggia in quest’unità relazionale tra la scienza e la religione? Prima
di tutto il fatto che debbano arrivare a comprendersi l’una con l’altra. Per troppo tempo si sono
tenuti distanti l’una dall’altra. La teologia è stata definita come uno sforzo della fede per raggiun-
gere la conoscenza, come fides quaerens intellectum. Come tale, ci deve essere uno scambio vitale
oggi con la scienza proprio come c’era sempre stato con la filosofia e con le altre forme del sapere.
La teologia dovrà fare appello alle scoperte della scienza, in misura inferiore o superiore, per per-
seguire il suo interesse principale per la persona umana, la portata della libertà, le possibilità della
comunità cristiana, la natura della fede e l’intelligibilità della natura e della storia. La vitalità e il
significato della teologia per l’umanità saranno riflessi in maniera profonda dalla sua abilità di
incorporarne le scoperte.
Ora, questo è un punto delicato da qualificare attentamente. La teologia non deve incorporare in-
differentemente ogni nuova teoria filosofica o scientifica. Man mano che queste scoperte entrano
a far parte della cultura intellettuale del tempo, tuttavia, i teologi devono comprenderle ed analiz-
zarne il valore nel riuscire a estrapolare dalla fede cristiana alcune delle possibilità non ancora
realizzate […]
Non può beneficiare di questo scambio anche la scienza? Sembrerebbe di sì. Perché la scienza si
sviluppa meglio quando i suoi concetti e le sue conclusioni sono integrate nella cultura umana più
vasta e nell’attenzione che rivolge al significato e al valore ultimi. Gli scienziati non possono,
quindi, mantenersi completamente distaccati dai tipi di questioni trattati dai filosofi e dai teologi.
39
Dedicando a tali questioni un poco dell’energia e della cura che dedicano alla loro ricerca scienti-
fica, possono aiutare gli altri a realizzare più pienamente le potenzialità umane delle loro scoperte.
Possono inoltre arrivare da soli a capire che queste scoperte non possono essere un sostituto auten-
tico per la conoscenza di ciò che è veramente il fine ultimo. La scienza può purificare la religione
dall’errore e dalla superstizione; la religione può purificare la scienza dall’idolatria e dai falsi as-
soluti. Possono attirarsi l’un l’altra verso un mondo più ampio, un mondo in cui entrambe possano
fiorire34
• l’integrazione non deve avvenire solo tra teologia e scienza; quando si tratta della morale,
bisogna attuare uno scambio tra ragione e fede, mettendo in guardia dalle tendenze del pen-
siero moderno che vogliono decidere in modo autonomo del bene e del male, proponendo di
fatto una sovranità ed una autonomia assoluta della morale:
36. L'istanza moderna di autonomia non ha mancato di esercitare un suo influsso anche nell’ambito
della teologia morale cattolica. Se questa, certamente, non ha mai inteso contrapporre la libertà
umana alla legge divina, né mettere in questione l’esistenza di un fondamento religioso ultimo delle
norme morali, è stata però provocata ad un profondo ripensamento del ruolo della ragione e della
fede nell’individuazione delle norme morali che si riferiscono a specifici comportamenti «intra-
mondani», ossia verso se stessi, gli altri e il mondo delle cose.
Si deve riconoscere che all'origine di questo sforzo di ripensamento si ritrovano alcune istanze
positive, che peraltro appartengono, in buona parte, alla miglior tradizione del pensiero cattolico.
Sollecitati dal Concilio Vaticano II, [Cf Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
40 e 43] si è voluto favorire il dialogo con la cultura moderna, mettendo in luce il carattere razionale
– quindi universalmente comprensibile e comunicabile – delle norme morali appartenenti all'am-
bito della legge morale naturale. [Cf S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 71, a. 6; vedi anche
ad 5um] Si è inteso, inoltre, ribadire il carattere interiore delle esigenze etiche che da essa derivano
e che non si impongono alla volontà come un obbligo, se non in forza del riconoscimento previo
della ragione umana e, in concreto, della coscienza personale.
Dimenticando però la dipendenza della ragione umana dalla Sapienza divina e la necessità, nel
presente stato di natura decaduta, nonché l’effettiva realtà della divina rivelazione per la cono-
scenza di verità morali anche di ordine naturale, [Cf Pio XII, Lett. enc. Humani generis (12 agosto 1950):
AAS 42 (1950), 561-562] alcuni sono giunti a teorizzare una completa sovranità della ragione nell’am-
bito delle norme morali relative al retto ordinamento della vita in questo mondo: tali norme costi-
tuirebbero l’ambito di una morale solamente «umana», sarebbero cioè l’espressione di una legge
che l’uomo autonomamente dà a se stesso e che ha la sua sorgente esclusivamente nella ragione
umana. Di questa legge Dio non potrebbe essere considerato in nessun modo Autore, se non nel
senso che la ragione umana esercita la sua autonomia legislativa in forza di un originario e totale
mandato di Dio all’uomo. Ora queste tendenze di pensiero hanno condotto a negare, contro la Sacra
Scrittura e la dottrina costante della Chiesa, che la legge morale naturale abbia Dio come autore e
che l’uomo, mediante la sua ragione, partecipi alla legge eterna, che non è lui a stabilire.
37. Volendo però mantenere la vita morale in un contesto cristiano, è stata introdotta da alcuni
teologi moralisti una netta distinzione, contraria alla dottrina cattolica, [Cf Conc. Ecum. Trident., Sessio
VI, Decr. sulla giustificazione Cum hoc tempore, cann. 19-21: DS, 1569-1571] tra un ordine etico, che avrebbe
origine umana e valore solo mondano, e un ordine della salvezza, per il quale avrebbero rilevanza
solo alcune intenzioni ed atteggiamenti interiori circa Dio e il prossimo. Si è giunti conseguente-
mente al punto di negare l’esistenza, nella rivelazione divina, di un contenuto morale specifico e
determinato, universalmente valido e permanente: la Parola di Dio si limiterebbe a proporre
un’esortazione, una generica parenesi, che poi solo la ragione autonoma avrebbe il compito di
riempire di determinazioni normative veramente «oggettive», ossia adeguate alla situazione storica
concreta. Naturalmente un’autonomia così concepita comporta anche la negazione di una compe-
tenza dottrinale specifica da parte della Chiesa e del suo Magistero circa norme morali determinate
riguardanti il cosiddetto «bene umano»: esse non apparterrebbero al contenuto proprio della Rive-
lazione e non sarebbero in se stesse rilevanti in ordine alla salvezza.
34
ID., Lettera al Reverendo George V. Coyne, Direttore della Specola Vaticana (01/06/1988), in SÁNCHEZ SORONDO
M. (ED.), I Papi e la scienza nell’epoca contemporanea, 282.283.284-286.287.
40
Non vi è chi non veda che una simile interpretazione dell'autonomia della ragione umana comporta
tesi incompatibili con la dottrina cattolica35
35
ID., lett. enc. Veritatis splendor (06/08/1993) nn. 36-37, Edizioni Paoline, Milano 1993, 41-42.
36
FRANCESCO, Lumen fidei (29/06/2013), 34; in http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/docu-
ments/papa-francesco_20130629_enciclica-lumen-fidei.html [08/04/2020].
37
ID., Laudato si’ (24/05/2015), nn. 62-64; in http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-
francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html [16/10/2015].
41
2.2 Per un’integrazione fra fede, ragione e scienza in morale
In morale la pura deduzione per sillogismo non è adeguata. Quanto più il moralista affronta situazioni
concrete, tanto più deve ricorrere alla sapienza dell’esperienza, un’esperienza che integra i contributi
delle altre scienze e cresce al contatto con le donne e gli uomini impegnati nell’azione. Soltanto questa
saggezza dell’esperienza consente di considerare la molteplicità delle circostanze e di giungere a un
orientamento sul modo di compiere ciò che è bene hic et nunc. Il moralista (questa è la difficoltà del
suo lavoro) deve ricorrere alle risorse combinate della teologia, della filosofia, come pure delle scienze
umane, economiche e biologiche per riconoscere bene i dati della situazione e identificare corretta-
mente le esigenze concrete della dignità umana. Al tempo stesso, egli dev’essere particolarmente at-
tento a salvaguardare i dati di base espressi con i precetti della legge naturale che rimangono al di là
delle variazioni culturali38
come può funzionare in morale l’articolazione dialogica e la mutua collaborazione di fede, ragione
e scienza?
Essa, infatti, fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai
concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò
allo scopo di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle esigenze
dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni
evangelizzazione. Così, infatti, viene sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il
modo proprio il messaggio di Cristo, e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la Chiesa
e le diverse culture dei popoli. Allo scopo di accrescere tale scambio, oggi soprattutto, che i cambia-
menti sono così rapidi e tanto vari i modi di pensare, la Chiesa ha bisogno particolare dell’apporto di
coloro che, vivendo nel mondo, ne conoscono le diverse istituzioni e discipline e ne capiscono la
mentalità, si tratti di credenti o di non credenti.
È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo,
ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare
alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio com-
presa e possa venir presentata in forma più adatta (GS 44)
l’uso della ragione nella riflessione morale nel dato biblico e nel cammino storico; l’annuncio del
Vangelo non è esterno alla ricerca del bene e del giusto che l’uomo ha fatto durante i secoli
oltre la superiorità della fede e l’autonomia della morale:
nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve
obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento
opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa’ questo, evita quest’altro.
38
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Alla ricerca di un'etica universale. Nuovo sguardo sulla legge natu-
rale, n. 54; in «Legge naturale ed etica universale», 540.
42
L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e
secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove
egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità (GS 16)
la proposta di PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Bibbia e morale. Radici bibliche dell’agire cri-
stiano (11/05/2008), seconda parte: «Alcuni criteri biblici per la riflessione morale»:
• affrontare la difficoltà di attualizzare il dato biblico sulla morale, nella Scrittura non si pos-
sono trovare delle soluzioni immediate ai nostri odierni problemi morali:
l’uomo d’oggi, considerato sia individualmente sia collettivamente, è messo a confronto ogni
giorno con problemi morali delicati che lo sviluppo delle scienze umane, da una parte, e la
mondializzazione delle comunicazioni, dall’altra parte, rimettono costantemente sul tappeto, al
punto che anche credenti convinti hanno l’impressione che alcune certezze di una volta siano
annullate. Si pensi solo ai modi diversi di abbordare l’etica della violenza, del terrorismo, della
guerra, dell’immigrazione, della condivisione delle ricchezze, del rispetto delle risorse naturali,
della vita, del lavoro, della sessualità, delle ricerche in campo genetico, della famiglia o della
vita comunitaria. Di fronte a questa complessa problematica, negli ultimi decenni s’è potuto
essere tentati, in teologia morale, di marginalizzare, in tutto o in parte, la Scrittura. Che fare
quando la Bibbia non dà risposte complete? E come integrare i dati biblici, quando per elaborare
un discorso morale su tali questioni bisogna ricorrere ai lumi della riflessione teologica, della
ragione e della scienza?39
39
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Bibbia e morale. Radici bibliche dell’agire cristiano (11/05/2008), n. 92; in
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-mo-
rale_it.html [17/04/2020].
43
1. un’apertura alle diverse culture e dunque un certo universalismo etico (convergenza); «alcuni
precetti hanno il loro equivalente in altre culture dell’epoca. La “regola d’oro” (Mt 7,12), per
esempio, si trova, nella formulazione sia positiva sia negativa, in molte culture» (n. 104)
2. una presa di posizione ferma contro i valori incompatibili (contrapposizione); qui la con-
danna è motivata dalla fede in Dio e rende la Chiesa voce profetica contro i comportamenti
umani «che concepiscono la vita umana in un modo immanentista, ridotto al mondo attuale
e, soffocando la trascendenza, prescindono da Dio, negandolo o trascurandolo, e non lo rico-
noscono come origine di tutto e come fine di tutto» (n. 117)
3. un processo di affinamento della coscienza morale che si trova all’interno di ognuno dei due
Testamenti e soprattutto dall’uno all’altro (progressione); «tutto il discorso di Gesù illustra
la giustizia più grande, portando a compimento l’intenzione e lo spirito della Torah (cf. 5,17)
mediante una più profonda interiorità, mediante l’integrità di pensiero e azione e mediante
una azione morale più esigente» (n. 104)
4. una rettifica della tendenza, in buon numero delle culture attuali, a relegare le decisioni mo-
rali nella sola sfera soggettiva, individuale (dimensione comunitaria); la morale biblica ha al
centro la comunità, «fondata sull’amore che oltrepassa gli interessi individuali e tiene insieme
gli esseri umani» (n. 135)
5. un’apertura a un avvenire assoluto del mondo e della storia, suscettibile di segnare in profon-
dità l’obiettivo e la motivazione dell’agire morale (finalità); per Gesù la motivazione di base
di tutto l’agire morale è la speranza nell’aldilà
6. una determinazione attenta, secondo i casi, del valore relativo o assoluto dei principi e pre-
cetti morali della Scrittura (discernimento); cfr. ad es. l’interpretazione del sabato da parte di
Gesù; oggi «tutti convengono che non si possono mettere sullo stesso piano tutte le regole
morali enunciate dalla Bibbia né si può riconoscere uguale valore a tutti gli esempi di moralità
che essa presenta» (n. 150); bisogna poi fare molta attenzione al genere letterario in cui è
inserito un insegnamento morale
• il confronto con la ragione e con la scienza:
• nel primo criterio fondamentale – la conformità alla visione biblica dell’uomo – ci si
chiede se la morale biblica sia davvero originale, dato che «una buona parte dei con-
tenuti etici della Scrittura può essere rinvenuta in altre culture» e che «i principali lumi
utili in questo campo vanno ricercati sul versante della ragione» (n. 95) - non è corretta
questa presunta “inutilità” dell’appello al dato biblico, dato che la Scrittura – pur non
proponendo dei contenuti morali esclusivi – offre un discernimento critico di ciò che
è veramente umano perché ci assimila a Dio, dà un orizzonte che permette di chiarire
le questioni morali, ponendo due domande:
una determinata posizione morale: 1. è conforme alla teologia della creazione, cioè alla
visione dell’essere umano in tutta la sua dignità, in quanto “immagine di Dio” (Gn 1,26)
in Cristo, che è lui stesso, in un senso infinitamente più forte, “icona del Dio invisibile”
(Col 1,15)? 2. è conforme alla teologia dell’alleanza, cioè alla visione dell’essere umano
chiamato, sia collettivamente sia individualmente, a una comunione intima con Dio e a
una collaborazione efficace nella costruzione di una umanità nuova, che trova il suo
compimento in Cristo? (n. 95)
44
la situazione odierna è caratterizzata da progressi sempre più grandi delle scienze naturali
e da una estensione immensa del potere e delle possibilità dell’agire umano. Le scienze
umane aumentano continuamente la conoscenza degli individui e delle società umane. I
mezzi di comunicazione favoriscono la globalizzazione, una sempre più grande connes-
sione e interdipendenza fra tutte le parti della terra. Questa situazione porta con sé grandi
problemi ma anche grandi possibilità per la convivenza e sopravvivenza umane. Nelle
società moderne ci sono poi tante idee, sensibilità, desideri, proposte, movimenti, gruppi
che si impegnano o esercitano pressione, tentativi per trovare soluzioni dei problemi e
gestire in un modo giusto le possibilità presenti. I cristiani vivono insieme ai loro con-
temporanei in questa situazione e sono corresponsabili con gli altri di trovare giuste so-
luzioni. La Chiesa si trova in un continuo dialogo con la complessa cultura moderna e
partecipa alla ricerca di norme giuste per la gestione della comune situazione (n. 110)
• tra gli esempi che vengono fatti nel secondo criterio specifico – quello della contrap-
posizione contro ciò che non risponde al volere di Dio – c’è quello dell’opposizione
ad una forma moderna di idolatria, quella della autosufficienza illusoria, frutto della
volontà umana che aspira al possesso di un potere senza limiti. Questa volontà è radicata
nel rifiuto di riconoscere la condizione creaturale in dipendenza da Dio e nella rivolta
contro Dio, e cerca di realizzare con molta determinazione una illusoria trasformazione
dell’esistenza umana, qua e adesso. In ultima analisi, non si tratta di aspirazioni econo-
miche, politiche o scientifiche ma della volontà di disporre autonomamente di se stessi
e del proprio destino e di realizzare un paradiso terrestre che porterà all’era finale di
felicità universale. Questa aura di attesa escatologica può spiegare l’illusione sempre più
diffusa che le persone umane da sole siano capaci di provvedere al loro ordine morale e
politico, in una comunità secolare in cui Dio viene sistematicamente escluso o almeno
messo al bando. Benché questa ideologia eserciti ancora un fascino intellettuale e conti-
nui ad avere influenza politica, diventa sempre più evidente che il futuro non può riser-
varci un illimitato progresso tecnologico, industriale, sociale e politico. (n. 119)
• nel quinto criterio specifico – quello della finalità, che sottolinea come l’agire cristiano
sia motivato dalla speranza nell’aldilà – si ricorda come la fede introduca un orienta-
mento escatologico che ispira le decisioni da prendere:
il quadro delle finalità nella prospettiva rivelata è suggeritore di validi orientamenti per
le novità offerte da un quotidiano in continuo movimento. La discussione che sorge per
le nuove decisioni si muove sempre sul piano dei principi, che si appellano ai valori
dell’autonomia della decisione umana, dei diritti della scienza, della insindacabilità della
coscienza e anche, in ultima analisi, della preferenza da dare al più forte.
Il criterio della tensione escatologica concorre a correggere questi atteggiamenti. L’oriz-
zonte dell’uomo non è delimitato dalla sua personalità bensì dal dialogo con una perso-
nalità ben più grande e affidabile; non è esaurito nei confronti del presente, bensì lo
travalica per inverarsi in un futuro che, solo, sarà “finale”. Le sue decisioni sono dunque
valide solo se prese in dialogo con il suo Creatore e Salvatore e solo se si finalizzano a
una realizzazione che sia valida non solo per il presente ma pure per il futuro senza ter-
mine (n. 149)
• secondo l’ultimo criterio specifico –la necessità del discernimento per comprendere la
vera portata dei principi e precetti morali della Scrittura –:
1) In materia di moralità come in ogni altro campo la Chiesa disapprova ogni utilizza-
zione fondamentalista della Scrittura, che si realizzi per esempio isolando un precetto
biblico dal suo contesto storico, culturale e letterario. Una sana lettura critica aiuta a
distinguere da una parte le consegne o le pratiche valide per tutti i tempi e tutti i luoghi
e, d’altra parte, quelle che hanno potuto essere necessarie in una determinata epoca o in
un ambiente geografico particolare e poi divenire desuete, obsolete o inapplicabili. Più
che l’esegesi dei testi stessi è la teologia biblica, con il suo sguardo d’insieme sull’uno e
l’altro Testamento, che permette di non trattare mai un problema morale come un vaso
chiuso, ma sempre nell’asse dei grandi canti della rivelazione di Dio.
45
2) Per una buona parte, l’etica ricorre alle risorse della ragione. Abbiamo visto come la
Bibbia ha molto in comune con la sapienza dei popoli (convergenza). Ma essa sa conte-
stare, remare contro corrente (contrapposizione). E superare (progressione). La morale
cristiana non può in alcun modo evolvere indipendentemente da questo soffio nuovo e
misterioso che le viene dai lumi dello Spirito Santo. Più che razionale e sapienziale, il
discernimento morale dei credenti è spirituale. Interviene qui il tema importantissimo
della formazione della coscienza. Anche se il Nuovo Testamento non associa che una
volta esplicitamente i due termini “coscienza” morale e “Spirito Santo” (Rm 9,1), è
chiaro che in regime cristiano il “discernimento del buono dal cattivo” ha per chiave di
volta “gli elementi essenziali delle parole di Dio” (Eb 5,12-14), che conducono “alla
perfezione” (6,1) “coloro che una volta per tutte sono stati illuminati, hanno gustato il
dono celeste e sono divenuti partecipi dello Spirito Santo” (6,4). Paolo si richiama al
“rinnovamento del pensiero”, non in “conformità col mondo presente”, ma “discernendo
ciò che è volontà di Dio, che è buono, accettabile, perfetto” (Rm 12,2; cf. Ef 5,10; Eb
12,21) (n. 154)
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